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1. Un’introduzione un po’ letteraria ma efficace
Questa breve monografia tratta della Distribuzione, articolazione del
Marketing Mix alla quale vi ho introdotto nel manuale Marketing e
pianificazione pubblicitaria (da p.96 a p. 103).
Dobbiamo, ora, approfondire un po’ questo argomento perché il
cosiddetto “punto vendita” (da qui in poi PDV), è il luogo in cui vengono
messe alla prova non solo le teorie ma anche – e soprattutto – le fatiche
di uomini di marketing, pubblicitari, e designer grafici come voi nel
tentativo (non uso questo termine a caso) di catturare l’attenzione del
pubblico che lo frequenta.
Analizzare il comportamento d’acquisto dei clienti nelle superfici dei
PDV è da un lato fondamentale, perché se non si conosce come si
compra non si può proporre un’offerta adeguata anche in termini di
comunicazione visiva, dall’altro è materia affascinante perché ci offre
un aspetto del comportamento umano davvero singolare.
Per questo voglio proporvi un approccio allo studio del PDV, direi,
alternativo utilizzando alcune pittoresche descrizioni di due grandi
scrittori, Luciano Bianciardi e Italo Calvino, riguardo i primi
supermercati aperti in Italia al tempo del boom economico (anni ’50’60 del secolo scorso).
Il primo, Luciano Bianciardi, descrive in alcune pagine del suo
capolavoro, La vita agra (pubblicato nel 1962) le reazioni di un
professore d’inglese della provincia toscana, trapiantato a Milano, nei
confronti della più vistosa manifestazione del nascente consumismo: il
supermercato.
Calvino, invece, usa un tono di voce da fiaba contemporanea
nell’episodio “Marcovaldo al supermercato” (In Marcovaldo ovvero
le stagioni in città, edito nel 1963) nel quale lo stralunato protagonista,
un manovale non qualificato originario della campagna piemontese,
si fa coinvolgere un po’ troppo dall’ambiente di un supermarket molto
ben fornito.
Cominciamo con Bianciardi.
Il bottegone è una stanza enorme senza finestre, con le luci
giallastre sempre accese a illuminare le cataste di scatole colorate.
Dal soffitto cola una musica calcolata per l’effetto ipnotico, appesi
al muro ci sono specchi tondi ad angolazione variabile e uno
specialista, chiuso chissà dove, controlla che la gente si muova,
compri e non rubi.
Entrando, ti danno un carrettino di fil di ferro, che devi riempire
di merce, di prodotti. Vendono e comprano ogni cosa; gli emitori
hanno la pupilla dilatata, per via dei colori, della luce, della musica
calcolata, non battono più le palpebre, non ti vedono, a tratti ti
sbattono il carrettino sui lombi, e con gesti da macumbati raccattano
scatole dalle cataste e le lasciano cadere nell’apposito scomparto.
Nessuno dice una parola, tanto il discorso sarebbe coperto dalla
musica e dal continuo scaracchiare delle calcolatrici.
Il bancone giù in fondo è quello delle carni. Dietro c’è una
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squadra di macellai e macellaie che spartono terga di bove, le
affettano, le piazzano sul vassoino di cartone, le involgono nel
cellofan e poi richiudono con un saldatore elettrico. Davanti al
bancone sostano le donnette, ognuna ha in mano un vassoino di
carne e lo guarda senza vederlo, lo tasta, lo rimette al suo posto,
ne piglia un altro. La donnetta accanto a lei prende a sua volta il
vassoino scartato, lo guarda, lo tasta, lo rimette al posto suo, e
avanti. Nelle ore di punta il vassoino non fa nemmeno più in tempo
a ritornare sul bancone: appena visto e tastato, passa in mano a
un’altra donna, percorre tutta la fila delle donnette chine come
tanti polli a beccare in un pollaio modello. Poi ritorna indietro.
Sarebbe una grossa perdita di tempo, e di guadagno, ma ci
sono degli specialisti in borghese che, alle spalle delle donnette
ipnotizzate, provvedono di soppiatto a colmare fino al dovuto il
carretto in attesa, oppure a spostarlo, in modo che i più solerti,
sbagliandosi, stivino di merce anche il veicolo dei più tardivi, e tutti,
alla fine, abbiano comprato pressappoco la stessa roba, e nella
stessa quantità.
Continua la musica ipnotica e quando la gente è arrivata alla
cassa, ormai paga automaticamente tutto quel che si ritrova a
trascinare nel carretto. Gli emitori con automobile spesso prendono
due carretti a testa e non se ne vanno finché non li abbiano visti ben
pieni.
La fila delle cassiere è sempre attiva ai calcolatori, e le dita
saltabeccano di continuo sui tasti, come cavallette impazzite. In
testa hanno un berrettino azzurro col nome del bottegone, non
battono palpebra, fissano i numerini con le pupille dilatate, e ogni
giorno hanno il visino più smunto, le occhiaie più bluastre, il colorito
più terreo, il collo più vizzo, come tante tartarughette
Ci sono anche giovinastri neri e meridionali, con scatole e
appositi portacarichi, i quali trascinano fino alle auto la caterva
degli acquisti, dodici bottiglie di acqua gazzosa, dieci pacchetti di
gallettine, olive verdi col nocciolo e senza, gli assorbenti igienici
per la signora, perché tanto anche ‘sto mese ci sono stati attenti,
un osso di plastica per il barboncino, venti barattoli di pomodori
(anzi di pomidoro, dicono), un pelapatate americano brevettato, che
si adopera anche con la sinistra, i grissini, gli sfìlatini, i salatini,
gli stecchini, i moscardini e i tovagliolini di carta con le figure a
fantasia, tanto spiritosi, tanto divertenti.
Io lo dico sempre, metteteci una catasta di libri, e accecati
come sono comprerebbero anche quelli. Ho letto su un giornale
specializzato che questo è l’agorà, il forum, la piazza dei nostri
tempi, e forse è vero. Però non mi scordo che alla Svolta del
Francese c’era già tutto questo, e anche di più.
Mi ricordo che il vecchio Lenzerini, al suo bottegone di
Scarlino Scalo, teneva tutta questa roba e altra ancora, anche i
cappelli teneva, i vasi da notte, il baccalà a mollo e i lumi a carburo.
Ti preparava anche un cantuccio di pane col salame, il Lenzerini.
Bastava chiederglielo, e intanto ti raccontava di quando suo nonno
accompagnò Garibaldi a casa Guelfi, e lo vide riposarsi sotto il
quercione, in vista di Cala Martina. Era con lui un bel giovane, che
si faceva chiamare il capitano Leggèro, ma di certo doveva essere
un nome finto.
“Professore, lasci stare, pagherà quest’altr’anno.”
La descrizione, per quanto grottesca, è molto efficace e rende veramente
il senso della frenesia provocata dall’esposizione di tutto quel ben di
Dio. D’altro canto il confronto con il vecchio bottegone di provincia
(che comunque “teneva tutta questa roba”) dà ancora più risalto
all’atmosfera anonima e spersonalizzante del supermercato.
Avete notato quante volte Bianciardi fa riferimento all’ipnosi? Credo
che, al di là dell’intento satirico, fosse influenzato dalla lettura di un
libro molto famoso, al punto da avere designato una vera e propria
categoria professionale. Mi riferisco a I persuasori occulti, di Vance
Packard (The Hidden Persuaders è il titolo originale), un’inchiesta molto
ben documentata e resa drammatica da un’indignazione di fondo, di
marca protestante, che ebbe in Italia una diffusione notevole.
In questo saggio, pubblicato nel 1957, l’autore intende denunciare
la micidiale alleanza tra scienze sociali (psicologia e psicanalisi
prima di tutte) e marketing, una congiura destinata a condizionare
il comportamento d’acquisto di consumatori indifesi in nome del
profitto. Per quanto assai datato (molte delle previsioni non si sono
realizzate e l’allarme dato da Packard è risultato ingiustificato alla luce
dell’evoluzione del comportamento del consumatore contemporaneo,
maturo, selettivo e, soprattutto, imprevedibile), questo libro è molto
interessante e mette conto leggerlo oggi, a mezzo secolo di distanza,
perché descrive in modo magistrale i tentativi di sfruttare la psicologia
del profondo in chiave consumistica.
Riporto alcuni brani sui quali anche il nostro Bianciardi avrà meditato.
Sono tratti dal capitolo X, “Alice nel paese del consumo”.
Per alcuni anni la società DuPont ha tenuto in esame il
comportamento delle massaie americane nella nuova giungla
che si chiama supermarket. I risultati, per quanto riguarda le
nuove prospettive che dischiudono alla pubblicità sono stati cosi
sensazionali che centinaia di società di prodotti alimentari e di
agenzie pubblicitarie hanno richiesto copia della relazione. I
mariti che si disperano per quel che costa mantenere la famiglia
giudicherebbero la relazione, più che sensazionale, terrificante
Pubblicata nel 1954, essa si apre con una entusiastica
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affermazione in caratteri maiuscoli: “La moderna cliente del
supermarket è sempre più condizionata da una nuova legge
fondamentale del mercato: se il vostro prodotto riesce in qualche
modo ad attrarre il mio sguardo – e se per qualche ragione ha
un aspetto particolarmente’mv1tante - LO VOGLIO”. La relazione
si basava sull’esame del comportamento di 5338 clienti in 250
supermarket.
Gli investigatori della DuPont hanno appurato che, quando va
a far compere, la donna americana moderna non si dà la pena di
preparare una lista, o per lo meno la lista completa, di ciò che le
occorre. Solo una su cinque, in media entra nel supermarket con
la lista; e tuttavia tutte le massaie trovano modo di riempire fino
all’orlo il loro carrello; all’uscita, a quanto riferisce la DuPont,
esclamano per lo più: “Non mi sognavo neppure di comprare tutta
questa roba! “ Perché la massaia non ha più bisogno della lista?
La relazione non esita a rispondere: “Perché oggi, sette acquisti su
dieci vengono decisi nell’emporio stesso, dove le clienti comprano
spinte da un impulso momentaneo!”
Il volume degli «acquisti impulsivi» di generi di drogheria è
andato aumentando ogni anno da circa vent’anni a questa parte, e
la DuPont rileva che questo incremento degli “acquisti impulsivi”
ha coinciso col diffondersi degli empori in cui ci si serve da sé. Se la
cliente deve affrontare un commesso è costretta a stabilire prima
ciò che le occorre (…).
