Novembre/Dicembre 2011
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Novembre/Dicembre 2011
Il Giornale del Pilo Albertelli di Roma - Nov/Dic 2011 - Numero 2 - Anno V Una “Maratona” di Romanzi Intervista ad Andrea Frediani N ell’Ottobre del corrente anno, disponendo di una certa documentazione bibliografica in proposito, ho deciso e tentato di contattare Andrea Frediani, autore di romanzi storici nostro concittadino e vincitore del premio "Orient Express" 1998 come miglior romanista, sperando di ottenere un'intervista per il nostro giornale. Frediani, che tuttora vive e lavora a Roma e che ha al suo attivo diversi romanzi, tra cui "300 Guerrieri" (2007), "Jerusalem" (2008), "Un eroe per l'Impero Romano" (2009) e la trilogia "Dictator" (2010-2011) (tutti ambientati tra la tarda Età Repubblicana, l’epoca delle Guerre Persiane, il Basso Impero e la I Crociata) e svariati volumi di saggistica sempre di argomento storico, ha gentilmente ribattuto e si è reso disponibile a rispondere ad alcune domande, nonché a partecipare a un eventuale incontro all'interno della nostra scuola, ancora da programmarsi. Illustro dunque qui di seguito le risposte dall’autore ai quesiti proposti: >> Intervista a Giulia Besa Una gita a Gubbio pag. 3 pag. 6 La musica come terapia del corpo e dell'anima Ritorno alla Terra Nera pag. 8 pag. 12 Novembre/Dicembre 2011 Dottor Frediani, giacché l'intervista che mi accingo a raccogliere sarà preceduta, una volta pubblicata, da un paragrafo introduttivo che spiegherà chi è Lei e di cosa trattano le Sue opere, vorrei chiederle per prima cosa: perché un medievalista quale Lei è, ha deciso di scrivere soprattutto romanzi e volumi di saggistica riguardanti non tanto l’Età di Mezzo quanto, piuttosto, il periodo Greco-Romano? In realtà non mi considero un medievalista, ma uno storico a tutto tondo. Il fatto che mi sia laureato in storia medievale piuttosto che antica o moderna deriva da circostanze contingenti, ma a me la storia piace tutta. Negli ultimi tempi, peraltro, il pubblico sembra gradire più romanzi ambientati nell’antichità, pertanto l’editore mi chiede più volentieri di cimentarmi in quell’ambito. Ma su Focus, nei saggi, nelle enciclopedie e negli allegati ai quotidiani mi occupo di ogni epoca storica. Sempre a proposito delle sue scelte stilistiche, nei Suoi romanzi Lei prende in considerazione un evento o un personaggio storico su cui v'è ampia documentazione filologica, ma che fino ad oggi è comunque rimasto avvolto da un'aura di leggenda, per poi ricamarvi su la trama del libro e tutta una serie di figure di fantasia che rappresentano poi i sostegni narrativi della colonna portante del racconto, che sia Cesare, Re Leonida o un chiunque altro da Lei citato. Eppure, nelle Sue opere, non sono i vari Traiano, Milziade o Goffredo di Buglione a far da protagonisti, bensì proprio quei personaggi secondari in genere non menzionati dai libri di scuola o dai Romanzi storici, che invece spesso nei Suoi scritti compiono imprese degne di nota. Perché dunque questa scelta "controcorrente" di soffermarsi sui piccoli uomini e sulle loro vicende personali? Nella mia lunga carriera di saggista, ho descritto le imprese di grandi e celebri personaggi storici. I romanzi, al contrario, mi hanno offerto la possibilità di raccontare una visione anche "dal basso", di antieroi che, secondo me, hanno un enorme potenziale narrativo. Sono 2 convinto che i perdenti siano in grado di appassionare il lettore come e più dei vincenti. Mi piace prendere un personaggio che si sente inadeguato alle sfide che deve affrontare, e osservare il suo stato d'animo mentre le affronta e prende coscienza delle sue potenzialità, oppure dei suoi limiti. E’ anche un modo per esplorare me stesso e l'animo umano in generale. Se ci si fa caso, nei miei romanzi manca quasi del tutto la "voce narrante"; ogni episodio è narrato dal punto di vista di uno dei protagonisti, perché desidero che il lettore ci si immedesimi come ho fatto io scrivendolo. Rimanendo in tema, nel Suo ultimo Romanzo, "Marathon", come d’altronde anche in "300 Guerrieri", Lei ci racconta nei dettagli un singolo episodio storico che non si prolunga nel tempo, se non col prologo da cui poi si origina il racconto, gli ultimi giorni della Prima Guerra Persiana. In "Marathon" però il protagonista si triplica e la trama del libro poggia tutta sull'incertezza degli storici sul nome del messaggero che annunciò l’arrivo dei Persiani in Attica. Come suo lettore dunque le chiedo: Le piace la storiografia sperimentale o trova semplicemente suggestiva l'ipotesi che i messi fossero più d'uno? Quello di "triplicare" il protagonista è un espediente narrativo per rendere più avvincente e serrato il racconto di ciò che intendevo come un thriller con unità di luogo e di tempo. La vicenda doveva essere narrata pressoché in tempo reale e con un solo protagonista sarebbe stata noiosa. D'altronde, si tratta di un'ipotesi non del tutto peregrina e assolutamente verosimile. Gli autori di romanzi di storia antica, pur rispettando i paletti rappresentati dalle notizie riportate nei documenti dell'epoca, devono approfittare di tutte le occasioni che le fonti inadeguate offrono loro per riempire i buchi con quella che LeGoff chiamava "immaginazione scientifica". Una Sua particolare passione sono i "diorami", ricostruzioni in scala di particolari episodi storici ed i Suoi Romanzi mostrano sempre in copertina un'immagine a dir poco epica o, Anno V - Numero 2 comunque, molto suggestiva. Il quesito che dunque sorge spontaneo è: sceglie lei le foto di copertina? E, se non avesse scoperto il proprio talento di scrittore, Andrea Frediani potrebbe oggi essere un valente cartoonist o un grafico? Come tutti gli scrittori, purtroppo (o per fortuna, come direbbe il mio editore) non ho alcun potere decisionale sulle copertine, che per contratto sono a totale appannaggio degli editori. Se ne avessi, avrei evitato che il Cesare rappresentato in copertina ne "L’ombra di Cesare" fosse vestito come un semplice legionario, per giunta di epoca posteriore, e non somigliasse affatto al Cesare reale. Se non avessi fatto lo scrittore, di sicuro avrei gravitato nell'ambiente musicale, l'altra mia grande passione! Infine, ultimo, ma non meno importante quesito: leggendo vari romanzi storici, mi è capitato di imbattermi nelle opere di Roberto Genovesi, novello romanziere che con il suo "La legione occulta dell'impero romano" ridisegna un po' i confini del genere fondendolo alla radice con il Fantasy. Nei "Ringraziamenti" a fine volume, Genovesi non dimentica di citarla per il suo apporto di storico ai suoi libri e Lei, a Sua volta, lo nomina in tono lusinghiero nelle ultime pagine della trilogia "Dictator". Cosa pensa di questa nuova dimensione "archeologico-magica" di cui probabilmente il Suo collega è uno dei primi a scrivere? Genovesi, prima di essere un collega, è un caro amico dotato di grande fantasia e di scrittura talentuosa. Devo dire che, da storico formato all'università, non ho mai seguito il genere fantasy e trovo faticoso accettare certe soluzioni troppo irreali. Ma Roberto si documenta in modo molto accurato per i suoi libri, e i suoi inserti magici non stonano, anzi risultano quasi verosimili. Ben vengano dunque tutti i romanzi che trattano di storia non in modo cronachistico, come quelli descrittivi e prevedibili di una volta… Novembre/Dicembre 2011 Anno V - Numero 2 3 Intervista Interv vista a Giulia Besa G iulia Besa è un' ex-studentessa del nostro Liceo, diplomatasi nel 2009. Frequenta attualmente la facoltà di Giurisprudenza presso l'Università La Sapienza di Roma. Il suo primo romanzo, "Numero sconosciuto", è stato pubblicato da Einaudi nell'estate del 2011. Il tuo libro, "Numero sconosciuto", è stato pubblicato da Einaudi quest'estate. Puoi farci un riassunto a effetto? Non c'è molto da dire: Sara esce dal liceo classico e anziché iscriversi all’università come tutte le brave ragazze se ne va in giro per l'Europa con un fucile a far fuori gli Dei (non avrei potuto farle uccidere dei filosofi… sarebbe stato troppo !). Per dare la caccia alle divinità, Sara segue le istruzioni che le arrivano tramite cellulare dal numero sconosciuto che la tormenta. Ha un malsano gusto per il deicidio, soprattutto se è cruento. E la cosa non è senza motivo. tuoi problemi! Fatti venire le crisi di pianto solo quando sono necessarie! Dimostrami che le donne sanno fare qualcosa di drastico e incisivo senza l'aiuto di un uomo! Che Dio salvi la Regina! Persefone, la bambina/cadavere, ha suscitato orrore e compassione tra i tuoi lettori. Com’è nato il personaggio? All'inizio era una vecchia. Poi mi sono detta (Scott Card docet) che era un bel cliché fare la Morte novantenne. Molto meglio una bambina cadavere incinta. No? Marte ha le pulci perché ha preso il corpo di un prigioniero dell’Unità 731 (i Giapponesi, durante la seconda guerra mondiale, facevano esperimenti sui prigionieri simili – se non peggiori – a quelli effettuati nei lager nazisti). Artemide è la Dea della Violenza, la violenza è una passione primordiale, forse la più antica di tutte, più antica della volontà di conoscere, di farsi guerra o vendicarsi. Mi sembrava logico che avesse un corpo antico quanto il desiderio che rappresentava, e fornito degli strumenti (denti da squalo) per perpetrare quella passione. Atena soffre di onicofagia (si mangia le unghie in maniera compulsiva, fino all’osso) per un motivo “divertente”. Mentre facevo l’ultimo editing, sono dovuta rimanere sveglia per diversi giorni di fila: 6 ore all’università, 18 ore di editing, altre 6 ore di università , 18 di editing eccetera. Mi sanguinavano le dita, per quanto le mangiavo. Atena, che incarna la Conoscenza, sta sveglia da secoli per studiare. Così m'è venuta l'idea. A che genere letterario appartiene "Numero sconosciuto"? È un urban fantasy: romanzo ambientato in epoca