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Parco Orme su La Court, un esempio di arte tra le vigne. Un museo a cielo aperto inserito in un vigneto, o un vigneto che fa da contorno a un museo? Già il fatto che la collina sulla quale sorge il Parco Artistico Orme su La Court, a Castelnuovo Calcea, nel cuore dell’Alto Monferrato di Asti, ponga questo dilemma a chi si accinge a parlarne, fa ben capire quanto la simbiosi tra vino e arte, territorio e cultura, sia, in questo angolo di Piemonte, assolutamente totale. Merito, va detto fin da subito, di un progetto unico, fortemente voluto da Michele Chiarlo, fondatore e numero uno dell’azienda vinicola che porta il suo nome e che ha nella collina de La Court uno dei suoi terreni più vocati e famosi, nonché l’emblema stesso di come si possa essere, oggi, produttori fortemente legati alla cultura e la tradizione locale, e nello stesso tempo uno dei nomi più importanti dell’enologia mondiale di qualità. Perché il Parco Orme su La Court è, prima di tutto, un magnifico vigneto, dolcemente adagiato su due colline esposte a sud-sud/ovest e percorse da filari di viti che arrivano anche a 40 anni di età. Il terreno composto prevalentemente da marne calcaree, povero di sostanze organiche, ma ricco di microelementi, è ideale per la Barbera che, infatti, ha trovato qui una delle sue massime espressioni. La Court, veduta panoramica della Tenuta di Castelnuovo Calcea 1 Ma questo “tempio naturale” del vino è, oggi, anche un museo a cielo aperto, nel quale le opere di artisti celeberrimi come Emanuele Luzzati e Ugo Nespolo si integrano al paesaggio, arricchendolo di nuovi significati e aprendolo a una dimensione ulteriore, che travalica il mondo del vino e dell’arte, separatamente presi, per creare qualcosa di unico: una realtà che interseca inscindibilmente i due elementi, poggiando saldamente le sue radici nel territorio ma, ma nello stesso tempo, aprendosi a una dimensione culturalmente universale. Un’idea, come facilmente si intuisce, di portata davvero rivoluzionaria, ma la cui importanza, per il territorio non si può capire appieno se non si fa un necessario, iniziale, passo indietro, analizzando il contesto storico ed “enologico” nel quale si inserisce il progetto del Parco artistico. QUALCHE CENNO DI STORIA Torniamo per un attimo, allora, ai tempi nei quali il Piemonte contadino viveva già di produzione vinicola, ma l’attenzione alla qualità era ancora molto limitata e quasi sempre subordinata alla quantità. Se per territori più “nobili”, come Barolo e Barbaresco, la situazione è sempre stata meno complessa, per via di un riconoscimento qualitativo più immediato e già consolidato, la Barbera d’Asti ha sofferto lungamente di scarsa considerazione. Diffusa non solo in Piemonte, ma anche in Lombardia ed Emilia Romagna, la Barbera, verso il XV secolo, vive forse il suo periodo più difficile: sono decenni in cui il vino si beve giovane, e la Barbera ha, al contrario, bisogno di tempo per perdere la sua naturale acidità. Logico, quindi, prediligere altri vitigni e, soprattutto, convertire i terreni a coltivazioni più intensive e produttive. Fa eccezione, in questo contesto, la zona dell’Astesana, antica denominazione dei territori piemontesi attorno alla città di Asti. Così scriveva Giuseppe Baretti, poeta, scrittore e critico letterario del Settecento: “Queste collinette dell’Astigiana nulla cedono in bellezza alle più belle che mai poeti e romanzieri s’abbiano sognate. Alberi fronzutissimi da ogni banda, cespugli d’avellane […] campi ondeggianti di verdi spiche, e vigneti e boscaglie e siepi di mortelle frequentate da infiniti uccelletti […] fanno un molto soave incanto ai sensi di un viaggiatore” 1 Ma non è solo il contesto bucolico a fare la differenza, quanto la dedizione che i suoi abitanti dimostrano nei confronti di quel vitigno un po’ bistrattato altrove ma che qui , fin da tempi non sospetti, sembra aver trovato la sua culla più feconda. La conferma si può far risalire finanche agli inizi del 1300, quando il magistrato bolognese Pier de’ Crescenzi, nominato giudice della città di Asti, una volta ritiratosi scrisse quello che viene considerato il più importante trattato di agronomia ed enologia dell’epoca medievale in Italia: il Liber Ruralium Commodorum. Ebbene, tra le tipologie di uva