band: faun fables

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band: faun fables
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BAND: THE BESNARD
LAKES
TITLE: THE BESNARD LAKES ARE
THE BLACK HORSE
LABEL: JAGJAGUWAR
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BAND: FRIDA HYVONEN
TITLE: UNTIL DEATH COMES
LABEL: SECRETLY CANADIAN
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BAND: FRIDA HYVONEN
TITLE: UNTIL DEATH COMES
LABEL: SECRETLY CANADIAN
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BAND: FRIDA HYVONEN
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ROCKLINE
http://www.rockline.it/modules.php?name=Reviews&rop=showcontent&id=1823
Grandissima uscita per la JagJaguwar è quella dei The Besnard Lakes, seconda per numero, ma certamente
di una qualità estremamente superiore rispetto all’esordio. Ebbene il combo canadese, di Montreal per la
precisione, non si ferma solo a sbancare tra i gruppi della sua etichetta, ma si propone come una delle uscite
più importanti dell’indie a stelle e strisce. Oltretutto si tratta di un genere tutto loro, oscuro, metafisico,
onirico e assolutamente affascinante. Realtà a loro affini si possono certamente trovare. Non per ultimi gli I
Like Trains in Inghilterra hanno approfondito queste forme di dark-indie, o la fantastica My Brightest
Diamond (Bring Me The Workhorse, 2006), ma nessuno con i colori e le tonalità morbide, oscure e scottanti,
come quelle dei sei ragazzi di Montreal. L’apparato strumentale innanzitutto è imponente. Le linee di basso
sono assolutamente primarie – come ci testimonia la romantica e pink-floydiana And You Lied To Me – ma
non tolgono spazio a strutture ritmiche avvolgenti e dolcemente cadenzate, a flauti, violini, chitarre
malinconiche e a cori che si perdono in lontananza, nelle tenebre. Un insieme poetico e commovente che ha
il merito di trascinare mentalmente l’ascoltatore di brano in brano, attraverso romantici quadri di una
raffinatezza surreale.
La delicatezza ad esempio dell’introduttiva Disaster risulta per lo meno toccante, grazie ad arpeggi pizzicati
di chitarra e distorsioni cristalline. La rilassatezza del disco assume toni da tramonto rosso fuoco, a
degradare verso le tenebre – stilisticamente reso da un inacidimento prezioso delle distorsioni –. Queste
dolci melodie trovano poi autonoma e una sempre più particolare espressione nelle singole tracce. Esempio
assolutamente notevole è For Agent 13. Qui gli acuti e flebili cori maschili si appoggiano sul cantato
femminile che potenzia il repertorio vocale, dotandolo di una maggiore sensibilità emotiva (voce molto simile
a quella dolcissima di Amelie Festa in Planetary Confinement degli Antimatter – 2005). Altro bel capitolo è la
colossale Rides The Rails, offuscata dall’utilizzo di saxofono, violini e corni francesi.
Attraverso dunque delle ballate ancestrali, i Besnard Lakes ci regalano un’oscura cavalcata, densa di
emozioni rarefatte e di una incomparabile eleganza. Are The Dark Horse è un disco dalle mille sfaccettature,
da godersi tutto, dall’inizio all’epilogo.
SENTIRESCOLTARE
http://www.sentireascoltare.com/CriticaMusicale/Recensioni/2007/recensioni/BesnardLakes.htm
Per il secondo album in studio dei The Besnard Lakes si sono dati appuntamento alcuni dei nomi più
importanti della scena musicale di Montreal, come George Donoso dei The Dears, Chris Seligman degli Stars,
Sophie Trudeau dei Silver Mt. Zion e Jonathan Cummins dei Bionic, a testimonianza della vivacità e della
complicità che anima i musicisti di questa meravigliosa città canadese.
Visti i nomi coinvolti nell’operazione le aspettative su The Besnard Lakes Are The Dark Horse erano
decisamente alte ed in parte sono state rispettate, anche se l’album non è certo quel masterpiece che in
molti si attendevano, ad iniziare dai responsabili della Jagjaguwar che hanno messo sotto contratto la band
sul finire dello scorso anno, all’indomani di una bella performance live al Pop Festival di Montreal.
