Lavorare in un ospedale africano e tornare con la
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Lavorare in un ospedale africano e tornare con la
Lavorare in un ospedale africano e tornare con la voglia di aiutare le donne immigrate Marianna Sabattini, giovane ostetrica, volontaria per sei mesi in Costa d’Avorio per un progetto di sviluppo, ci racconta un’esperienza umana e professionale fuori dall’ordinario. IN COSTA D’AVORIO A FARE COSA? Nel cuore dell'Africa occidentale sudsahariana, affacciata sul Golfo di Guinea, si trova la repubblica della Costa d’Avorio, ex-colonia francese, venuta alla ribalta nelle più recenti cronache internazionali per la guerra civile che a partire dal 2002 ha insanguinato il Paese. In questi territori, dove i segni della guerra civile sono ancora evidenti sebbene circa un anno fa sia stata firmata la pace tra i ribelli del nord e le truppe presidenziali, ha lavorato Marianna Sabattini, correggese di 27 anni, che per sei mesi ha esercitato la propria professione di ostetrica presso l’ospedale civile di Grand Bassam, cittadina ivoriana a circa 30 Km dalla capitale amministrativa Abidjan. Marianna è partita come volontaria con l’ O.n.g. internazionale “Terre des Hommes”. Il progetto di cooperazione internazionale a cui ha par tecipato, che l’Associazione ha avviato nel Paese africano da circa tre anni, consisteva nel lavorare nell’ospedale pubblico di Grand Bassam per visionare e controllare come opera la struttura sanitaria, per collaborare nella formazione delle ostetriche e per studiare azioni di miglioramento dell’organizzazione della struttura sanitaria in collaborazione con il distretto sanitario e con le autorità locali. Collaborare coi medici nel reparto maternità, suggerire miglioramenti 16 lavoro non era infatti quella di andare in un Paese sottosviluppato per costruire ospedali o per dare agli africani quello che noi occidentali pensiamo possa loro servire, ma di andare e lavorare al loro fianco, nelle loro strutture, dialogando e collaborando con le autorità sanitarie locali, cercando di insegnare loro nuove tecniche e Spiega Marianna : “Il mio compito, dando loro strumenti di lavoro affinché oltre a quello di lavorare in ospedale possano poi proseguire da soli”. con il resto del personale autoctono, era quello di osservare eventuali mal- “Qui le donne devono pagare per funzionamenti nel reparto di maternità essere curate” per tentare di correggerli e di studiare Da subito Marianna è venuta a conbuone pratiche di miglioramento. Si tatto con strutture sanitarie molto tratta di un approccio completamente diverse dalle nostre. “L’ospedale in diverso di cooperazione internazionale cui lavoravo è pubblico, nel senso che rispetto a quello che altre associazioni è di proprietà dello Stato, ma per hanno tradizionalmente portato avanti. accedervi tutte le donne che dovevano La logica a cui rispondeva il nostro partorire o fare delle visite, dovevano pagare - racconta Marianna - Appena una donna arrivava, a volte anche in condizioni piuttosto gravi, la prima cosa che dovevamo chiedere era se poteva pagare e, nel caso in cui non potesse, non potevamo visitarla. All’inizio è stato molto difficile adattarmi a questo tipo di sistema e vedere situazioni che richiedono un intervento immediato senza potere intervenire se non dietro il pagamento di un corrispettivo. E’ stato frustrante ed angosciante, ma ho poi capito che se le utenti dell’ospedale non pagavano le attrezzature che usavamo per visitarle, non c’era modo di procurarsi nuovi kit medici per curare o fare partorire chi sarebbe venuta dopo di loro”. Le donne che ogni giorno transitavano nel reparto di maternità dell’ospedale erano comunque tante, dato l’altissimo tasso di natalità del Paese. “Le donne che partorivano in ospedale erano molto giovani, la media era sui venti anni, e in molti casi avevano già avuto altre