Montanelli_Stauffenberg - Temi di storia

Transcript

Montanelli_Stauffenberg - Temi di storia
INDRO MONTANELLI
Come fallì l'attentato a Hitler
Da «Storia Illustrata», a. II, n. 3 (marzo 1958), pp. 77-83
l 20 luglio 1944, sei minuti prima di mezzogiorno, un giovane colonnello pluridecorato e plurimutilato si presentò al triplice
sbarramento del gran quartier generale di
Hitler presso Rastenburg, per tre volte mostrò
ai capiposto SS che gli si fecero incontro il
lasciapassare debitamente firmato da von Keitel e si appressò alla casetta rettangolare di
cemento a un piano, nella quale solitamente il
Führer teneva il suo rapporto mattutino ai capi
militari. Quel lasciapassare diceva che il
latore, conte Klaus von Stauffenberg, era
regolarmente invitato alla conferenza come
rappresentante del generale Olbricht, suo
diretto superiore.
Klaus von Stauffenberg portava una benda
nera a copertura di un’orbita vuota, gli mancava la mano destra e le due superstiti dita di
quella sinistra tenevano sospesa una borsa di
cuoio. Non mostrava più di trentacinque anni,
era alto e adusto, una imponente collezione di
alte decorazioni gli si allineava sul petto.
Sudava, perché la giornata era afosa, e parve
sgradevolmente sorpreso allorché un giovane
subalterno, piantatosi sull’attenti dinanzi a lui,
lo avvertì che, per la gran calura, il rapporto
quel giorno sarebbe stato tenuto non nella
casetta di cemento, ma in una baracca di
legno lì accanto. Stauffenberg era ufficiale di
artiglieria, e immediatamente lo assalì il dubbio che la deflagrazione della bomba, che
recava nella borsa, e la cui potenza era stata
calcolata pari a quella di un obice da 150 millimetri, avrebbe avuto in un ambiente di fragile copertura come quello un effetto infinitamente meno micidiale che non fra mura e
sotto un tetto di cemento. E forse avrebbe rinviato il colpo, se già cinque giorni prima non
gli fosse accaduto di dovervi rinunziare con
grave disappunto dei suoi complici.
Egli non era sicuro di poter ottenere con faci-
I
lità un altro invito al gran quartier generale
con relativo lasciapassare di entrata e uscita
per la Wolfschanze, la tana del lupo. La località si trovava a nord dei laghi Masuri, in una
foresta di pini punteggiata di stagni dalle
acque notturne come il cielo che riflettevano.
Hitler ci si era stabilito all’indomani di Stalingrado, cioè ai primi del ‘43. Il quartier generale ricopriva con i suoi baraccamenti otto
ettari ed era composto di tre zone concentriche, alle quali conduceva una sola strada. La
prima zona, che circondava la seconda, comprendeva un piccolo aerodromo e una stazione
col treno blindato di Hitler e tre locomotive
costantemente sotto pressione. Reparti delle
divisioni SS Hitler, Grossdeutschland e Das
Reich la pattugliavano. Fuori della strada il
terreno era dappertutto minato.
La seconda zona, che a sua volta circondava
la terza, era il regno di Keitel, Jodl, dei
comandi, degli archivi e degli ufficiali
dell’O.K.W. C’erano anche una mensa e due
cinema. Ma la «Tana del Lupo» propriamente
detta era la terza zona, letteralmente avvolta
in una ragnatela di due fila di reticolati a tensione elettrica, separate tra loro da una striscia
di terra minata. Ogni trenta metri c’era,
all’interno e all’esterno, una sentinella; due
mitragliatrici a fuoco incrociato sorvegliavano
l’unico accesso a questo che era il feudo personale esclusivo del Fùhrer. La casetta di
cemento, accuratamente dipinta di verde per
mimetizzarla nel paesaggio circostante, era
geometricamente il centro della Wolfschanze e
constava di una sala centrale per le conferenze, con una grande tavola in mezzo come
unico mobile, e i muri coperti di carte topografiche. Hitler aveva dato ordine di toglier
via le sedie dal giorno in cui, durante un rapporto, Goering si era villanamente seduto
mentre il suo capo, in piedi, parlava; e appog-
Poco dopo l’attentato di von Stauffenberg giunse alla «Tana del lupo» Mussolini che doveva incontrarsi con
Hitler proprio quel giorno. Il Führer gli mostra i danni provocati dalla bomba.
giato un braccio sul tavolo e la testa sul bracnevoli, il generale Heusinger riprese la sua
cio, si era addormentato.
