Senza voler essere imprecisi, queste righe si

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Senza voler essere imprecisi, queste righe si
ALG2
Senza voler essere imprecisi, queste righe si potrebbero definire EED, ennesimo esperimento divulgativo.
L’estensore, dopo un numero imprecisato di teoremi convertiti in caffè, ha il dovere di precisare che:
• Il documento che avete sottomano è soggetto a strane caratteristiche di densità: prima di tutto, è
nato come reazione a evidenti problemi di sintesi, e si trova strutturalmente dotato della capacità di
glissare su ciò che è importante e di omettere sovente i passi chiave, privilegiando la portabilità che lo
rende (ha reso) consultabile. In secondo luogo, prese ad arbitrio due cazzate scritte, tra esse ne giace
una terza, e i segmenti che la uniscono alle suddette due stanno in un rapporto che è un multiplo
irrazionale del numero di Liouville1
• Non vi è nè deve esserci nessuna ragione di affibiare a me (che non ho nome, che non ho patria) meriti
o demeriti implicati da questo oggetto. Se esso vi piace, fatelo anche voi. Se non vi piace, affiggetevi
a misurar lo cerchio su libri più fededegni2 . E’ altresì da notare come, procedendo nella lettura,
accetterete implicitamente ogni conseguenza che l’uso di queste pagine può provocare: sbalzi d’umore,
perdita di certezze, tendenze anarcoidi, turbe algebriche/analitiche/geometriche o grammaticali.
• Refusi ed omissioni sono, a parte casi eclatanti, dovuti alla mia intrinseca malvagità.
1 http://en.wikipedia.org/wiki/Liouville_number#Liouville_constant
2 Non fare nomi è pura precauzione, e per di più rende questo form trasportabile per un’altra dispensa.
• Se a ∈ R , la classe [a] ∈ R / I è identificata da a ̺ a′ ,
cioè a − a′ ̺ 0 per una certa ̺ . Ciò significa che a −
a′ = i ∈ I , ovvero a′ = a + i . Introduciamo allora la
scrittura
ALGEBRA 2
Napolitani
Je n’ai pas le temps. . .
(Évariste Galois)
a + I := {a + i | i ∈ I }
DEFINIZIONE (Anello). Un anello è una terna ( R, +, ·)
(classe laterale di a modulo I )
• Data la proprietà assorbente dell’ideale sugli elementi dell’anello, vi è dell’intuitivo nella definizione
delle operazioni di somma e prodotto su R / I :
dove R è un insieme e +, · sono due operazioni binarie
definite su di esso tali che
• (R, +) è un gruppo abeliano (quindi ha notazione
additiva, l’operazione è detta somma)
( a + I ) + ( b + I ) = ( a + b) + I
(a + I )(b + I ) = ab + I
• (R, ·) è un semigruppo (l’operazione è detta prodotto)
• Il prodotto · distribuisce sulla somma +.
TEOREMA (Fondamentale di Omomorfismo). Siano R, R ′
anelli, φ ∈ Hom(R, R ′ ), K = ker φ. Allora K E R e l’applicazione φ∗ : R /K → R ′ che manda a + K in φ(a) è iniettiva.
Si ha φ∗ ◦ π = φ e tale φ∗ è unica. In altre parole esiste un
solo modo di rendere commutativo il diagramma
φ
R
im φ (⊆ R ′ )
Spesso si commette l’abuso di indicare con la sola R
l’intero anello.
DEFINIZIONE (Sottoanello). Diremo sottoanello un sot-
toinsieme di un anello R che ne conserva la struttura.
Un semplice criterio per sottoanelli è il seguente: un sottoanello S di un dato R contiene lo 0, e per ogni a, b ∈ S
anche a − b ∈ S .
φ⋆
π
R /ker φ
DEFINIZIONE (Ideale). Sia R un anello. Un ideale di R è
eventualmente restringendo R ′ a im φ. Si ha insomma
l’isomorfismo R /ker φ ≃ im φ.
un sottoanello moltiplicativamente assorbente.
DEFINIZIONE (Congruenza). Diciamo congruenza tra gli
elementi di un anello R una relazione di equivalenza che
ne rispetti le operazioni:
Dimostrazione. Basta provare che
• φ∗ non dipende dalla scelta del rappresentante [a].
• ker φ∗ = {0}.
a̺ b
a+ c̺b+ d
=⇒
c̺d
ab ̺ cd
• φ∗ rispetta le operazioni.
Con le operazioni di somma e prodotto di classi, definibili grazie alla proprietà della congruenza, R / ̺ diventa
un anello, detto anello quoziente dell’anello R . Il fatto
basilare è però il seguente:
➜ Una congruenza individua un ideale bilatero,
una volta posto che x ∈ I se x ̺ 0.
Con ordine:
• a + K = a′ + K vuol dire a − a′ ∈ K , cioè φ(a −
a′ ) = φ(a) − φ(a′ ) = 0. In modo analogo si mostra
l’iniettività.
• φ∗ ((a + K )+(b + K )) = φ∗ ((a + b)+ K ) = φ(a + b) = φ(a)+
φ( b) = φ∗ ( a + K ) + φ∗ ( b + K ) e qualcosa di analogo
accade al prodotto.
■
• 0 ∈ ̺ , dato che 0 ̺ 0 = 0 − 0, per la riflessività.
• Se x ̺ 0 e y ̺ 0 allora anche x ± y ̺ 0 dato che ̺ è una
congruenza.
Come corollario, se φ è suriettiva otteniamo che R /ker φ ≃
R ′ (in modo più generale come detto il quoziente R /ker φ
è isomorfo a im φ). Tutti i quozienti di R modulo un ideale
sono isomorfi ad una im φ per qualche φ che sia omomorfismo di anelli. Scegliendo una φ suriettiva che abbia I
come nucleo, R / I ≃ R ′ .
Raccogliamo alcuni fatti:
⋆ Abbiamo mostrato che ̺ è un sottoanello. Del resto
però essendo anche una congruenza, si ha cx ̺ c0 = 0
e xc ̺ 0 c = 0.
■
Specularmente
➜ Un ideale I E R definisce una congruenza ̺ ,
una volta posto x ̺ y ⇐⇒ x − y ∈ I .
Innanzitutto ̺ deve essere una equivalenza, e poi deve
conservare le operazioni (entrambe le verifiche sono facili
esercizi).
Stabilita questa fondamentale biiezione, lo studio delle congruenze su R si riduce allo studio dei suoi ideali, e viceversa lo studio delle congruenze identifica tutti
gli ideali di R . In tal modo possiamo introdurre alcune
notazioni:
• Se φ ∈ Epi(R, R ′ ) ha nucleo K , e T è sottoanello
[ideale] di R , allora φ(T ) è sottoanello [ideale] di R ′
• In modo simile “a rovescio” (con la notazione T Î R
che indica che T è sottoanello di R ), se T ′ Î R ′ allora
φ← ( T ′ ) Î R e se T ′ E R ′ allora φ← ( T ′ ) E R .
ESEMPIO. (Ne dissemineremo molti) Se R = Z, nZ E Z
per n ∈ N. Tutte le immagini omomorfe di Z sono quozienti Z/nZ (classi di resto modulo un intero) a meno di
isomorfismi.
• Se I E R l’anello R / ̺ si può indicare con R / I .
1
TEOREMA (Corrispondenza). Sia φ ∈ Epi( R, R ′ ) di nucleo
sul quoziente ristretta ad A : π| A : A → R / I . Essa ha
nucleo ker π| A = {a ∈ A | a + I = I }, cioè A ∩ I . Per il th.
fondamentale allora
K.
∼
• Esiste una biiezione Ψφ : R −→ I dall’insieme dei
sottoanelli che contengono ker φ all’insieme dei
sottoanelli di R ′ .
A /ker π | A = A /( A ∩ I ) ≃ im π | A = ( A + I )/ I
• Se I E R e I contiene ker φ, allora R / I ≃ R ′ / I ′ ove
I ′ = φ( I ), mediante l’applicazione che ad a + I fa corrispondere φ(a) + I ′ (φ in parole povere “entra nel
quoziente”, dato che la relazione di cui prima si può
riscrivere come R / I ≃ φ(R )/φ( I )).
TEOREMA (ISO di anelli 2). Siano R un anello e K, I E R ,
con K ⊆ I . Allora I /K E R /K e si ha (R /K )/( I /K ) ≃ R / I .
Dimostrazione. E’ un caso particolare del teorema di corrispondenza che afferma che dato un epimorfismo di anelli si ha R / I ≃ R ′ /φ( I ) per ogni I E R . La proiezione sul quoziente infatti è suriettiva: poniamo R /K = R ′ e I ′ = I /K .
■
Si ha allora R /π← ( I ′ ) = R / I ≃ ((RI //KK)) = R ′ / I ′
Dimostrazione. Abbiamo già detto che un epimorfismo
di anelli manda ideali in ideali. Resta da provare che
Ψφ è biiettiva. Per l’iniettività, supponiamo φ( A ) = φ(B)
(uguaglianza tra insiemi). Per ogni a ∈ A esiste b ∈ B tale
che φ(a) = φ(b), Da ciò φ(a) − φ(b) = φ(a − b) = 0. Dunque a − b ∈ K ⊆ B. Siccome a − b ∈ B, a − b + b = a ∈ B,
e dunque B ⊇ A . Rovesciando i ruoli si ottiene A ⊇ B.
Per la suriettività, dalla suriettività di φ discende che,
dato T ′ Î R ′ esso proviene sicuramente da un T ∈ R , e
φ(φ← ( T ′ )) = T ′ = φ( T ). Da ultimo, consideriamo la cateφ
′ π
Volendo riassumere la cosa con un diagramma, ove un
elemento è sottoanello del soprastante se vi è collegato da
una linea singola, e ideale se vi è collegato da una linea
doppia, abbiamo il seguente
→ R /φ( I ), e χ := π ◦ φ : a 7→ φ(a) + φ( I ). χ ha
na R −
→R −
nucleo I (piuttosto ovvio) ed è suriettiva. Dunque, per il
Teorema Fondamentale
′
R/I ≃ R′/I′
■
Z
R
(a, b) Z
A+I
aZ
■
bZ
A
[a, b] Z
Osservazione. Applicando questo teorema alla proiezione
canonica sul quoziente si ha che ogni ideale di R / I è l’immagine mediante π di un ideale di R . Se T E R , T ⊇ I ,
ogni ideale π(T ) = {a + I | a ∈ T } ha l’aspetto T / I per
qualche ideale T ⊇ I .
I
A∩I
L’esempio a sinistra è una “incarnazione” vista con alcuni ideali di Z: in tal caso A + I = aZ + bZ = MCD(a, b)Z
e A ∩ I = aZ ∩ bZ = mcm(a, b)Z: notare che lati opposti del
quadrilatero sono isomorfi: Z/3Z ≃ 2Z/6Z e Z/2Z ≃ 3Z/6Z.
Esplicitare gli isomorfismi nel caso generico di due
ideali di Z sarà un buon esercizio. Cosa accade se a, b sono coprimi? Ricorda qualcosa l’isomorfismo ottenuto con
A /( A ∩ I )?
ESEMPIO.
• Su Z gli ideali sono tutti e soli i sottoanelli nZ.
Come determinare tutti gli ideali di (ad esempio)
R = Z/6Z? Anzitutto trovando tutti gli ideali di Z
che contengano 6Z: basta poco a convincersi che
essi sono Z, 2Z, 3Z, 6Z (quelli generati dai divisori positivi di 6). Ora, tutti gli ideali di Z/6Z sono
R = Z /6Z, 2Z/6Z, 3Z/6Z, 6Z/6Z = (0)
DEFINIZIONE (Estensione di un Anello). S sia un anello
commutativo con unità. R sia un sottoanello di S contenente 1 e u un elemento di S \ R . Vogliamo trovare il minimo sottoanello di S che contiene R e u. Facile convincersi che esso deve avere esattamente questa
forma:
• T2 (Z) è il sottoanello di M2 (Z) fatto dalle matrici
a entrate in Z, 2 × 2 triangolari superiori. E’ facile trovare un morfismo
¡ a b ¢suriettivo da T2 (Z) a Z, come
ad
esempio
φ
:
0 c 7→ a. Esso ha nucleo K =
¡ ¢
{ 00 bc | b, c ∈ Z}, e dunque per il teorema fondamentale di omomorfismo si ha T2 (Z)/K ≃ Z. Vogliamo
ora gli ideali di T2 (Z): basta cercare la controimmagine degli ideali di ©¡
Z mediante
φ. Tali
¢
ª ideali sono i
b
sottoanelli del tipo nz
0 c | z, b, c ∈ Z
(
R [u] := t ∈ S | t =
n
X
j =0
j
a j u , a j ∈ R, n ∈ N
)
Osservazione. La scrittura di un elemento di R [ u] non è
unica: basti pensare a C = R[ i ].
Consideriamo ora l’applicazione φu : R [ x] → S che
manda p( x) in p(u) (valutazione in u). Evidentemente,
φu ∈ Hom( R [ x], S ), e ha per immagine l’estensione R [ u]
e nucleo l’insieme { p ∈ R [ x] | p(u) = 0} = I E R [ x]. Si ha
allora che R [ x]/ I ≃ R [u], mandando p( x) + I 7→ p(u). u ∈ S
si dice algebrico se I 6= 0 come anello (cioè se è possibile,
con opportune equazioni a coefficienti in R , annullare un
polinomio con le potenze in u). Se I = 0 allora R [u] ≃ R [ x]
(cioè u si comporta a tutti gli effetti come una incognita),
e u si dice trascendente.
Ci concentriamo ora sui due fondamentali teoremi di
isomorfismo tra anelli e ideali.
TEOREMA (ISO di anelli 1). Sia R una nello, A Î R , I E R .
Allora A + I = {a + i | a ∈ A, i ∈ I } è sottoanello di R che contiene I come ideale. Inoltre A ∩ I E A , e vale l’isomorfismo
A /(a ∩ I ) ≃ ( A + I )/ I mediante la mappa a + ( A ∩ I ) 7→ a + I .
Dimostrazione. E’ facile provare che I E A + I e che A ∩ I E
A . Ora si tratta di considerare la proiezione canonica
2
Intersezione di ideali, ideale generato In ge- DEFINIZIONE (Ideale Massimale). I E R si dice massimanerale
se ( I j ) j ∈ J è una famiglia di ideali di R vale che le se I 6= R e ogni volta che I E J E R , allora I = J oppure
T
j ∈ J I j E R (facile). Cerchiamo un risultato più geneJ = R.
rale: dato S ⊆ R definiamo l’ideale generato da S come
l’intersezione
di tutti gli ideali di R che contengono S :
T
(S ) = I ∈I I . Proviamo ora che
(S ) =
(
m
X
i =1
zi a i +
n
X
j =1
r j a j | a i , a j ∈ S, z i ∈ Z, r j ∈ R, m, n ∈ N
Un ideale è massimale se non ci sono ideali di
grandezza intermedia tra lui e l’ideale banale R .
)
ESEMPIO. 3Z E Z. Se 3Z E mZ E Z, 3 deve essere un
multiplo di m: non vi è altra scelta oltre a 1 (e quindi
mZ = Z) oppure 3 (e allora mZ = 3Z). Appare chiaro che
in generale pZ è massimale in Z se, e solo se p è primo in
Z.
Anzitutto è facile vedere che l’insieme a destra è un ideale di R . In seguito si osserva che ogni ideale che contiene
S deve contenere tutti gli oggetti del tipo sopra indicato.
Ciò permette di concludere.
PROPOSIZIONE. Sia R anello commutativo unitario I E R
è massimale se, e solo se R / I è un campo.
Osservazione. Se l’anello R è unitario la forma di ( S ) si
P
P
semplifica: si può scrivere z i a i = (1r · z i )a i e dunque
Pn
(S ) = { k=1 a k r k | r k ∈ R, a k ∈ S }
Dimostrazione. Per il teorema di corrispondenza.
■
Osservazione. Ogni ideale massimale è primo, ma il
viceversa non è sempre vero: (0) è primo ma non
massimale.
DEFINIZIONE (Ideale Principale). I E R si dice principale
se I = (a) per un qualche a ∈ R . In tal caso si ha I = {ra |
r ∈ R }. Diremo un anello principale o a ideali principali
o PID (principal ideal domain) se tutti i suoi ideali sono
principali.
ESEMPIO. Sia R = C ([0, 1], R) con le solite somma e prodotto di funzioni. Mostriamo che se ψa : f 7→ f (a), allora
ker ψa è ideale massimale di R . Ovviamente ker ψa =
{ f ∈ R | f (a) = 0}. Ora, per il teorema fondamentale
di omomorfismo R /ker ψa ≃ R: essendo R in particolare un campo, lo è anche R /ker ψa , e dunque l’ideale è
massimale.
■
Alcuni esempi di PID:
• L’usuale anello Z degli interi
• Se X è un insieme, (P ( X ), ∆, ∩) è un PID se, e solo
se X è finito
Campo dei Quozienti di un Anello Integro
• Se K è un campo K[ x] è un PID.
Ogni anello D che sia dominio di integrità si può immergere in un campo F che ne contiene una copia, che risulta
dall’intersezione di tutti i sottocampi contenenti D e che
prende il nome di campo dei quozienti di D .
