Novembre/Dicembre 2011

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Novembre/Dicembre 2011
Il Giornale del Pilo Albertelli di Roma - Nov/Dic 2011 - Numero 2 - Anno V
Una “Maratona” di Romanzi
Intervista ad Andrea Frediani
N
ell’Ottobre del corrente anno, disponendo di una
certa documentazione bibliografica in proposito, ho
deciso e tentato di contattare Andrea Frediani, autore
di romanzi storici nostro concittadino e vincitore del premio
"Orient Express" 1998 come miglior romanista, sperando di
ottenere un'intervista per il nostro giornale. Frediani, che
tuttora vive e lavora a Roma e che ha al suo attivo diversi
romanzi, tra cui "300 Guerrieri" (2007), "Jerusalem" (2008),
"Un eroe per l'Impero Romano" (2009) e la trilogia "Dictator"
(2010-2011) (tutti ambientati tra la tarda Età Repubblicana,
l’epoca delle Guerre Persiane, il Basso Impero e la I Crociata) e
svariati volumi di saggistica sempre di argomento storico, ha
gentilmente ribattuto e si è reso disponibile a rispondere ad
alcune domande, nonché a partecipare a un eventuale
incontro all'interno della nostra scuola, ancora da
programmarsi. Illustro dunque qui di seguito le risposte
dall’autore ai quesiti proposti: >>
Intervista a
Giulia Besa
Una gita a
Gubbio
pag. 3
pag. 6
La musica come terapia del
corpo e
dell'anima
Ritorno alla
Terra Nera
pag. 8
pag. 12
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Dottor Frediani, giacché l'intervista che
mi accingo a raccogliere sarà preceduta,
una volta pubblicata, da un paragrafo
introduttivo che spiegherà chi è Lei e di
cosa trattano le Sue opere, vorrei
chiederle per prima cosa: perché un
medievalista quale Lei è, ha deciso di
scrivere soprattutto romanzi e volumi di
saggistica riguardanti non tanto l’Età di
Mezzo quanto, piuttosto, il periodo
Greco-Romano?
In realtà non mi considero un
medievalista, ma uno storico a tutto
tondo. Il fatto che mi sia laureato in storia
medievale piuttosto che antica o moderna
deriva da circostanze contingenti, ma a
me la storia piace tutta. Negli ultimi
tempi, peraltro, il pubblico sembra
gradire
più
romanzi
ambientati
nell’antichità, pertanto l’editore mi chiede
più volentieri di cimentarmi in
quell’ambito. Ma su Focus, nei saggi, nelle
enciclopedie e negli allegati ai quotidiani
mi occupo di ogni epoca storica.
Sempre a proposito delle sue scelte
stilistiche, nei Suoi romanzi Lei prende in
considerazione un evento o un
personaggio storico su cui v'è ampia
documentazione filologica, ma che fino
ad oggi è comunque rimasto avvolto da
un'aura di leggenda, per poi ricamarvi su
la trama del libro e tutta una serie di
figure di fantasia che rappresentano poi i
sostegni narrativi della colonna portante
del racconto, che sia Cesare, Re Leonida o
un chiunque altro da Lei citato. Eppure,
nelle Sue opere, non sono i vari Traiano,
Milziade o Goffredo di Buglione a far da
protagonisti,
bensì
proprio
quei
personaggi secondari in genere non
menzionati dai libri di scuola o dai
Romanzi storici, che invece spesso nei
Suoi scritti compiono imprese degne di
nota. Perché dunque questa scelta
"controcorrente" di soffermarsi sui piccoli
uomini e sulle loro vicende personali?
Nella mia lunga carriera di saggista, ho
descritto le imprese di grandi e celebri
personaggi storici. I romanzi, al contrario,
mi hanno offerto la possibilità di
raccontare una visione anche "dal basso",
di antieroi che, secondo me, hanno un
enorme potenziale narrativo. Sono
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convinto che i perdenti siano in grado di
appassionare il lettore come e più dei
vincenti. Mi piace prendere un
personaggio che si sente inadeguato alle
sfide che deve affrontare, e osservare il suo
stato d'animo mentre le affronta e prende
coscienza delle sue potenzialità, oppure dei
suoi limiti. E’ anche un modo per esplorare
me stesso e l'animo umano in generale. Se
ci si fa caso, nei miei romanzi manca quasi
del tutto la "voce narrante"; ogni episodio è
narrato dal punto di vista di uno dei
protagonisti, perché desidero che il lettore
ci si immedesimi come ho fatto io
scrivendolo.
Rimanendo in tema, nel Suo ultimo
Romanzo, "Marathon", come d’altronde
anche in "300 Guerrieri", Lei ci racconta
nei dettagli un singolo episodio storico che
non si prolunga nel tempo, se non col
prologo da cui poi si origina il racconto, gli
ultimi giorni della Prima Guerra Persiana.
In "Marathon" però il protagonista si
triplica e la trama del libro poggia tutta
sull'incertezza degli storici sul nome del
messaggero che annunciò l’arrivo dei
Persiani in Attica. Come suo lettore
dunque le chiedo: Le piace la storiografia
sperimentale o trova semplicemente
suggestiva l'ipotesi che i messi fossero più
d'uno?
Quello di "triplicare" il protagonista è un
espediente narrativo per rendere più
avvincente e serrato il racconto di ciò che
intendevo come un thriller con unità di
luogo e di tempo. La vicenda doveva essere
narrata pressoché in tempo reale e con un
solo protagonista sarebbe stata noiosa.
D'altronde, si tratta di un'ipotesi non del
tutto peregrina e assolutamente verosimile.
Gli autori di romanzi di storia antica, pur
rispettando i paletti rappresentati dalle
notizie riportate nei documenti dell'epoca,
devono approfittare di tutte le occasioni
che le fonti inadeguate offrono loro per
riempire i buchi con quella che LeGoff
chiamava "immaginazione scientifica".
Una Sua particolare passione sono i
"diorami", ricostruzioni in scala di
particolari episodi storici ed i Suoi
Romanzi mostrano sempre in copertina
un'immagine a dir poco epica o,
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comunque, molto suggestiva. Il quesito
che dunque sorge spontaneo è: sceglie
lei le foto di copertina? E, se non avesse
scoperto il proprio talento di scrittore,
Andrea Frediani potrebbe oggi essere
un valente cartoonist o un grafico?
Come tutti gli scrittori, purtroppo (o per
fortuna, come direbbe il mio editore)
non ho alcun potere decisionale sulle
copertine, che per contratto sono a
totale appannaggio degli editori. Se ne
avessi, avrei evitato che il Cesare
rappresentato in copertina ne "L’ombra
di Cesare" fosse vestito come un
semplice legionario, per giunta di epoca
posteriore, e non somigliasse affatto al
Cesare reale. Se non avessi fatto lo
scrittore, di sicuro avrei gravitato
nell'ambiente musicale, l'altra mia
grande passione!
Infine, ultimo, ma non meno
importante quesito: leggendo vari
romanzi storici, mi è capitato di
imbattermi nelle opere di Roberto
Genovesi, novello romanziere che con
il suo "La legione occulta dell'impero
romano" ridisegna un po' i confini del
genere fondendolo alla radice con il
Fantasy. Nei "Ringraziamenti" a fine
volume, Genovesi non dimentica di
citarla per il suo apporto di storico ai
suoi libri e Lei, a Sua volta, lo nomina in
tono lusinghiero nelle ultime pagine
della trilogia "Dictator". Cosa pensa di
questa
nuova
dimensione
"archeologico-magica"
di
cui
probabilmente il Suo collega è uno dei
primi a scrivere?
Genovesi, prima di essere un collega, è
un caro amico dotato di grande fantasia
e di scrittura talentuosa. Devo dire che,
da storico formato all'università, non ho
mai seguito il genere fantasy e trovo
faticoso accettare certe soluzioni troppo
irreali. Ma Roberto si documenta in
modo molto accurato per i suoi libri, e i
suoi inserti magici non stonano, anzi
risultano quasi verosimili. Ben vengano
dunque tutti i romanzi che trattano di
storia non in modo cronachistico, come
quelli descrittivi e prevedibili di una
volta…
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Intervista
Interv
vista a Giulia Besa
G
iulia Besa è un' ex-studentessa
del nostro Liceo, diplomatasi
nel
2009.
Frequenta
attualmente la facoltà di Giurisprudenza
presso l'Università La Sapienza di Roma.
Il suo primo romanzo, "Numero sconosciuto", è stato pubblicato da Einaudi
nell'estate del 2011.
Il tuo libro, "Numero sconosciuto", è
stato pubblicato da Einaudi quest'estate.
Puoi farci un riassunto a effetto?
Non c'è molto da dire: Sara esce dal liceo classico e anziché iscriversi all’università come tutte le brave ragazze se ne
va in giro per l'Europa con un fucile a
far fuori gli Dei (non avrei potuto farle
uccidere dei filosofi… sarebbe stato
troppo
!).
Per dare la caccia alle divinità, Sara segue le istruzioni che le arrivano tramite
cellulare dal numero sconosciuto che la
tormenta. Ha un malsano gusto per il
deicidio, soprattutto se è cruento. E la
cosa non è senza motivo.
tuoi problemi! Fatti venire le crisi di
pianto solo quando sono necessarie!
Dimostrami che le donne sanno fare
qualcosa di drastico e incisivo senza
l'aiuto di un uomo! Che Dio salvi la
Regina!
Persefone, la bambina/cadavere, ha
suscitato orrore e compassione tra i
tuoi lettori. Com’è nato il personaggio?
All'inizio era una vecchia. Poi mi sono detta (Scott Card docet) che era un
bel cliché fare la Morte novantenne.
Molto meglio una bambina cadavere
incinta. No?
Marte ha le pulci perché ha preso il corpo
di un prigioniero dell’Unità 731 (i Giapponesi, durante la seconda guerra mondiale,
facevano esperimenti sui prigionieri simili
– se non peggiori – a quelli effettuati nei lager nazisti). Artemide è la Dea della Violenza, la violenza è una passione
primordiale, forse la più antica di tutte, più
antica della volontà di conoscere, di farsi
guerra o vendicarsi. Mi sembrava logico
che avesse un corpo antico quanto il desiderio che rappresentava, e fornito degli
strumenti (denti da squalo) per perpetrare
quella passione.
Atena soffre di onicofagia (si mangia le
unghie in maniera compulsiva, fino all’osso) per un motivo “divertente”. Mentre facevo l’ultimo editing, sono dovuta
rimanere sveglia per diversi giorni di fila: 6
ore all’università, 18 ore di editing, altre 6
ore di università , 18 di editing eccetera.
Mi sanguinavano le dita, per quanto le
mangiavo. Atena, che incarna la Conoscenza, sta sveglia da secoli per studiare.