Disco svelto e conciliante (otto pezzi per quarantacinque minuti scarsi di musica), The Besnard Lakes Are
The Dark Horse vive i suoi momenti migliori quando i toni si fanno più intimi e crepuscolari, quando archi e
pianoforte prendono il sopravvento sulle chitarre disegnando traiettorie narco/pop di pregevole fattura (le
bellissime Disaster, For Agent 13 e Ride The Rails) ipotizzando una sorta di collisione tra certi Pink Floyd ed i
padroni di casa Arcade Fire. Meno eccitanti, anche se strutturalmente ed emozionalmente efficaci, episodi
come Because Tonight e Devastation, lunghe suite di matrice psichedelica che strizzano l’occhio agli
Spiritualized ed a certe formazione di area space rock/shoegaze ricalcandone le orme in maniera sin troppo
calligrafica.
Per il momento accontentiamoci, certi che l’evidente talento della band canadese potrebbe in un futuro
prossimo rivelarsi in tutto il suo splendore.
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STORIA DELLA MUSICA
http://www.storiadellamusica.it/The_Besnard_Lakes_-_The_Besnard_Lakes_Are_The_Dark_Horse_(Jagjaguwar,_2007).p0-r376
Dopo un primo disco passato sotto silenzio nel 2003, i Besnard Lakes, capitanati dal cantante e chitarrista
Jace Lasek, fra i più importanti membri della scena indie di Montreal, ci riprovano con le 8 tracce di questo
The Besnard Lakes Are The Dark Horse, un lavoro sicuramente più riuscito e più convinto del precedente.
Già dall'incipit dilatato e straniante di Disaster risulta subito chiaro che ci troviamo in territori decisamente
distanti dai ben più noti concittadini Arcade Fire; una voce che ricorda da vicino i Beach Boys si innesta su
una base di archi e chitarre effettate, prima che l'ingresso della batteria riporti il tutto a un post rock più
convenzionale.
Nella seconda traccia, For Agent 13, l'incontro tra voce femminile e maschile riporta alla mente i Low più
atmosferici, mentre stavolta è un pianoforte a guidare la melodia, in contrasto con le chitarre della
successiva And You Lied To Me. Nonostante i numerosi rimandi ad altri artisti (impossibile non pensare ai
Sunset Rubdown in Because Tonight), nella seconda parte il cd -dopo la confusa e ripetitiva Devastationtrova una proprio equilibrio tra shoegaze e psichedelia, che culmina con Rides The Rails, in perfetto
equilibrio fra atmosfere sognanti e un ritornello in perfetto stile indie rock. Anche negli episodi più
convenzionali (On Bedford Grand su tutte) è comunque ammirevole l'attenzione che il gruppo riserva agli
arrangiamenti, mai banali, che evitano la trappola del già sentito e che mantengono viva l'attenzione per
tutta la durata dei brani, peraltro in media abbastanza lunghi, così come il riff distorto, i cambi di ritmo e
l'assolo inaspettato di And You Lied To Me li fanno distinguere dagli altri numerosi gruppi che si avventurano
in queste sonorità.L'album termina con Cedric's War, che riprende le suggestioni sixties della prima traccia e
le sviluppa ulteriormente, contaminandole con chitarre con abbondante delay e reverb che contribuiscono a
creare un suono epico e piuttosto originale.
In conclusione, sicuramente un buon disco, che forse non giustifica pienamente tutto l'interesse che
bloggers e addetti ai lavori hanno riversato su di esso, ma che mostra un gruppo certamente da tenere
d'occhio
IL POPOLO DEL BLUES
http://www.ilpopolodelblues.com/rev/marzo07/recensione/the-besnard-lakes.html
Difficile dire dove i canadesi trovino tutta questa ispirazione,certo è che dai vicini americani non se le
lasciano certo dire! Le nuove generazioni eccellono per spiritualità e originalità e gli artisti coalizzano fra di
loro senza trabocchi di egomania; la distanza dei luoghi, il rispetto per la musica e la formazione che in essa
si identifica, il numero esiguo di artisti fa il resto presso un pubblico intelligente, abituato a termini di
paragone alti e non per forza mainstream.
The Besnard Lakes sono cresciuti bene in questa situazione così ricca di input.
In questo secondo album i corrieri cosmici canadesi mischiano infatti chitarroni reverberati, orchestrazioni
sfarzose, e orizzonti sonori prog con armonie virginali alla Beach Boys che avrebbero fatto la gioia di artisti
come Spiritualized o Galaxie 500. Non sempre il gruppo di Montreal ci riesce, ma quando centra la mira
come in “For Agent 13“ un tono magico pervade l’ascoltatore se pur disattento. A momenti il gruppo tenta la
strada di un suono oscuro e disturbante ma smpre il tocco è stiloso e di ottima levatura come in “You lied to
me” alimentata da chitarre lancinanti che non vengono però mai in primo piano a prevaricare un senso di
modernissimo wall of sound che intriga e fa girar la testa. Disco di nicchia per vecchi e nuovi seguaci di una
psichedelia cosmica che non ne hanno ancora avuto abbastanza e che continuano a sentirsi incrollabili
headbangers come in “Devastation”.