gravidanze. Avevano bassissima o scarsa istruzione e spesso ammalate di aids o di altre malattie sessuali” sostiene Marianna. Dopo l’ospedale, nei villaggi della foresta Accanto al lavoro in ospedale il progetto prevedeva, nelle ore libere dai turni in ospedale, di portare avanti nei villaggi della foresta intorno a Grand Bassam, campagne di sensibilizzazione e di prevenzione sulle malattie sessualmente trasmissibili, di fare visite prenatali alle donne che non riuscivano a venire nelle strutture sanitarie delle città, e nel vaccinare le centinaia di bambini che abitano nei villaggi. “Da Grand Bassam con dei fuoristrada percorrevamo questi sentieri sterrati, immersi nella foresta, per raggiungere villaggi dove visitavamo donne e bambini che, dato l’isolamento in cui vivono, ricevono molto raramente cure mediche sebbene ne abbiano estremo bisogno. I villaggi sono congregazioni tribali, dove è sentito molto forte il legame con il gruppo e dove sono praticate credenze mistiche e spirituali; in Costa d’Avorio la maggior parte della popolazione è infatti animista e crede nelle forze della natura e degli spiriti. Inoltre la popolazione della Costa d’Avorio appartiene a diversi gruppi etnici, con caratteristiche socio culturali o linguistiche che variano da tribù a tribù, da etnia a etnia, ed è stato piuttosto difficile doversi rapportare con tanti costumi differenti”. Diffidenza, difficoltà della lingua, pericoli sanitari: ma una grande lezione di vita. “Per me è stata un’esperienza molto for te e senz’altro, soprattutto nell’ultimo periodo, assai dura. Vi sono state numerose difficoltà che in più di un’occasione mi hanno demoralizzata o scoraggiata. Ho sentito molto, ad esempio, nei miei confronti, giovane donna bianca, la diffidenza di tanti ivoriani anche perché, oltretutto, mi vedevano come colei che, in ospedale, aveva il ruolo di chi doveva insegnare loro qualcosa. Vi era la difficoltà della lingua e la paura delle malattie, dato che la maggior parte delle donne che venivano in ospedale erano sieropositive e ammalate di epatite. La malaria è una delle cause più diffuse di mortalità nei bambini di età compresa tra uno e cinque anni. E’ stata comunque un’esperienza da cui a livello personale ho imparato moltissimo. Ho constatato come la società ivoriana si fonda sulle donne. Sono le donne che fanno figli e che li crescono, sono le donne che nei villaggi si occupano della cura degli anziani e che cucinano per l’intero villaggio, sono le donne che portano al mercato la frutta e la verdura che gli uomini raccolgono nei campi. L’economia del Paese si basa su di loro anche se non hanno alcuna carica politica. A livello sociale l’importanza si acquisisce con l’età. Nei villaggi le 17 “vecchie”, chiamate rispettosamente così, hanno grande valore sociale e nelle città molte donne studiano, sono insegnanti e hanno ruoli di responsabilità.”. I progetti di oggi: aiutare le immigrate a prendersi cura della loro salute e aiutare la nostra sanità a capire meglio le donne che vengono da lontano. “Ecco perché arrivata a casa, mi sono avvicinata alle problematiche che, soprattutto nel campo della sanità, vivono le donne immigrate, con cui vorrei continuare a lavorare, avendo acquisito maggiore consapevolezza delle difficoltà che nel nostro Paese hanno rispetto alla lingua, nell’approcciarsi a strutture sanitarie diverse dalle loro, ad avere a che fare con mentalità e costumi completamente diversi. Mi sono resa conto anche dell’importanza che nelle nostre strutture ospedaliere operi la figura della mediatrice culturale, perché quando si incontrano due popoli che hanno tradizioni tanto diverse, occorre imparare a conoscersi senza nutrire pregiudizi uno nei confronti dell’altro. L’Africa mi ha insegnato a guardare le cose sotto punti di vista diversi e oggi ho più chiare le difficoltà che gli immigrati incontrano nel dover lasciare le loro