contemporanea con settings realmente esistenti (ospedali, scuole, bar, giardini) ed elementi fantastici (nel mio caso, gli dei greci e latini migliorati e corretti) che provocano stupore e straniamento. Sul genere di King, per intenderci. Nel mio romanzo, la tematica urbana non è molto accentuata, gli elementi fantastici si avvicinano alla bizarrofiction e le scene cruente al dark fantasy. NON è un paranormal romance (vedi "Tuailaids"), perché la storia d'amore non occupa la parte centrale del romanzo, né muove le azioni della protaTieni molto a sottolineare che Sara è un gonista. modello di donna forte. Perché? Perché Marte, il bellone degli dei, ha le Sono stufa delle ochette dei paranormal ropulci, la “fascinosa” Artemide è una mance che vanno tanto adesso. Sviliscono donna di Cromagnon con denti da squa- il mio sesso. Sempre piangersi addosso. E datti una mossa! Esci, bella mia! Affronta i lo e Atena soffre di onicofagia? Il finale aperto (con tanto di colpo di scena mozzafiato) lascia intendere che ci sarà un sequel. Ci puoi anticipare qualcosa? Monica (sì, la puttana, quella che sta antipatica a tutti) sarà coprotagonista insieme a Sara (pappappero!). Ci sarà Zeus (che fa il pusher), Apollo (che ha preso i voti), Afrodite (attualmente residente al Moulin Rouge). Quali sono le qualità necessarie per essere un bravo scrittore? Quanti ce ne sono al mondo secondo te? Se vuoi scrivere bene, devi studiare i manuali di tecnica narrativa ed esercitarti, e ci vogliono anni. Gerrold, nel suo “Worlds of Wonder”, afferma che il primo milione di parole (i primi 10 romanzi!) sono solo un allenamento (anche se vengono pubblicati). Il talento è utile, ma, se non avesse imparato le note e non avesse fatto gli esercizi per rafforzare e rendere agili le dita, Mozart sarebbe stato come il bimbo a cui faccio ripetizioni: batte tasti a caso sulla tastiera e ogni tanto esce qualcosa che non ti fa accapponare la pelle. Riguardo alla seconda domanda. Non posso dire con certezza quante persone al mondo abbiano la voglia, >> Novembre/Dicembre 2011 4 >> la forza di volontà e gli strumenti per scrivere bene. In Italia i bravi scrittori si contano sulle dita di una mano monca. quello della pubblicità su Canale 5 e sotto la metro), è un’associazione a delinquere. Per certi crimini dovrebbe essere previsto il taglio delle mani. Oltre che sul sequel di “Numero sconosciuto” stai lavorando anche su qualcos’altro? Sto lavorando a un paio di romanzi. Uno di fantasia e uno… di altro genere. All’Albertelli ci sono molti ragazzi che hanno come sogno nel cassetto di pubblicare i propri inediti. C’è speranza per tutti loro? Per pubblicare in Italia (e non solo) basta scrivere un romanzo commerciale, o avere le giuste conoscenze. Purtroppo scrivere bene dal punto di vista tecnico, documentarsi e lavorarci per anni non è sempre un fattore determinante. Quindi, se il vostro scopo è la pubblicazione in casa editrice, è più facile farcela con romanzi commerciali che non con duro lavoro. Dopodiché scrivere come Dio comanda è una vostra scelta. Scelta che, parlo per esperienza personale, Cosa ne pensi delle case editrici a pagamento? Ladri. L’editore è un imprenditore: deve investire a suo rischio e pericolo su di te, e subire le conseguenze della mancata vendita. Se un editore ti chiede soldi, pensa che il tuo romanzo faccia schifo e che non venderà. Si vuole coprire le spalle rubando soldi a te (e guadandoci, anche). Il Filo editore (sì, Anno V - Numero 2 comporta nausea, insonnia e onicofagia. Ma quanto vi soddisferà tirare fuori la luce dal diamante grezzo! Questo è ciò che amo di più al mondo. Se poi volete solo essere letti e non vi interessano i soldi e la fama, potete mettere in vendita il romanzo in formato digitale su un blog, o su Amazon.it e farvi pubblicità per conto vostro. Attualmente l’e-book copre lo 0,05% del mercato librario italiano. Ma nell’arco di 15 anni sostituirà la carta come i computer hanno sostituito le macchine da scrivere. Se siete bravi, è un ottimo investimento. Fatta anche questa polemica, voglio ringraziare la Redazione di Ondanomala per lo spazio a me dedicato sul giornale della scuola. Certe volte l’Albertelli mi manca. Organizziamo una cena di classe? ^_^ Come l'istruzione crolla in testa allo studente. Tragedia sfiorata a una scuola di Corigliano, presente e passato a confronto. L 'istruzione crolla in testa allo studente, sembra un'ironica metafora, vero? In realtà succede in uno dei licei più rinomati del centro di Roma, o così direbbe il dirigente scolastico, come spesso si sente dire. Questo articolo non si pronuncia pro o contro alcun ente o persona. Vuole solo mostrare le conseguenze e suscitare scandalo, fino a infastidire il governo di qualsivoglia schieramento sia, affinché ogni studente possa avere sulla sua testa durante le lezioni un'istruzione sana, solida, che non cede. Di seguito l'esempio di una scuola di Corigliano. "CORIGLIANO - Tragedia sfiorata al III Circolo scolastico “Papa Giovanni XXIII” di Corigliano scalo. Le piogge della notte tra giovedì e venerdì hanno infatti letteralmente sfondato il tetto di un’aula, facendo venire giù molti dei pannelli che formano la copertura della classe. L’episodio, per fortuna, è avvenuto nel corso delle ore notturne, ma il crollo sarebbe potuto avvenire tranquillamente anche durante le ore di attività didattica, quando le aule sono piene di alunni. A scoprire quanto accaduto sono stati alcuni addetti del personale Ata che, giunti di buon mattino ad aprire l’istituto, si sono ritrovati di fronte ad una scena inattesa: una classe completamente allagata, con il tetto quasi totalmente distrutto e sgretolato per terra. In particolare, ad essere interessata dal cedimento strutturale è stata un’aula del primo piano dell’istituto, mentre in altre classi - sempre del piano superiore - l’acqua è filtrata dal tetto creando macchie di umidità sui pannelli che formano la copertura e allagando il pavimento. Incredula la dirigente del III Circolo, Susanna Capalbo, ha reso noto che già in mattinata un tecnico del Comune aveva visitato i locali interessati dal cedimento, facendo presente che la scuola in questione è destinataria di un finanziamento che prevede la sistemazione complessiva dell’istituto, tetto compreso, ma che probabilmente, burocrazia permettendo – aggiungiamo noi – ci vorrà almeno la fine di aprile perché si cominci l’opera di ripara- zione. Tornando a quanto accaduto, ci sono almeno due fattori che lasciano perplessi. E’ infatti assolutamente curioso che a cedere sia il soffitto di una scuola costruita circa 10 anni fa; una struttura dunque nuova, che però a quanto pare sembra essere stata progettata in maniera approssimativa, visto che è bastata una nottata di pioggia perché l’acqua s’infiltrasse e inzuppasse la copertura di cartongesso e polistirolo, fino a farla addirittura crollare. A ciò si aggiunga che tra i pannelli del soffitto delle varie aule, ci sono anche quelli che contengono le lampadine e quindi il sistema d’illuminazione delle classi; questo significa che il rischio di un cortocircuito è molto elevato quando ci sono infiltrazioni d’acqua che potrebbero andare a finire proprio a ridosso dei cavi di corrente che naturalmente attraversano i pannelli. L’altro appunto va fatto alla modalità di costruzione del tetto dell’istituto, formato da piattaforme d’alluminio inclinate in maniera tale da far defluire verso l’esterno l’acqua piovana ma po- Novembre/Dicembre 2011 5 Anno V - Numero 2 sizionate sul tetto della scuola solo in alcune parti, lasciandone completamente scoperte altre. Ieri, comunque, le attività scolastiche sono proseguite abbastanza regolarmente. Le classi interessate da infiltrazioni d’acqua ovviamente sono rimaste vuote, anche perché in alcune l’umidità sul soffitto ha funzionato da fattore deterrente, onde evitare rischi inutili. Per tali motivi, anche dal Comune di Corigliano è stata messa ieri mattina un’ordinanza sindacale che, per la giornata di oggi, prevede la completa chiusura del plesso." cit. "Incredula la dirigente della III Circolo, Susanna Capalbo, ha reso noto che già in mattinata un tecnico del Comune aveva visitato i locali interessati dal cedimento, facendo presente che la scuola in questione è destinataria di un finanziamento che prevede la sistemazione complessiva dell’istituto, tetto compreso, ma che probabilmente, burocrazia permettendo – aggiungiamo noi – ci vorrà almeno la fine di aprile perché si cominci l’opera di riparazione. " accadde. Probabilmente lo studente dall'istruzione traballante sulla testa non morirà per il crollo - perché è solo cartongesso! - , diranno alcuni, ma poiché è immerso in una stanza allagata in cui sguazzano come pesciolini vivaci cavi dell'impianto elettrico. cit. "il rischio di un cortocircuito è molto elevato quando ci sono infiltraAnche il lettore è incredulo. E' incredulo ricono- zioni d’acqua che potrebbero andare a scendo che nel passato gli eventi presenti sono già finire proprio a ridosso dei cavi di successi e può trovare saggezza in quello che corrente che naturalmente attraversa- no i pannelli. " L'articolo cita fatti avvenuti in passato e documentati, per mostrare le probabili conseguenze nel futuro delle nostre azioni presenti. Non c'è alcuna polemica contro la scuola, visto che vengono riportate solo notizie vere, ma va bene pensare che ci sia una protesta, assolutamente neutra e senza schieramenti di parte, contro l'incompetenza degli uomini al potere di oggi. Diario di scuola D iario di scuola è un saggio con spunti autobiografici di Daniel Pennac dedicato interamente al mondo della scuola. In questo libro l’autore esprime il suo pensiero sulla scuola e sugli studenti. Il termine studenti può risultare vago però, infatti Pennac si concentra sulla figura dei fannulloni, degli sfaticati e di tutti coloro che vanno male a scuola. Nella prima parte del libro si parla