Aleppo città mattatoio

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Aleppo città mattatoio
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EBRAISMO INFORMAZIONE CULTURA
SETTIMANALE
‫שבועון‬
SHALOM‫שלום‬
Aleppo città mattatoio
Migliaia di morti nell’indifferenza
dei pacifisti
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S A B A T O
DICEMBRE
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La giustizia secondo Israele
A Gerusalemme la Corte suprema è chiamata a sancire il
delicato equilibrio tra sicurezza e diritti. Ed è il simbolo del
lungo lavoro di cui ha bisogno l'occidente
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uò diventare rabbino capo dell'esercito chi, richiamandosi all'interpretazione della Torah, aveva in passato rilasciato dichiarazioni
ambigue sull'ammissibilità della violenza sessuale da parte dei
soldati in tempo di guerra? E può la Corte suprema sospenderne la
nomina alla vigilia della cerimonia di insediamento e convocare l'interessato per rendere chiarimenti? Può la Knesset approvare una legge che legalizzagli insediamenti non autorizzati su terreni di proprietà privata di palestinesi, aggirando così l'ordine di demolizione sancito dalla Corte suprema
e sfidando le censure della comunità internazionale?
In Israele, molte delle questioni che animano il dibattito pubblico e l'agenda
politica assumono una rilevanza giuridica del tutto straordinaria e peculiare. Capita così facilmente che l'attualità irrompa nelle discussioni con gli
studenti del corso di Comparative administrative law che ho tenuto alla
Radzyner Law School dell'Interdisciplinary Center di Herzliya, la più importante università privata in Israele, molto attiva anche sul fronte della internazionalizzazione. Gli studenti, in realtà, non sono abituati a parlare e intervenire in aula. La lezione è ancora quella "frontale", basata sull'esposizione della materia da parte del docente. Il metodo di insegnamento, anche
nelle classi in lingua inglese, è dunque lontano da quello americano, incentrato sulla discussione critica di casi giurisprudenziali, al quale mi ero
ispirato per preparare il corso. Eppure, mano a mano, i ragazzi prendono
coraggio e si appassionano, portandosi dietro anche il ricco bagaglio di
esperienze personali (quasi tutti hanno già servito per diversi anni nell'esercito). Non a caso, nelle pause delle lezioni, quando cominciano a conversare con i dottorandi di ricerca venuti con me dall'Università di Roma Tre e
dalla Scuola Sant'Anna di Pisa, si stupiscono della loro giovane età.
Quando entriamo nel vivo del programma, gli studenti si interessano subito ai primi casi giurisprudenziali tedeschi e francesi sui rifugiati e sui campi profughi che ho selezionato. Sanno bene quanto sia delicato l'equilibrio
tra esigenze di controllo dei flussi anche a tutela della sicurezza (una barriera protegge Israele dal confine con il Sinai egiziano), istanze umanitarie
e politiche di immigrazione (lo Stato di Israele, d'altra parte, nacque anche
grazie all'aggiramento delle quote d'ingresso fissate dal protettorato britannico sulla Palestina). Analizzano le diverse forme di esercizio dei poteri
pubblici che emergono da alcune recenti sentenze della Corte europea di
giustizia e della Corte suprema americana. Il dibattito si concentra soprattutto sulle ipotesi in cui funzioni pubbliche sono trasferite a soggetti ibridi,
pubblico-privati, o a imprese operanti a scopo di lucro. Discutono quindi
con passione la sentenza con cui la Corte suprema israeliana, nel 2009, ha
dichiarato l'incostituzionalità della legge sulla privatizzazione delle prigioni, un vero e proprio leading case a livello mondiale. Alcuni ritengono la
decisione della Corte frutto di un pregiudizio ideologico contro il privato,
che finisce così per frustrare le esigenze di contenimento della spesa pubblica e di tutela della sicurezza alla base dell'esperimento di privatizzazione. Altri, invece, elogiano la sensibilità della Corte per le istanze di protezione dei diritti umani dei detenuti. La ragionevolezza della conclusione
allora raggiunta dalla Corte, d'altra parte, appare oggi confermata dal bilancio critico sull'esperienza dei penitenziari privati recentemente stilato
dall'amministrazione statunitense.
Al termine dell'ultima lezione, molti ragazzi si fermano a salutarmi affettuosamente. Sono contenti di aver superato l'iniziale ritrosia e di aver approfondito anche gli argomenti apparentemente più lontani inseriti nel programma, come i controversi poteri del Consiglio di Stato in Belgio o l'ambito del sindacato giurisdizionale sulla sanzioni irrogate agli operatori finanziari a Singapore. Mi parlano dei loro prossimi corsi e impegni. Alcuni di
loro si apprestano a svolgere un anno di esperienza professionale in studi
legali, anche internazionali, o presso amministrazioni pubbliche e società
private.
Le questioni giuridiche in Israele, d'altra parte, sembrano avere una speciale intensità. A dirimerle è spesso chiamata la Corte suprema, formata da
quindici giudici, nominati da un comitato di selezione composto da tre
giudici in carica, due membri del governo, due del Parlamento, e due rappresentanti dell'ordine degli avvocati. Una volta nominati, i giudici restano
in carica fino al compimento dei settant'anni. Si tratta di un disegno istituzionale particolarmente sofisticato, uno dei più avanzati al mondo nella
capacità di proteggere l'indipendenza della Corte. Tanta cura per questi
congegni giuridico-istituzionali si può forse meglio comprendere quando si
visita il vicino Yad Vashem, il Centro per la Memoria della Shoah. Di fronte
alla raggelante visione delle schede relative alla diffusione a macchia d'olio
delle leggi razziali negli anni Trenta in Germania e nel resto di Europa, al
giurista viene spontaneo chiedersi se l'esistenza di più forti custodi della
Costituzione avrebbe allora potuto impedire o quantomeno ostacolare il
diffondersi di quel tragico e folle disegno criminale. Nel sistema giuridico
israeliano, la Corte è chiamata a svolgere molteplici funzioni, sia come corte di ultima istanza nei giudizi civili, penali e amministrativi, sia come
corte costituzionale. Particolarmente originale è la sua funzione di Alta
corte di giustizia (Bagatz), che le consente di pronunciarsi sulla legittimità
di qualsiasi decisione pubblica, anche laddove non sia prevista dall'ordinamento una specifica forma di ricorso. Ciò ha permesso alla Corte, in diversi
periodi della sua storia, di svolgere un ruolo fondamentale nella protezione
dei diritti umani, anche degli arabi e dei palestinesi nei Territori occupati,
alla ricerca di un delicato equilibrio con le esigenze di tutela della sicurezza
di Israele.
