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Nata due volte
Vittorio Cariati
L’avventura bella della Ammonia Casale
Consulente
di Direzione
“
L’Ammonia Casale SA (ACSA) fu fondata nel 1921 da Luigi Casale, un chimico italiano che aveva sviluppato un
processo catalitico per la sintesi dell’ammoniaca da azoto e idrogeno. Il processo Casale era in diretta concorrenza con il processo Haber-Bosch messo a punto a partire dal 1909 presso la Basf in Germania. Inoltre il processo Casale, contrariamente al processo Basf, era l’unico disponibile commercialmente sul mercato e ciò a
quel tempo gli assicurò un notevole successo.
Alla fine della seconda guerra mondiale, allo scadere dei brevetti originali sulla sintesi dell’ammoniaca, l’economia europea si trovò in condizioni disastrose. A quel punto molte società nordamericane ebbero accesso a
documentazione tecnica riservata della Germania conquistata e poterono sviluppare nuovi efficienti processi
di sintesi dell’ammoniaca sviluppando nuovi catalizzatori, riprogettando i reattori e l’intero loop di sintesi.
Pertanto, nuovi competitori arrivarono sul mercato, Kellogg, Chemico, C.F. Braun, ICI, Haldor Topsoe, che si unirono agli storici Basf, Uhde, Montecatini e Casale.
Ammonia Casale, deceduto nel frattempo il fondatore Luigi Casale, si trovò in serie difficoltà perché non disponeva di mezzi e risorse per affrontare le impellenti necessità di ricerca e sperimentazione necessarie per fronteggiare una simile rivoluzione tecnologica e pertanto si avviò verso un rapido declino.
Nel 1976 Ammonia Casale fu ceduta al gruppo Altech e ciò ha rappresentato una vera rinascita. Il nuovo efficiente management ha guidato la società al successo, innovando innanzitutto il catalizzatore e il disegno del
reattore, ma soprattutto attraverso una strategia vincente di marketing indirizzata al revamping degli impianti di sintesi ammoniaca esistenti, indipendentemente da quale fosse il processo originale adottato.
Il resto è sotto gli occhi di tutti gli addetti del settore.
Born twice: the amazing adventure of Ammonia Casale
Ammonia Casale was founded in 1921 by Luigi Casale, an Italian chemist and industrialist who developed a catalytic process for the synthesis of ammonia from nitrogen and hydrogen.The Casale process was in direct competition with the
Haber-Bosch process, developed around 1909 at Basf in Germany.
Contrary to the BASF process, Casale’s process was the only one offered on the market, and this secured a substantial
success at the time.
At the end of World War II, the original patents on ammonia synthesis had expired, and the European economy
was in disarray. A number of American Companies, having access to the confidential technical documents of conquered Germany, developed improved ammonia synthesis processes by redesigning catalysts, reactors and the
whole synthesis loop.
New competitors also came on the market, such as Kellogg, Chemico, C.F. Braun, ICI, Haldor Topsoe, joining the existing
ones: Basf,Uhde ,Montecatini and Casale.
In the meantime, Luigi Casale being dead,Ammonia Casale ran into serious economic difficulties; the company didn’t have
the resources needed to face the urge of implementing the research and development so as to cope with such a technical revolution, and therefore drew towards a rapid decline. Ammonia Casale was then sold in 1976 to the Altech Group,
and this turned out to be essentially a rebirth.The new efficient management led the Company to success by innovation
in catalyst performances, reactor design, and through the winning marketing strategy focused on the revamping of existing ammonia synthesis plants, regardless of the process originally adopted. Everything else is under the eyes of the
technical community engaged in this field.
Questo articolo è un altro capitolo della (auspicata) “Storia dell’ingegneria e impiantistica italiana”.
Ma cosa c’entra una società svizzera con le società di ingegneria
e impiantistica italiane? C’entra, eccome!
Leggete e saprete …
Contrariamente al solito, questa volta il mio ruolo è solo quello del
giornalista, sia pure contiguo per comunanza di lavoro e amicizia,
e pertanto informato dei fatti, dei due protagonisti assoluti della
seconda nascita della Ammonia Casale, l’ingegner Franco
Salimbeni e l’ingegner Umberto Zardi.
”
L’ammoniaca e la chimica
Il passaggio dall’alchimia alla chimica è stato lungo e lento ed è
difficile individuare l’innovazione decisiva che segni il passaggio
dall’una all’altra.
È necessario innanzitutto ricordare che fu Justus von Liebig a
metà ‘800 a scoprire che il fattore nutritivo delle piante,
responsabile primo delle produzioni agricole, è costituito da
sali minerali a base di azoto, fosforo e potassio: il problema era
quello della loro disponibilità in gran quantità. I primi concimi
furono prodotti naturali ricchi di tali sostanze (basti ricordare
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il guano del Perù).