Definiamo D ∗ = D \ {0} e la relazione in D × D ∗ (a, b) ∼
( c, d ) se, e solo se ad = bc. E’ facile verificare che essa
è una equivalenza, e che F := (D × D ∗ )/ ∼ è il campo dei
quozienti cercato. Dobbiamo mostrare due cose:
Mostriamo quest’ultimo fatto: sia I E K[ x] e al suo interno scegliamo un polinomio f di grado minimo. Ogni p( x)
si scrive allora come p( x) = f ( x) g( x) + r( x) con r( x) = 0 oppure deg r( x) < deg f ( x). Ma per non violare la minimalità
di f deve essere r( x) = 0.
■
Se K non è un campo il risultato è falso: in Z[ x] l’ideale (2, x) non è principale, dunque Z[ x] non è un PID
(procedere per assurdo).
• F è un campo, con le operazioni (a, b) + ( c, d ) = (ad +
bc, bd ) e (a, b)( c, d ) = (ac, bd );
Osservazione. Se R è anello unitario, (1) = R , e se a è un
elemento invertibile di R , (a) = R : infatti si ha che ab ∈
(a) per ogni b ∈ R , ma anche a−1 ab = b ∈ (a). Dunque
(a) = R . In tal senso vale quanto segue.
• D si immerge in F mediante l’immersione canonica
ι : a 7→ ( a, 1).
Entrambe le verifiche sono facili, il campo F a volte
(quando si vuole sottolineare da quale anello integro si
proviene) si indica con Q (D )
PROPOSIZIONE. Se R è un campo, possiede solo gli idea-
li banali (0) ed R . Viceversa un anello commutativo
unitario che possiede solo gli ideali banali è un campo.
ESEMPIO.
La prima implicazione segue da quanto osservato prima: ogni elemento di R \{0} è invertibile, dunque riesce a
generare l’intero anello. Viceversa se in un anello che ha
solo gli ideali banali prendiamo l’elemento a non nullo:
l’ideale (a) coincide con R ; dunque in particolare contiene
1, che allora si scrive come prodotto ab = 1. Risultato, a
è invertibile. valendo questo per ogni a ∈ R \ {0}, si ha la
testi.
■
• Q (Z ) = Q
o
n
f ( x)
è il campo dei
• g ( x) | ( f ( x), g( x)) ∈ K[ x] × K[ x]∗
quozienti dell’anello dei polinomi K[ x]
PROPOSIZIONE. Sia D un anello integro e F il suo cam-
po dei quozienti. Allora ogni monomorfismo η di D
in un certo campo F ′ si estende in modo unico ad un
monomorfismo di F in F ′ .
DEFINIZIONE (Ideale Primo). Sia I E R .
Esso si dice
ideale primo di R se ab ∈ I implica che a ∈ I oppure b ∈ I .
Dimostrazione. Certamente F contiene una immagine
monomorfa di D mediante l’immersione canonica ι. Altrettanto certamente conosciamo l’azione di η sugli elementi di D : η(a) = a′ e dunque η(1) = 1′ , dato che a′ η(1) =
ESEMPIO. Dato che Z è integro, l’ideale nullo è primo.
In generale, se p è primo in Z, pZ E Z è primo.
3
η( a)η(1) = η( a · 1) = η( a) = a′ = a′ · 1′ . In secondo luogo ogni
b ∈ F ha un inverso b−1 tale ce bb−1 = 1. Se estendiamo η
ad agire sul campo dei quozienti di D otteniamo che essa
deve mandare l’inverso di b nell’inverso dell’immagine di
b (verificare!). In tal senso l’azione di η è nota su F , una
volta nota su D .
■
• Gli invertibili di R ⊕ R ′ sono quegli elementi (a, a′ )
con a invertibile in R e a′ invertibile in R ′ .
• Se A, B E R e φ : R → (R / A ) ⊕ (R /B) che manda x ∈ R
in ( x + A, x + B), valgono le seguenti proprietà:
– φ ∈ Hom(R, (R / A ) ⊕ (R /B))
– ker φ = A ∩ B
Il risultato appena raggiunto permette una particolarizzazione: se D 1 , D 2 sono anelli isomorfi mediante ψ, allora lo sono anche i rispettivi campi dei quozienti, mediante la mappa ν : ab−1 7→ ψ(a)ψ(b)−1 . Il concetto di
campo dei quozienti relativo a un dominio integro può essere generalizzato mediante il concetto di localizzazione:
lo affrontiamo come segue.
– φ è suriettiva se, e solo se A + B = R . In tal
caso A ∩ B = AB, e si assiste al suggestivo
isomorfismo (R / A ) ⊕ (R /B) ≃ R / AB
Le prime due verifiche su φ sono facili. Per la terza:
Dimostrazione. Se φ è suriettiva sia x ∈ R . ( A, x + B) ∈
(R / A ) ⊕ (R /B). Allora esiste ytale che φ( y) = ( A, x + B).
y + A = A implica che y ∈ A , y = a1 . Del resto y + B = x + B
implica a1 − x ∈ B, cioè x = a1 + b1 , con a1 ∈ A, b1 ∈ B.
Viceversa se A + B = R , sia ( x1 + A, x2 + B) ∈ (R / A ) ⊕ (R /B).
Si ha per ipotesi che ogni x si scrive come a + b per certi
a, b in A, B: allora x1 = a1 + b1 , x2 = a2 + b2 . Cerchiamo x
tale che φ( x) = ( x1 + A, x2 + B) e lo troviamo in x = b1 + a2
(verificare).
■
DEFINIZIONE. Sia R un anello commutativo ed S ⊆ R
un sottosemigruppo del semigruppo moltiplicativo di R .
Allora possiamo definire in R × S una relazione (a, s) ∼
(b, t) ⇐⇒ esiste u tale che uat = usb
Tale relazione è una equivalenza (solo la transitività è non banale: (a, s) ∼ (b, t) ⇐⇒ uat = usb, (b, t) ∼
( c, z) ⇐⇒ vbz = vtc. Moltiplicando ambo i membri per vc
si ha uabvz = uatvc = usbvc, cioè (ubv)az = (uvb)sc, cioè
raz = rsc ⇐⇒ (a, s) ∼ ( c, z)).
Indichiamo con a/s la classe di (a, s) e con RS −1
l’insieme quoziente.
Osservazione. Quanto appena visto è una generalizzazione del teorema cinese dei resti: esso infatti afferma che,
presi R = Z, A = rZ, B = sZ, nel caso in cui (a) + (b) = (1) =
Z, si ha
φ
• RS −1 è un anello unitario quando vi siano definite le
operazioni a/s + b/ t = (at + bs)/st e (a/s)(b/ t) = as/bt.
Z/rsZ ≃ Z/rZ ⊕ Z/sZ
Q
Q
Più in generale si ha Z/( ni=1 p i )Z ≃ ni=1 Z p i (ritrovare
Qn
Qn
da ciò che φ( i=1 p i ) = i=1 φ( p i )).
• RS −1 è ridotto ad una sola classe se 0 ∈ S .
• L’applicazione ω : a 7→ at/ t è omomorfismo di R in
RS −1 . Se 0 ∉ S e S non contiene divisori dello zero,
allora ω è iniettivo.
Torniamo a parlare di proprietà generali: ciò che vorremmo fare è isolare delle particolari classi di anelli, che
possiedono speciali proprietà.
• Tutti gli elementi di S possiedono un inverso in
RS −1 : (at/ t) · ( t/at) = 1RS −1
PROPOSIZIONE. Se R è integro e tale che ogni suo ideale
non banale è primo, allora R è un campo
ESEMPIO. Sia S = Z \ pZ (interi non divisibili per p).
Allora Z S −1 = {a/ t | a ∈ Z, t ∈ S } (razionali col denominatore primo con p). Si indica con Z( p) . Ogni intero non
divisibile per p possiede un inverso in Z S −1 , e più in generale se R è commutativo e unitario (in particolare non
nullo) e P E R è ideale primo, allora R \ P = S è moltiplicativamente stabile. RS −1 si dice localizzazione di R
rispetto a P . Esso è un anello locale, cioè un anello dove
l’insieme degli elementi non invertibili forma un ideale
(nell’esempio precedente è piuttosto facile mostrare che
(Z S −1 ) \ (Z \ pZ) è un ideale).
Dimostrazione. Considerando a ∈ R \ {0} e I = (a2 ), si ha
che se a ∉ I allora l’ideale non può essere primo. Deve
quindi essere a ∈ I , e a = ha2 , da cui a(1 − ha) = 0 il che
implica ah = 1. Dunque, valendo ciò per ogni a 6= 0, R è n
campo.
■
Sono ben note le proprietà di Z: ogni a ∈ Z ammette una unica fattorizzazione in elementi irriducibili (che
sono anche primi) a meno di invertibili in Z, ciò dà la possibilità di definire un MCD per ogni coppia di elementi,
e poi induttivamente per ogni n–upla. Ogni ideale primo di Z è massimale, Z è un PID. Vorremmo ora estendere queste proprietà generalizzando le definizioni che
abbiamo.
Sia R un anello integro unitario. La condizione di divisibilità, che si indica con b | a, si traduce in (a) ⊆ (b), cioè
a = bc per qualche c ∈ R . Se accade che a | b e b | a allora
si ha l’uguaglianza (a) = (b), e a, b si dicono associati (si
indica con a ∼ b). La condizione equivale ad a = b a meno
del prodotto per un elemento invertibile di R .
DEFINIZIONE (Somma Diretta di Anelli). Siano R, R ′ due
anelli. Definiamo naturalmente su R × R ′ le operazioni
• (a, a′ ) + (b, b′ ) = (a + b, a′ + b′ )
• (a, a′ )(b, b′ ) = (ab, a′ b′ )
In tal modo R × R ′ diventa un anello detto somma diretta
di R, R ′ . Esso si indica con R ⊕ R ′ .
Alcuni fatti banali:
ESEMPIO. In Z gli associati sono gli elementi del tipo
{n, −n}, con n > 0.
• Anche se R, R ′ sono integri, la somma diretta R ⊕ R ′
può non esserlo.
4
DEFINIZIONE (Elemento Irriducibile). a ∈ R si dice irriducibile se non è invertibile e se a = bc implica che b
oppure c siano invertibili.
tale fattorizzazione è unica: procediamo per assurdo, e
ottenendo due fattorizzazioni di uno stesso elemento
a1 ... a n = a′1 ... a′m
DEFINIZIONE (Elemento Primo). a ∈ R si dice primo se
facciamo induzione sul numero di fattori più basso (sia
n). Se n = 1 allora a1 = a′1 ... a′m , dunque esiste un a j
(sia a1 ) tale che a1 = ua′1 . In tal caso ua′1 = a′1 ... a′m e
dunque anche la seconda fattorizzazione possiede solo un
elemento irriducibile. Nel passo induttivo si osserva che
a1 irriducibile implica a1 primo, e a′1 primo implica a′1 |
a1 . Allora si possono cancellare da ambo i membri a1
e a′1 a meno di un fattore invertibile, e si può applicare
l’ipotesi induttiva.
■
a 6= 0 non è invertibile, e se a | bc implica che a | b oppure
a | c.
In ogni anello integro tutti i primi sono irriducibili:
Dimostrazione. Se a | bc allora (wlog) a | b, da ciò b =
ma. Sia poi a = bc: allora a = amc, cioè mc = 1, e c è
invertibile.
■
Per ciò che sappiamo ora, solo in Z è vero il viceversa
(ogni irriducibile è primo). Esso non è però l’unico anello
in cui vale tale proprietà. Esiste infatti tutta una classe
particolare di anelli detti anelli a fattorizzazione unica.
Abbiamo osservato che in un UFD ogni elemento non
nullo e non invertibile si scrive in modo unico a meno
di associati come prodotto di irriducibili, e scelto un rappresentante nella classe dei suoi associati ogni a ∈ R si
scrive
h
a = u p1h1 ... p s s
DEFINIZIONE (UFD). Diremo UFD (unique factorization
domain) un anello tale che ogni a 6= 0 si può scrivere come
prodotto di elementi irriducibili p1 ... p r (non necessariamente distinti), e tale che se a = p1 ... p r = q1 ... q s , allora si ha r = s ed esiste una permutazione in Sr tale che
qσ( i) = p i .
DEFINIZIONE (Divisore di a). Sia a = u
ra ogni b = v
divisore di a.
Vale una condizione necessaria e sufficiente piuttosto
forte legata agli UFD.
kj
j =1 p j ,
Qs
PROPOSIZIONE.
k
k
v p1 1 ... p r r
Ogni
Qs
i =1
h
p i i . Allo-
con 0 ≤ k i ≤ h i per ogni i si dice
coppia
a = u p1h1 ... p hr r , b =
di elementi di R UFD possiede dunque un massimo comun divisore, definito come
r
d = MCD(a, b) = uv p1m1 ... p m
r , ove m j = min{h j , k j }.
PROPOSIZIONE. R anello integro è UFD se, e solo se
valgono entrambe le seguenti:
α Ogni elemento irriducibile è anche primo.
Due elementi tali che MCD(a, b) = 1 si dicono coprimi.
β Data una qualunque successione ( a j ) j ∈N di elementi
diR tale che a j +1 | a j per ogni j, esiste un j̃ tale che
a j̃ ∼ a j̃ +1 ∼ ... (cioè gli elementi della successione
sono definitivamente tutti associati).
DEFINIZIONE (Ascending Chains Condition (ACC)). R
verifica la ACC se ogni catena ascendente di ideali
Dimostrazione. Sia R un UFD. a ∈ R sia irriducibile, e
sia a | bc, cioè bc = aq. a 6= 0 non è invertibile, e se b è
invertibile, a | c. Analogamente se c è invertibile a | b. Se
b, c sono entrambi non invertibili si ha
diventa stazionaria dopo un numero finito di passi: esiste
cioè un indice ̃ tale che I j = I j +1 per ogni j > ̃ .
I 1 ⊆ I 2 ⊆ · · · ⊆ I k ⊆ ...
PROPOSIZIONE. Ogni PID verifica la ACC.
Dimostrazione. Supponiamo che R sia un PID. Consideriamo la catena ascendente I 1 ⊆ I 2 ⊆ ... e indichiamo
S
con U = i∈N i i . Ovviamente U E R , coincide con l’ideale
più grande. R è PID, dunque U = (u) per qualche u ∈ R .
u ∈ U , e dunque esiste un I j tale che u ∈ I j . Ma allora
b1 ... b h c1 ... c k = aq i ... q s
ed essendo a irriducibile (cioè a si scrive come ud , dove
u è invertibile e d ∈ R ), deve essere associato ad almeno un b j , c k . Se poi la successione (a j ) j ∈N soddisfa alle
ipotesi di β, esiste un unico modo di scrivere ogni a j come prodotto di irriducibili,e dunque la successione n i =
numero dei fattori irriducibili nella fattorizzazione di a i
è una sequenza non crescente di numeri naturali. Deve
quindi esistere un indice ̃ per cui n ̃ = n ̃ +1 (dato che alla
peggio può diventare 1). Ciò significa che per ogni indice
da ̃ in poi gli a i sono tutti associati.
Viceversa se valgono α, β, mostriamo l’esistenza di una
fattorizzazione. Supponiamo per assurdo che esista a ∈ R
privo di una tale fattorizzazione: a non è irriducibile,
dunque si può scrivere come a = a1 b1 . con a1 , b1 6∼ a e
almeno uno dei due non è prodotto di irriducibili. Supponiamo che tale sia a1 : allora a1 si scrive come a1 = a2 b2 ,
con a2 , b2 6∼ a1 e almeno uno dei due non prodotto di irriducibili. Appare chiaro che così si può costruire una
successione infinita che viola β. Mostriamo dunque che
U = ( u ) ⊆ I j ⊆ I j +1 ⊆ · · · ⊆ U
■
PROPOSIZIONE. Ogni PID è un UFD.
Dimostrazione. Supponiamo R sia un PID. Vale la proprietà α: se prendiamo a irriducibile e a | bc sappiamo
che I = (a, b) = (a) + (b) = (d ). Essendo a irriducibile,
d ∼ aoppure d ∼ 1, nella relazione a = dh. Se d ∼ a, a | b.
Se ∼ 1 si può assumere d = 1 e 1 = ra + sb, moltiplicando
per c ambo i membri si ottiene c = rac + sbc. a | bc dunque a | c (dato che il membro di destra è un multiplo di
a deve esserlo anche quello di sinistra). Sia poi (a j ) j ∈N
una successione tale che a j +1 | a j . per ogni j. Si ottiene
la catena di ideali (a1 ) ⊆ (a2 ) ⊆ · · · ⊆ (a i ) ⊆ ... : essa è una
catena ascendente, dunque esiste un indice ̃ tale che sia
verificata la proprietà β degli UFD.
■
5
DEFINIZIONE (Dominio Euclideo). Un anello integro D
un elemento irriducibile che non è primo; tale elemento è proprio
p 3: sepinfatti è vero che esso divide 9 = (2 + −5)(2 − −5), non divide
p però i fattori:
supponiamo
per
assurdo
che
2
+
−5 = 3(a +
p
p
b −5).allora(2 − 3a) + (1 − 3b) −5 = 0, ma questa
equazione non ha soluzioni a, b intere.
■
si dice euclideo se esiste una funzione ν : D \ {0} → N tale
che
• ν(a) ≤ ν(ab) per ogni a, b ∈ D \ {0};
• Esistono q, r ∈ D tale che a = bq + r per ogni coppia
a, b ∈ D e si ha r = 0 oppure ν(r) < ν(b).
