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 www.aracne-­‐rivista.it # 1 – 2011 La camera ibrida
Spazi di luce dei ritratti postumi scoperte una serie di immagini parlanti di defunti appese lungo le pareti che chiedono di abbandonare la casa, nella protagonista cresce il Sara Ugolini desiderio di portare alla luce queste fotografie sottraendole all’oscurità del luogo in cui sono Nel 2003 esce in Francia un romanzo scritto da conservate. Nella scena finale la donna raggiunge Nathalie Rheims dal titolo Lumière invisibile à mes la stazione con un baule contenente i ritratti. yeux. Nel risvolto di copertina l’opera viene All’interno del racconto, provenienti dalla descritta come un “thriller metafisico”, costruito collezione personale della scrittrice e dell’editore attraverso immagini fotografiche post-­‐mortem, Léo Scheer, sono inseriti nove ritratti, ciascuno derniers portraits. Il racconto – narrato in prima associato ad un testo, più una sezione fotografica persona – si apre con la notizia ricevuta dalla finale. Si tratta di immagini in cui gli individui sono protagonista di una casa lasciata in eredità da colti nel momento successivo al decesso e uno sconosciuto. Segue il viaggio verso la precedente al seppellimento, talvolta ricomposti misteriosa residenza, l’incontro con figure che in modo da sembrare addormentati o ancora in svaniscono come fantasmi e con il proprietario di vita, secondo una consuetudine ben radicata casa che già morto e disteso su un letto chiede nell’Ottocento e diffusa anche all’inizio del alla visitatrice attraverso una lettera di custodire Novecento. gli oggetti contenuti all’interno. Una volta Sara Ugolini Spazi di luce postumi
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Su questo romanzo esiste un bel testo critico di fotografia, è il legame con la dimensione della Michael Worton, che nel ripercorrere la memoria e del ricordo che viene sottolineato, narrazione della Rheims mette in luce alcuni tenendo conto, in particolare, delle riflessioni di aspetti che da un lato si collegano alla poetica Roland Barthes. della scrittrice e dall’altro toccano la fotografia e Una delle questioni che il romanzo solleva nello specifico le immagini dei cadaveri. riguarda gli spazi e la visibilità di queste immagini. Dell’autrice Worton fa presente la costanza Già al suo interno emerge con forza il contrasto nell’interrogarsi sui limiti tra la realtà fisica e tra il buio e la luce, tra l’intento del proprietario di l’ultraterreno, sulla possibilità di un dialogo tra i tenere nascoste le immagini e quello di mostrarle vivi e i morti, una ricerca che in ultimo sembra che muove la protagonista. Dal momento che a corrispondere ad un impulso più intimo e pochi mesi dall’uscita di Lumière invisibile à mes profondo finalizzato ad «accettare e trascendere yeux un’esposizione di queste immagini è stata la perdita.»1 Per quanto riguarda invece la organizzata a Parigi, presso la galleria dell’editore Léo Scheer, si potrebbe pensare che il romanzo abbia raggiunto il suo epilogo ideale. 1
M. Worton, Images of the dead: an exploration of the hidden world of Nathalie Rheims's Lumiere invisible à mes yeux, in «Nottingham French Studies» (numero speciale Focalizing the Body in Contemporary Women's Writing and Film-­‐making in France), 45, 3, 2006, p. 120. Se non diversamente specificato, le traduzioni d’ora in avanti si intendono a mia cura. Si tenga conto che meno di un anno prima, nel 2002, il museo d’Orsay, vale a dire uno spazio 2