Durante la visita nello splendido edificio moderno della Corte inaugurato
nella città nuova di Gerusalemme nel 1992, si è colpiti dalla grande apertura degli spazi e dalla luce calda che penetra in ogni angolo dell'edificio con
l'idea di rendere trasparente e accessibile a tutti l'amministrazione della
giustizia. Quando entriamo in un'aula per assistere a una delle udienze
programmate per la giornata, ci imbattiamo nella vigorosa arringa di un'avvocatessa araba, che difende dall'accusa di terrorismo il suo giovane assistito. La giudice Daphne Barak-Erez, fino a qualche anno fa professoressa
di Diritto pubblico (l'avevo conosciuta in occasione di una conferenza internazionale negli Stati Uniti), ci riceve nel suo moderno e accogliente studio.
Questa settimana è di turno per assumere i provvedimenti di urgenza e
quelli di carattere organizzativo in attesa della riunione dei collegi giudicanti. E' stata il più giovane giudice nominato alla Corte (nel 2012, quando
aveva 47 anni). La sua designazione fu accolta con grande favore, per il suo
prestigio accademico e per l'assenza di affiliazioni politiche. Dopo aver
servito nell'ufficio giuridico dell'esercito, Daphne Barak-Erez ha avuto una
lunga e brillante carriera accademica, fino a diventare preside della Facoltà
di Giurisprudenza a Tel Aviv. Ci dice che, dopo vent'anni passati a insegnare e fare ricerche anche all'estero, si sentiva pronta per dedicarne altrettanti all'attività di giudice presso la Corte. Racconta di aver imparato molto dai
suoi colleghi nei primi anni di mandato e sottolinea l'importanza del rapporto umano tra persone destinate a spendere così tanti anni insieme (un po'
come avviene nella Corte suprema americana). Nel tempo, farà parte di
collegi giudicanti che, inevitabilmente, saranno di diverso orientamento e
sensibilità. Già a breve scadrà il mandato di tre giudici. E in futuro non
possono escludersi cambiamenti anche nelle procedure di nomina o nelle
funzioni: alcuni intendimenti in tal senso sono stati annunciati dal ministro
della Giustizia. Lei ci tiene a sottolineare l'importanza di evitare qualsiasi
influenza politica nei giudizi. E ci spiega le ragioni dell'originale apertura
della Corte alla comparazione giuridica, dovuta al carattere composito
dell'ordinamento israeliano e alla formazione spesso internazionale di giudici e avvocati. Il ruolo così importante assunto dalla Corte, cui gli stessi
partiti possono rivolgersi direttamente per cercare di fermare leggi e decisioni, è oggi la conseguenza anche di un sistema politico per molti versi
bloccato, senza autentiche alternative di governo. La scena è dominata
dalla personalità carismatica di Netanyahu. L'elezione di Trump (accolta da
grandi manifesti con la scritta "make Israel great again") potrebbe rafforzarne la posizione anche a livello internazionale. La sua figura è talora sfiorata
da scandali (l'ultimo riguarda il controverso acquisto di mezzi sommergibili per la difesa) e spesso da critiche. Alcuni giornali ne contestano anche la
gestione della recente emergenza degli incendi, in parte di matrice dolosa,
probabilmente terroristica, divampati ad Haifa e nel resto del paese. Proprio il fatto che gli incendi siano stati alla fine domati anche grazie alla
solidarietà, tra gli altri, di Stati Uniti, Russia, Grecia, Italia e persino dell'Autorità palestinese, che hanno mandato tempestivamente i loro mezzi di
soccorso, restituisce però un'immagine meno isolata di Israele e del suo
governo di quanto a volte si può pensare. Il successo, non solo economico,
di Israele, d'altra parte, è sotto gli occhi di tutti. Il livello di crescita del pil
si mantiene alto, mentre il tasso di disoccupazione è contenuto. Elevata è
anche la natalità, seppure in misura diversa nei vari settori della società e
con rischi di crescenti squilibri demografici. I ragazzi fanno figli anche se
sono ancora all'università e non hanno un lavoro. Il boom immobiliare, soprattutto a Tel Aviv, continua, insieme alla crescita delle attività finanziarie. La politica di sviluppo verso il Negev prosegue in nuove forme. L'insediamento dei kibbutz lascia il posto a stabilimenti industriali all'avanguardia.
GIULIO NAPOLITANO
(Il Foglio, 9 dicembre 2016)
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DOMENICA
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Immigrazione selvaggia
Dietro gli sbarchi la folle strategia di
autoinvasione
C'
è da scommettere che molti di noi non saranno affatto sorpresi se prossimamente un giudice indipendente dovesse condannare rappresentanti della grande finanza speculativa
globalizzata, delle Nazioni Unite, dell'Unione Europea, del
Governo italiano, delle Chiese cristiane, della criminalità
organizzata, di cooperative, di associazioni di volontariato, e in contumacia i rappresentanti di Stati musulmani,
scafisti e terroristi islamici, per aver finanziato e promosso l'esodo epocale di milioni di africani, mediorientali e
asiatici che si riversano in Europa, denunciando che non
è mai stato un fenomeno spontaneo come reazione naturale alle guerre e alla povertà, bensì una criminale strategia di sfruttamento demografico del Terzo Mondo per
colmare il crollo della natalità dell'Europa. Periodicamente
abbiamo delle conferme. È del 4 dicembre la rivelazione
secondo cui 15 navi appartenenti alle Ong (Organizzazioni non governative) Moas, Jugend Rettet, Stichting Bootvluchting, Medici Senza Frontiere, Save the Children,
Proactiva Open Arms, Sea-Watch.org, Sea-Eye e Life Boat, hanno introdotto in Italia 39mila clandestini in due
mesi. Emerge che gli scafisti si mettono d'accordo con la
guardia costiera italiana, prima ancora di salpare dalla
costa libica, per concordare il punto dove avverrà il trasbordo dei clandestini dai gommoni alle navi.