analizzate, il Crescenzi cita la Grissa, 1 Giuseppe Baretti, lettera del 1770. In "Scritti scelti, inediti e rari. Con nuove memorie sulla sua vita" di Giuseppe Baretti e Pietro Custodi, 1822. p.403 2 “Tenuta in grandissimo onore nella città di asti e dintorni”. Grissa, con ogni probabilità, è uno dei nomi anticamente utilizzati prima che la denominazione “Barbera” diventasse di uso comune e riconosciuto. Fin dal periodo medievale, dunque, la zona di Asti si dimostra eccezionalmente vocata per questo vitigno dai grappoli neri ricchissimi di mosto e, nonostante nei secoli l’enologia piemontese punti, a fasi alterne, in altre direzioni, l’Astesana non tradirà mai le sue origini rimanendo fieramente fedele alla Barbera. Senza stare, in questa sede, a ripercorrere le alterne fortune della Barbera nel corso dei secoli, ci basti sapere, qui, che il territorio di Asti mai venne meno alla fedeltà al suo vitigno prediletto, anche se, ancora verso la metà del Novecento, il vino che da esso veniva prodotto non era nel novero di quelli la cui qualità poteva puntare a entrare nell’elite enologica mondiale. Eppure, le qualità del vitigno ci sono tutte, e nel corso della storia non mancano esempi di chi vi abbia ricavato bottiglie eccellenti. Ma, ancora, il discorso non può essere generalizzato e, soprattutto, manca alla Barbera quel riconoscimento internazionale a cui potrebbe ambire. Il cambiamento definitivo di rotta la si deve al grande produttore Giacomo Bologna che, sul finire degli Anni ’90 mutò radicalmente i destini del vino più profondamente piemontese che ci sia. Con lui, tra i primi produttori a puntare con decisione sulla “nuova” Barbera, simbolo di una rinnovata attenzione alla qualità e all’esaltazione delle peculiarità del territorio, c’è anche Michele Chiarlo. Questi ha già da diversi anni cominciato la sua attività di produttore nella zona di Calamandrana, espandendosi ben presto nei territori del Barolo più pregiato, ma punta a trovare un terreno fertile e vocato proprio nel cuore della Barbera D’Asti. Siamo intorno al 1990 e Michele vede diverse tenute della zona, tutte certamente interessanti. Tra di esse, però, è una in particolare a rimanergli impressa, sia per la qualità del terroir, che appare particolarmente vocato, sia per la straordinaria bellezza del luogo in cui si trova: si tratta della storica tenuta Aluffi a Castelnuovo Calcea. Racconta Michele Chiarlo: “L’azienda è importante, i pretendenti sono diversi e agguerriti. Faccio una corte spietata al proprietario, che mi ripete di non essere interessato alla vendita” 2. Nell’estate del ’95, però, i vecchi proprietari cambiano idea e, il giorno dopo Ferragosto, mentre gli altri pretendenti sono in vacanza, Michele Chiarlo è pronto a firmare per entrare ufficialmente in possesso della collina de La Court. Tra le belle colline astigiane, La Court è uno spettacolo naturale, con i pendii che salgono ripidi verso la sommità caratterizzata da un ciuffo di cipressi che si ergono verso il cielo. Da lassù, si domina molta parte del territorio circostante: impossibile non innamorarsi a prima vista. 2 Michele Chiarlo; “Michele racconta. Storia di una famiglia del vino in Piemonte”. L’Artistica Editrice, 2010, p.37. 3 Seguiamo ancora, per un attimo, Michele Chiarlo nel suo primo cammino di scoperta del territorio: “Risalgo il sentiero ripido, mi aggrappo ai pali di testa, scovo tra le foglie brunite qualche grappolino tardivo. E prendo con le mani qualche zolla […] ideale per la Barbera. Sul versante meno esposto, quello che guarda verso Nizza, il terreno è attraversato da filoni rossastri […]. Ci sono degli ammanchi tra i filarie qualche vite troppo vecchia è stata estirpata o è morta. Ne devo parlare con Stefano: che cosa reimpiantare? Vedremo. Ma intanto anche a me frullano in testa idee, progetti, sogni”. 