esposizione sull’avanzata russa verso la
A sinistra della sala, c’erano tre piccoli Vistola. Hitler ascoltava cupo, gli occhi fissi
salotti, dove Hitler riceveva le personalità sulla carta topografica stesa dinanzi a lui.
straniere e gli ufficiali cui doveva rimettere
Alla sua destra è Keitel il cui gomito sfiora
qualche decorazione. A destra, i suoi appartaquello di Jodl, alla sua sinistra sono gli
menti privati, molto semplicemente arredati,
ammiragli Voss e von Puttkammer. Dietro, il
nei quali s’intratteneva con i
pochi intimi del suo seguito
Le opinioni dei congiurati e quelle di Stauffenberg
per tutta la notte, prima di coricarsi all’alba. Il Führer si
Nella prima settimana del giugno 1944, il colonnello conte Claus
alzava alle dieci del mattino e
Schenk von Stauffenberg f u nominato capo di stato maggiore del
a mezzogiorno teneva rapporto
generale Fromm, comandante dell'esercito territoriale: un posto
nella sala che abbiamo detto.
chiave che gli permise di mettere in atto l'attentato nel «covo» di
Solo il 20 luglio, prima ed
Hitler. Nel «governo provvisorio tedeunica volta nella storia della
sco» preparato dai congiurati nello
Wolfschanze, il rapporto fu
stesso mese di giugno (e di cui dovetenuto a mezzogiorno e trenta
vano far parte elementi militari e delle
in una baracca di legno lì
varie tendenze politiche) era riservata al
colonnello la carica di segretario di
accanto.
Stato alla guerra. Stauffenberg era ideoEsso era cominciato da
logicamente più «a sinistra» dei rappreappena cinque minuti, quando
sentanti socialdemocratici e sindacali.
von Keitel entrò nella stanza,
Egli f u un assertore della necessità di
seguito da alcuni ufficiali, fra i
immettere nel complotto anche i
quali era Stauffenberg con la
comunisti. Appare chiaro che Stauffensua borsa di cuoio. Keitel lo
berg operò nello stesso senso dei fuopresentò al Führer che non lo
riusciti di Mosca e che il suo proriconobbe sebbene il colongramma era quello di continuare la
guerra su un solo fronte (ma non quello sovietico, come pensanello avesse già altre due volte
vano invece Goerde-ler e Beck). Stauffenberg venne fucilato dalle
partecipato a quelle confeSS.
renze. Dopo quei brevi conve-
sosia e segretario del Führer, Berger, esibisce i suoi baffetti a spazzola e la sua ciocca
a gronda sulla fronte. La somiglianza, davvero stupefacente, con il dittatore gli è parsa
una enorme fortuna, sino ad oggi. Fra qualche minuto gli costerà la pelle. A cerchio,
intorno al lungo tavolo, sono ancora i generali Scherff, Bodenschatz, Buhle, Korten e
Schmundt, il capitano di vascello Assmann
e i colonnelli Brandt e Bormann. Mancavano Himmler, trattenuto a Berlino da
preoccupazioni di ordine interno, e Goering,
che sempre più raramente veniva invitato e
consultato. Era Bodenschatz che lo rappresentava. Il capo della Luftwaffe aveva un
quartier generale per conto suo, a una cinquantina di chilometri più a sud, e aveva
rifiutato, per la sua protezione, i distaccamenti SS offertigli da Bormann.
Stauffenberg posa la sua borsa di cuoio
sotto il tavolo, appoggiandola a una gamba
Stauffenberg mormora qualcosa all’orecchio
di Keitel: lo chiamano al telefono da Berlino per una comunicazione urgente, gli dice
a voce bassissima, e chiede il permesso di
uscire. Keitel fa senza voltarsi un cenno di
approvazione con la testa. Stauffenberg si
china sulla borsa, come a cercarvi qualcosa,
ne estrae un documento, pigia il bottone del
detonatore e, seguito da von Haeften,
abbandona la sala. Sono esattamente le
dodici e quaranta.
Alle dodici e quarantatre, i due ufficiali
stanno per salire a bordo della macchina che
li attende a un centinaio di metri più in là,
quando una paurosa esplosione manda in
briciole la baracca di legno in cui si tiene il
rapporto.