Ma la svolta che pertanto segna, a mio avviso, la
nascita della chimica moderna, è la sintesi dell’ammoniaca, che ha rapidamente portato alla produzione massiccia dei fertilizzanti azotati da cui è
derivato l’enorme incremento di produzione alimentare e, di conseguenza, di popolazione
umana. Non si deve dimenticare, peraltro, che la
sintesi dell’ammoniaca ha anche permesso lo sviluppo della produzione di acido nitrico, materia
prima per la produzione di esplosivi, in quantità
mai prima registrate nel corso della storia dell’umanità.
Vien fatto di pensare che l’ammoniaca stia alla
chimica come la leva sta alla meccanica.
L’ammoniaca veniva prodotta all’inizio per
decomposizione della calciocianamide, processo costoso e poco pratico. Ma già nel 1913 l’industria tedesca (Basf) era arrivata alla produzione dell’ammoniaca per sintesi a partire dagli
elementi: far reagire una molecola di azoto con
tre di idrogeno e sintetizzare così due molecole di ammoniaca. A quel tempo l’idrogeno era
ottenuto esclusivamente per elettrolisi dell’acqua, sottoprodotto della produzione di ossigeno, mentre l’azoto proveniva dalla distillazione
dell’aria liquida.
I primi esperimenti riusciti di sintesi dell’ammoniaca secondo criteri moderni sono avvenuti a
opera di Friz Haber e Carl Bosch nel 1909 a
Karlsruhe presso i laboratori della Basf, che agli
inizi del ‘900 era la più grande e importante
società mondiale, attiva in tutti i campi della chimica. Per questo lavoro Haber e Bosch sono stati
insigniti del Premio Nobel per la chimica.
Sono passati cento anni da questo evento essenziale non solo per la chimica, ma per la soluzione
del fondamentale problema dell’alimentazione
umana. Purtroppo, mi pare che a nessuno sia
venuto in mente di ricordare, fra i tanti, anche
questo centenario.
Nei due decenni successivi la Basf fu in grado di
industrializzare il processo e di produrre un catalizzatore commercialmente valido. Seguendo gli
stessi principi, altre tre società (Uhde, Casale e
Montecatini) furono presto anche loro in grado
di realizzare la sintesi dell’ammoniaca a partire
dagli elementi, contribuendo così alla nascita della
chimica moderna.
Si è trattato di una vera rivoluzione della tecnica:
mai prima di allora si era condotta una reazione
chimica ad alta temperatura e pressione (almeno
600°C e 400 atm): era nata la tecnologia dell’alta
pressione. Ancora oggi il processo è sostanzialmente immutato: reazione di azoto e idrogeno
ad alta temperatura (400-500°C) e alta pressione (almeno 100 atm) in presenza di un catalizzatore a base di ferro.
In effetti, il catalizzatore rappresentò inizialmente
lo scoglio più difficoltoso. Furono sperimentalmente provate migliaia di composizioni diverse,
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utilizzando molti degli elementi della tavola periodica, fino a individuare la prima soluzione efficace:
ferro con pochi percento di allumina e tracce di
potassio.
Anche il materiale del reattore costituì inizialmente un grave ostacolo allo sviluppo del processo a causa dell’attacco dell’involucro da parte
dell’idrogeno ad alta temperatura e pressione,
che concedeva all’apparecchiatura poche decine
di ore di funzionamento. La soluzione fu quella di
sfruttare la differente diffusione dell’idrogeno nei
materiali ferrosi utilizzando un involucro esterno
di acciaio al carbonio con un rivestimento interno di ferro dolce: una serie di piccoli fori nell’involucro permettevano l’uscita del poco idrogeno
che si incuneava fra rivestimento e involucro.
L’impianto pilota alla Basf di Ludwigshafen del
1911 produceva 25 kg/giorno di ammoniaca; alla
fine del 1912 si era arrivati a 1 t/giorno, mentre
un anno dopo a Oppau un nuovo stabilimento
(che utilizzava l’idrogeno prodotto dal gas di sintesi ottenuto da lignite) produceva già 25 t/giorno di ammoniaca.
La procedura messa a punto dall’industria tedesca è però rimasta di esclusiva proprietà della
Basf e, oltretutto, segreta per lunghi anni malgrado la sconfitta della prima guerra mondiale e le
meticolose ispezioni agli impianti tedeschi da
parte di studiosi delle potenze vincitrici. Pertanto,
questi successi destarono enorme interesse in
tutto il mondo e partì una gara per imitare o
migliorare il processo Basf, dato che quest’ultima
si era sempre rifiutata di licenziarlo a terzi.