• UFD che non è PID: Pensiamo a (2, x) E Z[ x]: se
per assurdo esistesse un polinomio f ( x) tale che
2 = f ( x) g( x), x = f ( x)h( x), si dovrebbe avere per forza
f ( x) = ±1. Ma questo è palesemente falso, dato che
(1) = Z[ x] = (−1), e che invece (2, x) è chiaramente un
sottoinsieme proprio di Z[ x].
■
Tale mappa è detta valutazione in D .
ESEMPIO. Tutti i campi, Z con ν = | · |, K[ x] con
deg : f ( x) 7→ deg f ( x) sono domini euclidei (si indicano con
ED).
Quest’ultima proposizione conteneva una assunzione non
scontata, che a rigore va dimostrata: il fatto che Z è UFD
implica che anche Z[ x] lo sia. Riconduciamo la dimostrazione di questo fatto ad un risultato più generale, che
spezziamo in vari lemmi.
PROPOSIZIONE. Ogni ED è un PID (dunque è UFD).
Dimostrazione. Sia I E D , con D che è ED. Sia poi b ∈ I
tale che ν(b) ≤ ν( i ) per ogni i ∈ I (elemento di valutazione
minima: esiste grazie all’assioma di buon ordinamento).
Ogni a ∈ I si scrive allora come a = bq + r: per non violare
la minimalità di ν(b) deve essere r = 0, e dunque I = (b)
(tale b è detto generatore minimo dell’ideale.
■
PROPOSIZIONE. Sia R un UFD, R [ x] il suo anello dei
polinomi. Allora anche R [ x] è un UFD.
LEMMA. Sia R un PID e I E R . Allora sono equivalenti le
seguenti condizioni
Per mostrare che Z[ i ] (anello degli interi di Gauß) è
un ED prendiamo la funzione norma complessa N (·) : a +
ib 7→ a2 + b2 , e mostriamo che soddisfa alle due proprietà
di cui prima.
• I è massimale;
• I è primo;
• I = ( p), ove P è un elemento irriducibile di R .
• Si ha N (uv) = N (u) N (v) (proprietà ereditata da
C) e dunque N ( x) ≤ N ( x y) = N ( x) N ( y), dato che
certamente N ( y) ≥ 1 (siamo in N).
Dimostrazione. (1) ⇒ (2): Se I è massimale R / I è un campo. Tutti i campi sono integri, e da R / I integro ⇐⇒ I
ideale primo si conclude.
(2) ⇒ (3): Se I è primo, I = ( p), essendo R un PID. Proviamo che p è irriducibile: se p | ab, cioè se ab ∈ I , essendo I primo a ∈ I (e allora p | a) oppure b ∈ I (e allora
p | b).
(3) ⇒ (1): Sia I = ( p) con p irriducibile in R . Sia poi
J E R tale che I E J E R . Allora J = ( x),essendo R un
PID. Siccome p è irriducibile, e x | p dato che I ⊆ J , si
ha p = xt. Ora, x ∼ p oppure x è invertibile, e tali due
condizioni equivalgono l’una a J = I e l’altra a J = R . ■
• Pensiamo ora a Z[ i ] ,→ C (esso ne è un sottoanello): allora in quoziente tra due numeri è z1 z2−1 =
. Ora, il prodotto si svolge facilmente,
(a + ib) cc2−+id
d2
e si ha
ac + bd
bc − ad
z1 z2−1 = 2
+i 2
2
c +d
c + d2
Ora, ogni numero razionale si scrive come la somma α + r, ove α ∈ Z e Q ∋ r, |r| ≤ 1/2. In tal modo
z1 z2−1 = α + i β + r 1 + ir 2 : α + i β è il quoziente della divisione, e (provare!) (r 1 + ir 2 ) z2 ∈ Z[ i ]. vale anche la
disuguaglianza (passando alle norme) N (r) < N ( z2 ),
dunque la tesi è provata.
■
In un PID ogni quoziente diverso dall’intero anello, che
sia integro, è un campo. Gli ideali primi (cioè quelli massimali, per quanto appena visto) sono quelli generati dagli elementi irriducibili di R . In particolare se F è un
campo, F [ x] è un anello integro, e gli ideali massimali di F [ x] sono quelli del tipo ( f ( x)) con f ( x) polinomio
irriducibile in F .
Comincia ora una sezione il cui scopo è generalizzare la teoria che abbiamo visto in alg1.pdf : vivendo in un
UFD è possibile associare ad ogni coppia di elementi un
loro massimo comun divisore, e induttivamente poi lo si
può assegnare ad ogni n–upla di elementi (la cosa è piuttosto ovvia e non la raccogliamo in una definizione). In
seconda battuta possiamo sviluppare lo stesso linguaggio
che tempo addietro è servito a trovare qualche criterio
per stabilire l’irriducibilità in Z[ x] di polinomi, spostandosi a Q[ x], che di Z è il campo dei quozienti. Una teoria
intrinseca dei rapporti che intercorrono tra un anello di
polinomi in un UFD e l’anello dei polinomi sul suo campo
dei quozienti è stata sviluppata da Gauss, nel modo che
segue. Ci muoviamo in R [ x], ove R è un UFD.
Volendo schematizzare la situazione si assiste alle seguenti inclusioni (indicando con K un campo generico e
con D un anello integro):
K ⊂ ED ⊂ PID ⊂ UFD ⊂ D
Le inclusioni sono tutte proprie (non proveremo in ogni
caso questa affermazione):
• Anello
integro che non è UFD: Prendiamo D =
p
Z[ −5] Î C. In generale
la “p
d –valutazione” è definip
p
ta come Nd (a + db) = (a + db)(a − b) = a2 − db2 .
p
In questo caso N (a + −5b) = a2 + 5b2 . In un ED
gli unici elementi invertibili sono quelli tali che
ν( a) = ν(1) (provare!). Ciò porta a concludere che
in D gli unici invertibili sono ±1. Troviamo ora in
D due fattorizzazioni p
non banali
p di uno stesso elemento: 3 · 3 = 9 = (2 + −5)(2 − −5). Troviamo poi
6
DEFINIZIONE (Contenuto di f ). Sia f ( x) ∈ R [ x] \ {0}.
Possiamo finalmente affrontare il nostro Golia.
Definiamo il contenuto di f come il MCD tra i suoi
coefficienti:
f ( x) = a0 + a1 x + · · · + a n x
n
TEOREMA. Sia R un UFD, R [ x] il suo anello dei polinomi.
Allora anche R [ x] è un UFD.
χ( f ) := MCD( a= ,... , a n )
Dimostrazione. Dobbiamo mostrare esistenza e unicità
di una fattorizzazione in R [ x].
ESISTENZA: Sia f ∈ R [ x] non nullo e non invertibile.
Allora f = d f ∗ . Se deg f > 0 ed f ∗ non è irriducibile in
R [ x] si ha f ∗ = f 1 f 2 con deg f 1 , deg f 2 > 0. E’ evidente
che i gradi di entrambi i fattori sono minori di deg f ∗ ,
ed è altrettanto evidente che i due sono primitivi. Per
induzione sul grado f 1 , f 2 si fattorizzano in irriducibili, e
dunque f ∗ = q1 ... q r . Se poi d 6∈ U (R ), esso si fattorizza
in modo unico, dato che R è UFD.
UNICITA’: Dapprima assumiamo f primitivo e non invertibile: I fattori irriducibili di f in R [ x] hanno grado
positivo, e la situazione da esaminare è
Diremo primitivi i polinomi tali che χ( f ) = 1.
Osservazione. Ogni polinomio non nullo in R [ x] si scrive
come f ( x) = d f ∗ ( x), ove d = χ( f ) e f ∗ ( x) è primitivo.
Abbiamo inoltre che, se troviamo due scomposizioni diverse di questo tipo per uno stesso f , allora da cg∗ ( x) =
f ( x) = d f ∗ ( x) si evince che d ∼ c, dato che sono due
MCD di uno stesso elemento, e dunque c = ud implica
f ∗ ( x) = u g∗ ( x), cioè f ∼ g. Tale decomposizione dunque è
unica a meno di associati.
Ciò di cui necessitiamo ora è una versione più generale
del già noto Teorema di Gauss.
TEOREMA (Gauss). Siano f ( x), g( x) ∈ R [ x] due polinomi
primitivi. Allora f ( x) g( x) è primitivo.
f = q1 ... q r = q′1 ... q′s
Dimostrazione. Supponiamo per assurdo che f ( x), g( x)
primitivi siano tali che f ( x) g( x) non sia primitivo: allora
esiste un p irriducibile in R (che dunque è anche primo)
che divide tutti i coefficienti del prodotto f ( x) g( x) senza
dividere f o g. Ma se p è primo l’ideale ( p)[ x] è anch’esso
primo: supporre che f ( x) g( x) ∈ ( p)[ x] senza che f , g vi appartengano nega questa verità: è assurdo, dunque la tesi
è vera.
■
ove tutti i q j sono irriducibili di grado positivo. Per il
lemma essi sono irriducibili in F [ x] (che è UFD dato che
F è campo). Allora s = r ed esiste una permutazione che
uguaglia q i e q′i a meno di associati, e dunque essi sono
associati anche in R [ x]. Supponiamo ora f non primitivo:
3
1
z }| {
z }| {
f = p1 ... p s q1 ... q h = p′1 ... p′t q′1 ... q′l
| {z }
| {z }
Osservazione. Si poteva ricorrere a questo argomento,
leggermente più raffinato. Consideriamo l’epimorfismo
ξ p : D [ x] → ( D /( p))[ x] che manda f ( x) in f¯( x) ( f valutato
modulo p in D ): se ( p) è primo D /( p) è un campo, e in
particolare il suo anello dei polinomi è integro. Ma allora
si avrebbe questo assurdo: ξ p ( f g) = ξ p ( f )ξ p ( g) = 0 (come
classe) senza che né ξ p ( f ) né ξ p ( g) siano (la classe) 0. ■
2
4
Per il Lemma di Gauss e per un’altra delle molte considerazioni precedenti 1 ∼ 3 e 2 ∼ 4. Dunque R è
UFD.
■
Prima di concludere il capitolo sugli anelli trattiamo un argomento di Algebra connesso con la Teoria dei
Numeri.
LEMMA. Sia F il campo dei quozienti di R : se F [ x] ∋
f ( x) 6= 0 allora si ha f ( x) = γ f ∗ ( x), ove γ ∈ F e f ∗ ( x) è
primitivo a coefficienti in R .
−1 n
−1
1
Dimostrazione. Sia f ( x) = c0 b−
0 + c1 b1 x + · · · + c n b n x :
Q
se consideriamo b = b j allora b f ( x) = h( x) ∈ R [ x].. Ma
allora h si scrive come h( x) = ch∗ ( x), ove χ(h) = c ∈ R e
h∗ ( x) è primitivo. Si ha dunque f ( x) = cb−1 h∗ ( x), come
volevasi.
■
Elementi invertibili e primi di Z[i] L’insieme
Z[ i ] = {a + ib | a, b ∈ Z} è sottoanello di C con le stesse
sue operazioni. Dotato della valutazione a + ib 7→ a2 + b2
esso diventa un ED. Abbiamo notato come in un ED gli
elementi invertibili siano tutti e soli quelli che hanno valutazione uguale aν(1) (che è l’elemento di valutazioni
minima). Vi sono allora 4 possibilità in Z[ i ]:
COROLLARIO. Siano f , g primitivi in R [ x]. Essi sono
associati in R se, e solo se lo sono in F = Q (R ).
Dimostrazione. (⇒) Ovvio.
(⇐): Siano f ( x) = u g( x) con u ∈ F : u = cb−1 . Se b f ( x) =
cg( x) si deve avere d ∼ c e dunque f ∼ g.
■
(Z[ i ])∗ = {1, −1, i, − i }
Tale premessa era necessaria a trattare un nuovo argomento: quali elementi in Z[ i ] sono primi? Essendo Z[ i ]
un UFD, ogni irriducibile è primo (il viceversa è sempre
vero). Basta allora studiare l’insieme degli irriducibili di
Z[ i ].
LEMMA. Sia f ( x) ∈ R [ x] di grado positivo.
Se f è
irriducibile in R [ x] allora lo è anche in F [ x] = Q (R )[ x].
Dimostrazione. Possiamo assumere f primitivo, perché
il contenuto di f è invertibile in F [ x]. Supponiamo per
assurdo f ( x) = f 1 ( x) f 2 ( x) con de g f 1 , deg f 2 > 0. Per il lemma f 1 ( x) = γ1 f 1∗ ( x) e f 2 ( x) = γ2 f 2∗ ( x) e dunque f ( x) =
γ1 γ2 f 1∗ ( x) f 2∗ ( x). Si ha allora f ∼ f 1∗ f 2∗ in F [ x]. Per il Corollario successivo al citato Lemma, f ∼ f 1∗ f 2∗ anche in
R [ x]. Ma ciò contraddice l’irriducibilità di f in [ x]. Per
evitare tale assurdo deve essere deg f 1 = 0
■
PROPOSIZIONE. x = a + ib ∈ Z[ i ] è primo se, e solo se
ν( x) = a2 + b2 è primo in Z.
Dividiamo la dimostrazione (piuttosto articolata e lunga) in vari casi. Dapprima supponiamo che x = a + ib
abbia parte intera e immaginaria entrambe non nulle.
7
Dimostrazione. (⇒) Supponiamo x primo in Z[ i ]. Se
a2 + b2 non è primo raccogliamo la massima potenza r t di
un primo nella sua fattorizzazione. Ora, (a + ib)(a − ib) =
r t s ove r, s sono coprimi. a + ib | r t s, dunque alternativamente a + ib | r t oppure a + ib | s. Supponiamo a + ib | r t :
esiste allora c + id tale che (a + ib)( c + id ) = r. Passando alle norme, (a2 + b2 )( c2 + d 2 ) = r2 = r t s( c2 + d 2 ). Ora,
se t ≥ 2 si avrebbe r t−2 s( c2 + d 2 ) = 1, cioè tutti e tre i
fattori sarebbero 1 (siamo infatti in N): r t−2 = 1 implica t = 2, s = 1, c2 + d 2 = 1 implica che c + id è invertibile. Ma se c + id = ±1, allora ±a(a + ib) = r implica
b = 0, assurdo. Analogamente c + id = ± i implicherebbe a = 0. Dunque t < 2, e può essere solo t = 1. Allora
r2 = (a2 + b2 )( c2 + d 2 ) = rs( c2 + d 2 ), cioè r = s( c2 + d 2 ). I
casi sono due, e sono entrambi assurdi, dato che r = s è
vietato per ipotesi, e r = a2 + b2 lo è nel momento in cui
si supponeva a2 + b2 non primo. Rimuovendo tale ipotesi
tutto funziona.
Se a + ib | s: (a + ib)( c + id ) = s implica che s2 = (a2 +
2
b )( c2 + d 2 ), cioè c2 + d 2 = s2 , s = r t ( c2 + d 2 ). Ma allora
r | s, e questo è impossibile per come abbiamo scelto r, s.
Dunque a + ib ∤ s.
(⇐) Viceversa se a2 + b2 = p è primo supponiamo a +
ib = x sia un prodotto di due fattori. a + ib = ( c + id )( g +
ih). Passando alle norme p = a2 + b2 = ( c2 + d 2 )( g2 + h2 ).
Ora, uno dei due fattori deve essere 1, e dunque x = uz
con u invertibile.
■
Viceversa supponiamo p ≡ 1 mod 4 (oppure p = 2, ma
questo caso si risolve subito). Allora p − 1 = 4h, con h =
p −1
2m ed m numero pari, m = 2 . E’ piuttosto semplice
notare che m! = z è soluzione della congruenza quadratica
x2 ≡ −1 mod p:
z2
≡
=
(1 · 2 · · · · m)((−1)(−2) ... (−m)) ≡
(1 · 2 ... m)( p − 1)( p − 2) ... ( p − m) =
p−1 p+1
1 · 2 ...
... ( p − 1)
2
2
cioè ( p − 1)! ≡ z2 ≡ −1 mod p, per il teorema di Wilson.
Allora z2 + 1 ≡ 0 mod p, cioè ( z + i )( z − i ) = k p, per un k ∈
Z. Si avrebbe dunque, supponendo p irriducibile dunque
primo, p | z + i, p | z − i entrambe assurde ( p è un numero
naturale!). Dunque p è riducibile.
■
Caratteristica di un anello Consideriamo il gruppo additivo di un anello R come modulo su Z: acquista senso l’operazione · : Z × R → R che manda (m, r) in
r + · · · + r (somma ripetuta m volte). Supponiamo esista
un k ∈ N tale che k · r = 0 per ogni r ∈ R . Tale k si dice
caratteristica dell’anello. Si indica con k = char R .
Osservazione. Se R è unitario, char R = minn∈N {n | n · 1R =
0}.
Osservazione. Se R è integro, k è zero oppure un numero
primo.
Supponiamo ora che uno dei due tra a, b sia nullo. Se
x = a è primo in Z[ i ] deve essere primo anche in Z, dunque x = p. Se x = ib, x ∼ b e x è irriducibile se, e solo se lo
è b. In ambo i casi dobbiamo cercare quali primi di Z sono
irriducibili in Z[ i ] (non lo sono tutti). Si cercano allora i
p ∈ Z[ i ], con p primo in Z che risultano riducibili in Z[ i ]
e li si esclude dall’insieme. La risposta a questo quesito,
quali siano i primi di Z irriducibili anche in Z[ i ], corrisponde ad un bellissimo risultato di Teoria dei Numeri
dovuto a Fermat.