Dopo un attimo di smarrimento, una
tromba suona l’allarme. Uomini si precipitano con pompe da incendio e lettighe a
mano verso la baracca frantumata. Su di una
Questa è la sala in cui avvenne l’attentato. La posizione dove si trovava Hitler durante l’esplosione è
delsegnata con un cerchio e una freccia (in basso a destra). Invece di Hitler morì Berger, suo segretario. di
medesimo. Nessuno bada al gesto, reso particolarmente plausibile dal fatto che il
colonnello non ha che due dita a disposizione. È calmissimo. Sembra attentamente
assorto nella esposizione di Heusinger che
continua. Trasale addirittura con sorpresa
quando Werner von Haeften, entrato in
punta di piedi, gli tocca una spalla e gli
mormora qualcosa all’orecchio. A sua volta,
quelle lettighe di ritorno, Stauffenberg e
Haeften riconoscono, già morto o agonizzante, il generale Korten; su un’altra, il
colonnello Brandt, su una terza, Schmundt:
infine, su una quarta, passa il Führer in persona, evidentemente già cadavere perché un
lenzuolo lo ricopre non lasciando emergere
da una parte che i baffetti e la ciocca, e
dall’altra gli stivali.
Ed era invece Berger, il suo sosia. Hitler,
investito dallo spostamento d’aria, era caduto
tra le braccia di Keitel, caduto a sua volta.
Ambedue non avevano riportato che leggere
ferite e bruciature. La bomba non ha fatto a
brandelli che i loro vestiti. Eppure era una
bomba di colossale fattura, la cui messa a
punto aveva richiesto sei anni di minuzioso
lavoro sotterraneo.
Alle quattro Stauffenberg arrivò all’aeroporto di Rangsdorf e si precipitò alla Bendlerstrasse. Hitler era morto, disse, lo aveva
cazione delle misure Walkiria. Voi personalmente che cosa decidete di fare?» «Chi ha
dato l’ordine Walkiria?», gridò Fromm
furioso. «Il colonnello Merz von Quirnheim
su mia richiesta.» «Sia immediatamente arrestato. E voi uccidetevi: non vi resta altro da
fare.» «Io non mi uccido e arresto voi»,
rispose Stauffenberg tranquillamente. E aiutato da Olbricht disarmò il generale e rudemente lo sospinse in una camera vicina dando
ordine a due soldati di sorvegliarlo strettamente. Dopodiché Hoeppner fu incaricato di
Il feldmaresciallo Wilhelm Keitel, capo del Comando Supremo:ç durante lo scoppio della bomba era accanto a
Hitler. Fu lui, ignaro di tutto, a dare a von Stauffenberg il permesso di assentarsi dalla riunione.
visto lui con i propri occhi in barella. Ma perché non si era fatto nulla in queste tre ore?
Perché si era perso in vane chiacchiere tutto
quel tempo prezioso? Al ministero della
guerra c’erano ottocento linee fra telegrafiche
e telefoniche. Stauffenberg le mise in azione
tutte per il lancio della parola d’ordine Walkiria (che doveva dare il via al complesso meccanismo della congiura). E mentre i generali
del territorio metropolitano aprivano la busta
sigillata che con quella parola misteriosa sul
dorso giaceva da mesi nella loro cassaforte e
stupefatti eseguivano gli ordini in essa contenuti, il giovane colonnello si recava da
Fromm per chiedergli di decidere. «Hitler è
morto, mio generale, e sono stato io a far
deflagare la bomba che lo ha ucciso. Dai
vostri uffici è stato emanato l’ordine di appli-
rimpiazzarlo. Hoeppner era giunto con la sua
divisa in valigia. «Sì, ma voglio un ordine
scritto», disse pensando con ciò di mettersi al
riparo da ogni responsabilità.
Ma dove sono Goerdeler e Witzleben, che
dovevano fungere rispettivamente da capo
del governo e da capo delle forze armate?
Alla Bendlerstrasse sono giunti vari congiurati, von Kleist, Gisevius, von Hammerstein,
York von Wartenburg; ma mancano proprio i
più importanti. Goerdeler, quando aveva
saputo che correva il pericolo di essere arrestato, si era allontanato da Berlino, ma senza
dire a nessuno dove si recava. Egli aveva in
tasca il messaggio da leggere alla radio e di
cui nessuno possedeva copia. E senza Witzleben, altrettanto introvabile, chi prende il
comando delle operazioni militari di Berlino,
e in nome di chi? Beck, capo dello Stato, non
può prendere iniziative, o per lo meno non
può eseguirle. Pure è lui che a un certo
momento vuol sincerarsi se almeno si è provveduto a mettere a guardia del ministero elementi militari fidati che possano assicurarne
la protezione contro eventuali attentati di SS,
e chiama il suo vecchio Feldwebel di guardia. Nemmeno queste elementari precauzioni
sono state prese. Il Feldwebel dice che quasi
tutti i suoi uomini sono buoni nazisti. E
allora Beck ordina di chiudere la porta
dell’edificio, il che ne renderà quasi impossibile l’accesso agli stessi congiurati.