In Germania la sola azienda che riuscì nell’impresa fu la Uhde nel 1925; nel 1928 il primo impianto industriale da 100 t/giorno di ammoniaca con
tale tecnologia fu costruito presso la miniera di
carbone di Mont Cenis. Inizialmente, per vincoli
brevettuali, la Uhde dovette operare in condizioni operative lontane da quelle ottimali della Basf
ma dopo la decadenza dei brevetti di quest’ultima, il processo fu notevolmente migliorato e nel
1939 esistevano già 29 impianti costruiti su tecnologia Uhde.
La reazione
La sintesi dell’ammoniaca a partire da idrogeno e
azoto è, sulla carta, una semplice reazione esotermica, praticamente senza produzione di sottoprodotti. A bassa temperatura le concentrazioni
all’equilibrio sono spostate verso l’ammoniaca
mentre la velocità di reazione è favorita dall’alta
temperatura. Inoltre, trattandosi di reazione con
diminuzione di volume, l’equilibrio è tanto più
spostato verso l’ammoniaca quanto maggiore è
la pressione di esercizio.
Il problema che si è subito palesato è stato quello di ottenere un equilibrio fra il calore di reazione (da asportare) e il calore per il riscaldamento
dei gas entranti (da fornire): l’apparecchiatura
ideata per assolvere contemporaneamente tutti
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e due i servizi era pertanto un apparecchio assolutamente innovativo per l’epoca, sintesi di un
reattore e di uno scambiatore di calore.
Il reattore
Ecco quindi che il reattore risulta un apparecchio
complesso, progettato per mantenere la reazione isoterma mediante lo scambio di calore fra
prodotti e reagenti. Il primo reattore era costituito in pratica da più tubi concentrici (di cui uno
ripieno di catalizzatore) per realizzare lo scambio
termico in controcorrente; il percorso longitudinale dei gas lo fece definire “a flusso assiale” per
distinguerlo da quelli successivi che, come vedremo, per ottimizzare il consumo di energia tenderanno sempre più ad adottare un flusso radiale
fra uno strato e l’altro di catalizzatore.
Il disegno e le dimensioni dei primi reattori erano
determinati da limitazioni metallurgiche in quanto l’idrogeno ad alta temperatura ha causato problemi notevolissimi ai primi ricercatori. L’alta pressione e la bassa resistenza ad alta temperatura
dei materiali ferrosi dell’epoca imponevano un
limite al diametro dell’apparecchio, mentre la perdita di carico imponeva un limite alla lunghezza
del reattore e quindi alla quantità di catalizzatore
e alla relativa capacità di produzione. Pertanto, i
primi reattori erano costituiti da lunghi tubi verticali e, per raggiungere le produzioni sempre più
elevate richieste dall’industria, si imponeva l’uso di
batterie di reattori e dei corrispondenti compressori (figura 1 e figura 2).
Il catalizzatore
La scelta delle condizioni operative, pressione,
temperatura, velocità spaziale sono state determinate inizialmente dall’efficienza (limitata) dei
primi catalizzatori. Man mano che si realizzavano
catalizzatori più efficienti, è stato possibile abbassare la pressione di esercizio, aumentare quindi il
diametro del reattore e incrementare così la produzione per treno di reazione. Per ridurre il consumo di energia di compressione (riciclo e alimentazione), occorreva senz’altro incrementare
al massimo l’attività del catalizzatore con opportune correzioni della miscela e aumentarne la
superficie attiva riducendo la sua pezzatura.
Maggiore attività significa, a parità di altre condizioni, minore pressione di esercizio, minore volume di catalizzatore e quindi minore perdita di
carico. In sostanza, si trattava di bilanciare l’aumento delle perdite di carico provocato dalla
riduzione della pezzatura del catalizzatore con il
tipo di flusso, cioè avvicinarsi a un flusso di tipo
radiale che presenta maggiore sezione di passaggio ai gas e minore percorso rispetto ai reattori
assiali.
Da quanto sopra si vede che il primo fattore
determinante per la riduzione dei consumi energetici è la realizzazione di nuovi catalizzatori altamente attivi che permettano una minore pressio-
Fig. 1 - Serie di reattori
di sintesi ammoniaca
negli anni 30-40 del
secolo scorso
Fig. 2 – Sala compressori
presso uno dei 10
impianti Casale in
Francia
ne di esercizio: tali catalizzatori devono soddisfare due condizioni fondamentali: alta conversione
e bassa perdita di carico, che sono entrambe funzione della velocità spaziale e delle dimensioni
delle particelle.
Ottimizzazione
Il problema dell’ottimizzazione degli impianti di
ammoniaca aveva due facce: la riduzione del
costo di impianto e la riduzione dei consumi
energetici.
Osserviamo subito che, per gli impianti ammoniaca l’incidenza del costo dell’energia può arrivare fino al 70% del costo totale di produzione,
ammortamento dell’impianto compreso, ed è
pertanto di gran lunga il componente maggiore
del costo del prodotto. È risultato quindi indispensabile ottimizzare tutti i parametri operativi
per ottenere una riduzione di tale costo.