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prossimità tra il materiale visivo incluso nel romanzo della Rheims e quello esposto nello spazio museale e riprodotto nel catalogo. Al di là dell’evidente scarto quantitativo tra i due apparati e dello scrupolo dei conservatori del d’Orsay di presentare i materiali debitamente contestualizzati dal punto di vista della cronologia e della provenienza, accomuna le due raccolte la varietà nella scelta dei soggetti e nelle inquadrature, la presenza ad esempio di figure giacenti e con gli occhi chiusi assieme a quelle di cadaveri seduti e messi in posa a simulare la vita, istituzionale tutt’altro che defilato, aveva come non mancano, in entrambi i casi, fotografie inaugurato la mostra Le Dernier Portrait, con un di scomparsi celebri accanto a quelle di repertorio ricchissimo di dipinti, disegni, calchi e personaggi anonimi2. Rimane che l’inclusione di sculture e in cui una sezione era espressamente dedicata alle immagini fotografiche realizzate 2
I personaggi noti inclusi nel romanzo sono in prevalenza letterati: Paul Verlaine, Victor Hugo, Pierre Louÿs, Paul Valéry, Marcel Proust; ma compare anche l’attrice Sarah Bernhardt, lo scultore August Rodin e l’imperatore Guglielmo II. dopo il decesso. Per quanto si tratti di iniziative di carattere diverso, non si può ignorare la 3
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ritratti post-­‐mortem in un romanzo è forse più Francesco Faeta si è occupato a lungo di insolita della loro presenza all’interno di un iconografia funebre, orientando in particolare la museo. Ampie raccolte di questo tipo sono infatti sua ricerca, per quanto riguarda le fotografie presenti in diversi archivi e istituzioni soprattutto post-­‐mortem, sul territorio calabrese dei primi statunitensi come parte di un discorso sulla storia decenni del Novecento. e la cultura nazionale. E sempre attiva è la rete di In quest’ambito di studi massima attenzione eventi di viene rivolta all’aspetto, la collocazione e il ruolo approfondimento collegata a queste realtà. Si è simbolico di queste rappresentazioni per la conclusa da poco, ad esempio, presso la Albin O. comunità e soprattutto per le persone vicine al Kuhn Gallery di Baltimora, la mostra Sleeping defunto, dunque alle fotografie come parte Beauties: Memorial Photographs from the Burns attiva nel processo del cordoglio. Archive, incentrata sulle immagini post-­‐mortem Anche grazie a queste ricerche di settore, delle della collezione di Stanley Burns, una delle più immagini post-­‐mortem cogliamo quindi la note e numericamente consistenti, la stessa ad funzione ma continuiamo ad interrogarci di aver fornito i materiali fotografici in occasione di fronte ad alcune pratiche correlate, in particolare Le Dernier Portrait. ai tentativi, frequenti, di manipolazione del Ad interessarsi, e quindi a dare visibilità ai ritratti cadavere, di simulazione di un aspetto vitale ultimi, ci sono poi tutti gli studi connessi al tramite il trucco, la sistemazione verticale del versante visuale dell’antropologia. In Italia morto e l’apertura degli occhi. espositivi e di occasioni 4
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All’interno di un discorso più ampio sull’affinità di rilevare la possibilità di un mutamento nella statuto dell’immagine e del cadavere, Maurice lettura del testo visivo, su quel che succede al Blanchot osservava che l’immagine del morto lettore della Rheims e al visitatore di Le Dernier amplifica l’impersonalità del cadavere. Noi Portrait – entrambi cronologicamente ed dobbiamo pensare che le fotografie post-­‐