Le ore passavano, caldissime e lente, e
niente succedeva. Kortsfleisch, comandante
la regione di Berlino, era stato arrestato perché aveva rifiutato di proclamare lo stato
d’assedio e aveva preso il suo posto von
Thungen. Poi lo avevano rinchiuso nella
stessa stanza di Fromm, dove un terzo inquilino era subito dopo sopraggiunto nella persona di un Gruppenfuhrer SS presentatosi al
ministero a domandare per quale ragione un
autoblindo si era piazzato davanti alla sua
caserma di SS nella Fehnberlinerstrasse e
rifiutava di sloggiare. Quest’autoblindo era
comandato dal maggiore Wolf che veramente
aveva ricevuto l’ordine di spianare la
caserma con tutti i suoi inquilini. Ma Wolf,
poco prima di partire per quell’impresa, era
stato visitato da Guderian che gli aveva consigliato di non far nulla di decisivo finché
non fosse stato proprio sicuro che Hitler era
morto. L’unico che aveva agito era stato il
generale von Hase, comandante della guarnigione della capitale, che aveva già ordinato la
formazione di trenta gruppi d’urto da lanciare
nei punti più importanti della città. Ma nemmeno questa misura era in esecuzione e nei
punti più importanti della città non c’erano
che i soliti passanti che transitavano ignari di
tutto e intenti ai propri affari.
Le cose andavano molto meglio in periferia. Una comunicazione telefonica di
Stùlpnagel, da Parigi, annunziava che tutte le
truppe erano già consegnate in caserma, e
pregava Beck di prendere personale contatto
con von Kluge a cui avrebbe passato la
comunicazione. Beck prese il ricevitore. «A
Berlino», disse, «l’ordine è perfetto e nessuna opposizione si è manifestata.» Era vero,
ma dimenticava di aggiungere che tutti ignoravano ancora l’accaduto. «Cosa intendete
fare a Parigi?» Von Kluge tergiversò. Disse
che aveva udito poco prima alla radio la notizia che Hitler era ancora vivo. «Non si tratta
di sapere se è vivo o se è morto», ribatté
Heinrich Himmler, ministro degli Interni e capo delle SS, che organizzò la vendetta di Hitler; il dottor Joseph
Goebbels, ministro della Propaganda, che i congiurati tentarono di arrestare.
Beck, «sebbene personalmente io ritenga che
è morto. Si tratta di sapere da che parte siete
voi e come dobbiamo considerarvi: alleato o
nemico?» Ma von Kluge sgusciò ancora di
mano. Disse che se l’attentato era fallito ci si
trovava di fronte a una situazione non prevista
e che egli non poteva decidere nulla senza
aver prima udito il parere del suo stato maggiore. «Richiamerò io», aggiunse posando
l’apparecchio. Subito dopo chiamarono dal
quartier generale delle armate del nord in
Estonia, dove ancora s’ignorava l’accaduto.
Dissero che tutto lo schieramento era minac-
Hitler, chiamò e confermò la disastrosa notizia. «È una manovra di Goebbels», disse
Stauffenberg. Proprio in quel momento
Witzleben fece il suo ingresso nel gabinetto di
Beck, dove si rinchiuse con quest’ultimo e
Stauffenberg. Era scuro in viso e lo si udì gridare, ma nessuno ha mai saputo cosa dicesse.
Poco dopo uscì sbattendo la porta e urlando:
«Chi mi vuole mi cerchi a casa mia». Furono
le SS a cercarvelo poche ore dopo.
Fuori, intanto, avveniva il fatto decisivo che
doveva mettere fine al Putsch. Il battaglione
della Guardia, comandato dal maggiore
I reparti delle SS furono la costante preoccupazione degli antinazisti: nel piano del 20 luglio 1944 era prevista
la loro neutralizzazione, almeno a Berlino, per mezzo di gruppi corazzati della Wehrmacht.
ciato di accerchiamento da parte dei russi.
«Come successore del Führer», disse Beck,
«ordino il ripiegamento su posizioni che consentano la difesa della Prussia orientale.» E
fu questo ripiegamento l’unica conseguenza
militare dell’attentato; ma una conseguenza di
cui i sovietici approfittarono non poco.