Come abbiamo visto, i due fattori principali per
ridurre l’incidenza del consumo di energia della
sezione di reazione sono l’attività del catalizzatore, che permette maggiore conversione a parità
di flusso (o minore pressione di esercizio a parità di conversione), e la perdita di carico del reattore, funzione del diametro di passaggio e della
lunghezza del percorso.
Ma molti fattori giocano fra loro per confonderci le idee: ad esempio la riduzione della pezzatura del catalizzatore se, da un lato, ne aumenta la
attività con aumento corrispondente della conversione, dall’altro fa crescere la perdita di carico
e pertanto provoca un aumento del consumo di
energia.
Analogamente, una riduzione della conversione
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per passaggio provoca un aumento del riciclo di
gas, favorisce il controllo della temperatura, ma fa
aumentare le perdite di carico e, in ultima analisi,
il consumo di energia.
In conclusione, la riduzione del consumo di energia per unità di prodotto è il risultato di un difficile compromesso fra attività del catalizzatore,
pressione e temperatura di esercizio, riciclo di
gas, pezzatura del catalizzatore, rimozione e recupero del calore di reazione regolando il percorso dei gas nel reattore.
La riduzione del costo di impianto sarà conseguenza di quanto sopra e si verificherà in maniera imponente solo con la realizzazione dei primi
reattori di grande diametro, che permetteranno
produzioni elevate con un solo loop di sintesi.
I differenti processi richiedono oggi da 6,5 a 8
m.m .kcal per tonnellata di ammoniaca liquida a
–33 °C; se si considera che l’energia contenuta
nel prodotto è di 4,2 m.m.kcal, si vede che l’efficienza energetica del processo è tuttora bassa e
c’è pertanto spazio per ulteriori miglioramenti.
Luigi Casale
Luigi Casale nacque a Langosco Lomellina nel
1882, terzo di undici figli di Santino Casale,
amministratore dei beni dei conti di Langosco.
Si laureò in chimica presso l’università di Torino
nel 1908 e vi rimase alcuni anni come assistente e poi come aiuto nell’Istituto di chimica
generale ed elettrochimica. Nel 1912-13 seguì
un corso di perfezionamento all’università di
Berlino con il prof. Nernst, presso il locale istituto di chimica-fisica.
Allo scoppio della guerra del ’14-18 fu inviato a
Napoli presso l’istituto di chimica farmaceutica
come membro di un gruppo di ricerca sui gas
asfissianti, ma un principio di avvelenamento lo
costrinse a interrompere quella attività. Al termine del conflitto tornò all’ammoniaca, progetto al
quale da quel momento in avanti dedicò tutte le
sue energie.
Purtroppo il principio di avvelenamento contratto negli anni di guerra aveva minato la sua salute
per cui nel febbraio del 1927 fu stroncato, a soli
45 anni, da un improvviso collasso.
Di Luigi Casale il prof Miolati scrisse, appena
dopo la sua scomparsa:
È meraviglioso vedere questo giovane uomo,
senza esperienza della vita industriale e
della vita finanziaria, ignaro delle loro sorprese, vincere a una a una le difficoltà; sviluppare un senso tecnico, direi quasi un intuito, di
primo ordine, mostrare di conoscere gli
uomini scegliendosi a uno a uno i suoi collaboratori, porre su sane basi finanziarie la
sua impresa e mantenersi sempre sereno,
modesto e buono, gioioso nell’intimità della
sua famiglia e nel cerchio di pochi amici.
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Nata la “prima volta”
A Terni alla fine del 1800, sorto nel 1641 per
volere di papa Urbano VIII, era ancora presente
un impianto siderurgico, “La Ferriera”, che però
visse di vita grama fino al 1886 quando Angelo
Sinigaglia assicurò la forza motrice idraulica
necessaria deviando l’acqua del fiume Nera.
Dopo alcuni passaggi di proprietà, nel 1916 “La
Ferriera” prende il nome di Idros e produce
energia elettrica e idrogeno per elettrolisi dell’acqua. L’idrogeno viene utilizzato per i dirigibili della
marina militare ed è così che, probabilmente,
Casale viene a conoscenza delle condizioni estremamente favorevoli presenti a Terni per la sua iniziativa. La presenza contemporanea nello stesso
sito di una società metallurgica, ideale per la realizzazione di apparecchiature di acciaio di grande
spessore, e di un impianto per la produzione di
idrogeno ha certamente costituito un contesto
ideale per la realizzazione dei progetti di Luigi
Casale.
Luigi Casale e sua moglie Maria Sacchi, valente
chimica anch’essa, non disponevano di risorse
personali e pertanto convinsero nel 1919 la Idros
di Terni a realizzare un impianto pilota per la sintesi dell’ammoniaca da 100 kg/giorno, basato sul
loro brevetto.