Così m'è venuta l'idea.
A che genere letterario appartiene "Numero sconosciuto"?
È un urban fantasy: romanzo
ambientato in epoca contemporanea
con settings realmente esistenti (ospedali, scuole, bar, giardini) ed elementi
fantastici (nel mio caso, gli dei greci e
latini migliorati e corretti) che provocano stupore e straniamento. Sul genere di
King, per intenderci.
Nel mio romanzo, la tematica urbana
non è molto accentuata, gli elementi
fantastici si avvicinano alla bizarrofiction e le scene cruente al dark fantasy. NON è un paranormal romance (vedi "Tuailaids"), perché la storia d'amore
non occupa la parte centrale del romanzo, né muove le azioni della protaTieni molto a sottolineare che Sara è un
gonista.
modello di donna forte. Perché?
Perché Marte, il bellone degli dei, ha le Sono stufa delle ochette dei paranormal ropulci, la “fascinosa” Artemide è una mance che vanno tanto adesso. Sviliscono
donna di Cromagnon con denti da squa- il mio sesso. Sempre piangersi addosso. E
datti una mossa! Esci, bella mia! Affronta i
lo e Atena soffre di onicofagia?
Il finale aperto (con tanto di colpo di
scena mozzafiato) lascia intendere
che ci sarà un sequel. Ci puoi anticipare qualcosa?
Monica (sì, la puttana, quella che sta
antipatica a tutti) sarà coprotagonista
insieme a Sara (pappappero!). Ci sarà
Zeus (che fa il pusher), Apollo (che
ha preso i voti), Afrodite (attualmente
residente al Moulin Rouge).
Quali sono le qualità necessarie per
essere un bravo scrittore? Quanti ce
ne sono al mondo secondo te?
Se vuoi scrivere bene, devi studiare i
manuali di tecnica narrativa ed
esercitarti, e ci vogliono anni.
Gerrold, nel suo “Worlds of
Wonder”, afferma che il primo milione di parole (i primi 10 romanzi!) sono solo un allenamento (anche se
vengono pubblicati).
Il talento è utile, ma, se non avesse
imparato le note e non avesse fatto gli
esercizi per rafforzare e rendere agili
le dita, Mozart sarebbe stato come il
bimbo a cui faccio ripetizioni: batte
tasti a caso sulla tastiera e ogni tanto
esce qualcosa che non ti fa accapponare la pelle.
Riguardo alla seconda domanda. Non
posso dire con certezza quante persone al mondo abbiano la voglia, >>
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>> la forza di volontà e gli strumenti
per scrivere bene. In Italia i bravi
scrittori si contano sulle dita di una mano monca.
quello della pubblicità su Canale 5 e
sotto la metro), è un’associazione a delinquere. Per certi crimini dovrebbe essere previsto il taglio delle mani.
Oltre che sul sequel di “Numero sconosciuto” stai lavorando anche su
qualcos’altro?
Sto lavorando a un paio di romanzi.
Uno di fantasia e uno… di altro genere.
All’Albertelli ci sono molti ragazzi che
hanno come sogno nel cassetto di
pubblicare i propri inediti. C’è speranza
per tutti loro?
Per pubblicare in Italia (e non solo) basta
scrivere un romanzo commerciale, o
avere le giuste conoscenze. Purtroppo
scrivere bene dal punto di vista tecnico,
documentarsi e lavorarci per anni non è
sempre un fattore determinante. Quindi,
se il vostro scopo è la pubblicazione in
casa editrice, è più facile farcela con romanzi commerciali che non con duro lavoro. Dopodiché scrivere come Dio
comanda è una vostra scelta. Scelta che,
parlo
per
esperienza
personale,
Cosa ne pensi delle case editrici a pagamento?
Ladri. L’editore è un imprenditore: deve investire a suo rischio e pericolo su
di te, e subire le conseguenze della
mancata vendita. Se un editore ti chiede soldi, pensa che il tuo romanzo
faccia schifo e che non venderà. Si vuole coprire le spalle rubando soldi a te (e
guadandoci, anche). Il Filo editore (sì,
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comporta nausea, insonnia e onicofagia. Ma quanto vi soddisferà tirare
fuori la luce dal diamante grezzo!
Questo è ciò che amo di più al mondo.
Se poi volete solo essere letti e non vi
interessano i soldi e la fama, potete
mettere in vendita il romanzo in
formato digitale su un blog, o su Amazon.it e farvi pubblicità per conto vostro. Attualmente l’e-book copre lo
0,05% del mercato librario italiano.
Ma nell’arco di 15 anni sostituirà la
carta come i computer hanno sostituito le macchine da scrivere. Se siete
bravi, è un ottimo investimento.
Fatta anche questa polemica, voglio
ringraziare la Redazione di Ondanomala per lo spazio a me dedicato sul
giornale della scuola. Certe volte
l’Albertelli mi manca. Organizziamo
una cena di classe? ^_^
Come l'istruzione crolla in testa allo studente.
Tragedia sfiorata a una scuola di Corigliano, presente e passato a confronto.
L
'istruzione crolla in testa allo
studente, sembra un'ironica
metafora, vero? In realtà succede in uno dei licei più rinomati del
centro di Roma, o così direbbe il dirigente scolastico, come spesso si sente
dire. Questo articolo non si pronuncia
pro o contro alcun ente o persona.
Vuole solo mostrare le conseguenze e
suscitare scandalo, fino a infastidire il
governo di qualsivoglia schieramento
sia, affinché ogni studente possa avere
sulla sua testa durante le lezioni
un'istruzione sana, solida, che non cede. Di seguito l'esempio di una scuola
di Corigliano.
"CORIGLIANO - Tragedia sfiorata al
III Circolo scolastico “Papa Giovanni
XXIII” di Corigliano scalo. Le piogge
della notte tra giovedì e venerdì hanno
infatti letteralmente sfondato il tetto di
un’aula, facendo venire giù molti dei
pannelli che formano la copertura della
classe. L’episodio, per fortuna, è avvenuto nel corso delle ore notturne, ma il
crollo sarebbe potuto avvenire
tranquillamente anche durante le ore di
attività didattica, quando le aule sono piene
di alunni.
A scoprire quanto accaduto sono stati alcuni
addetti del personale Ata che, giunti di
buon mattino ad aprire l’istituto, si sono ritrovati di fronte ad una scena inattesa: una
classe completamente allagata, con il tetto
quasi totalmente distrutto e sgretolato per
terra. In particolare, ad essere interessata dal
cedimento strutturale è stata un’aula del
primo piano dell’istituto, mentre in altre
classi - sempre del piano superiore - l’acqua
è filtrata dal tetto creando macchie di umidità sui pannelli che formano la copertura e
allagando il pavimento. Incredula la dirigente del III Circolo, Susanna Capalbo, ha
reso noto che già in mattinata un tecnico
del Comune aveva visitato i locali interessati
dal cedimento, facendo presente che la
scuola in questione è destinataria di un finanziamento che prevede la sistemazione
complessiva dell’istituto, tetto compreso, ma
che probabilmente, burocrazia permettendo
– aggiungiamo noi – ci vorrà almeno la fine
di aprile perché si cominci l’opera di ripara-
zione. Tornando a quanto accaduto, ci
sono almeno due fattori che lasciano
perplessi. E’ infatti assolutamente curioso che a cedere sia il soffitto di una
scuola costruita circa 10 anni fa; una
struttura dunque nuova, che però a
quanto pare sembra essere stata progettata in maniera approssimativa, visto che è bastata una nottata di pioggia
perché l’acqua s’infiltrasse e inzuppasse
la copertura di cartongesso e polistirolo, fino a farla addirittura crollare. A
ciò si aggiunga che tra i pannelli del
soffitto delle varie aule, ci sono anche
quelli che contengono le lampadine e
quindi il sistema d’illuminazione delle
classi; questo significa che il rischio di
un cortocircuito è molto elevato
quando ci sono infiltrazioni d’acqua
che potrebbero andare a finire proprio
a ridosso dei cavi di corrente che naturalmente attraversano i pannelli.
L’altro appunto va fatto alla modalità
di costruzione del tetto dell’istituto,
formato da piattaforme d’alluminio
inclinate in maniera tale da far defluire
verso l’esterno l’acqua piovana ma po-
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sizionate sul tetto della scuola solo in alcune parti,
lasciandone completamente scoperte altre. Ieri,
comunque, le attività scolastiche sono proseguite
abbastanza regolarmente. Le classi interessate da
infiltrazioni d’acqua ovviamente sono rimaste vuote, anche perché in alcune l’umidità sul soffitto ha
funzionato da fattore deterrente, onde evitare rischi inutili. Per tali motivi, anche dal Comune di
Corigliano è stata messa ieri mattina un’ordinanza
sindacale che, per la giornata di oggi, prevede la
completa chiusura del plesso."
cit. "Incredula la dirigente della III Circolo, Susanna Capalbo, ha reso noto che già in mattinata
un tecnico del Comune aveva visitato i locali interessati dal cedimento, facendo presente che la
scuola in questione è destinataria di un finanziamento che prevede la sistemazione complessiva
dell’istituto, tetto compreso, ma che probabilmente, burocrazia permettendo – aggiungiamo
noi – ci vorrà almeno la fine di aprile perché si cominci l’opera di riparazione. "
accadde.
Probabilmente lo studente dall'istruzione traballante sulla testa non morirà
per il crollo - perché è solo cartongesso! - , diranno alcuni, ma poiché è
immerso in una stanza allagata in cui
sguazzano come pesciolini vivaci cavi
dell'impianto elettrico.
cit. "il rischio di un cortocircuito è
molto elevato quando ci sono infiltraAnche il lettore è incredulo. E' incredulo ricono- zioni d’acqua che potrebbero andare a
scendo che nel passato gli eventi presenti sono già finire proprio a ridosso dei cavi di
successi e può trovare saggezza in quello che corrente che naturalmente attraversa-
no i pannelli. "
L'articolo cita fatti avvenuti in passato e documentati, per mostrare le
probabili conseguenze nel futuro
delle nostre azioni presenti. Non c'è
alcuna polemica contro la scuola,
visto che vengono riportate solo
notizie vere, ma va bene pensare
che ci sia una protesta, assolutamente neutra e senza schieramenti
di parte, contro l'incompetenza degli uomini al potere di oggi.
Diario di scuola
D
iario di scuola è un
saggio
con
spunti
autobiografici di Daniel
Pennac dedicato interamente al
mondo della scuola. In questo
libro l’autore esprime il suo
pensiero sulla scuola e sugli
studenti. Il termine studenti può
risultare vago però, infatti
Pennac si concentra sulla figura
dei fannulloni, degli sfaticati e di
tutti coloro che vanno male a
scuola. Nella prima parte del
libro si parla dell’esperienza
vissuta in prima persona
dall’autore, che passa da studente
“somaro” a insegnante. Pennac
parla infatti della sua esperienza
di somaro vissuta durante
l’adolescenza.