dell’esperienza vissuta in prima persona dall’autore, che passa da studente “somaro” a insegnante. Pennac parla infatti della sua esperienza di somaro vissuta durante l’adolescenza. Adolescenza caratterizzata dall’incertezza e dal non sentirsi all’altezza, emozioni causate dai suoi continui tracolli scolastici. Ma a un certo punto qualcosa cambia. L’incontro con alcuni insegnanti che decidono di non “subire” passivamente questi somari ma anzi cercano di trovare in essi qualità nascoste, riesce a far nascere nell’autore un amore per la cultura tale da spingerlo poi a diventare insegnante. Nella seconda parte racconta la scuola vista da dietro la cattedra e parla del suo rapporto con studenti, colleghi e genitori. In particolare, racconta del rapporto con i suoi alunni, che paragona a delle cipolle. Ogni studente è infatti condizionato dai vari eventi della propria vita e se il professore non riesce a “pelare” queste cipolle, portandoli al piacere della lezione, questo piacere non attecchirà mai su di loro. In questo libro di piacevole e scorrevole lettura, Pennac esamina una figura molto diffusa, quella del “somaro” e in qualche modo gli ridà una sua dignità, ricordando anche l’angoscia e il peso emotivo che si portano sempre dietro questi ragazzi. Tra un’esperienza personale e l’altra, l’autore scrive anche la sua percezione dell’amore, elemento importante nella pedagogia. Scritto con la solita ironia, contornata anche da episodi toccanti, “Diario di scuola” è un libro divertente e di facile lettura su un tema sempre centrale, la scuola. Novembre/Dicembre 2011 6 Anno V - Numero 2 Una gita a Gubbio S e avete voglia di sfuggire al caos cittadino per rifugiarvi nella tranquillità di un paesino dove si respira aria pura, seguiteci alla scoperta di un ridente borgo medievale della provincia di Perugia: Gubbio! Città di circa 30 mila abitanti, Gubbio ha una storia antica. Fu un importante centro degli Umbri tra il III e il I secolo a.C, come testimoniano le Tavole Eugubine, il più notevole cimelio epigrafico dell'Italia preromana. Strinse poi alleanza con Roma, quando prese il nome di Iguvium, fiorendo nei primi anni dell'Impero. Dopo la caduta di questo, fu distrutta nella guerra gotica dagli Ostrogoti (552 d.C.); annessa all’impero bizantino, se ne sottrasse nell'VIII secolo. I privilegi concessi a Egubium sia da Barbarossa (1163) che da Enrico VI (1191), determinarono lo scontro con la vicina Perugia, dalla quale fu sconfitta nel 1217, rinunciando a qualsiasi espansione. Il periodo di prevalenza guelfa coincise con un'epoca di pace e prosperità (1250-1350), che si arrestò quando la città fu sottoposta al dominio della Chiesa. A questa, Gubbio si ribellò, finendo poi sotto i duchi di Urbino (Montefeltro, Della Rovere); sotto Federico Montefeltro la città visse uno dei suoi momenti di maggior splendore. Poi, tornata sotto lo Stato della Chiesa, fu soggetta a una progressiva decadenza economica e politica. Il suo illustre passato si riflette in ogni angolo del centro, ricco di chiese e palazzi dalla suggestiva bellezza. Passeggiando per le tortuose stradine si avverte un'atmosfera dal sapore medievale, che difficilmente svanirà dalla memoria del visitatore. Il nostro giro è iniziato sotto gli alberi dai colori autunnali di via Perugina. Sbucati in Piazza Quaranta Martiri, siamo rimasti subito impressionati dall'imponenza della chiesa di San Francesco, personaggio al quale è le- gato il nome di Gubbio. Infatti la leggenda vuole che Francesco, fuggito da Assisi, abbia trovato ospitalità presso la casata degli Spadalonga, dopo aver liberato la città dal lupo che terrorizzava gli eugubini. L'episodio di Francesco che ammansisce il lupo è celebrato con una statua posta nei pressi della chiesa. Costeggiando le Logge dei Tiratori, abbiamo imboccato via della Repubblica, la strada più animata della cittadina: negozietti di ceramiche, armi medievali e prodotti locali, numerose taverne e anche un'ottima cioccolateria la rendono allegra e caratteristica. Da lì si giunge proprio ai piedi della maestosa Piazza Grande, o piazza della Signoria, dalla quale si gode di una meravigliosa vista panoramica della cittadina e delle campagne. La piazza è il vero centro della città, nonché sede del suo principale palazzo, quello dei Consoli, da molti stimato come l'unico in Italia in grado di competere con il ben più noto palazzo della Signoria di Firenze. E’ un vero gioiello dell'architettura italiana trecentesca, dotato di un'elegante scalinata a ventaglio e di Novembre/Dicembre 2011 caratteristici merli; la campana della torretta-campanile viene suonata con i piedi e, pensate, pesa venti quintali! Di fronte a questo, il palazzo del Podestà, che non colpisce come il suo vicino, a causa della sobrietà del suo stile architettonico. Attraversando la piazza e salendo ancora, si può percorrere una stradina che conduce in un piccolo spiazzo in cui si fronteggiano il Palazzo Ducale e il Duomo. Il Palazzo Ducale fu costruito da Federico di Montefeltro a partire dal 1476, al suo interno si apre uno splendido cortile dotato di portico . Il Duomo risalente al XIII secolo è ricco di dipinti di artisti eugubini; significativa la sgargiante cappella barocca. Inoltre dall’interno del Duomo si accede a un piccolo giardino pensile da dove si ammira un’ottima panoramica. Visitando Gubbio si possono girare decine di altre chiese, come quella di S. Giovanni; se siete fan del prete-poliziotto Don Matteo, vi accorgerete che questa è proprio la sua parrocchia! Simbolo della dominazione romana è il teatro che si trova non molto distante da piazza dei Quaranta Martiri: davanti a questo si estende un grande prato dal quale si scorge il paesino addossato a due maestose montagne. Per godervi ancora meglio la vista del borgo, vi consigliamo di approfittare della funivia che porta in cima al monte Ingino. Se dopo questa scarpinata per i saliscendi di Gubbio vi è venuta fame, cosa c’è di meglio di un bel pranzo in una "taberna" tipica? Tagliatelle al tartufo, pasta con no- 7 ci e formaggio di fossa e gustose salsicce umbre vi riempiranno certamente lo stomaco! Poi vi consigliamo vivamente un giro per le vie e i negozi del centro: troverete degustazioni libere in strada, negozi di armi medievali (piccole balestre, archi, mazze ferrate…), borse e portafogli di cuoio, ceramiche varie e, per scaldare gli animi, la buonissima Cioccolateria Cecchini, dove un bicchiere di cioccolata calda è obbligatorio! In alternativa, per gli appassionati di calcio, c'è sempre lo stadio Pietro Barbetti, dove, con soli 5 € per gli under 18, potrete assistere a un match dell' AS Gubbio 1910, squadra che quest'anno si trova clamorosamente in serie B e attorno alla quale c’è un grandissimo entusiasmo, palpabile in ogni strada della città. Gubbio, come tutti i centri minori, ha molte feste e sagre tipiche. Noi ve ne se- Anno V - Numero 2 gnaliamo qualcuna che ci è sembrata piuttosto interessante: - il Palio della Balestra, che si svolge l’ultima domenica di maggio; - la Corsa dei Ceri, il 15 maggio, festa del patrono S.Ubaldo; la Processione del Cristo Morto, il Venerdì santo, molto particolare. Inoltre, durante il periodo natalizio, sulle pendici del monte Ingino, viene illuminato l’albero di Natale più grande del mondo, disegnato con 800 sorgenti luminose lungo tutta la facciata della montagna. L'Umbria è una terra davvero stupefacente, costellata di preziosi splendori come Gubbio. Vi consigliamo vivamente di andarci, noi ci siamo divertiti un sacco! PS: Per chi dovesse andare a Gubbio, o per chi ci fosse già stato, scriveteci le vostre opinioni all'indirizzo: www.sifitalia.jimdo.com Novembre/Dicembre 2011 8 Anno V - Numero 2 La musica come terapia del corpo e dell'anima L 'uso della musica a scopi terapeutici è documentato in numerose civiltà, dal mondo antico ad oggi, prevalentemente all’interno di un modello di pensiero magico-religioso. Si riteneva che la musica fosse di origine divina e che avesse un “effetto terapeutico” per il corpo e l’anima. La musicoterapia, che è la tecnica la quale utilizza la musica o il suono come strumento di comunicazione (non verbale) per promuovere il benessere fisico e psicologico dell’intera persona – corpo, mente e spirito, viene oggi impiegata in diversi campi, che spaziano da quello della salute, come prevenzione, riabilitazione e sostegno, a quello del benessere al fine di ottenere un migliore equilibrio e armonia psico-fisica. Le teorie principali affermano che la musica agisce sul sistema nervoso centrale ed è quindi in grado di modificarne comportamenti ed emozioni, e stimola anche la produzione di immagini mentali che possono determinare sensazioni positive e che a loro volta condizionano la mente e il corpo. Attuale e di grande risultato è l’utilizzo della musicoterapia nel coma; la stimolazione sonora, soprattutto se rilevante per il paziente dal punto di vista emozionale, può avere un ruolo nel ristabilire un contatto con la realtà agendo a livello affettivo, cognitivo ed emozionale. Anche nella cura della depressione a qualsiasi età essa ha trovato indicazione. Pareri diversi invece vengono espressi sulle capacità curative dei suoni utilizzati come terapia di malattie organiche. E’ ormai noto che ancor prima della nascita si sedimentano in noi dei suoni che costituiranno poi il nostro “io sonoro”, ad esempio il neonato riconosce la voce della mamma che lo tranquillizza. Per la comprensione e opportuno distinguere la fase dell’udire i suoni come fenomeno fisico periferico legato all’orecchio e al nervo acustico dalla fase del sentire che è la fase del collegare il suono filtrato da funzioni encefaliche a livello del talamo alle emozioni. Possiamo supporre che l’emisfero destro sia quello che, in un primo momento afferra una struttura approssimativa della musica, sulla quale, in seguito, l’emisfero sinistro esegue un’analisi più precisa. La