L’impianto di elettrolisi dell’acqua forniva l’idrogeno successivamente stoccato in un gasometro a
pressione; parte dell’idrogeno veniva bruciato
con aria in modo che l’azoto residuo nella miscela fosse in giusta proporzione per l’alimentazione
all’impianto pilota.
Il catalizzatore è stato un elemento di fondamentale importanza per il successo del processo. Si
partì da ferro trattato a cui si aggiungevano degli
attivatori. Naturalmente furono apportati costanti miglioramenti alla composizione e alla forma
del catalizzatore.
L’impianto fu in grado di produrre ammoniaca
anidra in quanto operava a pressione elevata
(800 atm) e l’ammoniaca era recuperata sotto
forma liquida per semplice raffreddamento a
temperatura ambiente. Il problema del controllo
della temperatura e del conseguente surriscaldamento del catalizzatore, provocato dalla elevata
velocità di reazione dovuta all’alta pressione operativa, fu tenuto sotto controllo da Casale
mediante il riciclo di un po’ di ammoniaca insieme all’idrogeno e all’azoto inviati in reazione.
Un’altra notevole innovazione successivamente
introdotta da Casale fu costituita dall’utilizzo di un
eiettore al posto del compressore di riciclo; il che
semplificava molto lo schema complessivo, ma
imponeva una pressione di esercizio più bassa
(450-500 atm).
Anche il disegno del reattore adiabatico fu notevolmente semplificato.
Nel 1921 Casale ottenne i brevetti per la sua tecnologia e si dedicò alla commercializzazione su
scala mondiale. Il primo passo fu quello di costi-
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tuire una società che disponesse di sufficienti
fonti di finanziamento: non trovando finanziatori
in Italia, ecco la nascita (la prima volta) della
Ammonia Casale S.A. (ACSA) di Lugano, con il
finanziamento della banca Gutzwiller di Basilea.
La costruzione delle apparecchiature per gli
impianti Casale restò localizzata a Terni presso le
realtà locali che, dopo alcuni passaggi di proprietà, nel 1925 finirono per confluire nella SIRI
(Società Italiana Ricerche Industriali). D’allora in
avanti la SIRI costituirà il braccio operativo della
Ammonia Casale S.A. per la realizzazione degli
impianti e la produzione del catalizzatore, mentre
la sede legale resterà a Lugano.
Nel 1922 il primo impianto con tecnologia
Casale fu realizzato in Giappone (figura 3). Il
secondo segue a ruota in Italia, a Nera Montoro,
dietro l’angolo di casa …
Nel 1923 la tecnologia Casale era già adottata
in Italia, Francia, Giappone, Svizzera, Spagna e
Stati Uniti con più di 15 impianti per una produzione totale di 80.000 t/anno di ammoniaca.
Nel 1927, anno dell’improvvisa scomparsa di
Luigi Casale, la produzione mondiale di ammoniaca con tecnologia Casale raggiungeva
320.000 t/anno. Nel 1930 si arrivò al milione di
tonnellate, pari al 60% della produzione mondiale. Globalmente si è trattato di un totale di
200 impianti di ammoniaca realizzati secondo
quella che si può definire la tecnologia Casale di
“prima generazione”: un successo senza precedenti di una tecnologia che all’epoca era, a
ragione, considerata italiana.
Nel frattempo non va dimenticato che nel
1920 un altro geniale inventore italiano,
Giacomo Fauser, partner della Montecatini,
all’epoca la sola grande industria chimica del
paese, realizzò a Novara un piccolo impianto
pilota per la produzione di ammoniaca da 4
kg/giorno. Nel 1922, dopo aver creato la
Società Elettrochimica Novarese (con il supporto di Montecatini), avviò il primo impianto
per la sintesi dell’ammoniaca presso lo stabilimento Ammonia e Derivati di Novara.
L’iniziativa ebbe successo e la Montecatini contribuì così in maniera determinante allo sviluppo dell’agricoltura italiana. Ma anche la
Montecatini seguì la politica della Basf e non
licenziò il suo processo a terzi fino al termine
della seconda guerra mondiale.
Le ragioni del successo iniziale
Il processo Casale ebbe un notevole successo
fino al termine della seconda guerra mondiale in
quanto poteva vantare gli innegabili vantaggi derivanti dalla produzione di ammoniaca anidra e
liquida (conseguenza dell’alta pressione operativa) e dalla semplicità di impianto, determinata
dall’applicazione dell’eiettore per il riciclo della
miscela non reagita. Inoltre, era l’unico processo
disponibile sul mercato per operatori terzi per-
Fig. 3 - Delegazione
giapponese in Italia
negli anni 20 del secolo
scorso; al centro, vestito
di chiaro, Luigi Casale
ché licenziato da una società di ingegneria non
direttamente interessata nella produzione e vendita del prodotto.