Adolescenza
caratterizzata dall’incertezza e
dal non sentirsi all’altezza,
emozioni causate dai suoi
continui tracolli scolastici. Ma a
un certo punto qualcosa cambia. L’incontro con
alcuni insegnanti che decidono di non “subire”
passivamente questi somari ma anzi cercano di
trovare in essi qualità nascoste, riesce a far
nascere nell’autore un amore per la cultura tale
da spingerlo poi a diventare insegnante. Nella
seconda parte racconta la scuola vista da dietro
la cattedra e parla del suo rapporto con studenti,
colleghi e genitori. In particolare, racconta del
rapporto con i suoi alunni, che paragona a delle
cipolle. Ogni studente è infatti condizionato dai
vari eventi della propria vita e se
il professore non riesce a
“pelare”
queste
cipolle,
portandoli al piacere della
lezione, questo piacere non
attecchirà mai su di loro. In
questo libro di piacevole e
scorrevole
lettura,
Pennac
esamina una figura molto
diffusa, quella del “somaro” e in
qualche modo gli ridà una sua
dignità,
ricordando
anche
l’angoscia e il peso emotivo che
si portano sempre dietro questi
ragazzi.
Tra
un’esperienza
personale e l’altra, l’autore scrive
anche
la
sua
percezione
dell’amore, elemento importante
nella pedagogia. Scritto con la
solita ironia, contornata anche
da episodi toccanti, “Diario di
scuola” è un libro divertente e di
facile lettura su un tema sempre
centrale, la scuola.
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Una gita a Gubbio
S
e avete voglia di sfuggire al caos
cittadino per rifugiarvi nella
tranquillità di un paesino dove
si respira aria pura, seguiteci alla scoperta di un ridente borgo medievale
della provincia di Perugia: Gubbio!
Città di circa 30 mila abitanti, Gubbio
ha una storia antica. Fu un importante
centro degli Umbri tra il III e il I secolo a.C, come testimoniano le Tavole
Eugubine, il più notevole cimelio epigrafico dell'Italia preromana. Strinse
poi alleanza con Roma, quando prese
il nome di Iguvium, fiorendo nei primi anni dell'Impero.
Dopo la caduta di questo, fu distrutta
nella guerra gotica dagli Ostrogoti
(552 d.C.); annessa all’impero bizantino, se ne sottrasse nell'VIII secolo.
I privilegi concessi a Egubium sia da
Barbarossa (1163) che da Enrico VI
(1191), determinarono lo scontro con
la vicina Perugia, dalla quale fu
sconfitta nel 1217, rinunciando a
qualsiasi espansione.
Il periodo di prevalenza guelfa coincise con un'epoca di pace e prosperità
(1250-1350), che si arrestò quando la
città fu sottoposta al dominio della
Chiesa. A questa, Gubbio si ribellò, finendo poi sotto i duchi di Urbino
(Montefeltro, Della Rovere); sotto Federico Montefeltro la città visse uno
dei suoi momenti di maggior splendore. Poi, tornata sotto lo Stato della
Chiesa, fu soggetta a una progressiva
decadenza economica e politica.
Il suo illustre passato si riflette in ogni
angolo del centro, ricco di chiese e palazzi dalla suggestiva bellezza. Passeggiando per le tortuose stradine si
avverte un'atmosfera dal sapore medievale, che difficilmente svanirà dalla
memoria del visitatore.
Il nostro giro è iniziato sotto gli alberi
dai colori autunnali di via Perugina.
Sbucati in Piazza Quaranta Martiri,
siamo rimasti subito impressionati
dall'imponenza della chiesa di San
Francesco, personaggio al quale è le-
gato il nome di Gubbio. Infatti la leggenda vuole che Francesco, fuggito da Assisi,
abbia trovato ospitalità presso la casata degli Spadalonga, dopo aver liberato la città
dal lupo che terrorizzava gli eugubini. L'episodio di Francesco che ammansisce il
lupo è celebrato con una statua posta nei pressi della chiesa.
Costeggiando le Logge dei Tiratori, abbiamo imboccato via della Repubblica, la
strada più animata della cittadina: negozietti di ceramiche, armi medievali e prodotti locali, numerose taverne e anche un'ottima cioccolateria la rendono allegra e
caratteristica.
Da lì si giunge proprio ai piedi della maestosa Piazza Grande, o piazza della Signoria, dalla quale si gode di una meravigliosa vista panoramica della cittadina e delle
campagne. La piazza è il vero centro della città, nonché sede del suo principale palazzo, quello dei Consoli, da molti stimato come l'unico in Italia in grado di competere con il ben più noto palazzo della Signoria di Firenze. E’ un vero gioiello
dell'architettura italiana trecentesca, dotato di un'elegante scalinata a ventaglio e di
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caratteristici merli; la campana della
torretta-campanile viene suonata con i
piedi e, pensate, pesa venti quintali!
Di fronte a questo, il palazzo del Podestà,
che non colpisce come il suo vicino, a
causa della sobrietà del suo stile architettonico.
Attraversando la piazza e salendo ancora,
si può percorrere una stradina che
conduce in un piccolo spiazzo in cui si
fronteggiano il Palazzo Ducale e il Duomo. Il Palazzo Ducale fu costruito da Federico di Montefeltro a partire dal 1476,
al suo interno si apre uno splendido
cortile dotato di portico . Il Duomo risalente al XIII secolo è ricco di dipinti di
artisti eugubini; significativa la sgargiante
cappella barocca. Inoltre dall’interno del
Duomo si accede a un piccolo giardino
pensile da dove si ammira un’ottima panoramica.
Visitando Gubbio si possono girare decine di altre chiese, come quella di S. Giovanni; se siete fan del prete-poliziotto
Don Matteo, vi accorgerete che questa è
proprio la sua parrocchia!
Simbolo della dominazione romana è il
teatro che si trova non molto distante da
piazza dei Quaranta Martiri: davanti a
questo si estende un grande prato dal
quale si scorge il paesino addossato a due
maestose montagne.
Per godervi ancora meglio la vista del
borgo, vi consigliamo di approfittare della
funivia che porta in cima al monte Ingino.
Se dopo questa scarpinata per i saliscendi
di Gubbio vi è venuta fame, cosa c’è di
meglio di un bel pranzo in una "taberna"
tipica? Tagliatelle al tartufo, pasta con no-
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ci e formaggio di fossa e gustose salsicce
umbre vi riempiranno certamente lo stomaco!
Poi vi consigliamo vivamente un giro per
le vie e i negozi del centro: troverete degustazioni libere in strada, negozi di armi
medievali (piccole balestre, archi, mazze
ferrate…), borse e portafogli di cuoio,
ceramiche varie e, per scaldare gli animi,
la buonissima Cioccolateria Cecchini,
dove un bicchiere di cioccolata calda è
obbligatorio!
In alternativa, per gli appassionati di
calcio, c'è sempre lo stadio Pietro
Barbetti, dove, con soli 5 € per gli under
18, potrete assistere a un match dell' AS
Gubbio 1910, squadra che quest'anno si
trova clamorosamente in serie B e
attorno alla quale c’è un grandissimo
entusiasmo, palpabile in ogni strada della
città.
Gubbio, come tutti i centri minori, ha
molte feste e sagre tipiche. Noi ve ne se-
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gnaliamo qualcuna che ci è sembrata
piuttosto interessante:
- il Palio della Balestra, che si svolge
l’ultima domenica di maggio;
- la Corsa dei Ceri, il 15 maggio, festa del patrono S.Ubaldo;
la Processione del Cristo Morto, il
Venerdì santo, molto particolare.
Inoltre, durante il periodo natalizio,
sulle pendici del monte Ingino, viene
illuminato l’albero di Natale più
grande del mondo, disegnato con 800
sorgenti luminose lungo tutta la
facciata della montagna.
L'Umbria è una terra davvero stupefacente, costellata di preziosi splendori
come Gubbio.
Vi consigliamo vivamente di andarci,
noi ci siamo divertiti un sacco!
PS: Per chi dovesse andare a Gubbio, o
per chi ci fosse già stato, scriveteci le
vostre opinioni all'indirizzo: www.sifitalia.jimdo.com
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La musica come terapia del corpo e dell'anima
L
'uso della musica a scopi terapeutici è documentato in numerose
civiltà, dal mondo antico ad oggi,
prevalentemente all’interno di un modello di pensiero magico-religioso.
Si riteneva che la musica fosse di origine
divina e che avesse un “effetto terapeutico” per il corpo e l’anima.
La musicoterapia, che è la tecnica la quale utilizza la musica o il suono come strumento di comunicazione (non verbale)
per promuovere il benessere fisico e
psicologico dell’intera persona – corpo,
mente e spirito, viene oggi impiegata in
diversi campi, che spaziano da quello
della salute, come prevenzione, riabilitazione e sostegno, a quello del benessere
al fine di ottenere un migliore equilibrio
e armonia psico-fisica. Le teorie principali affermano che la musica agisce sul
sistema nervoso centrale ed è quindi in
grado di modificarne comportamenti ed
emozioni, e stimola anche la produzione
di immagini mentali che possono determinare sensazioni positive e che a loro
volta condizionano la mente e il corpo.
Attuale e di grande risultato è l’utilizzo
della musicoterapia nel coma; la stimolazione sonora, soprattutto se rilevante per
il paziente dal punto di vista emozionale,
può avere un ruolo nel ristabilire un
contatto con la realtà agendo a livello
affettivo, cognitivo ed emozionale.
Anche nella cura della depressione a
qualsiasi età essa ha trovato indicazione.
Pareri diversi invece vengono espressi
sulle capacità curative dei suoni utilizzati
come terapia di malattie organiche. E’
ormai noto che ancor prima della nascita
si sedimentano in noi dei suoni che costituiranno poi il nostro “io sonoro”, ad
esempio il neonato riconosce la voce
della mamma che lo tranquillizza. Per la
comprensione e opportuno distinguere la
fase dell’udire i suoni come fenomeno fisico periferico legato all’orecchio e al
nervo acustico dalla fase del sentire che è
la fase del collegare il suono filtrato da
funzioni encefaliche a livello del talamo
alle emozioni. Possiamo supporre che
l’emisfero destro sia quello che, in un
primo momento afferra una struttura
approssimativa della musica, sulla quale,
in seguito, l’emisfero sinistro esegue
un’analisi più precisa. La musica esprime idee, concetti, sentimenti propri di
ogni individuo. Tutti abbiamo la nostra
musica preferita e siamo affascinati dai
suoi effetti. All’interno di ciascun genere vi sono varietà di stili. Alcuni sono
attivi e potenti mentre altri sono passivi
e rilassanti. In particolare: Il canto gregoriano utilizza i ritmi del respiro naturale per creare un senso di riposante
vastità. E’ eccellente per lo studio in
tranquillità e può ridurre lo stress. La
musica barocca più lenta (Bach, Vivaldi)
conferisce un senso di stabilità, ordine
prevedibilità e sicurezza e crea un
ambiente mentalmente stimolante per
lo studio e il lavoro. La musica classica
(Hadyn, Mozart) appare ricca di chiarezza, eleganza e trasparenza. Migliora
la concentrazione, la memoria e la
percezione spaziale. La musica romantica (Schubert, Schumann, Tchaikovsky, Chopin, Listz) accentua
l’espressività e il sentimento suscitando
spinte individualistiche, nazionalistiche
e mistiche. E’ in grado di incoraggiare la
simpatia, la compassione e l’amore.