A questo punto Packard, cita il lavoro di un importante specialista
di analisi motivazionale, James Vicary, che effettuò una ricerca nei
supermercati filmando di nascosto le persone che facevano la spesa per
verificare il loro stato di lucidità tramite il battito – pensate un po’! – il
movimento delle palpebre.
Vicary installò dunque le sue macchine da presa e cominciò
a seguire le signore dal momento in cui mettevano piede nel
supermarket. I risultati sbalordirono perfino lui. Il ritmo dei battiti,
invece di aumentare a indizio di una crescente tensione, continuava a
scendere, fino a raggiungere la media, assolutamente subnormale,
di quattordici per minuto. Le signore precipitavano in quella che
Vicary definisce una trance ipnoide, una leggera forma di trance
che, egli spiega, è la prima fase dell’ipnosi. A suo parere, la causa
di questo fenomeno è da ricercarsi nel fatto che il su-permarket è
gremito di prodotti accessibili, fino ad alcuni anni fa, soltanto alla
borsa di re e regine, mentre qui, in questo paese delle meraviglie,
essi sono alla portata di tutti. “Chiunque - egli fa osservare - è in
grado, oggi, di essere re o regina, di passare in rassegna centinaia
di prodotti che dicono comprami, comprami”.
Si poté constatare che molte donne erano a tal punto
ipnotizzate da incrociare conoscenti o vecchie amiche senza
riconoscerle o salutarle. Alcune procedevano con occhi sbarrati.
Altre si aggiravano tra i banchi come automi, pescando a caso
dagli scaffali, inciampando negli ostacoli senza vederli, del
tutto ignare della macchina da presa sebbene, in alcuni casi, si
trovassero col volto a mezzo metro dall’obbiettivo. Riempito il
carrello, le donne si avviavano verso la cassa, e solo allora il ritmo
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dei battiti cominciava a salire verso la media, ancora leggermente
subnormale, di venticinque al minuto. Poi, sentendo trillare il
campanello del registratore e la voce del commesso che chiedeva i
soldi, la media balzava di colpo al di sopra del livello normale, fino
a quarantacinque battiti al minuto. In molti casi risultò che le donne
non avevano sufficiente denaro per pagare tutte le belle cose che
avevano messo sul carrello.
In questo fertilissimo campo degli acquisti impulsivi gli
psicologi si sono alleati con i maghi della pubblicità per in-durre
la massaia a comprare prodotti di cui non ha particolarmente
bisogno o addirittura desiderio, finché non se li vede presentare
in forma invitante. I 60 milioni di donne americane che affollano
ogni settimana i supermarket vengono “aiutate” nei loro acquisti
da psicologi e psichiatri assoldati dagli uffici vendite delle ditte di
prodotti alimentari.
Sì, è molto probabile che Bianciardi si sia ispirato ai Persuasori occulti
per smascherare la manipolazione delle coscienze all’interno del
supermercato. Certo, le inquietanti descrizioni del comportamento
dei clienti ci fanno domandare, con un po’ di apprensione, se anche
noi, oggi, possiamo essere condizionati dall’intervento coordinato della
pubblicità e dall’abile sistemazione delle merci nel PDV, tuttavia vi posso
già rassicurare: il cliente contemporaneo è così educato al consumo, è
così attento al valore intrinseco dell’offerta, è così mutevole nelle sue
scelte da sfuggire a qualsiasi tentativo di reale condizionamento.
È, però, influenzabile, questo sì, in relazione ai contesti di appartenenza
e di riferimento, per esempio, secondo una visione più ampia del
comportamento di consumo, una visione, cioè, che tenga conto non
solo dell’individuo in quanto tale e del suo inconscio, ma anche della
sua caratteristica di animale sociale, per dirla con Aristotele.
Marcovaldo, nel racconto che segue, lo è, così come i suoi familiari, ed
ognuno vive il supermercato come un luogo favoloso traboccante di roba
buona nel quale è, in fondo, obbligato a partecipare, anche se per gioco,
alla festa degli acquisti come gli altri, come le signore impellicciate che
possono permettersi una spesa milionaria (in lire). È il fenomeno del
“gruppo di riferimento” (già spiegato nel testo di Marketing, a p.38), al
quale nemmeno il nostro manovale può sottrarsi.
Alle sei di sera la città cadeva in mano dei consumatori.
Per tutta la giornata il gran daffare della popolazione produttiva
era il produrre: producevano beni di consumo. A una cert’ora,
come per lo scatto d’un interruttore, smettevano la produzione
e, via!, si buttavano tutti a consumare. Ogni giorno una fioritura
impetuosa faceva appena in tempo a sbocciare dietro le vetrine
illuminate, i rossi salami a penzolare, le torri di piatti di porcellana
a innalzarsi fino al soffitto, i rotoli di tessuto a dispiegare
drappeggi come code di pavone, ed ecco già irrompeva la folla
consumatrice a smantellare a rodere a palpare a far man bassa.
Una fila ininterrotta serpeggiava per tutti i marciapiedi e i portici,
s’allungava attraverso le porte a vetri nei magazzini intorno a tutti
i banchi, mossa dalle gomitate di ognuno nelle costole di ognuno
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come da continui colpi di stantuffo. Consumate! e toccavano le
merci e le rimettevano giù e le riprendevano e se le strappavano di
mano; consumate! e obbligavano le pallide commesse a sciorinare
sul bancone biancheria e biancheria; consumate! e i gomitoli
di spago colorato giravano come trottole, i fogli di carta a fiori
levavano ali starnazzanti, avvolgendo gli acquisti in pacchettini
e i pacchettini in pacchetti e i pacchetti in pacchi, legati ognuno
col suo nodo a fiocco. E via pacchi pacchetti pacchettini borse
borsette vorticavano attorno alla cassa in un ingorgo, mani che
frugavano nelle borsette cercando i borsellini e dita che frugavano
nei borsellini cercando gli spiccioli, e giù in fondo in mezzo a una
foresta di gambe sconosciute e falde di soprabiti i bambini non più
tenuti per mano si smarrivano e piangevano.
Una di queste sere Marcovaldo stava portando a spasso la
famiglia. Essendo senza soldi, il loro spasso era guardare gli altri
fare spese; inquantoché il denaro, più ne circola, più chi ne è senza
spera: “Prima o poi finirà per passarne anche un po’ per le mie
tasche”. Invece, a Marcovaldo, il suo stipendio, tra che era poco e
che di famiglia erano in molti, e che c’erano da pagare rate e debiti,
scorreva via appena percepito. Comunque, era pur sempre un bel
guardare, specie facendo un giro al supermarket.
Il supermarket funzionava col self-service. C’erano quei
carrelli, come dei cestini di ferro con le ruote, e ogni cliente
spingeva il suo carrello e lo riempiva di ogni bendidio. Anche
Marcovaldo nell’entrare prese un carrello lui, uno sua moglie e uno
ciascuno i suoi quattro bambini. E così andavano in processione
coi carrelli davanti a sé, tra banchi stipati da montagne di cose
mangerecce, indicandosi i salami e i formaggi e nominandoli, come
riconoscessero nella folla visi di amici, o almeno conoscenti.
- Papà, lo possiamo prendere questo? - chiedevano i bambini
ogni minuto.
- No, non si tocca, è proibito, - diceva Marcovaldo ricordandosi
che alla fine di quel giro li attendeva la cassiera per la somma.
- E perché quella signora lì li prende? - insistevano, vedendo
tutte queste buone donne che, entrate per comprare solo due carote
e un sedano, non sapevano resistere di fronte a una piramide di
barattoli e tum! tum! tum! con un gesto tra distratto e rassegnato
lasciavano cadere lattine di pomodori pelati, pesche sciroppate,
alici sott’ olio a tambureggiare nel carrello.
Insomma, se il tuo carrello è vuoto e gli altri pieni, si può reggere
fino a un certo punto: poi ti prende un’invidia, un crepacuore, e non
resisti più. Allora Marcovaldo, dopo aver raccomandato alla moglie
e ai figlioli di non toccare niente, girò veloce a una traversa tra i
banchi, si sottrasse alla vista della famiglia e, presa da un ripiano
una scatola di datteri, la depose nel carrello.
Voleva soltanto provare il piacere di portarla in giro per dieci
minuti, sfoggiare anche lui i suoi acquisti come gli altri, e poi
rimetterla dove l’aveva presa. Questa scatola, e anche una rossa
bottiglia di salsa piccante, e un sacchetto di caffè, e un azzurro
pacco di spaghetti. Marcovaldo era sicuro che, facendo con
delicatezza, poteva per almeno un quarto d’ora gustare la gioia di
chi sa scegliere il prodotto, senza dover pagare neanche un soldo.
Ma guai se i bambini lo vedevano! Subito si sarebbero messi a
imitarlo e chissà che confusione ne sarebbe nata!
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Marcovaldo cercava di far perdere le sue tracce, percorrendo
un cammino a zig zag per i reparti, seguendo ora indaffarate
servette ora signore impellicciate. E come l’una o l’altra avanzava
la mano per prendere una zucca gialla e odorosa o una scatola di
triangolari formaggini, lui l’imitava. Gli altoparlanti diffondevano
musichette allegre: i consumatori si muovevano o sostavano
seguendone il ritmo, e al momento giusto protendevano il braccio
e prendevano un oggetto e lo posavano nel loro cestino, tutto a
suon di musica.
Il carrello di Marcovaldo adesso era gremito di mercanzia; i
suoi passi lo portavano ad addentrarsi in reparti meno frequentati;
i prodotti dai nomi sempre meno decifrabili erano chiusi in scatole
con figure da cui non risultava chiaro se si trattava di concime
per la lattuga O di seme di lattuga o di lattuga vera e propria o
di veleno per i bruchi della lattuga o di becchime per attirare gli
uccelli che mangiano quei bruchi oppure condimento per l’insalata
o per gli uccelli arrosto. Comunque Marcovaldo ne prendeva due
o tre scatole.
Così andava tra due siepi alte di banchi. Tutt’a un tratto la
corsia finiva e c’era un lungo spazio vuoto e deserto con le luci al
neon che facevano brillare le piastrelle. Marcovaldo era lì, solo col
suo carro di roba, e in fondo a quello spazio vuoto c’era l’uscita con
la cassa.
