scenario sanita` nazionale - Ordine dei Medici di Ferrara

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scenario sanita` nazionale - Ordine dei Medici di Ferrara
SCENARIO SANITA' NAZIONALE
Rassegna Stampa del 25 novembre 2013
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INDICE
SCENARIO SANITA' NAZIONALE
24/11/2013 Corriere della Sera - Roma
Anziani e sanità Accreditate 15 nuove strutture
7
24/11/2013 Corriere della Sera - Nazionale
La «bibbia» aggiornata degli psichiatri
8
24/11/2013 Corriere della Sera - Nazionale
Fare meno per Fare di Più
10
24/11/2013 Corriere della Sera - Nazionale
Chi chiamo quando non sto bene?
11
24/11/2013 Corriere della Sera - Nazionale
Aggregazioni e Case della salute Ad Arezzo è già arrivato il futuro
13
24/11/2013 Corriere della Sera - Nazionale
Come funziona la continuità delle cure nel resto d'Europa
14
24/11/2013 Corriere della Sera - Nazionale
Stress, anemia, morbo celiaco possono causare le piccole ulcere
16
24/11/2013 Corriere della Sera - Nazionale
Test per ottenere diagnosi precoci
17
23/11/2013 Il Sole 24 Ore
Spesa per farmaci migliore al Nord
18
24/11/2013 Il Sole 24 Ore
Avanzano le neo-aziende del welfare
19
25/11/2013 Il Sole 24 Ore
Errore sanitario, prova rafforzata a carico dei medici
21
23/11/2013 La Repubblica - Nazionale
Sorpresa, ora agli italiani piace la sanità pubblica
22
23/11/2013 La Repubblica - Palermo
"Irregolarità nell'intramoenia", e scattano ispezioni
24
24/11/2013 La Repubblica - Bologna
"Le liste d'attesa in sanità problema serio"
25
24/11/2013 La Repubblica - Genova
Regione, gioielli immobiliari in vendita a Mosca
26
24/11/2013 La Repubblica - Genova
SE RENZI STA LONTANO DALLA PROTESTA NON È UN BUON SEGNALE PER IL PD
27
24/11/2013 La Repubblica - Napoli
Il ministro Lorenzin al Pascale visita i reparti, ospedale promosso
28
25/11/2013 La Repubblica - Nazionale
"Prevenire costa e molti fanno resistenza vogliono pure abolire i test sul cuore"
29
24/11/2013 La Stampa - Nazionale
Disagio psichico Quei volontari che lavorano per l'inserimento
30
24/11/2013 Il Messaggero - Nazionale
Fassina scettico sui tagli alla spesa
31
24/11/2013 Il Messaggero - Nazionale
Per le pensioni rivalutazione piena fino a 2.000 euro
32
24/11/2013 Il Giornale - Nazionale
Farmaci mirati anti-dolore
34
24/11/2013 Il Giornale - Nazionale
Cinque milioni di italiani con vescica troppo attiva
35
24/11/2013 Il Giornale - Nazionale
Ad Aosta un test agli autotrasportatori per individuare i disturbi del sonno
36
24/11/2013 Avvenire - Nazionale
«Sclerosi multipla, illusorie le cure di Stamina»
37
24/11/2013 Avvenire - Milano
«Contro la droga, occorre entrare in relazione con i giovani»
38
24/11/2013 Avvenire - Milano
Acli, dibattito sulla sanità lombarda
39
24/11/2013 Il Secolo XIX - Genova
Regione a Mosca per vendere i vecchi ospedali
40
24/11/2013 Il Secolo XIX - Genova
APERTA AL GALLIERA LA CLINICA PRIVATA
42
24/11/2013 Il Tempo - Roma
Accreditate 15 residenze assistenziali
43
25/11/2013 Corriere Economia
Spesa pubblica La minaccia dell'obesità
44
23/11/2013 Gente
panico 10 milioni gridano "aiuto"
46
22/11/2013 Internazionale
La lentezza delle idee
48
22/11/2013 Internazionale
Il dibattito sulle statine
57
23/11/2013 Left
CONQUISTE A RISCHIO
58
23/11/2013 Left
Salute: bene comune
61
24/11/2013 Focus
SLOW SCIENCE
64
24/11/2013 Focus
Pillole di feci e alleati batterici
68
24/11/2013 Focus
AIDS Il mondo ora ha meno paura
69
24/11/2013 Focus
Malattia o suggestione?
72
22/11/2013 Panorama della Sanita
Ma è vera libertà di scelta?
75
22/11/2013 Panorama della Sanita
Il Ssn necessita di investimenti e non tagli
76
22/11/2013 Panorama della Sanita
Lombardia Regione migliore per l'assistenza offerta su molti fronti della salute
78
22/11/2013 Panorama della Sanita
La maggioranza chiede specializzazioni più brevi e una scuola di medicina generale
81
22/11/2013 Panorama della Sanita
Le mille facce della nuova visione del farmaco
82
22/11/2013 Panorama della Sanita
II regolamento Uè sui dispositivi medici mina la sicurezza dei pazienti
84
22/11/2013 Panorama della Sanita
Terapie intensive in rete per migliorare l'assistenza ai pazienti
85
22/11/2013 Panorama della Sanita
Una legge per disciplinare le medicine complementari
87
22/11/2013 Panorama della Sanita
Copertura superiore al 96% per le vaccinazioni obbligatorie
88
22/11/2013 Professione Salute
IL BIOTECH IN ITALIA
89
SCENARIO SANITA' NAZIONALE
50 articoli
24/11/2013
Corriere della Sera - Roma
Pag. 2
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Regione Lazio
Anziani e sanità Accreditate 15 nuove strutture
R. Do.
Continua l'opera di riordino della sanità nel Lazio. Ieri la Regione Lazio con un decreto firmato dal
commissario straordinario alla Sanità e presidente Nicola Zingaretti ha chiuso l'iter di accreditamento
definitivo relativo a 15 nuove Rsa (Residenze sanitarie assistenziali), attivando cosi' 1.022 nuovi posti. Cinque
strutture sono dislocate a Roma. Una a Villa Clara nel territorio della Asl Roma D (Ostia -Portuense); una,
Villa Longoni nella Asl Roma B (Tiburtina-Nomentana), e tre nella Roma A che gestisce la sanità pubblica nel
centro della Capitale: Rsa Salus, Città Giardino e S.Chiara. Complessivamente dunque i posti attivati in città
sono 348.
Nel territorio le strutture accreditate sono sette, tre nell'area dei Castelli, (Rsa Pigneto, Sacro Cuore, Il Tetto),
due nell'area di Tivoli-Monterotondo (Fondazione Turati e Icillio Giorgio Mancini). Altre due Rsa invece
operano nell'area di Civitavecchia (RmF) e sono la S. Marinella e la Quinto Stella. Complessivamente i posti
attivati nelle tre aziende sanitarie della provincia di Roma sono 438. A Latina le Rsa accreditate sono tre: la
Domus Area, la Pontina e la San Michele hospital, in questo caso i posti sono 236.
«L'atto- spiega il commissario ad acta Nicola Zingaretti - risponde ad un fabbisogno estremo di assistenza per
gli anziani e mette 15 strutture in grado di lavorare con maggiore serenità. È importante che possano farlo
perché così si evita di scaricare questa domanda di assistenza sugli ospedali, o peggio, sulle famiglie già
vessate dalla crisi. Il provvedimento inoltre rappresenta un tassello essenziale di quella sanità territoriale che
stiamo iniziando a costruire nella nostra Regione. In pochi mesi, tra conferme e nuovi accreditamenti,
abbiamo messo in regola e attivato circa 2000 posti di Residenze sanitarie assistenziali».
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SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 25/11/2013
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24/11/2013
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 47
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Medicina
La «bibbia» aggiornata degli psichiatri
Danilo Di Diodoro
A pagina 52
Il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders , dell'American Psychiatric Association (APA), giunge
alla quinta edizione: è il DSM-5 che, come le precedenti edizioni, rappresenta uno dei sistemi di
classificazione dei disturbi mentali più usati sia per l'attività clinica, sia per la ricerca. Se ne parlerà al
Congresso della Società italiana di psichiatria, intitolato "Il DSM-5 e i suoi riflessi nella pratica psichiatrica
clinica in Italia: le principali revisioni e novità", a Firenze dal 29 al 30 novembre. L'arrivo del DSM-5 è
accompagnato da discussioni e punti di vista contrapposti, soprattutto per il timore di un allargamento dei
confini della patologia psichiatrica, con eccessiva medicalizzazione della società, contrazione degli spazi di
libera espressione di sé e un'indebita diffusione di trattamenti psicofarmacologici. Qualche esempio: con il
DSM-5 la perdita di una persona cara e il conseguente lutto potranno portare alla diagnosi di Depressione
maggiore ; oppure le piccole e finora normali dimenticanze che affliggono le persone un po' in là con gli anni
saranno catalogate come Disturbo neurocognitivo lieve . Ancora più preoccupante è la nuova diagnosi di
Disturbo di disregolazione dirompente dell'umore : in pratica gli scatti di rabbia ripetuti potranno essere
diagnosticati come disturbo mentale, e c'è preoccupazione per i bambini, ai quali potrebbero essere prescritti
psicofarmaci. Fenomeno già accaduto quando furono identificati il Disturbo da deficit di attenzione/iperattività
(ADHD) e il Disturbo bipolare infantile.
D'altro canto, in questa edizione del DSM si tenta anche per la prima volta di arrivare a un più solido
collegamento tra sintomi psichiatrici e alterazioni di funzionamento del cervello. «Si cerca di creare una
classificazione a partire dai sintomi e dalla loro caratterizzazione disfunzionale, per procedere poi
all'identificazione dei processi neurali, e anche dell'eventuale supporto di basi genetiche - dice Claudio
Mencacci, presidente della Società Italiana di Psichiatria -. Il DSM-5 cerca di compiere questo passo
fondamentale, confermando, laddove ci sono dati empirici affidabili, l'utilizzo dei gruppi di sintomi per costruire
le categorie diagnostiche. Infatti, purtroppo oggi non ci sono ancora test biologici - basati su geni, marcatori
nel sangue o immagini cerebrali - che aiutino a diagnosticare la malattia mentale. Così, la diagnosi è basata
su una descrizione, un processo per sua natura soggettivo. È per questa assenza di test diagnostici oggettivi
che in psichiatria, più che in altre discipline mediche, sono importanti l'esperienza, la competenza dei clinici e
la disponibilità di sistemi diagnostici come il DSM-5 o l' ICD-11, previsto per il 2015». La spinosa questione
del limite tra il comportamento normale e quello patologico è di ampia importanza sociale. Secondo una stima
circa il 38% degli europei soffre di qualche disturbo psichico nel corso della vita e l'OMS prevede che nel
2020 i disturbi psichiatrici maggiori avranno un ruolo importantissimo nel generare disabilità e suicidi. «I
disturbi mentali sono una delle più ardue sfide da affrontare nel XXI secolo, - conclude Mencacci - ancora più
impegnative alle luce della crisi e della conseguente riduzione di servizi. Anche per questo la psichiatria si sta
muovendo sempre più nell'area della prevenzione, e quindi del riconoscimento precoce dei disturbi psichici,
che nel 75% dei casi compaiono entro i 25 anni di età».
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L'allarme
Nel XXI secolo aumenterà il disagio psichico in tutto il mondo
Il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari (OPG) è doveroso.
La loro chiusura deve essere graduale per sostituirne la funzione. L'aumento dell'assistenza psichiatrica nei
dipartimenti di salute mentale fuori e dentro
le carceri è però necessaria. Senza tale garanzia la chiusura degli OPG rischia
di creare uno stato di allarme sociale che rinforzerebbe il pregiudizio verso
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Corriere della Sera - Ed. nazionale
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la malattia mentale. Claudio Mencacci , presidente Società italiana di psichiatria
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 25/11/2013
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24/11/2013
Corriere della Sera - Ed. nazionale
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L'eccesso di diagnosi e di trattamenti è una tendenza da arginare
ROBERTO SATOLLI
Per un semplice mal di schiena non c'è motivo di fare radiografie e ancor meno TAC o risonanze magnetiche.
Una frase di buon senso, che potremmo sentirci dire dal medico di famiglia, ma fa un altro effetto se è
proposta da una società scientifica o professionale,
che se ne assume la responsabilità. È questa la posta in gioco della campagna «Fare di più non significa fare
meglio» (versione italiana dell'americana Choosing wisely ) che alla fine di novembre, al congresso di Slow
Medicine a Torino, raccoglierà i primi elenchi di test e interventi che nella pratica comune non si dovrebbero
fare, ma invece si fanno comunemente. Dati i tempi, il sospetto è che si voglia risparmiare: in fondo un esame
in più al massimo sarà inutile, ma non può far male. Invece nei Paesi ricchi l'inflazione delle cure è tale che
tutti corriamo il rischio di essere "sovradiagnosticati" e "sovratrattati" per malattie che, lasciate a sé, non ci
avrebbero mai dato alcun disturbo. Diventiamo malati,
con tutto quel che segue di negativo, per colpa della medicina.
Il guaio è che trovare
il punto in cui fermarsi
è diventato difficilissimo
e richiede ai medici molto più impegno e competenza che andare avanti col paraocchi: per questo oggi si dice
che «Less is more», cioè « fare di meno significa fare di più».
Questo «di più» non può essere lasciato ai singoli pazienti col loro dottore, occorre uno sforzo comune
di tutta la comunità scientifica e clinica e di tutte
le rappresentanze dei cittadini e dei malati.
La medicina tecnologica e industriale è una bellissima macchina da corsa cui ci si è dimenticati di progettare i
freni. Se non ci vogliamo schiantare, è urgente provvedere. È un'ottima notizia che anche in Italia si faccia un
primo passo in questa direzione, con gli Ordini dei medici e degli infermieri, e alcune delle maggiori società
scientifiche - come quelle dei cardiologi, dei radiologi e dei diabetologi - pronti a indicare ciascuno nel proprio
ambito le cinque pratiche comuni che si devono smettere, perché sono inutili e dannose.
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Fare meno per Fare di Più
24/11/2013
Corriere della Sera - Ed. nazionale
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In teoria dovremmo poter ricevere i consigli o la visita di un medico 24 ore su 24 e 7 giorni su 7. Nella realtà
rischiamo di perderci in una giungla di servizi mal coordinati
Servizio di Ruggiero Corcella alle pagine 48-50
Si fa presto a dire: chiamo la Guardia medica, il servizio a cui dovremmo rivolgerci in caso di bisogno quando
il nostro medico di famiglia è «a riposo». Sapete quanti sono in Italia i numeri di telefono della Guardia
medica? Spulciando sui siti delle varie Asl, Ausl, Ulss, Asp o Asur, insomma una delle tante sigle delle
organizzazioni territoriali della nostra sanità, ne abbiamo contati 2.340.
E abbiamo scoperto che la fantasia degli amministratori galoppa: numeri telefonici «normali»; il 118; numeri
verdi gratuiti (pochi) o a pagamento (a grande maggioranza). La Asl Milano 2 (Melegnano) sul suo sito ne
mette a disposizione addirittura uno (così sta scritto) «semi-verde»: 848 800 804. Non si capisce se la scelta
sia un omaggio alle sfumature pittoriche o una sorta di pudore semantico per non dire in modo esplicito che è
a pagamento.
Ma le «chicche» non sono finite. In Alto Adige sono i medici di Medicina generale a fornire il servizio di
continuità assistenziale e quindi bisogna sapere chi è di turno. Le aziende sanitarie di Jesi (Marche) e
Siracusa (Sicilia) hanno per la Guardia medica la quantità maggiore di numeri fissi e di cellulari: 21 e 21 la
prima, 26 e 24 la seconda. Le otto Asl di Roma rispondono, invece, a un numero unico, così come tutte
quelle della provincia di Arezzo. Mentre Messina e provincia di numeri ne contano 104. In Liguria, nel gennaio
del 2007 è stato firmato un accordo con la Guardia medica che prevedeva un numero unico regionale.
In realtà, le Asl Imperiese e Savonese hanno due numeri (verdi) gratuiti, la Asl Genovese otto, la Chiavarese
due e la Spezzina quattro. Varese, Como, Lecco, Bergamo e Monza Brianza sono le uniche Province e Asl
italiane in regola con il numero unico europeo di emergenza 112 (a Milano la copertura sarà completa dal 3
dicembre), ma hanno ancora oltre 70 numeri diversi per la Guardia medica.
Grazie a Internet, almeno la ricerca dei numeri della Guardia medica dovrebbe essere una passeggiata. E
invece i portali delle Asl si trasformano in un dedalo di «percorsi» , di cui spesso, non solo non si trova
l'uscita, ma neppure l'ingresso. Abbiamo verificato anche questo: pochi, in proporzione, i siti che riportano in
home page il numero in modo chiaro e bene in evidenza. Solo la Sardegna ha un portale identico e lo stesso
percorso (home page , servizi al cittadino, guardia medica) per tutte e otto le Asl.
Forse la semplificazione del servizio di Guardia medica potrebbe partire proprio da qui. Ma in realtà è tutto il
sistema attuale della cosiddetta «continuità delle cure», di cui la Guardia medica è solo uno (anche se
importante) degli elementi, ad aver bisogno di un po' di ordine, per una maggiore efficacia. Proprio in
quest'ottica la Medicina di famiglia si appresta a vivere una vera e propria rivoluzione.
La riforma impostata l'anno scorso dal Decreto Balduzzi è ormai all'ultimo miglio, come dice Giacomo Milillo,
segretario della Fimmg (Federazione italiana dei medici di Medicina generale), e porterà a una
«rifondazione» della Medicina generale: più lavoro in équipe per i medici di famiglia e più integrazione con
l'ospedale.
Il territorio offrirà, oltre al singolo medico di famiglia, gruppi di medici di Medicina generale organizzati in
aggregazioni funzionali territoriali (Aft) o in unità complesse di cure primarie (Uccp). I medici di famiglia e
quelli di Guardia medica, inseriti in un «ruolo unico», dovranno garantire una copertura assistenziale
giornaliera 24 ore su 24, per 7 giorni su 7, e favorire una continuità assistenziale effettiva.
Insomma, ai cittadini non dovrebbe più capitare, come invece oggi accade, di restare senza un punto di
riferimento quando il proprio medico di famiglia ha terminato il servizio e non sono ancora scattate le fatidiche
ore 20 in cui ci si può rivolgere ai medici della continuità assistenziale (ex Guardia medica, appunto; vedi
grafico), quando ovviamente non si tratta di un'emergenza per la quale chiamare il 118.
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 25/11/2013
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Chi chiamo quando non sto bene?
24/11/2013
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 47
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SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 25/11/2013
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Ora bisognerà capire quale sarà il nuovo modello organizzativo della Guardia medica. Sì, perché c'è chi
vorrebbe i medici della continuità assistenziale integrati nella rete del 118 e chi invece a presidiare il territorio
nelle nuove aggregazioni dei medici di famiglia. «Il problema è che in Conferenza Stato-Regioni si
confrontano Regioni che non hanno un modello omogeneo - spiega Silvestro Scotti, responsabile nazionale
dell'area Continuità assistenziale della Fimmg -. Di fatto non sembra esistere l'interesse per un modello
nazionale che possa essere distribuito omogeneamente su tutto il territorio. Alcune Regioni in questo
momento sono in forte sofferenza rispetto al modello territoriale o sono ben organizzate sul sistema
emergenza, e quindi chiedono di rafforzare il servizio territoriale, con l'abbinamento medici di famiglia e di
Guardia. Altre invece stanno perdendo operatori nel sistema dell'emergenza, e chiedono perciò di poterlo
rafforzare con le risorse umane della Guardia medica». L'ultimo accordo siglato il 27 luglio 2011 in
Conferenza Stato-Regioni prevede addirittura tre modelli diversi: una centrale integrata di 118 e Guardia
medica; una centrale di Guardia medica autonoma collegata con il 118; un call center di secondo livello,
gestito da operatori non sanitari che faccia da filtro sia al 118 che alla Guardia medica, smistando poi le
telefonate a seconda che siano di competenza dell'uno o dell'altra.
Un modo come un altro di prendere atto della situazione frammentata esistente. Su un punto solo l'accordo
del 2011 è netto: la centralizzazione delle chiamate alla Guardia medica su un numero unico regionale, come
già accade per il 118, «anche tenendo conto che sono in atto iniziative per la realizzazione del numero unico
116-117 (servizio di Guardia medica non urgente) finalizzate ad armonizzare la situazione italiana con quella
di altri Paesi europei».
E qui arriviamo a un altro paradosso: con una deliberazione del 30 novembre 2009, la Commissione europea
ha istituito appunto il numero 116-117 con l'obiettivo dichiarato di «indirizzare il chiamante a un servizio di
assistenza medica in situazioni critiche ma non di emergenza, in particolare al di fuori delle ore di lavoro, nei
fine settimana e nei giorni festivi... soprattutto se la persona cui si rivolge normalmente il chiamante non è
disponibile».
La Commissione demandava poi agli Stati membri di garantire che le rispettive autorità di regolazione in
materia di telecomunicazioni assegnassero quel numero per poi renderlo operativo. Finora, il numero è attivo
solo in Germania (dove dal 2012 è stato utilizzato da più di 3 milioni di cittadini) e Austria, mentre è stato
assegnato anche in Belgio, Estonia e Svezia.
L'elenco non è aggiornato, perché in Italia l'Autorità per il garante delle comunicazioni (Agcom) ha provveduto
all'assegnazione il 18 luglio scorso. Il numero 116-117 sarà gratuito per chi chiama. Da quanto ci risulta, al
momento non lo ha attivato nessuno. Dove si è arenato?
«Le aziende sanitarie devono adeguare i loro centralini - risponde Scotti -, ovviamente su sollecitazione delle
Regioni. Se però resta la convinzione che la cosa più semplice sia portare il servizio di Guardia medica
all'interno delle centrali operative 118, in maniera inappropriata sia per il medico sia per il cittadino che
richiede assistenza, allora è chiaro che il 116-117 non decollerà mai».
Intanto, in Italia sono pochissimi a conoscere il 116-117: appena un 20%, secondo l'ultima indagine a
campione di Eurobarometro (maggio 2012). In compenso l'89-93% degli intervistati ritiene il nuovo numero
molto o abbastanza utile. Un'indicazione che dovrebbe spingere Regioni e Asl ad affrettarsi nelle scelte,
facilitando così la vita dei cittadini.
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A
24/11/2013
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 49
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Aggregazioni e Case della salute Ad Arezzo è già arrivato il futuro
Con il progetto «nuvola informatica» i dati dei malati sono tutti in Rete
Se volete un'anteprima della futura medicina di famiglia, fate un salto ad Arezzo.
«Siamo forse l'unica azienda sanitaria con le aggregazioni funzionali territoriali (Aft)operative su tutto il
territorio - spiega il direttore generale, Enrico Desideri - . Sono partite un anno fa esatto. Sono 13, ognuna
formata in media da venti medici e circa 20-25 mila pazienti. Abbiamo anche già avviato sette Case della
salute e stiamo per portarle a 13. Dove c'è questo presidio pubblico autorevole, aperto 10-12 ore al giorno, la
continuità delle cure si fa sentire. L'afflusso al Pronto soccorso si riduce». A marzo, inoltre, è entrato in
funzione il nuovo numero unico della continuità assistenziale (gestito da operatori non sanitari), che ha
ricevuto finora oltre 37 mila chiamate.
Di queste, l'85% ha ottenuto una risposta: nel 73% dei casi immediata (entro 15 secondi) e nel 27% con
un'attesa media di 73 secondi. Per chiudere il cerchio, a luglio l'azienda sanitaria toscana ha firmato un
accordo con i sindacati Fimmg , Snami e Smi grazie al quale anche i medici della continuità assistenziale
sono entrati a fare parte delle aggregazioni funzionali. Ad agosto,poi, un altro accordo con NetMedica Italia (il
portale della "nuvola informatica" creato da Fimmg)sta mettendo in rete medici della continuità e medici di
famiglia, per condividere i dati assistenziali dei loro pazienti.
«La "nuvola" è già operativa tra un centinaio di medici sperimentatori, - dice Alessandro Dalle Vedove, di
NetMedica - ma puntiamo a collegarne altri 300 entro fine anno ,con la possibilità di superare i 1.000 già a
inizio 2014». La nuvola consente il dialogo con qualsiasi programma utilizzato dai medici, superando così la
barriera finora insormontabile costituita dagli oltre 50 software di cartella sanitaria diversi esistenti in Italia.
Non basta. Con il supporto di Federsanità, la "nuvola" consentirà anche lo scambio di dati con gli specialisti
ospedalieri per la gestione integrata delle patologie croniche. In particolare, diabete mellito di tipo 2,
scompenso cardiaco, broncopneumopatia cronico ostruttiva e ictus cerebrale.
L'informatica a supporto della guardia medica sarà invece l'oggetto di una sperimentazione approvata dalla
Regione Veneto, la prima del genere in Italia, che partirà a gennaio tra i 58 medici del servizio di continuità
assistenziale di Verona. «Si tratta di un progetto di "triage" telefonico - racconta Alberto Vaona, segretario
provinciale Fimmg Settore continuità assistenziale di Verona -. Il programma informatico ha 457 "scenari
clinici", ai quali il medico accede riferendosi al distretto corporeo interessato oppure semplicemente digitando
un sintomo. Ad esempio, chiama la mamma di un bambino che vomita: il medico digita "vomito" e gli appare
lo scenario clinico con una serie di domande da fare alla mamma». Per ciascuna domanda, sono possibili più
risposte; la loro combinazione consente al software di assegnare un livello di urgenza. «L'ipotesi del nostro
studio è che l'utilizzo di questo strumento aumenti la quantità di domande indispensabili che il medico va a
porre per ciascuno scenario clinico», dice Vaona.
Spesso infatti i medici non fanno tutte le domande necessarie, perché se ne dimenticano oppure perché
agiscono sotto pressione. «Dai dati preliminari che abbiamo, risulta che la qualità del triage telefonico è molto
migliorabile - aggiunge Vaona -. I dati dell'Usl 20 di Verona, non pubblicati, dicono che i medici generalmente
pongono al telefono circa un terzo delle domande che dovrebbero porre» .
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SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 25/11/2013
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
L'esperienza Una nuova organizzazione, che dà già risultati più che positivi
24/11/2013
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 50
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Come funziona la continuità delle cure nel resto d'Europa
Il modellobritannico prevede il ricorsoa un fornitore di servizi privato In Belgio i gruppi di medici di base hanno
un autista per raggiungere i pazienti a casa
Ruggiero Corcella
«A llora: quanti colleghi della continuità assistenziale sono presenti? Su, coraggio alzate la mano. State
facendo un ottimo lavoro e la gente spesso se lo dimentica».
E' un invito a tirare fuori l'orgoglio, quello che John O'Malley, un massiccio e barbuto medico gallese, lancia
alla platea del workshop su «Ruolo unico e continuità dell'assistenza, dalle esperienze europee a un modello
per l'Italia» organizzato nell'ambito del recente congresso generale della Fimmg da Alberto Vaona e
Alessandro Dabbene, rispettivamente segretario provinciale Fimmg Settore continuità assistenziale a Verona
e segretario regionale Fimmg Piemonte per lo stesso settore.
O'Malley dirige «Mastercall Healthcare», una cooperativa di medici di medicina generale che offre nell'ambito
del Sistema sanitario inglese l'assistenza «Out Of Hours» (letteralmente «fuori orario», come viene designato
in inglese il servizio di Guardia medica) a Stockport, un'area di 650 mila abitanti vicino a Manchester.
In Europa, ci sono diversi modelli di servizi di continuità assistenziale (vedi grafico ) che variano dal singolo
medico a gruppi di medici di famiglia in turno a rotazione, a centri medici dedicati, a cooperative di medici di
medicina generale di grandi dimensioni. La maggior parte dei modelli sono costituti da un misto di approcci e
alcuni Paesi europei adottano fino a nove diversi modelli organizzativi. Come l'Italia, molti altri Paesi hanno
modificato o sono in procinto di modificare questi servizi. Le ragioni di questo cambiamento, come sottolinea
il Position Paper (documento programmatico) di EurOOHnet, la Rete di ricerca europea per la continuità
assistenziale nelle cure primarie nata nel 2009 tra 11 Paesi (Belgio, Danimarca, Germania, Italia, Paesi
Bassi, Norvegia, Polonia, Spagna, Slovenia, Svizzera e Regno Unito), sono la scarsa disponibilità dei medici
di famiglia a lavorare a turno, fuori orario, il crescente carico di lavoro a causa delle molte richieste di
intervento, una parte crescente di personale che lavora part-time, il crescente numero di donne tra i medici di
famiglia e, in alcuni Paesi, la scarsità di dottori soprattutto nelle zone extraurbane.
«Il modello inglese è quello da non imitare: - sottolineano Vaona e Dabbene - un modello di libero mercato
totale. L'anno scorso il primo fornitore di continuità assistenziale in Inghilterra ha acquistato il secondo per 48
milioni di sterline . Quindi stiamo assistendo a processi di concentrazione tipici di settori produttivi industriali e
questo è un po' scioccante. Ma non è detto che questi provider non sbarchino anche sul continente e vadano
poi a proporre dei servizi che sistemi sanitari allo sbando per motivi di sostenibilità potrebbero poi decidere di
acquistare ».
Il modello belga di cui ha parlato Hilde Philips, medico di medicina generale del Department of Primary and
Interdisciplinary Care dell'Università di Anversa è invece in fase di sviluppo. «Soprattutto nelle Fiandre, la
zona francofona del Paese - fa presente la ricercatrice - il 30% dei medici ha già fatto proprio il modello delle
aggregazioni. I pro del nuovo sistema sono molto chiari: meno ore di servizio da gestire; un supporto
amministrativo, perché abbiamo verificato che il medico passa al telefono da una a 2 ore. Auto e autista per
le visite a domicilio risolvono il problema della sicurezza e anche del problema di trovare parcheggio nelle
zone urbane. Adesso abbiamo anche la registrazione dei dati nel corso della chiamata e una maggiore
visibilità: i pazienti non vanno direttamente al primo Pronto soccorso, ma si rivolgono alla cooperativa». Il
modello tedesco spiegato da Rudiger Leutgeb, medico di famiglia e ricercatore del Department of General
Practice and Health Services Research dell'Università di Heidelberg è una via di mezzo: i medici di medicina
generale convenzionati con le assicurazioni garantiscono a rotazione la copertura. «Confrontando l'Italia con
gli altri Paesi, balza all'occhio che assieme alla Danimarca siamo l'unico a fornire un servizio medico diretto sottolineano Vaona e Dabbene -. Da noi consideriamo la continuità assistenziale come un servizio un po'
negletto, in realtà siamo uno dei pochi Paesi europei dove, quando si chiama, risponde un medico. In tutti gli
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 25/11/2013
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Confronto Poca unità anche in questo campo
24/11/2013
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 50
(diffusione:619980, tiratura:779916)
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altri risponde un infermiere ed eventualmente solo in seconda battuta un medico». Chissà che non possa
diventare un modello esportabile.
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24/11/2013
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 51
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Stress, anemia, morbo celiaco possono causare le piccole ulcere
Ma molto spesso è difficile risalire al vero «colpevole» di queste lesioni, talora molto fastidiose e dolorose
ANTONELLA SPARVOLI
Le afte sono piccole ulcere della bocca. Possono essere fastidiose e dolorose, specie se multiple e ricorrenti.
Compaiono a tutte le età, con una predilezione per le donne e tra i 10 e i 20 anni. «Le cause delle afte non
sono del tutto chiare, ma si pensa che alla base della loro formazione ci sia un meccanismo immunologico spiega Michele Giuliani, professore aggregato di Patologia e medicina orale all'Università Cattolica di Roma-.
Quel che è ormai chiaro è che possono essere scatenate da molti fattori, fra cui stress, traumatismi (anche da
apparecchi ortodontici), carenze nutrizionali, malattie intestinali infiammatorie (come morbo di Crohn e colite
ulcerosa), allergie e intolleranze alimentari (come la celiachia). C'è anche una componente ereditaria».
Come si riconoscono da altre lesioni della bocca?
«Sono piccole ulcere dolenti e spesso recidivanti,
di forma ovale o rotonda, con margini rilevati circondati da un alone arrossato e con una parte centrale poco
profonda di colore biancastro. In media un'afta impiega circa una settimana a regredire e anche questo aiuta
a distinguerla da altre lesioni orali potenzialmente pericolose, come il carcinoma orale, che può talvolta
manifestarsi inizialmente come una piccola ulcera. Quando un'ulcera rimane nello stesso punto per
più di un paio di settimane, va sempre fatta controllare da uno specialista».
Quali sono le possibili cure?
«Se l'afta è unica e occasionale si può utilizzare uno
dei tanti prodotti da banco disponibili, che riducono
il bruciore e favoriscono una più rapida guarigione.
I principi attivi utilizzati a questo scopo comprendono anestetici, cortisone a basse dosi, estratti di alcune
piante e altre sostanze. Se le afte sono più numerose o molto dolorose e tendono a ripresentarsi
periodicamente, oppure se sono di grandi dimensioni e presenti da tempo, è meglio consultare il dentista o il
medico di famiglia e magari fare qualche accertamento. Una volta stabilita la causa, per esempio un'anemia
da carenza di ferro o la malattia celiaca, bisogna intervenire su quella e vedere se il problema si risolve o
comunque si attenua. Talvolta, purtroppo, non si riesce a risalire al "colpevole" e allora bisogna adottare un
approccio più aggressivo ricorrendo eventualmente, sotto stretto controllo medico, per esempio al cortisone.
Alcuni dati suggerirebbero, inoltre, l'efficacia di un trattamento con particolari antibiotici (le tetracicline), ma si
tratta ancora di osservazioni controverse».
Qualche consiglio?
«In fase acuta meglio limitare gli alcolici ed eliminare le sigarette, che possono aumentare l'infiammazione a
livello del cavo orale. Utile anche non mangiare cibi troppo acidi o piccanti, troppo caldi o troppo freddi. Sul
piano della prevenzione non si può fare molto, ma una dieta equilibrata ricca di frutta e verdura aiuta, così
come avere una buona igiene orale. Infine, se si deve indossare un apparecchio per i denti, fare in modo che
non sia traumatizzante per le mucose».
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Foto: Professore aggregato
di Patologia orale, Università Cattolica di Roma
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Mi spieghi dottore Per quali ragioni vengono le afte in bocca? Lo specialista
24/11/2013
Corriere della Sera - Ed. nazionale
Pag. 53
(diffusione:619980, tiratura:779916)
Test per ottenere diagnosi precoci
Gli esiti delle cure sono nettamente più favorevoli se la malattia è individuata presto
M . F.
Le malattie tumorali che interessano la regione posteriore del fegato sono quasi sempre sarcomi o tumori
della ghiandola surrenale. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, i tumori che colpiscono quest'organo
nascono dalle sue stesse componenti cellulari: gli epatociti. Secondo l'ultimo rapporto dell'Associazione
italiana registri tumori, l'epatocarcinoma colpisce ogni anno oltre 13 mila italiani, con una frequenza che è
doppia negli uomini rispetto alle donne, e nei maschi rientra tra le prime cinque cause di morte per tumore.
Dagli anni Novanta, l'incidenza è in lieve crescita a causa principalmente dell'aumento della diffusione del
virus dell'epatite C che, insieme a quello dell'epatite B, è responsabile della maggior parte dei casi (gli altri
fattori di rischio sono l'abuso di alcol, la cirrosi e l'obesità, specie se accompagnata da diabete). Le probabilità
di sopravvivenza a cinque anni sono inferiori rispetto a quelle riscontrate per tumori che colpiscono altri
distretti, tuttavia sono nettamente più favorevoli se la malattia è individuata presto. Inoltre, anche il dato
complessivo sta migliorando, grazie a nuovi farmaci che in anni recenti si sono affiancati alle altre terapie già
in uso. Attualmente, comunque, il trapianto è la soluzione più efficace, in grado di guarire l'80% dei pazienti
che vi si sottopongono. In Italia il 40% dei circa mille trapianti di fegato che si eseguono annualmente ha
come indicazione il tumore; tuttavia, soltanto una parte dei pazienti può essere trattata in questo modo.
La ricerca di nuove terapie prosegue soprattutto a livello molecolare, con l'individuazione di possibili bersagli
per i farmaci, ma segue anche altre strade. Per esempio, ancora molto sperimentale ma dai risultati
incoraggianti, è il tentativo condotto dall'azienda californiana Jennerex Biotherapeutics, che ha modificato il
virus JX-594, rendendolo in grado di distruggere selettivamente le cellule tumorali del fegato. Gli ultimi
risultati, pubblicati a febbraio su Nature Medicine , mostrano un aumento della sopravvivenza nei pazienti ai
quali erano state somministrate alte dosi del virus. Infine, a ottobre un gruppo di ricercatori dell'Università di
San Diego e dell'Università di Tokyo ha per la prima volta individuato e caratterizzato le cellule progenitrici
dell'epatocarcinoma, isolandole da lesioni del tessuto che non avevano ancora le caratteristiche del tumore.
La ricerca, pubblicata sulla rivista Cell e condotta su topi, ha quindi permesso di cogliere il tumore sul nascere
e, secondo i suoi autori, potrebbe portare all'individuazione di test più efficaci per la diagnosi precoce, o di
farmaci che riescano ad arrestare precocemente il processo che porta alla malattia.
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Fegato\2 Obiettivi di ricerca
23/11/2013
Il Sole 24 Ore
Pag. 4
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Spesa per farmaci migliore al Nord
Paolo Del Bufalo
I risultati migliori come prezzi ottenuti per l'acquisto di farmaci ospedalieri sono in Veneto, Piemonte e
Abruzzo. Quelli peggiori in Puglia, Lazio e Campania. Dimostrando ancora una volta la diversità tra le Regioni
per le forniture di prodotti sanitari analoghi. E con il risultato di ottenere indicatori calcolati in base a un prezzo
medio quasi doppi per gli stessi farmaci in Puglia rispetto a quelli del Piemonte. Le Regioni del Sud (Abruzzo
a parte) vanno peggio delle altre e tra queste ad andare ancora peggio sono le Regioni con piani di rientro dal
deficit sanitario.
La classifica delle performance nell'acquisto di farmaci ospedalieri (senza brevetto: per quelli con brevetto
non ci sono praticamente differenze di prezzo) è dell'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori,
servizi e forniture, il cui Osservatorio ha elaborato un'analisi territoriale comparativa. Che però - specificano le
premesse dello studio - non vuole dare un giudizio sui risultati ottenuti nelle singole stazioni appaltanti obiettivo che richiederebbe l'impiego di ulteriori elementi di valutazione quali ad esempio i consumi annui e il
numero di pazienti - ma più semplicemente fornire una quadro di sintesi dei risultati ottenuti a livello regionale
per capacità di ottenere un prezzo di aggiudicazione relativamente vantaggioso.
Un'analisi che arriva proprio nel momento in cui costi standard e benchamrk tra Regioni tengono banco nel
dibattito per il nuovo Patto sulla salute e per l'assegnazione del fondo sanitario 2013 ma, soprattutto, 2014.
I risultati rilevati per le singole amministrazioni (Asl, aziende ospedaliere, società ed enti regionali ad hoc)
sono stati poi associati alle rispettive Regioni tenendo conto della loro rappresentatività nell'ambito regionale
e da qui nasce la classifica generale.
Oltre ai risultati rispetto all'indice sui prezzi poi, incrociando i dati anche con il peso delle singole aziende
incaricate degli acquisiti, è la stessa Authority a tirare le conclusioni sulle perfomance regionali.
Le peggiori performance l'Osservatorio le indica in Puglia, Lazio e Umbria. Anche i risultati della Campania
non «appaiono confortanti», scrive l'Authority. A seguire si collocano nell'ordine Basilicata, Sicilia, Calabria e
Sardegna. Le migliori performance sono, come per i prezzi, in Veneto, Piemonte e Abruzzo.
Nel centro classifica l'osservatorio identifica un gruppo di sei Regioni (oltre alla Provincia autonoma di
Bolzano) che suddivide in tre coppie: Friuli e Toscana che tendono verso i risultati migliori, Valle d'Aosta ed
Emilia Romagna nel centro e Liguria e Lombardia che pur non avendo performance del tutto negative sono
alla soglia del gruppo delle Regioni bocciate.