emotivamente lontani dai defunti ritratti – è mortem, oltre che necessarie in caso di mancanza difficile pronunciarsi. di immagini del defunto realizzate in vita, non L’utilizzo originario di queste immagini e la fossero né particolarmente stranianti né trasformazione radicale del contesto di fruizione disturbanti agli occhi dei fruitori coevi. In fondo sono tra le poche informazioni che abbiamo a l’impatto non doveva essere molto diverso da riguardo. Una sorta di diario collegato alla quello tratteggiato da Philippe Ariès in preparazione e alla permanenza di Le Dernier riferimento funebri Portrait riporta alcune delle testimonianze cinquecentesche: «le smorfie che per noi uomini lasciate sui registri a disposizione dei visitatori.4 d’oggi, sfigurano il viso del defunto, le smorfie in C’è chi prevedibilmente si sente urtato, quasi cui in questi casi leggiamo la morte, non spaventato, dal tipo di immagini osservate, e chi, impressionavano nell’intreccio di aspettative, stati d’animo e alle i maschere contemporanei che ci vedevano solo realtà vivente.»3 Ma a parte Mondadori, Milano 1980, pp.142-­‐143. E. Héran, Le Le Dernier Portrait. Il documento è consultabile all’indirizzo http://www.mediologie.org/collection/15_visage/heran.pdf 4
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P. Ariès, L’uomo e la morte dal Medioevo a oggi, tr. it. 5
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relazioni affettive che ciascuna fotografia presuppone ed evoca, individua il vero significato dell’iniziativa: «è sublime! L’ultima immagine di un essere amato.» Compare sullo stesso documento una nota della curatrice Emmanuelle Héran: «Ho voluto soltanto rendere visibili immagini che erano nascoste, ricordare che questo si è fatto e si fa ancora, non bisogna giudicare.» Apparentemente la posizione della Héran è del tutto in linea con quella della scrittrice ma la ricerca di visibilità, nel caso della prima si muove nell’ottica della testimonianza e Nella parte centrale del romanzo le fotografie della valorizzazione di materiali visivi sommersi, sono mentre la Rheims, lungi dal considerare le corrisponde alla presunta dichiarazione di ciascun fotografie come oggetti inerti e in una effigiato. Il viso di tre quarti di una donna anziana prospettiva densa di misticismo, si schiera dalla con una cuffia bianca e le guance innaturalmente parte dei morti catturati nelle immagini rosee è abbinato ad un testo sintetico in cui facendosene portavoce. Torniamo allora a l’invecchiamento e il sopraggiungere della morte Lumière invisibile à mes yeux. vengono descritti come processi altrettanto 6
affiancate ad un commento che www.aracne-­‐rivista.it # 1 – 2011 La camera ibrida
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mondo sconosciuto […]»;5 accanto ad un ragazzino adagiato su un letto e fotografato di profilo si legge: «Gli occhi aperti, non vedo più chi mi circonda. Non mi accorgo più di quelli a fianco. Questo significa partire, andarsene. […] Dove sono ora, in quella zona d’ombra o di luce, trovare il cammino che conduce ai miei simili, a coloro il cui viaggio è ancora all’inizio, agli altri, a coloro che non sono più ciò che sono stato ma ciò che rapidi. Un’altra donna dai capelli scuri e le divento, una traccia sensibile, un corpo che palpebre semiabbassate, colta quasi in primo muore, un’anima che rinasce.»6 piano, afferma perentoria: «Il vostro sguardo si è posato su di me, sono già così lontana, altrove […] Non domandatemi perché sparisco, sono l’unica a saperlo. Porto il mio segreto in un 5
N. Rheims, Lumière invisibile à mes yeux, Léo Scheer, Paris 2003, p. 38. 6
Ivi, p. 42. 7
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Nel far parlare i soggetti delle sue fotografie, nel perlomeno agli osservatori di oggi appaiono proiettare su di essi i propri interrogativi, la visibilmente morti, cioè in cui l’aspetto esteriore Rheims ci comunica esigenze condivisibili dai non agevola sicuramente la comunicazione. riguardanti: l’impulso a conoscere la storia altrui7, Sta di fatto che i personaggi ritratti si esprimono ad indagare il trapasso e il mistero della morte8 e e il desiderio di ricongiungersi ai propri cari è ancora riguarda l’affermazione che si presenta con più frequenza: strettamente l’immagine, quello ad attribuire una «Vorrei che questa icona, che è quella del mio vitalità e un’anima alla fotografia, al punto di passaggio, riposi vicino ai miei»;9 «Se restituite il immaginare la possibilità di un dialogo con essa. E mio viso ai miei discendenti saprò chi siete.»10 questo bisogno animistico risulta ancora più In questo bisogno di vicinanza e dialogo che la paradossale e allo stesso tempo radicato dal Rheims attribuisce ai defunti si riconosce, momento che si ha a che fare con soggetti che spostata su questi ultimi, la «residua speranza di prima, e per quanto relazione»11 che viene coltivata dai sopravvissuti 7