Il 4 novembre l'agenzia di stampa Ansa ha informato che
il ministro per l'Informazione del Gambia, Sheriff Bojang,
GROTTESCO A POTENZA
«Mein Kampf» a scuola,
arrivano gli ispettori
Il ministero indaga sulle letture. Studenti e prof
«Spiegheremo che quel libro ci fa ri, flettere»
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a loro «colpa»? Aver «analizzato criticamente»
stralci del Mein Kampf «contestualizzandone il
messaggio nell'ambito dell'attivita curricolare».
Tradotto dal burocratese: hanno studiato il «libro nero» di Adolf Hitler per comprendere meglio l'orrore del nazismo.
Studenti e docente di Italiano del liceo di Potenza meriterebbero un encomio, invece saranno tenuti a «dare
chiarimenti» agli ispettori del ministero dell'Istruzione
spediti da viale Trastevere per accertare «eventuali responsabilità». A non essere piaciuto al ministro Stefania
Giannini (che voci di corridoio danno per non confermata nel prossimo governo) è la «dichiarazione di lettura»
dei liceali potentini che, rispondendo ai un questionario
del Miur, hanno indicato il Mein Kampf tra le letture
«gradite» durante l'anno scolastico. «L'equivoco probabilmente è nato su quel "gradito" - spiega al Giornale un
docente del liceo finito nella bufera -. L'idea di analizzare il testo hitleriano ci è venuta anche sull'onda delle
polemiche nate all'indomani dell'iniziativa editoriale del
Giornale che, tempo fa, abbinò il quotidiano all'acquisto
ha annunciato che il suo Paese non riconoscerà più l'autorità della Corte Penale Internazionale per «il mancato
perseguimento con l'accusa di genocidio dei dirigenti dei
Paesi europei che hanno fallito nella protezione dei tantissimi giovani migranti africani morti nelle loro acque e
sulle loro spiagge». Già l' 11 giugno 2014 in una «Lettera
Pastorale» i vescovi cattolici dell'Eritrea avevano denunciato l'Europa per lo sfruttamento demografico dei giovani
eritrei: «Ad abbandonare la nostra terra non sono solo le
risorse naturali, ma anche le ricchezze umane. (...) Migliaia di giovani istruiti, o con elevate potenzialità intellettuali, ci lasciano in quella che si può realmente definire «una
fuga dei cervelli». (...) Ci terrorizza la prospettiva di un
drastico spopolamento del territorio. (...) Bisogna correre
ai ripari con coraggio e creatività per trattenere chi non è
partito e per richiamare chi è partito».
Siamo di fronte a una strategia di auto-invasione di clandestini per ripopolare l'Europa, che non solo non è un bene per gli europei che sono destinati a estinguersi condannando a morte la nostra civiltà laica e liberale dalle
radici cristiane, ma non è neppure un bene per i Paesi del
Terzo Mondo che si ritrovano spogliati della loro risorsa
umana migliore. Si tratta del più efferato crimine epocale
perpetrato da pochi a danno dell'insieme dell'umanità.
MAGDI CRISTIANO ALLAM
magdicristianoallam.it
del Mein Kampf . «In classe - sottolinea il docente - ci
chiedemmo: è giusto mettere al bando un libro, soprattutto se la sua lettura può aiutarci a comprendere meglio fenomeni storici come il dramma dell'Olocausto?».
Ovviamente la risposta fu «no», è così l'operazione
«analisi del testo» ha avuto inizio. «Rispondendo al questionario del Miur - aggiunge uno studente - non pensavamo di scatenare una polemica, ma solo di far conto di
un'iniziativa lodevole e che ci sta arricchendo culturalmente».
Peccato che al ministero la pensino diversamente, tanto
da aver deciso l'invio degli ispettori, procedura che di
solito viene adottata quando si commettono gravi negligenze o irregolarità tali da mettere qualcuno «sotto processo» (disciplinare). Roba da far rivoltare nella tomba
Indro Montanelli, che in un articolo apparso sul Corriere
della Sera del 27 novembre 1999, invitava «a distribuire
la biografia di Hitler nelle scuole per educare i giovani a
combattere il neonazismo». «Toccasse a me - precisava
Montanelli - (ma forse debbo ringraziare Dio che a me
non sia toccato nulla) il Mein Kampf che oltretutto è
scritto da cani, lo farei leggere nelle scuole. E distribuire
davanti agli stadi ai tifosi che sventolano le bandiere
con la svastica».
Il ministero dell'Istruzione prenda nota e invii gli ispettori magari nelle scuole che cadono a pezzi.
NINO MATERI
(Il Giornale, 11 dicembre 2016)
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Israele, primo ambasciatore turco
dal 2010 ricevuto da Rivlin
Mekin Okem ha presentato
credenziali al presidente israeliano
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l primo ambasciatore turco in Israele dal 2010 ha
presentato oggi le sue credenziali al presidente
Reuven Rivlin. Mekin Okem è stato ricevuo dal capo
dello Stato israeliano presso la sua residenza a Gerusalemme: nell'occasione il presidente ha offerto le sue
condoglianze per la morte di 44 persone nel duplice attentato di sabato a Istanbul.
Rivlin ha manifestato la speranza che lo scambio di ambasciatori tra i due Paesi possa "aprire una nuova e promettente pagina" nelle relazioni tra Israele e Turchia.
Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha ricevuto il
nuovo ambasciatore israeliano Eitan Naeh la settimana
scorsa.