La musica impressionista (Debussy, Ravel) si basa sul libero fluire in musica di
stati d’animo e impressioni ed evoca
immagini di sogno. Jazz, blues, dixieland, soul, reggae e altre forme di musica e danza che provengono dall’eredità
espressiva africana possono risollevare
e ispirare, liberare sia profonda gioia
sia tristezza, esprimere spirito e ironia
e ribadire la nostra umanità.
Salsa, rumba, merenghe, macarena
hanno un ritmo vivace. La samba ha la
rara caratteristica capacità di calmare e
risvegliare allo stesso tempo. I grandi
gruppi, la musica pop, i successi degli
anni Quaranta e la musica countrywestern ispirano movimenti leggeri e
moderati, coinvolgere le emozioni e
creare una sensazione di benessere. La
musica rock può risvegliare passioni,
liberare tensioni coprire il dolore e ridurre l’effetto spiacevole dei rumori
dell’ambiente circostante. La musica
New Age crea uno stato di attenzione.
La musica heavy metal, punk, rap, hip
hop e grunge eccita il sisterma nervoso,amata dalla maggior parte degli adolescenti ne indica lo stato umorale. La
musica religiosa o sacra, gospel e spiritual determina un senso di pace profonda che ci aiuta a superare il dolore.
Le emozioni provocate dalla musica
sono individuali, diverse da persona a
persona; probabilmente entrano in
gioco associazioni soggettive tra caratteristiche ritmiche, melodiche e
l’esperienza personale di carattere
affettivo. In conclusione la musica riesce spesso a richiamare alla realtà i
soggetti in coma, allieta e nobilita
l’anima, ma soprattutto rende migliore
la nostra vita.
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Anno V - Numero 2
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This must be the place
Da Andreotti a Cheyenne: nell'Io più profondo di due "divi"
F
estival di Cannes 2008: il presidente della giuria è Sean Penn e
un regista italiano in lenta ma costante ascesa presenta un film potente, rischioso, audace. Quel film è "Il Divo",
sull'ultimo governo Andreotti, e quel regista è Paolo Sorrentino. Sean Penn vede
e rivede il film, lo analizza, ne discute
con gli altri giurati e alla fine lo ricompensa con il Premio della Giuria. Il
film ha un successo incredibile, il regista
ottiene la propria consacrazione e cresce
la sua popolarità nel panorama cinematografico internazionale. E proprio
grazie a questo film Sean Penn si innamora (dal punto di vista professionale,
non si fraintenda!) di Sorrentino e gli
propone scherzosamente di lavorare
insieme. Il regista prende sul serio
l'affermazione e nasce dopo un duro lavoro "This Must Be The Place" (titolo
tratto da un noto brano dei Talking
Heads), anch'esso presentato al festival
francese nel 2011 sotto il saggio sguardo
del presidente di giuria Robert De Niro,
che però non lo premia con la tanto
ambita palma d'oro. Il film, che attira soprattutto per questo legame Italia - U.s.a
(un po' come il fenomeno Muccino –
Will Smith), è straordinario. E uso questa
parola per non sembrare esagerato. "This
Must Be The Place" è un film che ha un
intreccio incredibile di generi e se ci fa
piangere, trova subito il modo di farci ridere. Penn interpreta un personaggio
ambiguo, una rockstar cinquantenne in
declino, ovvero Cheyenne, quasi in depressione, nascosto dietro una maschera
di cerone, rimmel e rossetto. Passa le sue
giornate a fare la spesa, a trastullarsi in
un centro commerciale insieme a una
sua amica diciassettene, a giocare a pelota
con sua moglie nella sua piscina vuota. E
la mancanza d' acqua nella piscina
-Cheyenne dice che non l'ha mai riempita e non sa il perché- è sicuramente lo
specchio dell'anima del protagonista:
anima di bambino, che vede il peggio ma
non dice nulla, o almeno non dice nulla
con cattiveria, perché quando parla è
sempre molto piccante verso un mondo per
lui troppo grande e ambiguo.
Forse l'ambiguità non va d'accordo con se
stessa. Fatto sta che il film non è solo la storia di un figlio che dall'Irlanda parte per gli
Stati Uniti per vendicare l'umiliazione
subita dal padre ebreo ad opera di un nazista, ma è anche un road movie in cui si
intrecciano varie e bellissime storie: quella
della moglie di Cheyenne, una vigilessa del
fuoco, donna forte, ma che senza il suo
amore più grande non riesce a stare; quella
di Mary, la giovane amica della rockstar,
che insieme alla madre, sulla via della
pazzia, attende disperatamente il ritorno del
fratello maggiore scappato di casa senza
motivo; quella di Rachel, che lavora in un
fast food ed è sola a crescere il figlio di dieci
anni, estroverso, cicciottello, simpaticissimo, che ha paura dell'acqua. Come detto, il
titolo è tratto da un brano, che viene
cantato da David Byrne, leader dei
Talking Heads, durante la scena più
importante del film. E forse sta anche
qui la bellezza di questa storia, che si
concluderà con un'altra entusiasmante
e folgorante scena: la vendetta, non
compiuta secondo modalità prevedibili
e violente, che sarà l'inizio di una nuova vita per il protagonista e lo farà ritornare ad essere John Smith (il vero
nome di Cheyenne).
Ancora una volta Sorrentino si prende
una grande responsabilità e si addentra
negli stati d'animo delle persone: il suo
precedente film è per certi versi analogo a quest'ultimo, infatti sia l'Andreotti
interpretato da Servillo che lo
Cheyenne di Penn hanno un modo
tutto loro di vivere la vita e vedere le
cose. Tutti e due hanno un sottile senso
dell'umorismo, tutti e due sono forti
ma hanno un disperato bisogno della
moglie -questa è la conditio sine qua
non che caratterizza i due racconti-,
tutti e due sono annoiati, tutti e due
hanno sempre vinto e vincono ancora.
Ma le due figure sono analoghe anche
per la loro determinazione, che non si
spezza né davanti alle varie accuse di
connivenza mafiosa né di fronte alla
società spesso inetta e autodistruttiva.
E se Andreotti si chiedeva quanto male
bisognasse produrre per fare del bene
rispondendosi da solo, qui la domanda
di Cheyenne è semplicemente "perché
tutto ciò?". E a rispondergli è proprio il
persecutore del padre. Con questo film,
arricchito, oltre che dall'interpretazione dell'attore, anche da una fotografia
che valorizza i meravigliosi paesaggi
dell'entroterra statunitense e da una
colonna sonora (composta dallo stesso
David Byrne) di tutto rispetto,
Sorrentino può essere sicuramente
posto sull'altare dei registi italiani moderni. E forse adesso, dopo tanto
tempo, finalmente, ci sarebbero
nell'aria anche delle possibili candidature all'Oscar.
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Anno V - Numero 2
Musketeer’s Creed
Recensione “al veleno” de “I Tre Moschettieri”
C
ari lettori della nostra
ormai
onnipresente
rubrica
pseudoculturale Liberamente,
premettendo che il titolo di
oggi non è un tentativo di
rubare il mestiere al collega
Gianmarco Perrone, eccoci qui
nuovamente di fronte ad un
remake fatto da decerebrati.
Seguendo infatti l’attuale filone
della spettacolarizzazione dei
grandi classici, gli autori della
ennesima
versione
cinematografica del romanzo di
Dumas hanno pensato bene di
far somigliare il loro film a un
videogioco (dal quale, peraltro,
la pellicola sembra riadattata al
pari del pur recente insuccesso
di “Prince of Persia”).
La nostra già nota storia inizia
dunque quando tre misteriosi
ninja-gentiluomini, che poi si
scoprono essere nientemeno
che
i
famigerati
tre
moschettieri Athos (Matthew
McFayden), Porthos (Ray
Stevenson) e Aramis (Luke
Evans), cercano di trafugare, in
una Venezia non dissimile da
quella di Ezio Auditore, un
manoscritto di Leonardo Da
Vinci su una mirabolante
macchina
da
guerra,
rimanendo prima traditi e poi
“fregati” rispettivamente da
Milady de Winter (Milla
Jovovich) e dal Duca di
Buckingham (Orlando Bloom)
che, secondo ogni logica non
dovrebbe avere nessuna parte
in quest’episodio di pura
fantasia. Intanto in Francia il
giovane e sfacciato D’Artagnan
(Logan Lerman- vedi "Percy
Jackson & gli dei dell’Olimpo"),
guascone
per
nascita
e
squattrinato per sorte, si mette
in viaggio con la benedizione
paterna per Parigi, dove intende diventare moschettiere;
durante il viaggio lo spadaccino si scontra però con il
Conte di Rochefort (Madds Mikkelsen), uomo del
Cardinale Richelieu dal quale riceve una pallottola e a
cui giura vendetta. Tornati nel frattempo a Parigi con la
coda fra le gambe, i tre moschettieri incontrano
singolarmente il giovanotto che, offendendoli in vari
modi mentre insegue Rochefort, ne viene sfidato a
duello. I quattro si riappacificano quando, interrotti
durante l’illegale duello dalle guardie del cardinale, sono
costretti a pararsi le spalle a vicenda per sconfiggere gli
intrusi. Durante lo scontro D’Artagnan incontra la
graziosa Constance (pallida copia della Madame
Bonacieux di Dumas, interpretata da Gabriella Wilde)
dama della regina, quindi viene trascinato dai nuovi
compari prima nel loro alloggio, quindi a corte, ove un
timido Luigi XIV (Freddie Fox) invece di punirli per
l’infrazione, li strapaga per compiacere l’altera Anna
D’Austria (Juno Temple). Dal canto suo il malvagio e
potente Cardinale Richelieu decide di giocare sulla
gelosia del re per scatenare una guerra con l’Inghilterra
(per un non meglio precisato fine personale), facendo
credere al monarca che ci sia una relazione tra la
consorte e l’elegantissimo Duca di Buckingham, che
intanto si è presentato in visita ufficiale con
un’aereonave, frutto della messa in pratica dei disegni
del nostro Leo Da Vinci. Da
qui in poi la storia deraglia
completamente
dall’originaria trama del
Dumas e dalla precedente
versione
del
grande
schermo
(che
personalmente preferisco,
con Jeremy Irons e John
Malkovich), mostrandoci i
quattro agenti del Re
impegnati nel recupero,
entro tre giorni, di un
collier
di
diamanti
appartenente alla regina e
nascosta da Richelieu presso
la Torre di Londra. I nostri,
anzi, i loro, data la mia
avversione per il film,
dunque elaborano un piano
con cui riescono ad eludere
la
sorveglianza
di
Buckingham (che pensa gli
vogliano sottrarre la nuova
macchina da guerra), a
rubare all’inglese la detta
arma e a catturare Milady
de Winter e i diamanti
francesi che costei porta con
sé. Durante il viaggio di
ritorno però, i moschettieri
si imbattono in Rochefort
alla guida di un’improbabile
versione
ampliata
dell’aereonave. Dopo uno
spettacolare quanto poco
realistico
combattimento
aereo che vede i due vascelli
schiantarsi su Notre Dame
De Paris durante il quale
muore l’agente di Richelieu,
gli eroi tornano, laceri e
bruciacchiati, a corte con
l’ambita collana e, dopo aver
placato i sospetti del
regnante
sulla
moglie,
rifiutano una più che
generosa
offerta
del
cardinale
e
tornano,
baldanzosi, alla loro vita di
Novembre/Dicembre 2011
gozzoviglie in nome del re. Il film,
anzi, la parodia, si conclude infine con
la partenza di un furioso Buckingham
verso il Continente con un’intera
flotta di vascelli da guerra.