Il primo istinto fu di buttarsi a correre a testa bassa spingendo
il carrello davanti a sé come un carro armato e scappare via
dal supermarket col bottino prima che la cassiera potesse dare
l’allarme. Ma in quel momento da un’ altra corsia lì vicino s’affacciò
un carrello carico ancor più del suo, e chi lo spingeva era sua
moglie Domitilla. E da un’ altra parte se un altro e Filippetto lo
stava spingendo con tutte le sue forze. Era quello un punto in cui le
corsie di molti reparti convergevano, e da ogni sbocco veniva fuori
un bambino di Marcovaldo, tutti spingendo trespoli carichi come
bastimenti mercantili. Ognuno aveva avuto la stessa idea, e adesso
ritrovandosi s’accorgevano d’aver messo insieme le disponibilità
del supermarket..
- Papà, allora siamo ricchi? - chiese Michelino. - Ce ne avremo
da mangiare per un anno?
- Indietro! Presto! Lontani dalla cassa! - esclamò Marcovaldo
facendo dietrofront e nascondendosi, lui e le sue derrate, dietro ai
banchi; e spiccò la corsa piegato in due come sotto il tiro nemico,
tornando a perdersi nei reparti. Un rombo risuonava alle sue
spalle; si voltò e vide tutta la famiglia che, spingendo i suoi vagoni
come un treno, gli galoppava alle calcagna.
- Qui ci chiedono un conto da un milione!
Il supermarket era grande e intricato come un labirinto: ci
si poteva girare ore ed ore. Con tante provviste a disposizione,
Marcovaldo e familiari avrebbero potuto passarci l’intero inverno
senza uscire. Ma gli altoparlanti già avevano interrotto la loro
musichetta, e dicevano: - Attenzione! Tra un quarto d’ora il
supermarket chiude! Siete pregati d’affrettarvi alla cassa!
Era tempo di disfarsi del carico: ora o mai più. Al richiamo dell’
altoparlante la folla dei clienti era presa da una furia frenetica,
come se si trattasse degli ultimi minuti dell’ultimo supermarket
in tutto il mondo, una furia non si capiva se di prendere tutto quel
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che c’era o di lasciarlo lì, insomma uno spingi spingi attorno ai
banchi, e Marcovaldo con Domitilla e i figli ne approfittavano per
rimettere la mercanzia sui banchi o per farla scivolare nei carrelli
d’altre persone. Le restituzioni avvenivano un po’ a casaccio: la
carta moschicida sul banco del prosciutto, un cavolo cappuccio
tra le torte. Una signora, non s’accorsero che invece del carrello
spingeva una carrozzella con un neonato: ci rincalzarono un fiasco
di barbera.
Questa di privarsi delle cose senz’averle nemmeno assaporate
era una sofferenza che strappava le lacrime. E così, nello stesso
momento che lasciavano un tubetto di maionese, capitava loro
sottomano un grappolo di banane, e lo prendevano; o un pollo
arrosto invece d’uno spazzolone di nylon; con questo sistema i loro
carrelli più si vuotavano più tornavano a riempirsi.
La famiglia con le sue provviste saliva e scendeva per le scale
rotanti e ad ogni piano da ogni parte si trovava di fronte a passaggi
obbligati dove una cassiera di sentinella puntava una macchina
calcolatrice crepitante come una mitragliatrice contro tutti quelli
che accennavano a uscire. Il girare di Marcovaldo e famiglia
somigliava sempre più a quello di bestie in gabbia o di carcerati in
una luminosa prigione dai muri a pannelli colorati.
In un punto, i pannelli d’una parete erano smontati, c’era una
scala a pioli posata lì, martelli, attrezzi da carpentiere e muratore.
Un’impresa stava costruendo un ampliamento del supermarket.
Finito l’orario di lavoro, gli operai se n’erano andati lasciando tutto
com’ era. Marcovaldo, provviste innanzi, passò per il buco del
muro. Di là c’era buio; lui avanzò. E la famiglia, coi carrelli, gli andò
dietro.
Le ruote gommate dei carrelli sobbalzavano su un suolo come
disselciato, a tratti sabbioso, poi su un piancito d’assi sconnesse.
Marcovaldo procedeva in equilibrio su di un asse; gli altri lo
seguivano. A un tratto videro davanti e dietro e sopra e sotto tante
luci se- minate lontano, e intorno il vuoto.
Erano sul castello d’assi d’un’impalcatura, all’ altezza delle
case di sette piani. La città s’apriva sotto di loro in uno sfavillare
luminoso di finestre e insegne e sprazzi elettrici dalle antenne
dei tram; più in su era il cielo stellato d’astri e lampadine rosse
d’antenne di stazioni radio. L’impalcatura tremava sotto il peso di
tutta quella merce lassù in bilico. Michelino disse: - Ho paura!
Dal buio avanzò un’ombra. Era una bocca enorme, senza denti,
che s’apriva protendendosi su un lungo collo metallico: una gru.
Calava su di loro, si fermava al- la loro altezza, la ganascia inferiore
contro il bordo del- l’impalcatura. Marcovaldo inclinò il carrello,
rovesciò la merce nelle fauci di ferro, passò avanti. Domitilla fece
lo stesso. I bambini imitarono i genitori. La gru richiuse le fauci
con dentro tutto il bottino del super- market e con un gracchiante
carrucolare tirò indietro il collo, allontanandosi. Sotto s’accendevano
e ruotavano le scritte luminose multicolori che invitavano a comprare i prodotti in vendita nel grande supermarket.
percorso in lungo e in largo con un movimento continuo e frenetico. Come
sosteneva Packard, mai nella storia dell’uomo si erano viste tante merci,
tante cose a disposizione di tutti sì da ingenerare un’attitudine agli acquisti
ingorda e sfrenata. Dopo secoli di penuria, finalmente tutti, o quasi, potevano
partecipare alla festa dell’abbondanza. E come Bianciardi anche lui descrive
le povere commesse come quasi sofferenti, pallide e smunte…
In ogni caso la lettura di questi brani ci permette di riassumere così il
fenomeno che vi è descritto:
1. Il supermercato permette un contatto diretto con le merci senza la
mediazione di un venditore (a parte i casi di vendita assistita, per
esempio nei banchi dedicati alla gastronomia).
2. L’esposizione pianificata ed ordinata dei beni fa sì che i frequentatori
del PDV possano visionare un’offerta molto ampia, oltre le
aspettative di ogni singolo potenziale acquirente, favorendo
l’acquisto di prodotti non previsti nella lista della spesa.
3. L’assenza di un venditore costringe l’industria a creare
confezioni e marche. Prima del libero servizio c’era solo la vendita
assistita, grazie alla quale i clienti potevano scegliere ed acquistare
quantità libere di prodotti sfusi (dalla pasta al caffè, dallo zucchero
ai detersivi) distinti solo per prezzo e qualità. Ora i prodotti devono
avere un “nome” ed una veste molto attraenti.
4. I gestori di questi PDV possono influenzare il comportamento
d’acquisto mediante delle tecniche raffinate (tecniche di
merchandising )riguardanti: a) la scelta dei prodotti e delle marche
da proporre ai clienti; b) le decisioni circa l’articolazione del PDV
e le sue attrezzature; c) l’esposizione delle marche sugli scaffali;
d) la comunicazione mediante una serie di iniziative rientranti nel
concetto di POPA (Point of Purchase Advertising).
Avrete certamente notato che anche Italo Calvino descrive il comportamento
del pubblico nel supermercato come simile a quello di un formicaio strapieno,
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2. Uno sguardo sul presente:
il coinvolgimento del consumatore
I brani citati implicitamente accennano a qualcosa che, oggi, ci è molto
chiaro: il concetto del PDV contemporaneo come luogo da frequentare
e da vivere, nonché la sua attitudine a presentare le merci facendoci
assistere a qualcosa di simile ad uno spettacolo.
Cinquant’anni fa il consumatore pensava al PDV come ad un luogo
dove trovare dei prodotti ed il suo tempo era finalizzato a questo,
badava poco allo scenario, era attratto dall’abbondanza dell’offerta.
Il visitatore del PDV, oggi, non è più uno spettatore passivo, bensì
un fruitore attivo consapevole di investire del tempo – prezioso –
nell’attività di ricerca e di scelta di una determinata categoria di
beni. Per questo pretende un’ambientazione accurata e accoglie con
piacere tutte quelle innovazioni che lo coinvolgono portandolo a vivere
un‘esperienza. Altro che ipnosi: egli è attivo e cosciente più che mai,
pronto a ricevere sollecitazioni sensoriali positive ed a profittare del
comfort di un ambiente piacevole.
Prendiamo un PDV come la libreria: una volta era vissuta come un
tempio della cultura dall’atmosfera sobria e austera; oggi è un luogo
d’intrattenimento dove sfogliare un libro, provare un DVD, assistere
a una presentazione o a un evento musicale, prendere un aperitivo o
rimanere a pranzo.
La libreria Feltrinelli di Mestre, per esempio, (v. immagini) vi accoglie
proponendovi un layout espositivo accurato e sempre in ordine, un
servizio di ricerca e di prenotazione, la possibilità di visionare libri e
DVD, un bistrot curato e di un certo stile.
Si tratta, ovviamente, di un PDV particolare, dedicato alla diffusione
di beni culturali e d’intrattenimento, che tuttavia ripercorre la via già
segnata dalle avanguardie della distribuzione contemporanea, attive
in Francia e nell’Europa del Nord. Le insegne attive in quei Paesi
da tempo hanno progettato supermercati a misura dei grandi mall
americani, spazi enormi dove si trascorre una giornata intera e dove lo
shopping è più un pretesto che l’obiettivo reale del visitatore.
Ma torniamo al consumatore italiano.
3. Il comportamento di consumo nel PDV
Pensiamo un momento ai brani che vi ho proposto e mettiamoci nei
panni di quei primi consumatori: allora si sentivano ancora gli effetti
di una guerra devastante, si era abituati al risparmio, all’utilizzo
attento dei beni, anche di consumo. Le principali derrate alimentari
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si acquistavano sfuse, mentre la marca riguardava beni voluttuari o
di alta gamma. Molti prodotti durevoli d’uso comune si sostituivano
soltanto quando non era più possibile ripararli.