3 Si può dire sia qui, in questa passeggiata, che nasce, nella testa di Michele Chiarlo, la genesi dell’idea, innovativa e ambiziosa, del Parco Orme su La Court. Un’idea la cui portata si può pienamente capire solo alla luce della storia della Barbera e del territorio dell’Astesana: ecco perché, fino a questo momento, si è dedicata la parte iniziale di questo scritto ad essa. Il momento nel quale Michele Chiarlo acquista i terreni a Castenuovo Calcea, infatti, è un frangente decisivo nelle moderne vicende che riguardano la Barbera: il vitigno sta finalmente muovendo i suoi passi decisivi sulla strada della qualità e del riconoscimento internazionale, gravato dal peso di secoli nei quali è stato un vino di largo consumo e, purtroppo, spesso contaminato e impoverito da quei produttori che hanno mirato più al facile profitto e al consumo di massa che non all’eccellenza. Ora che le cose sembrano sulla via del cambiamento, per un giovane ma già affermato produttore che decide di puntare sul più tipico dei vini del Piemonte, La Court è una carta che può sbancare il tavolo: “La Court ha un grande potenziale qualitativo e lo scenario di quelle colline è unico: è il palcoscenico ideale per promuovere la nostra Barbera” 4 Certo, per fare un buon vino, ai Chiarlo non mancano le conoscenze e l’esperienza; ma in quel frangente storico, per la Barbera e per la Michele Chiarlo stessa, “promuovere la Barbera” significa ben altro: significa innalzare la qualità in vigna e in cantina, prima di tutto, ma, nello stesso tempo, significa inserire quel vino in una contesto prestigioso, che lo faccia distinguere e contribuisca a regalargli quella decisiva considerazione che le sue peculiarità organolettiche, se ben interpretate, possono senza dubbio meritarsi. Ed ecco, allora, che per raggiungere lo scopo, a La Court si decide di puntare sull’arte e sul territorio stesso, facendone il principale veicolo di una vera e propria rinascita. 3 4 Michele Chiarlo; “Michele racconta. Storia di una famiglia del vino in Piemonte”. L’Artistica Editrice, 2010, p.38 Michele Chiarlo; Michele racconta. Storia di una famiglia del vino in Piemonte. L’Artistica Editrice, 2010, p.38. 4 Il Parco Orme su La Court, come esempio di progetto legato al territorio, come museo tra le vigne, come oasi artistica coniugata con il mondo enologico, non poteva che nascere in quel contesto, impregnato da antiche tradizioni contadine, fieri sentimenti di appartenenza alla propria terra ma, anche, apertura mentale e abitudine a pensare al proprio operato come a qualcosa che travalichi i confini del territorio. L’AVVENTURA DEL PARCO ARTISTICO Partendo da questo concetto, dunque, la realizzazione del Parco segue una precisa filosofia: non cercare degli elementi esterni da inserire nel contesto del vigneto per “abbellirlo” e arricchirlo, ma partire proprio dagli elementi della stessa collina e farli diventare i perni di un nuovo scenario. È così, allora, che il semplice sentiero bianco che si inerpica sui pendii diventa traccia di un cammino di scoperta; gli spiazzi pianeggianti punteggiati dagli alberi si fanno oasi di meditazione; le torrette diventano punti di osservazione e persino i pali di legno che sorreggono i filari si trasformano in opere d’arte riecheggianti quelle antiche e misteriose leggende che, anche loro, hanno contribuito a formare la cultura del territorio. Per rendere tutto questo realtà, Michele Chiarlo può contare sull’estro e l’intelligenza di un artista eccezionale: Lele Luzzati. Genovese, visionario, innamorato della vita e della natura in ogni suo aspetto, Luzzati prende a cuore il progetto del Parco tra le viti e, con il genio che solo i più grandi hanno, coglie l’essenza di ogni piccolo abitante di quel “microcosmo” che è un vigneto e lo trasforma, grazie al potere dell’arte, in qualcosa di eterno e dal significato ulteriore. A coadiuvarlo, fin dal principio, c’è Giancarlo Ferraris, altro grande artista piemontese che con Michele Chiarlo stabilisce ben presto un sodalizio ancora oggi saldo più che mai. È lo stesso Ferraris, per esempio, che disegna tutte le etichette che ornano le bottiglie della Michele Chiarlo. L’etichetta della di Barbera D’Asti Nizza La Court di Michele Chiarlo disegnata da Giancarlo Ferraris. L’opera, nel 2000, ha vinto il primo premio al concorso “L’etichetta più bella dell’anno”, indetto dal Centro Studi Grafici di Milano tra tutti i progettisti e stampatori di etichette a uso industriale. 