Arrivati a questo punto, dopo vari
sghignazzamenti e apprezzamenti
poco lusinghieri sul film, possiamo
trarre noi stessi le conclusioni su
questo dubbio capolavoro del regista
Paul Anderson: “bella Americanata”.
Sorvolando
infatti
sull’assoluta
L
a maggior parte degli uomini è come
una foglia secca, che si libra nell'aria
e scende ondeggiando al suolo. Ma
altri, pochi, sono come le stelle fisse, che
vanno per un loro corso preciso, e non c'è
vento che li tocchi, hanno in se stessi la loro legge e il loro cammino.
Siddharta è uno di loro. Siddharta si pone
domande, cerca risposte, indaga, interroga.
Percorre le vie dell’assoluta povertà e
quelle del lusso sfrenato; abbraccia l’ascetismo puro e si lascia abbracciare dall’amore
sensuale; si ritira nella solitudine e gioisce
nella compagnia. È un uomo inquieto,
dall’animo tormentato, assalito da dubbi ed
alla continua ricerca di una certezza, di un
tutto, di una verità; vuole vivere sino in
fondo la sua vita, attraversando tutte le
esperienze possibili, immergendosi nel misticismo, nell’amore e nella riflessione filosofica. Punto di riferimento per adulti e
ragazzi, Herman Hesse, con questo breve
racconto, narra la storia di un uomo che
non ha voluto abbandonarsi dolcemente al
proprio destino, ma che, anzi, con forza di
volontà e spirito indagatore, ha preso in
mano le redini della propria vita, si è posto
degli obiettivi ed ha raggiunto il suo traguardo.
All’inizio del libro il giovane indiano, in
compagnia del suo fedele amico Govinda,
decide di seguire i Samana, pensatori che
vivono di continui digiuni, contemplando
una vita di purificazioni e rinunce; ma dopo aver vissuto del tempo con loro,
comprende che questa non è la via giusta in
grado di condurlo all’appagamento desiderato, alla beatitudine tanto ambita. I due
amici decidono quindi di incontrare Budd-
11
mancanza di realismo storico della
pellicola, è evidente per chiunque
abbia appena sfogliato l’opera di
Dumas,
che
le
licenze
cinematografiche del nuovo “I Tre
Moschettieri” sono veramente troppe,
a partire dal colore del cavallo di
D’Artagnan (pezzato, quando invece il
libro lo definisce “giallognolo”),
passando per la trasformazione di
un’epopea personale di quattro soldati
seicenteschi quale era il volume
Anno V - Numero 2
originale
nella
missione
internazionale di quattro agenti
segreti tra i quali non avrebbe
sfigurato Sean Connery nei panni di
007, per finire con il totale
rovesciamento
dei
ruoli
dei
personaggi originali e l’aggiunta di
alcuni
in
origine
inesistenti
(Constance e il capitano delle guardie
del
cardinale,
per
esempio).
Insomma, una buffonata, ma fatta per
stupire.
Siddharta
ha, un uomo liberatosi dal ciclo delle
reincarnazioni, che girovaga per il Paese
predicando il suo messaggio. L’incontro
è molto toccante, ma, mentre Govinda
decide di abbracciare la sua fede, Siddharta è ancora afflitto da dubbi ed
incertezze e preferisce proseguire da solo per la sua strada. Inizia quindi un periodo della sua vita, dove cede a tutte
quelle debolezze umane, che aveva
tanto evitato e disprezzato sino ad allora: si innamora infatti della bella prostituta Kamala, con la quale intrattiene
un’intensa relazione amorosa, si dedica
al commercio, diventa ricco e vive di
agi e comodità. Passati due anni, colto
da un profondo senso di angoscia e
pentimento, decide di fuggire e, trovatosi sulle rive di un fiume, pensa al
suicidio come estrema forma di purificazione. Ma il fato vuole che proprio
in quel momento, un monaco, passando di lì, lo veda e lo fermi, convinto
di star semplicemente salvando uno
sconosciuto. Si tratta invece di Govinda e quando i due si riconoscono,
un piacevole senso di conforto li
pervade. Dopo questo emozionante
incontro Siddharta decide di continuare nella sua ricerca e proprio in quel
fiume, dove voleva gettarsi, ponendo
fine alla sua vita, trova la felicità.
Incontra, infatti, Vasudeva, un povero
barcaiolo che attraverso le parole, i silenzi e la sua sconfinata profondità
d’animo, lo illumina sul senso della vita, lo aiuta e lo sostiene. Hesse in queste
righe
vuole
trasmettere
l’importanza della conoscenza, sia
quella esteriore, sia quella interiore, il
valore delle esperienze, sia positive che
negative e la necessità della voglia di
ricerca, di riflessione, di comprensione. Questi sono gli elementi che
arricchiscono l’uomo, che fanno la
differenza tra una stella e una foglia.
Ancora una volta lo scrittore tedesco
dà vita ad una storia capace di essere
uno spunto di riflessione e una fonte
d’insegnamento per i lettori. Ovvio,
per quei lettori che, riposto il libro
sullo scaffale, manterranno le sue
parole impresse nella mente ed il loro
significato scolpito nel cuore.
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Ritorno alla Terra Nera
Venerdì 28 Ottobre 2011 alle ore 10.00 presso la Sala del Tricolore, a Reggio Emilia, si è tenuta la premiazione del
Concorso "Un Mondo a Colori" e la presentazione dell'omonimo libro che raccoglie i migliori elaborati selezionati:
erano presenti il Sindaco della città, una rappresentanza della Camera dei Deputati, e personalità del mondo della
politica e della cultura. Ma soprattutto erano presenti decine di ragazzi provenienti da tutta Italia in rappresentanza
delle oltre 2.900 scuole superiori che hanno partecipato al concorso e degli oltre 960.000 studenti coinvolti. All’alunna
CECILIA LUGI vincitrice della sezione “elaborati scritti”con il racconto Ritorno alla Terra era, è stata consegnata la
Medaglia del Presidente della Repubblica Giorgio apolitano, quale suo personale riconoscimento. Alla chiar.ma
prof.ssa ROSALBA CALCAG O, referente del concorso per il Liceo“Pilo Albertelli, è stata consegnata la targa che
premia l’istituto. La manifestazione si è tenuta nella sala dov'è nata la nostra bandiera (chiamata appunto Sala del
Tricolore), in omaggio alla ricorrenza del 150° anniversario dell'Unità d'Italia. Durante la cerimonia è stata lanciata
l'edizione 2012 del Concorso realizzato in collaborazione con i Ministeri della Pubblica Istruzione e degli Esteri (vi
possono infatti partecipare anche i ragazzi che nel mondo frequentano i nostri Istituti Italiani di Cultura). Per
informazioni consultare il sito www.progettodialogo.it
N
I
on cammino più, costretto a letto
da una settimana. Non mangio,
non bevo da due giorni. E neppure parlo, non ne ho la forza, non ne ho la
voglia. E se anche ne avessi, non mi capirebbe nessuno.
La signora vestita di bianco oggi è venuta
ben tre volte ad accertarsi che non mi fossi
staccato di nuovo dal braccio quel lungo
verme di plastica trasparente che continua
a somministrarmi goccioline di cibo…
Poi se ne va, poi torna, nuovamente,
accompagnata da due figure vestite di
verde; non capisco i suoni incomprensibibili che emettono mentre si arrovellano per
cercare di interpretare un foglio che la signora paffuta e bianca compila ogni giorno
dopo avermi ispezionato da cima a fondo.
Sono tutti presi dalle spiegazioni della
donnona bianca, i signori verdi, ma non si
accorgono che sono ben due giorni che
non riesco a muovere le gambe troppo magre, e me ne sto qui, su questo letto giallastro e sudaticcio, ancora impregnato
dell’odore di mamma.
Mamma… me l’hanno portata via loro, i signori verdi con la mascherina e i guanti
bianchi, viscidi e appicicosi. Tre notti fa,
nel buio della notte silenziosa.
Sono mostruosi quando mi puntano una
luce insopportabile sugli occhi, ma sanno
essere ancora più disgustosi quando mi costringono a ingerire una manciata di sas-
setti colorati, tondi, allungati, insapori, e che non vanno mai giù fino alla
fine. Di solito mi dibatto, oppongo
una dura resistenza, mordo, addirittura, e loro, ostinati, mi immobilizzano; quelle mani rivoltanti mi
entrano in gola come tentacoli.
Ci riprovano ora, cerco di divincolarmi, vincono loro, ma questa volta
mi arrendo sul serio. Non mi rimane
che accettare la sconfitta e accogliere
quelli che mamma chiama sempre i
sassetti della terra: lei crede davvero
che con questi sassolini si ristabilisca
il nostro equilibrio con la Madre di
tutti, la nostra terra nera. Lei ci crede.
E mi ha assicurato che queste pietruzze mi faranno guarire, che i dolori alla pancia, alla testa, alle gambe,
la tosse sanguinolenta, i continui conati di vomito cesseranno di manifestarsi, prima o poi. Per un poco le ho
creduto, ma perchè dovrei continuare a farlo, proprio ora che se n’è
andata, proprio ora che me l’hanno
portata via?