Con il nuovo sviluppo capitalistico e con la ripresa massiccia della
produzione industriale si assistette al fenomeno di un’offerta massiva e
indiscriminata che determinava una forte concorrenza tra i produttori,
i quali avevano bisogno di differenziarsi gli uni dagli altri identificando
con la marca ogni nuova proposta di beni, durevoli e di consumo. La
prima diffusione dei supermercati di prossimità intensificò il lavoro
di ricerca per quanto riguardava le confezioni e la creazione di
marche nuove, attrattive e motivanti. In tal modo dovette cambiare
la pubblicità che passò dalla vecchia réclame estetizzante al nuovo
advertising praticato dalle multinazionali della comunicazione, basato
sulla psicologia del consumo e sulla gestione scientifica dei media.
Il risultato di tutto ciò? L’esposizione ragionata di un profluvio di merci
caratterizzate da una vera e propria personalità per via della marca e
di un packaging studiati sin nei minimi dettagli, un’offerta mai vista
e, per i consumatori, la sensazione di poter soddisfare i propri bisogni
senza problemi. Teniamo conto, poi, del fatto che un’esposizione tanto
vasta permetteva al pubblico di conoscere prodotti e marche del tutto
nuovi, specie per quel che riguardava i cosiddetti prodotti-servizio
come i surgelati o i cibi precotti, pensati per chi non poteva o non aveva
il tempo di stare in cucina per via del lavoro o, perché no?, perché non
ne aveva tanta voglia.
Si frequentava il supermercato, così come noi, d’altronde, entriamo in
molti PDV contemporanei, per assistere allo spettacolo del consumo,
per conoscere cose nuove, per informarci su stili di vita e di acquisto
diversi.
Il PDV è dunque, ripetiamo, un posto da vivere, dove è possibile
venire a conoscenza di prodotti nuovi e, anche, se si ha il tempo di
osservare i suoi frequentatori, di capire qualcosa del loro stile di vita e
di acquisto.
La comunicazione sul PDV è, pertanto, fondamentale per orientare
il visitatore in un contesto sempre più ricco e, per quanto accogliente,
a volte frastornante per l’abbondanza del’offerta e per le continue
sollecitazioni polisensoriali. In altri termini, c’è molto da fare per il
designer grafico, per un progettista di comunicazione visiva cui sia
richiesto di intervenire, soprattutto da parte della marca (la GD ha
i suoi specialisti interni), per stimolare un flusso di comunicazione
ordinato ed efficace nei confronti del responsabile acquisti, la figurachiave del consumo (in Italia, i responsabili acquisti di età compresa tra
i 15 e i 74 anni, frequentatori di PDV, sono circa 20,5 milioni di donne
e 4,2 milioni di uomini).
Sappiamo che quest’ultimo può entrare in un PDV semplicemente per
dare un’occhiata, per prendere informazioni in caso di un acquisto
impegnativo o per starsene un po’ al fresco durante i mesi più caldi.
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Marketing
Marketing
Quando entra in un PDV con l’intenzione di comprare qualcosa,
secondo una delle tante ricerche effettuate in proposito, non sa ancora
con quanti beni ne uscirà, anche se ha una bella lista della spesa. Può, per
esempio, uscire da un supermercato con il carrello composto dal 42,6%
di acquisti programmati, e dal 57,4% di acquisti non programmati.
Attenti: non si tratta solo di acquisti cosiddetti d’impulso, secondo
la ricerca, il 4,6% sono spese effettuate per sostituire articoli non
disponibili (cercavo l’acqua minerale di una determinata marca, non la
trovo, la sostituisco con un’altra). Il 13,4 % entra nel PDV sapendo che
deve comprare un determinato bene senza aver deciso prima di quale
marca. Gli acquisti effettivamente d’impulso ammontano al 39,4%.
In ogni caso avete capito che il PDV è un luogo in cui si fanno molte
scelte e si può decidere se acquistare o no un determinato bene. E capite
quanto sia importante orientare i sensi, prima di tutto e poi l’attenzione
del visitatore verso una certa offerta – quella del nostro cliente – al fine
di promuoverne l’acquisto.
Per questo le tecniche di merchandising sono importanti anche i per i
produttori, non solo per i distributori.
Secondo l’Académie française des sciences commerciales, il
merchandising è:
“una parte del marketing che riguarda tutte le tecniche commerciali
atte a presentare, nelle migliori condizioni possibili, il prodotto o ilo
servizio offerto ai potenziali acquirenti.
Il merchandising tende a sostituire a una presentazione passiva
del prodotto, una sua presentazione attiva che si serve di tutto
quanto lo può rendere attraente, dalla confezione alla disposizione
sui banchi di vendita”. x
Prima di passare all’esame delle tecniche di merchandising è opportuno
avere una visione chiara tanto degli stili di acquisto dei potenziali
clienti, quanto dei diversi tipi di PDV.
In questo caso il cosiddetto uomo-consumatore diventa responsabile
acquisti e vedrete che in questa veste non è meno frammentato e
sfaccettato. D’altronde, se non conosciamo il suo comportamento
all’interno del PDV non abbiamo le informazioni necessarie per una
progettazione mirata ed efficace delle confezioni e del materiale POP:
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4 Gli stili d’acquisto
L’Eurisko ha individuato e definito degli stili d’acquisto, vale a dire dei
modi di agire e di comprare degli Italiani nei PDV. Distinguendo, prima
di tutto, degli stili bassi, medi ed alti ed articolandoli come segue:
A) Stili bassi: Marginali, Aspirazionali
B) Stili medi: Oculati,Distaccati
C) Stili alti: Esibitivi, Razionali, Tradizionali
Marginali
Gruppo povero, tradizionale e conservatore nelle scelte di
acquisto.
È costituito dalle persone più distanti dal mondo de consumi e da
quello della GDO.
La figura tipica del gruppo è la persona anziana che acquista nel
piccolo negozio sotto casa. (Pochi prodotti, tutti delle stesse marche)
Residenti al sud e nei piccoli centri, hanno un’età avanzata, sono
soprattutto pensionati, di status ed istruzione fra i più bassi.
Superiore alla media la presenza di uomini.
Il loro nucleo familiare è piccolo (una, due persone al massimo).
Ricorso prevalente al negozio tradizionale, di prossimità.
Grande abitudinarietà delle scelte e attenzione al prezzo (per necessità).
Bassa attenzione alle promozioni.
Lo stesso 3 x 2 fornisce quantità di prodotto eccessive per i bisogni
ristretti di questi individui.
Aspirazionali
È un gruppo che sente la necessità di apparire per confermare la propria
appartenenza a stili di vita che non sono i suoi.
Il che genera conflitto fra bisogni ed esigenze imposte dal magro
bilancio.
In grande maggioranza residenti al sud hanno un’età prevalentemente
medio - giovane, reddito ed istruzione decisamente bassi.
Sono soprattutto casalinghe.
Il capofamiglia è spesso un operaio con famiglie numerose (di frequente
oltre i 4 componenti).
Il gruppo ha la GDO come punto di riferimento, seppure la fruizione
sia limitata.
La situazione tipica è un uso sia del mercato che dei minimarket.
La scelta dei prodotti più economici è obbligata.
La famiglia non sembra tuttavia rassegnata nella sua povertà: aspira a
condividere consumi di livello superiore.
Attua strategie di rincorsa, sfrutta appena può le opportunità offerte
delle promozioni.
La spesa, il giro per i negozi e fra l’altro una delle poche attività ricreative
che si concede il gruppo.
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Marketing
Marketing
Oculati
È uno stile caratterizzato da oculatezza e da una certa professionalità
di chi ha fatto dei ruoli di responsabile acquisti e casalinga la propria
attività principale.
È il ritratto della casalinga tradizionale che sa valutare le performance
delle marche, che sceglie il punto vendita “migliore” rispetto a ciascuna
merceologia.
Particolarmente concentrato nel Nord Ovest, il gruppo è costituito quasi
prevalentemente da donne.
Ha un’età medio-matura, un basso livello di istruzione ed un reddito
medio.
Prevalgono ampiamente le casalinghe.
Il nucleo familiare è composto spesso da genitori con figli grandi.
Utilizza sia punti vedita moderni che della distribuzione tradizionale.
Mostra una rilevante attenzione alla convenienza dei prezzi e alle
promozioni.
Ha un approccio conservatore agli acquisti (scarsa attenzione alle novità)
e molto portato al confronto tra prodotti e marche diverse.
Distaccati
Scarso è l’interesse per la spesa.
Gli interessi del gruppo stanno altrove.
Sembra prevalere un acquisto più sulla base della comodità
che su altri criteri.
È ipotizzabile che il gruppo deleghi alla propria insegna della GDO
molte scelte: una volta che sia stata identificata l’insegna in termini di
proposta complessiva, le scelte specifiche hanno una rilevanza minore.
Residenti al Nord (soprattutto Nord Ovest), il gruppo è di età tendente
al giovane (circa 35 anni), di istruzione media e reddito lievemente
superiore alla media.
Relativamente alta la componente maschile.
Svolgono prevalentemente attività professionale.
Non c’è particolare investimento emotivo nella spesa, nella qualità, nella
scelta dei negozi e delle marche.
Disinvoltamente cambia marca, non per gusto dell’esplorazione ma per
scarso interesse.
Il suo riferimento è la GDO, in particolare le grandi superfici.
L’attenzione verso le promozioni è di poco superiore alla media.
Non sono infrequenti gli acquisti per corrispondenza (sempre nella
logica della comodità).
Esibitivi
Stile esplorativo e benestante poco portato al controllo razionale sui
propri acquisti.
Spesso più attento all’esibizione e all’immagine che alla qualità di
contenuto.
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Gruppo prevalentemente settentrionale e residente nei centri di
provincia.
Tendenzialmente giovane (30-40 anni), di buon livello economico.
Il nucleo familiare tipico è la coppia giovane (con o senza figli).
Gli acquisti sono guidati da due criteri.
A.L’esplorazione.
L’impulso, la curiosità di provare nuovi
prodotti, di cambiare spesso la marca acquistata.
B. L’esibizione. I consumi devono dire molto dello stile di vita
della famiglia.