terre, perché in patria davvero non hanno nulla. E’ proprio in Costa d’Avorio, Paese in via di sviluppo e dove la popolazione vive in condizioni di indigenza rispetto a quelle delle nostre ricche società occidentali, che io sono riuscita a trovare nuovi stimoli nel mio percorso personale e professionale” conclude Marianna. Rita Carrozza nuova mostra interna 18 Via Cuneo, 6 - Correggio (RE) - Tel. 0522.692900 - Fax 0522.692904 Repubblica della Costa d’Avorio La Repubblica della Costa d'Avorio è uno Stato dell'Africa Occidentale, capitale Yamoussoukro; lingua ufficiale il francese. Ha quasi 18 milioni di abitanti su un territorio poco più grande dell’Italia. Nonostante il suo sviluppo economico sia condizionato dalla dilagante corruzione, la Costa d'Avorio rimane uno degli stati più prosperi dell'Africa occidentale. Fra il 2002 e il 2004 in Costa d'Avorio c'è stata una guerra civile in seguito alla rivolta nel nord guidata da Guillaume Soro contro il presidente Gbagbo accusato di essere un dittatore. Per ristabilire la pace, l’ONU ha inviato 10.000 caschi blu, tra i quali 4.600 francesi. Il 4 Marzo 2007 è stata firmata la pace tra le parti. L'accordo è stato raggiunto intorno ai due punti chiave. Per il primo, la forza d'interposizione ONU dovrebbe essere sostituita da un'altra internazionale. Il secondo riguarda il riconoscimento della cittadinanza di milioni di Ivoriani che sono considerati ribelli espulsi e non hanno neppure i documenti. La popolazione appartiene a circa 60 gruppi etnici. Dagli anni quaranta, si sono aggiunti i lavoratori provenienti dal Burkina Faso, impiegati nelle piantagioni di caffé e di cacao. Anche dopo l'abolizione del lavoro forzato, la Costa d'Avorio continuò ad attrarre ondate di migranti dai paesi limitrofi. Oggi gli stranieri ammontano a circa il 25% della popolazione ivoriana e di questi, circa il 50% è nato nel paese. Inoltre vi sono cittadini di origine francese, inglese, spagnola, statunitense e canadese. La popolazione continua a soffrire a causa del continuo stato di guerra civile. Le organizzazioni internazionali per i Diritti Umani hanno segnalato problemi relativi al trattamento dei civili prigionieri da parte di entrambi gli schieramenti e la ricomparsa del fenomeno dei bambini ridotti in schiavitù e impiegati come lavoratori nella produzione del cacao. Economia La Costa d'Avorio possiede una delle economie più prospere dell'Africa, benché fragile poiché basata principalmente sull'esportazione di materie prime. Il suo mercato dipende pesanetemente dal settore agricolo; infatti, quasi il 70% del popolo ivoriano è impiegato in qualche forma di attività agricola. Il paese è il maggior produttore ed esportatore mondiale di caffè, semi di cacao e olio di palma. Conseguentemente, l'economia è altamente sensibile alle fluttuazioni dei prezzi internazionali di questi prodotti e alle condizioni meteorologiche. Dopo un periodo di notevole sviluppo economico, dai primi anni '80 l'economia ha subito un forte arresto a causa del crollo dei prezzi dei prodotti d'esportazione e a causa della siccità. Nonostante tutti gli sforzi per privatizzare e diversificare l’economia, la Côte d'Ivoire continua a dipendere ancora in gran parte dall'agricoltura e dalle attività ad essa collegate. Vengono prodotti ed esportati soprattutto banane, ananas, noci, canna da zucchero, cotone, sesamo, copra, arachidi e caucciù. Un altro settore di notevole rilevanza è diventato, a partire dal 1977, quello manifatturiero, grazie soprattutto alla scoperta di giacimenti di petrolio al largo della costa. Il principale legname destinato all'esportazione è il mogano e, per quanto riguarda le estrazioni minerarie, bisogna segnalare la presenza di notevoli quantità di diamanti, manganese, nichel, bauxite e oro. Nel 2002 il PIL pro capite raggiungeva i 710 dollari. Religioni Musulmani 25%, cristiani 15%, animisti 60%.