L'Isis e la guerra
che ci eravamo scordati
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h sì, poi ci sarebbe l'Isis. Ce
l'eravamo scordati. Così impegnati nella guerricciola
santa dei nostri referendum, tra un appassionante dibattito
sull'Italicum e una riflessione italocentrica sugli editoriali dell'Economist, ci
eravamo distratti. Ci siamo cullati, nel
vuoto ipnotico delle nostre discussioni, che là fuori, tra morti, decapitazioni, donne violentate e uccise in massa, popoli e fedi perseguitati, tutto si
fosse dissolto. Che il Bataclan fosse
un anniversario da celebrare come il
reperto di una storia tragica, ma finalmente chiusa, che i «lupi solitari» si
fossero addormentati per sempre.
«Mosul quasi riconquistata»: ma non
era (ancora) vero.
Oggi si apprende che Raqqa, sull'orlo
della resa Isis, è ancora inespugnata.
Israele: arrivano i primi due
caccia invisibili F-35
A
rrivano in Israele dagli Usa i primi due super
caccia 'invisibili' F-35, al top mondiale negli armamenti aeronautici. Imponente il comitato di
accoglienza a partire dal premier, Benjamin Netanyahu, al presidente israeliano Reuven Rivlin; dal ministro della difesa Avigdor Lieberman, al suo omologo americano, Ashton Carter, che si ritroveranno per la cerimonia
di consegna alla base di Nevatim nel sud del paese.
"Un'aeronautica forte - ha detto Lieberman - significa forze armate israeliane forti e quindi uno Stato di Israele e
un popolo israeliano forti". I nuovi jet rappresentano il piu'
concreto deterrente ai missili S-300 e S-400 forniti dalla
Russia a Teheran e alla Siria. "L'F-35 - segnalano i responsabili della Lockheed Martin, la ditta costruttrice - sono in
grado di fronteggiare tutti i sistemi d'arma piu' evoluti
oggi dispiegati nello scacchiere del Medio Oriente".
Israele e' il primo paese a poter mettere in campo i nuovi
F-35 oltre gli Stati Uniti. L'ordine complessivo riguarda 50
caccia; l'azienda israeliana Elbit Systems e' nel pool che
partecipa alla realizzazione dell'aereo, cosi' come il gruppo pubblico Israel military industries. Il costo dei jet si
aggira sulla cifra di circa 103,5 milioni di euro ciascuno e
Israele sulla base dell'accordo raggiunto con Washington
nel settembre scorso ricevera' aiuti militari per 38 miliardi
di dollari nel periodo 2019-2028. (AGI)
Che le forze anti-Isis han rallentato.
Che Palmira rischia di essere ripresa
dagli sgozzatori fanatici e devastatori
del nostro patrimonio culturale. Che
in Turchia c'è stata un'altra strage (nel
silenzio sbadigliante del mondo intero, compreso quello dell'amico di Putin che sta per traslocare alla Casa
Bianca). Che una cattedrale copta al
Cairo è lo scenario di una nuova, spaventosa carneficina («ma non è una
guerra di religione!»). Che Aleppo,
come ha scritto Lorenzo Cremonesi su
queste pagine, è diventata una nuova
Srebrenica, dove i civili ammazzati dal
nostro alleato Assad, massacratore di
circa 250 mila suoi connazionali in pochi anni, aumentano senza sosta, con
l'aiuto della Russia, degli iraniani, degli Hezbollah che si preparano a puntare le loro bombe contro lo Stato di
Israele. La storia non si è fermata,
mentre noi stavamo allestendo quella
parodia di guerra civile sulle sorti del
Cnel. Noi vorremmo che si fermasse
per sempre. Noi vorremmo poter dire
che è stato un incubo passato, e che il
risveglio ci ha strappati dalle nostre
paure. Noi vorremmo archiviare l'idea
che la guerra santa abbia smesso di
seminare il terrore sul lungomare di
Nizza o in una discoteca della Florida,
o davanti a un ristorante cambogiano
di Parigi, o all'aeroporto di Bruxelles.
Vorremmo che davvero Mosul fosse
sul punto di essere conquistata, che a
Palmira sventolassero le bandiere della pace e dei beni della cultura e
dell'arte riconsegnati all'umanità. Ma
abbiamo difficoltà a misurarci con la
realtà. E a fare attenzione sempre,
anche quando i morti sono lontani, e
non nel cuore delle nostre città. E a
capire che cosa vogliono quei fanatici
scatenato contro il nostro «stile di vita» peccaminoso.
PIERLUIGI BATTISTA
Il Corriere della Sera, 12 dicembre 2016
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MARTEDI
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La prima volta di un islamico
in corsa per l'Eliseo
U
n islamico correrà per l'Eliseo. Per la prima volta l'«Union des Démocrates Musulmans Francais», (Udmf),
presenta un proprio candidato alle elezioni presidenziali. Si chiama Kamel Messaoudi, ha 57 anni ed è un
medico di Mayotte, dipartimento francese d'oltremare che
conta due isole nel canale di Mozambico. Annunciando la novità, il fondatore del movimento Nagib Azergui si è detto conscio del fatto che «la nostra partecipazione al voto potrebbe
essere vista come una provocazione, ma è il tentativo di lanciare un ponte tra le diverse anime che compongono la comunità nazionale, soprattutto alla luce dei tragici attentati che
hanno funestato il Paese dopo il 2015». Anche il candidato
presidente ha avuto parole di grande distensione. «Cittadini
francesi di cultura musulmana», ha esordito nel discorso della
corona, «io sono profondamente repubblicano e democratico e
intendo rispettare la legge sulla laicità del 1905. Ma è contro le
discriminazioni che patiamo, siano esse il divieto di indossare
il burkini in spiaggia o il velo all'università o nei locali pubblici,
oppure la caricatura che alcuni politici fanno degli islamici per
In Israele 80 anni dopo Toscanini
Muti: il maestro diresse gli artisti ebrei in fuga. Ora una
serata di musica contro i fascismi. Quel gesto di altissimo
valore morale fu salutato con immensa gratitudine da tutte
le comunità. Il direttore sarà protagonista delle celebrazioni per la nascita della Filarmonica a Tel Aviv
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el dicembre del 1936 Arturo Toscanini, su invito del
grande violinista Bronislaw Huberman, giunse a Tel
Aviv per dirigere il primo concerto dell'appena nata
Orchestra di Palestina, oggi Filarmonica di Israele. A
distanza di ottant'anni esatti, la gloriosa Istituzione celebrerà
quell'avvenimento eseguendo lo stesso programma ideato dal
grande Maestro: Rossini Sinfonia da «La Scala di Seta»,
Brahms Seconda Sinfonia, Schubert Sinfonia Incompiuta, Mendelssohn Notturno e Scherzo dal «Sogno di una Notte di
mezza estate», Weber Ouverture da
«Oberon». Toscanini, sempre più attivo
nella lotta contro il fascismo, diresse
gratuitamente quei primi concerti, eseguiti da musicisti ebrei, che dall'Europa
centrale erano fuggiti per evitare la
persecuzione nazista.