Evoluzione del processo
Fra le due guerre la principale innovazione nella
produzione dell’ammoniaca fu la modifica del
processo di produzione del gas di sintesi. A partire dal 1926 si passò progressivamente dall’idrogeno prodotto per elettrolisi dell’acqua come inizialmente realizzato da Basf, Uhde, Casale e
Fauser, al cosiddetto “gas d’acqua”, ottenuto da
gassificazione di carbone o lignite, per arrivare
infine negli anni ’60 allo steam reforming di idrocarburi.
Per l’azoto fu inizialmente tutto più facile perché
si passò rapidamente dalla distillazione dell’aria
liquida (processo di laboratorio), alla combustione di idrogeno con aria in apposito forno, eliminando così l’ossigeno sotto forma di acqua.
Si arrivò infine alla produzione contemporanea di
idrogeno e azoto, per giunta nelle proporzioni
stechiometriche, attraverso la gassificazione in
continuo di carbone, o di idrocarburi, con aria,
ossigeno e vapor d’acqua.
Dopo la seconda guerra mondiale e la decadenza dei brevetti sull’ammoniaca, le grandi società di
ingegneria e contrattistica nordamericane si interessarono al nuovo settore innovando per prima
cosa la produzione del gas di sintesi: erano infatti
dotate di una nuova cultura, quella dell’utilizzo
degli idrocarburi liquidi e gassosi come materia
prima per la produzione della miscela di sintesi.
Lo stesso shock si verificherà per tutta la chimica
che da quel momento in avanti, visto che la
nuova materia prima universale che soppianterà
il carbone sarà il petrolio, prenderà il nome di
petrolchimica. In via esclusivamente esemplificativa e riferita al nostro paese, basti pensare che a
metà anni ’50 lo stabilimento chimico Anic di
Ravenna partiva da acetilene come intermedio
per tutti i derivati, mentre all’inizio degli anni ’60
l’analogo stabilimento Anic di Gela era basato sul
nuovo building block, l’etilene, prodotto dal primo
impianto italiano di steam cracking della nafta.
Il secondo campo di innovazione fu il disegno del
reattore. Come anzidetto, i reattori di “prima
generazione” operavano con flusso assiale per
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Fig. 4 - Evoluzione
del reattore della sintesi
di ammoniaca
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contenere le perdite di carico; il che imponeva un
limite alla pezzatura del catalizzatore, quindi alla
sua superficie attiva e pertanto alla sua attività.
Inoltre, i reattori costituivano un unico apparecchio di scambio termico e di catalisi e quindi di
impossibile manutenzione meccanica.
Agli inizi anni ’60 Kellogg operò una vera rivoluzione tecnologica: reattore sempre a flusso assiale ma con scambiatore gas-gas esterno (cima del
reattore a collo di bottiglia), unico pezzo di facile
rimozione quando deteriorato per la nitrurazione dell’acciaio.
A metà anni ’70,Topsoe introdusse invece il reattore a flusso radiale, che possiamo definire di
“seconda generazione”: esso permette, grazie alla
notevole sezione di passaggio del gas, a parità di
perdita di carico, di ridurre la pezzatura del catalizzatore ottenendo un netto aumento della
superficie catalitica, con conseguente aumento di
conversione e resa a parità di dimensione del
reattore. Il progetto Topsoe dette ottimi risultati,
ma presentava ancora spazio per ulteriori miglioramenti poiché la costruzione era complessa e
c’era una utilizzazione non ottimale degli spazi
interni. Successivamente, dopo la seconda nascita, entrerà in scena l’ACSA con un nuovo reattore definito assiale-radiale dai risultati eccezionali
in termini di perdita di carico (figura 4).
Il terzo campo di innovazione fu rappresentato
dal catalizzatore. Oggi Il nuovo catalizzatore ICI è
a base di ferro con un tenore di 1-20% di cobalto: in tal modo si riduce del 25%, a parità di conAnno XXII N. 5 settembre-ottobre 2009
versione, il volume necessario di catalizzatore. Il
catalizzatore Lummus contiene, come attivatore,
principalmente cerio ed è efficace a temperature
comprese fra 400 e 480 °C.
Data l’elevata attività dei nuovi catalizzatori, è
stato possibile ridurre drasticamente la pressione
di esercizio. In conseguenza, essendo aumentato
a parità delle altre condizioni il volume dei gas in
circolazione, a partire dagli impianti della capacità
di 600 t/giorno, grazie alle condizioni operative
meno proibitive per la metallurgia del reattore, si
arrivò alla marcia con un solo treno di reazione e
quindi all’utilizzo di un solo compressore di riciclo, per giunta di tipo centrifugo. Anche qui la tecnica italiana si distinse perché determinante per
lo sviluppo delle nuove macchine fu il contributo
della Nuovo Pignone di Firenze.