5 Come si diceva, il tema del Parco Artistico, in un certo senso, è il parco stesso, eletto a simbolo di un vino (la Barbera) e, soprattutto, di un territorio intero. Luzzati decide di dedicare le opere principali ai quattro elementi della natura, Terra, Aria, Acqua e Fuoco, dando subito dimostrazione di quanto si accennava in precedenza: è ciò che è già presente nel Parco a diventare opera d’arte. L’artista, in questo modo, è come se scegliesse, semplicemente, di sottolineare con il suo lavoro ciò che nel contesto della vigna e della sua storia merita maggiore attenzione. È una scelta che comporta, di fondo, un certo spirito d’improvvisazione, perché l’intuizione può sopraggiungere in qualunque momento, e a ispirare un’opera d’arte può essere, di volta in volta, un raggio di luce che colpisce un vecchio muretto, piuttosto che la forma di un tronco o, ancora, un vecchio attrezzo arrugginito. Perché l’arte, all’interno del Parco Orme su La Court, vive in simbiosi con la natura che la circonda, sono le stesse scenografie naturali le “quinte” che fanno da sfondo ai manufatti degli artisti e alle loro intuizioni. Lo si capisce immediatamente arrivando sull’aia della Cascina, prima ancora di cominciare il cammino lungo il sentiero: qui, il maestro Luzzati ha creato dei personaggi fiabeschi, il Re, la Regina, il Menestrello e altri, che si trovano affiancati al grande ippocastano dai cui rami pendono strani frutti coloratissimi dalla forma geometrica. È la fantasia che si aggancia agli elementi della natura, aprendo uno scenario in cui l’arte compenetra la realtà, prendendo vita da essa e completandola di un senso ulteriore. Nello stesso scenario è stata introdotta, in anni più recenti, Ubu, grandioso totem realizzato da Lele Luzzati per lo spettacolo teatrale “Gli Uccelli di Aristofane e altre utopie”, prodotto dal Teatro del Mare sulla Diga Foranea di Genova nel 2000. Ubu, il grandioso totem realizzato da Lele Luzzati, oggi sull’Aia della Cascina La Court La straordinaria opera d’arte, dopo essere stata utilizzata in altri, diversi, ambiti, ha trovato la sua definitiva collocazione sull’aia della Cascina La Court, diventando uno dei principali punti di 6 interesse del Parco. L’opera, quindi, non è nata appositamente per il Parco, ma ha trovato qui una location che sembra essergli stata costruita intorno da sempre. È la conferma dell’equilibrio e della sapienza dell’intero progetto “Orme su La Court”, in grado, prima di tutto, di esaltare i suoi elementi naturali e, quindi, di farsi spazio accogliente per ulteriori arricchimenti che giungano dall’esterno. Un po’ come una famiglia che, solo se fondata su legami interni armoniosi e consolidati, può aprirsi agli altri offrendo loro una “nuova casa” con la quale entrare in armonia. Anche all’inizio del percorso vero e proprio, questo generale equilibrio tra arte e natura è ribadito dalle piccole sculture in legno realizzate dal Centro Del Mutamento, dalle quali pendono sottili fili d’acciaio che, vibrando al passaggio del vento, emettono suoni ogni volta diversi. Lungo il sentiero, quindi, si incontrano i siti dedicati ai quattro elementi naturali, punti focali del progetto originario pensato da Luzzati insieme con Giancarlo Ferraris e Michele Chiarlo. A partire dai piedi della collina si trova il Sito dell’Acqua, dominato da una sirena in terracotta (pensata da Luzzati e realizzata da Marcello Mannuzza) che veglia su un labirinto luccicante al centro del quale svetta una piramide in vetro di Peppino Campanella e dove s’incanala l’acqua, scesa a valle sfruttando la naturale pendenza della collina. Alle spalle del tutto si erge una parete di piastrelle in vetro fuso di Fabio Cavanna e ceramica raku di Dedo Roggero-Fossati Il “Sito dell’Acqua” nel Parco Artistico Orme su La Court 7 Quasi nascosto tra i cipressi a metà collina, si incontra il sito del Fuoco, formato da una girandola, antico simbolo alchemico, nella quale le fiamme di Fabio Cavanna fanno corona al sole di Emanuele Luzzati. Il “Sito del Fuoco” all’interno del Parco Orme su La Court. Le fiamme sono opera del maestro Fabio Cavanne, il sole è di Emanuele Luzzati Più aperto verso il panorama circostante è, invece, il “Sito dell’Aria”, dove coloratissimi uccelli volteggiano in enormi voliere di ferro che, lungi dall’imprigionarli, sembrano regalare loro ulteriore libertà. Il “Sito dell’Aria” aperto sul panorama che si gode dalla collina La Court 8 Da qui non è difficile scorgere le evocative Teste segnapalo, sculture realizzate alla sommità dei grossi legni che sorreggono i filari. Anche in questo caso si tratta della reinterpretazione artistica di un’antica tradizione contadina, che soleva