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DIRADIO
http://www.diradio.it/files/index.cfm?id_rst=6&id_art=28&idr=33841
Fai partire il primo brano e ti sembra di essere tornato al sole "innocente" della California di 40/50 anni fa: i
cori in falsetto non possono non essere che quelli dei fratelli Wilson e degli altri ragazzi da spiaggia.
Poi rifletti che sono quasi tutti passati a miglior vita e ti accorgi anche che quelle voci difettano della magia
di anni che invitavano a sentirsi onnipotenti e del prorompente ottimismo di chi era conscio di iniziare
qualcosa di grandioso. Qui le voci e i suoni sono impastati da un retrogusto amaro ed oscuro; non potrebbe,
gioco forza, essere diversamente.
Canadesi, al secondo disco, coadiuvati da membri di bands un pò agli antipodi quali Dears e Godspeed you
black Emperor/A Silver Mont Zion, hanno creato un poutpourri che è un gioiellino di incastri ben riusciti.
Fondamentalmente un disco di pop "intelligente" condito da molte spezie, con gusto e ricercatezza, senza
mai rinunciare ad atmosfere tenebrose e misteriche; tanto che viene effettivamente naturale il rimando alle
inquietudini
lynchiane di Badalamenti/Cruise.
Uno di quei dischi che, per complessità e cura certosina, hanno sempre affascinato la critica più "sgamata".
Nulla impedisce di credere che, in questo caso, dato l'impatto immediato e felice delle canzoni, possa piacere
anche al pubblico.
INDIEFORBUNNIES
http://www.indieforbunnies.com/2007/05/03/the-besnard-lakes-the-besnard-lakes-are-the-dark-horse/
Siediti. Spegni il telefonino. Sfilati l’orologio dal polso. Allenta la cravatta e se non la porti tanto meglio.
Arrotolati le maniche della camicia. Stenditi per terra con le sole cuffie in testa e chiudi gli occhi. Ed ora
compi il gesto più eversivo che un uomo occidentale del 21° secolo possa fare: dimentica il tempo. Ecco ci
sei, fai andare a tutto volume l’ultimo disco dei canadesi ‘The Besnard Lakes’. Musica epica, ancestrale,
dilatata, rumorosa e melodica. Musica che richiede attenzione e pazienza, che non può essere liquidata in tre
minuti, rifugge l’attimo di gloria, abbraccia il tempo disteso nella sua eternità. Si sprecano i riferimenti che
fanno eco nelle otto canzoni del loro ultimo disco; ci sono gli ‘…And you will know us by the trail of dead’ per
l’attitudine di trarre miracolose melodie da un muro stratificato di chitarre gocciolanti, i ‘Sigur ros’ nelle parti
vocali androgine di alcuni pezzi e per la capacità di proiettare altrove i nostri io distesi, i ‘Pink Floyd’ perchè
pare brutto dimenticarsi di loro, i ‘Beach Boys’ per la voglia non tanto nascosta di fare una sorta di pop
psichedelico soprattutto quando iniziano ad intrecciarsi voci maschili e cristallini ululati femminili. Certo verrà
il dubbio più che legittimo di una scarsa originalità, ma in un mondo dove tutto è interpretazione George
Donoso e soci si fanno portatori di un’esplicazione ad alto livello di passaggi chitarristici e folgorazioni
assorbiti nel corso degli anni. ‘For the agent 13′ sembra l’esplosione musicale di un quadro di Kandinskij,
potente, colorato fino all’eccesso, apparentemente senza forma, un guazzabuglio che inonda lo spazio.