Dimostrazione. Supponiamo k = ph: esiste r ∈ R tale che
·r 6= 0 e phr = 0. Supporre p < k porterebbe a un assurdo,
data la minimalità di k, dunque h = 1, p = k.
■
PROPOSIZIONE. Sia R un anello di caratteristica k. Allora R si immerge in un anello unitario di caratteristica k.
Tale anello è l’insieme A = Z × R se k = 0 e A = Z k × R se
k > 0. In entrambi i casi si dota l’insieme delle operazioni
• ( z1 , r 1 ) + ( z2 , r 2 ) = ( z1 + z2 , r + r 2 )
• ( z1 , r 1 )( z2 , r 2 ) = ( z1 z2 , z2 r 1 + z1 r 2 + r 1 r 2 )
TEOREMA (Fermat). Un primo p ∈ N si può scrivere come
Si mostra facilmente che A ha unità in (1, 0) e
caratteristica uguale a quella di Z (zero) o di Z k .
somma di due quadrati se, e solo se p ≡ 1 mod 4, oppure
se p = 2.
PROPOSIZIONE. Sia R un anello unitario di caratteristi-
Cosa implica questo risultato, è semplice vederlo: se
p = a2 + b2 , esso non è primo in Z[ i ], dato che ammette la
fattorizzazione non banale (a + ib)(a − ib). Allora, p ∈ Z[ i ]
sarà un primo se, e solo se esso è congruo a 3 mod 4.
Proviamo il teorema:
ca k.
• Se k = 0 allora Z si immerge naturalmente in R
mediante m 7→ m · 1R
• Se k > 0 la stessa applicazione ha nucleo kZ, dunque
R contiene una copia di Z k .
Dimostrazione. Sia p riducibile in Z[ i ]: p = (a + ib)( c + id )
e passando alle norme p2 = (a2 + b2 )( c2 + d 2 ). Allora si ha
2
=
• Tali copie degli anelli degli interi vengono detti sottoanelli fondamentali di R , e dipendono unicamente
dalla sua caratteristica.
2
• a + b 6= 1, perché a + ib non è invertibile, dunque
c2 + d 2 6= p2
• Per lo stesso motivo c2 + d 2 6= 1 e a2 + b2 6= p2 .
GRUPPI La definizione di gruppo è ben nota. Indichiamo con questo nome un insieme (evocativamente detto G ) dotato di una operazione binaria chiusa associativa
⋆ : G × G → G , e tale per cui esista un elemento unità
1G tale che a ⋆ 1G = 1G ⋆ a = a per ogni a ∈ G . Inoltre ogni elemento g ∈ G possiede un inverso g′ tale che
gg′ = g′ g = 1G .
Alcune osservazioni:
• Allora a2 + b2 = p = c2 + d 2 .
Cioè p si scrive come somma di due quadrati. Valutandolo modulo 4 esso può essere solo 0 + 0 = 0, 0 + 1 = 1 + 0 = 1,
1 + 1 = 2, dato che gli unici quadrati in Z4 sono 0 e 1. Ma p
non può essere multiplo di 4, né essere pari (congruo a 2)
e il cerchio si restringe alla sola possibilità p ≡ 1 mod 4.
8
• L’elemento neutro 1G è unico.
• L’inverso di un elemento è unico e si denota g
−1
DEFINIZIONE (Morfismo di gruppi). Siano (G, ∗) e ( H, ⋆)
due gruppi. Se ψ : G → H è tale che ψ( g 1 ∗ g 2 ) = ψ( g 1 ) ⋆
ψ( g 2 ) allora ψ si dice morfismo di gruppi. Se ψ è iniettiva
e suriettiva si dirà isomorfismo di gruppi.
.
• (a ⋆ b) = b−1 a−1 (l’inversione rispetta l’operazione di
gruppo twistando i fattori).
L’insieme delle applicazioni biiettive da G in H è a sua
volta un gruppo con la composizione di applicazioni, e
contiene come sottogruppo proprio Aut(G ) := Hom(G,G ).
• Vale la legge di cancellazione a destra e a sinistra.
• ax = b ha sempre (unica) soluzione in ba−1 .
Diremo abeliano un gruppo la cui operazione è commutativa. Inoltre l’ordine di (G, ⋆) sarà la cardinalità
dell’insieme G .
Alcuni esempi di gruppi:
TEOREMA (Cayley). Sia (G, ·) un gruppo: allora G è iso-
morfo ad un sottogruppo di S( X ) per un qualche insieme
X.
Dimostrazione. L’insieme X sarà proprio G . Consideriamo una opportuna applicazione τ ∈ S(G ): τa : G → G che
manda g in a · g è iniettiva per la legge di cancellazione e
suriettiva dato che a−1 gva in g per ogni g ∈ G . Consideriamo ora T = {τa | a ∈ G }. Esso è il sottogruppo di S(G )
cercato:
1. Insieme delle trasformazioni rigide che lasciano immutato un quadrato (rotazioni di k π4 , simmetrie
rispetto agli assi, identità).
2. L’insieme GLn (K) delle matrici invertibili a coefficienti in K.
3. L’insieme delle isometrie tra spazi vettoriali su K
dove sia definita una forma quadratica.
• τ1 è l’identità di T
1
• τ−
a = τa−1 e τab = τa ◦ τb
4. Dato un qualunque insieme, l’insieme
• L’applicazione φ : G → T che manda a in τa è
biiettiva e dunque si conclude che G ≃ T .
■
S( X ) := Mono( X ) ∩ Epi( X ) = Iso( X )
che viene detto gruppo simmetrico su X è un gruppo con l’operazione di composizione di funzioni. Nel
caso in cui X = n = {1,... , n} S( X ) = Sn si dice gruppo delle permutazioni di n oggetti. E’ facile vedere
(induzione) che #Sn = n!.
COROLLARIO. Se G è un gruppo finito, di cardinalità n
allora G ≃ Sn .
DEFINIZIONE (Sottogruppo Generato). Sia S ⊆ G non
vuoto. Allora definiamo il sottogruppo generato da S l’intersezione di tutti i sottogruppi di G contenenti S . Si
indica tale insieme con 〈S 〉 ed esso è della forma
DEFINIZIONE (Sottogruppo). Se G è un gruppo, è natu-
rale definire come sottogruppi i sottoinsiemi di G che ne
conservano la struttura.
〈S 〉 := {s1 s2 ... s r | s j ∈ S, r ∈ N}
Tre criteri per trovare i sottogruppi di un gruppo G dato
sono:
Notare come gli s j sono elementi di S o inversi di elementi di S , che a priori potrebbero non stare in S . Soprattutto
però non è detto che G sia abeliano, e dunque non sempre
sono ammesse “semplificazioni”, a meno che due elementi
uguali o inversi siano adiacenti3 .
• H ⊆ G è sottogruppo di G (si indica H ≤ G ) se contiene 1G , il prodotto di ogni coppia di suoi elementi
e l’inverso di ogni suo elemento.
• H ≤ G se, e solo se per ogni a, b ∈ H si ha ab−1 ∈ H .
DEFINIZIONE (Sistema di generatori). Sia G un gruppo.
Se esiste un insieme S ⊆ G tale che 〈S 〉 = G allora S si
dice sistema di generatori per G .
• Qualora H sia finito, H ≤ G se, e solo se è non vuoto
e chiuso per l’operazione di gruppo.
Mostrare questi fatti è un esercizio.
Alcuni esempi di sottogruppi:
Osservazione. Nel caso in cui S = {s}, cioè esiste un elemento di G tale che 〈s〉 = G , allora G si dice gruppo
ciclico.
• (Z, +) ha come sottogruppi gli mZ := {mz | z ∈ Z}
(ricorda qualcosa?).
Esempi di gruppi ciclici:
• In D4 (il gruppo diedrale di un quadrato, fatto
da 4 rotazioni e 4 simmetrie), l’insieme delle sole
rotazioni forma un sottogruppo.
⋆ (Z, +) è generato da 1.
• GL n (Q) ≤ GL n (R) ≤ GL n (C)
• {1, −1, i, − i } ≤ C è generato (ad esempio) da − i .
⋆ Ogni gruppo additivo Z n = Z /nZ è generato da 1
• (Z/nZ)∗ (gruppo moltiplicativo degli invertibili di
Z/nZ) è generato da un elemento r < n coprimo con
n.
• Q≤R≤C
• Se R è l’usuale retta reale definiamo A 1 := {γab : x 7→
ax + b | a, b ∈ R}. A 1 è sottogruppo di S(R).
• Il gruppo delle radici n–esime dell’unità è generato
da ζ n (o da una sua potenza ζ hn tale che (h, n) = 1.
Riguardo quest’ultimo esempio, se definiamo T1 := {γ1a ∈
A 1 | a ∈ R}, la funzione φ : R → T1 che manda λ ∈ R in γλ1 è
biiettiva e rispetta l’operazione di R. Allora i due gruppi
(R, +, 0) e (T1 , ◦, id) si dicono isomorfi (identici a meno di
un morfismo di struttura biiettivo). In generale
3 Volendo vedere la cosa da un punto di vista più generale,
indicando con S −1 l’insieme degli inversi degli elementi di S , e
Σ = S ∪ S −1 , allora 〈S 〉 è il monoide delle parole a elementi in Σ.
9
Un gruppo ciclico in notazione moltiplicativa è l’insieme
{ g k | k ∈ Z}, che rende G un modulo su Z.
Reticolo dei sottogruppi di un gruppo ciclico
〈a〉 = G
Osservazione. I gruppi ⋆ sono gli unici ciclici a meno di isomorfismi (gruppi ciclici infiniti sono isomorfi all’additivo
di Z, e gruppi finiti di ordine n sono isomorfi all’additivo
di Z n ).
〈a2 〉
〈a6 〉
Vi sono alcuni risultati sui gruppi ciclici:
PROPOSIZIONE. Sia G un gruppo ciclico generato da g.
Se G è infinito allora l’applicazione φ : Z → G che manda
n in g n è iniettiva. Se invece G è finito di ordine n allora
n è il minimo intero positivo tale che g n = 1. Si ha am =
1 ⇐⇒ n | m e J = {1G , g, g2 ,... , g n−1 }.
Dimostrazione. Se g n = g m allora g n−m = 1, dunque l’insieme {s > 0 | g s = 1} è non vuoto. Per l’assioma di buon
ordinamento ammette minimo, sia n. Ogni v ∈ Z si scrive
come v = nq + r, e dunque gv = g r . Questo mostra ambo
le affermazioni, dato che se G è finito ogni potenza del suo
generatore appartiene all’insieme J . Giocoforza se G è
infinito, m 6= n implica g n 6= g m , altrimenti gli elementi di
G si ripeterebbero.
■
DEFINIZIONE. Si dice ordine di g ∈ G la cardinalità del
sottogruppo generato da g. Se tale cardinalità è finita, essa è il minimo intero positivo tale che g n = 1G 4 . Si indica
con o( g).
PROPOSIZIONE. Sia H sottogruppo di un G ciclico. Allora
anche H è ciclico, e se G è infinito H è infinito oppure
banale. Se G è finito e |G | = n, |H | = q ove q | n. Inoltre
ad ogni q | n corrisponde esattamente un sottogruppo di
ordine q, ciclico e generato da an/ q .
Dimostrazione. Se H è ciclico e diverso dal sottogruppo
banale {1G } allora contiene un elemento g s 6= 1G . Sia
h = min{m ∈ N | g m ∈ H }. Mostriamo che H = 〈ah 〉: se
g ∈ H esso si scrive come g = ak = ahq ar . Ma allora
ar = ak−hq ∈ H ed h è minimale. Deve essere r = 0 e
dunque ak = (ah ) q . Se G è infinito allora anche H deve
esserlo. Nel caso invece che G sia finito di ordine n proviamo che q | n: si ha n = qh + t con 0 ≤ t < s. Allora
1G = g n = g qh g t = g t e per la minimalità di h si conclude.
Se ora q | n, H = 〈an/ q 〉 ha ordine q: se H ′ 〈aℓ 〉 è un altro
sottogruppo dello stesso ordine, si ha ℓ | n e |H ′ | = n/ℓ = q.
Ma allora ℓ = n/ q.
■
Osservazione. Supponiamo G finito. Indicato con D ( n) l’insieme dei divisori di n = |G | e con S (G ) l’insieme dei
sottogruppi di G , se G è ciclico #D (n) = #S (G ), cioè i
sottogruppi di G sono tanti quanti i divisori di |G |.
PROPOSIZIONE. Sia G ciclico finito, |G | = n. Se H1 , H2 ≤
G si ha H1 ≤ H2 se, e solo se |H1 | | |H2 |.
Dimostrazione. Sia |H1 | = q1 e |H2 | = q2 . Se H1 ≤ H2 è
ovvio che q1 | q2 . Viceversa se q1 | q2 a fortiori q1 | n ed
esiste un solo sottogruppo di G di ordine q1 : esso è allora
obbligato a stare dentro H2 .
■
4 Questa definizione non è dissimile da quella di caratteristica di un anello: (R, +) è infatti un gruppo e la sua caratteristica
viene definita di conseguenza.
〈a3 〉
〈a5 〉
〈a10 〉
〈a15 〉
〈a30 〉 = 〈id〉
PROPOSIZIONE. Sia G ciclico finito di ordine n generato da g. Sia poi k ∈ N: allora 〈 g k 〉 = 〈 gMCD( n,k) 〉. In più
n
|〈 g k 〉| = MCD(
n,k) .
Dimostrazione. (n, k) | k, dunque g k ∈ 〈 g( n,k) 〉 e 〈 g k 〉 ≤
〈 g( n,k) 〉. D’altra parte (n, k) = nr + tk e dunque g( n,k) =
g nr+ tk = g tk , cioè g( n,k) ∈ 〈 g k 〉 e 〈 g( n,k) 〉 ≤ 〈 g k 〉. Si ha
dunque l’uguaglianza tra i due sottogruppi.
■
COROLLARIO. Tutti i k tali che 〈 g k 〉 = G sono quelli co-
primi con n: essi sono dunque in numero di φ(n), ove
φ : n 7→ Card{m ∈ N, m < n | ( m, n) = 1} è la valutazione
di Eulero.
LEMMA. Sia G un gruppo ciclico, a, b ∈ G . Supponiamo
|〈a〉| = n, |〈b〉| = m, (m, n) = 1. Se ab = ba si ha che
• 〈a〉 ∩ 〈b〉 = 〈id〉
• 〈a, b〉 = 〈ab〉
• |〈ab〉| = |〈a〉| · |〈b〉|
Dimostrazione. |〈a〉∩〈b〉| divide sia m che n, dunque divide il loro MCD. Allora |〈a〉 ∩ 〈b〉| = 1 e l’unico sottogruppo
di ordine 1 è quello banale. In secondo luogo ovviamente
〈b〉 ≤ 〈a, b〉. D’altra parte (ab)m = am e 〈am 〉 = 〈a〉. Allora
〈a〉 ≤ 〈ab〉 e analogamente si ha per b. Da ciò l’uguaglianza. Da ultimo se (m, n) = 1 e m, n | |〈ab〉|, si ha anche
mn | |〈ab〉|, e (ab)mn = 1 implica che |〈ab〉| | mn.
■
PROPOSIZIONE. Sia G un gruppo abeliano finito. Allora
esiste a ∈ G tale che o( g) | o(a) per ogni g ∈ G (cioè o(a) è
il minimo intero positivo tale che g k = 1 per ogni g ∈ G ).
Dimostrazione. Sia a ∈ G di ordine massimo: o(a) = n e
o(a) > o( g) per ogni g ∈ G . Proviamo che o( g) | o(a). Se
per assurdo esistesse b ∈ G tale che o(b) ∤ o(a) dovrebbe
esistere p primo tale che pα || o(b) (α è cioè la massima
potenza di pche dive o(b)), ma pα ∤ o(a) ed esiste β < α
tale che pβ || o(a). Poiché esiste b1 ∈ 〈b〉 di ordine pα ed
esiste a1 ∈ 〈a〉 di ordine n/ pβ , per il Lemma precedente
si ha (essendo ovviamente o(a1 ), o(b1 ) coprimi) o(a1 b1 ) =
npα−β > n, assurdo.
■
DEFINIZIONE (Prodotto diretto di Gruppi). Siano G 1 ,G 2
due gruppi. Allora l’insieme H = G 1 × G 2 acquista naturalmente struttura di gruppo ponendo ( x1 , y1 )( x2 , y2 ) =
( x1 x2 , y1 y2 ).
Questo è quello che si dice prodotto diretto esterno di
G 1 ,G 2 . Alcune proprietà:
10
• Il prodotto G 1 × G 2 è abeliano se, e solo se lo sono
ambo i suoi fattori.
• G 1 × G 2 ha due sottogruppi H1 = {( x, 1G 2 ) | x ∈ G 1 } e
H2 = {(1G 1 , y) | y ∈ G 2 } tali che
– H1 ∩ H2 è il gruppo banale;
– Ogni elemento di H1 commuta con ogni
elemento di H2
DEFINIZIONE (Indice di H ≤ G ). Sia H ≤ G . Definiamo
indice di H in G la cardinalità dell’insieme delle classi
laterali destre (o sinistre) di H . Si indica con [G : H ].