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SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 25/11/2013
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Sanità. Virtuosi Veneto, Piemonte e Abruzzo
24/11/2013
Il Sole 24 Ore - Nova
Pag. 11
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Avanzano le neo-aziende del welfare
Alessia Maccaferri
Alessia Maccaferri | pag. 13 È la Cenerentola delle startup. Ma con la crisi dello Stato sociale e l'emergere di
bisogni crescenti, il welfare è destinato a essere un terreno di investimento interessante. Già ora, secondo i
dati della Camera di Commercio, le startup innovative iscritte al Registro - attive nella sanità, assistenza,
cultura, istruzione, ricerca e sviluppo - sono circa il 20% del totale. Numeri ancora piccoli, in termini assoluti,
ma destinati a crescere.
Uno dei comparti in espansione è la sanità low prize, come dimostra il successo del Centro Medico
Santagostino a Milano che ha appena ampliato le strutture con una nuova sede. Il primo ambulatorio, che nel
2009 aveva 4.633 pazienti, quest'anno ne ha 37.264. L'idea è offrire servizi di qualità a prezzi calmierati, nella
consapevolezza che il privato tradizionale ha tariffe alte per le fasce di reddito intermedie, che non trovano
comunque una risposta di qualità nel Servizio sanitario nazionale. Il Centro è finanziato dal venture capital
sociale: Luciano Balbo (ex azionista di B&S private equity) ha creato un fondo da 10 milioni di euro grazie a
investitori privati e aziende. Che si aspettano di vedere restituito il denaro con un interesse minimo ma con un
massimo ritorno sociale. I 10 milioni di euro hanno finanziato anche startup del microcredito e dell'housing
sociale. Ora si sta ragionando sulla creazione di un secondo fondo.
Avanzano anche nuovi soggetti, come Medici in Famiglia, iscritta al Registro delle startup innovative della
Camera di Commercio di Milano. È strutturata come un poliambulatorio di medicina e psicologia che fornisce
prestazioni sanitarie specialistiche. I medici sono coinvolti anche attraverso i loro studi sul territorio e le tariffe
sono calmierate. Partiranno a febbraio dell'anno prossimo e puntano ai 5mila pazienti l'anno. Forte delle
risorse del filantropo Paolo Colonna (Permira), la startup punta alla sostenibilità economica e al
reinvestimento degli utili.
«Lo stato sta coscientemente abbandonando spazi nella copertura di bisogno di protezione sociale come la
sanità, i servizi socio-assistenziali, la prevenzione - spiega Paolo Venturi, direttore di Aiccon -. Non solo. Il
sistema dei ticket, per certe fasce di reddito, è conveniente quanto la sanità privata, ma con tempi di attesa
ben diversi».
In ambito sanitario e nei servizi socio-assistenziali, a fronte di 246.760 imprese for profit, ci sono 36mila
istituzioni non profit. Il divario si accentua nel settore sanitario con 239mila for profit e 10mila non profit,
secondo Istat. «Si tratta di capire se vogliamo un mercato dei servizi sociali affidato a privati o al non profit»
aggiunge Venturi. Le cooperative hanno colto la sfida con modelli ibridi, che consentono una maggiore
capacità economica. Per esempio, Forlì Welfare è una spa impresa sociale che garantisce prestazioni
specialistiche e nasce dall'alleanza tra coop, Cna, Chiesa avventista e Acli.
Una delle realtà in cui è cresciuta di più l'ibridazione, con la nascita di nuovi soggetti è il consorzio Cgm.
Welfare Italia ha portato in tutto il paese una sorta di franchising della salute che segue il paziente dalla
nascita all'invecchiamento. «Il passaggio fondamentale di queste forme ibride è dal rapporto con l'utente al
rapporto con il cliente - aggiunge Venturi - E spesso queste questi ibridi hanno un'alta propensione
all'investimento».
Un settore emergente è il welfare culturale. «Ciò che fa la differenza in un'ottica di welfare è il coinvolgimento
delle persone nella produzione culturale» spiega Andrea Veronelli, che con gli altri soci iscriverà la
cooperativa Industria Scenica al registro delle startup innovative. Così tra Pioltello e Brescia est le comunità
locali hanno partecipato a un progetto su un tema caratterizzante come la street art. «Al termine
dell'esperienza le persone hanno percepito i propri territori come luoghi di bellezza e di talento» conclude
Veronelli. Attiene a comunità specifiche anche il settore del welfare aziendale. Basta pensare che negli ultimi
anni le 87 imprese che fanno parte di Valore D hanno creato 3mila posti per asili nido (aziendali o
convenzionati), dandoli in gestione a nuove società esterne come Happy Child.
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 25/11/2013
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imprese
24/11/2013
Il Sole 24 Ore - Nova
Pag. 11
(diffusione:334076, tiratura:405061)
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 25/11/2013
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Con le nuove aziende del welfare cresce tutta la filiera. Quest'anno il concorso «Il più bel lavoro del mondo»
punta ad attrarre aspiranti imprenditori con progetti di nuove imprese nell'ambito del welfare e dei servizi alla
famiglia. «È il tema cruciale di oggi - spiega Andrea Rapaccini, segretario generale di Make a Change - Lo
Stato non ha più risorse né capacità progettuali. Mentre i privati possono farsi avanti in un sistema di regole
che scongiuri rischi speculativi». Quest'anno il concorso è in partnership con Reale Mutua. E Axa in Italia e
Swiss Re Foundation, insieme a Impact Hub Milano, lanciano Impact Hub Fellowship for Longer Lives,
programma internazionale di incubazione per startup che rispondano alle sfide poste dall'incremento delle
aspettative di vita e dall'invecchiamento demografico.
[email protected] Ilpeso del welfare sullenuoveimprese Il numero di start-up innovative
del welfare iscritte al registro e incidenza sul totale Forme d'impresa per comparto del welfare, ripartizione
percentuale 0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 2010 Società 2007 di persone 2010 Cooperativa 2007 2010
Società 2007 di capitali Assistenza sanitaria Assistenza sociale residenziale e non Istruzione Ricerca
scientifica e tecnica Attività artistiche, sportive, intratt. e divertimenti Attività editoriali, produzione
cinematografica ect. TOTALE 1.344 Ricerca scientifica e sviluppo 243 Attività 32 editoriale 10 Istruzione
Start-up welfare 20% Altre start-up 80% Assistenza sociale 1 non residenziale Attività creative, 2 artistiche e
intratt. Assistenza 2 sanitaria Attività di produzione 2 cinematografica Attività di programmazione 2 e
trasmissione le tendenze del comparto Fonte: Camera di Commercio e elaborazione Istat Sono le startup
innovative, a livello nazionale, iscritte all'apposito Registro dellaCamera diCommercio. Il registro è stato
istituito dal decreto Sviluppo bis
Foto: le tendenze del comparto Il peso del welfare sulle nuove imprese
25/11/2013
Il Sole 24 Ore
Pag. 41
(diffusione:334076, tiratura:405061)
Errore sanitario, prova rafforzata a carico dei medici
LA RIPARTIZIONE Il professionista è tenuto a dimostrare di aver agito correttamente rispettando al
contempo gli obblighi di informativa
Selene Pascasi
Doppia prova a carico del medico accusato di inadempimento: deve dimostrare sia di avere assolto in modo
esatto l'obbligazione sanitaria, sia di avere osservato i doveri informativi. Il paziente, infatti, deve solo provare
l'esistenza del contratto e allegare un inadempimento qualificato, idoneo a produrre l'evento dannoso. Lo
sottolinea la Cassazione con la sentenza 24109 del 2013.
Ad aprire la questione, la citazione in giudizio promossa da una coppia, nei confronti di un istituto di ricovero
dove la donna aveva partorito, con taglio cesareo, il suo terzo bambino. In quell'occasione i sanitari le
consigliano di procedere alla sterilizzazione chirurgica per evitare altre e indesiderate gravidanze. La signora
si sottopone all'intervento ma, a distanza di qualche mese, resta nuovamente incinta di due gemelli, dato che,
dopo l'intervento, non ha adottato alcuna precauzione. Di qui l'azione per responsabilità medica, visto il
disagio, anche economico, dovuto alla crescita della famiglia e alla decisione della donna, divenuta
necessaria, di lasciare il lavoro.
La domanda viene respinta dai giudici di merito e la coppia fa quindi ricorso per Cassazione. I giudici di
appello - si legge nel ricorso - hanno bocciato la pretesa ritenendo che la donna non abbia provato il
contenuto dell'obbligazione. Ma in realtà, afferma il legale della donna, è a carico dei sanitari dimostrare che il
danno era dipeso da un evento imprevisto e imprevedibile. È stato violato, inoltre, l'obbligo informativo circa la
possibilità che la sterilizzazione potesse avere esito negativo.
La Cassazione concorda. Il mancato raggiungimento del risultato - spiega la Corte - determina
l'inadempimento quando deriva da una «non diligente prestazione» o da una «colpevole omissione
dell'attività sanitaria». Inoltre, «l'inadempimento (o l'inesatto adempimento) consiste nell'aver tenuto un
comportamento non conforme alla diligenza richiesta, non solo con riguardo alla corretta esecuzione della
prestazione sanitaria ma anche con riferimento a quei doveri di informazione e di avviso, definiti prodromici e
integrativi dell'obbligo primario della prestazione».
Le ragioni dei coniugi, pertanto, sono fondate. Infatti, precisa la sentenza, rientra tra le comuni conoscenze di
un ginecologo (ma non anche di una paziente) che la legatura delle tube eseguita in occasione di un parto
cesareo non assicura l'irreversibilità della sterilizzazione. Di conseguenza, l'informativa dei sanitari non
doveva esaurirsi in notizie generiche sull'operazione, ma doveva investire - visto l'obiettivo perseguito dalla
donna - «i profili di incertezza» della sua definitività. Ai coniugi, invece, è stato fatto sottoscrivere un modulo
nel quale sono stati informati «dell'irreversibilità del l'intervento». Un'informativa, afferma la Cassazione, non
solo «inesatta» ma anche «fuorviante», tanto da «incidere in maniera determinante sul valido e corretto
processo formativo della volontà» della coppia in relazione alla scelta del momento, e del contesto operatorio,
in cui eseguire l'intervento.
Del resto, la Corte d'appello non ha accertato l'assolvimento del dovere d'informazione, ma si è limitata a
sostenere che la notizia corretta sulla possibilità d'insuccesso «potrebbe esserci stata», senza chiarire però
da quali elementi avesse tratto tale ipotesi e per quale ragione questi elementi avessero valenza probatoria. I
giudici di legittimità cassano quindi la sentenza, con rinvio per un più approfondito esame del caso.
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Salute. Sterilizzazione fallita
23/11/2013
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 1
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Sorpresa, ora agli italiani piace la sanità pubblica
ILVO DIAMANTI
NON c'è "sentimento" fra società e istituzioni, in Italia. È una storia lunga, che negli ultimi tempi si è
complicata ulteriormente. Eppure, nonostante i problemi e le polemiche, gran parte degli italiani si fida della
sanità pubblica. E si dice soddisfatta. Dei medici, degli ospedali, delle cure. I giudizi più positivi provengono
da chi ha avuto esperienza della sanità pubblica.
PER ragioni di "cuore". È il segno più visibile degli atteggiamenti emersi dal sondaggio condotto da Demos
su incarico di ATBV. Un'associazione "professionale" a cui aderiscono medici specialisti di malattie
cardiovascolari. L'indagine (i cui risultati verranno presentati oggia Bologna al convegno nazionale di ATBV)
ha analizzato gli orientamenti verso il sistema sanitario tenendo conto dell'esperienza e della percezione della
malattia, fra coloro che hanno problemi cardiologici. (Un club di cui anch'io faccio parte.) Ne emerge un
legame stretto. L'esperienza della malattia, infatti, influenza direttamente la valutazione dei luoghi e delle
figure professionali che caratterizzano la sanità. In senso positivo.
In generale, gli italiani dimostrano un buon grado di soddisfazione circa la propria salute.
Oltre il 90% sostiene di sentirsi "abbastanza" o "molto bene".
Tuttavia la paura del male è diffusa. Per primoe soprattutto: incombe il "male oscuro". Non quello psichico,
evocato nel romanzo di Giuseppe Berto. Ma il male che tutti temono. Anche perché lo incontriamo spesso,
sempre più spesso. Si aggira intorno a noi. Ed è difficile da curare, ma, soprattutto, da guarire
definitivamente. Il tumore. Il cancro. Di cui ammette di aver paura, più che di ogni altra malattia, oltre metà
degli intervistati (il 54%). È una paura senza età, senza distinzione di genere e classe. Incombe su tutti.
Anche le malattie neuro-psichiatriche (Alzheimer, Parkinson, depressione) preoccupano molto. Soprattutto i
più anziani. Ma in misura notevolmente più limitata: 20%. Come, d'altronde, gli ictus: 12%. Mentre l'angoscia
suscitata dall'infarto e dalle crisi cardiache riguardano una quota ancor più ristretta. Intorno al 7%. Anche se
vengono percepite come un rischio (medio o elevato) da oltre un quarto degli italiani. Senza troppe
differenze, dopo i 18 anni. L'esperienza della malattia, comunque, cambia sensibilmente il rapporto con se
stessi e la propria salute, come appare evidente se consideriamo l'atteggiamento dei "cardiopatici". I quali
fanno osservare un'attenzione maggiore rispetto al resto della popolazione nei confronti delle cure e della
prevenzione. Dopo la crisi cardiaca, infatti, mostrano di aver modificato le loro abitudini e i loro stili di vita, in
modo talora significativo. Anzitutto, si sottopongono a controlli ricorrenti. Misurano con regolarità colesterolo e
pressione. E smettono di fumare. In misura più ampia delle altre persone. Oltre il 45% di essi si sente "a
rischio" di ricadute.
Tuttavia, l'esperienza della malattia non sembra produrre una frattura biografica violenta.
Secondo la maggioranza della popolazione, dopo l'infarto, la vita cambia, ma non in modo radicale. Certo, ci
sente più insicuri. Ma il corso della vita prosegue, con una maggiore cura di sé. Oltre il 75% della
popolazione, infatti, considera i cardiopatici persone che possono vivere un'esistenza normale. Senza troppi
problemi. Anche se debbono usare maggiore cautela rispetto agli altri. Nove cardiopatici su dieci, peraltro,
affermano di considerare il loro stato di salute «buono». Cioè: come tutti gli altri.
In generale, l'esperienza della malattia rafforza e migliora il rapporto con la struttura sanitaria. Con le figure
professionali mediche e paramediche e con le strutture ospedaliere. Ma l'immagine del sistema sanitario
appare, comunque, molto positiva, presso tutta la popolazione. Anche oltre la cerchia di chi ha potuto e
dovuto sperimentarne l'utilità. Circa l'80% degli italiani, infatti, esprime un grado di fiducia molto elevato verso
i medici - ospedalieri e di famiglia. Verso gli "specialisti" pubblici e privati. Verso gli infermieri. La
considerazione cresce, soprattutto, in riferimento al sistema pubblico.
La maggioranza dei cittadini (55%) ritiene, infatti, che la sanità pubblica vada tutelata in modo autonomo e
distinto.
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 25/11/2013
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Il sondaggio
23/11/2013
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 1
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Senza metterla in concorrenza con quella privata. E senza favorire processi di integrazione. La sanità
pubblica, invece, va rafforzata. E lo Stato dovrebbe sostenerla di più perché è "un valore in sé", come
sottolinea gran parte degli italiani. In modo più convinto coloro che hanno fatto ricorso ad essa per motivi di
urgenza e necessità.
Alla base di questo giudizio, vi sono ragioni "fondate": la verifica diretta della qualità, oltre che dell'utilità del
servizio. Vi sono, inoltre, valutazioni ampiamente condivise circa l'accessibilità.
Perché, se la salute è un diritto di tutti, diventa essenziale che sia, appunto, accessibile a tutti. Dal punto di
vista dei costi e dell'accoglienza. Della possibilità di poter essere curati, soprattutto in caso di urgenza. Senza
privilegi né distinzioni sociali.
Per contro, il principale vantaggio competitivo riconosciuto alla sanità privata riguarda i tempi lunghi di attesa
per le visite, per i referti. L'universalità e l'accessibilità, dunque: le "virtù" del servizio pubblico, rischiano, in
questo caso, di divenire "vizi". Perché rallentano le procedure e le attività maggiormente richieste. Tuttavia, in
quest'epoca di incertezza diffusa e in questo Paese, dove lo Stato è guardato con sospetto e con sfiducia,
dove le istituzioni suscitano distacco: la sanità pubblica costituisce un buon punto di riferimento. Capace di
parlare ancora al "cuore" degli italiani. Meglio tenerne conto.
Lo studio L'indagine "il cuore degli italiani" è stata realizzata da Demos & Pi per ATBV. Il sondaggio è stato
condotto da Demetra (metodo CATI e CAWI) nel periodo 6-19 novembre 2013. Il campione nazionale
intervistato via telefono è tratto dall'elenco di abbonati alla telefonia fissa (N=1.605, rifiuti/sostituzioni: 8.075)
ed è rappresentativo della popolazione italiana con 15 anni e oltre per i caratteri socio-demografici e la zona
geo-politica di residenza. Il campione intervistato via web è tratto da un panel nazionale (N=1.020). I dati
sono stati ponderati in base al titolo di studio (margine di errore 2.5%).
(Documento completo su www.agcom.it)
PER SAPERNE DI PIÙ www.demos.it www.agcom.it
23/11/2013
La Repubblica - Palermo
Pag. 2
(diffusione:556325, tiratura:710716)
"Irregolarità nell'intramoenia", e scattano ispezioni
. g. sp.
LA REGIONE dà il via a ispezioni a tappeto sulle visite intramoenia negli ospedali. Il giro di vite è scattato
dopo una denuncia della Cgil su irregolarità al Policlinico e al Civico. Con una lettera ai commissari
straordinari, il dirigente generale dell'assessorato alla Salute, Salvatore Sammartano, ha chiesto la
pubblicazione degli elenchi dei medici, delle tariffe e del volume di attività, che non può superare il 50 per
cento delle visite effettuate nel pubblico. A puntare il dito è Renato Costa, presidente regionale della Cgil
Medici: «Abbiamo chiesto i dati al Civico e al Policlinico, ma non ci hanno risposto o lo hanno fatto
parzialmente». Il Policlinico ha avviato un'indagine interna, il Civico ha già stilato una lista, ma senza l'attività
dei singoli medici. In quest'ultima azienda ospedaliera emerge che alcune prestazioni private di diagnostica e
laboratorio sono fatte in orario di servizio e che si può anche abortire in intramoenia, al costo di 780 euro
Foto: SINDACALISTA Renato Costa della Cgil Medici
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 25/11/2013
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Il caso
24/11/2013
La Repubblica - Bologna
Pag. 8
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Rizzo Nervo: ci stiamo lavorando, anche a me è capitato di aspettare molto per una visita "Ma non sempre
Cup e farmacie offrono al paziente tutte le alternative possibili"
(r.d.r.)
«IL problema delle liste d'attesa c'è e va affrontato seriamente, perché i tempi non sempre sono accettabili. È
successo anche a me di dover aspettare molto per una visita, le lamentele devono trovare risposte oltre i
problemi di bilancio. E su questo fronte stiamo lavorando moltissimo».
L'assessore comunale alla Sanità Luca Rizzo Nervo indica due strade per fare questo: «Da un lato bisogna
parlare dell'appropriatezza, di come ridurre gli esami inutili. Dall'altro, ci sono delle falle di comunicazione
verso i cittadini: ci vuole più impegno, da parte di farmacie e punti Cup, per far conoscere tutte le possibilità
disponibili nel momento in cui si prenota una visita». Non è un problema nato ieri o che si risolverà domani,
quello delle liste d'attesa. E sono diverse le testimonianze di persone che si sono viste prenotare un controllo
dopo mesi. Tempi che praticamente si azzerano quando si sceglie di pagare di più e andare nelle cliniche.
«Indubbiamente c'è un blocco di prestazioni che si sposta sul privato continua Rizzo Nervo, commentando i
numeri del Cup secondo cui il ricorso alle cliniche è raddoppiato -. Questo mi preoccupa. Una delle cause è
anche l'introduzione dei nuovi ticket, che sono cresciuti e rischiano di deresponsabilizzare il pubblico.
Non voglio immaginare un futuro in cui i nostri ospedali offrano solo il minimo indispensabile».
Ci sono le cose già fatte, che funzionano, e quelle ancora da fare. Tra le prime, l'assessore alla Sanità
inserisce i diversi percorsi di screening attivati a Bologna, come quelli mammografici: «Percorsi dove è lo
stesso medico che prenota la visita alla paziente, presa in carico dal sistema». O ancora, per i prelievi di
sangue, c'è l'ambulatorio ad accesso diretto dell'ospedale Bellaria. Però va discussa la riorganizzazione del
sistema. A partire da un tema a cui Rizzo Nervo tiene molto, l'appropriatezza. «Alcuni esami sono spesso
inutili». «Caricando» gli ospedali, aumentano le liste d'attesa. «È successo anche a me. Ho fatto esami più in
là nel tempo: in alcuni casi ho pensato che in effetti quella prestazione non era urgente. Altre volte l'attesa mi
è sembrata quasi un disservizio».
Come va affrontata un'altra questione, che l'assessore "tocca" con cautela «perché - dice non voglio dare
colpe». Quando si va a prenotare un esame in un punto Cup, ad esempio in farmacia, chi sta dall'altra parte
non sempre offre tutte le soluzioni possibili. E la scelta si riduce troppe volte a "pubblico o privato", a seconda
del portafoglio, senza vie di mezzo. «Io penso che bisogna rafforzare la comunicazione tra farmacie, punti
Cup e cittadini, per esplicitare tutte le possibilità. La conoscenza delle alternative proposte alle persone è da
migliorare».
Il punto GLI ESAMI IN MENO Sono 7,5 milioni gli esami in meno fatti in Regione nel 2012 rispetto al 2011.
Ciò anche a causa dei ticket sanitari IL PRIVATO CRESCE Le prenotazioni di visite ed esami nelle cliniche
sono raddoppiate nel 2013 passando a 150mila prestazioni I TEMPI D'ATTESA Per le visite e gli esami non
urgenti si può arrivare ad aspettare diversi mesi prima di andare in ospedale LE RISPOSTE Per Rizzo Nervo
«il problema c'è» ma sono tante le soluzioni messe in campo per migliorare PER SAPERNE DI PIÙ
www.ausl.bo.it www.nuovogrillo.org
Foto: L'ASSESSORE Luca Rizzo Nervo. A fianco attese in un poliambulatorio
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 25/11/2013
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"Le liste d'attesa in sanità problema serio"
24/11/2013
La Repubblica - Genova
Pag. 6
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Missione in Russia: obiettivo monetizzare per ripianare il disavanzo della sanità Tra i siti interessati
dall'operazione anche l'ex ospedale psichiatrico di Quarto
AVA ZUNINO
LA REGIONE in missione a Mosca per provare a vendere ai russi il patrimonio immobiliare che era stato
cartolarizzato e passato ad Arte (l'agenzia regionale del territorio) per ripianare il disavanzo dei conti della
sanità. «Adesso Arte deve rientrare di quell'investimento e ai primi di dicembre sarà pubblicato il bando», ha
spiegato ieri mattina il presidente della Regione, Claudio Burlando, che il due dicembre salirà su un aereo per
Mosca, dove nei giorni seguenti sono previsti alcuni incontri per presentare l'offerta di immobili, sperando di
trovare investitori russi. Sono piccoli gioielli incastonati in zone di pregio. Su Genova si tratta di quasi metà
del complesso dell'ex manicomio di Quarto, la parte che non era ancora stata venduta a Fintecna nella prima
fase di smobilizzo del patrimonio della sanità. A La Spezia un gioiellino come l'ex colonia Olivetti. E poi
immobili a Varazze, Santa Margherita, Villa Zanelli a Savona e nel resto della Liguria. E' una partita
nell'ordine del centinaio di milioni. «E' evidente che il mercato immobiliare italianoè in difficoltà, dunque
proviamo con i paesi emergenti», ha detto Burlando. «A Mosca andrò io, poi con gli altri colleghi punteremo
su altri paesi».
La missione in Russia in realtà riguarda anche il turismo, «dal momento che in Liguria il turismo russo sta
andando molto bene e siamo la quarta regione italiana come presenze di russi, pur essendo la nostra un
piccola realtà», ha detto Burlando. Dunque, l'obiettivo è rinsaldare i rapporti e magari trovare investitori.
Per la presentazione, a Mosca, del bando con cui verranno messi in vendita gli immobili sparsi in tutta la
Liguria, la Regione ha preparato la documentazione in cirillico e anche un video in lingua russa. «Il bando
sarà pubblicato il 2 dicembre, poi ci saranno 75 giorni per fare le offerte che potranno riguardare tutti gli
immobili o i singoli beni», ha detto Burlando.
Nel bando è compresa anche la parte del complesso di Quarto che era rimasta fuori dalla prima
cartolarizzazione e che, nei mesi scorsi, aveva accusato una battuta d'arresto perché riguarda anche
strutture adibite alla cura e all'assistenza dei malati psichiatrici. Messe a punto le garanzie per i pazienti, è
scattato il via libera alla vendita.
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 25/11/2013
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Regione, gioielli immobiliari in vendita a Mosca
24/11/2013
La Repubblica - Genova
Pag. 15
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Il centrosinistra deve tornare a essere vicino giorno dopo giorno agli operai che difendono il loro lavoro ma
anche la loro dignità
DON PAOLO FARINELLA
TUTTO si sfalda e tutto si tiene. Il territorio, inteso, come suolo materiale, come terra dove poggiamo i piedi,
non regge più. Haiti, Giappone, Filippine, Genova, Cinque Terre, ora Sardegna: morti ovunque, sommersi
dall'acqua che non trova via d'uscita. Nelle ultime elezioni in Sardegna, una delle terre più belle del mondo,
gli abitanti hanno scelto coscientemente il governatore Cappellaci in nome della cementificazione selvaggia,
anche delle spiagge, mentre punirono Soru che prometteva di creare una zona di rispetto della costa.
Presi dal demone del cemento, hanno scelto il predatore e sconfitto il lungimirante con conseguenze
irreversibili per la Sardegna che continuerà a sprofondare.
La temperatura dei mari è aumentata di un grado e a noi pare un problema che non ci riguarda. O Sardi,
piangete su di voi perché con quel voto avete cominciato voi stessi a uccidere la vostra terra. Né il cielo, né
Dio, né la sventura hanno voce in capitolo, ma solo le scelte di chi non sa vedere oltre il proprio miserabile
interesse immediato per avere un metro di cemento in più, finendo per perdere tutto, oltre se stessi.
Nelle primarie del Pd, in Liguria ha vinto Renzi, ma a Genova ha prevalso Cuperlo. Magra consolazione per
un partito con la vocazione alla disfatta che cura, con amorevole impegno, riuscendoci. Renzi ha stravinto a
Imperia e Savona, il regno di Scajola e di Pdl/FI che dir si voglia, come dire che «berluscones fricant
berluscones», cioè il berlusconino fiorentino è il simbolo di una trasformazione genetica di un partito che
guardava a Berliguer e a De Gasperi. Deve accontentarsi di Renzino/Fonzie, di Cuperlo, di Letta e di Epifani.
La conclusione della triste e vergognosa vicenda della Cancellieri, «ministro di Giulia e Giustizia», né è la
prova. Un gran abbaiare, un immenso confutare, per sgonfiarsi senza colpo ferire alla prima minaccia di
Letta/Napolitano. Un segno? Eccolo.
Renzi, detto Matteo, votato dai signori delle tessere e dai capi bastone del sud e del nord, doveva venire a
Genova, al teatro Modena, mercoledì 20 novembre nell'anno di grazia 2013. Ebbene, ha disdetto la
prenotazione «a causa degli scioperi» degli operai della Amt.
Invece di andare in mezzo a loro, che lottano perché i beni essenziali e vitali siano sempre e solo pubblici,
come avrebbero fatto De Vittorio e Lama, lui ha disdetto, come se si trattasse di un fastidio che fa saltare la
vacanza in B&B. Ecco il nuovo Pd che avanza. Senza operai, senza ideali. Nei giorni dello sciopero a
oltranza degli operai Amt, sacrosanto per difendere la pubblicità di un servizio essenziale, sui cartelli luminosi
è apparsa la scritta «Sciopero Amt, corsie autobus libere» col risultato che i taxi sono rimasti intasati in
mezzo al traffico peggio degli altri giorni.
Complimenti al genio della trovata. Molti nostri lettori o semplici cittadini mi hanno chiesto se faccio da
questa pagina un appello all'assessore regionale alla Sanità, Claudio Montaldo, riguardo ai kit per diabetici
che pare abbiano seri problemi di misurazione. Sono diabetico anch'io e so di che cosa si tratta. Ho ritirato il
nuovo kit, ma non l'ho ancora usato perché voglio finire la scorta precedente.
Sta di fatto che molti si lamentano perché i nuovi, appaltati dalla Regione per risparmiare, danno misurazioni
sballate, mettendo a rischio la salute dei cittadini, che inevitabilmente devono ricorrere in ospedale,
annullando i risparmi, anzi aumentando la spesa e i tempi di attesa.
La sanità ligure è al collasso e mi chiedo come possa un assessore non avere fatto verificare l'affidabilità di
strumenti salvavita, a meno che non abbia seguito, costi quel che costi, l'unico criterio d'interesse: il massimo
ribasso. In questo modo sarà l'assessore il responsabile di eventuali morti per errata diagnosi e terapia.
Possiamo dare uno straccio di risposta o dobbiamo chiamare la Cancellieri, tramite i Ligresti?
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 25/11/2013
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SE RENZI STA LONTANO DALLA PROTESTA NON È UN BUON SEGNALE
PER IL PD
24/11/2013
La Repubblica - Napoli
Pag. 4
(diffusione:556325, tiratura:710716)
Il ministro Lorenzin al Pascale visita i reparti, ospedale promosso
BLITZ ieri mattina del ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, all'ospedale Pascale. Dopo le "visite a
sorpresa" in alcuni ospedali romani, il ministro ha voluto vedere di persona, e in "incognito", altre realtà sul
territorio, per verificarne le reali condizioni strutturali e di assistenza.
Il ministro, secondo quanto si apprende, ha visitato alcuni reparti dell'ospedale partenopeo (Chirurgia
toracica, Senologia, Ematologia) ma ha anche verificato le turnazioni del personale ed ha voluto controllare lo
stato di macchinari e strumentazioni. Lorenzin ha parlato con vari pazienti e medici, riscontrando «un clima
molto collaborativo». Il ministro ha anche raccolto, da parte dei pazienti ricoverati, un giudizio molto positivo
in merito al trattamento sanitario ed al personale del Pascale. Lorenzin avrebbe dunque espresso
soddisfazione, dicendosi «molto favorevolmente colpita» e non riscontrando «criticità».
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 25/11/2013
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Sanità
25/11/2013
La Repubblica - Ed. nazionale
Pag. 19
(diffusione:556325, tiratura:710716)
"Prevenire costa e molti fanno resistenza vogliono pure abolire i test sul
cuore"
Per pochi euro Dopo Morosini abbiamo fatto tanto per introdurre nuove norme e c'è chi preme per alleggerirle
e risparmiare pochi euro
FRANCESCO SAVERIO INTORCIA
ROMA - Maurizio Casasco, presidente della Federazione medico sportiva italiana: a 19 mesi dalla tragedia di
Morosini, un'altra morte sul campo di gioco. Stavolta il calcio piange un ragazzo di 14 anni, poco più di un
bambino.
«Non conosco ancora i dettagli, è impossibile commentare.
Più in generale, quando un atleta muore in una partita, la prima cosa che mi chiedo non è se ci fosse o meno
il defibrillatore, ma piuttosto se il ragazzo avesse sostenuto la visita per l'idoneità sportiva. Nella categoria
Giovanissimi sono obbligatori controlli da attività agonistica. Se in Italia l'incidenza delle morti sul campo è di
una su 1,5 milioni, dieci volte inferiore al resto del mondo, è perché molte vite vengono salvate grazie
all'attività di controllo». Quanto può aver inciso l'assenza del defibrillatore? «Dipende dai casi, questo andrà
verificato. La presenza dell'apparecchiatura e di personale qualificato sono solo una tappa di un percorso più
ampio, che parte dallo screening medico e prosegue con il protocollo del pronto soccorso sportivo, che serve
a intervenire non solo in caso di arresto cardiaco ma anche di commozione cerebrale o altre emergenze
specifiche».
Il decreto Balduzzi impone a tutte le società, professioniste e dilettanti, di dotarsi del defibrillatore
semiautomatico. Da luglio, le società hanno 30 mesi di tempo per mettersi in regola.
Non le sembrano tempi troppo lunghi? «Sono termini massimi: non basta comprare le macchine, ma è
necessario anche ottenere la patente per usarle, e la qualificazione del personale richiede tempo. In alcune
realtà, come Lombardia e Veneto, siamo molto avanti nella formazione del personale. Altre Regioni, invece,
sono sorde: ci sono assessorati che neanche rispondono alle nostre richieste e proposte.
Il decreto Balduzzi ha avuto un iter legislativo lungo, da settembre del 2012 fino a luglio 2013. E continuaa
incontrare resistenze in aula anche adesso».
Il defibrillatore semiautomatico, il personale qualificato, gli esami clinici, fanno lievitare i costi di gestione. E
per molte piccole società è un problema.
«Abbiamo fatto tanto per introdurre questa norma, e ora c'è chi vuole alleggerirla. È francamente assurdo.
Prendiamo l'attività preagonistica, che riguarda molti bambini: il decreto Balduzzi rende obbligatorio
dell'elettrocardiogramma, ma un gruppo di parlamentari ha inserito un emendamento, nel Decreto del Fare,
con cui l'ha reso facoltativo. Adesso, per fortuna, dovrà essere il ministero, con l'Ordine dei medici e il
Consiglio superiore di sanità, a prendere una decisione definitiva. E tutta questa discussione per un esame
che costa pochi euro e può salvare vite. Poi parliamo di regole e di prevenzione...». © RIPRODUZIONE
RISERVATA
Foto: L'ESPERTO Maurizio Casasco, medico sportivo
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 25/11/2013
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L'intervista Maurizio Casasco, presidente della Federazione medico sportiva: alcune Regioni sorde sul fronte
dei controlli
24/11/2013
La Stampa - Ed. nazionale
Pag. 16
(diffusione:309253, tiratura:418328)
Disagio psichico Quei volontari che lavorano per l'inserimento
AGNESE MORO
Il progetto "Volontari e Famiglie in Rete per la salute mentale" già da diversi anni promuove a Roma
l'attivazione di una rete di supporto (400 volontari) rivolta a persone con disagio psichico e ai loro familiari
«con l'intento di favorire il loro inserimento sociale, per mettere l'attuazione di un percorso terapeutico attento
alla persona e diffondere una maggiore conoscenza e consapevolezza circa il modo di affrontare il disagio
psichico in famiglia e nella società. Siamo convinti - mi dice il dottor Josè Mannu, medico della Asl Rm B e
responsabile scientifico della Fondazione Internazionale Don Luigi Di Liegro che promuove l'iniziativa (
www.fondazionediliegro.it) - che il problema del benessere mentale e sociale richieda una partecipazione
della cittadinanza attiva, in termini di ascolto, accoglienza e sostegno». E aggiunge: «L'impegno della
Fondazione è quello di prevenire e rimuovere ogni forma di marginalità sociale che si manifesta nella perdita
di "relazioni" in una società che costruisce solitudini e situazioni di abbandono. Le barriere che vogliamo
superare, soprattutto in un campo come la salute mentale, sono "stigma", "paura", "indifferenza", "giudizio",
"vergogna". La marginalità con le sue evoluzioni nella dipendenza, nel disagio psichico, nell'homeless, è
infatti il frutto e il produttore di relazioni interrotte, di miseria sociale, di povertà culturale, di isolamento».
L'insieme del vostro impegno su questo tema? «La Fondazione, in collaborazione con i Dipartimenti di Salute
Mentale di Roma, interviene con i propri volontari, supervisionati mensilmente, in attività di
"accompagnamento" in servizi territoriali come i Centri di Salute Mentale, le Comunità terapeutiche, gli
"appartamenti" o i Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura presso gli ospedali. Nella nostra sede inoltre sono
attivi laboratori di arte terapia e, a breve, di vela terapia, e seguiamo due gruppi di auto aiuto formati da
familiari». I volontari in attività sono circa 40, distribuiti nei servizi territoriali di diverse Asl di Roma e presso
l'Ospedale Fateben e fratelli. Collaborano con gli operatori di centri diurni, comunità terapeutiche, case
famiglia e Spdc ospedalieri. Per formarli uno specifico corso, frequentato, per questa annualità, da quasi 90
persone. Da dicembre partirà un Servizio telefonico di ascolto e di orientamento. Carità, ma in azione.
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 25/11/2013
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Costruire cose buone
24/11/2013
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 2
(diffusione:210842, tiratura:295190)
Fassina scettico sui tagli alla spesa
PER IL VICEMINISTRO DELL'ECONOMIA DIFFICILE CENTRARE L'OBIETTIVO DI 32 MILIARDI
INDICATO DA SACCOMANNI
R.e.f.
R O M A Il viceministro all'Economia, Stefano Fassina, non crede sia possibile raggiungere con la spending
review il risultato di 32 miliardi di risparmi strutturali a regime nel 2016 così come auspicato dal ministro
Fabrizio Saccomanni: in un' intervista a Omnibus ha espresso preoccupazioni sulla possibilità che tagli così
consistenti possano «cambiare il modello sociale del Paese». Dopo l'altolà sulla spesa sociale arrivato al
Commissario per la spending review, Carlo Cottarelli dal ministro del Lavoro, Enrico Giovannini un altro
componente del Governo fissa paletti sugli interventi da mettere in campo spiegando che bisogna
concentrarsi piuttosto sulla lotta all'evasione fiscale. Nei giorni scorsi anche il ministro della Salute, Beatrice
Lorenzin aveva detto no all'ipotesi di tagli lineari per la Sanità ipotizzando invece una spending interna da
reinvestire nel settore. Dalla spending review - ha spiegato Fassina - «non mi aspetto 30 miliardi perchè
vorrebbe dire cambiare il modello sociale; sulle stime fatte ho tanti dubbi. Sulla spesa - ha aggiunto - bisogna
discutere partendo dal fatto che in Italia è la più bassa d'Europa, anche se ha mille inefficienze. La vera
difficoltà che abbiamo rispetto all'Europa - ha precisato - è la tantissima evasione. Ed ogni euro di evasione
recuperata va usato per togliere tasse». Nel mirino del ministero dell' Economia ci sono gli sprechi e le
inefficienze di tutte le amministrazioni pubbliche sia centrali che periferiche con l'obiettivo di tagli strutturali a
partire dal 2014 per arrivare a regime nel 2016 a risparmi di 32 miliardi (8,3 dei quali già previsti nella legge di
stabilità). Questi risparmi dovrebbero essere destinati in prevalenza alla riduzione del cuneo fiscale ma anche
per gli investimenti produttivi e per la riduzione del debito. «Sono favorevolissimo - ha detto il ministro del
Lavoro, Enrico Giovannini in un colloquio con un quotidiano nel quale ha ricordato che sulle prestazioni
pensionistiche e sulle politiche del lavoro decidono Governo e Parlamento - all' introduzione di una logica
sistematica di revisione della spesa in ogni amministrazione per migliorarne la qualità e l'efficienza. Ma sono
per la spending review, non per la cutting review». Nei giorni scorsi il presidente del Consiglio, Enrico Letta
ha ribadito che il primo taglio sarà alla macchina politica ma il processo di revisione della spesa guarderà a
tutte le inefficienze, dalla razionalizzazione dell'uso degli immobili ai fabbisogni e i costi standard per le
forniture della pubblica amministrazione fino alla maggiore mobilità nel pubblico impiego e alla
razionalizzazione e l'accorpamento delle amministrazioni centrali.