Il che comporta:
- una bassa attenzione al prezzo;
- un’elevata attenzione all’immagine (espressa sia nella scelta del
punto vendita che delle marche).
Il gruppo usa prevalentemente la GDO per la spesa ma i prodotti più
espressivi vengono acquistati presso i canali specializzati, scegliendo
tra i punti vendita di un certo livello.
Razionali
Il gruppo esprime una precisa intelligenza nell’acquisto (il suo motto
potrebbe essere proprio: value for money).
L’approccio è dunque fortemente razionale e valutativo di tutti
gli aspetti del prodotto o del punto vendita, con un occhio alla sua
effettiva convenienza.
Residente soprattutto nelle grandi aree urbane.
Gruppo di età media abbastanza giovane (30-40 anni), elevato livello
di istruzione (è il gruppo con la maggior percentuale di laureati).
Reddito familiare medio-alto.
Fortissima è la presenza di impiegati e studenti.
I nuclei familiari sono composti spesso da 4 persone.
Ricorre intensamente alla GDO per gli acquisti anche se non disdegna
l’uso dei canali tradizionali in precise occasioni.
È un consumatore molto attento alla qualità effettiva dei prodotti
acquistati.
In questa logica attenta c’è attenzione ai negozi migliori e a una certa
esploratività ragionata (attenzione alle novità).
Elevata è anche l’attenzione verso le promozioni, ma solo su prodotti
di effettivo interesse).
Tradizionali
È un gruppo benestante e maturo che bada soprattutto alla qualità,
nei prodotti e nei punti vendita, sulla base di criteri ormai consolidati
nel tempo.
Residenti nei centri medi e grandi del Nord e del Centro Italia, i suoi
componenti sono di età matura.
Hanno reddito elevato e livello di istruzione medio-basso.
Spesso sono pensionati.
17
Marketing
Marketing
Relativamente elevata anche la quota di responsabili acquisti di
sesso maschile.
I nuclei sono spesso costituiti da single maturi o coppie senza figli.
Manifestano alta attenzione alla qualità, ai negozi migliori, alle marche
note, ai prodotti fidati.
Elevata anche la fedeltà.
Scarsa esploratività e attenzione alle promozioni.
Tende a preferire il negozio tradizionale.
Questa ricerca ci dà una visione ampia dei frequentatori di PDV
tradizionali e della GD, in modo da fornirci importanti informazioni,
utili per orientare strategie, tattiche e persino i toni di voce nella
progettazione di materiali per i PDV, nel gergo si parla di POP, e,
ancor prima, per definire la politica di marca e l’articolazione del
packaging system.
In genere ogni PDV ha un suo bacino d’utenza composto da responsabili
acquisti attuali o potenziali, attratti dalle tecniche di merchandising
messe in opera dalle diverse insegne. Ogni PDV può essere più o
meno attrattivo per via dell’ampiezza dell’assortimento o per la sua
convenienza. Così, dobbiamo avere molte informazioni relative al
mondo della distribuzione per progettare bene. Iniziamo con i format,
cioè con i diversi tipi di superfici, per proseguire poi con il basic delle
tecniche di merchandising.
5. Format, formati, superfici
Il commercio si divide in attività fisse e ambulanti (i mercati settimanali).
Il commercio fisso è un’attività svolta dalle seguenti tipologie di PDV:
Grande magazzino: Esercizio al dettaglio operante nel campo non
alimentare, che dispone di una superficie di vendita superiore a 400
mq. e di almeno 5 distinti reparti (oltre l’eventuale annesso reparto
alimentare) ciascuno dei quali destinato alla vendita di articoli
appartenenti a settori merceologici diversi ed in massima parte di
largo consumo. Nel caso di un PDV di questo tipo ma inferiore, per
superficie, a 400 mq., si parla di Minimarket.
Supermercato: Esercizio di vendita al dettaglio operante nel campo
alimentare (autonomo o reparto di grande magazzino) organizzato
prevalentemente a libero servizio e con pagamento all’uscita, che
dispone di una superficie di vendita superiore a 400 mq. e di un
vasto assortimento di prodotti di largo consumo ed in massima
parte preconfezionati nonché, eventualmente, di alcuni articoli non
alimentari di uso domestico corrente. Nel caso di un PDV di questo
tipo ma inferiore, per superficie, a 400 mq., si parla di Superette.
Ipermercato: Esercizio di vendita al dettaglio, organizzato
prevalentemente a libero servizio e con pagamento all’uscita.
L’esercizio, concepito e realizzato in una struttura edilizia destinata
esclusivamente ad uso commerciale, offre, su una superficie di
18
vendita che per almeno 2.500 mq., sia disposta su un unico piano,
un vasto assortimento di prodotti alimentari e non alimentari.
L’esercizio è ubicato generalmente in zone periferiche o extraurbane e deve disporre di adeguate aree di parcheggio.
Impresa a succursali (o con catene di negozi): Impresa da
cui dipendono, sotto il triplice profilo giuridico, funzionale e
organizzativo, sei o più unità locali operative (esercizi) che attuano
la vendita al dettaglio o la somministrazione al pubblico. (p.e. COIN,
Auchan Carrefour, Pam, Esselunga).
Centro commerciale al dettaglio: Complesso di punti di vendita al
dettaglio e di altri servizi, promosso, concepito e realizzato con
criteri unitari, che dispone di parcheggio, infrastrutture e altri
servizi comuni ed i cui operatori partecipano congiuntamente alla
gestione del Centro e all’adozione di comuni politiche promozionali.
Vi è sempre presente un ipermercato che, per la sua funzione
attrattiva è definito “magnete”.
Centro commerciale all’ingrosso: Complesso di esercizi, di attrezzature
e di servizi, concepito e realizzato con criteri unitari per lo svolgimento
dell’attività all’ingrosso e dotato di adeguate infrastrutture per la
raccolta, il deposito e lo smistamento delle merci.
Cash and Carry: Esercizi all’ingrosso organizzati a self-service,
con superficie di vendita superiore a 400 mq .. , ‘nei quali i clienti
provvedono al pagamento in contanti, contro emissione immediata
di fattura, e al trasporto diretto della merce. (P.e. Metro, Docks etc.)
Gruppo d’Acquisto: Associazione fra soli grossisti o fra dettaglianti
e/o pubblici esercenti (appartenenti ad uno o più settori
merceologici determinati), ciascuno dei quali conserva la propria
autonomia giuridica e patrimoniale, promossa principalmente al
fine di realizzare acquisti e servizi anche di vendita in comune. (P.e.
Despar, CRAI, Super M etc.)
Unione volontaria: Forma di integrazione verticale, regolata da
uno statuto ed evidenziata da un marchio comune, fra uno o più
grossisti e commercianti al dettaglio e/o pubblici esercenti i quali,
pur conservando singolarmente la propria autonomia giuridica
e patrimoniale, si accordano dal punto di vista operativo al fine di
organizzare in comune gli acquisti ed alcuni servizi per lo sviluppo
delle vendite ed il miglioramento della produttività delle singole
imprese aderenti. (P.e. Unvo, Vegé etc.)
Le Cooperative di consumo (Coop) e di dettaglianti (Conad) si distinguono per
la finalità mutualistica volta a offrire occasioni di risparmio ai propri soci.
I Discount e gli Hard discount (Lidl, Aldi) sono tipologie di commercio fisso
caratterizzate dall’obiettivo di offrire prodotti a prezzi molto più contenuti rispetto
alle superfici tradizionali mediante il contenimento dei costi espositivi e delle
attrezzature nonché accordi con l’industria al fine di proporre prodotti esclusivi,
secondo specifiche determinate.
A queste tipologie vanno aggiunte le grandi insegne specializzate come
Unieuro, Media World, Brico, Le Roi Merlin e così via, le quali offrono un
panorama ampio e quasi esaustivo dell’offerta nell’ambito del loro settore
di competenza (elettronica di consumo, elettrodomestici, bricolage,
19
Marketing
Marketing
giardinaggio etc.). A queste si contrappongono le grandi superfici
despecializzate come gli ipermercati.
In genere parliamo di Grande Distribuzione (GD) quando vogliamo
indicare le grandi imprese a succursali, le insegne come Pam, Carrefour,
La Rinascente, Oviesse, Upim, Unieuro, Trony etc.. Con il termine
Distribuzione Organizzata individuiamo le Unioni Volontarie e i
Gruppi d’acquisto. Se ricordate, usiamo spesso il termine generico trade
per riferirci a tutte queste realtà.
Spesso le grandi superfici si trovano fuori del centro cittadino, in
periferia o vicino a grandi vie di comunicazione. Quando si trovano
in un contesto urbano, a contatto con la vita quotidiana, parliamo di
negozi di prossimità.
Avrete senz’altro notato l’importanza della superficie nella definizione
della tipologia: la superficie è, infatti, la risorsa scarsa da ottimizzare in
funzione di un giro d’affari consistente non solo nel fatturato ma anche
nel costante flusso di cassa generato quotidianamente dalle vendite.
Pensate che negli Ipermercati possono essere presentate oltre 40.000
referenze. In un supermercato medio sono circa 6.500. In un discounttipo, circa 700. Obiettivo del PDV è fare in modo che il visitatore
possa visionare la maggior parte delle merci esposte, in modo tale
da intensificare gli acquisti, le tecniche di merchandising rispondono a
questo scopo.
Prima di illustrarle, sarà opportuno occuparci dei due format più
importanti: il supermercato e l’ipermercato.
5.1. Il supermercato
Questo è un classico supermercato “a griglia”, un format tedesco molto
efficace quando si tratta di convogliare i visitatori nei diversi corridoi. Gli
scaffali (detti “gondole”) sono alti e impediscono una visione ampia della
superficie. Per questo il format è criticato anche se è molto conveniente
nella gestione. Più avanti parleremo di come si possono impiegare gli
spazi per avere dei risultati soddisfacenti in termini di vendite (o di
“scontrino medio”). Per ora basterà sapere che il modello alternativo,
a isole o free flow è considerato migliore perché permettendo un’ampia
visuale dell’offerta mette in condizione il consumatore di orientarsi e
scegliere a suoi agio.
Il format a griglia è molto costrittivo e porta i visitatori ad evitare i
corridoi centrali per distribuirsi lungo le aree perimetrali.