musica esprime idee, concetti, sentimenti propri di ogni individuo. Tutti abbiamo la nostra musica preferita e siamo affascinati dai suoi effetti. All’interno di ciascun genere vi sono varietà di stili. Alcuni sono attivi e potenti mentre altri sono passivi e rilassanti. In particolare: Il canto gregoriano utilizza i ritmi del respiro naturale per creare un senso di riposante vastità. E’ eccellente per lo studio in tranquillità e può ridurre lo stress. La musica barocca più lenta (Bach, Vivaldi) conferisce un senso di stabilità, ordine prevedibilità e sicurezza e crea un ambiente mentalmente stimolante per lo studio e il lavoro. La musica classica (Hadyn, Mozart) appare ricca di chiarezza, eleganza e trasparenza. Migliora la concentrazione, la memoria e la percezione spaziale. La musica romantica (Schubert, Schumann, Tchaikovsky, Chopin, Listz) accentua l’espressività e il sentimento suscitando spinte individualistiche, nazionalistiche e mistiche. E’ in grado di incoraggiare la simpatia, la compassione e l’amore. La musica impressionista (Debussy, Ravel) si basa sul libero fluire in musica di stati d’animo e impressioni ed evoca immagini di sogno. Jazz, blues, dixieland, soul, reggae e altre forme di musica e danza che provengono dall’eredità espressiva africana possono risollevare e ispirare, liberare sia profonda gioia sia tristezza, esprimere spirito e ironia e ribadire la nostra umanità. Salsa, rumba, merenghe, macarena hanno un ritmo vivace. La samba ha la rara caratteristica capacità di calmare e risvegliare allo stesso tempo. I grandi gruppi, la musica pop, i successi degli anni Quaranta e la musica countrywestern ispirano movimenti leggeri e moderati, coinvolgere le emozioni e creare una sensazione di benessere. La musica rock può risvegliare passioni, liberare tensioni coprire il dolore e ridurre l’effetto spiacevole dei rumori dell’ambiente circostante. La musica New Age crea uno stato di attenzione. La musica heavy metal, punk, rap, hip hop e grunge eccita il sisterma nervoso,amata dalla maggior parte degli adolescenti ne indica lo stato umorale. La musica religiosa o sacra, gospel e spiritual determina un senso di pace profonda che ci aiuta a superare il dolore. Le emozioni provocate dalla musica sono individuali, diverse da persona a persona; probabilmente entrano in gioco associazioni soggettive tra caratteristiche ritmiche, melodiche e l’esperienza personale di carattere affettivo. In conclusione la musica riesce spesso a richiamare alla realtà i soggetti in coma, allieta e nobilita l’anima, ma soprattutto rende migliore la nostra vita. Novembre/Dicembre 2011 Anno V - Numero 2 9 This must be the place Da Andreotti a Cheyenne: nell'Io più profondo di due "divi" F estival di Cannes 2008: il presidente della giuria è Sean Penn e un regista italiano in lenta ma costante ascesa presenta un film potente, rischioso, audace. Quel film è "Il Divo", sull'ultimo governo Andreotti, e quel regista è Paolo Sorrentino. Sean Penn vede e rivede il film, lo analizza, ne discute con gli altri giurati e alla fine lo ricompensa con il Premio della Giuria. Il film ha un successo incredibile, il regista ottiene la propria consacrazione e cresce la sua popolarità nel panorama cinematografico internazionale. E proprio grazie a questo film Sean Penn si innamora (dal punto di vista professionale, non si fraintenda!) di Sorrentino e gli propone scherzosamente di lavorare insieme. Il regista prende sul serio l'affermazione e nasce dopo un duro lavoro "This Must Be The Place" (titolo tratto da un noto brano dei Talking Heads), anch'esso presentato al festival francese nel 2011 sotto il saggio sguardo del presidente di giuria Robert De Niro, che però non lo premia con la tanto ambita palma d'oro. Il film, che attira soprattutto per questo legame Italia - U.s.a (un po' come il fenomeno Muccino – Will Smith), è straordinario. E uso questa parola per non sembrare esagerato. "This Must Be The Place" è un film che ha un intreccio incredibile di generi e se ci fa piangere, trova subito il modo di farci ridere. Penn interpreta un personaggio ambiguo, una rockstar cinquantenne in declino, ovvero Cheyenne, quasi in depressione, nascosto dietro una maschera di cerone, rimmel e rossetto. Passa le sue giornate a fare la spesa, a trastullarsi in un centro commerciale insieme a una sua amica diciassettene, a giocare a pelota con sua moglie nella sua piscina vuota. E la mancanza d' acqua nella piscina -Cheyenne dice che non l'ha mai riempita e non sa il perché- è sicuramente lo specchio dell'anima del protagonista: anima di bambino, che vede il peggio ma non dice nulla, o almeno non dice nulla con cattiveria, perché quando parla è sempre molto piccante verso un mondo per lui troppo grande e ambiguo. Forse l'ambiguità non va d'accordo con se stessa. Fatto sta che il film non è solo la storia di un figlio che dall'Irlanda parte per gli Stati Uniti per vendicare l'umiliazione subita dal padre ebreo ad opera di un nazista, ma è anche un road movie in cui si intrecciano varie e bellissime storie: quella della moglie di Cheyenne, una vigilessa del fuoco, donna forte, ma che senza il suo amore più grande non riesce a stare; quella di Mary, la giovane amica della rockstar, che insieme alla madre, sulla via della pazzia, attende disperatamente il ritorno del fratello maggiore scappato di casa senza motivo; quella di Rachel, che lavora in un fast food ed è sola a crescere il figlio di dieci anni, estroverso, cicciottello, simpaticissimo, che ha paura dell'acqua. Come detto, il titolo è tratto da un brano, che viene cantato da David Byrne, leader dei Talking Heads, durante la scena più importante del film. E forse sta anche qui la bellezza di questa storia, che si concluderà con un'altra entusiasmante e folgorante scena: la vendetta, non compiuta secondo modalità prevedibili e violente, che sarà l'inizio di una nuova vita per il protagonista e lo farà ritornare ad essere John Smith (il vero nome di Cheyenne). Ancora una volta Sorrentino si prende una grande responsabilità e si addentra negli stati d'animo delle persone: il suo precedente film è per certi versi analogo a quest'ultimo, infatti sia l'Andreotti interpretato da Servillo che lo Cheyenne di Penn hanno un modo tutto loro di vivere la vita e vedere le cose. Tutti e due hanno un sottile senso dell'umorismo, tutti e due sono forti ma hanno un disperato bisogno della moglie -questa è la conditio sine qua non che caratterizza i due racconti-, tutti e due sono annoiati, tutti e due hanno sempre vinto e vincono ancora. Ma le due figure sono analoghe anche per la loro determinazione, che non si spezza né davanti alle varie accuse di connivenza mafiosa né di fronte alla società spesso inetta e autodistruttiva. E se Andreotti si chiedeva quanto male bisognasse produrre per fare del bene rispondendosi da solo, qui la domanda di Cheyenne è semplicemente "perché tutto ciò?". E a rispondergli è proprio il persecutore del padre. Con questo film, arricchito, oltre che dall'interpretazione dell'attore, anche da una fotografia che valorizza i meravigliosi paesaggi dell'entroterra statunitense e da una colonna sonora (composta dallo stesso David Byrne) di tutto rispetto, Sorrentino può essere sicuramente posto sull'altare dei registi italiani moderni. E forse adesso, dopo tanto tempo, finalmente, ci sarebbero nell'aria anche delle possibili candidature all'Oscar. Novembre/Dicembre 2011 10 Anno V - Numero 2 Musketeer’s Creed Recensione “al veleno” de “I Tre Moschettieri” C ari lettori della nostra ormai onnipresente rubrica pseudoculturale Liberamente, premettendo che il titolo di oggi non è un tentativo di rubare il mestiere al collega Gianmarco Perrone, eccoci qui nuovamente di fronte ad un remake fatto da decerebrati. Seguendo infatti l’attuale filone della spettacolarizzazione dei grandi classici, gli autori della ennesima versione cinematografica del romanzo di Dumas hanno pensato bene di far somigliare il loro film a un videogioco (dal quale, peraltro, la pellicola sembra riadattata al pari del pur recente insuccesso di “Prince of Persia”). La nostra già nota storia inizia dunque quando tre misteriosi ninja-gentiluomini, che poi si scoprono essere nientemeno che i famigerati tre moschettieri Athos (Matthew McFayden), Porthos (Ray Stevenson) e Aramis (Luke Evans), cercano di trafugare, in una Venezia non dissimile da quella di Ezio Auditore, un manoscritto di Leonardo Da Vinci su una mirabolante macchina da guerra, rimanendo prima traditi e poi “fregati” rispettivamente da Milady de Winter (Milla Jovovich) e dal Duca di Buckingham (Orlando Bloom) che, secondo ogni logica non dovrebbe avere nessuna parte in quest’episodio di pura fantasia. Intanto in Francia il giovane e sfacciato D’Artagnan (Logan Lerman- vedi "Percy Jackson & gli dei dell’Olimpo"), guascone per nascita e squattrinato per sorte, si mette in viaggio con la benedizione paterna per Parigi, dove intende diventare moschettiere; durante il viaggio lo spadaccino si scontra però con il Conte di Rochefort (Madds Mikkelsen), uomo del Cardinale Richelieu dal quale riceve una pallottola e a cui giura vendetta. Tornati nel frattempo a Parigi con la coda fra le gambe, i tre moschettieri incontrano singolarmente il giovanotto che, offendendoli in vari modi mentre insegue Rochefort, ne viene sfidato a duello. I quattro si riappacificano quando, interrotti durante l’illegale duello dalle guardie del cardinale, sono costretti a pararsi le spalle a vicenda per sconfiggere gli intrusi. Durante lo scontro D’Artagnan incontra la graziosa Constance (pallida copia della Madame Bonacieux di Dumas, interpretata da Gabriella Wilde) dama della regina, quindi viene trascinato dai nuovi compari prima nel loro alloggio, quindi a corte, ove un timido Luigi XIV (Freddie Fox) invece di punirli per l’infrazione, li strapaga per compiacere l’altera Anna D’Austria (Juno