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 25/11/2013
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IL CASO
24/11/2013
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 4
(diffusione:210842, tiratura:295190)
Per le pensioni rivalutazione piena fino a 2.000 euro
Un emendamento dei relatori alza la soglia da 3 a 4 volte il trattamento minimo. Contributo di solidarietà da
90.000 euro PER I CONTI CORRENTI TRASLOCO SENZA SPESE AGGIUNTIVE MANAGER PUBBLICI:
FUORI PER GIUSTA CAUSA CON 2 BILANCI ROSSI
Giusy Franzese
R O M A Aumenta la soglia per la rivalutazione totale delle pensioni: non più fino a tre volte il trattamento
minimo Inps, ma a quattro (1.982 euro al mese). Contemporaneamente si abbassa l'asticella per il contributo
di solidarietà: scatterà non più dai 150.000 euro lordi l'anno, ma dai 90.000. Arriva come ultimo
emendamento presentato ieri sera a firma dei due relatori (Giorgio Santini del Pd e Antonio D'Alì del Nuovo
centro destra di Alfano) una delle modifiche più attese alla legge di stabilità, il cui esame da parte delle
commissione Bilancio al Senato va avanti a tambur battente, con tanto di sedute notturne. Obiettivo: passare
il provvedimento all'Aula al massimo domani pomeriggio. Ieri sono stati presentati gli emendamenti a firma
del governo (6) e dei due relatori (11 in un primo blocco, poi altri 6). Molte le novità che toccano gli argomenti
più vari, dalla portabilità gratuita dei conti correnti alla riduzione dei contributi malattia versati dai
commercianti. Dall'anagrafe nazionale assistiti in campo sanitario alla licenziabilità per giusta causa dei
manager delle aziende partecipate che presentano per due anni di seguito i bilancio in rosso. E poi l'election
day (d'ora in poi si voterà solo di domenica dalle 7 fino alle 23), la proroga di un altro anno ai comuni che
intendono avvalersi di Equitalia per riscuotere le cartelle esattoriali e lo slittamento al 2015 dei rincari delle
sigarette e della benzina. Oltre a una serie di micro interventi a favore delle emergenze più varie. OSSIGENO
AI PENSIONATI L'emendamento presentato dai due relatori prevede un compromesso rispetto alla
formulazione del governo (che ripristinava l'indicizzazione al 90% per gli assegni compresi tra tre e quattro
volte, al 75% per quelli pari a 5 volte, per il 50% per quelli pari a sei volte). Per il 2014 la rivalutazione degli
assegni pensionistici sarà al 100% per i trattamenti fino a 4 volte il minimo (1.982 euro al mese). Nel biennio
2015-2016 si ritorna alla formulazione varata dal governo. Una parte delle coperture arriverà dal contributo di
solidarietà delle pensioni d'oro che scatterà a partire da quattordici volte il minimo (90.168 euro). Da questa
soglia fino a venti volte il minimo il contributo sarà del 5%, da 21 a trenta volte (circa 193.000 euro lordi
l'anno) sarà del 10%, dopo di che sarà del 15%. PORTABILITÀ CONTI CORRENTI Non si dovrà pagare più
nulla, nemmeno un euro, per trasferire il conto corrente da una banca a un'altra. Attenzione: la norma vale
«purché le banche coinvolte aderiscano ai comuni protocolli interbancari italiani». Se il "trasloco" dura più di
14 giorni la banca d'origine pagherà delle sanzioni (1% del saldo per ciscun mese o frazione di mese di
ritardo). SANITÀ SOTTO CONTROLLO Per rafforzare il monitoraggio sulla spesa sanitaria, nonché
accelerare il processo di automazione amministrativa, arriva l'anagrafe degli assistiti (Ana) presso il ministero
del Tesoro. La nuova anagrafe subentrerà di fatto a tutte le singole angrafi ed elenchi degli assistiti delle
singole Asl. Le Asl non dovranno più fornire ai cittadini il libretto sanitario personale. PACCHETTO IMPRESE
L'aliquota dei contributi dovuti dai datori di lavoro del commercio per le indennità economiche di malattia cala
dal 2,44 al 2,40%. Per le imprese ci sono anche altri emendamenti. Tra questi c'è il rifinanziamento di alcune
opere infrastrutturali legate all'Expo 2015, la riapertura dei termini per la rivalutazione dei beni d'impresa, un
credito d'imposta per le banche che hanno subito perdite. MANAGER PUBBLICI Un emendamento del
governo stabilisce che di fronte a due bilanci consecutivi in rosso, i manager delle società partecipate dagli
enti locali potranno essere licenziati per «giusta causa». Dal 2015, inoltre, gli enti partecipati con tre esercizi
di gestione in perdita dovranno diminuire del 30% il compenso degli amministratori.
La tassazione delle p ensioni in Europa 0 500 4.000 3.500 3.000 2.500 2.000 1.500 1.000 Pensione pari a
3 volte il minimo INPS - Imposte pagate all'anno in euro Fonte: elaborazioni Confesercenti sulla base delle
normative tributarie vigenti ITALIA Germania Francia Spagna Regno Unito
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 25/11/2013
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MANOVRA/3
24/11/2013
Il Messaggero - Ed. nazionale
Pag. 4
(diffusione:210842, tiratura:295190)
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 25/11/2013
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Tabacco Fisco/1
Sigarette, slitta dal 2014 al 2015 l'aumento Slitta di un anno, dal 2014 al 2015, l'aumento del «prelievo
fiscale» sui prodotti da fumo. L'emendamento è a firma del governo. Il rinvio comporta «oneri pari a 50 milioni
nel 2014». Un altro emendamento governativo si concentra sui rincari di carburanti. L'aumento delle accise
scatterà a decorrere dal 1 gennaio 2017 e durerà fino a tutto il 2018. L'obiettivo è determinare maggiori
entrate nette non inferiori a 220 milioni di euro per il 2017 e 199 milioni di euro per il 2018.
Equitalia, 1 anno in più per i Comuni Le società del gruppo Equitalia dovranno effettuare la riscossione
spontanea e coattiva delle entrate tributarie dei Comuni fino a tutto il 2014. Lo prevede un emendamento del
governo, che proroga quindi ulteriormente la scadenza dei contratti (dal 30 giugno era già stata spostata al 31
dicembre 2013). Intanto con un altro emendamento si prevede un controllo da parte della Ragioneria dello
Stato (oltre a quelli dell'Agenzia delle Entrate) sull'attività degli agenti della riscossione, come appunto
Equitalia.
Fisco/2
Investimenti all'estero più tassati Aumentano le tasse per chi ha investimenti finanziari all'estero. Dal 2014
l'imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all'estero dagli italiani ale dall'1,5% al 2%. Sempre in
tema di fisco ritorna la figura del Garante del contribuente (ma con il compenso dimezzato). Infine un
emendamento del governo prevede che sarà possibile accedere alla mediazione tributaria anche per le
somme dovute al fisco per i contributi previdenziali e assistenziali senza pagare sanzioni o interessi sui
contributi stessi.
Violazioni
In vendita le auto sequestrate I veicoli sequestrati per violazioni del codice della strada e custoditi da oltre
due anni, potranno essere venduti. Non importa che l'autovettura sia stata confiscata, basterà il sequestro o il
fermo amministrativo (le cosiddette ganasce fiscali). I veicoli che non riusciranno ad essere venduti saranno
rottamati. L'emendamento (a firma dei relatori) prevede che il proprietario del veicolo, entro 60 giorni dalla
pubblicazione dell'elenco di vendita, possa riprendere la custodia del veicolo, pagando le somme dovute alla
depositeria».
Agricoltura
Nuovi fondi per gli ulivi del Salento Si chiama Xylella fastidiosa ed è un batterio che sta facendo strage
(disseccandoli) di ulivi centenari nel Salento. In soccorso degli agricoltori salentini per combattere il tremendo
batterio arrivano nuovi fondi: cinque milioni di euro nel 2014. Nel pacchetto di modifiche dei relatori c'è posto
anche per la prima guerra mondiale. Vengono stanziati 8 milioni nel 2014 e 5 milioni all'anno dal 2015 al 2018
per «interventi urgenti per la messa in sicurezza, il restauro e il ripristino del decoro del Luoghi della
memoria».
Immigrazione
Lampedusa, stanziati 20 milioni Arrivano nuovi fondi per l'emergenza migranti a Lampedusa. Le tragedie
avvenute in mare nei mesi scorsi infatti hanno messo in ginocchio anche le strutture di accoglienza dell'isola.
Nel triennio 2014/2016 ci saranno a disposizione ulteriori 20 milioni di euro. Nuove risorse in arrivo anche per
fronteggiare la disoccupazione nel Mezzogiorno: nel 2014 sono stanziati 10 milioni per i lavoratori
socialmente utili calabresi. Si tratta di risorse che vanno ad aggiungersi ai 99 milioni destinati agli Lsu di e
Palermo.
Foto: Una delle sedi Inps
24/11/2013
Il Giornale - Ed. nazionale
Pag. 37
(diffusione:192677, tiratura:292798)
Farmaci mirati anti-dolore
Nei cardiopatici elevato il rischio trombotico legato agli antinfiammatori
Luigi Cucchi
Il dolore rappresenta un meccanismo di difesa dell'individuo da insulti esterni, che ne mettano in pericolo
l'integrità fisica. É legato alla stimolazione dei moltissimi minuscoli recettori nervosi nel sottocute che inviano
un impulso verso il sistema nervoso centrale quando stimolati da un trauma, un edema, una infezione. La
terapia del dolore utilizza numerosi strumenti: farmaci analgesici, terapie fisiche, tecniche molto vicine a
operazioni chirurgiche note come blocchi e anche vere procedure neurochirurgiche. «I farmaci antiinfiammatori non steroidei (Fans) sono tra i più usati al mondo, con indicazione al trattamento cronico di stati
dolorosi legati a svariate patologie soprattutto di tipo osteoarticolare. Il loro utilizzo - afferma il professor
Cesare Greco, presidente della Società italiana di cardiologia preventiva e riabilitativa - è però limitato dalla
presenza di importanti effetti collaterali, più frequenti negli anziani e nei portatori di insufficienza renale. É
nota da tempo, inoltre, l'esistenza di una controindicazione all'uso per i cardiopatici portatori di scompenso
cardiaco. Recentemente alcuni studi hanno confermato l'incremento del rischio di eventi cardiovascolari
derivante dalla loro assunzione. Agiscono inibendo l'enzima ciclossigenasi (Cox) che a partire dall'acido
arachidonico genera la prostaglandina H2. Negli ultimi anni numerosi studi e due metanalisi hanno
sottolineato il rischio trombotico correlato all'uso dei Fans. Pochi mesi fa una terza metanalisi, pubblicata su
The Lancet , una delle più importanti riviste mediche, ha esaminato gli effetti gastrointestinali e vascolari dei
Fans. Uno studio recente, pubblicato sul British Medical Journal - aggiunge il professor Greco - ha mostrato
come l'incremento del rischio cardiovascolare sia determinato da tutti i COX-2 inibitori.La selettività
dell'inibizione per la COX-1 comporta un incremento del rischio di sanguinamenti gastrici. Un altro tipo di
interazione negativa di questi farmaci è rappresentato dalla forte riduzione dell'effetto antiaggregante
dell'aspirina. La maggior parte degli eventi coronarici osservati durante il trattamento con Fans sono infarti
miocardici caratterizzati da assenza di occlusione trombotica completa del vaso coronarico. Si valuta che
l'aumento del rischio di infarto miocardico indotto dai Fans sia intorno al 10%. I Fans presentano anche una
interferenza a livello renale: la sintesi delle prostaglandine riduce la filtrazione glomerulare, causa ritenzione
idrosalina e crescita della pressione arteriosa». Proprio in funzione di questi dati alcuni ospedali hanno
iniziato campagne indirizzate a limitare l'uso di Fans nei pazienti portatori di malattia aterosclerotica
coronarica o comunque ad alto rischio cardiovascolare. Quale è la risposta più efficace al problema del
dolore cronico nei pazienti cardiopatici? «L'organizzazione mondiale della sanità - ricorda il professo Greco prevede una terapia del dolore cronico a gradini il primo dei quali, basato sull' uso dei Fans, non è praticabile
dai pazienti portatori o ad alto rischio di malattia cardiovascolare. Si tratterà quindi di utilizzare al meglio le
altre categorie di antidolorifici ed in particolare gli oppiacei più efficaci, collocati dall'Oms al terzo gradino della
terapia del dolore cronico come l'ossicodone e l'idromorfone. Questi farmaci possono essere usati nel
contesto del dolore cronico senza rischi di dipendenza, utilizzando bassi dosaggi e sfruttando l'associazione
con il naloxone che previene l'effetto collaterale più comune, la stipsi, attraverso un meccanismo di blocco dei
recettori degli oppiacei nel sistema gastrointestinale».
Foto: GRECO È del 10% l'aumento stimato del rischio di infarto miocardico indotto dai farmaci antinfiammat
ori (Fans), secondo gli ultimi studi
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CARDIOLOGIA Come contrastare gli effetti collaterali
24/11/2013
Il Giornale - Ed. nazionale
Pag. 37
(diffusione:192677, tiratura:292798)
Cinque milioni di italiani con vescica troppo attiva
Luisa Romagnoni
Provate per un attimo a immaginare, cosa vuol dire avere di frequente, durante la giornata, quell'impellente
bisogno di minzione scarsamente controllabile e trovarsi magari nel bel mezzo di un contesto di lavoro o
ricreativo, oppure dover interrompere più volte il sonno notturno, per correre con urgenza al bagno. É una
condizione invalidante, ben nota alle persone che soffrono di sindrome da vescica iperattiva. Oltre cinque
milioni in Italia, il 60 per cento di sesso femminile. La patologia è benigna, ma resta ancora oggi, troppo
spesso sottovalutata, anche dal Servizio sanitario nazionale (Ssn) che, salvo in casi limitati, non prevede
percorsi terapeutici e riabilitativi adeguati. Inoltre, anche a livello di singole regioni e Asl, sussistono diversità
notevoli, nella qualità del servizio e dei trattamenti erogati. Non da ultimo, l'Italia è l'unico Paese europeo a
non prevedere il rimborso dei farmaci più moderni, per questa patologia. Terapie innovative che potrebbero
portare sollievo e beneficio più incisivi, rispetto ai presidi sanitari passivi (i soli ad essere rimborsati).
Quest'ultimi, secondo stime della Federazione Italiana Incontinenti (Finco), producono un costo di oltre
300milioni di euro l'anno. Somma che potrebbe essere ridotta, a fronte di un più facile accesso alle terapie
farmacologiche avanzate, come ad esempio la Tossina botulinica A, capace di modulare selettivamene la
trasmissione neuromuscolare, controllando la contrazione vescicale. Il tema è stato affrontato di recente a
Roma in un incontro scientifico, organizzato al Senato della Repubblica. «La non rimborsabilità di questi
farmaci - sottolinea Giulio Del Popolo, presidente della Società italiana di urodinamica (Siud)orienta spesso
medici e pazienti verso prodotti più economici, caratterizzati da maggiori effetti collaterali quali, tra le più
frequenti, la secchezza delle fauci, i disturbi del visus o, più di sovente, di necessità verso i presidi, assorbenti
o dispositivi per il cateterismo perché rimborsati dal Servizio Sanitario, anche se con diversi criteri tra le
diverse regioni e le diverse Asl. Questo approccio non consente un trattamento precoce, esponendo i pazienti
al rischio di complicanze nel lungo termine».
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INCONTINENZA
24/11/2013
Il Giornale - Ed. nazionale
Pag. 37
(diffusione:192677, tiratura:292798)
Ad Aosta un test agli autotrasportatori per individuare i disturbi del sonno
Gloria Saccani Jotti
Il Geie-Traforo del Monte Bianco, il Raccordo Autostradale Valle d'Aosta (Rav), il Centro di Riferimento
Regione Piemonte per i Disturbi del Sonno dell'ospedale Molinette di Torino e Globe Events Management Torino (Gruppo Gem) hanno promosso l'operazione «Sleep Stop, take your time», iniziativa prima in Italia
sulla sicurezza dedicata - in questa prima fase del progetto pilota - agli autotrasportatori in viaggio
sull'itinerario internazionale del Tunnel del Monte Bianco. Obiettivo informare e sensibilizzare gli
autotrasportatori sulle problematiche legate al sonno (eccessiva sonnolenza diurna, disturbo respiratorio nel
sonno, insonnia, sindrome delle gambe senza riposo) e sulle conseguenze di uno scorretto comportamento
alla guida. Con la collaborazione del Centro di Riferimento Regione Piemonte per i Disturbi del Sonno (diretto
dal Prof. Alessandro Cicolin, dell' Associazione Italiana Medicina del Sonno (AIMS), della Divisione di
Neurologia (Ospedale Civile di Aosta) e della Divisione di Pneumologia Riabilitativa (IRCCS Salvatore
Maugeri, Veruno - Novara) è stato studiato un questionario di screening volto ad individuare eventuali disturbi
del sonno negli autotrasportatori che, volontariamente, si sottoponevano al test. Il test era completamente
anonimo e gratuito. All'iniziativa, realizzata con il patrocinio della Regione Autonoma Valle d'Aosta e della
Regione Piemonte, hanno dato la loro adesione ed il loro sostegno Les Halles d'Aoste, Iveco, PIC Informatica
e Sicor Channel TV. L'attività si è svolta presso l'area dell'autoporto Les Halles d'Aoste, area strategica,
poiché raccoglie il traffico pesante e leggero nei due sensi di marcia dell'autostrada che attraversa la Valle
d'Aosta. Inoltre costituisce luogo di sosta preferenziale dei mezzi pesanti in transito da e verso il Tunnel del
Monte Bianco. Lo screening è stato effettuato alla presenza di medici professionisti, in concomitanza con la
campagna annuale sulla sicurezza di Geie-TMB. Gli autotrasportatori al termine del test hanno anche
ricevuto consigli ed informazioni. Il progetto pilota mira poi ad estendersi a tutto il territorio autostradale
nazionale.
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Malati & Malattie
24/11/2013
Avvenire - Ed. nazionale
Pag. 9
(diffusione:105812, tiratura:151233)
ROMA . «Se è vero che la speranza non si può negare a nessuno, è vero anche che il provvedimento del
Tribunale di Roma rischia di alimentare illusioni e di incidere su scelte avventate e disinformate». È severo e
preoccupato il giudizio di Roberta Amadeo, presidente dell'Associazione italiana sclerosi multipla (Aism),
sull'ordinanza con la quale i giudici romani hanno accolto il ricorso di una 46enne malata di sclerosi multipla
che chiedeva di poter accedere al trattamento con il discusso metodo Stamina, somministrato ad alcune
decine di pazienti affetti da gravi malattie genetiche (in particolare l'atrofia muscolare spinale, o Sma) presso
gli Spedali Civili di Brescia in ottemperanza a numerose decisioni giudiziarie. La donna, malata dal 1982,
aveva tentato tutte le terapie convenzionali, e su indicazione del suo medico curante si era concentrata sulla
cura con cellule staminali. A fronte di promettenti ricerche in corso non esiste però, a oggi, una terapia
sperimentata di questo tipo. La donna dunque si è rivolta a Stamina, il cui metodo però è stato bloccato
dall'Agenzia del farmaco e censurato dal Ministero della Salute che ha negato i fondi per la sperimentazione
dichiarandolo non sicuro. Qualunque malato di sclerosi multipla si rivolga a Stamina, dunque, rischia
drammatiche delusioni. «La scienza, quella in cui una persona con sclerosi multipla ha il diritto di credere,
non ha scorciatoie, non fa miracoli - spiega la presidente di Aism, a sua volta malata -. E quando c'è in ballo
la salute, la dignità e persino la vita delle persone le risposte devono essere non solo efficaci ma soprattutto
sicure». L'Aism - ricorda Roberta Amadeo - «promuove e finanzia ricerche scientifiche rigorose», in
particolare quella «italiana in tutti i campi relativi alle cellule staminali interessanti per la Sclerosi multipla:
mesenchimali, neuronali ed ematopoietiche». Domattina intanto le associazioni pro-Stamina saranno davanti
alla Camera perché «sia garantito il nostro diritto alle cure».
Foto: Roberta Amadeo
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 25/11/2013
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«Sclerosi multipla, illusorie le cure di Stamina»
24/11/2013
Avvenire - Milano
Pag. 1
(diffusione:105812, tiratura:151233)
«Contro la droga, occorre entrare in relazione con i giovani»
Don Rigoldi: «I ragazzi hanno bisogno di figure di riferimento, padri e madri autorevoli Chi si droga, lo fa più
per mancanze affettive»
DI ENRICO NEGROTTI
Guardare ai giovani con uno spirito positivo, capace di entrare in relazione con loro e di aiutarli nella crescita
attraverso modelli autorevoli, è una delle poche ricette che può ottenere risultati sul fronte della lotta ai danni
che droghe, alcol e farmaci causano nei giovani, una piaga spesso dimenticata ma che fa registrare numeri
sempre maggiori, senza che - pare - la società sembri prendere sul serio la necessità di invertire la rotta.
Sono temi affrontati ieri mattina, al convengo della sezione milanese dell'Associazione medici cattolici italiani
(Amci), da quest'anno guidata da Giovanni Meola (direttore dell'Unità operativa di Neurologia e Stroke Unit al
Policlinico San Donato nonché docente di Neurologia all'Università di Milano) da relatori che hanno coperto lo
spettro delle competenze necessarie: dall'educatore don Gino Rigoldi al medico Riccardo Gatti (Asl Milano)
fino al dirigente scolastico della Lombardia, Giuseppe Petralia. Dopo l'intervento di don Paolo Fontana
(responsabile del Servizio per la Pastorale della salute della diocesi di Milano), che ha portato il saluto
dell'arcivescovo Angelo Scola, dall'assessore alle Politiche sociali e cultura della salute Pierfrancesco
Majorino è venuto l'invito a sostenere in modo positivo i giovani nel percorso verso la loro autonomia,
annunciando che il Comune intende utilizzare i fondi della legge 285 nel Piano per l'infanzia e l'adolescenza,
per favorire il recupero di luoghi che servano da centri di aggregazione. Rispetto al consumo della droga nei
giovani, la società adulta è poco attenta, ha lamentato don Gino Rigoldi, fondatore di "Comunità Nuova": «I
ragazzi bevono alcol e consumano cannabis e altro, ma per parlare con loro occorre usare un linguaggio
adeguato, capace di entrare in relazione con loro. Solo se si è capaci dare valore alla persona che si ha
davanti - ha detto il cappellano del "Beccaria" -, che viene accettata per quello che è, allora il giovane si
apre». E gli adulti possono allora scoprire che i giovani («che sono molto migliori di come spesso li si
dipinge») sono confusi, orfani di figure di riferimento come padri e madri. «E chi si droga, spesso, più che
mancanza di valori ha una mancanza affettiva. E i giovani, anche se non lo ammettono, hanno bisogno di
padri che abbiano autorevolezza, che diano punti di riferimento per offrire una direzione per la vita». Un luogo
di educazione ai valori è la scuola, che però è specchio di una società - ha detto il direttore dell'Ufficio
scolastico regionale della Lombardia, Giuseppe Petralia - «che ha smarrito il senso di ciò che è giusto e il
senso del merito e fa diventare tutto relativo. Per questo abbiamo proposto il patto di corresponsabilità tra
scuola, genitori e studenti». A spiegare la tendenza alla dipendenza si è dedicato Riccardo Gatti (direttore del
dipartimento Dipendenze della Asl Milano, che ha in cura circa 3.800 persone): «La dipendenza può essere
indotta sfruttando la nostra naturale propensione a dipendere da qualcosa o da qualcuno». Funzionale a
questo meccanismo è «l'utilizzo dei bambini come generatori di bisogni per gli adulti» inducendo uno stile di
vita che rappresenta una sorta di "patrimonio genetico acquisito". Il rischio attuale è che non si voglia trovare
soluzioni alle dipendenze, generandone di nuove quando le precedenti hanno creato allarme. Don Antonio
Lattuada, consulente ecclesiastico dell'Amci di Milano, ha in conclusione segnalato la necessità di affrontare
la complessità della realtà, dato fastidioso che si tende a ridurre, ma il medico (a maggior ragione quello
cattolico, cioè universale) ha le possibilità di evitare il rischio riduzionistico puntando sul rapporto diretto con il
paziente.
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 25/11/2013
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Amci Al convegno annuale dei medici cattolici, dedicato all'abuso di alcol e sostanze, ampio confronto con
preti educatori, esponenti del mondo della scuola e del recupero dei tossicodipendenti
24/11/2013
Avvenire - Milano
Pag. 5
(diffusione:105812, tiratura:151233)
La Legge di stabilità proposta dal governo è in discussione al Parlamento in queste settimane e non prevede
tagli diretti alla sanità (indirettamente ne potrebbero derivare dai previsti interventi di spending review sulle
spese di gestione dei diversi ministeri e di altri capitoli del bilancio statale quali le agevolazioni al terzo
settore) è di ben poco conforto dopo le drastiche riduzioni di finanziamento pubblico perseguite negli scorsi
anni e proiettate sugli anni futuri, alle quali è corrisposto l'aumento rilevante di ticket e un crescente ricorso
alle prestazioni private per chi se lo può permettere. In questo contesto economico generale si trovano a
operare le Regioni, titolari della gestione della sanità nel quadro dell'ampliamento delle competenze ad esse
attribuite con la riforma del titolo V della Costituzione in tema di servizi socio-assistenziali e sanitari. A questo
proposito la Fap e le Acli promuovono a Milano martedì 26 novembre alle 17 presso l'Auditorium Luigi Clerici
(via della Signora 3) il convegno «L'eccellenza della sanità lombarda: illusione o realtà?». Si confronteranno
Mario Mozzanica, già docente di Organizzazione dei servizi sociali alle persone; Carlo Vergani, responsabile
Unità operativa di geriatria del Policlinico di Milano; Vittorio Mapelli, docente di Economia sanitaria
all'Università Statale di Milano; Alessandro Rampa, direttore sanitario Ospedale Valduce di Como; Giuseppe
Saronni, della segreteria Cisl di Milano, Giuseppe Badolato, responsabile nazionale area legale
AssociatiTribunale per la tutela della salute (Tts) e Giambattista Armelloni, presidente regionale Acli
Lombardia.
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 25/11/2013
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Acli, dibattito sulla sanità lombarda
24/11/2013
Il Secolo XIX - Genova
Pag. 16
(diffusione:103223, tiratura:127026)
Regione a Mosca per vendere i vecchi ospedali
Burlando offrirà agli imprenditori russi i gioielli delle Asl che da anni sono sul mercato. Pronto uno spot in
cirillico
GUIDO FILIPPI
CHISSÀ che in Russia non ci sia qualche miliardario interessato a trasformare l'ex ospedale di Santa
Margherita o una parte dell'ex psichiatrico di Quarto in lussuosi residence o in hotel a cinque stelle? E se ci
fosse qualcuno pronto a spendere tanti rubli per aprire una beauty farm, nel verde e con vista sul golfo di
Imperia, nell'ex ospedale Barellai di Costarainera? Profumo di affari per ha chi enormi potenzialità
economiche e vuole investire in Italia. Se lo augura il presidente della Regione Claudio Burlando che - dal 2
al 6 dicembre - vola a Mosca, assieme all'assessore al Turismo Angelo Berlangieri e ai vertici di Liguria
International, per promuovere l'immagine della nostra regione, firmare accordi commerciali e, se possibile,
vendere i gioielli di famiglia (molti arrugginiti) che la Regione aveva sacrificato e messo in vendita per
ripianare il bilancio 2011. La seconda e ultima grande cartolarizzazione non è andata a buon fine perché, a
quasi due anni di distanza, la crisi del mattone, il crollo degli investimenti immobiliari e il congelamento del
mercato, non hanno consentito di piazzare ex ospedali, terreni, appartamenti, negozi e persino una serra. Un
"pacchetto" di una trentina di immobili che, se venduti bene e come dicono gli agenti immobiliari, «si trova
l'amatore» possono fruttare anche 100 milioni di euro. Non sarà facile, ma la Liguria ha il vantaggio di avere
un grande appeal a Mosca e Burlando tenta il colpo grosso. Insomma, visto che c'è l'occasione, vale la pena
provarci e allora uno degli appuntamenti chiavi della trasferta sarà proprio l'incontro con un gruppo di
imprenditori, non solo della capitale, per proporre i "prodotti liguri". Ci sarà anche l'ex ambasciatore russo in
Italia oggi viceministro degli Esteri che è stato contattato direttamente dal governatore. «Ci sono alcune realtà
imprenditoriali - sottolinea Burlando - che sono interessate ad investire in Liguria. Andiamo a proporre i nostri
immobili dover c'è un mercato emergente». Non ci saranno, ha sottolineato il presidente, nuove colate di
cemento perché tutti i beni hanno una destinazione d'uso ben definita e approvata dalle singole
amministrazioni comunale. Le proposte più rilevanti e di maggior richiamo, come gli ex ospedali di
Costarainera, Santa Margherita e Quarto, verranno presentate anche in un video, ovviamente in cirillico. La
Regione ha già intascato i 76,5 milioni di euro che le servivano per chiudere il bilancio (l'eventuale surplus
della vendita in blocco coprirà investimenti e non debiti), ma i cespiti immobiliari sono ancora in mano ad Arte,
l'Azienda regionale territoriale (Ex Iacp) che di questa operazione è il braccio operativo della Regione. La
vendita del patrimonio immobiliare è in ritardo di almeno sei mesi ed è stata frenata dagli scontri - anche tra
Regione e Comune - sull'area dell'ex ospedale psichiatrico di Quarto, pezzo forte del portafoglio di beni che
andranno all'asta. Dopo averne venduto una parte nella precedente cartolarizzazione - quella che si era
aggiudicata Fintecna nel 2008 pagando 203 milioni di euro che avevano coperto il deficit della sanità del
2005- l'ex psichiatrico di Quarto è una delle perle di questa operazione. Le valutazioni iniziali, che non
prevedono ancora la valorizzazione (ovvero il cambio di destinazione d'uso che risulti ancora più appetibile
sul mercato immobiliare) parlano di circa 27 milioni, che diventano poco meno di 30 milioni se si considerano
le autorimesse, il padiglione del servizio strade e qualche altro edificio inutilizzato. Dopo il no delle famiglie
dei pazienti psichiatri e di altre associazioni, sono stati "ritirati" dal mercato alcuni padiglioni e venerdì
prossimo verrà siglato l'accordo con il Comune. Verrà venduta anche quell'ala dell'ex ospedale Martinez di
Pegli che non rientra nella ristrutturazione e che non ospiterà la casa della salute del ponente genovese.
Potrebbe essere la volta buona anche per liberarsi dell'ex ospedale Maria Teresa di Arenzano, chiuso da
vent'anni. È vincolato dal lascito ad essere sempre utilizzato per fini socio-sanitari e a non cambiare mai
nome e finora solo il Comune ha manifestato un timido interesse. Potrebbero essere un affare l'ex residenza
per anziani di via Adelasia, ad Alassio (strutture turistico ricettive, e negozi), a Savona il complesso di villa
Zanelli (strutture turistico ricettive nella villa); a Varazze una residenza sanitaria assistenziale in via Calcagno
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 25/11/2013
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GLI IMMOBILI ERANO STATI SACRIFICATI PER COPRIRE IL BUCO DELLA SANITÀ LIGURE
24/11/2013
Il Secolo XIX - Genova
Pag. 16
(diffusione:103223, tiratura:127026)
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 25/11/2013
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(residenza e strutture turistico-ricettive) e a Recco l'ex ospedale in via Polleri. Insomma ce n'è per tutti i gusti
e Burlando spera di tornare a Genova almeno con qualche promessa d'acquisto. Una volta si poteva dire che
al Cremlino giocava in casa.
Il patrimonio immobiliare in vendita Sanremo Bussana Savona Alassio Genova Sarzana La Spezia
Levanto Costarainera Imperia Busalla Borgo Fornari Varazze Ospedaletti Finale Ligure Loano Albissola
Marina Arenzano S. Margherita Lig. Recco Rapallo Padiglione Barellai ex APT Centro antiviolenza Via Fiume
Terreni (Area 24) Ex Villa Zanelli Via Nizza snc Via Neghelli Via Adelasia Via Calcagno Donazione Rambaldi
Vico San Pietro Corso Europa Via Garbarino Ex Colonia Olivetti Ex Liceo Pacinotti Via Rigazzara Località
Pitelli Stradone Doria Via XX Settembre 174 Terreni (loc. Lavaggiorosso) Via Donaver (IST) Via Dassori
Lungomare Pegli Pegli 54 (distributore) Ospedale Martinez Ex Ospedale Quarto Ospedale Maria Teresa Ex
Ospedale Arpe Ex Ospedale Via Cerisola Chiapparolo (str. campi da Tiro) Via Roma Terreni (Loc.
Panigasse) COMUNE STRUTTURA DESCRIZIONE Fabbricato e terreni Uci Ucio Ambulatori Terreni
Fabbricato e parco Area urbana Fabbricato e serre Fabbricati e terreni Fabbricati Fabbricati e terreni Negozio
Appartamento Area urbana Negozio Appartamento 2 negozi Piazzale Fabbricati Fabbricati e terreni
Fabbricato Fabbricato e area esterna Fabbricati e terreni Magazzino Fabbricato e terreno Appartamento e
box Terreni Fabbricati e parco Fabbricato e area esterna Appartamento Fabbricato rurale Appartamento
Negozio Terreni SUPERFICI GRAFICI IL SECOLO XIX Immobile: 4.700 mq. Area: 1.488 mq. Immobile: 520
mq. Immobile: 80 mq. Unità immobiliare: 330 mq. Area: 5.965 mq. Immobili: 2.050 mq. Area: 9.875 mq. Area:
4.800 mq. Immobili: 208,51 mq. Area: 2.770 mq. Immobili: 4.700 mq. Area: 2.500 mq. Immobili: 2.300 mq.
Area: 600 mq. Immobili: 480 mq. Area: 1.414 mq. Unità immobiliare: 59 mq. Unità immobiliare: 75 mq. Rea:
140 mq. Unità Immobiliare: 21 mq. Unità immobiliare: 133,56 mq. Unità immobiliare: 227 mq. Immobile: 135
mq. Area: 854 mq. Immobile: 1.740 mq. Immobili: 18.440 mq. Area: 11.398 mq. Immobile: 2.000 mq.
Immobile: 5.700 mq. Area: 2.420 mq. Immobile: 557 mq. Area: 30.452 mq. Immobile: 568 mq. Area: 1.377
mq. Immobile: 178 mq. Area: 11.831 mq. Immobili: 95 mq. Box: 296 mq. Area: 39.540 mq. Immobili: 3.900
mq. Area: 29.000 mq. Immobile: 3.100 mq. Area. 2.450 mq. Unità immobiliare: 60 mq. Unità immobiliare: 98
mq. Unità immobiliare: 94 mq. Unità immobiliare: 110 mq. Area: 2.600 mq.
24/11/2013
Il Secolo XIX - Genova
Pag. 16
(diffusione:103223, tiratura:127026)
APERTA AL GALLIERA LA CLINICA PRIVATA
Un piano del padiglione C è riservato alla libera professione dei medici per le visite: tre primari hanno già
aderito
CI PENSAVANO da almeno tre anni e ora hanno impiegato quattro mesi per realizzarla. Da una settimana il
Galliera ha una "clinica" interna per le visite private dei medici. Ha aperto lunedì scorso, alla chetichella, ma
la fase di rodaggio è già stata superata senza intoppi e nell'agenda dei primi cinque giorni sono stati segnati
una trentina di appuntamenti. Per l'ospedale di Carignano è una svolta e, allo stesso tempo, una scommessa
in attesa che venga sciolto il nodo sul progetto del nuovo ospedale. L'amministrazione ha deciso di riservare
un piano del padiglione C (otto piani con ingresso da corso Mentana) alla libera professione dei medici. Tra
l'altro, negli ultimi mesi, la palazzina è stata in parte svuotata perché alcuni reparti sono stati trasferiti nella
parte storica della "Duchessa", nonostante i mugugni e le proteste dei dipendenti per le carenze di comfort
alberghiero. All'attività privata è stato riservato il quarto piano: quattordici studi (tutti luminosi e quasi tutti con
vista mare), una reception con due impiegate e persino una macchina da caffè per ingannare l'attesa. Gli
ambulatori sono aperti dal lunedì mattina alle 8 al venerdì sera alle 8, ma la maggior parte degli appuntamenti
sono concentrati al pomeriggio, quando i medici finiscono di lavorare in ospedale. Le visite possono essere
prenotate al telefono o direttamente in reparto, ma a gennaio entrerà in funzione un programma informatico
che consentirà ai pazienti di prenotarsi la visita direttamente dal tablet o dal computer, mentre lo stesso
specialista potrà gestirsi la propria agenda. E le tariffe? Non cambiano rispetto al passato, ma come
prevedono le norme sull'intramoenia, devono essere concordate con l'amministrazione e pubblicate sul sito
aziendale. Insomma, almeno sulla carta, non ci dovrebbero essere sorprese a fine visita. Finora sono stati
almeno una trentina i medici della Duchessa che hanno accettato di esercitare la libera professione al
padiglione C e che sono già entrati nell'agenda degli appuntamenti. Hanno risposto subito - anche se
visitavano già i pazienti nei loro studi all'interno dei reparti - tre primari, Giuliano Lo Pinto (Medicina), Paolo
Severi (Neurochirurgia) e Mauro Oliveri (Ortopedia e traumatologia), mentre sono pronti a far parte del
gruppo il primario di Chirurgia Marco Filauro, il direttore di Ortopedia delle Articolazioni Claudio Mazzola che
è anche consulente di fiducia della Sampdoria e altri specialisti di richiamo che hanno ora un contratto con
alcune case di cura come Villa Serena e Villa Montallegro. Il Galliera ha investito oltre 200 mila euro (di una
finanziamento vincolato) per ristrutturare il quarto piano, tra interventi di edilizia, arredi, apparecchiature
sanitarie, strumenti per le visite cardiologiche, ma anche alcuni ecografi di ultima generazioni. Tutta
l'operazione, dagli aspetti amministrativi ai rapporti con imprese e con i fornitori, è stata gestita dal direttore
amministrativo Luciano Grasso che, grazie alla sua esperienza trentennale nella sanità ligure, ha fatto
rispettare i tempi di consegna, mentre gli aspetti medici sono stati curati, con grande attenzione e
professionalità, da Mauro Nelli della direzione sanitaria. «È un intervento - spiega il direttore generale Adriano
Lagostena - che garantisce una risposta più ordinata ai pazienti. Anche la risposta dei medici è stata più che
positiva. Il padiglione C diventerà presto il poliambulatorio del nostro ospedale e tutti i piani saranno occupati
entro la primavera dell'anno prossimo».
14
gli studi medici al quarto piano del padiglione C del Galliera, dedicati alla libera professione
30
i medici del Galliera
che hanno già accettato di esercitare l'attività privata nel nuovo reparto
Foto: Il padiglione C dell'ospedale Galliera
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 25/11/2013
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SVOLTA STORICA PER LA "DUCHESSA" DI CARIGNANO: ATTREZZATI QUATTORDICI STUDI IL
RETROSCENA
24/11/2013
Il Tempo - Roma
Pag. 3
(diffusione:50651, tiratura:76264)
Accreditate 15 residenze assistenziali
La Regione Lazio con un decreto firmato da Nicola Zingaretti, presidente della Regione e commissario per la
Sanità, ha chiuso l'iter di accreditamento definitivo relativo a quindici nuove RSA (residenze sanitarie
assistenziali), attivando così 1022 nuovi posti in tutto il territorio regionale. In particolare cinque strutture sono
dislocate nella Capitale. Una a Villa Clara nel territorio della Asl RmD (Ostia -Portuense); una a Villa Longoni
nella Asl RmB (Tiburtina-Nomentana) e tre nella Roma A che gestisce la sanità pubblica nel centro di Roma:
Rsa Salus, Città Giardino e Santa Chiara. Complessivamente dunque i posti attivati in città sono 348. Nel
territorio le strutture accreditate sono sette, tre nell'area dei Castelli romani, (Rsa Pigneto, Sacro Cuore, Il
Tetto); due nell'area di Tivoli - Monterotondo (Fondazione Turati e Icillio Giorgio Mancini). Altre due Rsa
invece operano nell'area di Civitavecchia (Asl RmF) e sono la Santa Marinella e la Quinto Stella.
Complessivamente i posti attivati nelle tre aziende sanitarie della provincia di Roma sono invece 438. Nel
dettaglio a Latina le Rsa accreditate sono tre: la Domus Area, la Pontina e la San Michele hospital, in questo
caso i posti sono 236. «L'atto - spiega il governatore del Lazio e commissario ad acta Nicola Zingaretti risponde ad un fabbisogno estremo di questa Regione di assistenza rivolta soprattutto agli anziani. Il decreto
adesso mette quindici strutture in grado di lavorare finalmente con maggiore serenità. È importante che
possano farlo - prosegue Zingaretti - perché così si evita di scaricare questa domanda di assistenza sugli
ospedali, o peggio, sulle famiglie già vessate economicamente dalla crisi - sottolinea il presidente della
Regione Lazio - Il provvedimento inoltre rappresenta un tassello essenziale di quella sanità territoriale che
stiamo iniziando a costruire nella nostra Regione. In pochi mesi, tra conferme e nuovi accreditamenti conclude Zingaretti - abbiamo messo in regola e attivato circa 2000 posti di Residenze sanitarie
assistenziali».