Infine, quarto campo di innovazione, se la reazione di sintesi rimase tecnicamente invariata, a
metà anni ’60 si fece strada il nuovo concetto
di impianto standardizzato (due sole taglie, 600
e 1000 t/giorno) e integrato per quanto concerne il fabbisogno di energia. Si ottennero pertanto grandi riduzioni di consumi energetici e di
costi di impianto
La rivoluzione, iniziata da Kellogg e Chemico per
l’ammoniaca, influenzò immediatamente altre
tecnologie, quali la sintesi del metanolo e dell’urea. Una serie di nuovi attori irruppe sulla scena
dell’ammoniaca quali C.F. Braun, ICI, Topsoe, che
si affiancarono agli apripista e a Basf, Uhde,
Montecatini e Casale.
Nata due volte
Le ragioni del declino
La scomparsa di Luigi Casale nel 1927 non
influenzò, fino al secondo dopoguerra, il successo
del processo Casale.
Durante la seconda guerra mondiale la SIRi, con
i suoi impianti di produzione, non subì danni rilevanti ma alla fine del conflitto mancarono i fondi
per la ricerca, lo sviluppo e il rinnovo dello stabilimento e dei suoi macchinari: pertanto ACSA
non fu in condizione di seguire la svolta della chimica mondiale operata dai grandi contractor
nordamericani mediante gli impianti integrati e
l’utilizzo di petrolio e gas come materie prime. La
situazione diventò critica per ACSA.
In questo periodo la società è stata gestita da un
tecnico, Toselli, collaboratore di Luigi Casale, che
non avendo i mezzi per lo sviluppo del processo
e non essendo un imprenditore, ha vissuto di piccoli interventi di manutenzione e fornitura di
catalizzatore per gli impianti Casale ancora attivi
nel mondo.
Nata la “seconda volta”
È del 1961 la prima entrata in scena dell’ing.
Salimbeni che, all’epoca Direttore Generale di
Snamprogetti, incontra Toselli in relazione all’impianto ammoniaca di Tula (nell’ex URSS) realizzato da Snamprogetti su tecnologia Casale. In occasione di tale collaborazione, e conscio dell’importanza strategica degli impianti ammoniaca per un
grande contractor internazionale, l’ing. Salimbeni
propone per conto di Snamprogetti l’acquisizione di una partecipazione (totale o anche parziale) del capitale di ACSA. In questa fase l’offerta
viene però cortesemente rifiutata.
Con l’avvento di nuove tecnologie a più bassa
pressione idonee per impianti di maggiore capacità e col predominio negli anni ‘60 del contractor americano Kellogg, ACSA ha ormai perso la
sua competitività e per vari anni è praticamente
uscita dal mercato.
Nel 1976 la Società è ormai entrata in una crisi
tecnica e finanziaria dalla quale non sembrava
potesse più risollevarsi.
All’apice della crisi, scomparso purtroppo il figlio,
Toselli padre, memore dei precedenti contatti
con l’ing. Salimbeni, gli propone la acquisizione di
ACSA. A questo punto l’ing. Salimbeni non è più
Amministratore Delegato di Snamprogetti ma ha
costituito un suo gruppo di società di impiantistica, il gruppo Altech, comprendente principalmente contractor italiani (Ingeco Spa) e stranieri
(Ingeco International SA, Ingeco Laing ltd).
Pertanto, avviene la cessione della quasi totalità
delle azioni di ACSA (e di SIRI) alla Altech e viene
immediatamente organizzato il rilancio dell’attività affidandolo alla direzione dell’ing. Umberto
Zardi, valente tecnico con lunga esperienza nel
settore dei fertilizzanti azotati precedentemente
acquisita in Snamprogetti, al quale viene assicurata la collaborazione di esperti del settore.
Ecco quindi che la ACSA è “nata la seconda
volta".. Un gruppo di banche svizzere finanzia
ACSA con un milione di franchi svizzeri (dell’epoca …) per attività di sviluppo tecnologico. Della
vecchia guardia sono rimasti i pilastri tecnici,
Ettore Comandini (processista) e A. Passariello
(catalizzatori), con una decina di collaboratori. La
società sviluppa e mette a punto il nuovo reattore assiale-radiale a bassa perdita di carico. Il risultato, brillantissimo, è sintetizzato nel revamping di
una ventina di impianti anche se originariamente
basati su diversa tecnologia.
Purtroppo nel 1984 la Altech, essendo fortemente impegnata in Iraq con la sua società di
contracting Ingeco International S.A., entra in una
grave crisi a causa della guerra tra Iran e Iraq e,
per far fronte alle esigenze finanziarie, cede le
azioni di ACSA.
La società, con management invariato, ha goduto
della fiducia dei nuovi azionisti appena subentrati
e ha potuto ricompattarsi efficacemente in via
della Posta 4, a Lugano: il gruppo di tecnici di alto
valore messo insieme qualche anno prima ha
riaffermato la validità della società a livello mondiale, con innovazioni epocali nel settore dell’ammoniaca.