Subito dopo le sei la radio annunciò finalmente che un attentato aveva avuto luogo
contro il Führer, ma che questi era salvo e
aveva ricevuto il Duce, dopodiché avrebbe
parlato lui stesso al microfono. I congiurati si
guardarono in volto: era dunque vero? Di lì a
poco anche Fellgiebel, capo dei servizi informazioni dell’O.K.W. al quartier generale di
Remer, si era messo in movimento su ordine
di von Hase per circondare il «Propaganda
Ministerium» e trarre in arresto Goebbels, la
personalità nazista di più grande rilievo a Berlino. Ma in quel battaglione c’era come
Fuhrungsoffizier, Hager, che di Goebbels era
stato collaboratore. Egli chiese a Remer di
lasciar andar lui ad arrestare il ministro, col
quale si mise rapidamente d’accordo. Subito
dopo ridiscese nel cortile e pregò il maggiore
di salire dal ministro che lo attendeva per
consegnargli personalmente. Remer accondiscese. Ma quando entrò nello studio di Goebbels questi aveva il ricevitore del telefono in
mano e gli disse offrendoglielo: «Parlate
direttamente col Führer che v’impartirà gli l’arresto del Gauleiter, che riuscì a evitarlo
ordini». Remer prese il ricevitore, riconobbe occultandosi in tempo. Dovunque si telefonò
la voce di Hitler, automaticamente si mise prima, a lungo, alla Bendlerstrasse, e si ricesull’attenti e ricevette la consegna di prendere vettero le telefonate del quartier generale del
il comando militare di Berlino al disopra di Führer, che Fellgiebel non aveva potuto isolare. Le incertezze durarono pochissimo e non
colonnelli e generali.
A mezzanotte la radio gargarizzò la voce di diedero luogo a nessun marasma.
Era alta notte, quando l’ordine più completo
Hitler : «Ancora una volta un attentato è stato
progettato ed eseguito contro di me. Se ora fu ristabilito ovunque: in poche ore si era
parlo, lo faccio per due ragioni: anzitutto per- liquidata un’organizzazione costata anni di
ché udiate la mia voce e sappiate che sono lavoro e rischi inenarrabili. In quel momento,
vivo e in buona salute; eppoi perché cono- a Rastenburg, Hitler conversava ancora con
sciate alcuni dettagli su una nefandezza che Mussolini. A un certo momento Hitler, colpito
non ha precedenti nella storia della Germania. da un’allusione di Schmundt sulla repressione
Una minuscola cricca di ufficiali ambiziosi, delle SA, cominciò a urlare: «Massacrateli!
senza scrupoli e criminalmente stupidi, ha tra- Massacrateli tutti!».
Mussolini, dalla sorpresa, si era come ratmato un complotto per eliminarmi e sterminare con me il grande stato maggiore trappito in sé, e Graziani gli soffiò all’orecdell’esercito tedesco. Una bomba è stata posta chio: «Che sia impazzito?».
La vendetta di Hitler contro tutti i congiua due metri da me dal colonnello von Stauffenberg. Essa ha ferito molto gravemente un rati cominciò esattamente ventiquattro ore
certo numero dei miei più cari collaboratori. dopo.
Uno di essi è morto. Ma io non ho riportato
Indro Montanelli
nessuna ferita, solo alcuni graffi, ecchimosi e
bruciature. Considero questo fatto come la
conferma della missione che mi è stata affidata dalla Provvidenza... Ordino quanto
segue: Nessun ufficiale, nessun civile esegua
gli ordini che potrà ricevere dai cospiratori.
Nessuna organizzazione militare, nessun
comandante di truppe, nessun soldato segua
gli usurpatori, ma anzi li arresti immediatamente o li uccida... Himmler è da questo
momento comandante dell’esercito metropolitano, mentre il generale Guderian è chiamato
a sostituire quale capo di stato maggiore il
generale Zeitzler, che ha lasciato il suo posto
per ragioni di salute... Per quanto mi riguarda,
non ringrazio la Provvidenza e il mio Creatore per avermi serbata la vita, ma per avermi
dato la capacità di sopportare tutte queste
prove e di proseguire il mio compito secondo
la mia coscienza». A questa concione tennero
dietro quelle di Goering e di Doenitz, infine
fu intonato lo Horst Wessel Lied.
Ma erano appelli quasi superflui, perché gli
ordini di Beck erano rimasti senza eco in tutto
il territorio metropolitano. Increduli, i comandanti
militari
attendevano
conferma
dell’attentato e del suo successo prima di pas- Impaginazione per www.temidistoria.altervista.org
sare all’azione. Soltanto a Breslau fu ordinato