Foto: Zingaretti È anche commissario per la Sanità
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 25/11/2013
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Sanità Il decreto del governatore: gli anziani della Capitale potranno contare su 348 posti in più
25/11/2013
Corriere Economia - N.39 - 25 novembre 2013
Pag. 21
Spesa pubblica La minaccia dell'obesità
La cura di persone sovrappeso rischia di portare al 10,6% del Pil il budget sanitario Il campanello d'allarme
suona anche per i bimbi. Un euro in prevenzione ne vale tre
FAUSTA CHIESA
Le casse dello Stato? Rischiano di rimanere schiacciate dal peso degli obesi. Quando si parla di sostenibilità
della spesa sanitaria pubblica, le proiezioni si concentrano sull'impatto della componente demografica e di
quella economica. Ma c'è una variabile altrettanto importante, che - se trascurata - rischia di mandare fuori
controllo il sistema nei prossimi decenni: è l'obesità. Le stime, contenute in un paper del Barilla Center for
Food and Nutrition, che il 26 e 27 novembre organizza all'università Bocconi di Milano il 5° Forum mondiale
sulla nutrizione e l'alimentazione, sono chiare: gli obesi incideranno sulla spesa sanitaria più del previsto.
I numeri
Ecco i calcoli e lo scenario. Nel 2010 la spesa per la sanità (113,5 miliardi di euro) era pari al 7,3% del Pil, nel
2050 la percentuale sul Prodotto interno lordo salirà al 9,7% (281,5 miliardi). Questo, se ci si basa sull'ipotesi
che il quadro epidemiologico (cioè la frequenza e la ricorrenza delle malattie) non cambi. Il fatto è che non
sarà così, perché le persone obese e in sovrappeso sono destinate ad aumentare, in Italia molto più che in
altri Paesi europei. «L'Italia è sotto la media Ocse per l'obesità degli adulti - spiega Camillo Ricordi, membro
dell'Advisory Board del Barilla Center for Food and Nutrition, scienziato e direttore del centro sul diabete
all'università di Miami -. Ma preoccupa l'obesità infantile: il tasso di bambini italiani in sovrappeso è del
31,6%, appena sotto quello degli Stati Uniti e più del doppio rispetto alla Francia. Si tratta di un vero
campanello d'allarme».
Altro che dieta mediterranea. Tra junk food e sedentarietà, l'Italia è diventata insospettabilmente uno dei
Paesi più a rischio. I bambini obesi sono l'11% della popolazione. Si stima che il numero di persone adulte
sovrappeso aumenterà del 2,4% medio annuo fino al 2025 e del 2,8% medio annuo dal 2025 al 2050. A
causa delle conseguenze probabili dell'obesità (malattie cardiovascolari, diabete, alcuni tumori) si ipotizza
che il costo sanitario di una persona adulta obesa sia in media 1.400 euro superiore rispetto alla media procapite. Incrociando i dati, si arriva a una previsione al 2050 che porta a un maggior onere per circa 24,3
miliardi, con un'incidenza della spesa sanitaria sul Pil pari a circa il 10,6%. «A livello politico ci si sveglia
quando c'è l'emergenza - commenta Camillo Ricordi - ma la situazione è tale da imporre subito un impegno
collaborativo tra politica, industria, scuole e famiglie. Ogni euro investito in prevenzione significa tre euro di
risparmi in spesa sanitaria futura. Ma non sono risultati a breve termine e ci vuole uno sforzo collettivo».
Cura
Prevenire è (anche economicamente) meglio che curare. Ma che cosa fanno i governi per la prevenzione? I
paesi europei stanno intensificando gli sforzi per incoraggiare un'alimentazione sana e uno stile di vita attivo
con iniziative rivolte ai bambini in età scolare, come l'introduzione di cibi sani nei menu scolastici e nei
distributori automatici, programmi di educazione alla salute e messaggi di promozione che incoraggiano l'uso
della bicicletta o gli spostamenti a piedi. «Una simile strategia - riporta il paper - costerebbe non più di 15
euro in Giappone e nel Regno Unito, 17 euro in Italia e 24 euro in Canada, una quota infinitesimale, quasi
impercettibile, della spesa sanitaria di questi Paesi, che costituirebbe solo una piccola parte di quel 3% di
spesa sanitaria che i Paesi Ocse spendono in media in prevenzione».
Al contrario, i governi sono tendenzialmente refrattari a ricorrere a strumenti normativi o fiscali, soprattutto per
il timore di un conflitto con le industrie. «Personalmente sono, invece, piuttosto favorevole alle leve fiscali conclude Ricordi -. Ci sono cibi e bibite che contengono ingredienti poco sani (eccesso di sale o zuccheri,
grassi trans) spesso introdotti allo scopo di farne aumentare il consumo. Tassarli potrebbe un modo per
disincentivare il consumo e finanziare le spese pubbliche per sovvenzionare alimenti più in linea con
l'alimentazione corretta». Non è un caso se - dopo quella contro il fumo - la prossima class action negli Stati
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 25/11/2013
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Trend Le proiezioni al 2050 nel paper del «Barilla Center for Food and Nutrition » presentato a Milano
25/11/2013
Corriere Economia - N.39 - 25 novembre 2013
Pag. 21
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 25/11/2013
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Uniti potrebbe essere verso alcuni componenti dell'industria alimentare.
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Un costo sociale La spesa per l'obesità in % sulla spesa sanitaria L'impatto sui conti Andamento del rapporto
spesa sanitaria/pil. Previsioni nel caso base e nell'ipotesi di aumento dell'obesità 2015 14% 20% 32% 25%
36% 22% 20% 16% 5% 29% 15% 25% 51% 61% 68% 45% 52% 38% 2020 2025 2030 2035 2040 2045
2050 Caso base Caso aumento obesità Bambino Adulto Fonte: The European House Ambrosetti, 2011 1,54,6 Francia 6 Uk 6,7 ITALIA 5-10 Usa 8 Europa 2-8 Mondo Francia Germania ITALIA Regno Unito Stati Uniti
Brasile India Cina Giappone Media Paesi Ocse Il bisogno di educazione alimentare L'incidenza dell'obesità
per fasce di età sulla popolazione totale 2010 7,3% Fonte: Ocse Health at a Glance, 2011 22% 51% La
spesa sanitaria sostenuta da una persona obesa rispetto a un soggetto normopeso +25% 10,6% 9,7%
Pparra
Foto: Studioso Camillo Ricordi, advisory board Barilla center SCHEDA L'evento
Il 26 e 27 novembre all'università Bocconi di Milano, il Barilla Center for Food and Nutrition organizza il 5°
Forum mondiale sulla nutrizione e l'alimentazione. Esperti mondiali e opinion leader offriranno la loro visione
sul cibo, sulla nutrizione e sulla sostenibilità.
23/11/2013
Gente - N.49 - 3 dicembre 2013
Pag. 56
(diffusione:372741, tiratura:488629)
panico 10 milioni gridano "aiuto"
sempre più italiani sono vittime di attacchi d'ansia. e per due milioni è un disturbo cronico. «da cui si può
guarire, purché non lo si affronti in solitudine», dicono gli esperti
se il respiro diventa folle respirare dentro un sacchetto di carta durante un attacco aiuta a evitare
l'iperventilazione. il percorso delle emozioni le sinapsi sono i collegamenti tra le cellule nervose del cervello. il
panico corre su questi fili. di Stefano Nazzi Chi ne soffre li descrive come "simulazioni di morte". Minuti
interminabili in cui il battito cardiaco va a mille, l'oppressione al petto è insopportabile, i tremori incontrollabili.
E poi il sudore, il giramento di testa, il dolore addominale. Quando tutto finisce si è spossati, distrutti, ci si
sente a pezzi, travolti da un tornado interiore destinato a lasciare il segno. Nell'anima resta una paura: che
possa capitare di nuovo. E purtroppo la paura è accompagnata da una certezza: che sì, succederà di nuovo.
Non conta a nulla sapere che si tratquesti i sintomi più comuni SoNo le doNNe a SoffrirNe di più. e
aumeNtaNo i giovaNi Confusione Sudorazione Tensione muscolare Vampate Rossore Nodo alla gola
Vertigini Affanno Tachicardia Debolezza Dolore al petto Tremore ta di una grande bugia della mente, che il
cuore funziona bene e che nel nostro fisico non c'è nulla che non va. Il pericolo non esiste, ma la sofferenza è
estrema. Si chiamano attacchi di panico: dieci milioni di italiani l'hanno provato almeno una volta, due milioni
ne soffrono regolarmente. Ma di che cosa si tratta? «È un'insorgenza improvvisa, rapida, in pieno benessere
e a ciel sereno di un tremendo disagio», spiega Rosario Sorrentino, neurologo, autore, con Cinzia Tani, del
libro Panico , edito da Mondadori. «Si manifesta sul piano fisico con senso di soffocamento e vertigine,
difficoltà respiratoria, tremori, palpitazioni, dolori al petto che fanno pensare a un infarto». Sono i sintomi più
frequenti, ma recenti studi ne hanno catalogati oltre cento. E poi ci sono i sintomi psichici: chi soffre si
attacchi di panico vive un'angoscia terribile, immotivata, prova disorientamento, quasi che la mente si
separasse dal corpo. Gli attacchi di panico durano pochi minuti, ma la percezione del tempo è falsata: che
vive un attacco ha la sensazione di non poterne uscire, di stare per morire o impazzire. I giovani colpiti sono
sempre di più, chi soffre di Dap (disturbi da attacchi di panico) ha prevalentemente tra i 16 e i 45 anni, per il
70 per cento circa si tratta di donne. Il cantante Robbie Williams ha raccontato di aver sofferto di violentissimi
attacchi per molto tempo, ogni volta che doveva salire sul palco. Arrigo Sacchi, tornato ad allenare il Parma
dopo tanti trionfi, rinunciò al ruolo proprio perché gli attacchi di panico erano sempre più violenti e ravvicinati:
un giorno dovette accostare l'auto in autostrada, in corsia di sorpasso, travolto da un'ansia che lo
immobilizzò. Ne hanno sofferto o ne soffrono Martina Stella e Carlo Verdone, Kim Basinger e Giovanni Allevi,
Barbara Berlusconi e Alessandro Gassmann. Federica Pellegrini ne fu colpita durante i Campionati europei in
vasca corta a Eindhoven, nel 2010: il mix di sofferenza e angoscia la portò fuori dall'acqua. Ebbe il coraggio
di affrontare il problema senza nascondersi: «Sono fatta di carne e ossa, ho attacchi di panico, uno psicologo
mi sta seguendo. Ne uscirò». Ma da dove nascono gli attacchi? Chi ne viene colpito? «Io soffrivo di attacchi
immotivati», racconta la scrittrice Cinzia Tani, «li ho subiti per vent'anni. Arrivavano all'improvviso, duravano
alcuni minuti e mi lasciavano stravolta, distrutta. C'è chi invece soffre di attacchi di panico relativi a
determinate fobie, come la claustrofobia o l'agorafobia, la paura del chiuso o della folla». Secondo Rosario
Sorrentino gli attacchi di panico sopraggiungono soprattutto in luoghi affollati: aerei, treni, discoteche, aule
scolastiche, dove predomina un elemento invisibile, inodore e incolore: l'anidride carbonica. «Bisogna
immaginarsi in una situazione particolare», spiega, «per esempio, in una metropolitana affollata all'ora di
punta. I nostri "sensori", valutata la qualità dell'aria, informano i centri nervosi del pericolo che incombe. Dal
cervello parte una sostanza che si chiama noradrenalina che raggiunge l'amigdala, la parte del cervello che
gestisce le emozioni, in particolare la paura». Forse peggio degli attacchi di panico è la paura anticipatoria. E
cioè la paura degli attacchi: «Il malato si chiude in un recinto», continua Sorrentino, «per difendersi dalla
"paura del panico". Perché il primo attacco è devastante, sconvolgente: il ricordo viene custodito
nell'ippocampo che per il cervello è una sorta di scatola nera degli aerei. Ho curato un tassista, a Roma, che
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 25/11/2013
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inchiesta Viaggio dentro una malattia subdola diVentata dramma sociale
23/11/2013
Gente - N.49 - 3 dicembre 2013
Pag. 56
(diffusione:372741, tiratura:488629)
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 25/11/2013
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per vent'anni ha vissuto dentro il suo taxi parcheggiato davanti all'ospedale Umberto I nel terrore di un
attacco di panico: voleva essere certo di trovare un rapido soccorso». La paura del prossimo attacco spinge a
limitare sempre di più la vita, spesso a chiudersi in casa, a evitare qualsiasi situazione che si giudica a
rischio. Diventa una vita di sofferenza che gli altri, da fuori, non riescono a capire («Se sai di non avere nulla,
perché continui a stare male?», è la domanda classica). Come se ne esce? «Ce la si può fare, con gli
strumenti adatti. Sempre sotto la guida di un medico specialista, ovviamente. E poi serve attività fisica di tipo
aerobico per mettere in moto quella che io chiamo "la farmacia privata". L'attività fisica aiuta il rilascio di
serotonina, una sostanza che ci aiuta a stare bene». E la psicoterapia è utile? «L'unica terapia utile è quella
cognitivo-comportamentale, e cioè una terapia mirata, che non duri certo anni». Conclude Cinzia Tani: «Io
sono la dimostrazione vivente che dagli attacchi di panico si può guarire completamente. Non riuscivo più a
prendere un'ascensore o a guidare un'auto sotto una galleria. Ora prendo l'aereo senza problemi. Certo,
magari in borsa mi porto un tranquillante. Ma solo per sicurezza». Stefano Nazzi
è il male oscuro di divi e rockstar
le crisi di federica e robbie williams ora è guarito alessandro gassmann, 48 anni, ha smesso di soffrirne
dopo le cure di uno psicoanalista. sono tanti i personaggi celebri che hanno raccontato di soffrire di attacchi di
panico. «ho conosciuto moltissimi cantanti, attori, uomini e donne di spettacolo», racconta la scrittrice cinzia
tani, «che soffrono di attacchi prima di salire su un palco o di comparire in un set». colpito per anni carlo
verdone, 63 anni, ha detto: «sono sempre stato vittima degli attacchi di panico». un blocco sul palco
madonna, 55 anni, ha raccontato di aver avuto attacchi mentre cantava, durante un concerto. paura Del
pubblico robbie Williams, 39 anni, per molto tempo ha avuto violenti attacchi prima di salire sul palco. le
capitò agli europei federica pellegrini, 23 anni, subì un attacco nel 2010, agli europei di nuoto in vasca corta.
pirata non volante gli attacchi di Johnny Depp, 50 anni, sono da sempre legati alla paura di volare.
dieci consigli
le mosse urgenti Ecco qualche piccolo stratagemma per contrastare l'attacco di panico. 1) Non sdraiatevi: la
posizione peggiora i sintomi. 2) Non tentate di far finta di niente. 3) Non cercate di combattere e di resistere
all'attacco. 4) Cercate di respirare subito aria fresca. 5) Fate due passi, aiuta a calmarsi. 6) Respirate
regolarmente. 7) Massaggiate la parte del corpo che vi fa male. 8) Lasciatevi andare e aspettate che passi:
l'attacco non dura mai più di qualche minuto. 9) Non scappate in modo incontrollato: peggiora le cose. 10)
Mettetevi comodi, lontani il più possibile dalla confusione.
Foto: IL SENSo dI ISoLaMENto durante l'attacco, chi ne soffre si sente completamente isolato dal mondo
esterno. La Fuga dI BIaNCaNEvE anche un'eroina delle fiabe come Biancaneve fu preda del panico
fuggendo nel bosco.
22/11/2013
Internazionale - N.1027 - 22 novembre 2013
Pag. 36
(tiratura:130000)
La lentezza delle idee
Alcune innovazioni fondamentali si difondono rapidamente, altre incontrano resistenze apparentemente
senza senso. Come accelerare i tempi di quelle più lente? La tecnologia non basta, scrive il chirurgo Atul
Gawande, per cambiare le norme e le abitudini serve il contatto diretto tra le persone
Atul Gawande, The New Yorker, Stati Uniti
Perché certe novità si difondono rapidamente e altre lentamente? Pensate ai percorsi del tutto diversi che
hanno seguito due scoperte dell'ottocento come l'anestesia e gli antisettici. Gli effetti dell'anestesia furono
dimostrati pubblicamente per la prima volta nel 1846. Il chirurgo di Boston Henry Jacob Bigelow fu avvicinato
da un dentista suo concittadino di nome William Morton, che gli disse di aver scoperto un gas in grado di
rendere i pazienti insensibili al dolore degli interventi. Era un'afermazione clamorosa. A quei tempi, anche la
semplice estrazione di un dente era atroce. Non potendo eliminare la soferenza, i chirurghi lavoravano a una
velocità fulminea. I loro assistenti tenevano fermi i pazienti che urlavano e si dibattevano fino a quando non
svenivano per il dolore. Niente di quanto era stato tentato fino a quel momento aveva mai funzionato.
Nonostante questo, Bigelow permise a Morton di dimostrare la sua afermazione. Il 16 ottobre 1846, al
Massachusetts general hospital, Morton somministrò attraverso un inalatore inserito nella bocca il suo gas a
un ragazzo che doveva essere sottoposto all'escissione di un tumore alla mandibola. Durante l'operazione il
paziente si limitò a borbottare tra sé in uno stato di semicoscienza. Il giorno dopo, con lo stesso gas, una
donna alla quale doveva essere asportato un grosso tumore all'avambraccio rimase completamente muta e
immobile, e quando si svegliò disse di non aver sentito nulla. Quattro settimane dopo, il 18 novembre,
Bigelow pubblicò sul Boston Medical and Surgical Journal un articolo sulla "insensibilità indotta per
inalazione". Morton non voleva divulgare la composizione del gas, che aveva chiamato letheon , perché ne
aveva chiesto il brevetto. Ma Bigelow scrisse di aver riconosciuto l'odore dell'etere (che veniva già usato
come ingrediente in alcune preparazioni), e sembra che questo sia stato suficiente. A metà dicembre i
chirurghi di Parigi e di Londra somministravano già l'etere ai loro pazienti. A febbraio l'anestesia era stata
usata in quasi tutte le capitali d'Europa, e a giugno nella maggior parte dei paesi del mondo. Naturalmente,
c'era stata qualche resistenza. Qualcuno riteneva che l'anestesia fosse un "lusso inutile", i preti ne
deploravano l'uso per ridurre la soferenza durante il parto perché andava contro il progetto divino. James
Miller, un chirurgo scozzese dell'epoca che documentò l'avvento dell'anestesia, notò che i chirurghi più
anziani erano contrari. "Chiudevano gli occhi, si tappavano le orecchie e incrociavano le braccia. Era come se
avessero deciso che il dolore era un male necessario e doveva essere sopportato". Ma ben presto anche i
più dubbiosi "saltarono di corsa sul carro, lanciando grida di gioia". Nel giro di sette anni quasi tutti gli
ospedali statunitensi e britannici avevano adottato la nuova scoperta. La sepsi, o infezione, era l'altra grande
piaga della chirurgia. Era la principale responsabile della morte dei pazienti, uccideva circa la metà delle
persone sottoposte a interventi di alta chirurgia, come la riparazione di una frattura scoperta o l'amputazione
di un arto. Le infezioni erano così frequenti che la suppurazione, l'uscita di pus dalla ferita, era ritenuta una
fase inevitabile della guarigione. L'importanza di lavarsi le mani Negli anni sessanta dell'ottocento il chirurgo
di Edimburgo Joseph Lister lesse un articolo in cui Louis Pasteur dimostrava che i processi di
decomposizione e di fermentazione erano causati da microrganismi. Lister si convinse che lo stesso
processo si verificava nelle ferite infette. Pasteur aveva osservato che, oltre che con il filtraggio e il calore, i
germi potevano essere eliminati esponendoli a certe sostanze chimiche. Aveva letto che nella città di Carlisle
erano riusciti a eliminare l'odore delle fogne usando una piccola quantità di acido fenico, e ne aveva dedotto
che distruggesse i germi. Forse si poteva fare la stessa cosa in chirurgia. Negli anni immediatamente
successivi ideò vari modi per usare l'acido fenico per lavare le mani e le ferite e per eliminare i germi
dall'ambiente operatorio. Il risultato fu una notevole riduzione del tasso di setticemia e di morte. Si sarebbe
potuto pensare che, dopo la pubblicazione delle sue osservazioni su The Lancet nel 1867, il metodo
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 25/11/2013
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In copertina
22/11/2013
Internazionale - N.1027 - 22 novembre 2013
Pag. 36
(tiratura:130000)
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 25/11/2013
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antisettico si sarebbe difuso con la stessa rapidità dell'anestesia. Ma le cose non andarono afatto così. Il
chirurgo J.M.T. Finney ricordava che, quando era praticante al Massachusetts general hospital, vent'anni
dopo, l'obbligo di lavarsi le mani era ancora solo formale. I chirurghi immergevano i ferri nell'acido fenico ma
continuavano a operare con le loro redingote nere incrostate di sangue e viscere delle operazioni precedenti,
per dimostrare che erano molto impegnati. Invece di usare garze pulite, riutilizzavano le stesse spugne
marine senza sterilizzarle. Sarebbe passata una generazione prima che le indicazioni di Lister venissero
rispettate regolarmente e fossero fatti i passi successivi verso i moderni standard dell'asepsi: escludere
totalmente i germi dall'ambiente operatorio, usare strumenti sterilizzati con il calore e indossare camici e
guanti sterili. In un'epoca di comunicazioni digitali ci aspetteremmo una diffusione più rapida delle innovazioni
importanti. E in molti casi è così. Pensate alla fecondazione assistita, alla genomica e alla stessa tecnologia
della comunicazione. Ma potremmo stilare una lista altrettanto lunga di scoperte vitali che non hanno
attecchito. Il problema è: perché? Forse la difusione dell'anestesia e degli antisettici è stata diversa per motivi
economici? In realtà, gli incentivi erano gli stessi. Se la chirurgia indolore attirava più pazienti che pagavano,
lo stesso discorso sarebbe dovuto valere per un più basso tasso di mortalità. Senza contare che era più
probabile che un paziente vivo pagasse la parcella. Forse le idee controtendenza sono più dificili da
accettare. Per i chirurghi dell'ottocento, la teoria dei germi era illogica quanto quella di Darwin sull'evoluzione
degli esseri umani. Ma in fondo lo era anche l'idea che inalando un gas si potesse entrare in una sorta di
stato comatoso in cui non si provava dolore. I sostenitori dell'anestesia aiutarono i chirurghi a superare
questo scetticismo incoraggiandoli a provare l'etere su un paziente e vedere i risultati con i loro occhi. Ma
quando Lister propose la stessa strategia non andò molto lontano, in parte a causa della complessità tecnica.
Per "provare" il metodo di Lister bisognava prestare un'estrema attenzione ai dettagli. I chirurghi dovevano
immergere scrupolosamente le mani, i ferri e perfino il filo di sutura nella soluzione antisettica. Lister aveva
anche ideato un congegno che spruzzava continuamente antisettico nebulizzato nella sala operatoria. Ma
anche usare l'anestesia era complicato. Produrre l'etere e costruire l'inalatore era laborioso. Bisognava
assicurarsi che il congegno emettesse la giusta dose di gas, e il suo meccanismo doveva essere tenuto
continuamente sotto controllo. Eppure molti chirurghi usarono lo stesso questo metodo, o passarono al
cloroformio, che si era rivelato un anestetico ancora più potente sebbene presentasse qualche problema (se
si sbagliava la dose si poteva uccidere il paziente). Nonostante la complessità della tecnica, non ci
rinunciarono, anzi, diedero vita a una nuova specializzazione: l'anestesiologia. Allora quali erano le
diferenze? In primo luogo, un metodo combatteva un problema immediato e visibile (il dolore), mentre l'altro
combatteva un problema invisibile (i germi) i cui efetti si sarebbero manifestati solo molto tempo dopo
l'operazione. In secondo luogo, sebbene entrambi migliorassero la vita dei pazienti, solo uno migliorava
quella dei dottori. L'anestesia aveva trasformato la chirurgia da una frettolosa e brutale aggressione a un
paziente urlante, in una procedura tranquilla e ponderata. Il listerismo, al contrario, imponeva al chirurgo di
lavorare in una nebbia di acido fenico che, anche alle concentrazioni più basse, gli bruciava le mani. Quindi si
capisce perché la crociata di Lister non ebbe molto successo. La stessa cosa si è verificata nel caso di molte
scoperte importanti. Risolvevano problemi gravi ma invisibili agli occhi di molti, e applicarle era noioso, se non
addirittura doloroso. La distruzione prodotta dal riscaldamento globale, i danni alla salute causati dalla
moderna dieta troppo ricca di zuccheri, la catastrofe economica e sociale provocata dai miliardi di prestiti non
restituiti dagli studenti sono fenomeni che si aggravano impercettibilmente giorno dopo giorno. Ma i rimedi,
che richiedono qualche tipo di sacrificio personale, faticano a essere adottati. Il problema mondiale della
morte per parto è un altro esempio. Ogni anno 300mila donne e più di sei milioni di bambini muoiono al
momento del parto, soprattutto nei paesi più poveri. In quasi tutti i casi è a causa di qualcosa che si verifica
durante o subito dopo il parto. La madre può avere un'emorragia. Lei o il bambino possono contrarre
un'infezione. Molti neonati non riescono a respirare subito senza aiuto e, soprattutto quelli che nascono
sottopeso, hanno dificoltà a regolare la temperatura corporea. Soluzioni semplici, che potrebbero salvare
molte vite, sono state trovate da tempo, ma non si sono difuse. Molte non si possono provare in casa, e
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questo è uno dei problemi. Eppure le donne che partoriscono in ospedale sono in aumento in tutto il mondo.
In India un programma governativo offre alle madri fino a 1.400 rupie - più del reddito mensile di molti indiani se partoriscono in ospedale, e adesso in molte zone la maggior parte delle nascite avviene in una struttura
attrezzata. Il tasso di mortalità è diminuito, ma è ancora dieci volte superiore a quello dei paesi ad alto
reddito. Non molto tempo fa ho visitato alcuni ospedali nel nord dell'India e ho visto che solo a un terzo delle
madri venivano somministrati i farmaci per prevenire un'emorragia, meno del 10 per cento dei neonati veniva
riscaldato a suficienza, e solo il 4 per cento del personale si lavava le mani prima di una visita ginecologica o
di un parto. In media, i medici rispettavano solo 10 delle 29 pratiche di base consigliate. La cura del canguro
Siamo all'inizio del ventunesimo secolo e stiamo ancora cercando di capire come far attecchire delle idee che
risalgono all'inizio del ventesimo. Nella speranza di difondere pratiche ostetriche più sicure, insieme ad alcuni
colleghi ho collaborato con il governo indiano, l'Organizzazione mondiale della sanità, la Gates foundation e
Population services international a un'iniziativa chiamata BetterBirth project. Attualmente lavoriamo nell'Uttar
Pradesh, uno degli stati più poveri dell'India. A gennaio ci siamo spostati a un paio d'ore dalla capitale,
Lucknow, per visitare un ospedale di campagna circondato da terreni coltivati e villaggi di capanne.
L'ospedale è un edificio di cemento a un piano dipinto di giallo. Vi si accede da una strada sterrata
fiancheggiata da file di motociclette, che in quella regione sono il principale mezzo di trasporto per le lunghe
distanze. Se non riescono a trovare un'ambulanza o un motorisciò, le donne in travaglio si siedono a
cavalcioni su una moto. In quell'ospedale nascono tremila bambini all'anno, che in India sono la norma ma
negli Stati Uniti lo collocherebbero tra i primi cinque ospedali del paese. Eppure non ha quasi nessuno dei
comfort che ci si aspetterebbe da una struttura moderna. Ho conosciuto il medico di turno, un internista
intelligente e capace di poco più di trent'anni che si è formato nella capitale. Mi ha detto, in tono contrito, che
il suo staf non è in grado di eseguire né esami del sangue né trasfusioni né interventi ostetrici d'emergenza
come i parti cesarei. Durante il giorno non c'è elettricità. E ovviamente niente riscaldamento - quel giorno la
temperatura era di cinque gradi -, né aria condizionata, sebbene in estate le temperature raggiungano i 35
gradi. In tutta la struttura ci sono solo due apparecchi per misurare la pressione. L'infermeria della scuola
elementare del mio quartiere è più attrezzata. Anche il personale è insuficiente: il medico ci ha detto che metà
dei posti disponibili era scoperta. Per far nascere i bambini in un'area con 250mila abitanti, l'ospedale ha a
disposizione due infermiere e un'ostetrica. Quasi tutti i parti sono gestiti dalle infermiere che hanno
frequentato un corso di formazione di sei mesi, mentre l'ostetrica segue l'ambulatorio e interviene nei casi più
complicati. Durante le ferie o se una delle due infermiere si ammala, le infermiere si sostituiscono a vicenda,
e se non c'è nessuno a disposizione, le donne vengono mandate in un altro ospedale, a chilometri di
distanza, oppure deve intervenire un'infermiera non specializzata. Sembra incredibile che le donne abbiano
meno problemi quando partoriscono in un posto del genere che a casa loro in un villaggio, ma diversi studi
hanno dimostrato che le possibilità di sopravvivenza nel primo caso aumentano. Il personale che ho
conosciuto in India ha un'esperienza notevole. Perfino le infermiere più giovani hanno eseguito più di mille
parti. Hanno afrontato e imparato a risolvere innumerevoli problemi: placente lacerate, cordoni ombelicali
avvolti intorno al collo del bambino, spalle incastrate. Vedendo l'eroismo quotidiano necessario per mandare
avanti un posto del genere, ci si sente sciocchi e indelicati a suggerire come si potrebbero migliorare le cose.
Ma poi abbiamo fatto un giro nelle corsie. In sala parto era appena nato un bambino. Era steso su una
branda con la madre, che riposava sotto un mucchio di coperte di lana. La stanza era un frigorifero. Non mi
sentivo più le dita dei piedi. Ho cercato di immaginare come poteva sentirsi quel bambino. I neonati hanno
una superficie corporea estesa rispetto alla loro massa e perdono calore rapidamente. Anche quando fa
caldo, l'ipotermia è molto comune e li rende deboli e meno reattivi, meno capaci di poppare e più soggetti alle
infezioni. Ho notato che il bambino non era avvolto nella stessa coperta della madre. È ampiamente
dimostrato che è molto meglio mettere il neonato sul petto o sulla pancia della madre, pelle a pelle, così il
corpo della donna può regolare la temperatura di quello del piccolo fino a quando non si assesta. Tra i
bambini nati sottopeso o prematuri, la cura del canguro (come viene chiamata) riduce la mortalità di un terzo.
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Allora perché l'infermiera non li aveva avvolti insieme? In quel caso il problema non era di certo la mancanza
di risorse, la cura del canguro non costa nulla. Ne aveva mai sentito parlare? Oh, certo, mi ha detto. Nel suo
corso di specializzazione glielo avevano insegnato. Se n'era dimenticata? No. Aveva proposto di mettere il
bambino a contatto del corpo della madre, e mi ha mostrato la cartella clinica dove lo aveva annotato. "Ma lei
non ha voluto", mi ha spiegato. "Ha detto che aveva troppo freddo". L'infermiera sembrava sorpresa che
facessi tante storie per così poco. Il bambino stava bene, no? In efetti sì. Era dolcemente addormentato, una
nocciolina avvoltolata nella coperta con il faccino scuro grinzoso e la bocca aperta a formare una piccola "o".
Ma gli avevano misurato la temperatura? No. L'infermiera ha detto che aveva l'intenzione di farlo. Ma poi la
nostra visita aveva interrotto la routine. Supponendo che l'avesse presa, e l'avesse trovata bassa, avrebbe
fatto qualcosa di diverso? Avrebbe sfasciato il bambino e lo avrebbe appoggiato sul petto della madre? Tutto
quello che fa quell'infermiera - le ore che dedica al lavoro, le condizioni che sopporta, la soddisfazione che
prova per la sua professionalità - dimostra il suo impegno. Ma l'ipotermia, come i germi che voleva
combattere Lister, è invisibile. Immaginiamo che il bambino diventi cianotico, che lo vediamo sofrire sotto i
nostri occhi. Ma l'ipotermia non si manifesta così. Se la temperatura è troppo bassa di qualche grado, il
neonato diventa troppo lento nel poppare. Passa un po' di tempo prima che cominci a perdere peso, smetta
di urinare, contragga una polmonite o un'infezione del sangue. Molto prima che questo succeda - di solito la
mattina dopo il parto, o forse la notte stessa - la madre dovrà saltare su un motorisciò, o sedersi su una moto
dietro al marito, tenendo stretto il neonato, e tornare a casa su quelle strade dissestate. Dal punto di vista
dell'infermiera, lei ha contribuito a mettere al mondo una nuova vita. Se poi, una volta tornato a casa, il 4 per
cento dei bambini muore, questo cos'ha a che vedere con il modo in cui ha avvolto lui e la madre nelle
coperte? O se si è lavata le mani prima di mettere i guanti? O se il bisturi con cui ha tagliato il cordone
ombelicale era sterilizzato? Siamo innamorati dell'idea che questi problemi possano essere risolti dalla
tecnologia, con un'incubatrice, per esempio. Negli ospedali di campagna si trovano incubatrici ad altissima
tecnologia mangiate dalle tarme perché non è stato possibile trovare un pezzo di ricambio, o perché non c'è
l'elettricità per farle funzionare. Ma negli ultimi anni ne sono stati progettati alcuni modelli pensati
specificatamente per il mondo in via di sviluppo. Il dottor Steven Ringer, il neonatologo che dirige il progetto
BetterBirth, è stato uno dei consulenti della squadra che ha creato un'incubatrice economica e ingegnosa,
costruita con pezzi di vecchie auto facilmente reperibili e sostituibili anche nei paesi a basso reddito, che ha
vinto perfino un premio. Ma neanche quella ha attecchito. "Se ne trovano di più nei musei che nelle sale
parto", spiega Ringer. Per afrontare la maggior parte dei problemi sanitari del mondo, la dificoltà principale
non è la mancanza di un'adeguata tecnologia. Tutti hanno a disposizione una tecnologia per il riscaldamento
che funziona benissimo: il corpo della madre. Ma anche nei paesi ad alto reddito, non viene usata
regolarmente. Secondo Ringer, negli Stati Uniti più della metà dei bambini che arrivano in rianimazione sono
ipotermici. Prevenire l'ipotermia è un classico esempio di compito che richiede un grande sforzo ma non
produce un risultato immediato. Se riuscissimo a costringere gli ospedali e il personale ostetrico a fare anche
solo alcune delle cose indispensabili per rendere più sicuro un parto salveremmo centinaia di migliaia di vite.