Temple). Dal canto suo il malvagio e potente Cardinale Richelieu decide di giocare sulla gelosia del re per scatenare una guerra con l’Inghilterra (per un non meglio precisato fine personale), facendo credere al monarca che ci sia una relazione tra la consorte e l’elegantissimo Duca di Buckingham, che intanto si è presentato in visita ufficiale con un’aereonave, frutto della messa in pratica dei disegni del nostro Leo Da Vinci. Da qui in poi la storia deraglia completamente dall’originaria trama del Dumas e dalla precedente versione del grande schermo (che personalmente preferisco, con Jeremy Irons e John Malkovich), mostrandoci i quattro agenti del Re impegnati nel recupero, entro tre giorni, di un collier di diamanti appartenente alla regina e nascosta da Richelieu presso la Torre di Londra. I nostri, anzi, i loro, data la mia avversione per il film, dunque elaborano un piano con cui riescono ad eludere la sorveglianza di Buckingham (che pensa gli vogliano sottrarre la nuova macchina da guerra), a rubare all’inglese la detta arma e a catturare Milady de Winter e i diamanti francesi che costei porta con sé. Durante il viaggio di ritorno però, i moschettieri si imbattono in Rochefort alla guida di un’improbabile versione ampliata dell’aereonave. Dopo uno spettacolare quanto poco realistico combattimento aereo che vede i due vascelli schiantarsi su Notre Dame De Paris durante il quale muore l’agente di Richelieu, gli eroi tornano, laceri e bruciacchiati, a corte con l’ambita collana e, dopo aver placato i sospetti del regnante sulla moglie, rifiutano una più che generosa offerta del cardinale e tornano, baldanzosi, alla loro vita di Novembre/Dicembre 2011 gozzoviglie in nome del re. Il film, anzi, la parodia, si conclude infine con la partenza di un furioso Buckingham verso il Continente con un’intera flotta di vascelli da guerra. Arrivati a questo punto, dopo vari sghignazzamenti e apprezzamenti poco lusinghieri sul film, possiamo trarre noi stessi le conclusioni su questo dubbio capolavoro del regista Paul Anderson: “bella Americanata”. Sorvolando infatti sull’assoluta L a maggior parte degli uomini è come una foglia secca, che si libra nell'aria e scende ondeggiando al suolo. Ma altri, pochi, sono come le stelle fisse, che vanno per un loro corso preciso, e non c'è vento che li tocchi, hanno in se stessi la loro legge e il loro cammino. Siddharta è uno di loro. Siddharta si pone domande, cerca risposte, indaga, interroga. Percorre le vie dell’assoluta povertà e quelle del lusso sfrenato; abbraccia l’ascetismo puro e si lascia abbracciare dall’amore sensuale; si ritira nella solitudine e gioisce nella compagnia. È un uomo inquieto, dall’animo tormentato, assalito da dubbi ed alla continua ricerca di una certezza, di un tutto, di una verità; vuole vivere sino in fondo la sua vita, attraversando tutte le esperienze possibili, immergendosi nel misticismo, nell’amore e nella riflessione filosofica. Punto di riferimento per adulti e ragazzi, Herman Hesse, con questo breve racconto, narra la storia di un uomo che non ha voluto abbandonarsi dolcemente al proprio destino, ma che, anzi, con forza di volontà e spirito indagatore, ha preso in mano le redini della propria vita, si è posto degli obiettivi ed ha raggiunto il suo traguardo. All’inizio del libro il giovane indiano, in compagnia del suo fedele amico Govinda, decide di seguire i Samana, pensatori che vivono di continui digiuni, contemplando una vita di purificazioni e rinunce; ma dopo aver vissuto del tempo con loro, comprende che questa non è la via giusta in grado di condurlo all’appagamento desiderato, alla beatitudine tanto ambita. I due amici decidono quindi di incontrare Budd- 11 mancanza di realismo storico della pellicola, è evidente per chiunque abbia appena sfogliato l’opera di Dumas, che le licenze cinematografiche del nuovo “I Tre Moschettieri” sono veramente troppe, a partire dal colore del cavallo di D’Artagnan (pezzato, quando invece il libro lo definisce “giallognolo”), passando per la trasformazione di un’epopea personale di quattro soldati seicenteschi quale era il volume Anno V - Numero 2 originale nella missione internazionale di quattro agenti segreti tra i quali non avrebbe sfigurato Sean Connery nei panni di 007, per finire con il totale rovesciamento dei ruoli dei personaggi originali e l’aggiunta di alcuni in origine inesistenti (Constance e il capitano delle guardie del cardinale, per esempio). Insomma, una buffonata, ma fatta per stupire. Siddharta ha, un uomo liberatosi dal ciclo delle reincarnazioni, che girovaga per il Paese predicando il suo messaggio. L’incontro è molto toccante, ma, mentre Govinda decide di abbracciare la sua fede, Siddharta è ancora afflitto da dubbi ed incertezze e preferisce proseguire da solo per la sua strada. Inizia quindi un periodo della sua vita, dove cede a tutte quelle debolezze umane, che aveva tanto evitato e disprezzato sino ad allora: si innamora infatti della bella prostituta Kamala, con la quale intrattiene un’intensa relazione amorosa, si dedica al commercio, diventa ricco e vive di agi e comodità. Passati due anni, colto da un profondo senso di angoscia e pentimento, decide di fuggire e, trovatosi sulle rive di un fiume, pensa al suicidio come estrema forma di purificazione. Ma il fato vuole che proprio in quel momento, un monaco, passando di lì, lo veda e lo fermi, convinto di star semplicemente salvando uno sconosciuto. Si tratta invece di Govinda e quando i due si riconoscono, un piacevole senso di conforto li pervade. Dopo questo emozionante incontro Siddharta decide di continuare nella sua ricerca e proprio in quel fiume, dove voleva gettarsi, ponendo fine alla sua vita, trova la felicità. Incontra, infatti, Vasudeva, un povero barcaiolo che attraverso le parole, i silenzi e la sua sconfinata profondità d’animo, lo illumina sul senso della vita, lo aiuta e lo sostiene. Hesse in queste righe vuole trasmettere l’importanza della conoscenza, sia quella esteriore, sia quella interiore, il valore delle esperienze, sia positive che negative e la necessità della voglia di ricerca, di riflessione, di comprensione. Questi sono gli elementi che arricchiscono l’uomo, che fanno la differenza tra una stella e una foglia. Ancora una volta lo scrittore tedesco dà vita ad una storia capace di essere uno spunto di riflessione e una fonte d’insegnamento per i lettori. Ovvio, per quei lettori che, riposto il libro sullo scaffale, manterranno le sue parole impresse nella mente ed il loro significato scolpito nel cuore. Novembre/Dicembre 2011 Anno V - Numero 2 12 Ritorno alla Terra Nera Venerdì 28 Ottobre 2011 alle ore 10.00 presso la Sala del Tricolore, a Reggio Emilia, si è tenuta la premiazione del Concorso "Un Mondo a Colori" e la presentazione dell'omonimo libro che raccoglie i migliori elaborati selezionati: erano presenti il Sindaco della città, una rappresentanza della Camera dei Deputati, e personalità del mondo della politica e della cultura. Ma soprattutto erano presenti decine di ragazzi provenienti da tutta Italia in rappresentanza delle oltre 2.900 scuole superiori che hanno partecipato al concorso e degli oltre 960.000 studenti coinvolti. All’alunna CECILIA LUGI vincitrice della sezione “elaborati scritti”con il racconto Ritorno alla Terra era, è stata consegnata la Medaglia del Presidente della Repubblica Giorgio apolitano, quale suo personale riconoscimento. Alla chiar.ma prof.ssa ROSALBA CALCAG O, referente del concorso per il Liceo“Pilo Albertelli, è stata consegnata la targa che premia l’istituto. La manifestazione si è tenuta nella sala dov'è nata la nostra bandiera (chiamata appunto Sala del Tricolore), in omaggio alla ricorrenza del 150° anniversario dell'Unità d'Italia. Durante la cerimonia è stata lanciata l'edizione 2012 del Concorso realizzato in collaborazione con i Ministeri della Pubblica Istruzione e degli Esteri (vi possono infatti partecipare anche i ragazzi che nel mondo frequentano i nostri Istituti Italiani di Cultura). Per informazioni consultare il sito www.progettodialogo.it N I on cammino più, costretto a letto da una settimana. Non mangio, non bevo da due giorni. E neppure parlo, non ne ho la forza, non ne ho la voglia. E se anche ne avessi, non mi capirebbe nessuno. La signora vestita di bianco oggi è venuta ben tre volte ad accertarsi che non mi fossi staccato di nuovo dal braccio quel lungo verme di plastica trasparente che continua a somministrarmi goccioline di cibo… Poi se ne va, poi torna, nuovamente, accompagnata da due figure vestite di verde; non capisco i suoni incomprensibibili che emettono mentre si arrovellano per cercare di interpretare un foglio che la signora paffuta e bianca compila ogni giorno dopo avermi ispezionato da cima a fondo. Sono tutti presi dalle spiegazioni della donnona bianca, i signori verdi, ma non si accorgono che sono ben due giorni che non riesco a muovere le gambe troppo magre, e me ne sto qui, su questo letto giallastro e sudaticcio, ancora impregnato dell’odore di mamma. Mamma… me l’hanno portata via loro, i signori verdi con la mascherina e i guanti bianchi, viscidi e appicicosi. Tre notti fa, nel buio della notte silenziosa. Sono mostruosi quando mi puntano una luce insopportabile sugli occhi, ma sanno essere ancora più disgustosi quando mi costringono a ingerire una manciata di sas- setti colorati, tondi, allungati, insapori, e che non vanno mai giù fino alla fine. Di solito mi dibatto, oppongo una dura resistenza, mordo, addirittura, e loro, ostinati, mi immobilizzano; quelle mani rivoltanti mi entrano in gola come tentacoli. Ci riprovano ora, cerco di divincolarmi, vincono loro, ma questa volta mi arrendo sul serio. Non mi rimane che accettare la sconfitta e accogliere quelli che mamma chiama sempre i sassetti della terra: lei crede davvero che con questi sassolini si ristabilisca il nostro equilibrio con la Madre