Ora, per ognuna delle classi laterali di H in G fissiamo un rappresentante t, e consideriamo l’insieme di tali rappresentanti, T . Esso si dice sistema completo, o
trasversale di H in G . Si ha
G=
– G = H1 H2 = {h1 h2 | h1 ∈ H1 , h2 ∈ H2 } in modo
unico.
• H1 ≃ G 1 , H2 ≃ G 2 (si vede, esplicitare).
Alternativamente, se disponiamo di un gruppo G con due
sottogruppi tali che si intersechino nell’identico, commutino e generino G , possiamo definire il prodotto diretto
interno di H1 , H2 a generare G . Si dice anche che G si
fattorizza nel prodotto di due sottogruppi H1 , H2 : ovviamente la nozione può essere estesa al prodotto di n gruppi
o di n sottogruppi che fanno da fattore a G 5 .
G
t ∈T
Ht =
G
tH
t ∈T
PROPOSIZIONE. Supponiamo G finito (altrimenti serve
un qualche Lemma zarro di teoria degli insiemi): allora
anche T è finito ([G : H ] lo è, e ovviamente #T = [G : H ]).
Allora
r
X
G
G=
H ⇐⇒|G | =
|Ht j | = r|H |
t ∈T
j =1
cioè |G | = [G : H ]|H |.
Abbiamo stabilito il Teorema di Lagrange.
Relazioni compatibili su sottogruppi Abbiamo TEOREMA. Sia G un gruppo finito. Se H ≤ G allora |H | |
utilizzato, nella precedente sezione, una notazione di
“prodotto” tra sottogruppi: rendiamo rigorosa la cosa.
Sia G un gruppo, e siano A, B ⊆ G . Intendiamo AB :=
{ab | a ∈ A, b ∈ B}. Tale operazione di “prodotto” è associativa. Nel caso particolare in cui uno dei due insiemi sia
un singoletto e l’altro sia un sottogruppo, abbiamo
Ha = {ha | h ∈ H }
aH = {ah | h ∈ H }
Come vedremo tra poco questa nozione è strettamente collegata alla possibilità di definire una relazione
compatibile su un gruppo G .
• Ha si dice classe laterale destra di H in G
contenente a
• aH si dice classe laterale sinistra di H in G
contenente a
Possiamo allora definire una relazione ̺D tra gli elementi di G , a̺D b ⇐⇒ ba−1 ∈ H ≤ G . Tale relazione è una
equivalenza, e le classi in cui G è partizionato sono esattamente i laterali destri di a ∈ G modulo il sottogruppo
H.
Se Ha, Hb sono due classi laterali destre, può accadere
(disgiuntivamente) Ha = Hb (se a̺D b) oppure Ha ∩ Hb =
∅, se a, b non sono in relazione. Analogamente definiamo
l’equivalenza sinistra e la classe di equivalenza di [a] è il
laterale sinistro di a modulo H .
|G | e precisamente |G | = [G : H ]|H |.
Osservazione. Tale risultato era già valido per gruppi
ciclici.
Questo strumento è molto potente e utile per stabilire
tutta una serie di corollari.
COROLLARIO. Supponiamo |G | = n. Allora x n = 1G per
ogni x ∈ G .
Dimostrazione. Sia H = 〈 x〉:
1[gG :H ] = 1G
x n = x|G | = x|H |[G :H ] =
■
COROLLARIO. Sia φ : n 7→ Card{m ∈ N, m < n | ( m, n) = 1}
la valutazione di Eulero. Se MCD(a, n) = 1 allora aφ( n) ≡ 1
mod n.
Dimostrazione. Prendiamo £G = (¤Z/nZ)∗ . Allora |G | =
φ( n). Ma [ a]φ( n) = [1] = aφ( n) e dunque aφ( n) ≡ 1
mod n.
■
Osservazione. Si fissino a ∈ G e H ≤ G . Consideriamo l’applicazione φD : H → Ha che manda h in ha: essa è visibilmente biiettiva (l’inversa manda ha in h) e dunque
#H = #Ha. Similmente si può definire una φS : H → aH
che porta a concludere che #H = #aH : allora #Ha = #aH .
5 E anzi si può estendere il concetto ad una famiglia di indici
qualunque, λ ∈ Λ e definire il prodotto di gruppi sulla famiglia
Q
indiciata (G λ )λ∈Λ come G = λ∈Λ G λ : ogni fattore trova una
immagine canonica nel prodotto mediante l’uso della proiezione
e della immersione canonica.
11
Facciamo alcuni esempi:
• Sia G = S3 , H = 〈(1 2 3)〉: per trovare la decomposizione in classi di G attraverso H si trovano le classi H = {(1 2 3), (1 3 2), id}, poi si sceglie un elemento
che non sta in H e si costruisce (mediante prodotti di quell’elemento con gli elementi di H ) la classe
H (1 2) = {(1 2), 2( 3), (1 3)}. Abbiamo coperto l’intero
S3 , dunque abbiamo finito: [G : H ] = 2.
• Si prenda ancora G = S3 , ma H = 〈(1 2)〉. Allora H = {(1 2), id}, H (2 3) = {(2 3), (1 2 3)}, H (1 3 2) =
{(1 3 2), (1 3)}.Allora [G : H ] = 3.
• Sia G = (C× , ·), H = U. Prendendo ̺D relativa ad U si
ha a̺D b ⇐⇒ ab−1 ∈ U, cioè |ab−1 | = |a||b|−1 = 1 ⇐⇒
|a| = |b|. U a sarà dunque la classe formata dai complessi di modulo uguale a quello di a (circonferenza
di raggio a nel piano di Gauß).
DEFINIZIONE (Sottogruppo Normale). H ≤ G si dice nor-
male in G se xH = Hx per ogni x ∈ G (chiaramente si
parla di uguaglianza di insiemi). Equivalentemente H si
dice normale in G se la relazione ̺D coincide con la ̺S .
Si scrive H E G .
Alcune osservazioni:
• I sottogruppi banali di G sono sempre normali;
• Se G è abeliano ogni suo sottogruppo è normale (il
viceversa non vale).
Se [G : H ] = 2 esistono due sole classi laterali, H e G \ H ,
dunque H E G .
ESEMPIO. Definiamo da Sn su {1, −1} la mappa ǫ : σ 7→
Q
σ( j )−σ( i)
, detta parità. Allora A n = ker ǫ è un soti< j
j−i
togruppo normale di Sn . Intuitivamente la cosa è ovvia: una permutazione è alternativamente pari oppure
dispari.
ESEMPIO. Sia G = D 8 il diedrale dell’ottagono. H =
〈 ̺ 8 〉 ≤ D 8 , e le classi sono H e σH = G . Allora H E D 8
PROPOSIZIONE. Sia G un gruppo, H ≤ G . Le seguenti
sono equivalenti:
Comincia ora una parte che sa di già visto: esiste una
forte connessione tra teoria degli ideali di un anello e teoria dei sottogruppi normali di un gruppo. Sarà allora utile stabilire un dizionario mentale che traduca i termini
dell’una teoria nell’altra e viceversa: tramutando pochi
dettagli e nomi di oggetti si riotterranno idee analoghe.
Sulla stranezza di affrontare prima gli anelli dei gruppi
invece, nessuno si è pronunciato.
(Equivalenza Compatibile). Definiamo
compatibile con l’operazione di gruppo una relazione di
equivalenza tale che (a ̺ b, c ̺ d ) ⇒ ac ̺ bd .
DEFINIZIONE
Se ̺ è compatibile, consideriamo il quoziente G / ̺ .
Si può definire una operazione [ x][ y] = [ x y] rispetto alla
quale G / ̺ diventa un gruppo.
Osservazione. Le relazioni ̺S , ̺D son compatibili: se
N E G resta indotta una relazione ̺ = ̺D = ̺S che è
compatibile (data la normalità di N )
Si può allora osservare lo stretto legame esistente tra
relazioni compatibili su un gruppo e sottogruppi normali
dello stesso. Sia ̺ una relazione compatibile su G , e N ≤
G , N = { x ∈ G | x̺1}. Allora N E G (facile):
• 1 ∈ N data la riflessività di ̺;
1. H E G ;
• x ̺ y ⇒ x y −1 ∈ N ;
2. xHx−1 = H per ogni x ∈ G ;
3. xhx−1 ∈ H per ogni h ∈ H , x ∈ G (cioè H contiene i
coniugati di tutti i suoi elementi).
Dimostrazione. 1 ⇒ 2: Se H E G xH = Hx: per ogni h1 ∈
H esiste h2 ∈ H tale che xh1 = h2 x, per ogni x ∈ G . Ma
allora h2 = xh1 x−1 .
2 ⇒ 3: Ne è un caso particolare.
3 ⇒ 1: Sia h ∈ H , x ∈ G . Ma allora hx = x( x−1 hx) ∈
xH per ipotesi. Dunque Hx ⊆ xH . Analogamente xh =
( xhx−1 ) x ∈ Hx e xH ⊆ Hx.
■
Questo criterio è comodo da sfruttare per mostrare
certi risultati.
• Sia K un corpo commutativo.
GL n (K).
Allora SLn (K) E
• x ̺ y ⇒ x −1 y ∈ N .
In tal modo ogni ̺ compatibile definisce un sottogruppo
normale, e ogni sottogruppo normale definisce (mediante
la nozione di laterale destro/sinistro) una relazione compatibile. Possiamo allora adottare la scrittura G / N per
indicare il quoziente G /̺.
Le analogie non si fermano qui: su G / N possiamo definire una operazione tra classi che rende tale insieme un
gruppo. Se [ x] = N x, [ y] = N y sono le due classi si pone
[ x][ y] = ( N x)( N y) = N ( x y) = [ x y]
sono allora ben definite la classe neutra N = N · 1G e
l’inverso della classe [ x], ( N x)−1 = N x−1 .
G / N si dirà allora gruppo quoziente di G modulo il
sottogruppo normale N .
• E’ facile convincersi che |G / N | = [G : N ].
• Con identica mossa atletica si può mostrare che il
sottogruppo di S(R) delle traslazioni è normale in
S(R).
• Se N E G resta definito l’epimorfismo canonico
π : G → G / N che manda g ∈ G nella classe N g.
• Se π ∈ Hom(G,G ′ ) allora restano definite im φ =
{φ( g) | g ∈ G } ≤ G (in generale non è normale in G ′ !)
e ker φ = { g ∈ G | φ( g) = 1G ′ } E G . Similmente si ha
DEFINIZIONE (Centro di un Gruppo). Sia G un gruppo.
Definiamo l’insieme
Z(G ) := {x ∈ G | x g = gx ∀ g ∈ G }
Esso si dice centro di G . E’ facile vedere che
che Z(G ) E G .
– φ ∈ Mono(G,G ?) ⇐⇒ ker φ = {id}
– φ ∈ Epi(G,G ′ ) ⇐⇒ im φ = G ′
Z(G ) ≤ G , e
Osservazione. G abeliano ⇐⇒ Z(G ) = G
DEFINIZIONE (Gruppo semplice). Sia G un gruppo. Se
G non ha sottogruppi normali non banali esso di dice
semplice.
– φ ∈ Iso(G,G ′ ) ⇐⇒ φ ∈ Mono(G,G ′ ) ∩ Epi(G,G ′ )
Osservazione. I sottogruppi normali di G sono tutti e soli i
nuclei di qualche morfismo da G in un altro gruppo.
Sussistono degli analoghi anche dei teoremi di isomorfismo:
12
TEOREMA (Fondamentale di omomorfismo tra gruppi).
Sia φ : G → G ′ un omomorfismo di gruppi. Allora esiste un unico isomorfismo φ∗ : G /ker φ → im φ tale che
φ = φ∗ ◦ π se π è la proiezione canonica sul quoziente.
TEOREMA (ISO di Gruppi 1). H ≤ G , N E G . Allora HN ≤
G , N ∩ H ≤ H , e ψ : x( N ∩ H ) 7→ xN è isomorfismo da H / N ∩
H a HN / N . Graficamente:
G
Dimostrazione. E’ un ricalco fedele della dimostrazione
data in Teoria degli Anelli: se φ∗ esiste, essa deve essere
definita come φ∗ ( N g) = φ( g), e tutto segue naturalmente.
■
Osservazione. Ogni immagine omomorfa di G è isomorfa
a un suo quoziente (ad esempio GL n (K)/SLn (K) ≃ K \ {0},
oppure Sn /A n ≃ {1, −1}).
DEFINIZIONE. Sia G un gruppo. φ si dice automorfismo
se è un isomorfismo da G in sé: Aut G := Iso(G,G ).
Se G è abeliano (provare), l’inversione x 7→ x−1 è un
automorfismo.
Osservazione. Aut G ≤ S(G ).
NH
N
TEOREMA (ISO di Gruppi 2). Siano H, N E G e N ≤ H .
Allora H / N E G / N e (G / N )/(H / N ) ≃ G /H .
Dimostrazione. Sia α : G / N → G /H che manda la classe
xN nella classe xH . Essa è ben posta per il fatto che xN ⊆
xH , e rispetta le operazioni. Essa è inoltre suriettiva e
ker α = { xN | x ∈ H } = H / N .
■
Alcuni esercizi utili.
• Se G è tale che g2 = 1 per ogni g ∈ G allora è
abeliano.
– (ab)2 = abab = 1, allora ba = a−1 b−1 . Essendo
a2 = 1 = b2 , a = a−1 , b = b−1 e dunque ab = ba.
■
• Sia G un gruppo finito di ordine n. Se MCD( p, n) = 1
la mappa x 7→ x p è biiettiva da G in sé stesso.
Osservazione. Inn G = {id} se, e solo se Z(G ) = G , cioè se G
è abeliano. Di converso Z(G ) = {id} se, e solo se Inn G = G .
– Iniettività: x p = y p implica ( x y−1 ) p = 1, cioè
x y−1 = 1, x = y. Suriettività: esistono coefficienti r, s tali che pr + ns = 1: allora G ∋ g =
g1 = g pr+ns = g pt g ns = g pt = ( g t ) p e dunque
ogni g ∈ G si scrive come una certa potenza
p–esima.
Come ulteriore analogia osserviamo che se φ ∈
Hom(G,G ′ ), essa manda sottogruppi (normali) di G in
sottogruppi (normali) di G ′ , e sottogruppi (normali) di G ′
vanno in sottogruppi (normali) di G che contengono ker φ
mediante la sua antimmagine.
Da ultimo
• Sia G ciclico di ordine 6. Trovare un automorfismo
di G non interno.
TEOREMA (Corrispondenza). Siano G,G ′ gruppi e sia
φ ∈ Epi(G,G ′ ). Allora l’applicazione che associa ad H ≤ G
il sottogruppo φ(H ) ≤ G ′ è biiettiva tra i sottogruppi di G
contenenti ker φ e i sottogruppi di G ′ . Tale corrispondenza manda sottogruppi normali in sottogruppi normali; la
mappa gH 7→ φ( g)H è isomorfismo.
– Confrontare con il risultato precedente.
• G sia un gruppo, e φ : x 7→ x2 . Mostrare che φ ∈
End(G ) se, e solo se G è abeliano, che se G ha ordine dispari allora φ ∈ Aut G e dare un esempio per
cui φ è solo iniettiva e uno per cui è solo suriettiva.
■
– E’ facile vedere che φ rispetta le operazioni.
Per quanto visto prima se |G | è dispari x2 è un
automorfismo. Infine, preso (Z, +) φ : z 7→ 2 z è
iniettiva ma non suriettiva, e preso (C× , ·) φ :
w 7→ w2 è suriettiva ma non iniettiva.
DEFINIZIONE (Sottogruppi Permutabili). Siano H, K ≤
G . Essi si dicono permutabili se HK = K H nel senso
insiemistico.
PROPOSIZIONE. H, K ≤ G sono permutabili se, e solo se
HK ≤ G .
• Siano G, H gruppi ciclici finiti di ordini m, n. Supponiamo φ : G → H suriettiva. Allora n | m e se G = 〈 x〉,
H = 〈 y〉 esiste un φ ∈ Epi(G, H ) che manda x in y
(generatori vanno in generatori).
Dimostrazione. Se HK ≤ G allora K H ⊆ HK dato che
1 −1
se h1 k1 (h2 k2 )−1 ∈ HK allora h1 k1 k−
2 h 2 ∈ HK , e kh =
h(h−1 kh) ∈ HK . In seguito (K H )−1 ⊆ H −1 K −1 ⊆ K −1 H −1
⇒ HK ⊆ K H .
■
PROPOSIZIONE. N E G implica che N permuta con tutti
i sottogruppi di G .
Diremo allora NH := 〈 N, H 〉 e NH / N := { N x | x ∈ H }.
NH
H
≃
N ∩H
N
N ∩H
Consideriamo ora la mappa τa ∈ Aut G che manda g
in aga−1 (coniugazione di g attraverso a). Allora possiamo definire un’altra mappa T : G → Aut(G ) che manda
a ∈ G in τa : si nota facilmente che T (ab) = T (a) ◦ T (b)
e che im T ≤ Aut G . Infine ker T = {a ∈ G | τa ( g) = id}
corrisponde a Z(G ): in tal modo G /Z(G ) ≃ im T =: Inn G
(sottogruppo degli automorfismi interni di G ).