Della caratteristica del ritratto di suscitare nell’osservatore l’interesse per la vicenda umana del modello e di altri aspetti collegati alla sua fruizione e messa in forma si è occupato in particolare Stefano Ferrari nel libro La psicologia del ritratto nell'arte e nella letteratura, Laterza, Roma-­‐Bari 1998. 8
Scrive Francesco Faeta: “La fotografia del morto […] racconta la sua storia oltremondana; è il morto nella sua nuova residenza” (cfr. Le figure inquiete: tre saggi sull'immaginario folkloristico, Franco Angeli, Milano 1989, p. 72). Sara Ugolini Spazi di luce postumi
attraverso le fotografie post-­‐mortem. Nel suo commento a Lumière invisibile à mes yeux Worton osserva che «il racconto, in quanto cornice 9
Lumière invisibile à mes yeux, cit., p. 44. Ivi, p. 38. 11
Faeta, Le figure inquiete, cit., p. 73. 10
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narrativa, ci impedisce di considerare [queste Da tutt’altro punto di vista i ritratti della Rheims, fotografie] semplicemente come opere d’arte dal anche grazie alla compresenza dell’elemento momento che inscena per alcune di esse – e iconografico e di quello narrativo, rimandano perciò implicitamente per tutte – l’espressione piuttosto alle illustrazioni delle biografie dei scritta della perdita e della nostalgia.»12 È vero grandi uomini, le raccolte cinquecentesche di infatti che la presenza dell’appello rivolto ai vivi stampe di ritratti. Queste incisioni, solitamente spinge a concentrare l’attenzione sui ritrattati e accompagnate dal resoconto dello storiografo, non sulle fotografie in sé, a confrontarsi con la recano talvolta alla base un breve testo scritto in loro soggettività, vitalità e con il contenuto della prima persona, come se fossero direttamente i loro testimonianza. Il mezzo fotografico non si personaggi raffigurati a parlare.13 In maniera impone in questo caso per le sue potenzialità analoga a questi uomini illustri che gettano uno estetiche bensì per la peculiare capacità di sguardo assecondare la credenza, riconosciuta sia in ricapitolandone le tappe salienti e le opere ambito antropologico che letterario, che si possa prodotte, anche i soggetti delle fotografie della trattenere qualcosa di sostanziale della persona Rheims, sottratti all’anonimato e inclusi in un immortalata. libro, sono chiamati ad esprimersi sulla postumo 13
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sulla propria vita Su questo tema si segnala, tra gli altri, T. Casini, Ritratti parlanti. Collezionismo e biografie illustrate nei secoli XVI e XVII; Edifir, Firenze 2004. Worton, Images of the dead, cit., p. 131. 9
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circostanza, in questo caso fatale, che ne ha generazione non esita ad includere nei suoi permesso ritratti i dettagli più crudi del decesso e a volte l’inserimento nella galleria del romanzo. dell’intervento settorio. Verificare la persistenza di qualcosa che potrebbe chiamarsi personalità o anima nel momento in cui il corpo più che mai tende verso lo statuto di oggetto sembra essere l’obiettivo della sua ricerca fotografica. Nel 2004 un fotoreporter ravennate, Giampiero Corelli, ha invece chiesto ad un gruppo di donne di partecipare al suo progetto facendosi Non si dimentichi poi che a realizzare fotografie fotografare dentro una bara pensandosi morte.14 post-­‐mortem erano nella maggior parte dei casi Gli esiti sono vari: se frequente è l’adesione da titolari di attività commerciali che operavano su parte dei soggetti ad un modello tradizionale e commissione dei superstiti, mentre esistono oggi devoto di esposizione pubblica del defunto, non fotografi che con un intento dichiaratamente mancano soluzioni più originali. estetico hanno scelto tra i soggetti privilegiati i cadaveri. Una è l’americana Diana Michener, che 14
