Teorie psicoculturali dello sviluppo linguistico

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Teorie psicoculturali dello sviluppo linguistico
CORSO DI PSICOLOGIA CLINICA (Prof. BELLOMO)
TEORIE PSICOCULTURALI DELLO SVILUPPO LINGUISTICO
L’analisi
del
linguaggio
da
un
punto
di
vista
ANTROPOLOGICO considera le influenze che l’AMBIENTE
SOCIO-CULTURALE ha sul suo sviluppo e sul suo uso.
Tale prospettiva consente di inquadrare 2 fattori che
altrimenti non verrebbero considerati:
1. Come avviene lo sviluppo e l’apprendimento di
linguaggi differenziati (cioè di lingue diverse)
2. Le conseguenze che l’uso di lingue diverse comporta
sulle funzioni e sugli stili cognitivi.
Scorrendo la letteratura sullo sviluppo del linguaggio emerge
che:
1. In TUTTO IL MONDO i bambini piccoli apprendono il
linguaggio umano con ECCEZIONALE FACILITA’.
2. Allo stesso tempo essi RIESCONO A PADRONEGGIARE
QUALSIASI TIPO DI LINGUA a cui vengono esposti.
Queste considerazioni hanno portato gli studiosi a seguire 2
strade nella ricerca sul linguaggio:
1. L’AMBITO SINTATTICO (che studia come si sviluppa la
capacità di usare e padroneggiare le regole che
permettono di ordinare le parole in frasi e poi in discorsi)
2. L’AMBITO SEMANTICO (che studia come si sviluppa la
capacità di legare le parole ai significati)
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GLI STUDI NELL’AMBITO SINTATTICO hanno evidenziato
l’esistenza di aspetti universali nel processo di sviluppo
linguistico, e quindi nell’apprendimento delle regole di una
lingua .
Il percorso da uno stadio linguistico all’altro segue, infatti,
passaggi pressocchè fissi in tutto il mondo.
Numerose ricerche hanno dimostrato che lo sviluppo del
linguaggio procede in maniera UNIVERSALE attraverso una
successione standard di stadi:
??
Dal pianto si passa alla lallazione
??
Dalla lallazione alla produzione di suoni caratteristici
della lingua di appartenenza
??
Da questi a frasi di 2-4 parole
??
Da queste alla strutturazione di FORME GRAMMATICALI
più evolute.
Inizialmente, tutti gli individui del mondo adoperano delle
singole parole con cui si riferiscono sia agli oggetti che alle
azioni che essi compiono. Inoltre usano delle INTONAZIONI
PARTICOLARI in abbinamento a tali parole per aumentare la
capacità comunicativa che altrimenti risulterebbe troppo
scarsa, dato il numero ridotto di parole che riescono a
padronegguare.
Prima dei 2 anni si cominciano a CONCATENARE le singole
parole per formare delle FRASI. Queste STRINGHE
costituiscono le prime espressioni grammaticali (cioè la
capacità di usare regole per formare frasi)
Lo psicolinguista SLOBIN ha scoperto che ovunque i bambini
seguono un insieme comune di regole che applicano sia ai
referenti che vogliono comunicare, sia alle relazioni tra
oggetti o persone che ritengono importanti. Queste
espressioni man mano si ampliano finchè, verso i 4 anni essi
riescono a padroneggiare le operazioni grammaticali base
della propria lingua.
E’ importante sottolineare come tali somiglianze siano
presenti nonostante il fatto che le differenze nella struttura e
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nella sintassi delle diverse lingue generino difficoltà diverse
nell’apprendimento.
Gli studiosi attribuiscono questo fenomeno al fatto che in
tutte le culture il compito dell’individuo è quello di imparare e
controllare le proprietà comuni del linguaggio.
Diversamente, GLI STUDI SULLA SEMANTICA (cioè la capacità
di attribuire ad una parola il “giusto” significato), hanno
dimostrato che esistono degli aspetti specifici nello sviluppo
del linguaggio, a seconda delle varie culture.