Dimostrazione. Tradurre il caso degli anelli.
H
=⇒
– BOH?
PROPOSIZIONE. Siano A, B ≤ G entrambi finiti. Definia-
mo AB = {ab | a ∈ A, b ∈ B}. La cardinalità di tale insieme
è # AB = #(#AA∩#BB) .
13
Dimostrazione. Se A ∩ B = 〈id〉 coppie di elementi distinti
danno luogo a elementi distinti, dunque # AB = # A #B. In
generale consideriamo il prodotto cartesiano A × B dotato
di una relazione conveniente:
sono tante quante le possibili struttura cicliche di una
permutazione in Sn 6
■
Una serie di esercizi di meditazione:
• Sn è generato da {(1 2), (2 3),... , (n − 1 n)} oppure da
{(1 2), (1 2 ... , n)}
(a, b) ∼ (a′ , b′ ) ⇐⇒ ab = a′ b′
• Sn è a centro identico per ogni n ≥ 3.
tale relazione è una equivalenza, e in particolare partiziona A × B. Dunque si ha # A #B = #( A × B). D’altronde,
se consideriamo il quoziente A × B/ ∼ la classe [(a, b)] è
fatta dalle coppie (a′ , b′ ) tali che ab = a′ b′ , cioè a′ = ai ,
b′ = i −1 b (ove i ∈ A ∩ B). Perciò #[(a, b)] = #( A ∩ B) e si ha
#( A × B) = # AB#( A ∩ B). Da ciò la tesi.
■
• Dn (gruppo diedrale sull’n–agono regolare) è generato da (1 2,... , n) (una rotazione) e da una trasposizione che corrisponda ad una riflessione rispetto
a uno degli n assi del poligono. La rotazione può
essere rappresentata geometricamente come la mol2π
tiplicazione per il numero complesso e n , oppure Dn
stesso si può pensare isomorfo al gruppo Un ≤ U
delle radici complesse del polinomio x n − 1 ∈ C[ x].
PROPOSIZIONE. Sia G un gruppo e H ≤ G . H si dice di
indice finito se [G : H ] < +∞. Se H ≤ K ≤ G e [G : K ] =
m, [K : H ] = n entrambi finiti, allora anche [G : H ] è finito
ed è uguale a nm.
Dimostrazione. Basta trovare un trasversale di H in G
di cardinalità nm. Siano S un trasversale destro di H
in K e T un trasversale destro di K in G : allora #S = n,
#T = m. Definiamo ST := {s · t | s ∈ S, t ∈ T } e diciamo
che esso è un trasversale per H in G : se g ∈ G infatti
esso si scrive come kt, essendo T un trasversale, e k = hs
essendo S un traversale. Allora g = h · ts per un certo st ∈
1 −1
ST . Se poi consideriamo (s1 t1 )(s2 t2 )−1 = s1 t1 t−
2 s2 ∈ H ≤
−1
−1
K . Allora s1 us2 ∈ K implica u = t1 t2 ∈ K , ma essendo T
1
un trasversale si ha t1 = t2 . Similmente allora s1 s−
2 ∈H
implica s1 = s2 .
■
Classi coniugate in Sn
DEFINIZIONE (Permutazioni coniugate). Siano σ2 , σ2 ∈
Sn . Esse si dicono coniugate se esiste τ in Sn tale che
σ2 = τσ1 τ−1 .
PROPOSIZIONE. Siano σ, τ ∈ S n e σ′ = τστ−1 . Se σ si
spezza nel prodotto di cicli γ1 ,... , γ r allora σ′ si spezza in
un altro prodotto di cicli γ′1 ,... , γ′r tali che γ i ha la stessa
struttura ciclica di γ′i . Si dimostra anche che gli elementi
di γ′i sono le immagini degli elementi di γ i mediante τ.
Dimostrazione. Basta mostrare che se due elementi sono
consecutivi in un ciclo di σ (ossia σ( x1 ) = x2 ) allora τ( x1 ) =
τ( x2 ) sono consecutivi per σ′ :
τστ−1 (τ( x1 )) = τσ( x1 ) = τ( x2 )
in tal modo σ(τ( x1 )) = τ( x2 ).
struttura ciclica di σ′ si ha
Per quanto riguarda la
• Se ̺ n è la rotazione e σ la riflessione, Dn = 〈̺ n , σ〉, e
̺ j σ = σ̺ n− j .
Azione di un Gruppo su un Insieme Quello che
ora affrontiamo è l’argomento più storicamente fertile e
concettualmente pregnante della teoria dei Gruppi (considerandola, certo, priva del suo sottoinsieme “Galois”).
La teoria degli anelli (e la teoria dei campi, legata ad essa, che vedremo poi) tratta proprietà di insiemi di numeri. La teoria dei gruppi invece, oltre a poter fare questo
(molti insiemi di numeri sono gruppi, il gruppo additivo
per eccellenza è (Z, +)), permette di trattare l’onnipervasivo concetto di trasformazione: i legami, profondissimi,
tra Teoria dei Gruppi e Geometria non possono non saltare all’occhio, nel momento in cui un insieme di oggetti (le
“figure” geometriche, appunto) acquista una particolare
geometria non appena si decida quale insieme (gruppo)
di trasformazioni (affinità, rigidità, permutazioni?) far
agire su di essi, e implicitamente quali siano le figure
invarianti per quelle trasformazioni.
DEFINIZIONE (G –Insieme). Sia X un insieme (cui non
è richiesta alcuna proprietà a priori) e G un gruppo. Si
dice che G agisce su X se esiste una operazione binaria
‫ ג‬: G × X → X tale che 1G ‫ ג‬x = x per ogni x ∈ X e gh‫ ג‬x =
g‫( ג‬h‫ ג‬x) per ogni x ∈ X , g, h ∈ G .
Osservazione. Spesso (anzi, fin da subito) indicheremo ‫ג‬
semplicemente con nulla, ma il contesto dovrà sempre
suggerire se l’operazione cui stiamo facendo riferimento
è l’azione di G su X oppure il prodotto tra elementi di G .
Vi sarà occasione di fraintendimento, come vedremo da
subito.
6 Le possibili strutture cicliche di una permutazione sono tan-
σ′ = τστ−1 = τ(γ1 ... γ r )τ−1 = τγ1 τ−1 ... τγ r τ−1
e dunque la struttura ciclica di σ è la stessa di σ′ .
Il procedimento può essere rovesciato: date σ1 , σ2 con
la stessa struttura ciclica esiste una τ che le coniuga.
Se σ = γ1 ... γ t , σ′ = γ′1 ... γ′r e γ′i = ( x1( i) ... x(mi)i ) e γ′i =
te quante le possibili partizioni dell’intero n: a titolo di esempio
formativo, la funzione di partizione, che associa ad n il numero di modi diversi in cui n può essere ottenuto come somma di
interi, non possiede una forma chiusa: Ramanujan ha derivato
questa stima asintotica:
( i)
( y1( i) ... ym
) allora definiamo τ( x(ji) ) = y(ji) . E’ facile vei
rificare che la cosa funziona: le classi coniugate allora
14
p ( n) ∼
e
´
³ p
π 2 n/3
,
p
4n 3
n→∞
Elenchiamo i (molti) modi diversi in cui G può agire su
(molti) X diversi:
GRUPPO
S(X )
G
G
G
G
G
INSIEME
X
G
G
P (G ) \ {∅}
H ≤G
{ xH | x ∈ G }
AZIONE
(σ, x) 7→ σ( x)
( gx) 7→ g · x
( g, x) 7→ gx g−1
( g, S ) 7→ gS g−1
( g, H ) 7→ gH g−1
( g, xH ) 7→ gxH
Def. di S(X )
· di gruppo
Coniugazione
Coniugazione
Coniugazione
azione sx.
Potendo allora scegliere un rappresentante per ognuna
delle orbite distinte in cui l’equivalenza partiziona X si
ha X = [ x1 ] ⊔ [ x2 ] ⊔ · · · ⊔ [ x t ]. Ma allora vale anche
|X | =
E’ molto importante notare una profonda equivalenza
tra due concetti. Supponiamo di avere una fissata azione ‫ ג‬: G × X → X e un fissato g ∈ G . Allora l’applicazione f g : x 7→ gx è biiettiva e in più la mappa g 7→ f g è
omomorfismo (iniettivo) di gruppi da G in S(G ).
La mappa g 7→ f g è quella che si dice una rappresentazione permutazionale associata all’azione di gruppo. Viceversa se φ ∈ Hom(G, S(G )) per un gruppo G agente su
X e manda g in f g , la posizione ( g, x) 7→ f g ( x) definisce
l’azione di G in X la cui rappresentazione associata è f .
Diremo grado della rappresentazione (o dell’azione) la cardinalità dell’insieme
X.
DEFINIZIONE (Orbita). Definiamo su X la relazione x ∼
y ⇐⇒ y = g‫ ג‬x per qualche g ∈ G . Tale relazione è una
equivalenza, e la classe di [ x], elemento del quoziente, si
dice orbita di x, o classe di isotropia.
O( x) := { y ∈ X | y = g‫ ג‬x, ∃ g ∈ G }
DEFINIZIONE (Stabilizzatore). Sia G un gruppo agente
su X . L’insieme
|G | =
COROLLARIO. Avendosi |G | = |StG ( x)|[G :
StG ( x)]
vale
Vi sono dei casi in cui lo stabilizzatore di un elemento
x assume un nome particolare (sono prettamente i casi in
cui G agisce su se stesso o su suoi sottoinsiemi propri):
• Se G agisce su G l’azione è la coniugazione degli elementi, l’insieme StG ( x) = { g ∈ G | gx g−1 = x} = { g ∈
G | gx = x g} prende il nome di centralizzante di x in
G . Si indica allora con CG ( x).
• Nel caso della coniugazione di sottoinsiemi e sottogruppi StG (H ) = { g ∈ G | gH = H g} si dice
normalizzante di H in G , e si indica con NG (H ).
[G : StG ( x i )]
x∈T
[G : StG ( x)] =
X
x∈T
|G |
|C( x)|
X
|G |
x∈T \Z(G )
|C( x)|
ove X g := { x ∈ X | gx = x} (elementi fissati da g ∈ G ).
Dimostrazione. Sia N la cardinalità dell’insieme dei
( g, x) entrambi variabili tali che gx = x. Vi sono, fissato g, | X g | coppie in tale insieme che contengono g. Ma vi
sono anche StG ( x)| coppie che contengono x come secondo
elemento: ma allora
perché
anche |G | = |O( x)||StG ( x)|.
i =1
TEOREMA (Burnside). Sia X un G –insieme finito e G un
gruppo finito. Allora il numero s di orbite in X rispetto
all’azione di G è
1 X
|X g|
s=
|G | g ∈G
si dice stabilizzatore di x ∈ X .
1
−1
Osservazione. g 1 x = g 2 x ⇐⇒ g−
2 g 1 x = x ⇐⇒ g 2 g 1 ∈
St g ( x) ⇐⇒ g1 ∈ g2 StG ( x). Da ciò segue che l’applicazione
O( x) → { g St( x) | g ∈ G } è ben definita e biiettiva (provare).
Dunque |O( x)| = [G : StG ( x)] per ogni x ∈ X .
X
|G | = |Z(G )| +
N=
StG ( x) ≤ G per ogni x ∈ X .
t
X
COROLLARIO. Se scegliamo un sistema trasversale di
rappresentanti che però sia non centrale, l’equazione
delle classi si può riscrivere come
StG ( x) := { g ∈ G | g‫ ג‬x = x}
Osservazione.
i =1
|[ x i ]| =
La relazione appena scritta prende il nome di equazione
delle classi. Nel caso di una particolare azione l’equazione
delle classi può essere resa più specifica: se l’azione è la
coniugazione si ha
DEFINIZIONE (Grado di una Rappresentazione). Sia
‫ ג‬un’azione di G su X .
t
X
P
X
g ∈G
|X g | =
1
x∈X |O( x)|
X
x∈X
|StG ( x)| = s|G |
somma a 1.
X
x∈X
1
|O( x)|
■
Diamo alcune definizioni di spessore non nullo. Se
φ è la rappresentazione associata all’azione, φ : G →
S(X ), consideriamo ker φ = { g ∈ G | φ( g) = idX }. Ovviamente ker φ ≤ StG ( x) per ogni x ∈ X , e dunque
T
T
ker φ ≤ x∈X StG ( x). Viceversa se x ∈ x∈X StG ( x) esso
appartiene a ker φ, dunque
ker φ =
\
StG ( x)
x∈X
ker φ si dice nucleo dell’azione: l’azione si dice transitiva
se vi è una sola orbita, fedele se è iniettiva (cioè se ker φ =
〈idG 〉, regolare se è transitiva e StG ( x) = idG per ogni x ∈
X.
Notare che ogni azione regolare è fedele.
Ridisegniamo la tabella precedente:
Supponiamo ora che entrambi G e X siano insiemi finiti.
Acquista interesse il problema di contare orbite, elementi
degli stabilizzatori ecc.
15
G, X
S(X ), X
G,G
G,G
G, P (G ) \ {∅}
G, { H | H ≤ G }
G, { xH | x ∈ G }
AZIONE
permutazione
prodotto
coniugazione
“”
“”
az. sui laterali
STAB.
StG ( x)
idG
CG ( x)
NG (S)
NG (H )
xHx−1
ker φ
id (⋆)
idG ()
Z(G )
Z(G )
T
H
≤
G NG ( H )
T
x∈G StG ( x)(♣)
Osservazione. ⋆ è transitiva, è l’unica regolare, e ♣
è l’unica azione transitiva a meno di equivalenze (vedi
dopo).
Per l’azione sulle classi sinistre osserviamo che
Questo il risultato finale:
TEOREMA. Sia G un gruppo abeliano finitamente generato. Allora G si fattorizza nella somma diretta di gruppi
ciclici, e cioè a meno di isomorfismi
gxH = xH ⇐⇒ x−1 gxH = H ⇐⇒ x−1 gx ∈ H ⇐⇒ g ∈ xHx−1
Questa azione è transitiva: preso xH esso giunge in
yH mediante g = yx−1 .
L’azione è fedele quando
T
St
(
x
)
=
1,
e
regolare
se
H = 〈id〉.
G
x∈G
G = Z n ⊕ Z m1 ⊕ · · · ⊕ Z m r
ove n = 0 se, e solo se G è finito e i vari Z m j sono gruppi
abeliani ciclici finiti (con m j elementi ciascuno).
Utilizziamo il seguente lemma:
DEFINIZIONE (Azioni Equivalenti). Sia G un gruppo che
opera su X e su Y con azioni diverse: le due azioni si
dicono equivalenti se esiste una biiezione τ : X → Y tale
che τ( gx) = g(τ( y)).
Osservazione. Ogni azione transitiva di G su X è equivalente ad una azione sulle classi di un opportuno H ≤ G : a
meno di equivalenze dunque l’azione sui laterali è l’unica
azione transitiva.
LEMMA. Sia G un gruppo abeliano finitamente genera-
to da { x1 ,... , x n }, e siano α1 ,... , αn numeri interi coprimi.
Allora esiste un sistema di generatori di G contenente
P
y = ni=1 α i x i .
Dimostrazione. Induzione su n: se n = 1 G è ciclico,
α = ±1 e non c’è nulla da dimostrare. Se n = 2 esistono interi γ1 , γ2 tali che 1 = α1 γ1 + α2 γ2 . Ma alloDimostrazione. Supponiamo che G agisca transitiva- ra G = 〈 x , x 〉 = 〈 y, γ x − γ x 〉 dato che x = γ y +
1 2
2 1
1 2
1
1
mente su X e sia x0 ∈ X fissato. Sia H = StG ( x0 ). Ogni α (γ x − γ x ) e x = γ y − α (γ x − γ x ). Sia allo2 2 1
1 2
2
2
1 2 1
1 2
elemento si scrive come gx0 per qualche g ∈ G : allora ra n > 2, y = Pn α x . Sia δ = MCD(α ,... , α ) e α =
1
n
i
i=1 Pi i
σ : gx0 7→ gH è ben definita e biiettiva (provare, è facile).
δβ i :definiamo y1 = ni=−11 β i x i . Per ipotesi induttiva esistoInoltre si ha
no y2 ,... , yn−1 tali che 〈 x1 ,... x n−1 〉 = 〈 y1 ,... , yn−1 〉. Perciò
σ( g 1 ( g 2 x0 )) = σ(( g 1 g 2 ) x0 ) = g 1 g 2 H = g 1 ( g 2 H ) = g 1 (σ( gx0 )) G = 〈 y1 ,... , yn−1 , x n 〉. Ora y = δ y1 +αn x n e MCD(δ, αn ) = 1.
■ Pertanto esiste z ∈ G tale che 〈 y, z〉 = 〈 y1 , x n 〉. Ma allora
Richiamiamo ora alcune proprietà del prodotto diretto tra gruppi. Siano G, H due gruppi: la posizione
( g 1 , h1 ) · ( g 2 , h2 ) := ( g 1 g 2 , h1 h2 ) rende il prodotto cartesiano G × H un gruppo: attenzione a quali proprietà di G, H
si conservano in G × H : se G, H sono ciclici, lo è anche
G × H ? (Alternativamente, qual è l’ordine di G × H ?)