di tutti, la nostra terra nera. Lei ci crede. E mi ha assicurato che queste pietruzze mi faranno guarire, che i dolori alla pancia, alla testa, alle gambe, la tosse sanguinolenta, i continui conati di vomito cesseranno di manifestarsi, prima o poi. Per un poco le ho creduto, ma perchè dovrei continuare a farlo, proprio ora che se n’è andata, proprio ora che me l’hanno portata via? Continuo a non prestare attenzione a quei tre signori incamiciati che attendono una mia reazione, una parola, pretendono uno sguardo. E non l’avranno fin quando non mi avranno ricondotto mia madre. I miei occhi sono solo per lei, e per la mia triste compagna di stanza,‘Ntumba, che in xitsonga, la mia lingua, vuol dire Spuma. A essere sincero non sono sicuro che si chiami così, ma i suoi occhioni blu mi ricordano le onde increspate del Novembre/Dicembre 2011 mare nei racconti di mia madre. E lei, Spuma, è un po’ come me: nessuno la capisce, ma lei sa comprendere me, non mi analizza, non mi tormenta, non mi scruta ossessivamente come fannno quei mostri dalle mani bianche; lei se ne sta placidamente nel suo letto, silenziosa, ogni tanto biascica qualcosa nel sonno, ma è un’ottima compagna di stanza. Da quando sono in questo paese, ne ho avuti parecchi di coinquilini sconosciuti, nessuno più discreto di lei, nessuno migliore. È bella Spuma. Era bella. Sarebbe bella se i suoi occhi non fossero così acquosi e spenti; nessuno la viene mai a trovare, nessuno. Nemmeno io ricevo mai una visita dai miei amici, dai miei cugini, dai miei fratelli e sorelle: loro sono a casa, lontani, a seminare piantine al sole, a rotolarsi nella terra secca e a masticare radici. Io sono ospite in casa straniera, non ho nessuno qui, se non la mia mamma. Spuma, invece, è sola, e non sembra darsene molto pensiero, per questo mi piace. La guardo addormentarsi e svegliarsi, e addormentarsi e svegliarsi ancora. Fa così da quasi tre giorni: è più stanca del solito, più assente, meno pronta a opporsi alla dura legge dei sassolini variopinti. Li prende anche lei, tre volte al giorno, come me, solo che diversamente da me, il lungo verme trasparente con le goccioline di cibo lei ce l’ha infilato nel piede! Ha tutte le braccia bucate, poverina: lì il tubo infernale non entrava più… II Spuma stanotte è rimasta a scrutare il soffitto, immobile; l’ho osservata per qualche ora, ho pensato, ho sonnecchiato per un po’, ho sognato il mare e 13 l’oceano dei suoi occhi spenti, credo. Spuma adesso non c’è nella stanza, se ne sarà andata anche lei? I signori in verde sono venuti come al solito a darmi la mia razione di sassetti magici: stessa ora, stessi guanti biancastri e appiccicosi; ma loro non sono gli stessi, sembrano agitati, distratti, si dimenticano di lavarmi, di analizzarmi e provare a comunicare, non ne hanno il tempo a quanto pare. Neppure io sono lo stesso di ieri, sento freddo, ho i brividi, e a giudicare dalle loro facce, devono essersi accorti che non dormo da quattro giorni; e ora che guardo meglio, mi accorgo che anche la stanza in cui mi trovo non è la stessa di ieri: devono avermi preso e spostato loro, a tradimento! Che mi stiano portando da mia madre? Non ho il tempo di chiedermelo, che mi agguantano e mi infilano in un enorme tubo cilindrico bianco. Senza il pigiama a pois azzurri, nudo come un vermiciattolo nero e lucido, sembro un insetto in un contenitor e gigantesco; passano i secondi, i minuti, le ore: qui non mi rendo conto del tempo che passa; perlomeno prima erano i sassolini colorati a scandire le mie lunghe giornate; mi arrendo di nuovo, cedo alla stanchezza, alle fitte, alla spossatezza. III Mi risveglio e Spuma è di nuovo accanto a me, mi osserva, come non aveva mai fatto, seduta sulla coperta spiegazzata del mio letto; sta accovacciata, si mordicchia compulsivamente le pellicine del pollice, Anno V - Numero 2 mi guarda con gli occhi spalancati. Le hanno staccato il “vermone” per permetterle di avvicinarsi, credo. Il tubo l’hanno tolto anche a me, o meglio quello con le goccioline di cibo. Al posto di quell’arnese doloroso mi hanno impiantato un altro tubo: questo fa addirittura rumore, un ticchettio insopportabile ogni due, tre, quattro secondi. Alle spalle di Spuma tre signori vestiti di bianco, altri due con la camiciona verde, la mascherina e gli inconfondibili guanti bianchi si lanciano sguardi furtivi e ostentano una compostezza affettata e artificosa: adulti noiosi, non hanno ancora imparato che sappiamo leggere le loro paure. Infantili. Il ronzio ripetitivo del macchinario attaccato al tubo rallenta, finalmente, le gambe smettono di tremare, non le sento più. Il malessere alla pancia persiste, il bruciore agli occhi e il mal di testa non cessano di tormentarmi. Mi chiedo quanti sassetti colorati dovrò ancora ingoiare, quanto tempo dovrò ancora sopportare questa tortura prima di rivedere la mia mamma; gli occhi di Spuma mi dicono: “Poco, molto poco…”. Il mio cuoricino conferma. La vorrei raggiungere in questo momento, e portare con me anche Spuma. Mamma ne sarebbe felice: un’altra sorella verrebbe accolta nella nostra casa, nel villaggio ai margini della boscaglia, un’altra figlia che torna alla terra nera; e anche se lei sa di appartenerle, quella è la terra che ci ha generato tutti, la dimora a cui dobbiamo far ritorno. Sono certo che lì i suoi occhi riprenderebbero a brillare. Ora stanno luccicando. Mi sta dicendo addio. Mamma, sto arrivando. Novembre/Dicembre 2011 14 Anno V - Numero 2 Manifestazioni F ma, atti scabrosi, commenti dei neodisoccupati e considerazioni personali. Ro26 novembre 2011 Una delle prime cose che l’essere umano impara dal nostro sistema sociale è che una minoranza della popolazione, che potremmo additare come una casta privilegiata, detiene la maggior parte delle ricchezze e del potere, mentre la parte più numerosa della popolazione, appartenente al ceto medio-basso, spesso stenta ad arrivare alla fine del mese a causa dell’esiguo stipendio che percepisce. E’ più che noto ormai che nell’ultimo ventennio o più della storia italiana questa “casta dirigente” ha divorato e sprecato le ricchezze a disposizione dello Stato per arricchirsi, per elargire favori o per altri interessi personali. Questa situazione continua a peggiorare di giorno in giorno ma oggi siamo animati da una nuova speranza: Monti e il suo governo tecnico ci aiuteranno ad uscire dalla crisi e saremo presto salvi. In questi giorni di grande agitazione vedo tanta gente ardente di spirito patriottico esultare per la vittoria inferta al berlusconismo, contenta e soddisfatta del nuovo governo. Non sembra, però, che siano stati contagiati dalla stessa esultanza e fiducia nelle istituzioni gli 886 lavoratori del settore dei “treni notte” di Trenitalia che l’11 dicembre si ritroveranno senza lavoro e senza soldi e che al momento stanno protestando con striscioni e volantini all’interno degli uffici della stazione Termini, proprio a due passi dal nostro liceo. Intervistando alcuni degli attivisti di questa protesta (nonché vittime del taglio dei fondi al servizio notturno delle ferrovie dello Stato), è emersa una situazione a dir poco sconcertante. A quanto pare, è in corso, come regolarmente succede, la gara d’appalto per l’affidamento, alle aziende private, dei servizi per i clienti sulle corse notturne di Trenitalia (frequentatissime specie per viaggiatori diretti al sud ma anche a Parigi e in altre città europee). Fino ad ora per interi decenni molte imprese private, candidate per questo appalto, sono andate avanti grazie ai contratti stipulati con Trenitalia, come la R.S.I., la Servirail Wagons-Lits o la Wasteels International Italia: si sono occupate dei letti nelle cuccette, della ristorazione e degli altri servizi. Oggi l’amministrazione di Trenitalia detenuta da Mauro Moretti, visto il taglio dei fondi per il servizio pubblico da parte dello Stato, ha deciso di non rinnovare i contratti alle imprese sopraccitate facendo perdere il lavoro a tante persone. Una decisione obbligata, diremmo, dato che mancano i fondi, se non fosse per il fatto che siamo tutti a conoscenza degli ingenti finanziamenti destinati all’alta velocità. Proprio in questi giorni il signor Moretti ha pubblicizzato le opere di modernizzazione effettuate sulle corse Eurostar, che sono di gran lunga più costose e lussuose delle corse normali, recentemente decimate e dalle quali, non a caso, si ricava una maggiore fetta di profitti. Diamo un’occhiata al lavoro di Moretti per capire meglio l’abissale dislivello sociale che si sta creando. Dal Corriere della Sera (innovazioni Alta Velocità) “I 573 posti sono stati «riplasmati» in quattro nuovissime classi. Pardon, «livelli», come li ha battezzati l'amministratore delegato di Ferrovie dello Stato, Mauro Moretti, che ieri (pochi giorni fa dalla data di oggi 26 novembre 2011) ne ha fatto una presentazione a Napoli, nell'enorme impianto in cui il treno ha subito il restyling da 500 milioni, un investimento enorme, […]. Nella classe Premium i sedili diventano di pelle, spuntano i divisori in cristallo e si ha diritto a una bevanda e all'accesso alla carrozza ristorante da 30 posti. […]Ma il massimo del lusso si tocca negli otto posti dell'executive, dal costo fisso di 200 euro. Poltrone larghe, reclinabili fino a 138 gradi, con poggiagambe, ampie distanze tra i posti. Un salottino da sei posti, dove tenere le riunioni anche in videoconferenza con monitor a 32 pollici. Da una parte troviamo abbandonati a se stessi centinaia di dipendenti, ora disoccupati, e tanti viaggiatori che non potranno più sfruttare la convenienza delle corse normali (specialmente le notturne per evitare ai cittadini di pagare alberghi e ostelli per fermarsi a dormire), dall’altra la solita “casta dirigente” di cui fa parte il caro amministratore Moretti, interessato ai grandi guadagni dell’Alta Velocità più che agli Novembre/Dicembre 2011 interessi dei passeggeri per