G. Corelli, muoio. . . ma non muoio, Edizioni Moderna-­‐Ra, Ravenna 2004. non diversamente dai fotografi della sua 10
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A mettere in scena la propria morte Numerosi i rosari tenuti tra le dita ma anche immaginandosi allo stato già cadaverico si sono oggetti personali che mirano a sottolineare dedicati spesso i pittori e anche i fotografi. Tra gli particolari aspetti del carattere come nella altri Arnulf Rainer, Christian Boltanski, Cindy grande ritrattistica; c’è una ragazza che si Sherman, Dieter Appelt... Claude Cahun, in una presenta avvolta in un sudario come i cristiani dei foto del 1939 si confronta con le convenzioni primi secoli ma anche chi si sveste e adotta pose della fotografia funebre del suo tempo seducenti, che rinverdiscono il topos letterario evidenziando le mani e il viso, ma un cespuglio di del “bel cadavere”. piante spontanee e un tessuto maculato 11
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rimpiazzano i più tradizionali ornamenti e con le sue presenze spettrali, si avvicina a composizioni floreali; mentre Arno Minkkinen, qualcosa di simile ad un’esperienza di morte. fotografando il suo corpo nudo di schiena, a «[…] con la sua dipartita era la mia che prendeva stento contenuto in uno spazio angusto simile ad forma. Ero inghiottita, seppellita dalla sua una bara, anziché evocare la morte ci trasmette assenza»15 scrive la Rheims subito dopo la visione un senso di vitalità e prestanza fisica. del proprietario di casa immobile sul letto.16 Da questo incontro ravvicinato con la morte la protagonista del racconto si ritrae velocemente riportando alla luce non solo i ritratti ma anche se stessa. E attraverso la contemplazione di queste immagini postume finalmente svelate anche l’elaborazione della In un suo saggio Michel de M’Uzan ricordava che 15
Lumière invisibile à mes yeux, cit., p. 20. Il torpore e gli svenimenti improvvisi che colgono la protagonista lungo tutta la narrazione, insieme ad affermazioni analoghe a quella citata che sono disseminate nel testo, contribuiscono a rendere questo senso di prossimità alla morte. il pensiero «se fossi morto» funge sempre da 16
rassicurazione narcisistica. Anche la protagonista di Lumière invisibile à mes yeux, dal momento in cui varca la soglia della casa, entrando in contatto 12
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propria futura scomparsa assume un andamento Sara Ugolini è dottore di ricerca in Storia dell’Arte e meno convulso. collabora con il Dipartimento di Arti Visive dell’Università di Bologna. Oggetto dei suoi studi è il rapporto tra arte e psicologia, la rappresentazione autoritrattistica e il campo dell’outsider art. Immagini Pag. 3 Copertina del catalogo della mostra Le Dernier Portrait, Réunion des musées nationaux, Paris 2002 Pag. 6 Fotografia tratta da Lumière invisible à mes yeux Pag. 7 Fotografia tratta da Lumière invisible à mes yeux Pag. 10 Diana Michener, Corpus XXII, 1993-­‐1994 Pag. 11 Giampiero Corelli, ritratto, 2004 (tratto da: G. Corelli muoio. . . ma non muoio Edizioni Moderna-­‐Ra, Ravenna 2004) Pag. 11 Claude Cahun, autoritratto, 1939 Pag. 12 Arno Rafael Minkkinen, Negative Drying Cabinet, Andover, Massachusetts, 1978 Sara Ugolini Spazi di luce postumi
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