Albert Einstein dagli Stati Uniti, dove
era esule, scrisse al Maestro: «Sento il
dovere di dirLe quanto La ammiri e la veneri» e, poco dopo,
«L'esistenza di un simile contemporaneo cancella molte delle
delusioni, che si devono continuamente subire da parte della
species minorum gentium». Questo gesto di altissimo valore
morale da parte del grande Direttore fu salutato con immensa
gratitudine da tutte le comunità ebraiche e dalle genti di buona volontà del mondo intero. Toscanini portava, oltre alla sua
impareggiabile Arte interpretativa, il senso altissimo di libertà, di dignità umana e di uguaglianza sociale. Il suo rifiuto di
eseguire al Teatro Comunale di Bologna la Marcia Reale e
Giovinezza, all'inizio di un programma per la commemorazione
di Giuseppe Martucci, gli procurò un'aggressione da parte di
fascisti infuriati per il suo diniego. Il concerto non ebbe mai
luogo e la locandina di quell'evento giace nell'archivio del teatro bolognese, come monito severo a quanti abbiano idee liberticide o la memoria del passato offuscata.
Quando ero direttore musicale dell'Orchestra di Philadelphia
addossare loro la responsabilità dei crimini dell'Isis, che un
partito democratico e musulmano si presenta, legittimamente,
al più importante appuntamento elettorale». L'Umdf batterà su
tasti precisi. I diritti delle donne, «oggi pagate meno e con
meno occasioni di lavoro rispetto agli uomini», mentre chi potrebbe fare qualcosa «preferisce polemizzare sul velo». Il rispetto autentico del motto nazionale, Liberté Egalité Fraternité, mai davvero onorato «in una società esclusivamente cristiano-giudaica». L'equità fiscale, «basta nuove tasse», una
rivalutazione della spesa pubblica «con una nuova e puntigliosa analisi del debito», una «lotta vera all'evasione fiscale».
Programma socio-economico piuttosto vago, come si vede, e
un'orgogliosa rivendicazione di identità. Non si hanno ancora
reazioni da parte dell'opinione pubblica e degli altri partiti. Nel
celebre romanzo scandalo di Houellebecq, Sottomissione, il
primo presidente islamico saliva all'Eliseo perché il fronte repubblicano si coalizzava contro Marine Le Pen. Oggi la leader
del FN appare meno forte, rispetto a poche settimane fa, considerando l'entrata in scena di Fillon: un moderato di centro
che al secondo turno può catalizzare anche i voti di sinistra.
PAOLO CRECCHI
(La Stampa, 13 dicembre 2016)
avevo nella fila dei violini un musicista, che aveva partecipato
a quel primo concerto in Tel Aviv. Il suo nome era David Grunschlag ed era stato uno dei fondatori dell'orchestra israeliana
e, successivamente, il suo primo violino. Io lo conobbi bene,
perché egli fu membro dell'Orchestra di Philadelphia fino al
giorno del suo ritiro nel 1984. È interessante il racconto sulle
prime prove di Toscanini con la nascente formazione. Sembra
che il Maestro, salito sul podio senza discorsi retorici, annunciando semplicemente: «Sinfonia di Brahms», non abbia avuto
durante la prova alcuna di quelle particolari reazioni di ira o
fastidio, che lo avevano reso famoso nel mondo. I musicisti
credettero che, forse, il grande Direttore non fosse particolarmente coinvolto o non avesse una seria considerazione di essi;
si trattava, in ogni caso, di validi artisti, che provenivano da
prestigiose orchestre europee. Alla terza prova il Vulcano
esplose, contrariato da qualche imperfezione e l'intera Orchestra reagì felice
alle grida di rimprovero.
In seguito agli avvenimenti politici in
Austria nel 1938, mentre continuava a
dirigere altri concerti in Israele, Toscanini aveva rinunziato a partecipare al
Festival di Salisburgo. A questo proposito desidero ricordare alcune frasi di
una lettera scritta al Maestro da Gaetano Salvemini, uno dei più celebri fuoriusciti antifascisti, che in quegli anni
insegnava all'Università Harvard: «Bisogna che Le scriva per
dirle la mia emozione, ammirazione, riconoscenza, entusiasmo
per la nuova prova di generosità e di carattere che Ella ha dato, rifiutando di andare a Salzburg. In questi anni borgiani Ella
è la sola persona, la cui luce morale rimane immobile nell'universale bassezza. Ella è il solo, che sia rimasto sempre fedele
alla bella e pura tradizione dell'anima italiana».
Oggi la Filarmonica di Israele è una delle grandi anime culturali di quel Paese e dopo ottant'anni di Musica nel mondo celebra la sua Storia, la sua Vita, la sua Luce. Toscanini diede il
primo respiro a quei suoni che ancora oggi ci avvolgono e ci
portano messaggi di Bellezza assoluta, in un mondo che desideriamo di Pace e di Fratellanza fra tutti i popoli. Ho ricevuto
dai musicisti di quell'Orchestra l'invito a dirigere il 20 dicembre
lo stesso programma che ottant'anni fa Toscanini eseguì. Sarà
per me un grande onore.