Ma come possiamo farlo? Nuove norme Il modo più comune per modificare un comportamento è dire: "Per
favore fate questo". Per favore, scaldate il bambino. Per favore, lavatevi le mani. Per favore, applicate tutte le
27 pratiche necessarie. È questo che diciamo nelle nostre lezioni, nei video educativi, nelle campagne per
sensibilizzare il pubblico. E funziona, ma solo fino a un certo punto. Poi c'è il metodo poliziesco. "Dovete fare
così". Stabilire standard e regole, e minacciare chi non li rispetta con multe, sospensioni, e revoca delle
licenze: le punizioni possono funzionare. Gli economisti comportamentali hanno addirittura quantificato
l'avversione per le sanzioni. Nei giochi sperimentali, molti preferiscono lasciare che rischiare conseguenze
negative. E questo è il problema quando si minaccia di punire il personale ostetrico che fa un lavoro dificile in
condizioni esasperanti. Si corre il rischio che rinunci. Una versione più morbida del "Dovete fare così" è quella
di ofrire incentivi invece che minacciare sanzioni. Forse potremmo promettere al personale ostetrico un bonus
per ogni bambino che supera la settimana di vita in buone condizioni. Ma poi viene da pensare a quanto
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sarebbe dificile far funzionare un sistema simile, soprattutto nei paesi più poveri. Servirebbe una procedura di
controllo molto sofisticata per essere sicuri che la gente non aggiri il sistema, e bisognerebbe fare complicati
calcoli statistici per tenere conto dei rischi di partenza. Ci sarebbe anche il problema di come dividere la
ricompensa. Quanto dovremmo dare a chi ha garantito l'assistenza prenatale? All'ostetrica che ha seguito le
prime dodici ore di travaglio? A quella che è entrata in servizio e ha assistito al parto? Al dottore che è stato
chiamato in aiuto quando le cose si sono complicate? Al farmacista che aveva in magazzino l'antibiotico
giusto? E poi, né con le sanzioni né con gli incentivi è possibile ottenere quello che si vuole veramente: un
sistema e una cultura in cui tutti fanno una certa cosa, giorno dopo giorno, anche se nessuno li controlla. Il
metodo poliziesco premia semplicemente il rispetto delle norme. Per arrivare a dire "è così che si fa" bisogna
stabilire che quella è la norma. Ed è questo che vogliamo ottenere per il riscaldamento corpo a corpo, il
lavaggio delle mani e tutti gli altri accorgimenti che possono salvare la vita di un bambino: che diventino la
norma. Per creare nuove norme bisogna prima capire quali sono quelle vigenti e cosa ne impedisce
l'attuazione. Allora perché non parlare con le persone, una per una? Nel corso del progetto BetterBirth ci
siamo chiesti, in particolare, cosa accadrebbe se avessimo un gruppo di specialisti che va a trovare il
personale ostetrico e i direttori degli ospedali, mostrandogli come eseguire una serie di procedure essenziali,
cercando di capire le loro dificoltà, ascoltando le loro obiezioni e aiutandoli a esercitarsi a fare le cose in
modo diverso. In pratica, dei mentori. L'esperimento è appena cominciato. Abbiamo reclutato solo un piccolo
gruppo di persone che stiamo mandando negli ospedali di sei regioni dell'Uttar Pradesh per uno studio che
seguirà circa 200mila parti in due anni. Non siamo sicuri che questo metodo funzionerà. Ma ci è sembrato
che valesse la pena tentare. Le reazioni che ho raccolto sia all'estero sia negli Stati Uniti sono interessanti e
fondamentalmente di due tipi. L'obiezione più comune è che, anche se funzionerà, questo tipo di
insegnamento individuale sul posto non è "applicabile su vasta scala". Ma non è così. Se l'intervento salverà
tutte le madri e i bambini che speriamo, un migliaio di vite all'anno negli ospedali interessati, l'unica cosa che
resterà da fare sarà formare squadre di insegnanti simili e mandarle in altre zone del paese, se non in tutto il
mondo. Agli occhi di molti questa non è una soluzione realistica. Richiederebbe una vasta mobilitazione, una
spesa altissima, e forse anche la nascita di una nuova professione. Ma per combattere la resistenza a molte
nuove scoperte, come gli antisettici, è esattamente questo il metodo che ha funzionato. Pensate alla nascita
dell'anestesiologia: bisognava raddoppiare il numero dei medici presenti a ogni intervento, eppure l'abbiamo
fatto. Per ridurre l'analfabetismo, molti paesi, a partire dagli Stati Uniti, hanno costruito scuole, formato
insegnanti e reso l'istruzione gratuita e obbligatoria per tutti. Per migliorare la produzione agricola i governi
hanno mandato centinaia di migliaia di periti agrari in visita alle fattorie di tutti gli Stati Uniti e in ogni angolo
del mondo per insegnare le nuove tecniche agli agricoltori. Questi programmi hanno funzionato benissimo. In
tutto il pianeta, dal 1970 a oggi, hanno ridotto il tasso di analfabetismo da un adulto su tre a uno su sei, e ci
hanno regalato la rivoluzione verde che ha salvato dalla morte per fame più di un miliardo di persone. Nell'era
dell'iPhone, di Facebook e di Twitter, ormai siamo innamorati delle idee che si diffondono con la stessa
facilità dell'etere. Vorremmo trovare soluzioni semplici e "chiavi in mano" per i grandi problemi del mondo:
fame, malattia, povertà. Preferiamo i video agli insegnanti in carne e ossa, i droni ai soldati, gli incentivi alle
istituzioni. Le persone e le istituzioni ci sembrano anacronistiche perché introducono, come dicono i tecnici,
variabili incontrollate. Ma la tecnologia e i sistemi incentivanti non bastano. "La difusione è fondamentalmente
un processo sociale grazie al quale un'innovazione viene trasmessa da persone che parlano con altre
persone", ha scritto Everett Rogers, il grande studioso della comunicazione e della circolazione delle idee. I
mezzi d'informazione possono proporre una nuova idea. Ma, come ha dimostrato Rogers, quando devono
decidere se adottarla o meno, le persone si lasciano guidare da altre persone che conoscono e di cui si
fidano. Ogni cambiamento richiede uno sforzo, e la decisione di fare quello sforzo viene presa a livello
sociale. Questa è una cosa che gli agenti di commercio sanno bene. Una volta ho chiesto al rappresentante
di una casa farmaceutica come riesca a convincere i medici - che sono notoriamente testardi - ad adottare un
nuovo farmaco. Per quanto possa essere convincente, mi ha risposto, la documentazione non basta. Bisogna
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anche applicare "la regola dei sette tocchi". Letteralmente "toccare" il medico sette volte perché abbia la
sensazione di conoscerci. Se ti conoscono, si fidano di te. E se si fidano di te, cambieranno. Era per questo
che riempiva personalmente gli armadietti dei dottori di campioni gratuiti. Poi infilava la testa nella stanza e
chiedeva: "Com'è andata la partita di tua figlia Debbie?". E alla fine arrivava a chiedere: "Hai letto lo studio sul
nostro nuovo farmaco? Che ne dici di provarlo?". In conclusione, il rapporto umano è il modo più eficace per
vincere la resistenza e accelerare il cambiamento. Nel 1968 The Lancet pubblicò i risultati di un modesto
studio su quella che oggi è considerata una delle più importanti scoperte della medicina del ventesimo
secolo. Non era un nuovo farmaco né un vaccino né un tipo di intervento chirurgico. Era semplicemente una
soluzione di acqua, zucchero e sale che si poteva preparare in qualsiasi cucina. I ricercatori la
somministrarono alle vittime di un'epidemia di colera scoppiata a Dhaka, oggi la capitale del Bangladesh, e i
risultati furono sorprendenti. Il colera si manifesta con una diarrea violenta e potenzialmente mortale, causata
da un batterio, il vibrione del colera, che di solito la vittima ingerisce bevendo acqua contaminata. I batteri
secernono una tossina che innesca un rapido afflusso di fluidi all'intestino. Il corpo, che è costituito al 60 per
cento di acqua, diventa come una spugna strizzata. Il liquido che esce è di un colore bianco torbido, simile a
quello dell'acqua con cui si è lavato il riso. Produce violenti conati di vomito e scariche di diarrea esplosiva. I
bambini possono perdere un terzo del loro luido corporeo in meno di 24 ore, una quantità fatale. Bere acqua
per compensare quella perdita non serve, perché l'intestino non l'assorbe. Di conseguenza, tra le persone
colpite, la mortalità di solito raggiunge o supera il 70 per cento. Nel diciannovesimo secolo, le pandemie di
colera uccisero milioni di persone in Asia, Europa, Africa e Nordamerica. La malattia era soprannominata la
"morte blu" per via del colore azzurro-grigiastro che assume la pelle a causa dell'estrema disidratazione.Nel
1906 fu scoperta una cura parzialmente efficace: una soluzione salina somministrata per via endovenosa
riduceva la mortalità al 30 per cento. La strategia più eficace rimaneva la prevenzione. Nei paesi più ricchi i
sistemi fognari moderni e il trattamento delle acque eliminarono questa malattia. Ma nel mondo ogni anno
milioni di bambini continuavano a morire di diarrea. Anche se riuscivano a raggiungere un ospedale, gli aghi, i
tubi di plastica e i litri di luido necessari per il trattamento erano molto costosi, in quantità limitata, e gli
ammalati dipendevano totalmente dal personale medico, che a sua volta era insuficiente, soprattutto quando
un'epidemia provocava migliaia di vittime. Poi, negli anni sessanta del novecento, gli scienziati scoprirono che
lo zucchero aiuta l'intestino ad assorbire i luidi. Due ricercatori statunitensi, David Nalin e Richard Cash, si
trovavano a Dhaka durante l'epidemia di colera, e decisero di testare la nuova scoperta, somministrando alle
vittime per via orale una soluzione che conteneva zucchero oltre che sale. Molti dubitavano che i malati
potessero berne abbastanza per compensare la perdita di liquidi, che in media andava dai 10 ai 20 litri al
giorno. Perciò i due studiosi limitarono l'esperimento a 29 persone. I pazienti non ebbero nessuna dificoltà a
bere abbastanza acqua da ridurre o addirittura eliminare la somministrazione del luido per via endovenosa, e
nessuno di loro morì. Tre anni dopo, nel 1971, un medico indiano di nome Dilip Mahalanabis dirigeva il
servizio di assistenza sanitaria di un campo profughi del Bengala occidentale che ospitava 350mila rifugiati
della guerra d'indipendenza del Bangladesh, quando scoppiò il colera. Le scorte di luido da somministrare
per via endovenosa finirono e Mahalanabis ordinò ai suoi di provare con la soluzione di Dhaka. Solo il 3,6 per
cento delle persone colpite morì, rispetto al consueto 30 per cento. La soluzione orale funzionava addirittura
meglio di quella per endovena. Le vittime del colera erano vigili, in grado di ingerirla e, se ne bevevano
abbastanza, quasi sempre si salvavano. Quando questi risultati furono resi noti, ci si sarebbe potuti aspettare
che tutti ne avrebbero chiesto la formula. La reidratazione orale era come l'etere: una soluzione miracolosa
per un problema immediato e terrificante. Ma le cose non andarono così. Per capirne il motivo, dobbiamo
immaginare un bambino che vomita e ha una diarrea incontenibile. Si ha l'impressione che facendolo bere si
provochi solo ulteriore vomito. Combattere il vomito e la diarrea sembra dificile e inutile. La maggior parte
delle persone tende a non dargli nulla. Inoltre, perché pensare che questa particolare miscela di zucchero e
sale sia diversa dall'acqua o da qualsiasi altra cosa che abbiamo provato? E in efetti è particolare. Basta che
la concentrazione di sale sia leggermente più alta e lo squilibrio elettrolitico può diventare pericoloso. Il
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bambino deve continuare a bere quella roba anche quando migliora, finché dura la diarrea, cioè in media per
cinque giorni. Gli infermieri di solito smettevano di dargliela. Perché mai nei villaggi avrebbero dovuto fare di
meglio? Dieci anni dopo, questa importante scoperta non si era ancora difusa. Le cose non erano molto
cambiate. In tutto il mondo, la diarrea rimaneva la principale causa di morte dei bambini sotto i cinque anni.
Ma nel 1980 un'organizzazione non profit bangladese chiamata Brac decise di provare a difondere la terapia
di reidratazione orale in tutto il paese. La campagna era rivolta a una popolazione in gran parte analfabeta.
L'ultima campagna che aveva condotto - quella per la pianificazione familiare - era stata molto impopolare. E
il messaggio che doveva trasmettere era complicato. Invece questa volta la campagna ebbe successo. Un
bellissimo libro pubblicato in Bangladesh, e intitolato Una soluzione semplice , ne racconta la storia.
L'organizzazione non usò i mezzi d'informazione. Dopotutto, solo il 20 per cento della popolazione aveva la
radio. Afrontò il problema in un modo che di solito viene considerato poco pratico e ineficiente: andando di
casa in casa e parlando con le persone. Una soluzione semplice Cominciò con un progetto pilota che si
proponeva di raggiungere circa 60mila donne in 600 villaggi. L'impresa non era semplice. Chi sarebbero stati,
per esempio, gli insegnanti? Come avrebbero viaggiato? Come sarebbe stato possibile garantire la loro
sicurezza? I dirigenti della Brac programmarono il lavoro nel miglior modo possibile e poi fecero man mano
degli aggiustamenti. Reclutarono squadre formate da quattordici giovani donne, un cuoco e un supervisore,
immaginando che quest'ultimo avrebbe protetto le donne e che il loro numero le avrebbe difese da lui.
Viaggiavano a piedi, si accampavano vicino ai villaggi, andavano di capanna in capanna, e restavano lì finché
non avevano parlato con tutte le donne. Lavoravano per molte ore al giorno, sei giorni alla settimana. Ogni
sera, dopo cena, si riunivano per discutere com'erano andate le cose e per pensare a come migliorarle.
Periodicamente, venivano anche chiamati a rapporto dai dirigenti. Le persone scelte erano semianalfabete,
quindi avevano ridotto il messaggio a pochi punti chiave facili da ricordare. Una forte diarrea conduce alla
morte per disidratazione; i segni della disidratazione sono: lingua asciutta, occhi afossati, sete, estrema
debolezza e minzione ridotta; per curare la disidratazione bisogna reintegrare l'acqua e i sali che il corpo ha
perduto, a partire dalla prima scarica; la soluzione reidratante è l'unico modo per farlo. Gli scienziati della
Brac dovettero pensare anche a come i loro inviati avrebbero potuto insegnare la ricetta della soluzione. Nei
villaggi non c'erano strumenti di misurazione precisi. Considerarono la possibilità di distribuire speciali
cucchiai con le dosi scritte sul manico. Ma sarebbero costati troppo, la maggior parte delle persone non
sarebbe stata in grado di leggerle, e non avrebbero saputo come sostituirli se fossero andati perduti. Alla fine,
pensarono di usare le mani: un pugno di zucchero grezzo più un pizzico di sale in un seer d'acqua, la misura
comunemente usata nei villaggi per il latte e l'olio. I test dimostrarono che le madri riuscivano a dosare gli
ingredienti in modo suficientemente preciso. All'inizio i loro inviati parlavano con una ventina di madri al
giorno. Ma da un controllo efettuato qualche tempo dopo, emerse che la qualità dell'insegnamento ne
risentiva, quindi cominciarono a visitare solo dieci famiglie al giorno. Poi fu introdotto un nuovo sistema di
retribuzione. Ognuno era pagato in base al numero di madri che aveva imparato la lezione al controllo
successivo. La qualità dell'insegnamento migliorò notevolmente. Gli inviati sul campo si resero conto che far
preparare la soluzione direttamente alle madri funzionava meglio che mostrare come si faceva. Appena
arrivavano in un villaggio, cominciavano a chiedere se c'erano casi di diarrea e li curavano per dimostrare
quanto quel rimedio fosse eficace e sicuro. I ricercatori cercarono una risposta anche ad altri dubbi che erano
sorti, per esempio se era necessario usare acqua pulita (e scoprirono che, sebbene l'acqua bollita fosse
preferibile, quella contaminata era meglio di niente). I primi segnali erano promettenti. Le madri sembravano
ricordare il cuore del messaggio. L'analisi delle soluzioni dimostrava che tre quarti di loro le preparavano
correttamente, e solo in quattro casi su mille la quantità di sale era potenzialmente pericolosa. Perciò la Brac
e il governo bangladese decisero di estendere il programma a tutto il paese. Assunsero, formarono e
spedirono migliaia di persone in tutte le regioni. L'esperimento non funzionò perfettamente. Ma, andando di
porta in porta in più di 75mila villaggi, insegnarono a 12 milioni di famiglie come salvare i loro bambini. Il
programma ebbe un successo straordinario. L'uso della reidratazione per via orale salì alle stelle. La tecnica
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cominciò a difondersi spontaneamente. Erano riusciti a cambiare le norme. Spingendo gli abitanti dei villaggi
a preparare la soluzione da soli e a ripetere i messaggi a parole loro, mentre un insegnante li osservava e li
guidava, si otteneva molto di più che con qualsiasi pubblicità progresso o video di istruzioni. Nel corso del
tempo, è stato possibile difondere il messaggio anche attraverso la radio e la televisione, e l'aumento della
domanda ha fatto sorgere un fiorente mercato di pacchetti di sale pronti per la reidratazione orale. A
trent'anni di distanza, da un sondaggio è emerso che a quasi il 90 per cento dei bambini afetti da diarrea
acuta era stata somministrata quella soluzione. Dal 1980 al 2005 i casi di morte per diarrea sono diminuiti
dell'80 per cento. Quando altri paesi hanno adottato il sistema del Bangladesh, in tutto il mondo le morti per
diarrea sono scese da cinque a due milioni all'anno, nonostante l'aumento del 50 per cento della popolazione
degli ultimi trent'anni. Eppure, nel mondo in via di sviluppo ancora oggi solo un terzo dei bambini afetti da
diarrea è curato con la reidratazione orale. Molti paesi hanno cercato di difondere il sistema a distanza, senza
mandare nessuno sul campo. Ma hanno fallito quasi completamente. Parlare direttamente con le persone è
ancora l'unico modo per cambiare le norme. Alla fine del diciannovesimo secolo, tutti i chirurghi avevano
finalmente adottato il metodo antisettico. Ma come spesso succede per le nuove idee, questo risultato aveva
richiesto cambiamenti molto più profondi del previsto. Con le loro palandrane nere macchiate di sangue e
incrostate di viscere, i chirurghi si sentivano guerrieri che combattevano l'emorragia poco più che a mani
nude. Alcuni pionieri tedeschi, tuttavia, cominciarono a pensare a se stessi come scienziati. Sostituirono le
redingote nere con impeccabili camici bianchi da laboratorio, riorganizzarono le sale operatorie in modo da
farle diventare sterili, e diedero più importanza alla precisione anatomica che alla velocità. La cosa principale
da insegnare ai chirurghi, scoprirono, non era tanto eliminare i germi quanto ragionare come scienziati da
laboratorio. I giovani dottori statunitensi e di altri paesi che andavano a studiare con i grandi luminari della
chirurgia tedesca si convertivano con entusiasmo al loro modo di pensare e ai loro metodi. Quando tornavano
a casa, erano diventati apostoli non solo delle pratiche antisettiche (per uccidere i germi) ma anche delle più
impegnative pratiche asettiche (per prevenire i germi), che prevedevano l'uso di guanti, camici, cufie e
mascherine sterili. Facendo proseliti tra i loro colleghi e studenti, alla fine diffusero quelle idee in tutto il
mondo. Come un'amica Nel campo dell'ostetricia, abbiamo già capito che gli accorgimenti più importanti non
si difonderanno mai da soli. La semplice "consapevolezza" non sarà suficiente. Abbiamo bisogno anche qui
di rappresentanti di commercio e di regole facili da ricordare. E in molti posti del mondo è già cominciato un
tentativo di cambiare le norme persona per persona. Qualche tempo fa ho chiesto agli operatori di BetterBirth
in India se avevano già visto un'ostetrica lavorare in modo diverso. Sì, hanno detto, ma ci vuole un po' di
tempo. Cominciano con una giornata di lezione per le ostetriche e i direttori degli ospedali sulla prassi da
seguire. Poi li vanno a trovare sul posto e li osservano mentre cercano di applicarla. Sorella Seema Yadav,
un'infermiera di 24 anni dal viso tondo diplomata da tre anni, è una delle formatrici (in India le infermiere sono
chiamate "sorelle", come facevano i britannici ai tempi dell'impero). Il suo primo compito è stato quello di
seguire una collega di trent'anni che aveva molta più esperienza di lei. Osservandola assistere una donna
durante il travaglio e il parto, si è resa conto di quanto poco avesse assorbito quello che le era stato
insegnato. La stanza non era stata disinfettata, in un secchio c'era ancora il sangue del parto precedente.
Quando la donna era arrivata, gemendo perché le contrazioni stavano diventando più frequenti, non ha
controllato i suoi parametri vitali. Non si è lavata le mani. Non ha preparato nulla per un'eventuale
emergenza. Dopo il parto ha controllato la temperatura del neonato con la mano, non con un termometro.
Invece di appoggiare il bambino sul corpo della madre perché lo riscaldasse, lo ha afidato ai parenti. Quando
Seema le ha fatto notare la discrepanza tra quello che le aveva insegnato e come si era comportata,
l'infermiera si è ofesa. Ha cercato di spiegare perché aveva saltato alcuni passaggi: non c'era tempo, aveva
molte donne in attesa, non c'era mai un termometro a portata di mano, il personale delle pulizie non faceva
mai il suo dovere. Seema, una ragazza esuberante e allegra che parla molto velocemente, l'ha portata
dall'inserviente di turno e insieme le hanno spiegato perché era così importante pulire la sala tra un parto e
l'altro. Sono andate dal direttore sanitario e hanno chiesto un termometro. Alla seconda e terza visita ha visto
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Internazionale - N.1027 - 22 novembre 2013
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SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 25/11/2013
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che la sala parto veniva disinfettata più regolarmente. In un armadietto avevano trovato un termometro. Ma la
routine dell'infermiera non era molto cambiata. Alla quarta o quinta visita, la loro conversazione si è spostata
su un altro piano. Hanno bevuto un tè insieme e discusso perché bisognava lavarsi le mani anche se si
mettevano i guanti (perché i guanti potevano essere bucati e spesso si toccavano i ferri prima di indossarli) e
perché era importante controllare la pressione sanguigna (perché l'ipertensione è uno dei segnali
dell'eclampsia che, se non viene curata, è una della cause di morte più comuni in gravidanza). Hanno
imparato anche a conoscersi meglio. Con il passare del tempo, l'infermiera ha capito che Seema era lì solo
per aiutarla e per imparare lei stessa da quell'esperienza. Si sono perfino scambiate il numero di cellulare e
telefonate tra una visita e l'altra. Ben presto, l'infermiera ha cominciato a cambiare comportamento. Dopo
diverse visite prendeva la temperatura e la pressione sanguigna regolarmente, si lavava le mani,
somministrava i farmaci giusti, faceva quasi tutto. Seema l'ha visto con i suoi occhi. Ma ormai si è dovuta
spostare in un altro ospedale pilota. E passerà un po' di tempo prima di avere dati suficienti per verificare se
ha cambiato veramente le cose. Perciò, mi sono fatto dare il numero di telefono dell'infermiera e l'ho
chiamata. Erano passati quattro mesi dall'ultima visita di Seema. Le ho chiesto se aveva introdotto qualche
cambiamento. Molti, ha risposto. "Qual è stato il più dificile?", le ho chiesto. "Lavarmi le mani", ha detto.
"Devo farlo tante di quelle volte!". "E il più facile?". "Controllare bene i parametri vitali". Prima, ha detto, "lo
facevamo ogni tanto". Adesso, "tutto è diventato molto più sistematico". E alla fine aveva cominciato a
vederne gli efetti. Le emorragie postparto erano diminuite. Si accorgeva prima se c'era un problema. Aveva
salvato un bambino che non respirava. Aveva diagnosticato l'eclampsia in una donna e l'aveva curata. Si
sentiva che era orgogliosa di quello che raccontava. Per introdurre molti dei cambiamenti c'era voluto tempo.
Aveva dovuto imparare a inserire queste abitudini nella sua routine quotidiana e a convincere le madri e i
familiari che la cosa migliore per il neonato era stenderlo sul corpo della madre. Ma, passo dopo passo,
Seema l'aveva aiutata. "Mi ha mostrato in pratica come fare le cose", ha detto l'infermiera. "E perché l'ha
ascoltata?", le ho chiesto. "Aveva molta meno esperienza di lei". All'inizio non l'ascoltava, ha ammesso. "Il
primo giorno che è venuta ho avuto la sensazione che il mio carico di lavoro fosse aumentato". Ma dalla
seconda volta in poi aveva cominciato a prendere meglio le sue visite, arrivando quasi ad aspettarle con
impazienza. "Perché?", le ho chiesto. L'unica cosa che ha trovato da dire è stata: "Era simpatica". "Tutto
qui?". "Non era come parlare con qualcuno che cercava di coglierti in fallo", ha detto. "Era come parlare con
un'amica". Quella, secondo me, era la vera risposta. Da allora l'infermiera aveva trovato un suo modo per
spiegare perché i neonati devono essere riscaldati a contatto con la pelle della madre. Adesso dice alle
famiglie: "All'interno dell'utero fa molto caldo. Quando il bambino esce fuori, dev'essere mantenuto caldo. Il
corpo della madre serve a questo". Non ero sicuro che fosse davvero sincera e non mi stesse solo dicendo
quello che volevo sentirmi dire. Ma quando mi ha spiegato come diceva con parole sue quello che aveva
imparato, ho capito che il messaggio era arrivato. "E le famiglie l'ascoltano?". "Di solito sì". u bt
Da sapere
I numeri della maternità
15 milioni di bambini ogni anno nascono prematuramente. 1,1 milioni di bambini muoiono a causa delle
complicazioni legate alla nascita prematura. Più del 60 per cento delle nascite premature avviene nell'Africa
subsahariana e nell'Asia meridionale. 75 per cento dei decessi dei neonati prematuri potrebbe essere
prevenuto con pratiche elementari e a basso costo. Oms, 2010
Foto: Una donna tiene il neonato aderente al suo corpo, nella cosiddetta cura del canguro, al Turai Yar 'adua
maternal and children Hospital, Katsina, Nigeria, 2009
Foto: Distribuzione di sali per la reidratazione a Hyderabad, India, 2009
Foto: In un ospedale di New Delhi, 2011
Foto: LifeSpring hospital, Hyderabad, 2009
Foto: L'AUTORE Atul Gawande è un chirurgo statunitense. Scrive per il New Yorker. Il suo ultimo libro uscito
in Italia è Check list. Come fare andare meglio le cose (Einaudi 2011).
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Internazionale - N.1027 - 22 novembre 2013
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Il dibattito sulle statine
Non si deve curare il colesterolo, ma il paziente. Questa l'idea di fondo delle nuove linee guida statunitensi
che rivoluzionano la gestione del colesterolo per la prevenzione cardiovascolare. L'idea è di usare le statine
(e non altri farmaci antilipemici) con l'obiettivo di abbassare il rischio di infarto e ictus, senza rincorrere i valori
ottimali di colesterolemia. Le statine andranno prescritte a tutti i pazienti con malattia cardiovascolare, a chi
sofre di diabete e ha tra i 40 e i 75 anni, a chi ha valori di Ldl (il colesterolo "cattivo") superiori a 190
milligrammi per decilitro oppure a chi ha un rischio maggiore del 7,5 per cento di avere un infarto o un ictus.
Secondo alcuni è una rivoluzione concettuale che farà prescrivere le statine solo a chi ne trarrà davvero
beneficio. Per altri è un riforma "interessata" che sovrastima il rischio e che porterà a raddoppiare le
prescrizioni di statine. Anche il calcolatore online, che avrebbe dovuto aiutare i medici a valutare il rischio
cardiovascolare dei pazienti, non funziona bene e tende a sovrastimare abbondantemente il pericolo.
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SALUTE
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Left - N.46 - 23 novembre 2013
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CONQUISTE A RISCHIO
Si chiama Uoc e si trova nel centro di Roma. È l'unica struttura sanitaria completa per giovanissimi. Sportelli
nelle scuole, ambulatori, centro diurno e residenze protette. Peccato che ora vogliano smantellare tutto
Donatella Coccoli
Si chiama Uoc e si trova nel centro di Roma. È l'unica struttura sanitaria completa per giovanissimi. Sportelli
nelle scuole, ambulatori, centro diurno e residenze protette. Peccato che ora vogliano smantellare tutto a
pasta alla Norma è perfetta. E pure la torta rustica. Fino al vassoio finale di pastarelle. Loro, giovanissimi,
sono seduti in cerchio. Una sera a cena nell'appartamento dell'Unità operativa complessa, servizio
adolescenza, Asl Roma E. All'ingresso, un ritratto di donna di Picasso dà il benvenuto. L'ambiente è
luminoso, pieno di colori, semplice. Ci vivono in cinque: quattro ragazze e un ragazzo. Una camera singola,
due doppie, due bagni, la cucina, il salone e la stanza delle psicologhe che passano due volte al giorno. Le
loro camere non sono anonime: in ognuna ci sono oggetti, immagini, libri. È come se si respirasse un'aria di
attesa, di nuovo. Ogni mattina c'è chi va a scuola, all'università o al corso professionale e c'è chi dorme
perché lavora nel pomeriggio. Potrebbero andarsene quando vogliono, nessuno li obbliga a stare lì. Sono
liberi. Ma quell'appartamento in un quartiere romano del primo Novecento, non è una soluzione abitativa per
giovani studenti o lavoratori. È l'ultimo step di un percorso che conduce fuori del tunnel della malattia
mentale. «Tra un po' vivranno per conto loro, e quasi sempre accade lontano dalle famiglie. Questo è un
progetto che si fonda sull'autonomia», dice la psicologa Francesca Botticelli, mentre li guarda attenta.
L'appartamento apre le porte al mondo esterno. Ma prima occorre un «lavoro» è questo il termine che usano
più di frequente sul mondo "interno", per risolvere problemi più o meno gravi, disagi o disturbi mentali. La Uoc
di Roma E, diretta dal dottor Emilio Bonaccorsi, è l'unico servizio nel Lazio che si rivolge ai ragazzi dai 15 ai
21 anni in modo capillare. Tutela, cura e soprattutto prevenzione. Uno sportello d'ascolto nelle scuole,
ambulatori con psichiatri e psicologi per la prima accoglienza e le terapie, il centro diurno, una residenza
temporanea protetta (con operatori fissi) per i casi di ricovero e infine l'appartamento "dell'indipendenza" (a
bassa protezione). Una struttura unica perché pensata per gradi, per rispondere ai bisogni e alle emergenze
psichiatriche in una fascia d'età fragile e abbandonata dai servizi sanitari. Se la psichiatria è una cenerentola
per la sanità pubblica, la tutela della salute mentale degli adolescenti è la terra di nessuno. «Dove vengono
inviati questi ragazzi, anche nel caso di un Tso? O nella Neuropsichiatria infantile, ma è evidente che sono
troppo grandi. Oppure, peggio ancora, negli Spdc degli adulti. E magari si trovano, nel mezzo di una prima
crisi, con malati cronici e gravissimi accanto al letto. A chi celebra tanto la 180 chiederei perché gli estensori
si sono dimenticati dei giovanissimi?», dice serio Emilio Bonaccorsi. Lui l'Unità operativa complessa l'ha fatta.
«Era il 1992 e abbiamo cominciato in uno scantinato di via Angelo Emo: una stanza, una scrivania e tre
sedie. Eravamo io, un assistente sociale, un collega psichiatra e un infermiere. Il servizio per giovani nacque
da un'idea che condividevo con Renato Piccione direttore del Dsm e il professor Carlizza del dipartimento
materno infantile: per prevenire disturbi precoci occorreva creare un servizio ad hoc. Che si chiamò appunto
Area interdipartimentale per l'adolescenza». Adesso l'Uoc vede al lavoro sette psichiatri, cinque psicologi, un
infermiere e un assistente sociale (oltre a 9 psicologi e un educatore della coop Aelle il punto) per 300
pazienti e 10mila studenti di 40 scuole superiori ogni anno. È un'area, quella della Asl E, che va da
Primavalle fino a Cesano con 550mila abitanti e una popolazione di 50mila adolescenti. Ma tutto questo
rischia di scomparire. Il servizio tutela adolescenza iniziato con la giunta Badaloni passando poi indenne
attraverso quelle Storace, Marrazzo giù giù fino a quella dell'attuale presidente Nicola Zingaretti, viene
depotenziato, svuotato, reso inefficace. Nel nuovo atto aziendale stilato ai primi di agosto infatti l'Uoc non
viene neppure menzionata. Questo significa che i finanziamenti potrebbero venir meno, così come
potrebbero incombere tagli al personale. Che è già in crisi notevole, come fa notare Fabio Sordini, medico
psichiatra, che si occupa della residenza temporanea protetta. «Con il blocco del turn over al 10 per cento, su
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copertina
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Left - N.46 - 23 novembre 2013
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dieci persone che vanno in pensione ne possiamo prendere solo una. Adesso abbiamo già perso due
psichiatri mentre fuori c'è la lista d'attesa di giovani che potremmo accogliere». Contro lo spettro della fine
lenta ma inesorabile, c'è stata una forte mobilitazione. Un mese fa all'ospedale Santo Spirito operatori
sanitari, epidemiologi, insegnanti, la presidente della Consulta per la salute mentale hanno ripetuto
all'onorevole Rodolfo Lena, Pd, presidente della Commissione Sanità del Lazio la stessa, pressante richiesta.
Prevenire la salute mentale nell'età evolutiva significa evitare conseguenze assai gravi in età adulta. Stesse
conclusioni, nero su bianco, che si ritrovano anche nel Piano nazionale per la salute mentale di gennaio. Ma
quelli della Uoc resistono. Il "quartier generale" è in una palazzina di via Plinio 31, alle spalle del Vaticano. Al
primo piano si trovano gli ambulatori, le stanze per i colloqui iniziali, gli studi degli psichiatri e degli psicologi
dove si effettuano psicoterapie individuali o di gruppo, così come terapie familiari e dove, nei casi di bisogno,
si può prescrivere la terapia farmacologica. Qui gli adolescenti arrivano da soli, dopo gli incontri nelle scuole,
portati dai genitori, oppure inviati dai medici di base o da altri servizi. Al piano di sopra c'è il centro diurno per
ragazzi che la sera rientrano in famiglia. Come spiega lo psichiatra Marco Conte che ne è responsabile, «si
tratta di riabilitazione sociale: attività interne la mattina e il pomeriggio cercando il più possibile di portarli fuori.
Il film lo vediamo qui insieme, ma anche al cinema». Equitazione, musica, nuoto, tennis, laboratorio di arte e
perfino un corso di vela: una rete di progetti per strappare i ragazzi alla solitudine e favorire la relazioni con il
terapeuta e con gli altri compagni. La prevenzione invece, la Uoc la fa nelle scuole. «Perché spesso è proprio
a scuola che ci si accorge che qualcosa non va, che c'è un problema», sottolinea il dottor Bonaccorsi. Per
togliere dubbi che a quell'età possono sembrare ostacoli insormontabili, gli operatori di via Plinio organizzano
incontri nelle classi. «Vengo a contatto con giovani diversissimi tra loro quando vado nelle aule a parlare di
tutela dell'adolescenza: c'è chi, nei licei classici ti chiede, preparatissimo, di psicoanalisi, oppure chi invece
negli istituti tecnici pone questioni scottanti sul bullismo», afferma la psichiatra Francesca Fagioli. Dopo le
due ore passate in classe riceve in una stanza chi vuole ulteriori spiegazioni. Si presentano studenti per
avere risposte su problemi loro o per chiedere consigli da parte degli amici, così anche i professori e perfino
qualche genitore. Quello che conta è rompere il pregiudizio, il pensiero dell'impossibilità di cura, «perché a
quell'età se uno chiede, ha curiosità, interesse, poi le cose si possono risolvere» continua Francesca Fagioli.
Che oltre alle psicoterapie individuali, all'Uoc effettua psicoterapie di gruppo. «Tredici, quindici ragazzi
insieme, che raccontano i sogni, con un impatto emotivo forte. Tutti condividono lo stesso periodo della vita,
particolarissimo», spiega. «Con lo sviluppo puberale il corpo cambia in modo improvviso ma qualche volta la
mente non riesce a fondersi con il corpo che cambia. E un disturbo del pensiero può essere anche segno di
questa situazione». Saper fare la diagnosi quindi è fondamentale «perché se un adulto di 40 anni che finisce
al Pronto soccorso non riconosce se stesso, è un conto. Se non si sente a suo agio un ragazzo di 14 anni di
un metro e 90 a cui è cresciuta la barba, bisogna stare attenti, forse in quel caso la "depersonalizzazione"
non è patologia», conclude la psichiatra. La prevenzione nelle scuole dovrebbe essere al centro della politica
sanitaria regionale che su questo fronte è insufficiente, sostiene Emilio Bonaccorsi. «Dov'è il garante dei
giovani, che pure è un'istituzione della Regione? Noi non l'abbiamo mai visto. Che fanno i cosiddetti esperti?
E come mai in Rai chiamano il solito Crepet avendo il nostro servizio a 200 metri? È urgente fare qualcosa
per gli adolescenti, soprattutto in questo momento in cui i giovani che vediamo sembrano come
"anestetizzati". Il caso delle ragazzine dei Parioli, che usano se stesse e si fanno usare dimostra che hanno
perso emozioni e sensibilità. Ora più che mai i ragazzi avrebbero bisogno di lavorarci sopra, di approfondire e
di recuperare affettività».
DANIELA PEZZI, CONSULTA SALUTE MENTALE: «ZINGARETTI DIA DELLE RISPOSTE» «Basta, vado
a protestare da Zingaretti». Daniela Pezzi è stata eletta solo da un mese presidente della Consulta regionale
per la Salute mentale, ma conosce bene la situazione in cui versano i servizi sanitari psichiatrici nel Lazio.
Volontaria della Caritas ed ex psicoterapeuta, Pezzi lancia l'allarme: «Essere malati di mente significa essere
pazienti di serie zeta. Le famiglie non ce la fanno più. E ai dipartimenti sono affidati funzioni che richiedono un
numero di operatori adeguati, invece manca la metà della pianta organica». Il risultato, continua, è il fatto che
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viene garantito solo il 50 per cento dei Lea (livelli essenziali di assistenza). Al presidente della Regione Lazio,
la responsabile della Consulta ha quindi una lunga lista di richieste da fare. Ma al primo posto c'è una
questione scottante. «La Regione non ha ancora operato in modo virtuoso per reinvestire denari che
attualmente sta sperperando in salute mentale. E la prima cosa che dovrebbe fare è cessare il finanziamento
alla clinica privata Sant'Alessandro. Sono tredici anni che paghiamo un progetto sperimentale che doveva
essere di un anno». Le accuse sono rivolte al governatore Storace «che all'epoca invece di aprire il reparto di
psichiatria a Tor Vergata dava sei miliardi delle vecchie lire a quella struttura». Ora che il reparto è pronto, il
presidente Zingaretti, chiede Daniela Pezzi, che aspetta ad annullare il finanziamento? Con i soldi recuperati,
non solo si potrebbe mettere in piedi il reparto di psichiatria di Tor Vergata ma anche «aggiustare altri servizi
sul territorio». Che accoglierebbero nuove risorse a braccia aperte. Come nel caso della tutela mentale per
l'età evolutiva. Se i posti letto per gli adulti infatti in tutto il Lazio sono 266 rispetto ai 529 previsti in base al
numero degli abitanti, per gli adolescenti si scende a una ventina. Tra l'altro anche i reparti "storici" sono a
rischio. «L'anno scorso volevano chiudere Neuropsichiatria infantile di via Sabelli, abbiamo fatto anche una
veglia collettiva per evitare lo smantellamento del servizio». Per gli adolescenti in tutto il Lazio c'è veramente
poco: nella Asl A sono in funzione l'unità semplice Colpo d'Ala e una comunità a Trastevere, nella D c'è un
ambulatorio che in pratica è una stanza dentro il Csm per adulti e una comunità a Fiumicino. A Roma H sta
partendo l'accoglienza ambulatoriale in collaborazione con il Sant'Andrea che lo sta per esportare anche a
Viterbo. L'Uoc di Roma E è l'unica completa e «ha tutto quello che prevede la norma. Talmente tanto che la
vogliono chiudere», conclude Daniela Pezzi. don.coc.
Foto: In apertura e sopra alcune immagini della residenza a bassa protezione della Uoc Roma E
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Salute: bene comune
In tempi di crisi molte case farmaceutiche alterano i criteri medici che riguardano la salute e la malattia, per
fare business
Paolo Cacciari
amministratore delegato di una nota casa farmaceutica, Henry Gadsen della Merck, più di trent'anni fa,
dichiarò alla rivista Fortune : «Il nostro sogno è produrre medicine per le persone sane». Guardando
l'andamento della spesa per farmaci nei paesi Ocse, aumentata di 17 volte dal 1980 a oggi, possiamo
senz'altro confermare che il paradossale auspicio è diventato realtà. Come le major del medicinale ci sono
riuscite? Lo hanno spiegato bene molti medici, epidemiologici, attivisti dei movimenti di difesa della salute e
dei diritti del malato chiamati dal Movimento per la decrescita felice a un convegno organizzato presso la
Camera dei deputati. Un'altra occasione di confronto avverrà a fine novembre a Torino al secondo Congresso
nazionale di Slow medicine, un movimento che si batte per una medicina «sobria, rispettosa e giusta». Il suo
presidente, Antonio Bonaldi, direttore di una azienda ospedaliera di Monza, pensa che siano state tre le
mosse "vincenti" che hanno potuto trasformare una giusta domanda di salute in un orido business che solo in
Italia vale 25 miliardi di euro: l'individuazione precoce di malattie che altrimenti sarebbero rimaste silenti,
attraverso la proliferazione della diagnostica (da non confondersi con le pratiche preventive appropriate); la
creazione a tavolino di nuove patologie; il costante abbassamento delle soglie di normalità di molti parametri
biologici (ipertensione, glicemia, colesterolo, ecc.). Questo complesso di azioni di marketing e di
protocollazione terapeutica viene chiamato disease mongering , mercificazione della malattia. Non è una
novità. Già Ivan Illich, uno dei pensatori che hanno più ispirato gli attuali gruppi che contestano consumismo,
sprechi e crescita economica fine a se stessa, in una delle sue principali opere; Nemesi medica , scritta nel
1976, metteva in guardia dal cattivo uso delle conquiste scientifiche da parte di una medicina
ipertecnologizzata e iperspecializzata che tende a "medicalizzare la vita" e a inserire le persone in percorsi di
"terapia totale": dalle diagnosi prenatali ai prelievi post mortem, dalle disfunzioni erettili alla menopausa, dalla
tristezza all'obesità. Le conseguenze inevitabili sono state la creazione di nuove categorie di pazienti,
l'intossicazione farmaceutica e, cosa più pericolosa di tutte, la perdita della capacità di ciascun individuo di
prendersi cura delle proprie fragilità, di controllare i propri stili di vita. Sono così cresciuti nel tempo la
regolazione eteronoma dell'omeostasi dell'organismo umano e il potere degli apparati medico-sanitari. Anche
qui niente di nuovo. Una acuta opera teatrale di Jules Romains, scritta nel 1933, Il dott. Knock , ovvero il
trionfo della medicina (ne esiste una versione cinematografica), narra di come un medico in combutta col
farmacista del paese riesca a convincere la popolazione di "essere malata senza saperlo". Oggi gli screening
si fanno sponsorizzati in piazza e i check-up si vendono online sui siti di eCommerce. Provare per credere:
una clinica privata promuove "sette ecografie e un esame specifico alla prostata a 49 euro", un'altra offre una
"miniliposuzione a 299 euro" e una "mastoplastica additiva bilaterale a 449 euro". Secondo alcuni studi
scientifici (Nejm, 2007), il 33 per cento delle Tac non sono clinicamente giu© stificate e le irradiazioni
provocano l'1,5-2 per cento dei tumori. Intrapresa la via dell'aziendalizzazione, non c'è da stupirsi se anche la
sanità diventa preda del mercato delle prestazioni calcolate sugli standard Diagnosis Related Groups
inventati dalle assicurazioni. Giovanni Peronato, dell'associazione No grazie, pago io, Giulia Mannella del
Tribunale dei diritti dell'ammalato, Paolo Roberti di Sarsina dell'Associazione per la medicina centrata sulla
persona e altri intervenuti al convegno, hanno denunciato i comportamenti medici debilitanti la volontà del
paziente. Tutto il contrario della tanto decantata "libera scelta informata", difficile da realizzare in un sistema
di poteri molto asimmetrico. L'obiettivo della consapevole partecipazione del paziente alle scelte terapeutiche
diventa una chimera nel contesto culturale in cui è radicata «l'idea che la salute sia qualche cosa che si
compra e non che si fa», ancora Illich. In altre parole, è passata la convinzione che il benessere psicofisico
delle persone dipenda dalla disponibilità di denaro spendibile sui mercati della health wellbeing (farmaci,
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integratori alimentari, centri fitness, ecc.) più che dalla salubrità degli abituali ambienti di vita e di lavoro. Ciò
che il sistema medico-sanitario istituzionalizzato tende infatti a occultare sono proprio i determinanti non
biologici delle malattie, le variabili sociali. La rivista scientifica Jama ha pubblicato un articolo - Stephen M:
bridging the divide between health and health care, 2013 - che afferma: «I servizi sanitari spiegano solo il
10% della mortalità prevenibile. Il rimanente 90% è associata a stili di vita, fattori ambientali, sociali e culturali,
predisposizione genetica e... caso». Per essere più precisi, ha spiegato Chiara Bodini, medico specialista
delle malattie infettive del Movimento per la salute dei popoli, bisognerebbe parlare di «determinazione della
salute da parte degli interessi sociali costituiti». È accertato in modo incontrovertibile da tutti gli studi sul
campo che i fattori ambientali e sociali inuiscono in modo preponderante sulla qualità della salute. I tassi
stessi di mortalità sono correlati ai redditi. E, comunque, le capacità di cura e di guarigione di una persona
dipendono in larga misura dalla sua condizione di vita e dai supporti familiari e comunitari che si trovano a lei
più vicini. Fulvio Aurora di Medicina democratica ha ricordato quanto incidano ancora le "malattie
professionali" e quanto l'esposizione a fattori di rischio sia profondamente ingiusta e classista provocando
"diseguaglianze di salute". Giovanni Ghirga, pediatra dell'Isde (Medici per l'ambiente), ha ancora una volta
richiamato l'attenzione sulla vera e propria catastrofe ambientale lenta provocata dal peggioramento
dell'inquinamento atmosferico dovuto alle particelle ultrasottili inalabili. Proprio in questi giorni la Società
italiana di Medicina interna ha calcolato che se si riuscisse a dimezzare le emissioni gassose inquinanti vi
sarebbero almeno 6mila morti attesi in meno all'anno e si registrerebbe un risparmio di 10 miliardi di euro di
spese sanitarie. A tutto ciò si deve aggiungere la spettacolare esplosione dei disagi e delle sofferenze
psichiche. Una vera pandemia. Conseguenza inevitabile di una società caratterizzata dall'insicurezza e dalla
precarietà che producono ansie, stress da competitività, angosce esistenziali, perdita di autostima,
distruzione delle normali relazioni umane. «Per avere una mente sana», hanno scritto gli epidemiologi
Wilkinson e Picket in La misura dell'anima. Perché le diseguaglianze rendono le società più infelici, «bisogna
apprezzare e accettare se stessi». Depressioni e patologie neuropsichiatriche sono le nuove malattie sociali
della contemporaneità. Robert Whitaker, autore di Indagine su una epidemia , calcola che negli Stati Uniti il
46 per cento della popolazione soffre di disturbi psichici e spende 25 miliardi di dollari all'anno per
antidepressivi, antipsicotici, sonniferi vari. La cifra si moltiplica per quattro se includiamo anche le cure
mediche dovute ai disturbi mentali. La promessa della farmacologia è quella di raggiungere uno stato di
benessere artificiale alternando stimolanti (comprese le droghe) e sedativi (tranquillanti). Psichiatrizzare i
disagi e i comportamenti fuori norma è l'unica risposta che il sistema sanitario sembra fornire. Accade così
che il nuovo manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali americano ampli a dismisura la diagnosi del
"disordine da deficit dell'attenzione e iperattività" dei bambini irrequieti, includa il normale dolore da lutto tra i
"disturbi depressivi maggiori", trasformi la timidezza in una manifestazione di ansia fobica sociale e consideri
il carattere stizzoso di una persona come sintomo della "disgregazione distruttiva dell'umore". Sarebbe
possibile invertire la rotta considerando la promozione della salute non come una azione delegabile agli
specialisti dell'industria farmaceutica e della cura medica standardizzata, ma come un obiettivo cui si fa carico
la società nel suo insieme, riducendo l'esposizione degli individui ai fattori di rischio, migliorando le condizioni
igieniche e le capacità nutrizionali della popolazione, aumentando il benessere percepito e le competenze
delle persone e delle famiglie nel risolvere per proprio conto i bisogni di salute. Sono questi, in fin dei conti, i
fattori principali che hanno permesso di allungare l'aspettativa di vita, più degli stessi antibiotici, della chirurgia
e delle raffinatissime tecniche rianimatorie, come ha documentato Pier Paolo Dal Monte, dell'Associazione
italiana per la bioetica chirurgica. In definitiva bisognerebbe pensare alla «salute come bene condiviso», ha
affermato Roberto Beneduce dell'Associazione Frantz Fanon, non come una merce e quindi sottratto alle
logiche del mercato. Al giovane medico Jean-Louis Aillon e a Maurizio Pallante, rispettivamente vice e
presidente del Movimento per la decrescita felice, il merito di aver portato a domicilio dei parlamentari un
argomento dirimente non tanto e solo per le casse pubbliche, in tempi di crisi fiscale dello stato, ma per la
qualità dell'esistenza delle donne e degli uomini di questo Paese.