Eppure lo si guarda affascinati, colpiti da una geometria di fondo che restituisce logica nella pazzia fino a
immedesimarsi in quello schizzo blu ed a fluttuare in nuovi territori. Un canto sciamanico, l’antico richiamo
da una montagna trasfuso nelle vibrazioni ultraelettriche delle chitarre di Cummins riverberano nell’aria
stantia di un giorno qualunque e gli danno profondità e spessore. Per fare tutto ciò si sono dati
appuntamenti sotto al monte alcuni tra i migliori artisti canadesi come appunto George Donoso dei Dears,
Chris Seligman degli Stars, Sophieu Trudeau dei Siler Mt. Zion e Jonathan Cummins dei Bionic. Nel
crepuscolo, mentre il sole orla con le sue ultime carezze le cime frastagliate e nerastre delle montagne
intorno, schizzano visioni e ricordi anni Settanta, come in ‘And you lied to me’, dove tutto sembra essersi
arrestato nello spazio psichedilico di quel decennio irripetibile. Devastante il lungo assolo finale di chitarre,
una meraviglia sorprendente, un luccichio di space-rock stordente, un baccanale cui si associano tutti gli altri
strumenti infuocando una canzone straripante. Tornare indietro nel tempo: ‘Ride the rails’ e Brian Wilson
sarebbe contento. Arrangiamenti d’archi alla Arcade Fire e il dado è tratto. Delizie pop-caramellate in
chiusura, perchè marcette e zucchero filato sono sempre i benvenuti se irrobustiti da quel sapore corposo
che gli danno i Besnard Lakes. Il tempo passa, ormai ti sei addormenteto sognando campi verdi e primavere,
il disco terminato attende muto nello stereo, non è un capolavoro ma ti ha fatto stare bene. Cosa vuoi di più
dalla vita? Un lucano? Ma fammi il piacere…
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ONDAROCK
http://www.ondarock.it/recensioni/2007_besnardlakes.htm
Secondo disco per i canadesi Besnard Lakes, che fa seguito al debutto “Volume 1” del 2003 e al
sorprendente gioiello di sapore shoegaze, rappresentato dalle due lunghe tracce pubblicate lo scorso anno
dalla Static Caravan sotto il titolo “Would Anybody Come To Visit Me”. La band capitanata dal chitarrista Jace
Lasek si presenta a questa attesa prova affiancata da illustri collaboratori della sempre vivida scena
indipendente di Montreal, tra i quali spiccano Sophie Trudeau dei Silver Mt. Zion e Chris Seligman degli
Stars. Non si tratta però di un album in qualche modo accostabile alle esperienze post-rock, né a quelle altpop proprie del retroterra artistico dei musicisti che a quest’opera hanno partecipato.
Gli otto brani compresi in “The Besnard Lakes Are The Dark Horse” spaziano, infatti, dalle tentazioni di poprock corale di “Disaster” alle derive psichedeliche, anche piuttosto intricate, di “Devastation”, che provano a
compendiare reminiscenze della west-coast anni 70 e trame chitarrisitiche di più recente ispirazione
britannica. Il tutto viene centrifugato con l’aggiunta di melodie ben congegnate e di pronto impatto, per
quanto a volte un po’ prevedibili nei loro caratteri epici. L’impressione è che la tendenza a una certa
magniloquenza espressiva disperda quanto di buono vi è nella scrittura della maggior parte dei brani; non a
caso, i passaggi più convincenti risultano quelli più lenti e relativamente scarni, ove il rallentamento dei ritmi
e il diradarsi delle citazioni dei Beach Boys lascia spazio agli accenni slow-core della prima parte di “And You
Lied To Me” e alle eteree melodie dell’ottima “For Agent 13”.
Nel suo complesso, “The Besnard Lakes Are The Dark Horse” è un album che potrà senza dubbio incontrare i
favori di chi apprezza Arcade Fire e My Morning Jacket, ma che non risponde appieno alle aspettative
suscitate dalla band di Jace Lasek e dal gran numero di musicisti qui impegnati.
DEBASER
http://www.debaser.it/recensionidb/ID_17421/The_Besnard_Lakes_The_Besnard_Lakes_Are_The_Dark_Hor
se.htm
Sicuramente devo essermi perso qualcosa per strada, ma un disco così non l'ascoltavo da tempo. Si può nel
2007 suonare come una band di fine '60 e mantenere comunque un piglio contemporaneo? A giudicare da
ciò che sta passando in questo momento per le mie sinapsi si può, eccome!