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MERCOLEDI
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Mattatoio Aleppo
Siria racconti dalla città martire
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ueste sono le mie ultime parole. Potrei morire da un momento all'altro". Iniziano o
terminano quasi tutti cosi i tweet postati
dai siriani nella sacca di Aleppo Est. Sono
messaggi crudi, inevitabilmente brevi, di grande effetto.
C'è Lina Shamy, una voce nota tra i civili nelle zone controllate dalle milizie che si oppongono al regime di Bashar
Assad, che lancia addirittura un appello: «Umani in tutto
il mondo non dormite! Potete fare ancora qualche cosa,
provate adesso. Bloccate il genocidio!». Bana Alabed, la
bambina di sette anni che da qualche tempo si fa sentire
dal portatile della madre ci avvisa che questo è il «mio
ultimo messaggio». E annota che ha pianto quando ha
visto il papà ferito dalle bombe. Abdul Kafi Alhamado,
maestro di inglese, posta un video in cui si sentono esplosioni, concitato parla di strade pericolosissime a causa dei
raid aerei russi, testimonia di civili sotto le macerie che
nessuno può aiutare: «Le rovine delle loro case diventeranno le loro tombe». Monther Etaky, barba sfatta, occhiaie nere come la pece, dice, con una sorta di flemma rassegnata, «spero almeno di potervi raccontare la mia morte in
diretta». I Caschi Bianchi, come sono conosciute da ben
oltre un anno le squadre locali di soccorso alla gente nelle
case bombardate, che il Corriere è riuscito a contattare
negli ultimi giorni, sino a domenica sera ci raccontavano
di vere e proprie «selezioni» da parte dei militari siriani
lealisti, assieme ai miliziani sciiti dell'Hezbollah libanese,
che si preoccupano di arrestare uomini e ragazzi tra i civili in fuga. «Li prendono, li picchiano, quindi spariscono.
Forse li hanno già fucilati», ci diceva venerdì uno di loro, il
quarantenne Ismail Alabdullah.
Intanto fanno capolino foto inquietanti: si vedono decine
di uomini in piedi con i lacci delle scarpe spariti, alcuni
scalzi. Non possono correre, non possono fuggire. Il regime di Damasco sostiene che li vuole arruolare. Ma ormai
anche il generalmente supercauto Ban Ki-moon ha denunciato allarmato «le voci e i racconti di atrocità commesse
contro un grande numero di civili ad Aleppo». Amnesty
International parla apertamente di «crimini di guerra».
Nelle ultime ore le accuse dell'Onu si sono fatte molto più
precise. Fonti locali rimbalzate al Palazzo di Vetro riportano di «almeno 82 civili uccisi, tra loro 11 donne e 13 bambini». Ma la cifra sembra davvero conservativa. Emergono
racconti di squadracce lealiste che entrano nelle case
aprendo il fuoco in modo indiscriminato. «Siamo estremamente preoccupati per la sorte dei civili intrappolati in
quell'inferno. Non hanno alcun rifugio sicuro. Abbiamo
testimonianze che raccontano di persone uccise a sangue
freddo nelle proprie abitazioni e per le strade mentre cercavano di fuggire», sostiene Rupert Colville, portavoce
Onu per i diritti umani.
Scene dall'inferno, vengono in mente Stalingrado, Varsavia durante la Seconda guerra mondiale, e più di recente
Grozny e Beirut nel pieno del conflitto civile, sino a Mosul
presa da Isis nel giugno 2014. Intanto anche Mosca e Damasco accusano i «terroristi» di utilizzare i civili come
«scudi umani» e compiere massacri. Eppure, sono ormai i
soldati pro-Assad ad avere la meglio. Sino a due settimane
fa erano segnalate 250.000 persone nelle aree tenute dai
ribelli ad Aleppo Est. Ora il loro numero parrebbe sceso a
È morta Giulia Spizzichino: sfuggì a
deportazione e fece estradare Priebke
È scomparsa Giulia Spizzichino, che aveva da poco festeggiato 90 anni. Una donna forte, una vera eroina
della Comunità ebraica romana che dopo essere scampata alle retate naziste e alle deportazioni (la sua famiglia fu sterminata, perse 26 parenti alle Fosse Ardeatine), non si arrese mai e tentò di consegnare alla giustizia i criminali nazisti. Il suo contributo fu fondamentale
per far estradare il criminale nazista Erich Priebke in
Italia: lei stessa si recò a Bariloche in Argentina per
identificarlo e successivamente testimoniò al processo.
ella stessa raccontò la sua storia nel libro di memorie ‘La
farfalla impazzita’.
meno di 50.000. Gli ultimi sono asserragliati in un'area di
appena 2-3 chilometri quadrati: assetati, affamati, sporchi, infreddoliti, disperati. Alla fine ad Aleppo i morti della
repressione della dittatura siriana, sostenuta in modo determinante da Russia e Iran (senza di loro Bashar Assad
sarebbe caduto già da tempo), potrebbero essere centinaia, se non migliaia. Lo testimoniano da oltre un anno le
vittime dei bombardamenti condotti con criminale precisione da Mosca e Damasco persino contro ospedali e cliniche di fortuna. Un massacro che ricorda quello condotto
dal padre di Bashar, Hafez Assad, nel 1982 contro la città
ribelle di Hama, costato forse tra i dieci e ventimila morti.
Con la differenza che oggi, grazie alla comunicazione globalizzata, siamo in grado di venirne a conoscenza in tempo quasi reale. Uno strumento che aiuta a superare le
censure di Damasco e la sua politica di concedere i visti
solo ai media «graditi».