23/11/2013
Left - N.46 - 23 novembre 2013
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(diffusione:57256, tiratura:78653)
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 25/11/2013
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INVENZIONI DA MANUALE Pubblicato per la prima volta nel 1952 per consentire al dipartimento della
Difesa Usa di catalogare i sintomi manifestati dai propri soldati, il Manuale diagnostico e statistico dei disturbi
mentali (Dsm) è oggi diffuso ovunque in Occidente. Se da un lato la necessità di parlare uno stesso
linguaggio ha portato a sviluppare criteri diagnostici condivisi - nel 1970 ciò che negli Usa era disturbo
bipolare, veniva definito dagli inglesi schizofrenia - dall'altro ogni nuova edizione del Dsm porta con sé un
dibattito sulla definizione dei confini delle malattie sempre incandescente, alimentato dalle accuse, spesso
provate, di essere redatto su dettatura delle case farmaceutiche. È capitato infatti che alcuni medicinali
arrivassero sul mercato prima delle malattie che avrebbero dovuto curare. Come fu per la sindrome
premestruale. Una patolo- gia "inventata" dopo la produzione di un certo farmaco, comparsa sul Dsm IV del
2000. Nel 2014 esce l'edizione italiana del Dsm-5 redatto dalla American psychiatric association. Vi sono
catalogati oltre 300 "disturbi", diversi in più rispetto al discusso Dsm IV. A questo si aggiunge l'abbassamento
delle soglie per la diagnosi. È stato cioè ridotto il numero di sintomi sufficienti a dire che una persona è
malata, spiega lo psichiatra Paolo Migone dell'Università di Parma. Col risultato che si creeranno molti "falsi
positivi" e quindi aumenteranno il consumo di farmaci e i costi per il Servizio sanitario nazionale e i cittadini.
Basti dire che se la tristezza per un lutto si dovesse protrarre oltre i 14 giorni si corre il rischio di vedersi
diagnosticato, anche dai medici di base, uno stato depressivo. E questo vale per tutte le nuove categorie
diagnostiche, conferma lo psichiatra Domenico Fargnoli: «Da quelle che riguardano gli abusi alimentari (in cui
rientrerebbe chiunque ami fare baldoria) alla dipendenza da internet (che interesserebbe milioni di giovani),
viene esteso a dismisura il raggio della patologia per la tendenza a individuare sintomi in aree
pericolosamente contigue alla "normalità"». Nel 2010, quando l'Apa pubblicò le bozze del Dsm-5, apparve sul
New Scientist un editoriale in cui Peter Aldhous scriveva: «Due famosi psichiatri, oggi in pensione,
sostengono che il nuovo manuale allargherà a tal punto la definizione di malattia mentale da spingere i medici
a prescrivere farmaci inutili e pericolosi a milioni di persone». Uno dei due era Allen J Frances, autore del
Dsm IV. La facile profezia di Aldhous si è avverata.
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Focus - N.254 - dicembre 2013
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SLOW SCIENCE
Ricercatori che ti seguono per tutta la vita, gocce di pece che impiegano anni a formarsi, studi secolari. Ecco
perché la scienza, a volte, deve essere lenta.
Giovanna Camardo
E' probabilmente l'esperimento più noioso della storia della scienza: una goccia di pece che scende da un
imbuto, un blob nero che per formarsi e cadere impiega una decina d'anni. Non è pensato per testare la
pazienza dei ricercatori, ma per provare che la pece, anche se sembra solida, si comporta come un fluido. E
quindi, sul lunghissimo periodo, gocciola anche a temperatura ambiente, senza essere scaldata. È due
milioni di volte più viscosa del miele, hanno calcolato i fisici del Trinity College di Dublino dove, a luglio, sono
riusciti per la prima volta a filmare il distacco di una goccia. Da quando l'esperimento era stato avviato,
nell'ottobre 1944, è stata la prima testimonianza video di questo raro evento. «L'ho visto nella registrazione, è
stato molto eccitante» ci racconta Shane Bergin, fisico del Trinity College. «Quando il distacco era imminente
- quesdone di mesi - ho sistemato la webcam». UNA MARATONA. L'esperimento della goccia è tra i più
famosi esempi di quella che potremmo definire "slow science": la scienza "lenta", fatta di esperimenti e
osservazioni che durano anche decenni. Bizzarrie? Niente affatto. Dal controllo dei fattori di rischio per il
cuore, agli studi sui terreni agricoli fino agli esperimenti sull'evoluzione dei batteri, a volte la scienza deve
essere una maratona, non uno sprint. Per quale ragione? «Innanzitutto, la velocità di un'osservazione è
legata a quella del fenomeno studiato: se ha tempi lunghi, le analisi devono prendere in considerazione
decenni di dati» commenta Marco Maria Massai, fisico, docente del corso di cultura e metodo scientifico
dell'Università di Pisa. «Pensiamo alla climatologia: è una scienza "slow" - anche se le previsioni del tempo
sono sempre più "fast" - perché si devono analizzare dati raccolti in decenni e variazioni del clima sul lungo
periodo». Anche guardar cadere una goccia di pece, nonostante sembri bizzarro, ha quindi un suo senso:
adattarsi ai tempi della sostanza osservata. E pensate che l'osservazione di Dublino non è nemmeno la più
"anziana". Un'altra è in corso dal 1927 alla University of Queensland a Brisbane, in Australia: in 86 anni (in
quello che per il Guinness dei Primati è il più lungo esperimento di laboratorio) sono cadute solo 8 gocce. Ma
nessuno le ha mai viste in diretta: nemmeno il professor John Mainstone, che è stato custode della goccia di
pece per 52 anni. Nel 1988 una goccia è caduta mentre Mainstone era andato a prendersi qualcosa da bere.
Nel 2000, la webcam di sorveglianza installata non era in funzione quando la goccia si è staccata. E ad
agosto il professor Mainstone è mancato. Ora, mentre scriviamo, alla University of Queensland si attende il
distacco della nona goccia, dedicata alla sua memoria: si può vedere live su www.theninthwatch.com e sarà
registrato il nome delle persone che saranno collegate da tutto il mondo al momento del distacco. «In realtà,
non è un vero esperimento» puntualizza Bergin «perché non serve a testare un'ipotesi: certo, abbiamo
calcolato la viscosità della pece, ma ci sono metodi più rapidi per farlo. È una dimostrazione, ideata per
creare interesse: negli studenti e non solo. Ma da questo punto di vista funziona! Abbiamo suscitato curiosità,
che è il cuore della buona scienza, e fatto riflettere sul valore della "slow science" e dello studio dei processi
che accadono in tempi lunghi». BOTTIGLIE D'ANNATA. Uno studio può richiedere una vita (o più) anche se
ci si deve adattare ai tempi delle piante. Alla Michigan State University, per esempio, nel 2000 Frank Telewski
ha stappato una bottiglia di circa 120 anni. Dentro non c'era un vino pregiato, ma un assortimento di semi: li
aveva sepolti il professor William Beai nell'autunno del 1879. «Voleva capire per quanto tempo i semi di
piante comuni potevano restare dormienti nel terreno e poi germogliare se esposti alle condizioni favorevoli»
ci racconta Telewski. «Allora il problema era capire se un contadino, continuando a estirpare erbacce,
avrebbe raggiunto un punto in cui la "banca dei semi" nel suolo si sarebbe esaurita. La risposta è stata no,
ma lo studio della vitalità dei semi nel terreno è poi diventato un'importante questione ecologica, per la
rigenerazione degli ambienti». Beai riempì 20 bottiglie con semi e sabbia e le seppellì: ne sono state aperte
15 a intervalli di 5, poi di 10 e ora di 20 anni. «Ho aperto l'ultima nel 2000, scavando di notte nel campus
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 25/11/2013
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Scienza
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Focus - N.254 - dicembre 2013
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dell'università: per non esporre le rimanenti alla luce e non attrarre l'attenzione sul punto esatto, che è
segreto» dice Telewski. Due specie su 21 hanno germinato anche dopo 120 anni. «La prossima bottiglia sarà
aperta nel 2020: io ho ereditato l'esperimento e lo passerò ad altri. La scienza a volte è uno sforzo di lungo
termine, col passaggio da un ricercatore a un altro» dice Telewski. «Questo vale in molti campi, dalla biologia
agli studi sull'ambiente (v. riquadro a pag. 24), ma anche nell'esplorazione dello spazio: pensiamo alle sonde
Voyager, lanciate 36 anni fa». Voyager 1 ha ormai raggiunto lo spazio interstellare e continua la sua
esplorazione. MUTAZIONI. Che cosa c'è di più a lungo termine che seguire l'evoluzione di esseri viventi in
diretta? È quello che fa Richard Lenski, che per il suo esperimento fa moltiplicare microbi da quando aveva
31 anni. «Ora ne ho 57. E spero che altri continueranno» racconta il ricercatore della Michigan State
University. Dal 1988 ha seguito 12 popolazioni di batteri Escherichia coli, all'inizio identiche. «Volevo
verificare se si sarebbero evolute allo stesso modo o no» spiega Lenski. «Ognuna delle 12 popolazioni vive in
un contenitore con 10 mi di liquido di coltura: acqua e zucchero. Ogni giorno, prendiamo 0,1 mi della coltura
del giorno prima e la trasferiamo in 9,9 mi di liquido: i batteri si moltiplicano per 6 o 7 generazioni,
consumando lo zucchero. Il giorno seguente il processo si ripete. L'esperimento è andato avanti ogni giorno,
con poche interruzioni, e oggi ha superato le 58.000 generazioni di batteri. Ogni 75 giorni poi ne congeliamo
campioni: così possiamo fare comparazioni con le generazioni precedenti» dice Lenski. Che ha così visto
l'evoluzione in azione, tra mutazioni e selezione naturale. «Tutte le popolazioni producono cellule più grandi
rispetto al ceppo ancestrale e vari geni sono cambiati in modo simile: evidentemente danno un vantaggio
nelle condizioni sperimentali. Ma in altri casi l'evoluzione è stata differente: una po- polazione, dopo 31.000
generazioni, ha iniziato a nutrirsi, oltre che del glucosio, di un altro composto presente nel liquido, il citrato. E
penso che l'esperimento continuerà a dare risultati». QUESTIONI DI CUORE. «La lentezza è poi d'obbligo
quando si parla dell'uomo» aggiunge Massai. «Pensiamo alla prudenza necessaria quando si verificano gli
effetti collaterali dei farmaci». Anche al di là di questo, però, alcune ricerche sono concepite per durare
moltissimo. È il caso degli "studi osservazionali longitudinali" in cui si analizzano gli effetti di fattori di rischio o
protettivi su un gruppo di persone. In medicina si sono rivelati preziosi. Come il Framingham Hearth Study,
progetto iniziato nel 1948 negli Usa per studiare i fattori che contribuiscono alle malattie cardiovascolari
seguendo la vita di un gruppo di persone. All'inizio i ricercatori hanno reclutato 5.209 uomini e donne della
città di Framingham, Massachusetts, sottoposti a esami medici e a interviste sul loro stile di vita. Le analisi
venivano ripetute ogni due anni. Col tempo, allo studio si sono aggiunti i loro figli (nel 1971), i loro nipoti
(2002) e altri soggetti. I risultati sono stati importantissimi: il monitoraggio della popolazione di Framingham
ha permesso di identificare i principali fattori di rischio cardiovascolare (dal fumo alla pressione alta,
dall'obesità all'inattività fisica), generando circa 1.200 articoli su riviste scientifiche. E la ricerca continua,
anche usando nuove tecnologie diagnostiche, come l'ecocardiografia. EX STUDENTI. Altri studi di lungo
periodo seguono la vita delle loro "cavie" anche dal lato psicologico. Uno dei più celebri è il pluridecennale
studio sullo sviluppo dell'adulto avviato ad Harvard. Ha coinvolto 268 studenti di Harvard, reclutati tra il 1939
e il 1944; in seguito, sono stati inclusi 456 giovani provenienti dalle classi popolari di Boston. «Attraverso
visite mediche, interviste dirette e questionari abbiamo raccolto dati sulla loro salute, su matrimonio e
famiglia, sull'uso di alcol e sul fumo, sul lavoro e sul benessere psicologico» ci racconta George Vaillant, che
è stato a lungo direttore della ricerca. «L'obiettivo era analizzare la loro salute fisica e psicologica e lo
sviluppo nell'età adulta. Abbiamo visto che le persone continuano a cambiare e a svilupparsi in modo positivo
dai 30 agli 85 anni, che per invecchiare bene contano di più le capacità relazionali dello status sociale, o
l'effetto positivo per problemi di alcol di associazioni di auto-aiuto come gli Alcolisti Anonimi». E lo studio va
avanti sugli anziani protagonisti sopravvissuti. «Ogni anno raccogliamo dati sulla loro salute» aggiunge
Robert Waldinger, subentrato alla guida. «Questo è il più lungo studio della vita adulta che si è spinto così in
profondità. È unico, anche perché pochi partecipanti sono usciti. La maggior parte degli studi longitudinali
finisce attorno ai dieci anni, perché i partecipanti si perdono». Un altro vantaggio dei lunghi periodi? «Essere
"slow" migliora la comprensione di un sistema complesso, che richiede più tempo dell'esame di un solo
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aspetto» dice Massai. «Pensiamo all'agricoltura. In poco tempo si vede quanto una varietà è produttiva. Ma le
conseguenze sul terreno appaiono su periodi lunghi». Questi processi vanno testati sul campo.
Letteralmente. E infatti alcuni esperimenti studiano i metodi agricoli da più di un secolo e mezzo. Come quelli
di Rothamsted Research (Gb), dove sono tutt'oggi in corso 8 degli esperimenti varati tra il 1843 e il 1856 per
testare fertilizzanti inorganici come azoto e fosforo o concime organico. Nei suoi campi si coltivano cereali o
colture foraggere. «Portiamo avanti i più vecchi esperimenti continui al mondo sul frumento seminato in
autunno e sul prato a fieno» dice Andy Macdonald, che guida gli esperimenti, "aggiornati" di continuo per
testare nuove idee e varietà. «Sono una risorsa di dati per studiare i processi da cui dipende la nostra futura
sicurezza alimentare: gli impatti del cambio climatico sui patogeni dei raccolti, le conseguenze dell'aumento di
CO 2 sull'uso dell'acqua, gli effetti sui microbi nel terreno. Registriamo i rendimenti, raccogliamo campioni di
piante, monitoriamo il suolo. In più, la pioggia caduta a Rothamsted è misurata dal 1853 e la temperatura dal
1873». TEMPI GEOLOGICI. Infine, dice Massai, «accumulare osservazioni è d'obbligo se si studia un
fenomeno raro». Pensiamo alle scienze della Terra. «Si analizzano fenomeni occasionali, come le eruzioni:
studiare molti casi, in tempi lunghi, è fondamentale per capirli» conclude Giuseppe De Natale, direttore
dell'Osservatorio Vesuviano, sezione di Napoli dell'Ingv. Un grande esempio di osservazione secolare.
«Fondato nel 1841, è il più antico osservatorio vulcanologico, nato per capire i fenomeni vulcanici. Le
cronache e le osservazioni dell'attività del Vesuvio sono un tesoro, anche se oggi rileviamo dati con
tecnologie diverse: non usiamo più, naturalmente, il sismografo elettromagnetico inventato nel 1856 da uno
dei direttori dell'Osservatorio, Luigi Palmieri, e abbiamo reti di rilevamento di parametri geochimici e sismici.
Ci siamo spostati dalla sede storica, alle pendici del Vesuvio, dove ora ci sono museo e biblioteca. Ma
continuiamo la sorveglianza e la ricerca». MAKI GALIMNERTI, ELABORAZIONE CHIARA SCANDUNA,
UNIVERSITY OF QUEENSLAND, W.J. BEAL BOTANICAL GARDEN, MICHIGAN STATE UNIVERSIY,
MARK PETERSON/CORBIS, MADELEINE LENSKI, BRIAN BEAR E NEERJA HAJELA, COPYRIGHT
ROTHAMSTED RESEARCH LTD HO INIZIATO GIOVANE. Ci sono esperimenti che durano tutta ìa vita cti
un ricercatore, E che passano poi a eredi, da una generazione all'altra di scienziati.
VERDE D'ANNATA. Sotto, Frank Telewski tra piante di Verbascum blattaria: una delle specie (con Malva
rotundifolia) nate dai semi messi in una bottiglia e sepolti 120 anni prima da William James Beai (a destra, in
piedi al centro).
PAESI SOTTO ESAME Coinvolge 7.000 persone di 4 paesi della Sardegna: Lanusei, Arzana, Elini, llbono.
«Quando il progetto è iniziato, nel 2001, i volontari andavano dai 18 ai 102 anni. Altri si sono aggiunti. Ora la
ricerca è stata finanziata fino al 2016, ma l'idea è di continuare ben oltre seguendo le persone che
invecchiano e i loro figli» spiega Francesco Cucca, responsabile dell'Istituto di ricerca genetica e biomedica
del Cnr di Cagliari. Cosa si indaga? «Il progetto è stato ideato dal genetista Giuseppe Pilia, oggi scomparso,
che ha mobilitato la popolazione del suo paese, Lanusei. L'idea è di accoppiare le caratteristiche misurabili da peso e altezza al numero di cellule del sistema immunitario - con il profilo genetico di ogni persona, per
capire quanto queste variabili sono determinate dai geni. Le persone ogni 3 anni sono sottoposte a una visita
con diversi esami. I dati sono poi confrontati con la "mappa genetica" di ognuno, che è tra le più accurate
oggi realizzate al mondo. Tra gli obiettivi, capire i meccanismi di predisposizione alle malattie, o trovare
farmaci. Lo studio dura negli anni perché vogliamo raccogliere informazioni sulla vita delle persone e sui
fattori di rischio, e sottoporre i volontari a nuove analisi o richiamare individui con particolari caratteristiche
genetiche. Ed è un'occasione per i volontari per fare visite periodiche».
LENTEZZA ECOLOGICA La durata prevista dell'esperimento più lungo è di 200 anni. È uno studio sulla
decomposizione dei tronchi alla H. J. Andrews Experimental Forest, nell'Oregon. «Ricerche come questa
richiedono il lavoro di generazioni di scienziati» dice Robert Waide, direttore del Lter (Long Term Ecological
Research), network di studi sui processi a lungo termine in vari ecosistemi. «Lunghi esperimenti e
osservazioni sono necessari per capire i fenomeni che accadono su scala temporale lunga e le dinamiche
alla base del sistema. Il cambio climatico avviene lentamente: senza misurazioni di lungo periodo sarebbe
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difficile analizzarlo. Lo stesso vale per la perdita di biodiversità. O per eventi come El Nino-Oscillazione
Meridionale, fenomeno climatico ricorrente la cui comprensione richiede lunghe serie di dati».
Foto: IG NOBEL. Sopra a sin., l'esperimento della goccia di pece, alla University of Queensland, si guarda via
Web. Sopra, John Mainstone, guardiano della goccia che vinse Plg Nobel, premio per la scienza buffa. A sin.
l'esperimento nel 1979. L'esperimento della goccia di pece è in corso dal 1927 in una università australiana.
E si segue anche in diretta web
Foto: Per quanto tempo i semi restan0 vitali? Basta j imbottigliarli seppellirli e farli germogliare dopo oltre un
secolo
Foto: EVOLUTI. A sinistra, le 12 popolazioni di batteri fatti moltiplicare da Richard Lenski (sotto, nel 2010 con
i batteri giunti a 50.000 generazioni). C'è chi, in laboratorio, osserva come si riproducono popolazioni di
batteri. Da anni li fa moltiplicare ogni giorno per una sorta di Truman Show sull'evoluzione FATTORI DI
RISCHIO. A Framingham (sopra) sono seguiti volontari per uno studio sulle malattie cardiovascolari (a
destra, un esame).
Foto: NELLA VECCHIA FATTORIA. Gli esperimenti in corso a Rothamsted (Gb) sono partiti dal 1843. Una
volta si usavano i cavalli (sotto), oggi le moderne macchine agricole (a destra). Se un fenomeno avviene su
tempi lunghi, le analisi devono considerare decenni di dati. E anche le osservazioni di eventi rari vanno
accumulate
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Focus - N.254 - dicembre 2013
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Pillole di feci e alleati batterici
E. I.
Ingerireste una capsula di batteri fecali? Frenate il ribrezzo: serve a guarire da un'infezione. Thomas Louie,
Università di Calgary, ha racchiuso in pillole i batteri "buoni" dell'intestino, per chi soffre di diarrea causata dal
Clostridium difficile, che può colpire dopo che cure antibiotiche hanno eliminato gli altri batteri. Si è provato a
curarla col "trapianto di feci", trattate e passate all'intestino dei malati. Louie ha provato un'alternativa meno
invasiva: «Le pillole: passiamo le feci donate da familiari in soluzione salina, le filtriamo fino a isolare i batteri,
chiusi in tre strati di gel. Le pillole liberano il contenuto nell'intestino tenue, dove agiscono». Hanno ristabilito
la flora intestinale di 27 pazienti. E la medicina cerca altri alleati tra i batteri: anche nocivi come VEscherichia
coli (sotto), di cui esistono ceppi innocui. Matthew Chang (Singapore) ha reso uno di questi capace di
dirigersi su Pseudomonas aeruginosa, rilasciando sostanze che disgregano la "pellicola" resistente agli
antibiotici formata da questi batteri. SPL/CORBIS
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Prisma
24/11/2013
Focus - N.254 - dicembre 2013
Pag. 76
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AIDS Il mondo ora ha meno paura
Il virus arretra e la medicina è più vicina a una cura. Ma non si deve abbassare la guardia.
Margherita Fronte
Dopo che per trent'anni le cifre dell'Aids non hanno fatto che salire, lasciando sgomento il mondo, e dopo che
i ricercatori hanno tentato invano di mettere a punto farmaci per curare la malattia, o vaccini per prevenirla, ci
sono finalmente i segnali di un'inversione di rotta. Secondo l'ultimo rapporto dell'agenzia per l'Aids delle
Nazioni Unite (Unaids), dal 2001 al 2012 le nuove infezioni da Hiv a livello globale sono scese del 33%, e fra i
bambini addirittura del 56%. E nel corso del 2013 anche la medicina ha fatto segnare più di un punto a suo
favore, tanto che la parola "cura" nonèpiùuntabù neppure fra gli addetti ai lavori, ma rimbalza da un tavolo
all'altro dei grandi congressi internazionali. Gli esperti sottolineano che la ventata di ottimismo non deve
spingere a sottovalutare i rischi: in diverse regioni del mondo, e in particolare in Europa, il virus non molla la
presa, e in alcuni Paesi le infezioni sono persino in aumento. Di certo, però, la malattia sta cambiando
rapidamente volto. Già ora i farmaci antiretrovirali permettono ai sieropositivi di convivere fino a un'età
avanzata con un virus che, fino alla metà degli anni Novanta, li uccideva in pochi anni. La terapia però va
seguita con costanza, perché queste medicine impediscono all'Hiv di moltiplicarsi, ma non sono in grado di
eliminarlo dai serbatoi cellulari, nei quali può restare silente per tempi indefiniti, pronto a risvegliarsi se i livelli
dei farmaci nel sangue scendono. Ma i fatti scientifici degli ultimi mesi fanno intravedere la possibilità di una
cura più definitiva, capace di distruggere una volta per tutte anche quelle riserve dormienti o, per lo meno, di
permettere all'organismo di controllare bene l'infezione, senza bisogno di pillole. IL PAZIENTE DI BERLINO.
La svolta è iniziata nel 2009, quando il New England Journal of Medicine pubblicò il caso di un paziente di
Berlino, al secolo Timothy Brown, che potè smettere di prendere gli antiretrovirali grazie a un doppio trapianto
di midollo, con l'obiettivo prioritario di curare la leucemia dalla quale pure era affetto. L'intuizione del suo
medico fu quella di cercare un donatore che fosse portatore di una mutazione sul gene CCR5, che impedisce
al virus dell'Aids di colonizzare i linfociti. Da quando le cellule del nuovo midollo hanno sostituito quelle
originarie, nel sangue dell'uomo l'Hiv non è più ricomparso, se non a livelli infimi, troppo bassi per far
esplodere la malattia. Il risultato frantumò l'idea che l'Aids fosse invincibile, ma i suoi limiti furono subito chiari.
Infatti, appena l'l% della popolazione europea è completamente resistente al virus in virtù di quella
mutazione, e sarebbe impossibile trovare per ciascun malato un donatore compatibile e per di più portatore di
quell'anomalia. Tuttavia, alcuni gruppi stanno tentando di ottenere lo stesso risultato con la terapia genica,
nella quale il gene normale è sostituito con quello che protegge dall'infezione. «Si tratta di studi molto
preliminari, ma sono in corso diverse sperimentazioni» dice Stefano Velia, direttore del Dipartimento del
farmaco dell'Istituto Superiore di Sanità. La vicenda di Timothy Brown ha però ispirato anche altri filoni di
ricerca. TRAPIANTI OK, MA SOLO PER POCHI. Per esempio, perseguendo la strada del trapianto di
midollo, un importante risultato è stato reso noto a luglio dai medici del Brigham and Women's Hospital di
Boston (Usa): due pazienti sieropositivi e malati di leucemia così trattati hanno infatti potuto smettere di
assumere farmaci senza che il virus sia tornato a moltiplicarsi. Poiché in questo caso i donatori non avevano
l'anomalia sul gene CCR5, le ragioni del successo non sono chiare. Probabilmente, la distruzione del midollo
originario, operata prima del trapianto e necessaria a far posto al nuovo tessuto, ha eliminato anche i serbatoi
virali, e le massicce dosi di antiretrovirali nel periodo successivo all'intervento hanno impedito all'Hiv di
colonizzare le cel- lule provenienti dai donatori. A calmare gli entusiasmi è stato però lo stesso Timothy
Henrich, uno dei medici coinvolti: «Riteniamo che le probabilità che il virus torni siano davvero molto basse,
ma è ancora presto per affermare che questa sia una cura». Infatti, l'Hiv potrebbe ancora annidarsi
nell'intestino o nel cervello. Comunque vada per i due di Boston, è però certo che il trapianto di midollo è
impraticabile su larga scala, perché impegnativo, costoso e non privo di rischi. Secondo Michael Brady,
direttore del Terrence Higgins Trust: «Potrebbe essere una soluzione per chi ha anche un tumore del sangue
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Medicina
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(caso non rarissimo fra i sieropositivi, dato che il loro rischio di neoplasie è aumentato, ndf). Tuttavia, per la
maggior parte delle persone con Hiv sarebbe molto più pericoloso sottoporsi a questa procedura che
continuare per tutta la vita a prendere farmaci». "GUARIGIONI" INSPIEGABILI. Più fattibile, a patto di
riconoscere l'infezione con tempestività, è la proposta di trattare chi contrae il virus prima che questo abbia il
tempo di stabilirsi nei serbatoi. A marzo, una ricerca francese pubblicata su Plos One ha concluso che
l'organismo può imparare a tenere a bada l'infezione se la terapia antiretrovirale inizia entro le 10 settimane
dal contatto con l'Hiv. Grazie a questo approccio, 14 pazienti hanno potuto smettere di assumere farmaci e
stanno bene: l'Hiv non è scomparso dal loro corpo, ma il sistema immunitario lo controlla con un meccanismo
che, per la verità, non è ancora chiaro. Qualcosa di simile è accaduto a una bambina statunitense, la cui
vicenda è stata descritta nei dettagli sul New England Journal of Medicine a fine ottobre da Deborah Persaud,
la virologa del Johns Hopkins Children's Center di Baltimora che l'ha avuta in cura. Figlia di una donna
sieropositiva, la piccola risultò infetta al test eseguito alla nascita e fu quindi sottoposta alla terapia
antiretrovirale ad appena 30 ore di vita. Avrebbe poi dovuto continuare a prendere i farmaci, ma dopo 18
mesi la madre smise di presentarsi ai controlli. Quando tornò in ospedale, cinque mesi dopo, ammettendo di
non aver più dato medicine alla figlia, i medici si aspettavano che il virus fosse tornato a moltiplicarsi
violentemente. Invece nel sangue della bambina non c'era traccia dell'Hiv e ancora oggi, all'età di 30 mesi, la
piccola non ha alcun segno dell'infezione e non assume farmaci. E IL VACCINO? «Tutte queste vicende
aggiungono tasselli importanti alla nostra conoscenza dell'Aids. Tuttavia, una terapia utilizzabile su vasta
scala deve avere altre caratteristiche» riprende Stefano Velia. «Una diagnosi cosi precoce sarebbe molto
difficile da attuare nei Paesi del Sud del mondo, dove altri interventi, come la somministrazione di
antiretrovirali alle donne sieropositive in gravidanza, hanno invece permesso di ridurre in modo drastico la
trasmissione da madri a figli. Per una cura vera e propria dobbiamo invece aspettare i risultati delle
sperimentazioni sui farmaci che mirano a distruggere i serbatoi virali e sui vaccini terapeutici che,
somministrati a chi è già sieropositivo, dovrebbero permettere al sistema immunitario di controllare il virus
senza bisogno di altre terapie». Diversi trial sono in corso: i risultati si sapranno fra 3-5 anni. Di un vaccino
preventivo, capace cioè di evitare il contagio, si parla invece oggi molto meno di un tempo, alla luce dei
fallimenti registrati in passato anche per composti che, inizialmente, erano parsi promettenti. L'orizzonte
temporale previsto per lo sviluppo di un vaccino preventivo è ancora il decennio. Più o meno la stessa stima
veniva fatta 10 anni fa. NON ABBASSARE LA GUARDIA. Ma mentre l'attesa di una cura definitiva sembra
farsi più breve congresso dopo congresso, va da sé che l'attuale retromarcia dell'epidemia è stata
determinata da un migliore utilizzo dei mezzi già disponibili. Le donazioni dei governi occidentali sono state
costanti dal 2008 al 2012, ma gli investimenti dei Paesi a medio e basso reddito più colpiti dalla malattia sono
invece aumentati. Inoltre, dal 2010 al 2013 i costi dei farmaci sono scesi da una media di 242 dollari per
paziente per anno a 163. Tutto questo si è tradotto in campagne per la prevenzione più efficaci, in una rete di
assistenza più capillare, in un maggiore accesso alle terapie: fra il 2011 e il 2012, il numero di malati nei
Paesi a medio e basso reddito che hanno potuto curarsi è salito del 20%. Certo, permangono grandi disparità
fra una regione e l'altra, e nelle aree rurali più povere l'assistenza è ancora scarsa. Le cifre dell'Aids
nell'Africa sub-sahariana sono ancora spaventose (il 4,7% degli adulti ha il virus nel sangue, contro lo 0,2%
degli europei), ma i miglioramenti più importanti sono avvenuti qui. Per contro, a segnare il passo è
l'Occidente e, in particolare, l'Europa. «Nella zona euro l'epidemia è stabile e in alcuni Paesi, come il Regno
Unito, sta persino crescendo. Nell'Est europeo, poi, stiamo assistendo a un vero e proprio boom dei casi, per
la crescente diffusione del virus fra tossicodipendenti» dice Barbara Suligoi, direttore del Centro operativo
Aids dell'Istituto Superiore di Sanità. In Italia, dove nel 2012 le persone con Hiv erano circa 95.000, le nuove
infezioni registrate ogni anno sono circa 6 ogni 100.000 abitanti, ed è così da almeno un quinquennio. «La
trasmissione avviene prevalentemente pervia sessuale» prosegue l'esperta. «Non dobbiamo abbassare la
guardia sulla prevenzione e incentivare l'uso del preservativo, che è il mezzo più efficace per evitare il
contagio». A preoccupare di più sono i giovani e gli anziani. «Per i primi l'Aids non è mai stata un'esperienza
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di vita, perché sono nati quando l'epidemia stava già calando e se ne parlava meno» conclude Suligoi. «Gli
anziani, invece, hanno oggi una vita sessuale più attiva di un tempo. Ma a questa non corrisponde una giusta
considerazione dei rischi che si corrono, a tutte le età, con i rapporti non protetti». GIDEON MENDEL AND
THE UCLA ART & GLOBAL HEALTH CENTER, GIDEON MENDEL/CORBIS, AP, BSIP/GETTY IMAGES,
CORBIS, BSIP/ALAMY, PANOS/LUZPHOTO, GETTY IMAGES, BETTINA STRENSKE/MARKA,
AFP/GETTY IMAGES, KIM LUDBROOK/EPA/ANSA SIEROPOSITIVI. Persone con Hiv di tutto il mondo,
fotografate da Gideon Mende! nell'ambito del progetto "Through Positive Eyes".m
IL CICLO VITALE DELL'HIV 2. Rna e alcuni enzimi entrano * nel linfocita CD4. {Z\m 1. Il codice genetico / T i
, Halldell'Hiv è costituito da Rna, simile al Dna. 3. L'informazione presente nell'Rna è trascritta in una
molecola di Dna. 4. Il Dna si integra nel genoma del linfocita. Può restarvi per tempi indefiniti. 5. Il virus si
risveglia, si moltiplica nella cellula e ne fuoriesce, distruggendola.
PRIMA È MEGLIO A luglio l'Oms ha presentato le nuove linee guida sull'uso degli antiretrovirali. La principale
novità è l'anticipazione della terapia a quando i linfociti CD4 scendono sotto i 500 per mm 3 di sangue,
mentre prima si aspettava che arrivassero a 350. È stato infatti dimostrato che iniziare prima migliora la
sopravvivenza e riduce il rischio di contagio. Per questo motivo, gli antiretrovirali vanno poi dati subito,
indipendentemente dalla conta linfocitaria, alle donne incinte e a chi ha un partner fisso non infetto. Al fine di
garantire una migliore qualità della vita, la stessa regola è stata decisa per chi ha l'epatite B o la tubercolosi e
per bambini al di sotto dei 5 anni (per questi ultimi, c'è anche l'ipotesi che il sistema immunitario possa così
imparare a controllare il virus senza farmaci). Le nuove regole potrebbero salvare 3 milioni di vite entro il
2025.
Foto: I milioni di morti per Aids dall'inizio dell'epidemia. Oggi 35,3 milioni di persone convivono con il virus.
GUARITO? Timothy Brown oggi non ha più bisogno di farmaci. Qui è a San Francisco, sua città di adozione.
Nel 2009 il caso del paziente di Berlino frantumò l'idea che l'Aids fosse invincibile. Da allora la ricerca di una
cura ha fatto passi da gigante
Foto: Farmaci che distruggano i serbatoi virali, vaccini terapeutici, trapianti di midollo e terapia genica. Sono
le strade più battute dalla ricerca Un infermiera prepara un test di sieroposjtività A sinistra: i tre principi attivi
della terapia in una sola pillola. MESSAGGIO CHIARO. Un poster diffuso in Malesia, dove le campagne per
la prevenzione sono esplicite e insistenti.
Foto: I milioni di persone infettate nel 2012. Più di due terzi vivono in Africa; 29.000 in Europa occidentale e
centrale. • CON TONI DIVERSI. Ragazzi canadesi in barca contro l'Aids. A destra, un murales lungo una via
percorsa da ragazzi che vanno a scuola, in Sudafrica. ESPERTI A CONFRONTO. Sotto, il congresso della
International Aids Society, presieduta da Francoise BarréSinoussi (destra), Nobel per la scoperta dell'Hiv. Un
migliore accesso a diagnosi e cure e le campagne di prevenzione fanno arretrare il virus. Ma in Europa non ci
sono miglioramenti
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Malattia o suggestione?
Ci sono persone che si battono da anni per far riconoscere disturbi rari, avvelenamenti segreti, o infezioni
"aliene". Ma il calo delle gravidanze isteriche insegna che...