Ovviamente il concetto può essere esteso al prodotQ
to di n gruppi: in quel caso definiamo D = ni=1 G i .
In D si immergono in modo canonico tutti i fattori
G 1 ,... ,G n , mediante l’immersione canonica G i ∋ g 7→
(idG 1 ,... idG i−1 , g, idG i+1 ,... , idG n ).
Alternativamente il, supponiamo che H1 , H2 ≤ G siano tali che ogni elemento x ∈ G si scriva in modo unico come prodotto h1 h2 , che H1 commuti con H2 e che
H1 ∩ H2 = 〈id〉. Allora diciamo che G è prodotto interno
dei suoi fattori H1 × H2 . Anche qui il concetto può essere
esteso al prodotto di n sottogruppi di G distinti:
• G = H1 ... H n
• G i ∩ 〈G j | j 6= i 〉 = 〈id〉
In tal modo ogni g si scrive in modo unico come prodotto
Q
h1 ... h n e G = ni=1 H i .
Struttura dei gruppi abeliani Vogliamo tendere
a un teorema di struttura che classifichi i gruppi abeliani
finitamente generati (cioè ciclici o con un numero finito di
generatori) a meno di isomorfismo.
Osservazione. E’ consuetudine utilizzare per le operazioni
in gruppi abeliani la notazione additiva: in tal caso (G, +)
ha come elemento neutro lo 0 e come inverso di x si scrive
− x; inoltre il prodotto diretto diventa somma diretta. In
ogni caso, G conserva la sua struttura di modulo su Z,
potendosi definire nx = x + · · · + x e −nx = (− x) + · · · + (− x).
G = 〈 y1 ,... , yn−1 , x n 〉 = 〈 y , y2 ,... , yn−1 , z 〉
■
Possiamo ora mostrare il teorema sopra enunciato.
TEOREMA. Sia G abeliano finitamente generato e sia n
la cardinalità minima di un sistema di generatori di G .
L
Allora G si fattorizza come G = ri=1 C i ove ogni C i è
un gruppo ciclico di ordine una potenza di un primo che
divide |G |.
Dimostrazione. Induzione su n. Se n = 1 la tesi è ovvia. Supponiamo n > 1 e scegliamo i generatori in modo tale che, se G ha qualche sistema di generatori non
tutti aperiodici, x n abbia periodo k minimo tra gli ordini degli elementi in quel sistema. Per ipotesi indutL
tiva 〈 x1 ,... , x n−1 〉 = ni=−11 C i . Basta allora provare che
〈 x1 ,... , x n−1 〉 = 〈 x n 〉 = 〈0〉. Per assurdo, con una notazione
che ricorda (non a caso) gli spazi vettoriali, esiste una n–
upla di interi α1 , αn (che possiamo supporre coprimi) non
tutti nulli tali che αn x n 6= 0 e αn x n + α1 x1 +· · ·+ αn−1 x n−1 =
0. Possiamo inoltre supporre αn < k, dato che supponiamo αn x n 6= 0. Poniamo allora δ = MCD(α1 ,... , αn ) e consideriamo y = αδ1 x1 + · · · + αδn x n . Allora y “entra” in un
opportuno sistema di generatori di G ed è non nullo. Si
P
ha δ y = ni=1 α i x i e dunque | y| ≤ δ. Ma allora i casi sono
due:
• Se G è privo di sistemi di generatori con elementi periodici, si cade nell’assurdo di aver trovato un
elemento periodico;
• Se G invece ne possiede, abbiamo scelto x n di periodo minimo. Ma abbiamo anche trovato | y| ≤ δ ≤ αn <
k e ciò è assurdo.
Allora è assurda la posizione iniziale, e x n è “linearmente
indipendente” da 〈 x1 ,... , x n−1 〉.
■
16
L
L
Osservazione. Si ha G ≃ ti=1 H i ⊕ sj=1 C j ove H i ≃ Z per
ogni i , e C j ≃ Z n per qualche n. Ma si ha anche che Z n =
L
α
ZQ m p α i ≃ m
i=1 Z p i : allora la conclusione è
i =1
i
i
G
≃
≃
≃
H1 ⊕ ... H t ⊕ T1 ⊕ · · · ⊕ T r
Z t ⊕ · · · ⊕ Z ⊕ Z pα1 ⊕ · · · ⊕ Z pαs s
1
Zt ⊕
s
M
j =1
Z
per p. Facendo agire G su sè stesso per coniugazione si h
P
|G | = |Z(G )|+ sj=1 [G : C( y j )]. Da ciò discende che |Z(G )| è
divisibile per p e per il teorema di Cauchy esiste z ∈ Z(G )
di ordine p. Allora |G /〈 z〉| = pa−1 m: per ipotesi induttiva
G /〈 z〉 contiene un p–Sylow S /〈 z〉 di cardinalità pa−1 . Ma
allora |S | = |S /〈 z〉||〈 z〉| e ciò implica |S | = pa .
■
Un certo numero di esercizi Che raccogliamo più
per quietare le idiosincrasie pre-esame dell’estensore.
αj
pj
α
α
Osservazione. La sequenza ( t, p1 1 ,... , p s s ) è invariante per
isomorfismo e dunque individua completamente G .
Ciò permette di sapere quanti sono, a meno di isomorfismi, i gruppi abeliani di un dato ordine. Abbiamo provato
che un gruppo di ordine p2 è abeliano: vi sono due possibilità: G ≃ Z p2 oppure G ≃ Z p × Z p . Quanti sono invece i
gruppi abeliani di ordine p3 ? Le possibilità sono 3, contarle. Appare chiaro come la “fattorizzazione” del gruppo
in gruppi abeliani ciclici non dipenda da p ma solo dalla funzione di partizione della potenza con cui p compare
nella fattorizzazione di n.
Concludiamo con due risultati classici:
TEOREMA (Cauchy). Sia |G | = n ed n divisibile per un
primo p. Allora G contiene un elemento di ordine p.
Dimostrazione. Definiamo X = {( g 1 ,... , g p ) | g i ∈
Qp
G, i=1 g i = 1}. Fissati i primi p − 1 elementi è fissato
anche l’n–esimo, dunque | X | = n p−1 . Prendiamo ora
S p ∋ σ = (1 2 ... p) e H = 〈σ〉: |H | = p. Se H agisce su X
in modo che (γ, σ) 7→ ( g σ(1) ,... g σ( p) ), tale mappa è una
azione. Ma allora |O(γ)| = [H : St(γ)] che può essere solo
1 o p. E dunque
X
n p −1 = | X | = 1 + +
|O(γ)|
γ6=γ0
ove γ0 = (1,... , 1) è tale che |O(γ0 )| = 1 e si somma su tutte
le p–uple diverse da essa. Queste ultime orbite non possono avere tutte cardinalità p, altrimenti p ∤ n p−1 . Deve per forza esistere almeno un’altra p–upla γ tale che
|O(γ)| = 1 e dunque g 1 = g 2 = · · · = g p = g e g p = 1.
■
• Se [G : H ] = n allora [G : HG ] | n! ed è diviso da n.
L’azione di G sui laterali ha grado n (è come se G
agisse su {1,... , n}). Allora G /HG ≃ H ≤ Sn e deve
avere come ordine quello di tale sottogruppo di Sn .
Per il resto, [G : HG ] = [G : H ][H : HG ] e dunque n |
[G : HG ]. In particolare se [G : H ] = 2 anche [G :
HG ] = 2 e H, HG sono normali in G .
■
• Sia G un gruppo finito e p = [G : H ] il più piccolo primo tale che p | |G |: allora H E G . [G : HG ] è diviso
da p e divide p!. Inoltre deve dividere |G |. Ciò implica che [G : HG ] divide MCD( p!, |G |) = p: ma allora
[G : HG ] = p, e H = HG E G .
■
• Definiamo p–gruppo un gruppo di ordine p n per
qualche p, n ∈ N. Se G è un p–gruppo non identico
allora esso è a centro non identico. Si usa l’equaP
zione delle classi: |G | = |Z(G )| + i∈ I [G : C( x i )]. Si
presentano due casi, notando che p | |G |.
P
1. [G : C( x i )] = 0 e allora la tesi è banalmente
vera;
P
2. [G : C( x i )] 6= 0, e allora esistono elementi non
P
centrali: p divide |G | e [G : C( x i )], dunque
deve dividere anche |Z(G )|.
■
• Sia G / N ciclico e N < Z(G ). Allora G è abeliano.
Siano h, k ∈ G :allora h = n1 ga , k = n2 g b per qualche
n1 , n2 ∈ N , a, b ∈ Z, g rappresentante della classe
di un generatore di N g. Allora hk = n1 ga n2 g b =
n1 n2 ga+b = n1 n2 g b+a = n2 n1 g b ga = n2 g b n1 ga = kh
■
1. G contiene un sottogruppo S di ordine pa ;
• Se |G | = p2 allora G è abeliano. G è un p–gruppo,
dunque è a centro non identico. Se |Z(G )| = p2 allora G è abeliano per definizione. Se invece |Z(G )| =
p, |G /Z(G )| = p: tale gruppo è ciclico quindi G è
abeliano.
■
2. Per ogni H ≤ G tale che |H | = p r , r < a, esiste un
p–Sylow contenente H come sottogruppo;
• Sia |G | > 2. Allora Aut G 6= 〈id〉: distinguiamo tre
casi.
TEOREMA (Sylow). Sia |G | = n = pa m con a potenza
massima di p che divide n. Allora
3. Tutti i p–Sylow sono coniugati in G ;
4. G possiede h sottogruppi p–Sylow, ove h | n/ pa e h ≡
1 mod p.
Dimostrazione. Solo la prima: induzione su n. Se |G | = 1,
G è l’1–Sylow di sè stesso. Se |G | = n > 1 supponiamo
la tesi vera per ogni H tale che |G | > |H |. Supponiamo
esista H ≤ G tale che [G : H ] non è divisibile per p. Alpa m
G|
a
lora ||H
| = [G : H ] = p r t ⇒ a = r e | H | = p t: per ipotesi
induttiva esiste un sottogruppo S ≤ H tale che S = pa e
dunque S è un p–Sylow per H e per G . Si può dunque
supporre che ogni H ≤ G sia tale che [G : H ] è divisibile
17
– Se G non è abeliano G /Z(G ) 6= 〈id〉 ed essendo
G /Z(G ) ≃ Inn(G ) ≤ Aut G , anche Aut G è non–
identico.
■
– Se G è abeliano con elementi di ordine maggiore di 2, allora l’inversione è un automorfismo non identico (risultato che abbiamo già
provato).
■
– Se G è un 2 gruppo elementare, esso si atteggia a spazio vettoriale su Z2 . Dunque, se
〈 e 1 〉⊕〈 e 2 〉⊕〈T 〉7 è una sua base la mappa e 1 7→
7 Non è detto che T sia una base finita.
e 2 , e 2 7→ e 1 e T ∋ e j 7→ e j è un automorfismo
(provare) non identico (per costruzione).
■
ª
©a
• Sia G ≤ (Q, +), G = b | a ∈ Z, b = p1 ... p r (b è prodotto di primi distinti). G /Z ha un elemento di pea
+Z
riodo 14, e non ne ha di ordine 98 . Infatti 14
è una classe di periodo 14, e se vi fosse una classe di periodo 9 si avrebbe 9ba = m ∈ Z, e se scegliamo a, b coprimi da ciò otteniamo b | 9. Ma allora,
anche supponendo che b = 3h, h dovrebbe dividere 3, e ciò è vietato da come abbiamo costruito il
sottogruppo G .
■
• Sia G un gruppo finito, H, K ≤ G . Dire se è vero o
falso che
– Se [G : H ] = p allora H è massimale in G . VERO: se [G : H ] = p supponiamo H ≤ K ≤ G . Allora deve essere [G : H ] = [G : K ][K : H ] e i casi
sono solo due. Se [G : K ] = 1, [K : H ] = p allora K = G , e se [G : K ] = p, [K : H ] = 1 allora
K = H.
■
– Se [G : H ] = p allora H E G . FALSO: |S3 | = 6 e
S3 = 〈̺, σ〉 = 〈(1 2 3), (1 2)〉. Allora [S3 : 〈σ〉] = 3,
primo, ma 〈σ〉 non è normale in S3 .
■
– Se [G : H ] = 3 e |G | è dispari allora H E G . VERO: |G | = [G : H ]|H |, dunque 3 divide |G |. Se
G è dispari 3 è il minimo primo che divide |G |,
e per un precedente teorema H è normale. ■
• Sui teoremi di Sylow: essi permettono di mostrare che un gruppo di una data cardinalità è non–
semplice: Sia |G | = 28, esso non è semplice. Ciò è vero perché |G | = 7 · 22 . Esistono quindi h 7–Sylow, con
h | 4 e h ≡ 1 mod 7. Allora h = 1, per forza: l’unico
7–Sylow H è normale in G .
• Sia |G | = 12. Allora G è non semplice. Ci possono
essere 1 o 4 3–Sylow, e 1 o 3 4–Sylow: se vi fossero 3 4–Sylow e 4 3–Sylow diversi, G avrebbe più
di 12 elementi, e ciò è assurdo. Allora o c’è un solo 3–Sylow, oppure c’è un solo 4–Sylow. Per ragioni
analoghe un gruppo di ordine 56 è non semplice. ■
• Sia n > 2, Sn ∋ τ = (1 2). Trovare
delle considerazioni preliminari:
CSn (τ).
Facciamo
– Sicuramente C(τ) ≥ 〈τ〉;
– Se Sn agisce su {1,... , n} allora Stn = {σ ∈ Sn |
σ( n) = n} ≃ S n−1 e ce ne sono n di isomorfi tra
loro tutti isomorfi a Sn−1 .
– Sicuramente se una permutazione centralizza
τ, fissa 1, 2 come elementi di {1,... , n}. C(τ) ≥
St1 ∩ St2 =: H .
– Ma allora H ≤ C(τ) dato che ogni elemento di
H commuta con τ. Consideriamo 〈τ〉H : esso
ha cardinalità (n − 2)!, e |C(τ)| = (n − 2)!. Allora
per forza C(τ) = 〈τ〉H .
■
8 Si può generalizzare la cosa a dire che se µ( n) 6= 0 (ove µ(·)
è la funzione di Möbius), allora G /Z possiede un elemento di
ordine n
• Sia G = p2 q2 con p, qprimi tali che p2 6≡ 1 mod q,
q2 6≡ 1 mod p. Allora esistono solo un p–Sylow P e
solo un q–Sylow Q, dunque entrambi normali in
G , e G = P × Q . Riflettere sul fatto che p2 , q2 6≡ 1
mod q, p implica che il numero di p–Sylow non è né
q né q2 , e dunque deve essere 1. Discorso analogo
vale per il numero di q–Sylow, dunque G = P × Q per
questione di cardinalità.
■
CAMPI Un campo è un anello R tale che sia (R, +) che
(R, ·) sono gruppi abeliani.
Contrariamente allo studio di anelli e gruppi, in cui
siamo interessati alle strutture interne (sottogruppi, sottoanelli, ideali. . . ), nella Teoria dei Campi siamo interessati a studiare le estensioni di una data struttura.
Richiamiamo alcuni risultati già enunciati.
DEFINIZIONE (Estensione di un Anello). S sia un anello
commutativo con unità. R sia un sottoanello di S contenente 1 e u un elemento di S \ R . Vogliamo trovare il minimo sottoanello di S che contiene R e u. Facile convincersi che esso deve avere esattamente questa
forma:
)
(
n
X
j
a j u , a j ∈ R, n ∈ N
R [u] := t ∈ S | t =
j =0
Consideriamo ora l’applicazione νu : R [ x] → S che
manda p( x) in p(u) (valutazione in u). Evidentemente,
νu ∈ Hom( R [ x], S ), e ha per immagine l’estensione R [ u]
e nucleo l’insieme { p ∈ R [ x] | p(u) = 0} = I E R [ x]. Si ha
allora che R [ x]/ I ≃ R [u], mandando p( x) + I 7→ p(u). u ∈ S
si dice algebrico se I 6= 0 come anello (cioè se è possibile,
con opportune equazioni a coefficienti in R , annullare un
polinomio con le potenze in u). Se I = 0 allora R [u] ≃ R [ x]
(cioè u si comporta a tutti gli effetti come una incognita),
e u si dice trascendente.
Insomma, se ker νu è l’anello nullo non esiste alcun polinomio a coefficienti in F (campo) tale da annullare f ( x).
Chiaramente se u ∈ F esso è algebrico su F stesso, dato
che annulla il polinomi irriducibile x − u. Il caso interessante è quello in cui si studia una estensione di F (cioè
un sovracampo che contenga entrambi F e u che sia il
più piccolo con questa proprietà). L’interesse nello studio
delle estensioni è il seguente:
PROPOSIZIONE. Sia E una estensione di un campo F (in
breve, E | F ). Allora E si atteggia a spazio vettoriale su F
rispetto alla somma comune e al prodotto di E .
Osservazione. Se E è spazio vettoriale possiamo studiare la sua dimensione: il grado di E s F sarà allora la
quantità
|E : F | = dimF (E | F )
Osservazione. |C : R| = 2, ma |C : Q| = ∞ (perché?).
DEFINIZIONE. E | F si dice semplice se esiste un unico
u ∈ E tale che E = F (u).