Un pallido barlume di speranza si è alzato ieri sera con la
prospettiva di un accordo per l'evacuazione dei civili dalle
ultime zone sotto assedio grazie alle intese tra Turchia e
Russia. Due corridoi umanitari potrebbero venire aperti
verso la Aleppo Ovest lealista e le zone controllate dai ribelli nella provincia di Idlib. Ankara annuncia un campo di
tende per 80.000 profughi. Ma altre volte questi tipi di intese si sono esauriti in nuovi bagni di sangue. Lo stesso
Assad ripete di voler porre fine in modo drastico e radicale alla presenza dei «terroristi». Per il momento pare avere
mano libera: è ormai terminato il sostegno americano ai
gruppi di ribelli moderati, la prospettata nuova armonia
tra Donald Trump e Vladimir Putin gli garantisce ampio
margine di manovra. La Siria rimane un Paese gravemente
destabilizzato, martoriato da brutalità indicibili, lacerato
da desideri di vendetta. Impossibile tornare allo status
quo pre-2011. I massacri di Aleppo paiono destinati a radicalizzare ulteriormente gli oppositori al regime in chiave
filo-Isis. L'agonia di Aleppo potrebbe rappresentare non la
fine della guerra in Siria, bensì l'inizio di una stagione ancor più violenta.
15 KISLEV 5777
G I O V E D I
DICEMBRE
15
«Non potremo dire che non sapevamo.
Ad Aleppo il tracollo dell'Occidente»
Raphaël Glucksmann: «Nel nuovo mondo saranno Putin ed Erdogan a decidere tutto».
Stiamo assistendo alla riedizione degli orrori
di Srebrenica in Bosnia e di Grozny in Cecenia
«A
DICEMBRE 2016 • KISLEV 5777
d Aleppo stiamo assistendo alla riedizione degli orrori di Srebrenica in Bosnia e di Grozny in Cecenia, con una
differenza. Questa volta i massacri sono
raccontati minuto per minuto, su Twitter, dalle stesse
vittime. La distrazione dei nostri governi e delle nostre
opinioni pubbliche è il segno della débâcle dell'Occidente, dell'umanesimo, dell'Europa». Raphaël Glucksmann
ha organizzato ieri, con Amnesty International, Médecins du Monde e altre organizzazioni umanitarie, una
manifestazione a Parigi in solidarietà con le vittime di
Putin e di Bashar Assad in Siria.
Nei primi anni dell'era Internet si diceva «Auschwitz
non sarà più possibile perché la verità emergerà subito». In effetti grazie alla rete sappiamo di un massacro
in corso, eppure non riusciamo a fermarlo.
«Il merito di Internet e dei social network è quello almeno di toglierci la scusa, non potremo dire "non sapevamo" perché sappiamo tutto e mentre accade. Questo ci
responsabilizza e rende l'inazione delle democrazie occidentali ancora più colpevole e difficile da difendere».
È un momento di svolta per l'Occidente?
«Purtroppo sì, mi pare un fiasco umanitario che marcherà le coscienze e la Storia. L'Occidente e l'Europa non
hanno voce in capitolo. I nostri migliori dirigenti sono
ridotti al ruolo di commentatori: giudicano il crimine
invece di provare a impedirlo. L'amministrazione Usa
parla di peggiore catastrofe del XXI secolo, ma non è in
grado di fare nulla. Nel nuovo mondo Putin e Erdogan
decideranno tutto senza di noi, senza badare a diritti
umani e leggi internazionali».
Non entra in gioco anche una certa confusione dell'opinione pubblica? Quando si parla di Siria si tende a pensare al luogo dove lo Stato islamico tiene le sue basi. In
Francia il nuovo favorito all'Eliseo, François Fallon, ha
detto in tv che ci sono due campi in Siria: i terroristi e
gli altri, e lui sta con gli altri.
«Ma quel che lui descrive non è la realtà. Gli attentati in
Francia hanno fatto vacillare le nostre coscienze, e ormai in nome della lotta al terrorismo tutto è autorizzato.
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Scoperta moneta di 1900 anni fa
con scritta 'Sion libera'
Risale all'epoca della rivolta ebraica contro i Romani
del primo secolo d.C.
M
illenovecento anni fa venne coniata e usata
a Gerusalemme una moneta con la scritta
"Sion libera" attorno a una foglia di vite. La
moneta - informa il sito Israele.net che cita
articoli della stampa israeliana - risale al periodo della
prima rivolta ebraica contro i Romani, ed è stata rinvenuta circa un mese fa negli scavi della Città di Davide,
La prima vittima è la verità. Ma ad Aleppo non c'è l'Isis.
I terroristi dello Stato islamico sono stati cacciati via da
Aleppo. Radendo al suolo una città dove non ci sono
terroristi, Putin e Assad fanno del terrorismo di Stato. La
nostra guerra contro lo Stato islamico è giusta e va condotta fino in fondo. Ma che c'entrano le donne, i bambini
e gli uomini di Aleppo?».
Che cosa potrebbero fare i cittadini europei?
«Ognuno si sente impotente e pensa che fare campagne
sui social network o scendere in piazza sia ben poca
cosa. È una goccia, ma tante gocce potrebbero creare un
movimento di opinione capace di condizionare i politici,
per esempio i candidati alle presidenziali francesi».
Molti chiedono la fine delle sanzioni contro la Russia.
«Bisognerebbe fare il contrario e inasprirle, semmai.
Nessuno vuole una Terza guerra mondiale, ma tra scatenare una guerra contro la Russia e il non fare nulla c'è
molto in mezzo, e si chiama politica. L'Europa dovrebbe,
ora o mai più, trovare una posizione politica forte e unitaria se non vuole ridursi a fare da cagnolino di Putin e
Trump. Per esempio pensando a boicottare i Mondiali di
calcio 2018 in Russia, che altrimenti saranno una gigantesca macchina di propaganda al servizio del presidente
russo che assieme al suo alleato siriano Bashar Assad
sta compiendo il massacro di Aleppo».
STEFANO MONTEFIORI
(Il Corriere della Sera, 15 dicembre 2016)
poco a sud delle mura ottomane della
Città Vecchia di Gerusalemme.