Continuo a non prestare attenzione
a quei tre signori incamiciati che
attendono una mia reazione, una
parola, pretendono uno sguardo. E
non l’avranno fin quando non mi
avranno ricondotto mia madre. I
miei occhi sono solo per lei, e per la
mia
triste
compagna
di
stanza,‘Ntumba, che in xitsonga, la
mia lingua, vuol dire Spuma. A essere sincero non sono sicuro che si
chiami così, ma i suoi occhioni blu
mi ricordano le onde increspate del
Novembre/Dicembre 2011
mare nei racconti di mia madre. E lei, Spuma, è un po’ come me: nessuno la capisce, ma
lei sa comprendere me, non mi
analizza, non mi tormenta, non
mi scruta ossessivamente come
fannno quei mostri dalle mani
bianche; lei se ne sta placidamente nel suo letto, silenziosa,
ogni tanto biascica qualcosa nel
sonno, ma è un’ottima compagna di stanza. Da quando sono
in questo paese, ne ho avuti
parecchi di coinquilini sconosciuti, nessuno più discreto di
lei, nessuno migliore.
È bella Spuma. Era bella. Sarebbe bella se i suoi occhi non
fossero così acquosi e spenti;
nessuno la viene mai a trovare,
nessuno. Nemmeno io ricevo
mai una visita dai miei amici,
dai miei cugini, dai miei fratelli
e sorelle: loro sono a casa,
lontani, a seminare piantine al
sole, a rotolarsi nella terra secca
e a masticare radici. Io sono
ospite in casa straniera, non ho
nessuno qui, se non la mia
mamma. Spuma, invece, è sola,
e non sembra darsene molto
pensiero, per questo mi piace.
La guardo addormentarsi e svegliarsi, e addormentarsi e svegliarsi ancora. Fa così da quasi
tre giorni: è più stanca del solito, più assente, meno pronta a
opporsi alla dura legge dei sassolini variopinti. Li prende
anche lei, tre volte al giorno,
come me, solo che diversamente da me, il lungo verme
trasparente con le goccioline di
cibo lei ce l’ha infilato nel piede! Ha tutte le braccia bucate,
poverina: lì il tubo infernale
non entrava più…
II
Spuma stanotte è rimasta a
scrutare il soffitto, immobile;
l’ho osservata per qualche ora,
ho pensato, ho sonnecchiato
per un po’, ho sognato il mare e
13
l’oceano dei suoi occhi spenti, credo. Spuma adesso
non c’è nella stanza, se ne sarà andata anche lei?
I signori in verde sono venuti come al solito a darmi
la mia razione di sassetti magici: stessa ora, stessi
guanti biancastri e appiccicosi; ma loro non sono gli
stessi, sembrano agitati, distratti, si dimenticano di
lavarmi, di analizzarmi e provare a comunicare, non
ne hanno il tempo a quanto pare. Neppure io sono lo
stesso di ieri, sento freddo, ho i brividi, e a giudicare
dalle loro facce, devono essersi accorti che non
dormo da quattro giorni; e ora che guardo meglio,
mi accorgo che anche la stanza in cui mi trovo non è
la stessa di ieri: devono avermi preso e spostato loro,
a tradimento! Che mi stiano portando da mia madre?
Non ho il tempo di chiedermelo, che mi agguantano
e mi infilano in un enorme tubo cilindrico bianco.
Senza il pigiama a pois azzurri, nudo come un
vermiciattolo nero e lucido, sembro un insetto in un
contenitor
e gigantesco; passano i secondi, i minuti, le ore: qui
non mi rendo conto del tempo che passa; perlomeno
prima erano i sassolini colorati a scandire le mie
lunghe giornate; mi arrendo di nuovo, cedo alla
stanchezza, alle fitte, alla spossatezza.
III
Mi risveglio e Spuma è di nuovo accanto a me, mi
osserva, come non aveva mai fatto, seduta sulla coperta spiegazzata del mio letto; sta accovacciata, si
mordicchia compulsivamente le pellicine del pollice,
Anno V - Numero 2
mi guarda con gli occhi spalancati. Le hanno staccato il
“vermone” per permetterle di
avvicinarsi, credo. Il tubo
l’hanno tolto anche a me, o
meglio quello con le goccioline
di cibo. Al posto di quell’arnese
doloroso mi hanno impiantato
un altro tubo: questo fa addirittura rumore, un ticchettio
insopportabile ogni due, tre,
quattro secondi.
Alle spalle di Spuma tre signori
vestiti di bianco, altri due con
la camiciona verde, la mascherina e gli inconfondibili guanti
bianchi si lanciano sguardi
furtivi e ostentano una compostezza affettata e artificosa:
adulti noiosi, non hanno ancora
imparato che sappiamo leggere
le loro paure. Infantili.
Il ronzio ripetitivo del macchinario attaccato al tubo rallenta,
finalmente, le gambe smettono
di tremare, non le sento più. Il
malessere alla pancia persiste, il
bruciore agli occhi e il mal di
testa
non
cessano
di
tormentarmi. Mi chiedo quanti
sassetti colorati dovrò ancora
ingoiare, quanto tempo dovrò
ancora sopportare questa tortura prima di rivedere la mia
mamma; gli occhi di Spuma mi
dicono: “Poco, molto poco…”.
Il mio cuoricino conferma.
La vorrei raggiungere in questo
momento, e portare con me
anche Spuma. Mamma ne sarebbe felice: un’altra sorella
verrebbe accolta nella nostra
casa, nel villaggio ai margini
della boscaglia, un’altra figlia
che torna alla terra nera; e
anche se lei sa di appartenerle,
quella è la terra che ci ha generato tutti, la dimora a cui
dobbiamo far ritorno. Sono
certo che lì i suoi occhi riprenderebbero a brillare. Ora
stanno luccicando. Mi sta dicendo addio. Mamma, sto arrivando.
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14
Anno V - Numero 2
Manifestazioni
F
ma,
atti scabrosi, commenti dei neodisoccupati e considerazioni
personali.
Ro26
novembre
2011
Una delle prime cose che l’essere umano impara dal nostro sistema sociale è
che una minoranza della popolazione,
che potremmo additare come una casta privilegiata, detiene la maggior
parte delle ricchezze e del potere,
mentre la parte più numerosa della
popolazione, appartenente al ceto medio-basso, spesso stenta ad arrivare alla
fine del mese a causa dell’esiguo stipendio che percepisce. E’ più che noto
ormai che nell’ultimo ventennio o più
della storia italiana questa “casta dirigente” ha divorato e sprecato le
ricchezze a disposizione dello Stato
per arricchirsi, per elargire favori o per
altri interessi personali. Questa situazione continua a peggiorare di giorno
in giorno ma oggi siamo animati da
una nuova speranza: Monti e il suo governo tecnico ci aiuteranno ad uscire
dalla crisi e saremo presto salvi. In
questi giorni di grande agitazione vedo
tanta gente ardente di spirito patriottico esultare per la vittoria inferta al
berlusconismo, contenta e soddisfatta
del nuovo governo.
Non sembra, però, che siano stati
contagiati dalla stessa esultanza e fiducia nelle istituzioni gli 886 lavoratori
del settore dei “treni notte” di Trenitalia che l’11 dicembre si ritroveranno
senza lavoro e senza soldi e che al momento stanno protestando con striscioni e volantini all’interno degli
uffici della stazione Termini, proprio a
due passi dal nostro liceo. Intervistando alcuni degli attivisti di questa
protesta (nonché vittime del taglio dei
fondi al servizio notturno delle ferrovie dello Stato), è emersa una situazione a dir poco sconcertante. A quanto
pare, è in corso, come regolarmente
succede, la gara d’appalto per l’affidamento, alle aziende private, dei servizi
per i clienti sulle corse notturne di Trenitalia (frequentatissime specie per
viaggiatori diretti al sud ma anche a
Parigi e in altre città europee). Fino ad
ora per interi decenni molte imprese
private, candidate per questo appalto,
sono andate avanti grazie ai contratti stipulati con Trenitalia, come la R.S.I., la
Servirail Wagons-Lits o la Wasteels
International Italia: si sono occupate dei
letti nelle cuccette, della ristorazione e
degli altri servizi. Oggi l’amministrazione di Trenitalia detenuta da Mauro Moretti, visto il taglio dei fondi per il
servizio pubblico da parte dello Stato, ha
deciso di non rinnovare i contratti alle
imprese sopraccitate facendo perdere il
lavoro a tante persone. Una decisione
obbligata, diremmo, dato che mancano i
fondi, se non fosse per il fatto che siamo
tutti a conoscenza degli ingenti finanziamenti destinati all’alta velocità. Proprio
in questi giorni il signor Moretti ha
pubblicizzato le opere di modernizzazione effettuate sulle corse Eurostar, che
sono di gran lunga più costose e lussuose
delle corse normali, recentemente decimate e dalle quali, non a caso, si ricava
una maggiore fetta di profitti. Diamo
un’occhiata al lavoro di Moretti per
capire meglio l’abissale dislivello sociale
che si sta creando.
Dal Corriere della Sera (innovazioni
Alta Velocità)
“I 573 posti sono stati «riplasmati» in
quattro nuovissime classi. Pardon, «livelli», come li ha battezzati l'amministratore delegato di Ferrovie dello Stato,
Mauro Moretti, che ieri (pochi giorni fa
dalla data di oggi 26 novembre 2011) ne
ha fatto una presentazione a Napoli,
nell'enorme impianto in cui il treno ha
subito il restyling da 500 milioni, un
investimento enorme, […]. Nella classe
Premium i sedili diventano di pelle,
spuntano i divisori in cristallo e si ha diritto a una bevanda e all'accesso alla
carrozza ristorante da 30 posti. […]Ma il
massimo del lusso si tocca negli otto posti dell'executive, dal costo fisso di 200
euro. Poltrone larghe, reclinabili fino a
138 gradi, con poggiagambe, ampie
distanze tra i posti. Un salottino da sei
posti, dove tenere le riunioni anche in
videoconferenza con monitor a 32 pollici.