Tutto quanto detto sinora si può raccogliere in un unico
enunciato:
18
TEOREMA (Struttura di una estensione semplice). Sia E |
• Esso è un campo, perché F [ x]è un PID;
F , u ∈ E . Si possono presentare due casi:
• E contiene un sottocampo F̄ isomorfo a F : F̄ := {a +
( p( x)) | a ∈ F };
• u è trascendente su F , cioè ker νu = (0) e F (u) ≃ F ( x).
L’estensione ha grado infinito su F e una sua base è
{u j | j ∈ N0 }.
• E | F ha grado finito su F , dato che una sua base è
{1 + ( p( x)), x + ( p( x)),... , x n−1 + ( p( x))};
• u è algebrico su F , cioè ker νu = ( f ( x)), F (u) ≃ F [u] ≃
F [ x]/( f ( x)). Il generatore monico di ker νu si dice
polinomio minimo di u in F (infatti può cambiare
a seconda di F ). L’estensione E | F ha grado finito, |E : F | = deg f ( x) e una base di tale estensione è
{1, u,... , udeg f −1 }.
Dimostrazione. Je n’ai pas le temps.
■
DEFINIZIONE (Estensione Algebrica–Trascendente). E |
F si dice algebrica su F se ogni u ∈ E è algebrico su F ,
trascendente altrimenti. (Estensioni semplici sono algebriche se u è algebrico, estensioni finite sono algebriche
se U1 ,... , u n sono tutti algebrici su F ).
TEOREMA (Formula dei Gradi). M ≥ L ≥ F siano campi.
Allora | MF | < ∞ ⇐⇒ | M : L|, |L : F | < ∞, e si ha | M : F | =
| M : L||L : F |.
Dimostrazione. (⇒) Sia e 1 ,... , e n base per M : F . Allora
E 1 ,... , e n sono generatori di M rispetto a L.
(⇐) Supponiamo | M : L| = n, |L : F | = m. Sia e 1 ,... , e n
una base per M su L e f 1 ,... , f m una base per L su F .
Proviamo che { f i e j | i = 1,... , m j = 1,... , n} è una base per
L su F :
P
• E’ un insieme di generatori: sia z ∈ M , z = ni=1 b i e i ,
Pm
ma anche b i = j =1 c i j f j per ogni i = 1,... , n. Allora
P P
z = ni=1 m
j =1 c i j f j e i .
P P
• Sono indipendenti: supponiamo ni=1 m
ci j f j e i =
P j =1
0: essendo { e i } una base, deve aversi m
c
j =1 i j f j = 0,
ma ciò implica che c i j = 0.
■
Ciò ha alcuni corollari:
LEMMA. Sia F un campo e f ( x) ∈ F [ x]. Allora esiste una
estensione finita E | F nella quale f ( x) ha una radice.
Dimostrazione. Applicare il Lemma precedente ad uno
dei fattori irriducibili p( x) di f ( x): risulta |E : F | =
deg p( x) ≤ n.
■
Tutto ciò culmina in
TEOREMA (Esistenza di un Campo di Spezzamento). Sia
F un campo, F [ x] il suo anello dei polinomi. Sia f ( x) ∈
F [ x] monico di grado n > 0. Allora esiste una estensione
E | F nella quale f ( x) ammette tutte le radici. In altre
Q
parole E = F (u1 ,... , u r ) e f ( x) = ri=1 ( x − u i ). E si dice
campo di spezzamento (splitting—field) di f ( x).
Dimostrazione. Induzione su n = deg f ( x). Se n = 1,
f ( x) = x − u e E = F . Per n > 1 sia g( x) un fattore irriducibile di f ( x). Esiste T | F , T = F (u) ove g( x) =
( x − u)h( x). Questo implica che f ( x) = ( x − u)h( x) t( x) ∈ T [ x]
e si conclude per ipotesi induttiva.
■
Osservazione. Sia E splitting–field di F . Allora |E : F | ≤ n!.
Dimostrazione. Induzione su n.
■
PROPOSIZIONE. Sia F un campo, ed f ( x) ∈ F [ x] monico
• Ogni estensione di grado finito è algebrica;
• Gli elementi di L algebrici su F formano un campo,
detto chiusura algebrica relativa di F ;
• Se M | L, L | F sono algebriche, allora lo è anche
M | F;
• Se L | F è di grado n, u ∈ L algebrico su F , allora il
polinomio minimo di u su F ha grado che divide n.
Osservazione. Avendo a disposizione un u ∈ L | F non è difficile trovare il suo polinomio minimo e da quello risalire
al grado dell’estensione. Spesso però si presenta il problema inverso: dato f ( x) ∈ F [ x] vogliamo trovare la più
piccola estensione di F su cui f ( x) abbia radici. In secondo luogo, fatto questo, è possibile trovare un campo (il più
piccolo) estensione di F tale da contenere tutte le radici di
f ( x).
LEMMA. Sia F un campo e p( x) ∈ F [ x] irriducibile. Allora
esiste una estensione finita E | F nella quale p( x) ha una
radice.
Dimostrazione. Prendiamo E = F [ x]/( p( x)).
• La classe α = x + ( p( x)) è una radice di p( x), nel
senso che “estendendo” un omomorfismo di campi
η, e mandando x in x + ( p( x)), si ha p( x + ( p( x))) =
p( x) + ( p( x)) = 0 (come classe in F [ x]/( p( x))).
■
di grado positivo. Se E, E ′ sono entrambi campi di spezzamento di f ( x) allora essi sono F –isomorfi (cioè isomorfi
mediante un η che induce l’identità su F ).
DEFINIZIONE (Campo algebricamente chiuso). Sia K un
campo. Se accade che K è splitting–field per ogni f ( x) ∈
K[ x], K si dice algebricamente chiuso.
Alternativamente K è algebricamente chiuso se
• Ogni polinomio di grado d ≥ 2 in K[ x] ammette una
radice;
• I polinomi irriducibili di K[ x] sono tutti e soli quelli
di grado d ≤ 1.
Osservazione. K è algebricamente chiuso se, e solo se non
ha estensioni algebriche proprie: se L | K allora L = K .
TEOREMA (Fondamentale dell’Algebra). Il campo C è
algebricamente chiuso.
Dimostrazione. Omessa. Fatto storico interessante, la
prima dimostrazione è dovuta a Gauss, che la formulò a
22 anni.
■
19
CAMPI FINITI Richiamiamo alcuni risultati preli-
E’ allora costume indicare con F p k l’unico (a meno di
minari
isomorfismi) campo con p k elementi.
DEFINIZIONE (Derivata Formale di un polinomio). Sia F
un campo, f ( x) = a0 + a1 x +· · ·+ a n x n ∈ F [ x]. Si dice derivata formale di f il polinomio f ′ ( x) = a1 +2a2 x +... na n x n−1 ∈
F [ x].
DEFINIZIONE. Il gruppo moltiplicativo di F si indica con
Osservazione. La derivata formale è una operazione
lineare, e vale la regola di Leibniz.
PROPOSIZIONE. Sia F un campo, f ( x) ∈ F [ x]. Allora a ∈
L | F è zero multiplo (cioè di molteplicità almeno 2) di f
se, e solo se f (a) = f ′ (a) = 0.
Dimostrazione. Se a è zero multiplo di f ( x), f ( x) = ( x −
a)h( x) e f ′ ( x) = ( x − a)h′ ( x) + h( x). Ma ( x − a) | h( x), e dunque f ′ ( x) = ( x − a)(h′ ( x) + t( x)). Viceversa se f (a) = f ′ (a) =
0, f ′ ( x) = ( x − a)h′ ( x) + h( x), dunque . . .
■
F × := F \ {0}.
PROPOSIZIONE. Se F è un campo finito, il gruppo ( F × , ·)
è ciclico.
Dimostrazione. Riportiamoci al risultato per un gruppo
G abeliano finito. Esiste un a ∈ G tale che g|a| = 1 per ogni
g ∈ G , cioè ogni g ∈ G è zero del polinomio f ( x) = x|a| − 1 ∈
F [ x]. Ora, se |a| < p n − 1, f ( x) avrebbe un numero di zeri
maggiore del suo grado, cosa assurda. Esiste allora un
elemento a di ordine p n − 1,e dunque F × è ciclico.
■
Z pn
K
PROPOSIZIONE. Sia D un anello commutativo con unità,
di caratteristica p. Allora (a + b) p = a p + b p , o in altre
parole l’esponenziazione per p è un endomorfismo da D a
D , detto endomorfismo di Frobenius.
PROPOSIZIONE. Sia R un anello unitario di caratteristi-
ca k.
• Se k = 0 allora Z si immerge naturalmente in R
mediante m 7→ m · 1R
• Se k > 0 la stessa applicazione ha nucleo kZ, dunque
(R contiene una copia di Z k )
• Tali copie degli anelli degli interi vengono detti sottoanelli fondamentali di R , e dipendono unicamente
dalla sua caratteristica.
I campi finiti sono totalmente classificati nel modo che
segue.
Zp
Mostriamo che i sottocampi di Fp n
sono tutti e soli i sottocampi Fp t con t | n. Se K ≤ Fp n ,
esso ha cardinalità |K | = p t dato che Fp n deve essere uno
spazio vettoriale su Z p = Fp . Per lo stesso motivo, se |Fp n :
K | = s, deve essere p n = |Fp n | = |K |s = p ts . Viceversa, se
|K | = p t con t | n, esiste in Fp n una copia di K = Fp t . Se
n = st, sia S un sovracampo di Fp n dove il polinomio h( x) =
t
x p − x si scompone in fattori lineari. Allora l’insieme degli
zeri di h in S forma un campo di ordine p t . Per ogni a ∈ K
n
t s
si ha a p = a( p ) = a, dunque K ≤ Fp n
La situazione è allora quella che segue, con n = 12 e p
qualunque: si assiste alla disposizione dei sottocampi di
Fp1 2 in un reticolo.
Sottocampi di Fpn
PROPOSIZIONE. I campi finiti sono tutti e soli i campi di
Fp12
cardinalità p n , con p primo in N.
Fp4
Mostriamo anzitutto che se F è un campo finito, esso
ha cardinalità p n . F deve ovviamente avere caratteristica positiva (considerando uno dei due gruppi abeliani di
F : ogni anello integro finito è un corpo). In secondo luogo,
esso ha caratteristica p prima: in tal senso Z p ,→ F , cioè
Z p è sottocampo fondamentale di F . Come visto in più
contesti, F si atteggia a spazio vettoriale su Z p , e dunque
se dimZ p F = |F : Z p | = n, |F | = p n .
Successivamente va mostrato che
LEMMA. Per ogni primo p ∈ N e ogni k > 0 esiste un
campo con p k elementi. Campi dello stesso ordine sono
isomorfi.
Dimostrazione. Sia Z p il campo con p elementi. Sia poi
k
h( x) = x p − x ∈ Z p [ x]. Se F è il campo di spezzamento
k
di h su Z p , si ha h′ ( x) = p k x p −1 − 1 = −1. Allora h( x)
ha p k zeri tutti semplici e distinti. Il campo cercato è
esattamente l’insieme degli zeri di h( x): se α, β ∈ Z (h( x))
k
k
k
allora (α − β) p = α p − β p (per Frobenius) = α − β. Allo
stesso modo è zero di h( x) αβ, lo è 1 e lo sono α−1 , β−1 . Il
seguito discende dal fatto che due splitting–field diversi
dello stesso polinomio sono isomorfi.
■
Fp4
Fp6
Fp3
Fp2
Fp2
Fp3
Fp
Fp
Fp
Costruzioni con riga e compasso Ci impegneremo ora in una applicazione geometrica della teoria studiata: i campi e le loro estensioni offrono un modo naturale di trattare il problema dell’impossibilità di costruire
certe figure geometriche utilizzando solo certi strumenti.
La struttura che, implicitamente, considereremo in questa trattazione è il piano euclideo. Come vedremo infatti,
il problema di “costruire un numero α” è del tutto analogo
a “costruire un segmento di lunghezza α”.
Dobbiamo cominciare con alcune definizioni particolari.
DEFINIZIONE (Riga e Compasso). La riga e il compasso
saranno due strumenti indefiniti che hanno la proprietà
di tracciare rette e circonferenze passanti per punti e con
centro in altri punti. La precisione di queste costruzioni
è totale, quindi sono strumenti ideali.
20
Consideriamo adesso il dato di r punti nel piano (ne
bastano, in realtà, solo due, oppure basta il dato di una
circonferenza già tracciata). Definiamo ricorsivamente
S0 = {P1 ,... , P r } e S k+1 = S k + P , ove P è un insieme
formato da
• Punti di intersezione di rette passanti per coppie di
punti di S k ;
• Intersezioni tra rette passanti per punti e circonferenze con centro in punti di S k ;
• Intersezione di coppie di circonferenze passanti per
punti di S k , con centri in punti di S k .
S
Se ora consideriamo l’insieme P = ∞
S , otteniamo
k =0 k
quello che si dice insieme dei punti costruibili.
La domanda sorge spontanea: che struttura possiede
l’insieme P , quali punti è possibile costruire (solo) con
gli strumenti dati?
Esibiamo prima di tutto dei metodi per ottenre i punti che sono costruibili. Passeremo poi a dare un criterio
necessario affinchè il punto P sia costruibile con riga e
compasso. Supponiamo anzitutto che |S0 | ≥ 2: il punto
medio tra due punti è costruibile.
Ciò mostra che è possibile creare una coppia di assi
coordinati: disponendo di (almeno) due punti distinti A e
B, essi fungono da unità di misura. Un punto della retta
A ∨ B (attenzione, non ogni punto!) è allora identificato
dalle coordinate nel sistema di riferimento che pone A =
(0, 0) e B = (1, 0). Possiamo poi costruire la normale ad A ∨
B passante per A , e ottenere un sistema di coordinate per
l’intero piano. La lunghezza AB può poi essere riportata
sul secondo asse, e creare in questo modo ogni punto a
coordinate intere ((m, n) infatti si ottiene additivamente,
riportando m volte l’unità su un asse ed n volte sull’altro,
e intersecando le parallele agli assi).
Il primo risultato degno di nota è che ogni numero
razionale è costruibile. Per poterlo affermare dobbiamo
mostrare che
• Se n è costruibile, allora 1/n lo è pure;
• Se α, β sono costruibili, αβ e α/β sono costruibili.
Entrambe queste costruzioni si hanno però immediatamente, una volta ricordato il teorema di Talete.
■
1
L
b
x
b
b
b
1
b
M
Siano A, B i due estremi del segmento tra i due punti.
Si intersechino le due circonferenze di raggio AB, ottenute puntando prima in A e poi in B, e si chiamino P,Q i
punti ottenuti. L’intersezione AB ∧ PQ è il punto medio
■
cercato (e la retta PQ è l’asse del segmento AB).
La retta normale ad una data, e passante per un punto
dato, è costruibile. Sia infatti r tale retta e P il punto. La
retta r è individuata da due punti A, B.
b
b
P
M
x : 1 = α : β,
x = α/β
bc
b
x
α
Q1
x = αβ
n
b
bc
α : 1 = x : β,
b
1
B
β
b
x = 1/n
bc
b
A
1 : n = x : 1,
β
1
b
bc
b
b
x
α
Abbiamo allora mostrato che P è un campo che contiene Q. C’è però di più: possiamo mostrare (grazie al
teorema di Euclide) che se il numero α è costruibile, è cop
struibile anche α (e allora, iterativamente, è costruibile
p
n
anche 2 α).
b
Q2
b
Q1
bc
b
b
b
P
Q2
α1/2
Se P ∉ r, tracciamo la circonferenza di centro P e raggio AP : essa interseca r in due punti, diciamo Q 1 ,Q 2 . Sia
M il punto medio del segmento Q 1 Q 2 : la retta cercata è
P ∨ M . Se P ∈ r, P è per costruzione il punto medio del
segmento Q 1 Q 2 : allora la retta cercata è l’asse di Q 1 Q 2 ,
che passa per P . In ultimo, la parallela ad r passante
per un punto P esterno alla stessa, è costruibile (basta
ripetere due volte la costruzione della retta normale). ■
0
b
b
1
b
1+α
Esplicitare passo per passo la costruzione è un esercizio.
Ricordare i due teoremi classici di Euclide.
■
DEFINIZIONE (Piano di F ). Dato un campo F , che possia-
mo pensare contenuto in R, si definisce piano di F il sottoinsieme F × F dei punti di R2 a coordinate in F : le rette
del piano di F sono rette passanti per due punti del piano,
21
e le circonferenze di F sono cerchi di raggio un segmento
che ha come estremi punti del piano di F .
Come è fatto il piano P × P ? La possibilità di introdurre nel piano delle coordinate riduce il problema geometrico ad uno algebrico. Come ben sappiamo, una retta
è il luogo degli zeri di una equazione lineare a coefficienti
in F del tipo aX 1 + bX 2 + c = 0 (il riferimento che usiamo è
affine), mentre una circonferenza da una equazione quadratica del tipo X 12 + X 22 + aX 1 + bX 2 + c = 0. I punti ottenuti dalle uniche operazioni ammissibili (intersezioni retta–
retta, retta–circonferenza, circonferenza–circonferenza)
saranno allora punti le cui coordinate risolvono, nel riferimento scelto, sistemi quadratici (e allora α starà in
una opportuna estensione F (a) di grado 2 su F ). Ma d’alp
tra parte ogni volta che α è costruibile, α è costruibile:
tutte le estensioni di grado due.
22