20
21
Marketing
Marketing
L’immagine dà conto di una ricerca effettuata nei supermercati a
format tedesco: si nota quanto sia inferiore la percentuale di visitatori
nei corridoi centrali. Con un minor numero di esposizioni alle merci,
cala ovviamente il giro d’affari del PDV.
pari a 8,4 milioni di mq (media: 930 mq per supermercato).
5.2. L’ipermercato
Per risolvere il problema, si ricorre al sistema detto dei “punti focali”.
Si tratta di disporre sulle gondole, in posizioni intermedie, delle
referenze particolarmente attrattive per il visitatore che, in definitiva,
è portato ad inserirsi nel corridoio ed a percorrerlo sino alla cosiddetta
“testa di gondola” (il punto più pregiato dello scaffale) per passare poi
al corridoio contiguo. 7
In Italia sono presenti 9.025 supermercati per una superficie complessiva
22
L’ipermercato, di origine francese, è il grande format despecializzato.
Piuttosto diffuso anche in Italia, non è però apprezzato dai consumatori
italiani quanto il supermercato, che resta il format preferito.
Ideale per Paesi caratterizzati da grandi pianure e con vie di
comunicazione grandi e comode, permette di concentrare in una
solo visita una spesa familiare vasta per quanto riguarda sia i beni di
consumo e deperibili che i beni durevoli.
Notate, a destra, la zona bazar nella quale potete trovare realmente
di tutto, dagli elettrodomestici alla telefonia, dagli accessori per
automobile alle biciclette, poi la zona del tessile (abbigliamento). A
sinistra c’è il classico assortimento grocery, con prodotti alimentari e per
l’igiene personale e della casa, le bevande e le isole a vendita assistita
(gastronomia, macelleria, pescheria)
La superficie è gestita in modo diverso da quella del supermercato in
funzione della diversa esposizione delle merci.
In Italia sono attivi 415 ipermercati. (superficie complessiva, 11,1 milioni
di mq; media, 6.577 mq).
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Marketing
Marketing
6. Le tecniche di merchandising
Per quel che riguarda in questa sede la gestione dell’esposizione dei
beni, il merchandising si articola in:
a) assortimento
b) layout
c) display
6.1. Assortimento
Per assortimento intendiamo l’offerta merceologica del PDV. Grazie alla
nostra esperienza, quasi quotidiana, di acquirenti di beni di consumo
e durevoli sappiamo che i PDV, riguardanti la stessa merceologia,
per esempio l’abbigliamento, possono presentare offerte diverse per
qualità, prezzo, marche o per un concept particolare (abbigliamento
di tendenza, giovanile, etc.). Se osserviamo con attenzione e un po’
di pazienza le vetrine dei negozi di una stessa città, ma ubicate in
quartieri diversi per lo stile di vita e le possibilità economiche dei
residenti, notiamo forti diversità.
In effetti, la scelta dei prodotti e delle marche da inserire in un PDV
dipende da diverse variabili, prima fra tutte l’analisi del cosiddetto
Bacino di utenza del negozio in questione, poi dalla gestione dei
fornitori e dalla stessa localizzazione della superficie.
L’assortimento si compone mettendo assieme prodotti di una stessa
merceologia o che hanno la medesima destinazione d’uso. (p.e.
aspirapolvere e sacchetti per aspirapolvere; prodotti per la prima
colazione, biscotti, tè, caffè etc.).
Definiamo ampiezza dell’assortimento il numero di famiglie di
prodotti gestite dal PDV (nel settore del bricolage troviamo utensileria,
attrezzeria, materiale elettrico, articoli per auto etc.)
La profondità esprime, invece, il numero di referenze (termine che
identifica un prodotto preciso) presenti in ogni sottofamiglia (p.e. nel
reparto del materiale elettrico troviamo pile a stilo di tipo AA, di tipo
AAA, pile a mezza torcia e così via, raggruppate magari per marca).
Capite già che diverse possono essere le caratteristiche del PDV
secondo le diverse combinazioni tra ampiezza e profondità.
Prima di tutto ricordate che la scelta del tipo del tipo di PDV, anche
di una stessa merceologia, si fa in genere bilanciando l’interesse tra
la prossimità, il fatto che il negozio sia vicino e raggiungibile senza
difficoltà, e l’attrattività, ovverosia la particolare composizione
dell’assortimento, tale da attrarre gli acquirenti anche in PDV situati
in aree lontane. Vediamo ora le diverse possibilità di combinazione.
24
a) Assortimento ampio e gamma poco profonda
In questo caso, la scelta è di rispondere al maggior numero possibile
di esigenze di acquisto, però a scapito della possibilità di scelta.
Prendiamo come esempio il reparto cucina: vi si troveranno diversi
tipi di pentole, ma soltanto un paio per ogni tipo. Un’offerta di questo
genere è tipica di alcuni ipermercati e supermercati; che grazie al
numero ridotto di referenze per ogni categoria di prodotto riescono
a ottenere rotazioni molto elevate. L’archetipo di questa formula è
rappresentato dal punto di vendita tipo convenience store, cioè dal
negozio di prossimità, “di comodità”, o “di pronto soccorso”, che per
via di questo servizio reso alla clientela difficilmente pratica una
politica di prezzi scontati.
b) Assortimento ampio e gamma profonda
In questo caso, la scelta è di rispondere a gran parte delle esigenze
di acquisto della clientela-obiettivo, offrendo nel contempo un’ampia
scelta di prodotti nell’ambito di ogni categoria merceologica (e
quindi numerose taglie, tinte, marche, qualità).
Riprendendo come esempio le pentole, vi si troveranno tutte le
marche più importanti e poi le pentole in alluminio leggero o più
spesso, quelle in smalto, quelle decorate, quelle rivestite in teflon,
eccetera.
Questa offerta è tipica del grande magazzino a reparti. Soddisfa
sicuramente tutte le esigenze di acquisto. Ma la sua gestione è
estremamente pesante.
c) Assortimento ristretto e gamma poco profonda
Siamo in presenza di un’offerta merceologica specializzata, ma
con un’ampiezza di scelta assai limitata. Si tratta di casi un po’
particolari: il concessionario di auto che tratta una sola marca
con pochi modelli, o il venditore ambulante che vende alcuni tipi
soltanto di frutta, oppure il venditore di pentole collocato tra due
grandi magazzini e che vende sempre gli stessi tre modelli.
È un tipo di offerta che va sparendo. Il commercio, infatti,
punta sempre più sulla despecializzazione (o piuttosto sulla
multispecializzazione), oppure su una specializzazione molto spinta
(tutti i tipi di rivestimenti per pavimento, tutti i tipi di formaggi
pregiati, la viennoiserie, il giardinaggio, etc.).
d) Assortimento ristretto e gamma profonda
Questa offerta merceologica è tipica dei punti di vendita specializzati.
Riesce a soddisfare una varietà limitata di esigenze, ma con un arco
di scelte molto ampio.
Riprendiamo ancora una volta l’esempio dei casalinghi per la
cucina. In questo caso, avremo un negozio specializzato in questa
merceologia, che offrirà una scelta altrettanto vasta di quella di un
grande magazzino a reparti, e talvolta superiore.
In funzione delle diverse scelte, differenti saranno le strategie di
comunicazione sul PDV, compresa la progettazione del materiale
espositivo e il vero e proprio POP.
25
Marketing
Marketing
6.2. Il Layout
I paragrafi dedicati al super e all’ipermercato vi hanno già mostrato degli
esempi di layout. L’ambito di questo concetto comprende, quindi:
a) la definizione della superficie espositiva;
b) l’assegnazione dello spazio di vendita ai differenti reparti;
c) la disposizione dei reparti,
d) la disposizione delle strutture e delle vie d’accesso.
In breve, si stratta di decidere quanta superficie assegnare alle
diverse merceologie, come, disporre le attrezzature espositive e le
varie merceologie. Anche in questo caso, tali decisioni incidono sulle
scelte relative alla comunicazione sul PDV da parte sia della marca
selezionata che della stessa insegna.
Layout delle attrezzature e layout merceologico dovrebbero, perciò:
a) Orientare e disciplinare il flusso della clientela in modo da esporre
ogni visitatore all’intero assortimento del PDV;
b) Facilitare il processo d’acquisto, eliminando nella clientela gli
elementi di resistenza,
c) Affermare l’immagine e sottolineare il posizionamento del PDV;
d) Razionalizzare l’attività logistica e di rifornimento.
Si tratta, in breve, di decidere come sistemare le gondole e i banchi
per i prodotti freschi e congelati e, poi, di assegnare gli spazi alle varie
merceologie. Come vedremo per il display, non ci sono regole che
valgano per tutte le superfici. Si tratta di applicare quel che l’osservazione
empirica e le ricerche ci suggeriscono secondo il comportamento dei
visitatori in quel determinato PDV. Capite , quindi, che molto dipende
dalla tipologia di superficie (negozio specializzato o supermercato, per
esempio), dal bacino di utenza, dalle variazioni del comportamento
d’acquisto nel tempo.
Il gestore di un grosso supermercato, giusto per rimanere nella tipologia
di PDV più comune e frequentata (e più gradita dai consumatori italiani)
deve, perciò, valendosi dei dati forniti dal sistema informativo centrale
grazie all’impiego della codifica con il codice a barre, oggi, con il sistema
RFID, nel futuro prossimo venturo, può decidere come assegnare quali
porzioni di superficie a quali merceologie, puntando ad ottimizzare il
giro d’affari del PDV espresso dal cosiddetto “scontrino medio”.
Ci sono, comunque, delle regole d’esperienza che possono essere
applicate per conseguire tale obiettivo.
Poco sopra, nel paragrafo 3.1., abbiamo accennato alla tecnica detta
dei “punti focali o dei poli d’attrazione”, impiegata per portare il
visitatore del PDV a visionare la gran parte dei prodotti offerti attirando
la sua attenzione mediante la disposizione di alcune categorie di
essi in determinati punti del fronte espositivo.
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Le linee di prodotto di maggior richiamo per i consumatori sono:
a) gran parte dei prodotti deperibili;
b) i prodotti ad acquisto pianificato;
c) le offerte speciali;
d) i loss leader, cioè prodotti che contribuiscono all’immagine di
convenienza del PDV.
Vediamo ora un insieme di regole empiriche da adattare alle diverse
realtà espositive, per articolare un layout merceologico ottimale.