L'antica moneta faceva parte di una serie
coniata durante la rivolta ebraica contro i
Romani del primo secolo dopo Cristo, destinata a concludersi con la distruzione del Secondo Tempio nell'anno
70 ad opera delle legioni di Tito. Il rovescio della moneta
reca una coppa e la scritta: "Anno due della Grande Rivolta", il che colloca il reperto nell'anno 67
16 KISLEV 5777
VENERDI
DICEMBRE
16
Parashat Vaishlàkh
Cosa fece Giacobbe per far commuovere Esaù?
DICEMBRE 2016 • KISLEV 5777
D
8
opo oltre vent’anni di separazione dai genitori e dal fratello, Ya’akòv (Giacobbe) nella
strada dei ritorno da Charàn in Mesopotamia,
mandò un messaggio al fratello Esaù dicendo: “Ho abitato con Lavàn e mi sono attardato fino ad
ora. Ho con me buoi, asini, greggi, servi e serve e ho
mandato ad informarti, o mio signore, per trovare grazia ai tuoi occhi”. “I messaggeri tornarono da Ya’akòv
e gli dissero: siamo arrivati da
tuo fratello, da Esaù, ed anche
lui ti sta venendo incontro con
quattrocento uomini. Ya’akòv
fu spaventato e angosciato [...]
(Bereshìt, 32:5-8)”.
Ya’akòv aveva lasciato Eretz
Israel su ordine della madre Rivkà che gli aveva detto: “Tuo
fratello Esaù vuole vendicarsi
di te [per avergli portato via
le benedizioni del padre] e ha
intenzione di ucciderti. Ora, figlio mio, ascolta quello che ti
dico e fuggi da mio fratello Lavàn a Charàn. Vai ad abitare con lui per un po’ di tempo
fino a che si sia placata l’ira di tuo fratello verso di te e
abbia dimenticato quello che ti ha fatto. Allora ti manderò a prendere da lì” (ibid., 27:42-45).
Dopo vent’anni era certamente passato “Un po’ di tempo”. Un’indicazione che Rivkà mandò a prendere il figlio Ya’akòv appare in un commento di Rashì (Francia,
1040-1104) che cita R. Moshè Ha-Darshan (Narbona,
XI secolo). Come raccontato più avanti nella parashà
(ibid., 35:8), quando Ya’akòv arrivò a Bet El, morì Devorà la vecchia nutrice di Rivkà e lì fu sepolta. Rashì
spiega che Devorà era stata mandata a Charàn da Rivkà appunto per fare ritornare Ya’akòv ed essa era morta nella via del ritorno.
Da qui si potrebbe presumere che l’ira di Esaù nei confronti di Ya’akòv si fosse placata. Un altro motivo per
pensare che Esaù non avrebbe fatto del male a Ya’akov è che dopo che Ya’akòv aveva impersonato Esaù
per prendere le benedizioni, Esaù aveva detto ( ibid.,
27:41) che avrebbe ucciso Ya’akov dopo la morte del
padre Yitzchàk (Isacco) ed ora quando Ya’akòv tornava
a casa suo padre Yitzchàk era ancora vivo. Apparentemente Esaù ebbe un improvviso cambiamento di opinione dimostrato dal fatto che aveva deciso di venire
incontro a Ya’akòv con quattrocento uomini.
Rashì (ibid., 32:9), citando il Midràsh Tanchumà afferma che Ya’akòv, temendo il peggio, si preparò all’incontro in tre modi: mandando degli omaggi, pregando
e organizzandosi nel caso fosse diventato necessario
combattere. Poi, in vista dell’incontro con Esaù, Ya’akòv divise i figli tra le rispettive madri: in prima fila
mise le due serve che si prostrarono per prime a Esaù;
poi Lea e i suoi bambini ed infine Yosef e la madre Rachel (ibid., 33:6-7).
R. Shimshòn Refael Hirsch (Amburgo, 1808-1888,
Francoforte) spiega che le serve furono messe in prima fila perché erano abituate
a prostrarsi agli altri. Poi venne Lea, la fiera madre di sette
figli che non si prostrò. Solo i
figli si prostrarono. Infine venne Yosef che si mise di fronte
alla madre per proteggerla.
Rachel, temendo che Esaù si
offendesse si prostrò e Yosef
la seguì. Nello Zòhar (p. 183) è
scritto che vedendo che Esaù
guardava le donne, Yosef saltò davanti alla madre Rachel
per coprirla dagli sguardi dello
zio.
Ya’akòv andò incontro ad Esaù prostrandosi a lui sette
volte. “Ed Esaù corse verso di lui lo abbracciò, cadde
sul suo collo e lo baciò. Poi alzò gli occhi, vide le donne e i bambini e domando: “chi sono questi per te? E
[Ya’akòv] rispose: sono i bambini che Dio ha graziosamente dato al tuo servo” (ibid., 33:4-5). Nella Torà la
parola “Lo baciò” ha dei puntini sulle lettere. Rashì cita
il Midràsh Sifrè nel quale R. Shim’on bar Yochài afferma
che è un fatto risaputo che Esaù odiasse Ya’akòv, ma in
quella occasione si commosse e lo baciò di tutto cuore.
R. Hirsch aggiunge che il fatto che Esaù si commosse
ed abbracciò il fratello Ya’akòv mostra che Esaù era
più che un cacciatore selvaggio. Non è infatti possibile
che i suoi discendenti (Edom=Roma) riuscissero a dominare il mondo solo con la bruta forza. Per fare ciò è
necessario un senso di civiltà. Ed è chiaro che quando
un uomo forte come Esaù si getta sulle spalle del debole, lo abbraccia e mette da parte la spada, il senso di
giustizia e di umanità è prevalso nel suo cuore.
R. Avraham Saba’ (Castiglia, 1440-1508, Verona?) nel
suo commento Tzeròr Hamòr,
si domanda quale fu il motivo che fece sì che Esaù si
commosse e venne ad abbracciare il fratello. E afferma
che fu proprio la visione delle donne e dei bambini che
fece commuovere Esaù. Questo dimostra che anche in
un duro come Esaù, che in fondo era nipote di Avrahàm,
vi era qualcosa di tenero che lo poteva far commuovere.
DONATO GROSSER