L'anima nera che danza in questo disco ha un suono che è figlio di tutti i suoni del rock "altro" di questi anni,
miscelati in egual misura, tutti insieme contemporaneamente, che colano come magma per forgiare un
monolite pronto per essere adorato. Analizziamo il suono: placido, scuro, psichedelico, lisergico, west coast,
pop à la Beach Boys, progressivo, space-rock, post-rock; in una parola: elegante. E un po' come quando due
persone guardano le nuvole, che per ogni sbuffo di vento ognuno ci vede cose diverse, ma si resta d'accordo
che siano belle nuvole. Ogni brano è inteso come una piccola esperienza compiuta: tutti di lunga durata
(niente sotto i 4 minuti), hanno il tempo di crescere ed avviluppare l'ascoltatore in un fumo oppiaceo nel
quale quando meno te l'aspetti, ma con una naturalezza sinonimo di talento, parte un pezzo orchestrale o
c'è un guizzo che gli permette di rifuggire dall'etichetta di genere che eri pronto ad appiccicargli.
Difficile resistere al track by track (anche perché i brani sono 8), ma non posso non citare i "Beach Boys
psichedelici e post-rock con orchestra" dell'apripista "Disaster". Un biglietto da visita che mette in chiaro fin
da subito il piglio che prenderà il disco di lì a poco, con perle del calibro di "Devastation" o "Because
Tonight" . Indubbiamente la palma per il brano migliore va alla ballata lisergica "And You Lied To Me", che
non oso immaginare cosa sarebbe stata se cantata dal singer degli Interpol. Onestà intellettuale mi impone
di dire che non è tutto oro colato: il peccato veniale è "On Bedford And Grand", decisamente prolissa e priva
di spunti, mentre "For Agent 13" ha una musica stupenda, sporcata da liriche che non si impastano troppo
bene (anche se c'è un'apertura verso metà brano che è stupenda, pare di sentire i migliori momenti dei
Sigur Ros di Agaetis Byrjun). Altra annotazione va fatta al modo di costruire il testo dei brani: spesso viene
espresso un concetto in apertura e poi reiterato per tutto il resto del brano a fare un po' di tappezzeria sul
tappeto sonoro, ma ritengo che in questo disco le parole siano molto meno importanti della musica, che è
dannatamente bella. Se ve lo state chiedendo, sì, avete ragione, la band è di Montreal, fa capo alla coppia
(d'arte e di vita) Jace Lasek e Olga Goreas, e sul disco sono presenti i "soliti" ospiti dalle varie band quali
Stars, Godspeed You! Black Emperor e The Dears.
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ARLEQUINS
http://www.arlequins.it/pagine/articoli/alfa/corpo.asp?ch=3552
Come spesso capita, la musica che ci affascina di più è proprio quella che ad un primo ascolto può sembrarci
un tantino stravagante ed insolita, in effetti queste sono caratteristiche che non mancano certo ai The
Besnard Lakes Are The Dark Horse... Giunto alla seconda prova discografica a circa tre anni di distanza
dall'esordio "Volume I", questo curioso gruppo guidato dai coniugi Olga Goreas e Jace Lasek sembra voler
rielaborare il classico tema dell'eterna sofferenza umana, cercata disgraziatamente in un susseguirsi di
guerre e violenze senza senso, attraverso la riscoperta dell'epica polverosa e romantica della vecchia
frontiera americana, non senza allusioni più o meno velate di recente attualità. Detto questo, i primi minuti
di questo disco mi hanno fatto venire qualche piccolo dubbio, tanto da farmi credere di aver inserito per
sbaglio nel lettore cd un disco dei Beach Boys: una volta accertata le presenza dei Besnard Lakes
nell'impianto stereo mi sono decisamente reso conto di quanto Brian Wilson sia un'influenza importante per
la poetica musicale di questo gruppo canadese... Certi vocalizzi sembrano infatti pescati direttamente dalla
discografia dei Beach Boys ed inseriti in un contesto musicale acido e decadente, guidato da un attitudine
contemporanea "post" tipicamente sonnambula ma allo stesso tempo gustosamente retrò e psichedelica. Gli
otto ambiziosi brani di "The Besnard Lakes" sembrano voler ricreare una bizzarra sintesi fra i Beach Boys più
evoluti (a partire da "Pet Sounds"), immersioni acide alla Quicksilver Messenger (e più recentemente
Spiritualized), esaltazioni mistiche di scuola Yes (nel crescendo vocale di "For Agent 13" alla Jon Anderson) e
la sofisticata tristezza meditabonda contemporanea di gente come GYBE, The Black Heart Procession, Sigur
Ros; il decadentismo crepuscolare si affianca così ad un romanticismo orchestrale fortemente melodico ed
accattivante, impreziosito in particolare da una strumentazione musicale alquanto ricca, sezione d'archi
compresa, ed un suggestivo utilizzo delle tastiere chiamate a ricoprire soprattutto un sottile ruolo di ricamo
visionario e spaziale. Disco controverso, affascinante ed intenso, "The Besnard Lakes Are The Dark Horses" è
un'opera che potrebbe far discutere a lungo...