i quali egli (non) compie un servizio. In altre parole la parte del settore ferroviario più alla portata del ceto medio-basso viene abbandonata a se stessa e al disfacimento, compreso anche il servizio regionale del Lazio che prende sempre di più le sembianze del trasporto delle merci e del bestiame, della cui situazione potremmo fornire centinaia di testimonianze di molti studenti del Pilo Albertelli. Molti studenti del nostro liceo sanno per esperienza personale che la mattina sui treni regionali si rischia di non trovare posto, di viaggiare come pecore ammassate nella stessa carrozza, in piedi per ore, tutto questo se il treno non viene soppresso, non è in ritardo o per guasti vari non si ferma prima della destinazione stabilita. Di fronte a questa disperata situazione in cui vessano i viaggiatori che non vogliono spendere una fortuna per raggiungere le proprie mete o che non hanno a disposizione l’Alta Velocità perché viaggiano su tratte brevi, come i nostri studenti, si aggiunge l’enorme disagio economico e psicologico che stanno affrontando i dipendenti appena licenziati. Chiedo loro di raccontarmi come stanno vivendo la miserabile condizione in cui Trenitalia li ha ridotti e come la pensano: “ In questo difficile momento soffro di insonnia, la tensione e la preoccupazione invadono la mia vita, specialmente se penso che è quasi impossibile per molti di noi che hanno un’età fra i 40 e i 50 anni trovare un altro lavoro, non ci 15 Anno V - Numero 2 saranno costretti a pagare cifre esorbitanti per treni extralusso, molto probabilmente moltissime persone non potranno neanche permetterseli.” assumerebbe nessuno. Oltretutto la maggior parte di noi ha delle famiglie con figli a carico e ci chiediamo cosa mangeranno, come li vestiremo, saremo ancora in grado di garantirci un tetto in futuro?” “Moretti vuole essere ricordato in futuro per gli introiti in più che percepisce Trenitalia grazie all’Alta Velocità alla quale sta fornendo tutti i fondi di cui dispone, mandando sul lastrico centinaia di famiglie. E’ scandaloso, oltretutto, che il servizio sui treni notturni, per le poche corse rimaste dopo il taglio, sia stato affidato, non a caso, alla CAMS (sì proprio l’azienda della moglie dell’amministratore Mauro Moretti)” “Moretti passa il tempo a fare propaganda ai nuovi servizi sui treni di lusso, finanziati con i soldi che dovevano servire per aiutarci a mantenere il lavoro, è una vergogna. Non so che farò per continuare a mantenermi.” “ Il cittadino che percepisce un reddito che a mala pena basta al suo sostentamento non dovrebbe essere caricato di tutte le spese della crisi; la classe più ricca che per decenni ha varcato la soglia della legalità, divorando avidamente le ricchezze destinate “Probabilmente questo è solo l’inizio a tutti i cittadini, deve pagare per aiutarci.” di una serie di licenziamenti dovuto “ La media e la piccola borghesia stanno di- al taglio dei fondi per il servizio ventando proletariato e la casta dei ricchi pubblico, invece di penalizzare il non fa che arricchirsi ancora di più a nostro ricco privato a beneficio di tutta la nazione. Marx diceva che ciclicadiscapito” mente il sistema capitalista subisce “ Penso a tutti quegli anziani che grazie al delle crisi dovute proprio a situazioni nostro aiuto trovavano il treno giusto o ve- come questa. Fate in modo che la nivano aiutati con i bagagli o a cui offriva- maggior parte della popolazione non mo servizi utilissimi durante le corse abbia di che mangiare, chi vi notturne, senza essere costretti a spendere aspettate che compra i vostri costosistutta la pensione; penso a tutti coloro che simi biglietti? Non fate che peggiorare la crisi economica.” Novembre/Dicembre 2011 16 Anno V - Numero 2 La Libreria del Cinema G irovagando fra i vicoli di Trastevere, contornati da splendidi palazzetti antichi, ci si imbatte nella Libreria Del Cinema, situata in Via dei Fienaroli, adiacente a Viale Trastevere. Mi incontro con il responsabile, Massimo, conosciuto a luglio, durante le riprese dell'ultimo film di Giuseppe Piccioni, al quale ho avuto la fortuna di poter partecipare insieme ad altri studenti dell'Albertelli; lui era assistente alla regia. Ci sistemiamo alla cassa, circondati da scaffali colmi di dvd, cd con le colonne sonore più famose, libri su film, registi, musicisti e tutto quello che può essere collegato al cinema. Da dove siamo seduti vediamo l'angolo bar-relax, in cui si sono accomodate alcune persone dall'aria intellettuale. Faccio qualche domanda a Massimo, appassionato dei film italiani e americani degli anni '50-'60, e mi dice che la libreria viene fondata nel 2004 nel luogo in cui risiedeva la Libreria Delle Donne (un po' un'istituzione per quanto riguardava le proposte culturali e i libri) da un gruppo di sei persone appassionate di cinema, tra cui spicca proprio il nome del regista che ho conosciuto qualche mese fa. Piccioni, infatti, passando qui davanti, aveva visto il cartello “vendesi” e, parlandone con altri suoi amici e futuri soci, aveva pensato a come partorire un'idea di libreria che fosse anche un centro dove programmare incontri, divulgare un certo tipo di cinema (quello d'autore) e far confrontare coloro che non hanno accesso alle produzioni cinematografiche con coloro che già appartenevano a quel mondo. Perciò lo scopo primario era di creare un tramite fra cinefili e professionisti. Poi chiedo a Massimo se, essendo un luogo culturale di rilevante importanza, ci sono stati aiuti economici dallo Stato: mi risponde che la libreria è una s.r.l. e quindi si mantiene in piedi con le proprie forze. Aggiunge però che vengono messi a disposizione (dal Ministero dei Beni e Attività Culturali) dei budget che sostengono alcune iniziative, e la stessa libreria ha avuto accesso ad essi per finanziare eventi come la “Scuola Serale di Cinema”, ovvero una serie di incontri sui mestieri, appunto, del cinema. Spara alcuni tra i nomi più pregiati del nostro Paese: Elio Germano per la recitazione, Luca Bigazzi per la fotografia e Carlo Verdone, venuto però a parlare della musica nei film. La nostra chiacchierata si interrompe perché entra nel negozio una donna, anziana, capelli bianchi e lunghi, un po' stravagante. Stento a riconoscerla ma comunque ha un viso familiare: si tratta di Anna Orso, dice Massimo, attrice che all'epoca lavorò con Marco Bellocchio e che è stata la madre di Verdone nel primo “Manuale d'Amore”. Riprendiamo a parlare. Mi fa presente che tra il 2005 e il 2006 si sono svolti dei corsi di sceneggiatura (tenuto da Gualtiero Rosella), di produzione (tenuto da Domenico Procacci, ai tempi uno dei soci), di montaggio (tenuto da Esmeralda Calabria) e di regia (tenuto da Giuseppe Piccioni). Quest'ultimo causa la seconda e assolutamente piacevole interruzione. E' appena entrato in libreria e non posso far finta di niente. Ci salutiamo ma poi lui ha una riunione, non può trattenersi a lungo. Ritorno dall'intervistato, ormai non lo lascio scappare. Mi continua a parlare dei vari eventi che qui hanno avuto luogo: uno mi interessa in maniera particolare. Si chiamava “Trastevere”. Si trattava di una piccola, ma vera e propria manifestazione, in cui loro potevano chiudere la strada, mettere un palco al centro e far parlare vari personaggi noti con il pubblico. Infine, gli rivolgo la domanda che più di tutte mi preme fare: se hanno mai pensato di avvicinare gli studenti alla libreria per diffondere il sempre meno conosciuto cinema d'autore. Mi risponde che sarebbe una cosa interessante e che comunque succede spesso che la libreria si confronti con alcuni docenti. Aggiunge poi che è capitato alcune volte di aiutare le scuole a stilare filmografie in base a determinati argomenti (per esempio storia o quel pochissimo che è rimasto dell'educazione civica, perlopiù nell'orario extrascolastico). Dice però un'altra cosa che mi fa pensare: la scuola in primis dovrebbe avvicinare i ragazzi, attraverso corsi di alfabetizzazione o semplici approfondimenti. Ci rifletto ma capisco che è una cosa impossibile date le catastrofiche condizioni attuali. Peccato. Sarebbe una bellissima cosa. Novembre/Dicembre 2011 Anno V - Numero 2 17 IRASSHAIMASE!- Benvenuti! A partire dal prossimo anno inizierà un nuovo corso di lingua e cultura giapponese! Dopo la bella esperienza dell’anno scorso, si è deciso non solo di continuare il corso per quelli che già si sono avvicinati al mondo nipponico, ma anche di iniziarne uno nuovo per tutti coloro che avranno voglia di conoscere una lingua e una cultura che, dal punto di vista di noi occidentali, prendono il loro fascino dall'enorme differenza che c'è con il nostro mondo. Il corso si sviluppa in una ventina di lezioni della durata di due ore, ognuna delle quali si suddivide in una parte dedicata allo studio della lingua e in un’altra volta alla scoperta della cultura nipponica nei suoi vari aspetti: letteratura, arte, usanze e tradizioni. Il nostro e vostro futuro sensei è Diego Cucinelli, docente della Sapienza, che vi guiderà attraverso il mondo giapponese con lezioni originali che si svolgeranno nella nostra "aula Mac", l’aula multimediale, seduti nelle postazioni computer, davanti alla parete su cui il prof proietterà la sua lezione. Il mondo giapponese è totalmente differente dal nostro. La lingua è piuttosto complessa, proprio perché la differenza con l’italiano è enorme, innanzi tutto per quanto riguarda il sistema di scrittura. Ci sono infatti tre diversi tipi di scrittura: due alfabeti fonetici (si chiamano hiragana e katakana) e un sistema di ideogrammi (chiamati kanji). Ogni alfabeto fonetico ha simboli che equivalgono a sillabe; le sillabe sono le stesse per i due alfabeti, ma si utilizza uno stile diverso a seconda che la parola da scrivere sia di origine giapponese (hiragana), o di origine straniera (katakana). Ogni kanji invece equivale a una parola unica e ha una sua pronuncia, che può anche