Massimo Polidoro
Nel 2001, la bioioga statunitense Mary Leitao, osservando una piaghetta sotto il labbro del figlio di tre anni,
nota alcuni peli. Li preleva, li osserva al microscopio giocattolo del bambino, e si convince di avere scoperto
qualcosa che lì non dovrebbe esserci: "fibre" di vari colori. Gli otto diversi medici a cui si rivolge non trovano
nulla di strano nel prurito del bambino, né alcuna allergia, e prescrivono normali creme dermatologiche. Ma la
Leitao non è soddisfatta, si convince che il figlio è vittima dì una nuova malattia, che lei chiama "Morgellons"
(da un'oscura cronaca di un medico del XVI secolo in cui si parla di peli neri) e poco dopo crea in casa sua
una Fondazione dedicata allo studio della malattia. Si sente sola a combattere contro l'establishment medico
e raccoglie testimonianze di persone che sembrano presentare gli stessi sintomi del figlio, in particolare il
prurito incontrollabile e la presenza di fibre di diverso tipo (tessili, peli, lanugine) nelle lesioni sulla pelle. Le
ipotesi sul Web si scatenano e iniziano a circolare le voci più estreme. FIBRE ALIENE. Si va dall'esperimento
militare finito male, che avrebbe portato a contagiare per sbaglio migliaia di persone, al tentativo volontario di
avvelenare lapopolazione tramite le famigerate "scie chimiche". Per arrivare a chi immagina che le fibre siano
"nano robot" comandati a distanza e che si auto-repli- cano. Oppure impianti alieni applicati sottopelle.
«Come sempre accade in questi casi, nessuna prova viene fornita a sostegno di tali affermazioni» dice Salvo
Di Grazia, medico e curatore del blog "MedBunker", dedicato alla corretta informazione scientifica in campo
medico. «Non è stata mai isolata una fibra di struttura o provenienza ignota, non sono mai state ritrovate fibre
in zone del corpo "inaccessibili" a fibre naturali, tutte le analisi effettuate hanno sempre dimostrato che questi
"filamenti" hanno tutte le caratteristiche di fibre tessili di fabbricazione umana o naturale». Ma il clamore
attorno alla vicenda è tale che persino i Centers for Disease Control and Prevention (CDC), l'organismo di
controllo sulla sanità pubblica degli Stati Uniti, hanno condotto verifiche ed esami durati sei anni. La
conclusione? Non esiste alcuna nuova patologia concreta né fonte di infezione aliena. MANIACALI. Che cosa
succede dunque alle persone che si ritengono colpite dalla sindrome di Morgellons? «Sono probabilmente
vittime di una forma di "parassitosi maniacale"» continua Di Grazia. «Una sorta di delirio. Chi soffre di questa
patologia è convinto di sentire lungo il corpo migliaia di insetti, parassiti e animali che provocano prurito. La
parassitosi maniacale è la forma più frequente di psicosi osservata in dermatologia». E come si spiega la
presenza di fibre? «Sono semplicemente lana, capelli o cotone che si trovano a contatto con il corpo e
possono finire intrappolati in una ferita. Accidentalmente, certo, ma non solo» spiega Di Grazia. «Una "malata
di Morgellons" infilò dei capelli in una ferita della bocca per farli ritrovare al suo dentista». MALATI
IMMAGINARI. Sentirsi colpiti da malattie inesistenti non è un fenomeno nuovo. Ma l'ipocondria è ben diversa
dalla situazione di chi si ritiene vittima di una ben precisa sindrome, per quanto immaginaria. «L'ipocondriaco
ha centinaia di malattie immaginarie che cambiano secondo i sintomi» spiega Di Grazia «l'affetto da
Morgellons ne ha una sola. Costui cerca conferme per sentirsi appartenente a una categoria di malati ben
precisa e, se i disturbi non li ha, li crea». Non molto diversamente da quanto accade con la sindrome di
Munchhausen, in cui una persona simula una malattia in modo da ottenere un ricovero ospedaliero e
sottoporsi cosi anche a indagini invasive o interventi chirurgici. L'unico scopo di chi è affetto da questo
disordine è quello di assumere il ruolo di malato. Per queste persone interpretare il "paziente" è qualcosa di
familiare, che da conforto e risponde al bisogno di essere accettati. Una sua variante ancora più estrema è
nota come "Mùnchhausen per procura". In questo caso, una persona induce una malattia in qualcuno che è
sotto le sue cure - come può fare una madre con il figlio - al fine di attirare attenzione e simpatia su di sé. Non
a caso, fu proprio questa sindrome a essere diagnosticata a Mary Leitao quando si trasformò in paladina del
Morgellons, nonostante nessun medico riscontrasse autentici disturbi nel figlio. MAMME PER FINTA. La
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DOSSIER
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ricerca di gratificazione e il desiderio di affermazione personale possono avere conseguenze inaspettate.
Come, per esempio, indurre tutti i sintomi di una gravidanza, pancione e nausee mattutine inclusi.
Un'illusione, che i medici definiscono pseudociesi, o gravidanza immaginaria. «Secondo i rari studi effettuati
su questo strano disturbo» spiega Vilayanur S. Ramachandran, neurologo all'Università della California a San
Diego «l'ingrossamento dell'addome è perlopiù causato dalla combinazione di vari fattori, tra cui l'accumulo di
gas intestinale, l'abbassamento del diaframma, lo spostamento in avanti della porzione pelvica della colonna
vertebrale e, in sporadici casi, il reale aumento del volume dell'utero. Quanto alle altre alterazioni, le cause si
possono ricercare nel fatto che l'intenso desiderio di un figlio e la depressione indotta dalla difficoltà a
rimanere incinta possono ridurre nel cervello i livelli di dopamina e norepinefrina, i "neurotrasmettitori della
gioia". Ciò a sua volta porterebbe l'organismo a produrre meno ormoni responsabili dell'ovulazione e delle
mestruazioni e, contemporaneamente, più prolattina, responsabile dell'ingrossamento del seno e della
secrezione lattea». In un ambito come questo i fattori culturali hanno un ruolo importante e spiegano perché
le false gravidanze siano tanto diminuite: da una su duecento alla fine del Settecento, sono oggi una su
diecimila. «In passato pressioni sociali molto forti inducevano le donne a desiderare un figlio sopra ogni altra
cosa» continua Ramachandran «e quando si sentivano incinte nessuna ecografia poteva smentire la
diagnosi. Oggi, mettere la paziente di fronte alla prova fisica di un'ecografia basta a infrangere l'illusione e a
far scomparire i cambiamenti fisici associati». INTERESSI. Ma trasformare un semplice fastidio o malessere
in una malattia che deve essere curata con specifiche medicine può essere anche indotto per ragioni
economiche. «Si chiama disease mongering ed è un argomento piuttosto delicato del quale abbiamo esempi
ogni giorno» dice Di Grazia. «La calvizie è una malattia? E la cellulite? Trasformare un sintomo in una
patologia da curare è questione di scelte, e quando le scelte le fanno le aziende farmaceutiche la possibilità
che si sia spinti da un interesse economico esiste». Per esempio, oggi è definita "ipertesa" una persona che
ha valori pressori superiori a 140/90 millimetri di mercurio. Basterebbe diminuire lievemente questo limite per
avere milioni di "nuovi malati" ai quali somministrare una terapia, con tutte le conseguenze (negative) per la
popolazione e (positive in senso economico) per le aziende farmaceutiche. SIMON POTTER/CORBIS,
EDDIE PILMAGE/GALLERY STOCK, AP PHOTO/SUSAN STERNER
Soprannaturali? Solo nei film ) COMBUSTIONE SPONTANEA. Esiste davvero la "combustione umana
spontanea", ovvero un'improvvisa reazione chimica all'interno del corpo umano capace di provocare la
combustione dello stesso fino al punto da ridurlo in cenere? I casi sono rarissimi e poco documentati. Nessun
testo di medicina legale fa cenno al fenomeno e mai le autopsie hanno trovato che gli organi interni delle
vittime fossero più danneggiati delle parti esterne. Inoltre emergono fattori comuni che sembrano spiegare i
fatti in modo del tutto normale. Le vittime erano di solito anziane, avevano assunto alcol o sonniferi ed era
sempre presente una fonte di fuoco esterna: sigarette, pipe, scaldini, stufe, caminetti. Per questi motivi la
comunità scientifica non considera l'autocombustione umana un fenomeno reale. y POSSESSIONE
DEMONIACA. Lo stesso discorso, in cui il fenomeno si verifica ma ha cause diverse da quelle soprannaturali
immaginate da alcuni, vale per la "possessione demoniaca". Per quanto sia plausibile che persone disturbate
pronuncino parole strane o insulti e si dibattano se qualcuno cerca di tenerle ferme, nessuno ha mai
dimostrato in condizioni controllate che essi possano levitare, possedere forza sovrumana o doti di
chiaroveggenza come affermato dagli esorcisti. Le malattie mentali, fra cui l'epilessia, alcune turbe delle
facoltà visive o uditive e la paralisi, sono spiegate dalla fisiologia e dalla psichiatria come sintomi di vari
disordini patologici quali la schizofrenia paranoide, la depressione o la sindrome di Tourette (caratterizzata da
un impulso anormale verso l'uso di espressioni oscene).
Foto: INFEZIONI. La paura di ammalarsi può condizionare tanto da... diventare una malattia!
Foto: La sindrome di Morgellons non trova conferme scientifiche: le fibre sulla pelle dei presunti malati non
sono inspiegabili SMENTITA. Mary Leitao, dal 2001, cerca conferme alle sue teorie sulla malattia che
porterebbe a far crescere peli e fili nelle ferite sulla pelle.
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Foto: Basta poco per trasformare un disturbo in malattia. E le aziende farmaceutiche non sempre sono
neutrali PER SAPERNE DI PIÙ Complotti, bufale e leggende metropolitane. Un'indagine scientifica, a cura di
Massimo Polidoro. Il libro del Cicap è in edicola con Focus a € 9.90 in più. False gravidanze I fattori culturali
hanno un ruolo importante e spiegano perché le false gravidanze "sentite" dalle donne siano tanto diminuite.
Nel'700 = lsu200 Oggi = 1 su 10.000
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Panorama della Sanita - N.43 - 11 novembre 2013
Pag. 3
Ma è vera libertà di scelta?
C.D.R.R.
E stato presentato nei giorni scorsi a Roma il primo portale di "public reporting" in sanità attraverso cui i
cittadini possono acquisire informazioni precise sul livello di qualità delle prestazioni erogate negli ospedali
del Belpaese. E a questo progetto è dedicato il Dossier di questo numero. Due anni di lavoro avviato con il
placet dell'allora Ministro della Salute Ferruccio Fazio (presente all'incontro) per aiutare gli italiani, affermano
gli ideatori, a trovare le migliori strutture sanitarie cui rivolgersi per una certa patologia, ma anche per rendere
tali strutture attrattive per gli stranieri che, come sottolinea Walter Ricciardi (che ha riunito attorno al progetto
un board internazionale di esperti) se non hanno dati certi "non si muovono neanche a cannonate". Il portale
è certamente il primo del suo genere in Italia ed è sicuramente affascinante. A parte gli strali di detrattori più o
meno motivati, tra chi si chiede perché non l'abbia fatto prima il pubblico e chi arriccia il naso sottolineando la
pericolosità, almeno nel nostro Paese, di stilare pagelle e classifiche, non possiamo non chiederci quale sia la
vera utilità di un'operazione del genere. Rendere fruibili a tutti molti dati "occulti" e di difficile interpretazione
come quelli del progetto Esiti di Agenas, sicuramente. Stimolare una sorta di competitivita tra strutture
ospedaliere inducendole a migliorare le proprie performance per salire di graduatoria, anche questa è una
prospettiva interessante. Qualche dubbio, tuttavia, ci assale traguardando questo impegno di sintesi e di
trasparenza alla luce della reale possibilità di scelta che ha il cittadino oggi. Purtroppo non è vero, questa la
realtà quotidiana, che il cittadino gode di completa libertà di scelta della struttura in cui farsi operare. Esistono
mille variabili di cui quella delle liste d'attesa (e quindi la variabile "tempo") è solo la più evidente. Si corre
insomma il rischio di fornire al cittadino una valutazione qualitativa ex ante o ex post (a seconda di quando
consulterà il database) della struttura in cui ha trovato posto senza che la stessa possa minimamente incidere
sulla reale libertà di scelta del malato. Cosa che, peraltro, risulta sostanzialmente impossibile in caso di
ricovero d'urgenza. La matrice di questa operazione di trasparenza comunicativa ha, come accennato, radici
anglosassoni. E l'Inghilterra è anni luce avanti a noi in tema di public reporting in sanità. Basta buttare un
occhio sul sito del National Health Service per rendersene conto. Non soltanto troveremo valutazioni
enormemente più ampie su tutte le strutture di assistenza, dagli ospedali ai medici di famiglia agli studi
odontoiatrici... ma troveremo anche i livelli di gradimento degli stessi cittadini che ne hanno usufruito. (Sì,
caro Ministro Lorenzin, gli inglesi il loro "tripadvisor" della sanità ce l'hanno da tempo...). Si dice sempre che
la sanità della "Perfida Albione" sia avanti di venti o trent'anni rispetto a noi e due sono le cose: o il nuovo
portale va salutato come l'inizio di un nuovo percorso virtuoso della sanità italiana (ancorché frutto del lavoro
di privati) oppure, ci auguriamo di no, rimarrà sostanzialmente un "esercizio di stile". La scelta, adesso, è solo
politica. Ma una curiosità ci assale... chissà perché quando Agenas presenta i dati del programma Esiti tutti
danno fuoco alle polveri e stavolta quasi nessuno è insorto nonostante l'evidenza mediatica avuta da "Dove e
come mi curo"... che peraltro utilizza anche i dati della stessa Agenas...
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Nasce doveecomernicuro.it, il primo portale di public reporting in sanità rivolto ai cittadini / EDITORIALE
22/11/2013
Panorama della Sanita - N.43 - 11 novembre 2013
Pag. 6
Il Ssn necessita di investimenti e non tagli
Per il rilancio della Sanità pubblica non sono sufficienti solo nuove allocazioni di risorse. Una svolta secondo il
ministro Lorenzin potrebbe arrivare dal nuovo Patto per la salute
AnselmoTerminelli
È inutile crearsi illusioni, anche se necessitano investimenti, il Ssn continuerà a essere sottoposto nei
prossimi anni a "ulteriori misure di contenimento della spesa", perché lo impongono i vincoli di finanza
pubblica dettati dall'Unione europea, anche se ci troviamo davanti a una spesa sanitaria "già contenuta
rispetto ai valori dei principali Paesi europei, le cosiddette Uè Big5 (Francia, Germania, Italia, Regno Unito e
Spagna). E quanto rileva il Rapporto 2013 Meridiano Sanità, promosso da The European House - Ambrosetti,
presentato nei giorni scorsi a Roma. Per i ricercatori di Meridiano Sanità, "la salvaguardia del Servizio
sanitario nazionale può essere garantita agendo su tre diverse direttrici: prevenzione e salute, organizzazione
e finanziamento, industria e crescita". Rispetto alle Uè Big5, evidenzia il Rapporto, l'Italia è il Paese che
"presenta il rapporto debito/Pii più alto (126,9%) e allo stesso tempo le stime di crescita sono preoccupanti
(+0,7% nel 2014, davanti solo alla Spagna con lo 0,2%)". "In questo contesto - rileva ancora Meridiano Sanità
si inserisce una spesa sanitaria pubblica sensibilmente inferiore rispetto agli altri Paesi (7,1% del PIL rispetto
alla media UÈ-15 del 7,7%), cresciuta del 3,3% tra il 2000 e il 2007 (rispetto alla media UÈ-15 del 4,4%) e
addirittura calata dello 0,4% all'anno tra il 2008 e il 2011". "Solo per fare un esempio, a livello prò capite, - ha
spiegato Valerio De Molli, managing partner The European House Ambrosetti in termini di spesa sanitaria
pubblica l'Italia oggi spende 752 euro in meno rispetto alla Germania (che tradotto in percentuale significa 43%) e il gap è destinato ad aumentare (928 euro in meno nel 2018) se le condizioni rimarranno inalterate".
Le "epidemie del benessere" E necessario invertire la rotta, spiega Meridiano Sanità, in quanto "i nuovi
bisogni di salute e progressi della medicina richiedono maggiori investimenti per il futuro". In particolare per la
prevenzione e la sanità pubblica. Oggi queste voci rappresentano la cenerentola della spesa, tanto che «nel
2011 - ha rilevato Carlo Signorelli, ordinario di Igiene presso l'Università di Parma sono state sottofinanziate
con appena il 4,2% invece del 5% previsto dai Lea. Eppure sono voci di spesa molto importanti in quanto la
prevenzione nei prossimi 40 anni giocherà un ruolo molto importante». I ricercatori di Meridiano Sanità
prevedono infatti per il 2050 un aumento delle malattie croniche della popolazione che sarà alla base di un
aumento della spesa sanitaria pari a 255 miliardi, rispetto agli at tuali 110, ovvero il 9,5% del Pii rispetto al
7,1% attuale. «Un aumento - ha spiegato De Molli - che metterà a rischio la sostenibilità del sistema». Una
stima questa, ha aggiunto De Molli, che «deve essere considerata insieme alle previsioni di aumento delle
malattie croniche, ai progressi della medicina e alla necessità di sempre maggiori investimenti per il futuro.
Solo considerando il diabete, fra il 2013 e il 2050 sarà necessario 'recuperare' 140 miliardi per curare questa
malattia in continuo aumento. Non solo dunque non è possibile fare ulteriori tagli, ma bisogna trovare altre
risorse». Del resto come ha evidenziato anche Federico Spandonaro, ordinario di Economia e management
sanitario all'università Tor Vergata - Roma, «s'invecchia meglio rispetto al passato e molti problemi sono dati
dalle epidemie del benessere». Snellire l'organizzazione dell'assistenza Ma tutto questo non basta. Meridiano
Sanità amplia la proposta suggerendo nuovi modelli e strumenti per organizzare e gestire l'assistenza
sanitaria secondo "nuove logiche" che permettono "il raggiungimento di obiettivi di efficacia assistenziale,
appropriatezza clinica e organizzativa ed efficienza nell'allocazione e nell'utilizzo delle risorse". Si tratta, come
ha spiegato Americo Cicchetti, ordinario di Organizzazione aziendale alla facoltà di Economia dell'Università
Cattolica, del Ideati management e Health pthaway design (Hpd), due modelli organizzativi che, se applicati
nella pratica assistenziale potrebbero essere di grande ausilio nella gestione del paziente e quindi anche
delle risorse. IlLean management infatti punta a semplificare il processo terapeutico nel senso di eliminare
tutte una serie di pratiche inutili che non portano nessun beneficio al paziente. Mentre l'Hpd cambia la logica
del finanziamento in sanità basando il costo-efficacia sull'intero processo terapeutico e non sulle singole
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Presentato a Roma Meridiano Sanità 2013 / Diario
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prestazioni come avviene adesso. L'Hpd, ha detto Cicchetti, è stato sperimentato con successo nell'Asl di
Cuneo 2 nel percorso diagnostico-terapeutico dei pazienti diabetici. Una "rivoluzione culturale" Ma la
presentazione del Rapporto, giunto quest'anno alla ottava edizione, è stato motivo di un incontro tra
operatori. Il "basta i tagli" è riecheggiato durante tutta la giornata, anzi in molti a iniziare dai politici, in linea
con le proposte di Meridiano Sanità, hanno chiesto investimenti. Per Raffaele Calabrò, componente della
commissione Affari sociali della Camera, «è impensabile riorganizzare il sistema solo con una diversa
allocazione delle risorse. Sono necessari invece investimenti strutturali e tecnologici». Sulla stessa linea si è
trovato il governatore dell'Abruzzo, Gianni Chiodi, anche se ha evidenziato pragmaticamente che si
«dovranno fare delle scelte, anche drammatiche», alludendo a una possibile revisione dei Lea. Se di
spending review anche la sanità deve farsi carico, come ha rilevato Pierpaolo Vargiu, presidente della
commissione Affari sociali della Camera, sono necessari non solo una «spending review coraggiosa e
condivisa» ma anche «soluzioni innovative figlie di una rivoluzione culturale che scavalchi ogni pregiudiziale
ideologica». "Rivoluzione culturale" potrebbe essere il nuovo Patto per la Salute. Ne è convinta il ministro
della Salute Beatrice Lorenzin, secondo cui l'accordo non dovrà essere considerato un «libro dei sogni» ma
«una grande operazione condivisa tra Stato e Regioni». Un'operazione questa, come ha sottolineato la
Lorenzin intervenendo alla presentazione de Rapporto, che innanzitutto tenderà ad attivare «meccanismi
correttivi» ad alcune «storture innescate dalla riforma del Titolo V», «evitando ha precisato - di
compromettere il sistema federale». Quindi si tenderà a «centralizzare alcune attività» per permettere «ai
decisori di intervenire in tempi rapidi ed efficaci». Ma visto che «i problemi principali del nostro sistema sono
quasi sempre legati al profilo organizzativo», il ministro ha anticipato che il nuovo Patto dovrebbe ridisegnare
una nuova governance e nuove procedure per la «selezione della classe dirigente» e sulle «modalità con cui
vengono gestiti i piani di rientro». Inoltre il Piano «includerà l'applicazione sistemica di alcuni interventi già
sperimentati sui territori, di vere e proprie best practies». Salute e industria Ma per il ministro tutto questo non
è sufficiente. «Il nostro Paese - ha detto - deve tornare a essere attrattivo per la ricerca e la sperimentazione
e in questo senso intendere il sistema salute anche come un sistema industriale può garantire un salto di
qualità. Un vantaggio di questa nuova mentalità potrebbe essere, per esempio, quella di rendere nuovamente
l'Italia meta di turismo sanitario per anziani». Per la Lorenzin in pratica il Patto dovrà contenere anche un
nuovo approccio alla sanità. «Un approccio integrato - ha specificato - che fornisca la capacità di tenere
assieme concetti come salute e mercato, ricerca e business. Questo tipo di impostazione è ancora oggi
percepita troppo spesso come un tabù». Meridiano Sanità ha evidenziato che in questo particolare momento,
pur rappresentando un'eccezione nel panorama della manifattura italiana, l'industria farmaceutica è in
contrazione e l'innovazione è in ritardo. Il peso del manifatturiero sul Pii nazionale, rileva il rapporto, è calato
del 2,8% tra il 2007 e il 2012, dato peggiore tra le UÈ Big5. Inoltre, l'Italia investe meno degli altri Paesi
europei in Ricerca & Sviluppo: solo per citare un esempio l'I,3% in Italia contro il 2,8% della Germania.
Nonostante questo quadro d'insieme, l'industria farmaceutica italiana rappresenta un modello di eccellenza:
presenta performance nettamente migliori rispetto al settore manifatturiero sia in termini di produttività, sia di
investimento in R&S sia di apertura al commercio internazionale. Nel 2012 l'Italia è stata il terzo Paese
europeo per valore aggiunto della produzione dell'industria farmaceutica (25,7 miliardi di euro) ed è il primo
settore per attrattività di investimenti da parte di imprese a capitale estero. Il farmaceutico è quindi, evidenzia
Meridiano Sanità, un potenziale motore di sviluppo industriale e tecnologico per l'Italia, anche se frenato da
condizioni di contesto sfavorevoli e regolamentazione frammentaria e restrittiva.
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Lombardia Regione migliore per l'assistenza offerta su molti fronti della
salute
Lombardi anche gli ospedali che si aggiudicano, pari merito, il "medagliere" delle migliori performance
assistenziali. A pari merito anche un ospedale del Lazio. Interrogando il portale, ecco Regioni e ospedali "al
top" in Italia dove sarebbe opportuno rivolgersi per determinate patologie. I Voti" si basano su fonti di dati
accuratamente selezionate Sono gli ospedali del Nord e in particolare della Lombardia, quelli che - in base a
una serie di misure di performance e indicatori di qualità - erogano l'assistenza sanitaria migliore: infatti la
Regione che vanta più ospedali nei primi posti delle classifiche delle strutture sanitarie migliori in Italia è
proprio la Lombardia, classifiche che riguardano molti aspetti determinanti dell'assistenza misurati attraverso
indicatori di qualità riconosciuti a livello internazionale come la mortalità a trenta giorni dal ricovero per un
infarto cardiaco o per un ictus, oppure in seguito ad un intervento per rimuovere un tumore. Sono tre lombardi
e uno laziale gli ospedali che si aggiudicano, pari merito, il "medagliere" (cioè chi sale più spesso sul podio
dei primi tre classificati per 17 principali indicatori di qualità): Spedali Civili di Brescia, l'Ospedale di Magenta
(Mi), il Centro Cardiologico Monzino di Milano e l'Azienda ospedaliera S. Andrea di Roma. Sono questi alcuni
dei dati che emergono interrogando il portale "Dove e come mi curo", presentato oggi a Roma in un incontro
con la stampa, un progetto di public reporting in sanità unico nel suo genere in Italia, coordinato da Walter
Ricciardi, Direttore del Dipartimento di Sanità Pubblica dell'Università Cattolica - Policlinico A. Gemelli di
Roma. Frutto di oltre due anni di lavoro, il portale "Dove e come mi curo" mappa ben 1233 strutture sparse
per il territorio italiano tra ospedali, case di cura accreditate e presidi ospedalieri e considera
complessivamente 50 indicatori chiave per misurarne la performance. «Nelle scorse settimane si è aperta
un'accesa discussione sulle modalità di comunicazione dei risultati delle attività ospedaliere al pubblico»
afferma Eicciardi. «Non va, però, dimenticato che l'obiettivo vero di un sistema corretto di "public reporting",
così come è già in uso in altri paesi come la Gran Bretagna, non è tanto di stilare classifiche, ma è quello di
fornire ai cittadini informazioni rigorose sulla qualità delle cure e allo stesso tempo di facile comprensione da
parte di tutti». Va ad esempio alla Lombardia la medaglia d'oro sull'appropriatezza del ricorso al taglio
cesareo visto che a fare meno cesarei è l'Ospedale Vittorio Emanuele III presso Carate Brianza (4,68 %).
Lombardi sono pure gli ospedali presenti sui gradini più bassi del podio per questo indicatore, Ospedale di
Circolo A. Manzoni - Lecco (8,06%) e Ospedale di Magenta - Milano (8,12%). Quarto e quinto posto se li
aggiudica sempre la Lombardia con Ospedale dei bambini V. Buzzi Milano (8,15%) e Ospedale città di Sesto
S. Giovanni (8,20%). Per questo dato una media nazionale è di 26,27%. Si trovano sempre in Lombardia i
primi quattro ospedali con i valori più bassi di pazienti con frattura del collo del femore deceduti entro 30
giorni dal ricovero (indice di sicurezza e quali tà dell'assistenza fornita): Ospedale CTO - Centro
Traumatologico Ortopedico di Milano, l'Ospedale di Magenta (Mi), l'Ospedale Generale Provinciale Saronno, l'Ospedale di Circolo - Abbiategrasso. Al quinto posto un ospedale del Piemonte: l'Azienda
Ospedaliero Universitaria San Luigi Gonzaga di Orbassano (To). Gli ospedali migliori in Italia, indicatore per
indicatore Di seguito una sintesi di alcuni degli indicatori di qualità più rappresentativi e degli ospedali a
rilevanza nazionale-Aziende Ospedaliere, Irccs e policlinici universitari migliori per ciascun indicatore
selezionato. Parto - Per quanto riguarda il volume dei parti, con cui si intende il numero di parti, naturali e
cesarei, eseguiti ogni anno dalle strutture ospedaliere, la struttura ospedaliera ha una performance tanto più
elevata quanto maggiore è il numero di parti eseguiti in un anno, perché più è elevato il volume, migliori sono
sicurezza e qualità dell'assistenza offerte a madri e neonati. L'Accordo Stato Regioni del 16 dicembre 2010
fissa in almeno 1000 nascite/anno lo standard cui tendere. Si trova a Torino l'ospedale più virtuoso, che è,
con 7913 parti l'anno (2012), l'Ospedale Ostetrico S. Anna. Parto con taglio cesareo - Spesso il cesareo è
effettuato in assenza di una vera necessità (indicazione), perciò un basso numero di parti cesarei primari
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Le graduatorie di Doveecomemicuro.it DOSSIER
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eseguiti in una struttura può indicare un più alto grado di appropriatezza, cioè una scelta adeguata, fatta da
parte del medico e della donna, alla reale necessità. L'ospedale più virtuoso su questo fronte è l'Ospedale
Vittorio Emanuele III presso Carate Brianza, in Lombardia, con appena 4,68% cesarei per cento parti, contro
una media nazionale di 26,27%. Cardiovascolare Infarto del miocardio - Per valutare la gestione di un caso di
infarto in primis si va a vedere il tasso di mortalità a 30 giorni dal ricovero: l'indicatore utilizzato consente di
calcolare, tra tutti i pazienti ricoverati per infarto, quanti muoiono nei 30 giorni successivi al ricovero
ospedaliero. Più è basso il numero di pazienti morti durante i 30 giorni successivi al ricovero per Ima, più alta
è l'efficacia delle cure offerte dalle strutture ospedaliere. La media nazionale per questo indicatore è 9,98% e
l'ospedale migliore dove essere ricoverati in caso di infarto è l'Azienda ospedaliera S. Maria degli Angeli sede di Sacile a San Vito al Tagliamento - in Friuli Venezia Giulia con 1,68 decessi per 100 ricoveri. Un altro
indicatore usato per sapere quanto è bravo un ospedale a gestire i casi di infarto è la quota di pazienti
sottoposti ad angioplastica coronarica entro 48 ore dal ricovero tra tutti i pazienti ricoverati per infarto. La
performance media in Italia è di 36,71%, mentre l'ospedale migliore, con il 77,41% dei pazienti, è l'Azienda
Ospedaliera Policlinico Tor Vergata di Roma. Insufficienza cardiaca - L'insufficienza cardiaca (detta anche
scompenso cardiaco) è quella condizione clinica che riduce la capacità del cuore di contrarsi e, quindi, di
pompare nelle arterie la quantità di sangue adeguata alle necessità del corpo umano. Per misurare la
performance di un ospedale nel trattare questo problema, si misura il numero di pazienti morti durante i 30
giorni successivi al ricovero. Minore è il numero di decessi, più alta risulta la qualità delle cure offerte
dall'ospedale in cui è avvento il ricovero. Per questo indicatore risulta primo in classifica in Italia è il Centro
Cardiologico Monzino - Milano con appena 2,1% decessi contro un valore medio italiano di 10,67%. Ictus per misurare la performance in termini di sicurezza di una struttura nella gestione dell'ictus si considera il
numero di pazienti ricoverati nuovamente in ospedale dopo 30 giorni dal primo ricovero: più basso è questo
numero, più alta è la sicurezza del trattamento ricevuto nel primo ricovero. In questo caso l'ospedale numero
uno è Ospedali Riuniti di Bergamo con appena 3,28% di nuovi ricoveri contro un valore medio nazionale di
10,29%. Sempre per l'ictus, si misura la performance della struttura in termini di "efficacia" delle cure erogate,
con il numero di pazienti colpiti da ictus ischemico morti entro 30 giorni dal ricovero: minore è questo numero,
più alta è la qualità delle cure e l'efficacia dei trattamenti somministrati dalle strutture ospedaliere. In questo
caso per trovare l'ospedale migliore dobbiamo recarci a Modena, dove l'Azienda Ospedaliera Universitaria
presenta un valore di 2,93% contro una media nazionale di 12,06%. Frattura del collo del femore - Per
comprendere quali sono gli ospedali che gestiscono meglio questa problematica, seria e invalidante
soprattutto nell'anziano e quindi importantissima per il nostro paese "sempre più vecchio", si tiene conto di
alcuni indicatori di performance. Il primo è il tasso di mortalità a 30 giorni dal ricovero. Più è basso il numero
di pazienti con frattura deceduti entro 30 giorni dal ricovero, più alte sono efficacia e qualità dell'assistenza
fornita. Su questo fronte è l'Ospedale Cto - Centro Traumatologico Ortopedico di Milano (Lombardia) ad
avere il primo posto in classifica con 0,81% deceduti contro una media nazionale di 6,02%. Un altro
indicatore seguito per la frattura del collo del femore è la tempestività dell'intervento che secondo gli standard
internazionali deve avvenire entro 48 ore dal ricovero. Più alto è il numero di pazienti sottoposti a intervento
chirurgico per frattura del collo del femore entro 48 ore dal ricovero, più alto è il grado di sicurezza delle
strutture ospedaliere nel curare tempestivamente tali pazienti che, quindi, hanno un rischio di morte o
disabilità minore. La media nazionale per questo indicatore è il 40,16% degli interventi. La struttura migliore è
l'Istituto Rizzoli di Bologna, con l'86,92% degli interventi eseguiti entro 48 ore. Malattie respiratorie BroncoPneumopatia Cronico-Ostruttiva (Bpco) - Si tratta di una malattia polmonare che peggiora con il tempo e dalla
quale non si guarisce completamente e che può riacutizzarsi. Un indicatore di performance è la mortalità
entro 30 giorni dal ricovero, ovvero la percentuale di pazienti colpiti da "Bpco riacutizzata" morti entro 30
giorni dal ricovero tra tutti i pazienti ricoverati e curati per questa malattia. La media nazionale è di 8,79% per
cento pazienti ricoverati. Il miglior ospedale risulta la Fondazione Maugeri - Cassano delle Murge - Puglia con
lo 0,5%. L'altro indicatore usato per valutare la capacità di una struttura di gestire questa malattia è la
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percentuale di riammissioni ospedaliere a trenta giorni dal primo ricovero per BPCO riacutizzata. La media
nazionale per questo indicatore è 13,58%. L'ospedale migliore risulta l'Ospedale Locatelli - Piario (BG) con il
4,38%. Tumori Tumore del colon - La performance è misurata sulla base della mortalità a 30 giorni
dall'intervento. L'indicatore misura dunque il numero di pazienti con tumore del colon deceduti entro 30 giorni
dall'intervento chirurgico tra tutti i pazienti operati per cancro del colon. La media nazionale è di 4,37%, il
primo ospedale è l'Ospedale di Magenta - Lombardia con 1,13%. Tumore del retto - La performance
ospedaliera è misurata sulla base della mortalità a 30 giorni dall'intervento. L'indicatore misura dunque il
numero di pazienti con tumore del retto deceduti entro 30 giorni dall'intervento chirurgico tra tutti i pazienti
operati per questo tumore. La media nazionale è di 1,99%, il primo ospedale è l'Azienda ospedaliera di
Perugia con 0,36%. Tumore del polmone - La performance ospedaliera è misurata sulla base della mortalità
a 30 giorni dall'intervento. L'indicatore misura dunque il numero di pazienti con tumore del polmone deceduti
entro 30 giorni dall'intervento chirurgico tra tutti i pazienti operati per questo cancro. La media nazionale è di
1,54%, il primo ospedale è l'Azienda ospedaliera S. Martino - Genova con lo 0.3%. Area ossa e articolazioni
Intervento di artroscopia del ginocchio - L'artroscopia del ginocchio è una tecnica chirurgica poco invasiva
(cioè che non provoca ferite chirurgiche e lesioni molto grandi) che consente di ispezionare, mediante uno
strumento detto artroscopia, e di intervenire direttamente sull'articolazione attraverso delle piccole incisioni
cutanee. Con l'artroscopia possono essere trattate, ad esempio, le lesioni del menisco o dei legamenti del
ginocchio. L'indicatore utilizzato consente di calcolare il numero di pazienti che devono subire un secondo
intervento di artroscopia al ginocchio dopo 6 mesi dal primo, tra tutti i pazienti che si sottopongono a tale
intervento ortopedico. La qualità misurata dall'indicatore si riferisce al grado di "sicurezza". Più è basso il
numero di pazienti che devono subire un secondo intervento di artroscopia al ginocchio dopo 6 mesi dal
primo, più alta è la "buona riuscita" del primo intervento. La media nazionale per questo indicatore è 1,44%.
L'ospedale migliore è l'Azienda Ospedaliero Universitaria Careggi - Firenze con 0,21% dei casi. Conclusioni
«Anche se in questa occasione parliamo di graduatorie, il fine ultimo di iniziative di public reporting, come
dove ecomemicuro. it, è quello di far conoscere ai cittadini che realtà eccellenti, nonostante un evidente
squilibrio geografico, vi sono in tutto il Paese e che spesso non è necessario intraprendere lunghi e costosi
spostamenti per trovare servizi che magari sono molto più vicini di quanto si creda» afferma Walter Ricciardi,
coordinatore del comitato scientifico del motore di ricerca «Speriamo inoltre che la nostra attività sia il primo
passo verso un sistema sanitario più trasparente, che sappia comunicare meglio i propri tantissimi punti forti
e correggere i propri punti deboli, anche con la collaborazione dei cittadini». «I dati sulla qualità dei servizi e
la capacità di elaborarli in Italia ci sono forse più che in altri Paesi» conclude Ricciardi «quello che spesso
manca è la capacità e, talvolta, il coraggio, di prendere decisioni difficili e spesso dolorose basate su quei
dati, ma che non sono ormai più rinviabili in un Paese che deve fare i conti con risorse sempre più scarse e
bisogni sempre più forti e che se non lo fa subito è destinato a esportare, non solo i bei prodotti del Made in
Xtaly, ma anche i cittadini in cerca di cure. E questo è un tipo di export che dovremmo e vorremmo evitare».
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La maggioranza chiede specializzazioni più brevi e una scuola di medicina
generale
I Giovani Medici (Sigm) diffondono i dati preliminari del sondaggio realizzato tra aspiranti specializzandi e
colleghi attualmente iscritti alle scuole di specializzazione di area sanitaria e chiedono a Governo e
Parlamento di valutarli attentamente in sede di approvazione del "DL 104/2013
Secondo i dati preliminari del sondaggio condotto sul web dall'Associazione Italiana Giovani Medici (Sigm) su
998 soggetti, su un campione rappresentativo della popolazione dei medici specializzandi ben il 79.7% dei
rispondenti si dichiarano a favore della riduzione della durata delle scuole di specializzazione. Tra questi,
circa i 3/5 propenderebbe per un'applicazione immediata della riforma, e più di 1/3 vorrebbe che il passaggio
al percorso ridotto fosse reso opzionale nel transitorio, ovvero avvenisse su base volontaria. Inoltre, il dato è
confermato considerando il campione rilevato allargato anche alla popolazione studentesca: la stragrande
maggioranza dei medici e studenti intervistati, difatti, è a favore della riduzione della durata (84.1%), ma
anche della semplificazione dell'attuale offerta formativa (razionalizzazione delle tipologie di scuole di
specializzazione esistenti). Inoltre, ben 85.3% degli intervistati ha la percezione che, ad oggi, non venga
effettuata un'adeguata programmazione del fabbisogno di medici. Ma il dato più eclatante è quello relativo
alla proposta di istituzione di una scuola di specializzazione in medicina generale: 1*88.7% dei rispondenti al
sondaggio è a favore di tale ipotesi che è già realtà nel resto d'Europa. «Rilevati hanno una tendenza
maggioritaria che non presenta differenze né per tipologia di intervistato né di area geografica - affermano i
Giovani Medici (Sigm) - Alla vigilia dell'approvazione alla Camera dei Deputati del Decreto Legge 104/2013
(DL "Carrozza"), offriamo tali dati al Governo ed al Parlamento per le dovute considerazioni del caso». Da
indiscrezioni sembra, infatti che il Governo sia intenzionato a riscrivere l'emendamento, applicando la
rimodulazione esclusivamente per quanti entreranno nelle scuole di specializzazione a partire dall'anno
accademi- ^ co 2013/2014. I £ Giovani Medici Zi (Sigm) propongono "~* in alternativa che il testo
dell'emendamento di iniziativa governativa, recentemente riformulato a seguito di un accordo dei gruppi di
maggioranza della Camera dei Deputati, venga rivisitato in modo da demandare al Miur di predisporre,
laddove fattibile dal punto di vista tecnico e nel rispetto degli obiettivi formativi e professionalizzanti da
conseguire, apposite tabelle di conversione che diano la possibilità di optare su base volontaria per il
passaggio al percorso ridotto a quanti già iscritti alle scuole di specializzazione, atteso che la rimodulazione
non interesserà tutte le tipologie di scuole in modo indiscriminato. In tal modo, si potrebbero ottenere nel
breve periodo i benefici introdotti dalla norma tanto in termini di ottimizzazione della durata del percorso,
quanto di risorse da investire per il finanziamento di nuovi contratti di formazione.