LOSING TODAY
http://www.losingtoday.com/it/reviews.php?review_id=3784
Ancora Montreal. Questa volta per celebrare nel secondo album dei Besnard Lakes l'incontro tra indie-pop,
shoegaze e psichedelia west-coast. Bastano otto canzoni a Jace Lasek e compagnia danzante per mettere in
chiaro che gli Arcade Fire non sono soli sulla mappa della nuova musica indipendente canadese. “Disaster” in
apertura di disco è una ballata pop tra Beach Boys e Low. Su “For Agent 13” basta a Lasek la sola Olga
Goreas (voce e basso) per tessere cinque minuti di calda psichedelia tra Spiritualized e Mojave3 prima
maniera. Un gruppo ben più ampio (Olga, Jace, il batterista Kevin Laing, la pianista Nicole Lizee, il chitarrista
Steve Raegele e l'altro chitarrista Jonathan Cummings) mette in risalto la vena classic rock dei Besnard
Lakes nel lungo delirio alla Neil Young di “And You Lied To Me”. Un'altra mezza dozzina di musicisti, tra i
quali George Donoso III dei Dears, partecipa alla registrazione di “Devastation”, una carovana epica e corale
che ben rappresenta la vivacità e la fratellanza della scena della città canadese. “Because Tonight” è una
ballata soul che esplode in un magma postrock sotto il violino di Heather Schnarr, cui s'aggiunge nella
sueguente “Rides The Rails” quello altrettanto visionario di Sophie Trudeau della famiglia Silver Mt. Zion. File
under: classic indie rock.
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MESCALINA
http://www.mescalina.it/musica/recensioni/recensioni-musica.php?id=1927
In un panorama così sconfinato come si presenta la scena musicale internazionale, è un fatto normalissimo
che alcuni gruppi impieghino un pò prima che il loro nome incomincia a girare con interesse tra gli addetti al
settore. Un destino che accomuna moltissime band e da cui anche i canadesi The Besnard Lake sembrano
non essere immuni. D’altronde, già altri gruppi provenienti dalla stessa area geografica come i Broken Social
Scene o le The Organ hanno dovuto faticare prima di riuscire a farsi conoscere da quest’altra parte
dell’oceano.
Infatti, dopo un primo album (“Volume 1” del 2003) passato quasi completamente inosservato, i The
Besnard Lakes tentano di farsi conoscere al resto del mondo con una nuova produzione, “The Besnard Lakes
are the dark horse”, pubblicato dall’etichetta americana Jagjaguwar.
Capitanati dal cantante e chitarrista Jace Lasek, il sestetto di Montreal propone nell’arco di 45 minuti otto
“perle emozionali” di sano pop orchestrale velato nei contorni da forti tratti di psichedelia. Una miscela
melodica con richiami sonori memori di band come Mercury Rev, Low e Beach Boys, rimandi che il gruppo
canadese dosa con diletto e naturalezza.
Ottimamente arrangiate, le singole tracce cullano l’ascoltatore in modo elegante attraverso arpeggi di
chitarra, pennellate di piano o lievi tocchi di archi e fiati (violini, horns, French horn, flauti, sax e sax soprano
per citarne alcuni). Le magie delle note inseguono ritmiche ipnotiche, tormentate e mosse da sonorità
insolite ricreando le atmosfere alienanti e velate di malinconia di brani come l’iniziale “Disaster”. L’intenso
intreccio vocale tra Lasek e la Goreas rappresenta il punto di forza di alcuni brani come “For agent 13”,
“Cedric’s war” e “Because tonight”, in quest’ultima il cantato rasenta molto il lo-fi con una Goreas quasi elfica
nel modo di cantare. In “Devastation” è la voce della Goreas a tenere la scena supportata da un sublime
quintetto vocale a farle da coretto di cui la stessa cantante fa parte.
Tra le pieghe dei brani c’è un modo molto insolito d’intendere la forma canzone, mettendoci di fronte ad un
songwriting maturo senza che il termine indichi un limite al genere che non si possa prevaricare.
Nonostante mostri eccellenti qualità nella forma e nei contenuti, l’album rischia di essere sottovalutato
posticipando ancora a molti l’esistenza della piccola orchestra canadese.