intagliare sui pali a sostegno delle viti delle mistiche presenza che proteggessero il vigneto dalle malattie e vegliassero sulla sua giusta crescita. Le “teste segnapalo”, terribili numi tutelari posti come guerrieri medievali a difesa dell'uva, prezioso, antico tesoro A completare un percorso artistico che nel corso di dieci anni si è costantemente arricchito e trasformato, nell’anno del decimo anniversario del Parco Michele Chiarlo si è regalato un ideale sigillo artistico, chiamando il grande artista piemontese Ugo Nespolo a realizzare la “Porta sul Vigneto”. Anche in questo caso l’incontro con l’artista pop famoso in tutto il mondo, si è rivelato quanto mai fecondo: Nespolo ha visitato il Parco e, fin dal primo contatto, si è innamorato di quelle 9 colline e del progetto ad esse sotteso. Fedele a questa filosofia, e seguendo le linee della sua storia artistica, Nespolo ha realizzato la sua splendida opera, utilizzando materiali come ferro, rame e ceramica e assemblandoli in una installazione semplice e d’impatto, che richiama visivamente i simboli più conosciuti del mondo del vino, accogliendo con il suo abbraccio colorato chiunque si avventuri lungo i secolari sentieri della collina La Court. La “Porta sul Vigneto”, opera di Ugo Nespolo per il decennale del Parco Orme su La Court Dopodiché, siccome oltre alla natura è la mano dell’uomo ciò che ha reso grande il territorio piemontese, Michele Chiarlo ha voluto dedicare uno spazio alla memoria di quelle personalità della sua regione che hanno lasciato un segno indelebile nella storia. È l’archivio Visuale dei Piemontesi Illustri che, fedele allo spirito di work in progress de la Court, si arricchisce di anno in anno di nomi e personalità da celebrare. È particolarmente significativo che, nonostante tutte queste opere d’arte, se si chiede a Michele Chiarlo quale sia la più significativa, la risposta non si fa attendere: “La torretta di mattoni vecchi dell’osservatorio da dove si ha una vista stupenda su vigne, colline, paesi circostanti e dove sono presentate molte informazioni sul vitigno e la sua coltivazione” 5 È la definitiva conferma che tra vigna e opere d’arte non c’è quasi distinzione a La Court: i filari ricchi di uva sono essi stessi figli di quella mente creativa capace di dipingere una tela o scolpire un blocco di marmo. La Torretta da cui si guarda il territorio è come la teca che protegge un meraviglioso quadro, inserito, 5 Da “Un’intervista a… Michele Chiarlo”. www.oicee.it [http://www.oicce.it/sito/ot/ot37/ot37intervista.html] 10 però, in un “museo” sempre vivo, che cambia colori a seconda delle stagioni e che convive senza contraddizioni con le altre creazioni artistiche, intese nel senso più “tradizionale” del termine. L’Osservatorio dal quale si gode di una impareggiabile vista sulle vigne della zona della Barbera “Nizza” Ancora una volta, insomma, viene ribadito che tutto ciò che è stato fatto non è una “mostra” o una installazione artistica che domani, magari, potrà essere esposta da qualche altra parte. Il Parco Orme su La Court è e rimane un vigneto, in cui si produce ogni anno la più importante Barbera della casa vinicola Michele Chiarlo. Questo vigneto, però, è anche un luogo aperto al mondo, in cui l’arte ha fuso i suoi valori con quelli della tradizione del territorio nel segno di un comune sentire. È quasi una conseguenza naturale, quindi, che almeno una volta all’anno il luogo apra fisicamente le sue porte in un grande evento estivo che richiami sulla collina una eccezionale quantità di persone. Perché, alla fine, è proprio qui il senso ultimo del Parco: diventare un luogo di condivisione di una storia, di una tradizione e di un territorio intero. È in questo senso, dunque, che ci si ricollega a quanto detto inizialmente: quella di creare il Parco Artistico è una scelta lungimirante di promozione di un prodotto, la Barbera D’Asti “Nizza”, che coinvolge alle radici il territorio su cui quel prodotto affonda le radici. Come giustamente sottolineò Giancarlo Ferraris nel 2003, all’indomani dell’inaugurazione del Parco Orme su La Court, la filosofia dell’intero concept non è altro che la volontà di “riaccendere lo spirito gioioso, ma ricco di pensiero, che avvolge migliaia di persone in un comune sentimento di comunione quasi dionisiaca con la terra d’origine”. 11