Da una parte troviamo abbandonati a se
stessi centinaia di dipendenti, ora
disoccupati, e tanti viaggiatori che non
potranno più sfruttare la convenienza
delle corse normali (specialmente le
notturne per evitare ai cittadini di pagare alberghi e ostelli per fermarsi a
dormire), dall’altra la solita “casta dirigente” di cui fa parte il caro amministratore Moretti, interessato ai grandi
guadagni dell’Alta Velocità più che agli
Novembre/Dicembre 2011
interessi dei passeggeri per i quali egli
(non) compie un servizio. In altre parole la parte del settore ferroviario più alla
portata del ceto medio-basso viene
abbandonata a se stessa e al disfacimento, compreso anche il servizio regionale del Lazio che prende sempre di
più le sembianze del trasporto delle
merci e del bestiame, della cui situazione potremmo fornire centinaia di testimonianze di molti studenti del Pilo
Albertelli. Molti studenti del nostro liceo sanno per esperienza personale che
la mattina sui treni regionali si rischia
di non trovare posto, di viaggiare come
pecore ammassate nella stessa carrozza,
in piedi per ore, tutto questo se il treno
non viene soppresso, non è in ritardo o
per guasti vari non si ferma prima della
destinazione stabilita. Di fronte a questa disperata situazione in cui vessano i
viaggiatori che non vogliono spendere
una fortuna per raggiungere le proprie
mete o che non hanno a disposizione
l’Alta Velocità perché viaggiano su
tratte brevi, come i nostri studenti, si
aggiunge l’enorme disagio economico e
psicologico che stanno affrontando i dipendenti appena licenziati. Chiedo loro
di raccontarmi come stanno vivendo la
miserabile condizione in cui Trenitalia
li ha ridotti e come la pensano:
“ In questo difficile momento soffro di
insonnia, la tensione e la preoccupazione invadono la mia vita, specialmente
se penso che è quasi impossibile per
molti di noi che hanno un’età fra i 40 e
i 50 anni trovare un altro lavoro, non ci
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Anno V - Numero 2
saranno costretti a pagare cifre
esorbitanti per treni extralusso, molto
probabilmente moltissime persone
non potranno neanche permetterseli.”
assumerebbe nessuno. Oltretutto la maggior
parte di noi ha delle famiglie con figli a carico e ci chiediamo cosa mangeranno, come
li vestiremo, saremo ancora in grado di garantirci un tetto in futuro?”
“Moretti vuole essere ricordato in futuro per gli introiti in più che percepisce Trenitalia grazie all’Alta
Velocità alla quale sta fornendo tutti i
fondi di cui dispone, mandando sul
lastrico centinaia di famiglie. E’
scandaloso, oltretutto, che il servizio
sui treni notturni, per le poche corse
rimaste dopo il taglio, sia stato affidato, non a caso, alla CAMS (sì proprio
l’azienda
della
moglie
dell’amministratore Mauro Moretti)”
“Moretti passa il tempo a fare propaganda ai nuovi servizi sui treni di lusso, finanziati con i soldi che dovevano
servire per aiutarci a mantenere il lavoro, è una vergogna. Non so che farò
per continuare a mantenermi.”
“ Il cittadino che percepisce un reddito che
a mala pena basta al suo sostentamento non
dovrebbe essere caricato di tutte le spese
della crisi; la classe più ricca che per decenni ha varcato la soglia della legalità, divorando avidamente le ricchezze destinate
“Probabilmente questo è solo l’inizio
a tutti i cittadini, deve pagare per aiutarci.”
di una serie di licenziamenti dovuto
“ La media e la piccola borghesia stanno di- al taglio dei fondi per il servizio
ventando proletariato e la casta dei ricchi pubblico, invece di penalizzare il
non fa che arricchirsi ancora di più a nostro ricco privato a beneficio di tutta la
nazione. Marx diceva che ciclicadiscapito”
mente il sistema capitalista subisce
“ Penso a tutti quegli anziani che grazie al delle crisi dovute proprio a situazioni
nostro aiuto trovavano il treno giusto o ve- come questa. Fate in modo che la
nivano aiutati con i bagagli o a cui offriva- maggior parte della popolazione non
mo servizi utilissimi durante le corse abbia di che mangiare, chi vi
notturne, senza essere costretti a spendere aspettate che compra i vostri costosistutta la pensione; penso a tutti coloro che simi biglietti? Non fate che peggiorare la crisi economica.”
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Anno V - Numero 2
La Libreria del Cinema
G
irovagando fra i vicoli di
Trastevere, contornati da
splendidi palazzetti antichi,
ci si imbatte nella Libreria Del Cinema, situata in Via dei Fienaroli, adiacente a Viale Trastevere. Mi
incontro con il responsabile, Massimo, conosciuto a luglio, durante le
riprese dell'ultimo film di Giuseppe
Piccioni, al quale ho avuto la fortuna
di poter partecipare insieme ad altri
studenti dell'Albertelli; lui era assistente alla regia. Ci sistemiamo alla
cassa, circondati da scaffali colmi di
dvd, cd con le colonne sonore più
famose, libri su film, registi, musicisti e tutto quello che può essere
collegato al cinema. Da dove siamo
seduti vediamo l'angolo bar-relax, in
cui si sono accomodate alcune persone dall'aria intellettuale. Faccio
qualche domanda a Massimo, appassionato dei film italiani e americani
degli anni '50-'60, e mi dice che la
libreria viene fondata nel 2004 nel
luogo in cui risiedeva la Libreria
Delle Donne (un po' un'istituzione
per quanto riguardava le proposte
culturali e i libri) da un gruppo di sei
persone appassionate di cinema, tra
cui spicca proprio il nome del regista
che ho conosciuto qualche mese fa.
Piccioni, infatti, passando qui davanti, aveva visto il cartello “vendesi” e, parlandone con altri suoi amici
e futuri soci, aveva pensato a come
partorire un'idea di libreria che fosse
anche un centro dove programmare
incontri, divulgare un certo tipo di
cinema (quello d'autore) e far
confrontare coloro che non hanno
accesso alle produzioni cinematografiche con coloro che già appartenevano a
quel mondo. Perciò lo scopo primario
era di creare un tramite fra cinefili e
professionisti.
Poi chiedo a Massimo se, essendo un
luogo culturale di rilevante importanza,
ci sono stati aiuti economici dallo Stato:
mi risponde che la libreria è una s.r.l. e
quindi si mantiene in piedi con le proprie forze. Aggiunge però che vengono
messi a disposizione (dal Ministero dei
Beni e Attività Culturali) dei budget che
sostengono alcune iniziative, e la stessa
libreria ha avuto accesso ad essi per finanziare eventi come la “Scuola Serale
di Cinema”, ovvero una serie di incontri
sui mestieri, appunto, del cinema. Spara
alcuni tra i nomi più pregiati del nostro
Paese: Elio Germano per la recitazione,
Luca Bigazzi per la fotografia e Carlo
Verdone, venuto però a parlare della
musica nei film. La nostra chiacchierata
si interrompe perché entra nel negozio
una donna, anziana, capelli bianchi e
lunghi, un po' stravagante. Stento a riconoscerla ma comunque ha un viso familiare: si tratta di Anna Orso, dice
Massimo, attrice che all'epoca lavorò
con Marco Bellocchio e che è stata la
madre di Verdone nel primo “Manuale
d'Amore”.
Riprendiamo a parlare. Mi fa presente
che tra il 2005 e il 2006 si sono svolti
dei corsi di sceneggiatura (tenuto da
Gualtiero Rosella), di produzione (tenuto da Domenico Procacci, ai tempi uno
dei soci), di montaggio (tenuto da
Esmeralda Calabria) e di regia (tenuto
da Giuseppe Piccioni). Quest'ultimo
causa la seconda e assolutamente
piacevole interruzione. E' appena
entrato in libreria e non posso far
finta di niente. Ci salutiamo ma poi
lui ha una riunione, non può trattenersi a lungo. Ritorno dall'intervistato, ormai non lo lascio scappare.
Mi continua a parlare dei vari eventi
che qui hanno avuto luogo: uno mi
interessa in maniera particolare. Si
chiamava “Trastevere”. Si trattava di
una piccola, ma vera e propria manifestazione, in cui loro potevano
chiudere la strada, mettere un palco
al centro e far parlare vari personaggi noti con il pubblico.
Infine, gli rivolgo la domanda che
più di tutte mi preme fare: se hanno
mai pensato di avvicinare gli studenti alla libreria per diffondere il
sempre meno conosciuto cinema
d'autore.
Mi risponde che sarebbe una cosa
interessante e che comunque succede spesso che la libreria si confronti
con alcuni docenti. Aggiunge poi che
è capitato alcune volte di aiutare le
scuole a stilare filmografie in base a
determinati argomenti (per esempio
storia o quel pochissimo che è rimasto dell'educazione civica, perlopiù
nell'orario extrascolastico). Dice però un'altra cosa che mi fa pensare: la
scuola in primis dovrebbe avvicinare
i ragazzi, attraverso corsi di alfabetizzazione o semplici approfondimenti. Ci rifletto ma capisco che è
una cosa impossibile date le catastrofiche condizioni attuali. Peccato. Sarebbe una bellissima cosa.
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IRASSHAIMASE!- Benvenuti!
A
partire dal prossimo anno inizierà un nuovo corso di lingua e
cultura giapponese! Dopo la
bella esperienza dell’anno scorso, si è deciso non solo di continuare il corso per
quelli che già si sono avvicinati al mondo
nipponico, ma anche di iniziarne uno
nuovo per tutti coloro che avranno voglia di conoscere una lingua e una cultura
che, dal punto di vista di noi occidentali,
prendono il loro fascino dall'enorme
differenza che c'è con il nostro mondo. Il
corso si sviluppa in una ventina di lezioni
della durata di due ore, ognuna delle
quali si suddivide in una parte dedicata
allo studio della lingua e in un’altra volta
alla scoperta della cultura nipponica nei
suoi vari aspetti: letteratura, arte, usanze
e tradizioni. Il nostro e vostro futuro
sensei è Diego Cucinelli, docente della
Sapienza, che vi guiderà attraverso il
mondo giapponese con lezioni originali
che si svolgeranno nella nostra "aula
Mac", l’aula multimediale, seduti nelle
postazioni computer, davanti alla parete
su cui il prof proietterà la sua lezione. Il
mondo giapponese è totalmente differente dal nostro. La lingua è piuttosto
complessa, proprio perché la differenza
con l’italiano è enorme, innanzi tutto per
quanto riguarda il sistema di scrittura. Ci sono infatti tre diversi tipi di scrittura: due alfabeti fonetici (si chiamano hiragana e
katakana) e un sistema di ideogrammi (chiamati kanji). Ogni alfabeto fonetico ha
simboli che equivalgono a sillabe; le sillabe
sono le stesse per i due alfabeti, ma si utilizza uno stile diverso a seconda che la parola da scrivere sia di origine giapponese
(hiragana), o di origine straniera (katakana).