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Rimodulazione del percorso di formazione specialistica: i dati preliminari del sondaggio Sigm / Lavoro
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Le mille facce della nuova visione del farmaco
La farmacologia moderna non può più essere considerata solamente la "scienza che scopre nuovi farmaci",
ma una disciplina che si sta arricchendo rapidamente di declinazioni che vanno dall'individuazione di nuove
indicazioni per farmaci già esistenti, all'identificazione sempre più precisa di pazienti che possono trarre il
massimo beneficio da una determinata terapia, anche attraverso le più moderne acquisizioni nel campo della
ricerca scientifica come la farmacogenetica, alla scoperta di nuovi bersagli dei meccanismi di una
determinata patologia su cui concentrare la ricerca, alla valutazione economica dell'impatto di un nuovo
farmaco sul mercato e, quindi, all'interesse per l'ottimizzazione delle risorse, all'attenta valutazione del
rapporto rischio/beneficio, cercando di limitare al massimo il peso degli eventi avversi di un farmaco, alle
strategie per aumentare la compliance del paziente. Tutti questi elementi sono emersi con molta chiarezza
attraverso i lavori presentati nel corso della 36° Edizione del Congresso Nazionale della Società Italiana di
Farmacologia, svoltosi a Torino dal 23 al 26 ottobre 2013 presso il Centro Congressi del Lingotto, presieduto
da Pier Luigi Canonico, Presidente Sif e Professore ordinario di Farmacologia presso l'Università degli Studi
del Piemonte Orientale, la cui apertura ufficiale è stata anticipata da una Tavola Rotonda, dal titolo: "II Ruolo
del Farmaco per la Salute e la Crescita in Italia" cui hanno partecipato i principali stakeholder del settore. «La
scienza medica ha determinato molte aspettative per quanto riguarda lo stato di salute della popolazione» ha
dichiarato Pier Luigi Canonico «Aspettative che trovano un ruolo cruciale nella ricerca farmacologica. Questo
è testimoniato dai dati che evidenziano come, negli ultimi decenni, la vita media degli individui soprattutto nel
mondo occidentale - sia aumentata in modo esponenziale, ma non solo da un punto di vista 'quantitativo',
bensì anche 'qualitativo'. La scoperta di nuovi farmaci, infatti,» continua Canonico «ha consentito da un lato di
aumentare la durata media della vita, ma soprattutto di far sì che la vita stessa sia vissuta meglio. C'è un
rapporto diretto, tra ricerca in ambito biomedico, ricerca farmacologica e salute dell'individuo». «La ricerca
farmacologica, poi» aggiunge Canonico «ha ricadute positive sulla crescita del Sistema Paese, del sistema
produttivo sia a livello locale, che nazionale. Non determina, quindi, soltanto un miglioramento della salute
individuale ma anche di quella sociale, perché lo sviluppo economico di una nazione ha riflessi benefici anche
sulla "salute sociale".Tutto questo ha, tuttavia, necessità di un sostegno concreto e coordinato, per questo,
continua Canonico: «E importante da un lato che i diversi Ministeri (della Ricerca e dell'Università, della
Salute, del Welfare e dello Sviluppo Economico) lavorino insieme, per raggiungere risultati positivi e decisioni
condivise, dall'altro poter contare su un potenziamento degli investimenti in ricerca farmacologica, come
anche la valutazione di sistemi di defiscalizzazione per gli investimenti in ricerca, per rendere più facile gli
investimenti stessi». «Altro elemento fondamentale è la creazione di sbocchi occupazionali «basati sulla
meritocrazia e sulla 'qualità'» afferma Canonico «che permettano anche al nostro Sistema Paese di avere a
disposizione ricercatori giovani (o meno giovani) più validi. Per quanto ci riguarda, la Sif contribuisce allo
sviluppo scientifico con una parte rilevante del proprio bilancio (oltre il 27%), aiutando i giovani ricercatori con
borse di studio, a trascorrere periodi all'estero, istituendo premi sia per attività di ricerca, valutati sempre in
base a criteri meritocratici. La Società organizza, poi, incontri e congressi monotematici dedicati ai giovani,
con un supporto concreto alla loro partecipazione». E a proposito di risorse umane, per quanto riguarda «le
caratteristiche e le competenze che dovrebbero avere gli operatori del mondo Life Science nel momento
attuale, come in prospettiva» commenta Consuelo Pizzo, partner di Transearcb «esulando dal puro
knowledge tecnico, rileviamo tre aree comuni: la visione di insieme, ossia la capacità di andare oltre il proprio
ruolo specifico, la condivisione, cioè la capacità di creare sinergie e sviluppare idee in modo integrato, e la
resilienza, ovvero la capacità di non essere solo determinati, ma di esserlo in modo nuovo, per sapere reagire
alle difficoltà e alle pressioni con un'attitudine rinnovata». Altro elemento emerso dalla Tavola Rotonda è
quello della necessità di sviluppare sempre più la collaborazione tra pubblico e privato in un'ottica di massima
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A Torino il 36° Congresso Nazionale Società Italiana di Farmacologia / Farmaci
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trasparenza. «Dalla firma del protocollo d'intesa - avvenuta il 14 febbraio 2000 - ad oggi, la Società Italiana di
Farmacologia e Farmindustria» afferma Pierluigi Antonelli, del Comitato di Presidenza di Farmindustria
«insieme sostengono ricerca, sviluppo e innovazione farmaceutica, per cure sempre più sicure ed efficaci.
Obiettivi perseguibili in presenza di risorse adeguate, contesto normativo stabile, competitivo e non
penalizzante per le imprese del farmaco e di strumenti di incentivo quali il credito d'imposta. Occorre, inoltre,
garantire rapido accesso per i nuovi prodotti - oggi a disposizione solo dopo due anni - superando il gap
rispetto ad altri Paesi». Non si può, infine, parlare di farmacologia senza richiamare il ruolo di Istituti e
Agenzie pubbliche, come l'Istituto Superiore di Sanità, nel controllo e nella promozione dello sviluppo di nuovi
farmaci. «La sfida più importante che le Agenzie come quella Italiana del Farmaco (Aifa) si trovano a dover
affrontare e regolamentare al giorno d'oggi» afferma Luca Pani, Direttore Generale Aifa «è rappresentata
dalla globalizzazione. Pensiamo alle materie prime per la produzione dei farmaci o alle sperimentazioni
cllniche, settori in cui la competizione tra paesi ed aree geografiche anche molto lontane dall'Europa è
sempre più esasperata. Perdere quote di mercato in questo ambito significa rinunciare a conoscenze
mediche che rappresentano un impoverimento non ripianabile, se non nel lungo periodo. Lo sguardo di Aifa è
rivolto al futuro, poiché il modello "blockbuster" è definitivamente tramontato e si va verso molecole
"personalizzate", disegnate sull'individuo, per procedere verso la cosiddetta medicina di precisione. E
necessario, dunque, saper valorizzare in modo obiettivo l'innovazione per offrire ai cittadini farmaci sempre
più efficaci e promuovere il corretto impiego degli stessi. Su questo fronte l'Aifa ha già dato risposte concrete
sviluppando nuovi modelli di valutazione dell'innovatività terapeutica che vengono attualmente discussi
dall'EU Innovation Network dell'Agenzia Europea per i Medicinali (Ema) e promuovendo l'appropriatezza
prescrittiva attraverso l'Osservatorio sull'uso dei Medicinali (OsMed) e i Registri di Monitoraggio. Proprio
questi ultimi» conclude Pani «con modalità all'avanguardia grazie ai nuovi sistemi informativi dell'Aifa, ci
consentono di valutare in un contesto "real life" l'efficacia terapeutica e il rapporto rischio/beneficio e
beneficio/costo dei farmaci». «In quanto Ente di riferimento della Sanità Pubblica, l'Iss è spesso considerato
un Istituto deputato prevalentemente ad attività di controllo» dichiara Patrizia Popoli, Dirigente di Ricerca Dipartimento del Farmaco Istituto Superiore di Sanità «In effetti, nel settore del farmaco, la nostra principale
mission è (letteralmente) quella di "garantire la sicurezza e l'efficacia dei farmaci al fine di proteggere la
salute pubblica. Allo stesso tempo, in quanto principale organo tecnico-scientifico del Servizio Sanitario
Nazionale, l'ISS ha certamente il compito di promuovere la salute pubblica, anche favorendo lo sviluppo di
nuovi trattamenti per i pazienti che ne hanno bisogno». «Per fare ciò» continua Popoli « l'Istituto svolge
diverse attività, ricoprendo differenti ruoli, da quello tecnico-scientifico per l'autorizzazione degli studi clinici di
Fase I dove, in collaborazione con l'Aifa, (che è attualmente l'autorità competente per tutte le sperimentazioni
cllniche), fornisce un servizio gratuito di consulenza per supportare e guidare gli sponsor a pianificare gli studi
e a predisporre il dossier di applicazione. Oltre a una funzione nelle infrastnitture europee per la ricerca nel
settore biomedico, in quanto incaricato dal Ministero della Salute, in accordo con il MIUR, di coordinare le
attività dei nodi italiani dell'European Advanced Translational Research Infrastructure in Medicine (Eatris) e
dell'European Clinical Research Infrastructures Network (Ecrin), realtà preposte alla ricerca nel settore dello
sviluppo di nuove strategie terapeutiche».
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II regolamento Uè sui dispositivi medici mina la sicurezza dei pazienti
«Nato per migliorare la sicurezza dei prodotti il nuovo regolamento sui dispositivi medici, così come è stato
approvato dalla Commissione Envi del Parlamento europeo, rischia invece di minare la sicurezza dei pazienti.
I dispositivi medici monouso, come cateteri, protesi e pacemaker diventerebbero riprocessabili, ovvero
riutilizzabili per altri pazienti perdendo il principio per cui nascono, ovvero la sicurezza, la facilità d'uso e la
prevenzione di contaminazioni». Questo il commento di Assobiomedica, l'Associazione di Confindusrria che
rappresenta le imprese di dispositivi medici in Italia, sulla proposta di regolamento votata dalla Commissione
Ambiente, sanità pubblica e sicurezza alimentare (Environment, Public Health and Foood safety - Envi) del
Parlamento europeo. «E assurdo sostenere che i prodotti riprocessati - spiegano da Assobiomedica rispettino la sicurezza e gli standard regolatori dei prodotti monouso originali. Senza considerare che in
Europa il ricondizionamento di dispositivi medici monouso è fortemente contrastato dalle autorità competenti
se non addirittura vietato come in Francia». Secondo Assobiomedica le conseguenze per la sicurezza dei
pazienti sono allarmanti, ma non solo. Nel caso diventasse infatti possibile il riprocessamento dei dispositivi
monouso coloro che se ne occuperebbero - ospedali, aziende private - dovrebbero essere in grado di
soddisfare tutti gli obblighi imposti ai fabbricanti e dovrebbero assumersi le relative responsabilità, anche in
sede civile e penale, perché il ricondizionamento è assimilabile a una vera e propria fabbricazione. «In
particolare, il ricondizionatore - chiarisce Assobiomedica - deve essere in grado prodotto originale. Senza
considerare che si è ignorato l'aspetto economico: un corretto processo di ricondizionamento ha infatti dei
costi spesso superiori a quelli del prodotto originale. Per questo non solo non condividiamo questa
impostazione, ma non se ne comprendono le motivazioni oggettive e valide per una simile scelta».
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 25/11/2013
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Assobiomedica
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Terapie intensive in rete per migliorare l'assistenza ai pazienti
I medici degli ospedali "Sanf Elia" di Caltanissetta e "San Vincenzo" di Taormina, potranno interagire con i
colleghi dell'lsmett di Palermo
Prende il via il progetto pilota "Tele-leu" che prevede, grazie ai programmi di teleconsulto e di telemedicina, di
integrare competenze ed esperienze per offrire la più qualificata assistenza clinica ai pazienti più complessi
ricoverati in terapia intensiva a Caltanissetta e a Taormina. Il progetto è parte del programma "Più
segnalazioni - meno opposizioni", elaborato dal Centro Regionale Trapianti (Crt) della Sicilia e finanziato
dall'Assessorato regionale della Salute. Nell'ambito di questo programma, Ismett e Upmc Italy hanno siglato
una convenzione con il Crt Sicilia il cui obiettivo è duplice: realizzare un sistema di tele monitoraggio per la
cura dei pazienti più complessi ricoverati in terapia intensiva e individuare, per i pazienti in morte cerebrale, le
strategie più opportune nell'attività di stabilizzazione del potenziale donatore per la migliore preservazione
degli organi. La Tele-leu è un sistema di comunicazione che permette al medico presente in una postazione
remota di poter dialogare, attraverso lo scambio di informazioni e di immagini, con il collega che si sta
prendendo cura del paziente. Il sistema consente, infatti, la comunicazione audio e video e la condivisione dei
dati dei pazienti, ivi incluse eventuali immagini radiologiche o i dati provenienti dai monitor dei segnali vitali, o
quelli che sono registrati sulla cartella clinica elettronica. I medici delle Terapie intensive di Caltanissetta o di
Taormina hanno la possibilità di segnalare il paziente che si trova in una situazione critica, coinvolgendo le
professionalità mediche o riabilitative presenti in Ismett per scambiarsi e condividere informazioni sugli esami
di laboratorio, la gestione respiratoria, la valutazione emodinamica e, anche, visionare in diretta le immagini
degli esami endoscopici o radiografici, per garantire la migliore assistenza al ricoverato con grave danno
neurologico. Il protocollo prevede che la condivisione dei dati e delle immagini sia mantenuta fino al
miglioramento dello stato di salute del paziente. Diverso è il coinvolgimento nel caso di un paziente in "morte
cerebrale": il personale medico di Ismett è in questa condizione coinvolto nel tentativo di garantire la ottimale
gestione dei singoli organi del potenziale donatore e migliorare le condizioni di funzione, che permettano il
recupero degli stessi al fine del successivo trapianto, se ricorrono le condizioni e la volontà del defunto o dei
familiari alla donazione. In letteratura, diversi studi dimostrano i vantaggi ottenuti con sistemi di telemonitoraggio in terapia intensiva. Nehi, un'organizzazione senza scopo di lucro con sede nel Massachusetts
che si occupa di innovazione in sanità, ha recentemente proposto di far fronte alla carenza di personale
clinico attraverso l'utilizzo di sistemi di Tele-leu. In collaborazione con il Massachusetts Technology
Collaborative, Nehi, a partire dal 2008, ha condotto uno studio per valutare l'impatto delle tecnologie tele-ICU
sulla mortalità dei pazienti in terapia intensiva e la durata del ricovero. Le due organizzazioni hanno raccolto i
dati provenienti da un centro medico universitario e da due ospedali locali. Secondo i dati raccolti, l'uso dei
sistemi di Tele-leu ha permesso, presso il centro medico universitario, di ridurre la mortalità dei pazienti in
terapia intensiva del 20% e il tasso totale di mortalità ospedaliera del 13%. In uno degli ospedali di comunità,
il tasso di mortalità in terapia intensiva è sceso del 36%. Inoltre, presso il centro medico universitario, la
durata dei ricoveri in leu è diminuita del 30% (una media di due giorni). Gli studi condotti presso l'University of
Pittsburgh Medicai Center (Upmc) sono estremamente incoraggianti. Secondo le analisi effettuate presso
Upmc, l'uso della telemedicina presso le terapie intensive ha permesso di ridurre del 64% la mortalità in
terapia intensiva e del 46% la mortalità ospedaliera. Inoltre, ha permesso una drastica riduzione della durata
dei tempi di ricovero e di degenza con un grosso impatto anche da un punto di vista finanziario. Secondo lo
studio di Upmc, infatti, la riduzione della durata del ricovero è stata del 10%, con un risparmio di circa
700.000 dollari, mentre la degenza media in reparto è stata ridotta del 20% con un risparmio di circa 2 milioni
di dollari. Diversi studi scientifici riportano l'esperienza di terapie intensive dove, alla fine dell'accertamento
della morte cerebrale, si è preferito posticipare di alcune ore il prelievo degli organi per mettere in atto delle
terapie o delle procedure che potessero migliorare la funzione di organi che ad un primo esame sembravano
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Aziende
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non idonei alla donazione. I casi più frequentemente descritti riguardano i polmoni, dove si può render
necessario aspettare alcune ore affinchè la terapia diuretica o la fisioterapia migliorino la funzione di questo
organo e lo rendano accettabile al trapianto. Queste strategie di attesa e di nuove procedure devono esser
messe in atto dalla collaborazione tra il centro, dove vi è il donatore, e gli specialisti del centro trapianti.
Necessitando di scambi di informazioni e di immagini, la Tele -leu è lo strumento che riesce a facilitare e
rendere possibile questo obiettivo di collaborazione tra centri, spesso posti a diverse centinaia di chilometri di
distanza. Caratteristiche tecniche II sistema di Tele-leu è un sistema di videoconferenza Ip su ruote dotato di
connettività Wifì adatto all'uso medicale e conforme alla norma Cei 60601. L'intero sistema di
videoconferenza su ruote (compreso di video, codec per la videoconferenza, casse, microfoni, computer
portatile, Ups e quant'altro lo componga), è semplicemente trasportabile all'interno di un reparto di terapia
intensiva e, di conseguenza , ha un ingombro su pianta inferiore a 0.55 mq. Il sistema è dotato di connettività
ethernet Tcp-Ip tradizionale (attraverso la quale connettersi alla rete ospedaliera) e di connettività wireless.
Inoltre, il carrello di Tele-leu ha Ups tale da permettere almeno 2,5 ore di videoconferenza continua senza la
necessità della corrente di rete. Il carrello è dotato di un monitor da 24" Lcd che permette un'ottima
definizione delle immagini visualizzate. Il codec supporta il protocollo H.239 per la condivisione dei contenuti,
inoltre permette di ottimizzare la banda utilizzata consentendo videoconferenze Hd a 512Kbps e connessioni
FullHd a 1472kbps. Permette registrazioni simultanee in H.323 e Sip e consente le chiamate a endpoints
H.323 e Sip senza necessità di alcuna infrastnittura. Il carrello è dotato di una telecamera silenziosa Ptz con
uno zoom ottico 12X e 72° Fov, è stato progettato per uso clinico e aderente alle normative per l'uso in
ambienti ospedalieri. Il sistema di Tele-leu consente la gestione remota di tutte le funzioni della videocamera
incluse quelle di pan tilt e zoom di modo che l'utente remoto possa controllare la telecamera. Il carrello offre
audio di alta qualità. Un microfono ambientale ad alta sensibilità consente di trasmettere voci anche lontane
dal sistema di videoconferenza. Allo stesso tempo è semplicemente accessibile una funzione di mute di
modo che ciascun sito possa bloccare la trasmissione audio. L'utente del sistema di videoconferenza può
individuare via software la sorgente di immagine che si intende trasferire e modificare la scelta, in maniera
semplice durante la videoconferenza. L'avvio della sessione di videoconferenza da parte del personale clinico
è semplificato e permette l'avvio della videoconferenza attraverso sempEci passaggi.
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Una legge per disciplinare le medicine complementari
Prima regione in Italia a recepire l'accordo Stato-Regioni suil'esercizic medicine non convenzionali
E la prima legge regionale in Italia dopo l'Accordo Stato-Regioni sulle medicine non convenzionali quella
approvata dalla V Commissione Salute delle Marche e presentata lo scorso 24 ottobre. "Un legge innovativa"
precisa una nota "che punta su sicurezza e informazione, risultato di un lavoro avviato oltre un anno fa, come
hanno spiegato i due relatori, il Presidente della V Commissione Francesco Comi (Pd) e il Vicepresidente
Giancarlo D'Anna (Gruppo misto). In Italia il 14,5% della popolazione ricorre a queste tipologie di trattamento
(fonte Eurispes - Rapporto Italia 2012). In generale sono persone di età adulta, dai 25 ai 64 anni, più le donne
(4 milioni e e 700 mila) che gli uomini (3 milioni e 162 mila) e la terapia non convenzionale più usata è
l'omeopatia (6,2%), seguita da agopuntura e fitoterapia. Nelle Marche, secondo gli ultimi dati disponibili (Istat
2005), il tasso di utilizzo si attesta al 13,8%, ma il trend è in crescita. «Il numero di cittadini che ricorre alle
terapie non convenzionali è in aumento», ha spiegato Comi. «Di fronte a un dato così significativo esiste il
dovere da parte del sistema sanitario pubblico di tutelare la libertà di scelta dei cittadini, garantendo la
consapevolezza dell'offerta e la sicurezza delle prestazioni. Per questo motivo occorre rendere trasparente la
serietà dei professionisti, fissando dei requisiti minimi per l'esercizio delle terapie. La formazione non va
improvvisata, individueremo i soggetti che potranno offrire percorsi di preparazione adeguati». La proposta di
legge "Modalità di esercizio delle medicine complementari" unifica due proposte a iniziativa di un gruppo
trasversale di Consiglieri regionali (Comi, Traversini, Camela, Mannelli, Bucciarelli e Latini), e intende
tutelare, nel rispetto dell'accordo Stato Regioni del 7 febbraio 2013, la pratica delle medicine complementari
esercitate dalle professioni sanitarie, ovvero da medici, farmacisti, veterinari. Queste sono l'agopuntura, la
fitoterapia, l'omeopatia, l'antroposofia e l'omotossicologia. Mentre per le altre tipologie di trattamento (come
ad esempio chiroterapia, osteopatia, naturopatia) è in cantiere una proposta normativa specifica. «Siamo la
prima regione a recepire con una sua legge l'Accordo Stato-Regioni», ha aggiunto infine Comi. «I consiglieri
regionali hanno messo l'intenzione politica di normare la materia, i rappresentanti degli ordini professionali,
delle Università e del sistema sanitario hanno offerto la loro conoscenza tecnica». Il via libera al disegno di
legge da parte della Commissione Salute è avvenuto nel corso della seduta del 22 ottobre ed è stato
unanime. A breve l'approdo in Consiglio regionale. "Nello specifico", spiega ancora la Commissione, "la legge
promuove l'istituzione di elenchi di professionisti che praticano queste cure. Attraverso protocolli d'intesa tra
gli Ordini e la Regione Marche, saranno definiti i percorsi necessari per l'ammissione agli elenchi, i criteri e le
modalità per la valutazione di tali percorsi, le norme per il riconoscimento dei titoli conseguiti prima
dell'entrata in vigore della legge regionale e nei tre anni successivi. I protocolli dovranno anche fissare le
modalità di accreditamento degli enti formativi abilitati a rilasciare gli attestati validi per l'iscrizione negli
elenchi".
SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 25/11/2013
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Marche Regioni
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Copertura superiore al 96% per le vaccinazioni obbligatorie
La Emilia Romagna coperture superiori al 96% per le vaccinazioni obbligatorie (superiore all'obiettivo
nazionale) e tra il 92% e il 95% per le raccomandate. È quanto rileva il rapporto "Coperture vaccinali per
l'infanzia e l'adolescenza" con i dati del 2012, curato dal Servizio sanità pubblica della Regione EmiliaRomagna. «Raggiungere e mantenere coperture vaccinali elevate», osserva Emanuela Bedeschi,
responsabile del Servizio sanità pubblica della Regione Emilia-Romagna, «significa ridurre drasticamente
l'incidenza di alcune malattie infettive. Perché la vaccinazione agisce per effetto diretto sulle persone
vaccinate e anche in modo indiretto attraverso un'azione protettiva delle persone non vaccinate». «I
programmi di vaccinazione sono basati su dati epidemiologici, su prove di efficacia e di dimostrata
sicurezza», prosegue l'esperta, «in modo da garantire l'offerta vaccinale più ampia, con i calendari dimostrati
più efficaci e sicuri». Come ha evidenziato il Centro europeo per il controllo e la prevenzione delle malattie
(Ecdc), sottolinea ancora Emanuela Bedeschi, «migliorare l'informazione sulle vaccinazioni, aumentare la
fiducia nei vaccini, rimangono l'obiettivo principale nella lotta contro le malattie infettive». Di seguito alcuni
dati sulle vaccinazioni previste dal calendario vaccinale, tutte gratuite. Per le vaccinazioni considerate
obbligatorie poliomielite, difterite, tetano, epatite B - la copertura entro i 24 mesi di vita nel 2012 è del 96,1%,
superiore all'obiettivo nazionale. Per le vaccinazioni fortemente raccomandate entro i 24 mesi di vita, la
copertura 2012 è stata: del 95,4% per la meningite da emofilo b, del 96% per la pertosse; del 94,4% per la
vaccinazione antipneumococcica e del 92,2% per la vaccinazione antimeningococcica. La vaccinazione
contro il morbillo (a 24 mesi di vita) ha registrato una copertura del 92,6% e supera l'obiettivo del 95%
(necessario per eliminare la malattia) a 7 anni (96,1%) e a 13 anni (95,8%). La vaccinazione contro la rosolia
a 13 anni si attesta al 95,4%. Grazie a queste elevate coperture è stata ottenuta la riduzione, fino quasi alla
scomparsa, delle relative malattie. Per morbillo, parotite, rosolia e pertosse siamo passati da diverse migliaia
di casi all'anno negli anni ottanta a poche decine negli ultimi anni. Per le meningiti da pneumococco, dopo
l'introduzione della vaccinazione nel 2006, si è assistito a una riduzione del 61% dei casi nella fascia di età 04 anni; per la meningite da meningococco C sono azzerati i casi nella fascia 0-4 anni e si assiste a una
riduzione importante in tutte le altre età.Per quanto riguarda il programma di vaccinazione gratuita contro
l'Hpv (Human Papilloma Virus), avviato nel 2008 e rivolto alle adolescenti nel dodicesimo anno di vita, queste
le coperture vaccinali al 30 giugno 2013: per le nate nel 1997 era del 75,6% (al 31 dicembre 2012 il dato era
pari a 75,2%, la media nazionale 68,5%); per le nate del 1998 era del 76% (al 31 dicembre 2012 era del
75,4%, la media italiana pari a 67,8%); per le nate del 1999 il dato si attesta al 72,9%, per le nate nel 2000 ha
raggiunto il 73,4%. Va considerato però che anche per le ragazze nate negli anni precedenti, le attuali
coperture vaccinali sono state raggiunte negli anni successivi a quelli dell'invito dell'Azienda Usi.
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Emilia Romagna Regioni
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Professione Salute - 4 ottobre 2013
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IL BIOTECH IN ITALIA
II settore delle biotecnologie rappresenta per l'Italia una realtà competitiva, altamente tecnologica e di
eccellenza da valorizzare nell'attuale contesto economico generale
Renato Torlaschi
I risultati emersi dai Rapporti 2013 parlano chiaro: il biotech in Italia rappresenta una risorsa da preservare
soprattutto nel difficile contesto macroeconomico generale per il netto contributo che riesce a garantire al
Paese sia in termini di crescita economica (una crescita complessiva del fatturato di settore del 6,3%) che di
investimenti in R&S (+3°/o nel solo segmento del farmaco biotech)». Le parole sono di Antonio Irione,
Advisory Life Science Leader di Ernst & Young, a commento di un rapporto molto dettagliato che la
multinazionale ha realizzato in collaborazione con Farmindustria: "Biotecnologie del settore farmaceutico in
Italia 2013". Se è vero che le applicazioni delle tecnologie si estendono a molti ambiti diversi (le green biotech
per il settore agroalimentare, le white biotech applicate ai processi industriali...), il settore farmaceutico - o red
biotech - è quello trainante e, come fa notare Irione, fa sperare in una nuova generazione di terapie. «Non si
deve dimenticare come il Red Biotech, grazie alla ricerca di farmaci innovativi, non rappresenti solo
un'opportunità economica per il Paese ma anche, e soprattutto, l'unica speranza di trattamento e cura di molti
pazienti affetti da patologie rilevanti e diffuse nonché una delle principali risposte alle malattie rare».
L'impegno delle aziende italiane e multinazionali ha permesso in un anno una crescita della pipeline di ricerca
del 12,5% arrivando a un totale di ben 359 prodotti complessivi di cui il 59% in Fase II e Fase III, sebbene a
oggi in Italia si sconti comunque un problema di accesso ai farmaci innovativi dovuto soprattutto al complesso
iter regolatorio nella fase di registrazione. «Competitivo, altamente tecnologico e innovativo. Cosi viene
presentato il settore del farmaco biotech nel Rapporto 2013, con le sue 175 imprese che hanno investito
1.410 milioni e occupano 4.846 addetti in R&S. Valori importanti - afferma Massimo Scaccabarozzi,
Presidente di Farmindustria - per una realtà radicata nel territorio con la Lombardia al primo posto per
numero di imprese biotech (70), seguita da Lazio (23), Piemonte (18), Emilia Romagna (17), Toscana (14). I
farmaci biotecnologici disponibili sono 109 e i prodotti in sviluppo 359, soprattutto nell'area oncologica (44%
del totale). Un settore che può rappresentare quindi una forte leva di crescita per il Paese in un contesto che
veda finalmente eliminati gli ostacoli che impediscono l'accesso rapido ai medicinali innovativi. Oggi un nuovo
farmaco è disponibile per i pazienti italiani con quasi due anni di ritardo rispetto ai principali Paesi europei,
con gravi ripercussioni anche per le imprese. È necessaria quindi una politica che offra un quadro normativo
stabile, condizioni competitive rispetto ai big Uè e tempi più brevi per l'accesso e per il pagamento. E questo
senza dimenticare la tutela della proprietà intellettuale. II futuro è biotech. E l'Italia ha una grande chance».
Limitando l'analisi alla pipeline delle sole imprese pure biotech, il rapporto indica in 136 i prodotti in via di
sviluppo, 77 dei quali si trovano in fase preclinica (56%), 17 in Fase I (13%), 32 in Fase II (24%) e 10 in Fase
III (7%) di sviluppo clinico. A questi vanno aggiunti 67 progetti di ricerca in fase di discovery o early-stage.
Complessivamente, circa il 46% dei progetti della pipeline italiana è composto da medicinali biotech o
biofarmaci che includono, per definizione, anticorpi monoclonali (25%), proteine ricombinanti (13%) e Terapie
Avanzate (8%). Ancora una volta, l'oncologia resta l'area terapeutica con il più alto numero di progetti (40%,
considerando anche quelli in fase di discovery). Tale percentuale riflette il chiaro orientamento delle imprese
del farmaco biotech a investire in quei settori della patologia che non trovano ancora oggi risposte
terapeutiche adeguate. Oltre che in quello oncologico, la pipeline delle imprese italiane include, quindi,
progetti in ambito neurologico (13%), infettivologico (11%) e nell'area dell'infiammazione e delle malattie
autoimmuni (10%). I livelli di eccellenza scientifica raggiunti dalle imprese del farmaco biotech italiane trovano
ulteriore conferma nei settori degli Orphan Drug e delle Terapie Avanzate. «Dei 49 progetti gestiti dalle 23
imprese del nostro campione attive nel settore delle Malattie Rare, - si legge nel rapporto Ernst & YoungFarmindustria - 10 hanno infatti ottenuto la Orphan Drug Designation dall'Ema, 5 dalla FDA e 34 da entrambi
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biotecnologie
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gli enti regolatori. Dei suddetti progetti, 17 traggono origine da imprese pure biotech, 6 da farmaceutiche
italiane e 26 da filiali di multinazionali con sede in Italia». Quanto alle Terapie avanzate, i progetti che
originano dalle 12 imprese biotech che operano in questo specifico segmento della ricerca farmacologica
sono 32, egualmente divisi tra terapie allogenìche e autologhe. Tra questi, 17 sono prodotti di terapia
cellulare, 8 di terapia genica e 7 di medicina rigenerativa. Quattro prodotti, tra l'altro, hanno conseguito la
Orphan Drug Designation. Quanto al loro stadio di sviluppo, 17 progetti sono in fase preclinica, 6 sono in
Fase II e 4 in Fase III. Questi risultati sono ancora più rilevanti se si considera che l'analisi si è limitata a
considerare unicamente quei progetti che sono frutto della ricerca italiana. Infatti, anche nel caso delle
aziende farmaceutiche a capitale estero, sono stati considerati soltanto i prodotti che derivano da attività di
R&S principalmente condotte in Italia. Diagnostici L'innovazione biotecnologica è fortemente indirizzata al
comparto diagnostico e ha già portato allo sviluppo di nuovi metodi e dispositivi di analisi, derivanti dalla
biologia molecolare, dall'immunochimica, dalla genetica e dalle stesse nanotecnologie, che consentono di
diagnosticare patologie delle quali un tempo si ignorava addirittura l'esistenza. Le nuove metodiche
permettono, inoltre, di affrontare in maniera più efficiente la gestione del paziente e la razionalizzazione di
costi sanitari. Una diagnosi rapida e tempestiva costituisce un indubbio beneficio non solo per i cittadini ma
anche per il sistema sanitario nel suo complesso. La spesa sanitaria pubblica è, infatti, sotto pressione e
tende a decrescere in quasi tutti i Paesi industrializzati. Per mantenere i più alti livelli di qualità delle cure,
l'imperativo è di ricorrere a strumenti di diagnosi predittiva, identificativa e quantificativa che, consentendo
non solo di correlare la diagnosi a schemi terapeutici specificatamente mirati sulle caratteristiche del
paziente, ma anche di monitorarne l'efficacia, permettono di ottimizzare l'uso delle risorse disponibili. Terapie
avanzate II contributo delle biotecnologie ai progressi della medicina attiene non solo alla disponibilità di un
crescente numero di farmaci e diagnostici prodotti pervia biotecnologica, ma anche allo sviluppo di medicinali
biologici per la terapia cellulare somatica, la terapia genica e di ingegneria tissutale. I prodotti per terapie
avanzate costituiscono il presupposto per un nuovo e rivoluzionario approccio al trattamento di varie
patologie e lesioni, nonché un mercato molto innovativo e interessante per il biotech italiano. Utilizzando
specifici geni, ottenuti in laboratorio ricombinando porzioni di Dna di origine diversa, è possibile trattare molte
malattie di origine genetica. Ricorrendo all'uso di cellule o porzioni di tessuto manipolati, per adattare le loro
caratteristiche biologiche a quelle dei pazienti, è addirittura possibile rigenerare o sostituire i tessuti
danneggiati. -Interessanti prospettive emergono anche dall'uso delle cellule staminali, che si sono dimostrate
in grado di indurre l'organismo a rigenerare i tessuti danneggiati nella malattia di Parkinson, nella sclerosi
multipla, nelle patologie cardiovascolari, epatiche e del midollo spinale, e nel cancro. Sussistono, tuttavia, non
poche perplessità circa possibili inconvenienti legati all'uso delle staminali in medicina, soprattutto per quanto
attiene a rischi imprevedibili e potenzialmente gravi, quali lo sviluppo di tumori o di reazioni avverse da parte
dell'organismo. Terapie Avanzate: la prossima rivoluzione tecnologica «La crescita della spesa per il
trattamento delle malattie che ancora oggi affliggono l'umanità ha ormai raggiunto, in alcuni Paesi, livelli
economicamente insostenibili». Ad affermarlo è Camillo Ricordi, presidente di The Cure Alliance e direttore
del Diabetes Research Institute and Celi Transplant Center di Miami: «Negli Stati Uniti, per esempio, la spesa
sanitaria ha superato il 17% del Pii, mentre in Italia spendiamo circa il 9,3% del Pii, di cui circa il 7,1% di fondi
pubblici, valori ben al di sotto della media Ocse, etra i più bassi a livello della Uè-15. L'Italia avrebbe quindi
l'opportunità di spendere non solo meglio ma anche un po' di più, investendo ad esempio in prevenzione, in
ricerca, in infrastrutture fondamentali e nell'ammodernamento tecnologico, in particolare nell'area Information
and communication technology (Ict). Mentre gli investimenti in prevenzione offrono la possibilità di generare
risparmi tre volte superiori ai futuri costi delle malattie che vanno a prevenire, le terapie avanzate offrono
l'opportunità di sviluppare strategie terapeutiche efficaci. L'obiettivo centrale è quello di prolungare
l'aspettativa di vita in assenza di malattia, soprattutto in rapporto ad alcune malattie croniche degenerative,
ancora oggi associate non solo a un abbassamento della qualità di vita del paziente, ma anche a un
insostenibile aumento dei relativi costi economici e sociali. La rivoluzione avviata dalle biotecnologie ha
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Professione Salute - 4 ottobre 2013
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SCENARIO SANITA' NAZIONALE - Rassegna Stampa 25/11/2013
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La proprietà intellettuale è riconducibile alla fonte specificata in testa alla pagina. Il ritaglio stampa è da intendersi per uso privato
aperto nuovi orizzonti nel campo delle terapie personalizzate e di quelle mirate a particolari sottogruppi di
pazienti, delle terapie biologiche molecolari, dell'ingegneria tissutale, della terapia genica e delle terapie
cellulari. In questa prospettiva, le terapie avanzate e la medicina rigenerativa potrebbero rappresentare la
prossima grande rivoluzione tecnologica, dopo quelle legate allo sviluppo del software, delle Ict e delle
energie rinnovabili. Anche in Italia esistono, ormai, istituzioni di eccellenza nel campo delia medicina
rigenerativa e delle terapie avanzate, realtà con le quali ho avuto il privilegio di poter interagire e collaborare.
Iniziano infatti a emergere aziende biotecnologiche come Holostem terapie avanzate e MolMed, dedicate allo
sviluppo di tecnologie di processazione cellulare, nonché di produzione e distribuzione di prodotti cellulari e di
terapia genica. Sul fronte accademico, un numero crescente di centri altamente specializzati offre nuove
opportunità di collaborazioni e sinergie, non solo pubblico-private, ma anche internazionali, grazie allo
sviluppo di reti e tecnologie di telescienza che permettono di superare le barriere geografiche che ostacolano
la collaborazione scientifica. Nuove prospettive terapeutiche nella lotta al cancro - conclude Camillo Ricordi potranno aprirsi anche grazie a tecnologie mirate e selettive, come le tecniche di terapia recettoriale
radioisotopica sviluppate all'Istituto europeo di oncologia - leo di Milano. L'Istituto mediterraneo per i trapianti
e terapie ad alta specializzazione - Ismett e la Fondazione Ri.Med, a Palermo, stanno invece sviluppando
protocolli di terapia avanzata finalizzati al ripristino delle funzioni di tessuti, organi o sistemi affetti da
insufficienza funzionale, attraverso terapie con cellule staminali progenitrici, o con cellule differenziate
funzionalmente attivate». Red biotech in tempi di crisi Le aziende attive nel settore delle biotecnologie della
salute sono il 58°/o del totale delle imprese biotech, ma come lo scorso anno esse incidono in misura
predominante sul fatturato e sugli investimenti in R&S complessivi dell'industria biotecnologica italiana. Il loro
numero è 235 di cui lo 84°/o è costituito da imprese dedicate esclusivamente alle biotecnologie della salute,
mentre il restante 16% è costituito da imprese multi-core, ovvero da aziende che operano in più di un settore
di applicazione, la maggior parte delle quali è tuttavia attiva nel settore GPTA, intensificando quindi la già
stretta connessione tra questi due specifici segmenti della ricerca. È inoltre possibile osservare come,
quest'anno, il numero delle aziende red biotech sia inferiore rispetto quello del Rapporto 2012. Da un lato,
infatti, a fronte di 8 imprese di nuova costituzione, sono 14 quelle che hanno invece definitivamente cessato
ogni attività; dall'altro, a fronte di 3 imprese che hanno esteso le loro attività al settore red, sono 7 quelle che
lo hanno invece lasciato, per fecalizzarsi su altri comparti. Si conferma pertanto un trend parzialmente
anticipato nel precedente Rapporto: la frontiera del red biotech è ancora molto estesa e promettente, ma le
sfide che le imprese italiane si trovano a dover sostenere per sopravvivere e competere sul mercato sono
davvero sempre più impegnative.
APPROFONDIMENTI J Negli Stati Uniti sono definiti Orphan Drug (farmaci orfani) i medicinali sviluppati per il
trattamento di malattie rare o che colpiscono meno di 200 mila persone. Dal 1983, data dell'entrata in vigore
dell'Orphan Drug Act, oltre duemila medicinali in sviluppo sono stati definiti
orfani.
APPROFONDIMENTI Le staminali sono cellule non specializzate in grado di dividersi dando origine
contemporaneamente a una cellula staminale (uguale alla cellula madre) e a una cellula precursore di una
progenie cellulare che alla fine darà origine a sua volta a cellule differenziate (mature). Quindi sono cellule
immature, generiche e indifferenziate in grado di autorinnovarsi e differenziarsi.
TABELLA Red biotech Numero imprese Totale fatturato Rapporto 2012* 245 145 €6.446 milioni €1.081
milioni Rapporto 2013 235 140 Totale investimenti € 1 . 6 3 5 m i | i o n i € 4 9 0 milioni in R&S €6.766 milioni
€1.114 milioni €1.691 milioni €496 milioni Totale addetti in R&S 5.478 1.631 5.436 1.543 (*) I dati sono stati
modificati per rendere i campioni confrontabili