• l’area in prossimità dell’entrata è destinata solitamente a reparti
che sottolineano il posiziona-mento del punto di vendita (ad
esempio, per enfatizzare l’immagine di convenienza, nei discount i
reparti con prodotti loss-leader vengono posti all’inizio del percorso
della clientela nel negozio);
• le famiglie di prodotti a elevata frequenza d’acquisto e rotazione
sono collocate in prossimità dell’entrata (si ritiene che convenga
far sì che il cliente inizi ad acquistare appena entrato nel negozio,
così da eliminare eventuali resistenze all’acquisto);
• vengono distanziati e non posti in sequenza i reparti con una
elevata capacità di attrazione per evitare aree congestionate (la
stessa soluzione vale per i reparti a scarsa affluenza, onde evitare
aree scarsamente frequentate);
• sono sfruttate le relazioni di complementarietà nell’organizzare
la sequenza dei reparti (in un’ottica di servizio e di stimolo
all’acquisto);
• sono proposti percorsi alternativi (l’organizzazione di un unico
flusso ha delle implicazioni negative sulla clientela);
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Marketing
Marketing
• i prodotti ad acquisto d’impulso sono disposti in prossimità
delle linee a forte richiamo e nelle aree dove è maggiore la
concentrazione del flusso di traffico;
• viene assegnata un’area pregiata ai reparti a carattere
stagionale e ai reparti che stanno registrando consistenti tassi di
espansione del fatturato ed una redditività superiore alla media;
• sono isolati dal flusso principale della clientela i reparti
che offrono prodotti il cui processo d’acquisto è articolato e
richiede riflessione;
• la diversa produttività delle aree di vendita è coordinata con la
diversa redditività dei prodotti al fine di evitare che prodotti ad
elevato interesse (per il punto di vendita o per il consumatore) si
concentrino nelle aree di maggiore produttività o, viceversa, che
prodotti marginali si trovino in aree di scarsa produttività;
• l’attenzione agli aspetti logistici ed ai costi di rifornimento porta
ad ubicare i prodotti deperibili, i prodotti pesanti e di grossa
dimensione (come ad esempio i detersivi) il più vicino possibile
all’area in cui sono immagazzinati.
Il PDV deve essere in ogni caso agevolare la decisione di acquisto
del visitatore fornendogli le giuste informazioni ( sul prezzo, sulla
qualità, ecc.). Come già è stato posto in evidenza, la logica di base
del layout merceologico consiste nel costruire delle aggregazioni
merceologiche finalizzate alla soddisfazione di specifici bisogni
della domanda. Le regole espositive sono alquanto semplici, mentre
la difficoltà consiste nella scelta del criterio più adatto alle diverse
caratteristiche merceologiche dell’ offerta, alle specificità del bacino di
utenza, cioè della domanda, e al contesto competitivo. L’assortimento
viene disposto lungo gli scaffali seguendo una connessione logica tra
reparto/settori/famiglie/prodotti. Il legame tra le diverse componenti
dell’assortimento può essere di affinità merceologica, di occasione
d’uso, di tipo persuasivo, ecc.
Il primo consiste nel disporre i prodotti in modo da seguire un ordine
dato da un’affinità di origine, natura, o modo di conservazione.
Tale criterio agevola l’individuazione del prodotto, pertanto si
rileva particolarmente adatto all’esposizione di prodotti ad acquisto
programmato.
Il criterio del momento d’uso (o occasione d’uso) propone una logica di
aggregazione basata su un eventuale utilizzo comune dei vari prodotti.
Infatti, il consumatore sarà aiutato nella scelta e apprezzerà le soluzioni
in cui tutti gli articoli, legati da una «parentela» di utilizzazione,
sono raggruppati in sezioni omogenee. La clientela in generale
apprezza che la disposizione rispecchi un ordine logico, funzionale
alle sue esigenze. La presentazione può conferire uno stimolo ulteriore
all’acquisto: risulta così particolarmente efficace nel caso dei prodotti
complementari (p.e. Latte – zucchero – biscotti)
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Il criterio della movimentazione suggerisce di rendere dinamica
l’esposizione, introducendo elementi di rottura allo scopo di evitare
che il cliente risulti annoiato da un’esposizione piatta e uniforme. La
soluzione non è semplice, in quanto in definitiva si tratta di equilibrare
due esigenze
contrapposte: quella di facilitare la ricerca del prodotto con
un’esposizione semplice, lineare, chiara e quello di rompere la
monotonia, creando degli stimoli che rinnovino l’interesse del
consumatore.
Se avete fatto la spesa in supermercati di diverse insegne, avrete notato
che si possono seguire criteri diversi a seconda delle superfici, delle
diverse ubicazioni dei PDV e anche secondo le vocazioni più o meno
orientate al cliente. Si ritiene, per esempio, che l’utilizzo del layout a
griglia nei supermercati sia troppo costrittivo e impedisca una visione
ampia e immediata dell’offerta del PDV.
Per questo le insegne più sensibili alle esigenze del cliente combinano
le classiche gondole del sistema tedesco con esposizioni a isola (v. figura
nella p. seguente), come è il caso di un nuovo PDV Coop del quale vi
parlerò più avanti.
Per finire, vediamo come si può verificare l’efficacia di un determinato
layout.
A parte le verifiche di carattere economico-finanziario e le comparazioni
degli scontrini-medi, la tecnica di ricerca comunemente impiegata
analizza il flusso del traffico nei diversi reparti e tra le gondole mediante
il conteggio dei passaggi, degli acquisti e delle operazioni intermedie per
ottenere i seguenti indici di valutazione.
1 L’indice di passaggio:
numero di persone che passano di fronte ad un reparto o una famiglia
di prodotti/numero di persone entrate nel punto di vendita x 100
2 L’indice di interesse:
numero di “arresti”/numero di passaggi x 100
3 L’indice di manipolazione:
numero di “prese in mano”/numero di arresti x 100
4 L’indice d’acquisto:
numero di acquisti/numero di “prese in mano” x 100
5 L’indice di attrazione:
l’indice di acquisto/l’indice di passaggio x 100
In tal modo è agevole confrontare l’andamento degli acquisti stimolato
da un certo layout, confrontandolo con i risultati ottenuti con un
altro tipo di sistemazione merceologica, mantenendo, ovviamente, i
presupposti di base (p.e. comparare flussi di traffico nelle stesse fasce
orarie di giorni critici come il sabato o il venerdì).
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Marketing
Marketing
6.3. Il display
Penso che ognuno di voi abbia riscontrato, in occasione di acquisti in un
supermercato, quanto mutevole sia la disposizione delle referenze negli
scaffali. In alcune insegne, notiamo quanto siano immediatamente
visibili i prodotti con il marchio dell’insegna stessa (Coop) o con un
marchio di fantasia che non fa parte delle grandi marche (perché in
realtà appartiene all’insegna, p.e. “i tesori dell’arca” del gruppo PAMPanorama). In altre notiamo subito i prodotti di marca. In altre ancora
si tende a dare particolare evidenza a prodotti piuttosto convenienti (i
cosiddetti “primi prezzi”).
La stessa considerazione vale per la sistemazione relativa al lineare,
vale a dire al centro o agli estremi dello scaffale.
Le decisioni sull’allocazione delle referenze sullo scaffale, secondo
le direttrici verticale (“altezza occhi”, “altezza mani”, “altezza
suolo”) sono critiche tanto quanto quelle relative al layout. Anche
in questo caso, la combinazione dell’osservazione empirica, delle
ricerche sul comportamento d’acquisto, dell’esperienza del gestore del
PDV e di raffinati calcoli economico finanziari sui margini di profitto
ottenibili dai diversi modi di esposizione portano a scelte che possono
essere diverse non solo tra insegna e insegna ma anche tra i PDV di
ognuna di esse.
Non dimentichiamo, poi, le politiche di collaborazione con le marche
industriali o la volontà di privilegiare le proprie marche (le private label
o marche private).
In genere, per quanto riguarda l’altezza suolo, si preferisce esporvi
articoli di forte attrazione o quelli più necessitati (sempre buoni per
ravvivare gli “angoli morti” come olio, zucchero, sale. detersivi etc.),
tra l’altro portano il visitatore ad abbassare gli occhi ed a percorrere
con lo sguardo lo spazio espositivo ; prodotti voluminosi e confezioni
giganti; confezioni a leggibilità verticale.
La “signora Maria” percorre, quindi, circa due metri ogni secondo
durante la fase di osservazione dell’offerta: un ottavo di secondo per
prodotto, circa. Occorre attirare subito la sua attenzione perché possa
visionare al meglio l’offerta del PDV. Ovviamente le referenze disposte
ad “altezza occhi” sono quelle più evidenti, per cui lì saranno esposte le
marche privilegiate dalla politica dell’insegna o del PDV, quei prodotti
che possono portare a un acquisto non pianificato, che non abbisogna
di ponderazione o addirittura d’impulso. Tutto dipende dalla posizione
dello scaffale secondo le decisioni inerenti al layout.
Fondamentale, quindi, se non indispensabile, una politica di
comunicazione sul PDV orientata all’impiego di materiale POP per
dare enfasi a determinate referenze o famiglie di beni, secondo gli
obiettivi promozionali dell’insegna o della marca industriale.
Un semplice cartellino posto ortogonalmente rispetto allo scaffale (il
cosiddetto stopper), è in grado di attrarre l’attenzione del visitatore. Se
contiene un’indicazione o un’offerta allettante (un taglio prezzo, per
esempio) può diventare tanto interessante da portare all’acquisto.
Pensiamo allora ad altro materiale studiato in modo da sollecitare
l’attenzione dei visitatori secondo le note leggi della percezione e
ci rendiamo conto dell’importanza della progettazione di un buon
designer grafico nel tentativo di rendere più attrattivo un PDV e la sua
offerta.
Prima di passare all’analisi delle iniziative che possono essere promosse
dalla marca industriale per vivacizzare le vendite dei suoi prodotti,
diamo un‘occhiata ad un eccellente esempio di merchandising della
Coop, la più importante insegna, per giro d’affari – e non solo – nel
panorama della grande distribuzione italiana.
› Il concept store “Tutto Coop solo food”.