Ogni kanji invece equivale a una parola unica e ha una sua pronuncia, che può anche
essere di più sillabe. Ma un sistema di
scrittura così diverso dal nostro e apparentemente molto complesso non deve spaventare: infatti, una volta imparati i due alfabeti
fonetici e dopo averci preso la mano, le cose
si semplificheranno molto, anche perché il
resto della lingua non è proibitivo. Infatti ad
esempio i nomi non hanno plurale e i verbi
non hanno persona (una stessa forma equivale per io, tu, essi...). Alcune strutture possono sembrare difficili da comprendere, ma
è tutta questione di pratica. Durante ogni
lezione, poi, si impareranno un certo numero di ideogrammi. Tutto questo porterà, alla
fine del corso, a possedere la conoscenza
della lingua valida per la prima certificazio-
ne giapponese (N5). In più verrà
anche consegnato un attestato firmato
dal sensei. Per quanto riguarda la
cultura, questa è talmente diversa
dalla nostra che è davvero divertente
venire a conoscenza di certe usanze
particolari o leggere fiabe, racconti e
parlare di romanzi (vi assicuro che
durante la lettura delle fiabe non
mancheranno le risate!). Verso la fine
del corso, è anche prevista una lezione
particolare: imparare a scrivere con il
pennello e l’inchiostro su carta
giapponese! A fine anno si andrà tutti
insieme a pranzare in un ristorante
giapponese, per assaggiare le specialità
di quel popolo di cui si è studiato per
un anno. Inoltre, l’anno scorso già si
stava organizzando un viaggio in
Giappone, previsto per questo ottobre,
quando la catastrofe del terremoto e,
soprattutto, l’esplosione del reattore a
Fukushima hanno rimandato il tutto.
Questo corso è certamente un'occasione irripetibile. E’ davvero una gran
fortuna per la nostra scuola poter
ospitare un corso del genere, retto da
un docente universitario. Quindi
accorrete numerosi, di sicuro non ve
ne pentirete.
Scialla! (stai sereno)
V
incitore della sezione "Controcampo italiano" a Venezia 68 e
forte di un notevole consenso di
critica e pubblico arriva nei cinema
"Scialla! (Stai sereno)", prima esperienza
da regista Francesco Bruni che centra in
pieno l'obbiettivo di creare una commedia senza ricadere nel banale e nel volgare
gratuito che ormai da tempo accompagna
la commedia all'italiana. A giudicare dalla
trama e dall'idea di base infatti potrebbe
proporsi come una trama già vista, la storia di un adolescente problematico e il
rapporto con la scuola, le amicizie e i genitori. Niente di nuovo sotto il sole quindi?
No, perchè Bruni riesce a creare un film
piacevole e che non manca di scene divertenti riuscendo però ad analizzare con
leggerezza anche tematiche più consistenti. "Scialla" è la storia di Luca (interpretato dal giovane Filippo Scicchitano che
riesce a esprimere una vasta gamma di
emozioni adolescenziali con grande naturalezza), un quindicenne romano "intelligente ma che non si applica" che sfoga su
un sacco da boxe la sua rabbia e la sua frustrazione per un mondo in cui fatica a trovare una direzione da seguire. Luca cerca
di vivere al meglio la sua vita e cerca il rispetto dei suoi coetanei ma soffre la
mancanza di una guida, e per questo si
caccia spesso nei guai. Quando la madre
parte per sei mesi decide di affidarlo alle
cure di Bruno (Fabrizio Bentivoglio), svogliato professore di lettere del liceo che ha
ormai perso ogni stimolo e tira avanti
dando ripetizioni private e scrivendo "i libri degli altri", biografie di personaggi
della televisione e calciatori. In questa
occasione Bruno apprende di essere il padre di Luca e accetta di prendersi cura di
lui. La convivenza tra il ragazzo ribelle e
il professore malinconico non sarà di
certo facile ma gioverà e insegnerà
qualcosa a entrambi. Forte di un ottimo
cast, che riesce ad immedesimarsi
perfettamente nei ruoli assegnatogli
(Bentivoglio la conferma, Scicchitano la
sorpresa), di una buona sceneggiatura e di
una colonna sonora realizzata dal rapper
capitolino Amir che si integra perfettamente nel film, "Scialla" è dunque un film
che riesce a farci ridere ma che ci tiene
sempre con il cervello impegnato.
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Scatti da matti!
Anno V - Numero 2
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Anno V - Numero 2
la posta del pilo
M&E (e P :P) al
National Geographic!
Foglietta – Tommasini
– Madeo
TROVA L’INTRUSO
Riccardo Mataloni hai
diverse/i
ammiratrici/ori.
ATTENTO
PP, censurame sta fava!
Mataloni, c’è poco da
dire… sei un gran figo.
All you need is love,
love… Love is all you
need!
Diamoci al Thai-chi
S. abbassa le penne e
non te la sentì troppo
matta!
Troppa gente a caso su
un piano a caso…
Se pareba boves, sed
mucche erant.
(L’amanuense
mascherato)
Scalise forever!
Mataloni, ci siamo
innamorate del tuo
cappellino! C.
Caro Rocco, ma quando
ti concederai a
qualcuno/a?
D’Emilio, ti imbruttisco
ufficialmente su
Ondanomala U.U
Alquati, vatte a fumà la
salvia!
Damnatio memoriae
Vicoli Corti
Maxwell: “Tu chiedi il
vocabolario… IO
guardo!”
Spuuu, mi
mancheranno i tuoi
"eh? cosa? chi?" nel bel
mezzo di un discorso
avviato da ore... XD
guarisci presto, polla! <3
Tagliati quesi baffi!
Li peggio quartini
arrapati sulle foto delle
redattrici lesbo
W voce arrapante!
Coppie brutte, Ve
prego, NON
RIPRODUCETEVI!
Malusardi… chissà…
P.C.
Gion Calbott, da quann'
t'agg vist lu core mio
batt comm 'nu
trattore...
Di Renji :D
GianDomenico Madeo
Ti Amo. (Bimbetta
Avvelenata)
Una volpe bianca… o
c***o!
Raffa, c'hai la bocca da
b********a
Prisincul 'n'ett d'alìc...
olrait!
In libreria: "Scusi, ma è
uscito l'ultimo romanzo
della Tiburzi?"
Ondanomala cerca sponsor ed è
interessata a offrire spazi pubblicitari!
Sosteneteci anche voi!
Ricordatevi di mandare i
vostri lavori
alla nostra e-mail
On
O
nd
da
an
no
om
ma
all A
A WANTS YOU!
Direttrice:
Cecilia Lugi - III B
Vicedirettore:
Davide Galeotti - I A
Impaginazione e grafica:
Cecilia Lugi - III B
Salvatore Diocaro - I E
Fotografia:
Paola Guarneri - I E
Redazione:
Ilaria Catanzaro - II E
Giorgio Colletti - III F
Andreas Iacarella - III D
Adriano Mamone - V A
Gianmarco Perrone - III A
Claudia Severa - II E
Flavia Tiburzi - III B
Arianna Turchini - I E
Hanno collaborato:
Dario Amodio - V C
Filippo Besa - III D
Filippo Cicchetti - V E
Veronica Corbo - III E
Simone Marino - V C
Giulia Parenti - I B
Silvia Pellegrini - V E
Valeria Tiburzi - II C
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Ipse dixit
Prof. C.: "Per offendervi che vi devono dire, che siete mignotte?"
Prof.ssa T.: "State zitti che mi fa male la schiena!"
Prof. L.: "Ora facciamo l'appello e segnamo
i presenti e gli impresenti."
Prof.ssa R. : Dunque, cos’è lo Spirito nella Dialettica hegeliana?
Alunna: Beh… E’ il terzo passo della triade…
Prof.ssa (O.O): Passo? E che stiamo a lezione di danza?
Sudati Sudoku
Ipse dixit
Prof:"Ares e Afrodite avevano sovente maniera di "conversare"…
Quando Efesto li coglie con la rete, chiama subito tutti gli dei a
vedere quanto era cornuto… Cornuto e mazziato!
E.T.: "(…) nelle sue storie non dice: << quella è una mì o una pù. O
un puttaniè…>>
Prof: "Non usate il bianchetto! Non me lo fate vedere che ve lo faccio
ingoiare pure se è tossico!
Prof. (a un alunno): "Sei urticante! Sì esatto urticante, mi dai
prurito!
Prof: "Didone, che s'era innamorata subito di quel broccolo di
Enea...
Prof: "Schliemann non trovò la Troia
giusta... uhm non suona tanto bene"
:S
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Concorso fo
ffotografico
tografi
f co autogestito
anno scolastico 2011-2012
1
I Classificato:
Marta Patrelli I E (1)
II Classificati ex aequo:
da sinistra
Gloria Bellissimo (2)
Giulia Carletti III D (3)
III Classificato:
Lorenzo Spatocco II C (4)
Altri scatti:
Giulia Carletti III D (5)
Lorenzo Spatocco II C (6)
Marcello Pieri II B (7)
2
3
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n iia
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tàà:: ll iibbeerr aattee ll aa m
meen
nt
tee!!
Lezione di
letteratura Italiana
C
hiamò la sua prima opera Postuma e morì quasi
quarant'anni dopo. Si dilettava facendo lunghe gite
in bicicletta occultato dietro una maschera d'asino.
Il suo nome era Olindo Guerrini ma anche Argia Sbolenfi,
Lorenzo Stecchetti, Bepi e Marco Balossardi. Non credo lo
si possa trovare nei vostri libri di letteratura, neppure a
mettercela tutta. Socialista, anticlericale, scrisse versi giocosi e scanzonati... mai lo troverete! Eppure fu un letterato di
primo piano, non serioso, certo, ma non per questo meno
importante. Fu il volto ridanciano del Verismo italiano, che
non ebbe timore di sbeffeggiare vescovi e aristocratici.
Con le "Rime di Argia Sbolenfi" prestò la sua voce scherzosa per cantare i desideri erotici di una cuoca bolognese,
donna brutta ma tormentata da irrefrenabili istinti sessuali.
Di questa raccolta vi regaliamo qui appena una pillola,
quanto basta per ricordarsi che la letteratura italiana
dell'Ottocento non è stata solo Manzoni e Carducci.
Quando trovo qualcun che me la mena,
La mia capretta, a pascolar sul monte,
Tutta la sento di dolcezza piena
Guizzar pel gusto che le brilla in fronte:
E se poi qualchedun me la rimena,
Corro tosto a lavarla ad una fonte,
Indi l’asciugo e non è asciutta appena
Che a trastullarsi ancor le voglie ha pronte.
Sempre sana e piacente, al caldo e al gelo
Va intorno e cogli scherzi altrui diletta,
Tanto la tenni e l’educai con zelo.
Eccola quì che una carezza aspetta,
Fresca, pulita e non le pute il pelo.....
Dite, chi vuol baciar la mia capretta?
ERRATA CORRIGE:
L'articolo "Un amico inaspettato", comparso
nel numero di Settembre/Ottobre della rivista,
erroneamente attribuito a Nicoletta D'Aprile,
è opera di Adriano Mamone. Ci scusiamo con i
lettori dell'inconveniente.
La Redazione