L’apprendimento e l’uso di lingue differenti ha delle
implicazioni importanti sull’esistenza degli individui, queste
differenze sono state studiate da filosofi, antropologi e
linguisti.
il linguaggio che apprendiamo da piccoli, infatti,
ha
conseguenze
determinanti
sul
nostro
modo
di
concettualizzare e rappresentare il mondo e sul modo in cui
funzioniamo al suo interno .
La capacità del linguaggio di forgiare la realtà è nota sin
dall’antichità. E’ un concetto espresso benissimo nel LIBRO
DELLA GENESI con la frase: “e il Verbo si fece carne”, meglio
ancora con la forma transitiva anglosassone: “The word
made flesh”. Altrettanto espliciti sono i testi della tradizione
ebraica, in cui il GOLEM, un fantoccio di fango, può venir
animato (cioè dotato di vita) se gli viene inscritta addosso la
parola giusta, e, ugualmente, può venir ucciso solo se questa
parola viene trasformata nel modo esatto: ciò a significare
come la parola abbia capacità di creare e distruggere.
Più recentemente il filosofo WITTGENSTEIN dichiarò che
“Immaginare un linguaggio significa immaginare una forma
di vita” (1980)
Sulla stessa scia, anche se con un approccio diverso, si pone
lo psicologo Lurija, per cui le forme sociali della vita umana, di
cui il linguaggio è una delle principali, determinano lo
sviluppo mentale degli esseri umani.
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Questa affermazione genera una domanda: quali sono le
conseguenze dell’apprendere ed usare una lingua anzicchè
un’altra?
In effetti si è visto che le differenziazioni linguistiche
influenzano la cognizione in diversi modi:
1. Hanno effetto sulla concezione fisica del mondo (per es.
alcune differenziazioni linguistiche presenti nel Thai, una
lingua orientale, facilitano lo sviluppo di concetti quali la
velocità e la durata, diversamente dal giapponese, dove
tali differenze sono invece assenti).
2. Influenzano lo sviluppo cognitivo ( per es. una ricerca ha
mostrato come lingue quali il greco o le lingue
germaniche, in cui sono presenti forme comparative
complesse, aumentino negli individui la competenza a
risolvere problemi in cui si debbano stabilire uguaglianze
e differenze tra unità e oggetti, competenze di più
difficile acquisizione per le lingue in cui le comparazioni
sono assenti o di minore frequenza, come il turco)
Riportando tali considerazioni nell’ambito pratico, le ricadute
riescono facilmente immaginabili.
Sempre nell’ambito di questo tipo di studi, rientra l’approccio
socio-culturale che fa capo allo psicologo culturale
Vygotskij. Secondo tale approccio, un individuo apprende i
significati della comunicazione nel contesto. In pratica
l’acquisizione del linguaggio (inteso come insieme di
significante
e
significato)
avviene
attraverso
la
partecipazione del bambino a routine comunicative, cioè
delle interazioni standardizzate proprie di ogni determinata
cultura.
L’osservazione,
prima,
e
l’interazione,
poi,
permetterebbe, quindi, di imparare le regole sociali e gli
aspetti cognitivi ed emotivi legati all’uso sociale del
linguaggio.
A tale proposito lo psicologo Bruner ha proposto il concetto
di FORMAT. Un format è una routine tipo ricorrente (per es. i
giochi bambino-adulto) che ha numerose caratteristiche
strutturali in comune con il linguaggio. Tale concetto
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permette a Bruner di spiegare il passaggio dalla
comunicazione preverbale a quella verbale, che risulterebbe
facilitata dall’apprendimento precoce delle caratteristiche
comuni alle due situazioni .
E’ interessante notare come, nonostante tutte le lingue usino il
linguaggio per socializzare, in pratica ognuna adotti un
metodo diverso. Per es le madri africane comunicano molto
più in modo fisico, laddove gli occidentali preferiscono il
linguaggio verbale. Ciò si spiega con il fatto che, essendo la
socializzazione un’attività finalizzata, le pratiche di
socializzazione del linguaggio saranno associate alle priorità
che ogni cultura considera necessaria allo sviluppo funzionale
dei suoi membri.
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