Per concept store intendiamo un PDV allestito per la completa e coerente
declinazione dell’immagine di una marca mediante l’esposizione dei
suoi soli prodotti in un contesto ispirato ai suoi valori fondamentali
(p.e. vedete i concept store di Diesel e di Timberland). Il coinvolgimento
del visitatore è perciò ovvio e certamente maggiore rispetto a quello
stimolato da un normale PDV.
Coop Consumatori Nordest ha realizzato Tutto Coop Solo Food, nuovo
concept store incentrato sui prodotti a marchio Coop, che coprono il
100% dell’offerta. Luogo d’esordio è Parma, all’interno del centro
commerciale Euro Torri, struttura fino a ieri con un profilo d’offerta
esclusivamente non food.
Sui 200 mq di superficie di vendita del nuovo PDV, collocati appena
dopo l’ingresso principale, sono esposte circa 1.000 referenze,
rappresentative di tutte le famiglie merceologiche coperte dall’offerta
a marchio Coop.
La velocità media di percorrenza del visitatore è di circa 2 km all’ora.
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Marketing
Marketing
L’assortimento si concentra sui prodotti alto vendenti, fornendo
un’elevata visibilità tanto al prodotto quanto ai relativi accessori.
Particolare attenzione è stata posta agli articoli per l’infanzia e per
celiaci, oltre che a quelli tipici e del territorio, come dimostra l’offerta di
birre artigianali e di etichette di pregio. Disponibile anche una buona
scelta di piatti pronti freschi preparati
nel laboratorio del vicino Ipercoop.
Con un layout semplice e informale e un’atmosfera quasi “casalinga”,
Tutto Coop Solo Food vuole offrire ai suoi frequentatori un’atmosfera più
intima e votata all’eccellenza, nella quale rapidità nel fare la spesa,
qualità dei prodotti e occhio al risparmio non sono concetti antitetici.
Per maggiore chiarezza, il display del negozio non utilizza la consueta
suddivisione per famiglia merceologica, bensì le diverse linee che
segmentano l’offerta di prodotti a marchio Coop: Viviverde, Fior fiore,
Solidal etc.,vengono singolarmente valorizzate, nei diversi scaffali, per
dare maggior risalto ai contenuti valoriali di ogni singolo sottobrand.
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7 Il merchandising della marca industriale
Ricordo di aver notato, mentre stavo facendo le spese in un
supermercato, un paio di signori che disponevano con cura un grosso
espositore di cartone colorato con diversi prodotti a base di cioccolato
in un’area prossima alle casse. Si trattava di due merchandiser della
Ferreo che stavano allestendo un floor stand decorato con i marchi
esposti (da Duplo a Kinder Bueno, da Pocket Coffee ad altre declinazioni
delle famose merendine della marca di Cuneo). Questa tipologia di
display (in questo caso usiamo il termine come generico indicatore di
tutte le soluzioni cartotecniche idonee a contenere ed esporre diverse
referenze di uno o più marchi) consiste in un grosso cartone che, una
volta, aperto di trasforma da contenitore, ottimo per la conservazione
e il trasporto, a espositore. La collocazione fuori degli scaffali permette
una forte visibilità ed una notevole capacità di attrarre l’attenzione del
consumatore, facilmente coinvolgibile in acquisto d’impulso.
I due funzionari commerciali lavoravano ovviamente in base ad un
accordo tra Ferrero e Coop ed erano tanto attenti quanto esigenti nel
sistemare il display nel luogo stabilito e sicuramente saranno tornati
diverse volte, durante il periodo concordato, per verificarne il buono
stato nonché la sostituzione delle referenze acquistate, in modo da
presentarlo sempre pieno.
Avete capito che la presentazione attiva dei prodotti riguarda, a maggior
ragione, anche l’industria di marca, che negozia costantemente con
la distribuzione per ottenere un vantaggio espositivo a favore della
propria offerta.
I merchandiser di Ferrero, molto precisi e agguerriti, pretendono
dall’insegna il rispetto puntuale degli accordi perché sono consapevoli
dell’importanza della comunicazione sul punto di vendita per
incrementare gli acquisti dei consumatori.
Se torniamo ai brani citati nelle prime pagine, notiamo che negli anni
’60 bastava esporre i prodotti sugli scaffali per ottenere una reazione
positiva da parte del visitatore. Allora si veniva da periodi di penuria
di beni, per cui ci si contentava facilmente di quel che si trovava in quei
luoghi dove la merce faceva parte di un nuovo spettacolo.
Oggi il consumatore/cliente è molto più esperto e selettivo, avendo
maturato la propria esperienza di acquisto in un periodo di saturazione
del mercato segnato da una forte competizione tra le marche, comprese
le private label, così la sua attenzione deve essere catturata, il suo interesse
stimolato, il suo comportamento disciplinato grazie alle tecniche
espositive curate dalle insegne, esaminate nel capitolo precedente,
ma anche grazie ad iniziative delle marche industriali, le cosiddette
strategie push, cioè di spinta.
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Marketing
Marketing
Con la pubblicità, una marca come la Ferrero attua una strategia di
attrazione verso la marca, detta strategia pull, motivando il consumatore
all’acquisto. Ma, una volta nel PDV, questi trova altre marche
concorrenti, Mulino Bianco tra tutte, e può decidere un acquisto a loro
vantaggio. Occorre perciò un insieme di iniziative che “spingano” la
marca Ferrero verso il potenziale acquirente, completando l’opera di
persuasione iniziata con la pubblicità che, come sappiamo, lavora sugli
atteggiamenti sedimentando un’immagine favorevole della marca nel
vissuto dei consumatori. La combinazione di strategie push e pull è la
soluzione ottimale per ottenere buoni risultati sui PDV.
Passiamo, ora, ad alcuni esempi di POP di marche molto note.
Ecco un esempio di floor stand,
espositore appoggiato al pavimento
per i “Baiocchi” di Mulino Bianco.
Notate la forma dell’espositore
(tenete conto che nel gergo,
qualsiasi tipo di espositore viene
anche detto display) che ricorda
quello dell’incarto. Spesso questo
tipo di iniziativa è in funzione
del lancio del prodotto, proposto
magari con una promozione di
prezzo. La posizione preferita è in
prossimità delle casse, oppure in
un angolo bene in evidenza nello
spazio del layout dedicato alla
categoria.
Questo espositore di Negroni non
mostra dei prodotti, ma un regalo
ottenibile con una collezione o
raccolta punti.
Gli “Sgranocchi” di Mulino
Bianco, promossi sul PDV con una
locandina, folder da distribuire
e uno stopper (in basso), cartellino
da sistemare sullo scaffale in
prossimità del prodotto per
catturare l’attenzione del visitatore
e, “stopparlo” affinché valuti
l’offerta.
Ecco un esempio di crowner, da sistemare sopra lo scaffale, ovviamente
nella categoria “prima colazione”. Ha il compito di attirare l’attenzione del
visitatore quando si trovi in prossimità della categoria.
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Marketing
Marketing
Un esempio di “strutture fredde”, frigoriferi da esposizione decorati
con il marchio Motta.
Molto interessante questa in store promotion multimarca di Nestlé, tutta
dedicata alla category “prima colazione”.
Una in store promotion di Buitoni che presenta diverse applicazioni di POP.
8. Per finire... dove andremo a finire?
Durante il IV Consumer & Retail Summit (Milano, 12 ottobre 2010), sono
stati evidenziati alcuni trend di consumo nel mondo e in Italia.
Dieci i cambiamenti che si rifletteranno maggiormente nel nostro Paese:
1. meno importanza del mainstream, cioè delle tendenze medie, verso
una polarizzazione dell’offerta tra convenienza e lusso (trading
down – trading up)
2. più attenzione al benessere;
3. crescente ruolo decisionale delle donne;
4. invecchiamento della popolazione;
5. crescita dei prodotti verdi e biologici;
6. più importanza del (poco) tempo libero;
7. connettività e social network;
8. richiesta di prodotti personalizzati;
9. aumento dell’immigrazione;
10. un miliardo di consumatori in più nel mondo, che, piaccia o
meno, ci sottrarranno risorse.
Per quanto riguarda la distribuzione, assisteremo senz’altro a una
valorizzazione dei negozi di prossimità, alla specializzazione di piccole
superfici, all’incremento dell’offerta di tipo etnico.
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Marketing
› La riscoperta dei negozi di prossimità
Donne che lavorano, invecchiamento della popolazione, crescita dei
single, aumento della benzina e conseguente riduzione dell’uso delle
auto: tutti fattori che spingono con sempre maggior vigore l’affermazione
di formule di vendita con un forte contenuto di servizio. È il nuovo volto
della prossimità nel contesto europeo, sempre più “ispirata” al modello
inglese di convenience, che, soprattutto le insegne francesi -Carrefour e
Monoprix in testa, cui si aggiungono firme come Billa e Delhaizengroup e
Louis Delhaize- stanno traducendo in nuove segmentazioni, differenziate
per location, prezzi, porzioni di assortimento e servizi.
L’assortimento – tipo punta su confezionati refrigerati e pronti da cuocere
e da mangiare, oltre a frutta e verdura venduta a 1 euro al chilo.
› Un caso italiano di negozio di prossimità
Resistono nel tempo quei negozi della tradizione che hanno saputo
evolvere in parallelo con gli stili di vita. Dino Abbascià e i suoi fratelli
hanno creato il Frutteto, in Corso di Porta Nuova 48, che già a fine
anni ‘80 proponeva verdure prelavate e tagliate, macedonie, mini frutti
esotici e che ha continuato ad affiancare i clienti con innovativi servizi,
giunti fino all’organizzazione di vegetable party e catering originali.
La sua evoluzione oggi include anche la spesa on line, resa possibile
dall’implementazione di tecnologie sofisticate, che consentono, tra
l’altro, l’acquisto by web tramite lo shop valet, un software che permette al
cliente di “vedere” e scegliere da casa propria il prodotto (precisamente
quello): una sorta di shopping in videoconferenza.
Oltre a ciò, il cliente può avvantaggiarsi dell’ampliamento
dell’assortimento virtuale di 1.500 referenze (a prezzi competitivi,
poiché “agganciati” a un centro di distribuzione locale), che include la
consegna gratuita a domicilio.
Avete visto? Un negozio tradizionale si adegua al cambiamento e
compete con le grandi insegne. Grazie ad una intelligente applicazione
delle tecniche di marketing.
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