essere di più sillabe. Ma un sistema di scrittura così diverso dal nostro e apparentemente molto complesso non deve spaventare: infatti, una volta imparati i due alfabeti fonetici e dopo averci preso la mano, le cose si semplificheranno molto, anche perché il resto della lingua non è proibitivo. Infatti ad esempio i nomi non hanno plurale e i verbi non hanno persona (una stessa forma equivale per io, tu, essi...). Alcune strutture possono sembrare difficili da comprendere, ma è tutta questione di pratica. Durante ogni lezione, poi, si impareranno un certo numero di ideogrammi. Tutto questo porterà, alla fine del corso, a possedere la conoscenza della lingua valida per la prima certificazio- ne giapponese (N5). In più verrà anche consegnato un attestato firmato dal sensei. Per quanto riguarda la cultura, questa è talmente diversa dalla nostra che è davvero divertente venire a conoscenza di certe usanze particolari o leggere fiabe, racconti e parlare di romanzi (vi assicuro che durante la lettura delle fiabe non mancheranno le risate!). Verso la fine del corso, è anche prevista una lezione particolare: imparare a scrivere con il pennello e l’inchiostro su carta giapponese! A fine anno si andrà tutti insieme a pranzare in un ristorante giapponese, per assaggiare le specialità di quel popolo di cui si è studiato per un anno. Inoltre, l’anno scorso già si stava organizzando un viaggio in Giappone, previsto per questo ottobre, quando la catastrofe del terremoto e, soprattutto, l’esplosione del reattore a Fukushima hanno rimandato il tutto. Questo corso è certamente un'occasione irripetibile. E’ davvero una gran fortuna per la nostra scuola poter ospitare un corso del genere, retto da un docente universitario. Quindi accorrete numerosi, di sicuro non ve ne pentirete. Scialla! (stai sereno) V incitore della sezione "Controcampo italiano" a Venezia 68 e forte di un notevole consenso di critica e pubblico arriva nei cinema "Scialla! (Stai sereno)", prima esperienza da regista Francesco Bruni che centra in pieno l'obbiettivo di creare una commedia senza ricadere nel banale e nel volgare gratuito che ormai da tempo accompagna la commedia all'italiana. A giudicare dalla trama e dall'idea di base infatti potrebbe proporsi come una trama già vista, la storia di un adolescente problematico e il rapporto con la scuola, le amicizie e i genitori. Niente di nuovo sotto il sole quindi? No, perchè Bruni riesce a creare un film piacevole e che non manca di scene divertenti riuscendo però ad analizzare con leggerezza anche tematiche più consistenti. "Scialla" è la storia di Luca (interpretato dal giovane Filippo Scicchitano che riesce a esprimere una vasta gamma di emozioni adolescenziali con grande naturalezza), un quindicenne romano "intelligente ma che non si applica" che sfoga su un sacco da boxe la sua rabbia e la sua frustrazione per un mondo in cui fatica a trovare una direzione da seguire. Luca cerca di vivere al meglio la sua vita e cerca il rispetto dei suoi coetanei ma soffre la mancanza di una guida, e per questo si caccia spesso nei guai. Quando la madre parte per sei mesi decide di affidarlo alle cure di Bruno (Fabrizio Bentivoglio), svogliato professore di lettere del liceo che ha ormai perso ogni stimolo e tira avanti dando ripetizioni private e scrivendo "i libri degli altri", biografie di personaggi della televisione e calciatori. In questa occasione Bruno apprende di essere il padre di Luca e accetta di prendersi cura di lui. La convivenza tra il ragazzo ribelle e il professore malinconico non sarà di certo facile ma gioverà e insegnerà qualcosa a entrambi. Forte di un ottimo cast, che riesce ad immedesimarsi perfettamente nei ruoli assegnatogli (Bentivoglio la conferma, Scicchitano la sorpresa), di una buona sceneggiatura e di una colonna sonora realizzata dal rapper capitolino Amir che si integra perfettamente nel film, "Scialla" è dunque un film che riesce a farci ridere ma che ci tiene sempre con il cervello impegnato. Novembre/Dicembre 2011 18 Scatti da matti! Anno V - Numero 2 Novembre/Dicembre 2011 19 Anno V - Numero 2 Novembre/Dicembre 2011 20 Anno V - Numero 2 la posta del pilo M&E (e P :P) al National Geographic! Foglietta – Tommasini – Madeo TROVA L’INTRUSO Riccardo Mataloni hai diverse/i ammiratrici/ori. ATTENTO PP, censurame sta fava! Mataloni, c’è poco da dire… sei un gran figo. All you need is love, love… Love is all you need! Diamoci al Thai-chi S. abbassa le penne e non te la sentì troppo matta! Troppa gente a caso su un piano a caso… Se pareba boves, sed mucche erant. (L’amanuense mascherato) Scalise forever! Mataloni, ci siamo innamorate del tuo cappellino! C. Caro Rocco, ma quando ti concederai a qualcuno/a? D’Emilio, ti imbruttisco ufficialmente su Ondanomala U.U Alquati, vatte a fumà la salvia! Damnatio memoriae Vicoli Corti Maxwell: “Tu chiedi il vocabolario… IO guardo!” Spuuu, mi mancheranno i tuoi "eh? cosa? chi?" nel bel mezzo di un discorso avviato da ore... XD guarisci presto, polla! <3 Tagliati quesi baffi! Li peggio quartini arrapati sulle foto delle redattrici lesbo W voce arrapante! Coppie brutte, Ve prego, NON RIPRODUCETEVI! Malusardi… chissà… P.C. Gion Calbott, da quann' t'agg vist lu core mio batt comm 'nu trattore... Di Renji :D GianDomenico Madeo Ti Amo. (Bimbetta Avvelenata) Una volpe bianca… o c***o! Raffa, c'hai la bocca da b********a Prisincul 'n'ett d'alìc... olrait! In libreria: "Scusi, ma è uscito l'ultimo romanzo della Tiburzi?" Ondanomala cerca sponsor ed è interessata a offrire spazi pubblicitari! Sosteneteci anche voi! Ricordatevi di mandare i vostri lavori alla nostra e-mail On O nd da an no om ma all A A WANTS YOU! Direttrice: Cecilia Lugi - III B Vicedirettore: Davide Galeotti - I A Impaginazione e grafica: Cecilia Lugi - III B Salvatore Diocaro - I E Fotografia: Paola Guarneri - I E Redazione: Ilaria Catanzaro - II E Giorgio Colletti - III F Andreas Iacarella - III D Adriano Mamone - V A Gianmarco Perrone - III A Claudia Severa - II E Flavia Tiburzi - III B Arianna Turchini - I E Hanno collaborato: Dario Amodio - V C Filippo Besa - III D Filippo Cicchetti - V E Veronica Corbo - III E Simone Marino - V C Giulia Parenti - I B Silvia Pellegrini - V E Valeria Tiburzi - II C Novembre/Dicembre 2011 21 Anno V - Numero 2 Ipse dixit Prof. C.: "Per offendervi che vi devono dire, che siete mignotte?" Prof.ssa T.: "State zitti che mi fa male la schiena!" Prof. L.: "Ora facciamo l'appello e segnamo i presenti e gli impresenti." Prof.ssa R. : Dunque, cos’è lo Spirito nella Dialettica hegeliana? Alunna: Beh… E’ il terzo passo della triade… Prof.ssa (O.O): Passo? E che stiamo a lezione di danza? Sudati Sudoku Ipse dixit Prof:"Ares e Afrodite avevano sovente maniera di "conversare"… Quando Efesto li coglie con la rete, chiama subito tutti gli dei a vedere quanto era cornuto… Cornuto e mazziato! E.T.: "(…) nelle sue storie non dice: << quella è una mì o una pù. O un puttaniè…>> Prof: "Non usate il bianchetto! Non me lo fate vedere che ve lo faccio ingoiare pure se è tossico! Prof. (a un alunno): "Sei urticante! Sì esatto urticante, mi dai prurito! Prof: "Didone, che s'era innamorata subito di quel broccolo di Enea... Prof: "Schliemann non trovò la Troia giusta... uhm non suona tanto bene" :S Novembre/Dicembre 2011 22 Anno V - Numero 2 4 5 7 6 Novembre/Dicembre 2011 Anno V - Numero 2 23 Concorso fo ffotografico tografi f co autogestito anno scolastico 2011-2012 1 I Classificato: Marta Patrelli I E (1) II Classificati ex aequo: da sinistra Gloria Bellissimo (2) Giulia Carletti III D (3) III Classificato: Lorenzo Spatocco II C (4) Altri scatti: Giulia Carletti III D (5) Lorenzo Spatocco II C (6) Marcello Pieri II B (7) 2 3 LLiibbeerr IIll d da ar rk k s siid de ed de ell ggiio or rn na a ll e ed de ell P Piill o o All bbeerrtteell ll ii d A d ii R Ro om maa me m en nt te e FFrr iizzzzii,, ll aazzzzii,, ppo oe es siie ed da ar r iid de er re e,, c co om miic c iit tà àd da a piiaan p ng ge err ee.. AAppppaarr een nt tii sscceem meen nz ze e,, ll aatteen nt tii ggeen n iia all iit tàà:: ll iibbeerr aattee ll aa m meen nt tee!! Lezione di letteratura Italiana C hiamò la sua prima opera Postuma e morì quasi quarant'anni dopo. Si dilettava facendo lunghe gite in bicicletta occultato dietro una maschera d'asino. Il suo nome era Olindo Guerrini ma anche Argia Sbolenfi, Lorenzo Stecchetti, Bepi e Marco Balossardi. Non credo lo si possa trovare nei vostri libri di letteratura, neppure a mettercela tutta. Socialista, anticlericale, scrisse versi giocosi e scanzonati... mai lo troverete! Eppure fu un letterato di primo piano, non serioso, certo, ma non per questo meno importante. Fu il volto ridanciano del Verismo italiano, che non ebbe timore di sbeffeggiare vescovi e aristocratici. Con le "Rime di Argia Sbolenfi" prestò la sua voce scherzosa per cantare i desideri erotici di una cuoca bolognese, donna brutta ma tormentata da irrefrenabili istinti sessuali. Di questa raccolta vi regaliamo qui appena una pillola, quanto basta per ricordarsi che la letteratura italiana dell'Ottocento non è stata solo Manzoni e Carducci. Quando trovo qualcun che me la mena, La mia capretta, a pascolar sul monte, Tutta la sento di dolcezza piena Guizzar pel gusto che le brilla in fronte: E se poi qualchedun me la rimena, Corro tosto a lavarla ad una fonte, Indi l’asciugo e non è asciutta appena Che a trastullarsi ancor le voglie ha pronte. Sempre sana e piacente, al caldo e al gelo Va intorno e cogli scherzi altrui diletta, Tanto la tenni e l’educai con zelo. Eccola quì che una carezza aspetta, Fresca, pulita e non le pute il pelo..... Dite, chi vuol baciar la mia capretta? ERRATA CORRIGE: L'articolo "Un amico inaspettato", comparso nel numero di Settembre/Ottobre della rivista, erroneamente attribuito a Nicoletta D'Aprile, è opera di Adriano Mamone. Ci scusiamo con i lettori dell'inconveniente. La Redazione