La strategia vincente
Sul piano puramente tecnico ACSA riparte con il
nuovo disegno assiale-radiale per il reattore di
sintesi (primo annuncio alla conferenza British
Sulphur “Nitrogen” a Londra nel gennaio 1981).
Questo reattore (definito poi di “terza generazione”) ha rappresentato con successo il cuore della
modernizzazione di numerosi impianti ammoniaca e la sua innovazione è stata da allora applicata
praticamente in ogni tipo di reattore assiale, elevandone considerevolmente le prestazioni.
Ma se, da un lato, l’innovazione tecnologica del
reattore assiale-radiale ha rappresentato un successo tecnico eccezionale, dall’altro probabilmente non avrebbe da sola portato alla rinascita della
società se il management non vi avesse associato
una nuova strategia commerciale risultata vincente. Con i colossi americani ed europei affermati
nel settore, sarebbe stato per ACSA difficilissimo,
se non impossibile, acquisire fin dall’inizio contratti per nuovi impianti di ammoniaca. Pertanto, fin
dagli anni ’80, ACSA ha promosso l’introduzione
del metodo cosiddetto in situ retrofitting per la
modernizzazione dei reattori “a collo di bottiglia”
tipo Kellogg e Chemico mediante i quali avveniva
la maggior parte della produzione mondiale.
Di fatto, questa operazione “chirurgica” ha permesso, in modo estremamente economico, di
portare le prestazioni dei suddetti reattori a livelli che ancora oggi sono paragonabili a quelli dei
reattori di nuova costruzione. Per buona sorte di
ACSA esistevano centinaia di impianti funzionanti da molti anni con basse conversioni e rese, ma
soprattutto con alti consumi di energia, che
Impiantistica Italiana •
Anno XXII N. 5 settembre-ottobre 20099
41
Nata due volte
Fig. 5 – Moderno
impianto di ammoniaca
dell’ASCA
Fig. 6 - Auto Fiat
alimentata ad
ammoniaca. Anno 1935
42
Impiantistica Italiana •
avrebbero certamente tratto vantaggi enormi da
quella che in casa ACSA era ritenuta una modifica semplice ma allo stesso tempo estremamente
redditizia per l’operatore. Ecco l’uovo di
Colombo, una strategia semplice ma efficace, trascurata dai concorrenti, con la quale ACSA ha
affrontato il mercato: “rivampare” gli impianti di
ammoniaca esistenti, qualunque fosse la tecnologia originaria, limitandosi sostanzialmente alla sola
sostituzione di reattore e catalizzatore.
Il primo traguardo importante è del 1984: il
revamping di quattro reattori Kellogg (!) della
C.F.I. americana ha permesso di conseguire un
aumento di resa del 40% e conseguente importante riduzione di consumi energetici specifici e/o
aumento di capacità. Da notare che il contratto
dell’operazione è stato ottenuto solo sulla base
di dimostrazioni teoriche perché all’epoca la
ACSA non aveva alcuna possibilità di testare le
modifiche su un impianto pilota né, tanto meno,
di indicare un impianto di riferimento.
Il secondo traguardo fu conseguenza diretta del
primo: immediatamente dopo l’incredibile successo precedente, sempre nel 1986, all’epoca
Anno XXII N. 5 settembre-ottobre 2009
della Cina delle biciclette, ACSA fece il suo
ingresso nel mercato cinese.
Rapidamente ACSA conquista mercati quali USA,
Cina, Russia, India nel settore del retrofitting di ogni
tipo di impianto di ammoniaca, affermandosi
anche nel settore di nuovi impianti con propria
tecnologia completa (figura 5). Dall’inizio del rilancio, la nuova tecnologia ACSA è stata applicata su
150 impianti in tutto il mondo, cioè a più del 40%
della produzione mondiale di ammoniaca.
Parallelamente, sulla base delle stesse innovazioni
tecnologiche, ACSA ha affrontato il mercato del
retrofitting di impianti urea e metanolo, arrivando
al risultato eccezionale di modernizzare circa il
35% di tali impianti attualmente esistenti al
mondo.
Attualmente il gruppo Casale include cinque
società: Ammonia Casale SA, Urea Casale SA,
Methanol Casale SA, Casale Chemicals SA,
Casale Immobiliare SA.
Per inciso, oggi siamo arrivati a reattori detti della
“quarta generazione”, ancora più semplici ed efficaci, basati sull’utilizzo di scambiatori a piastre
installati all’interno del reattore.
Qualche curiosità
Raccontava il Toselli che il primo reattore Casale
aveva fatto la Guerra '15-18 con il ruolo di cannone da 400 mm a bordo della regia corazzata
"Dante Alighieri". Recentemente l’idrogeno è
assurto all’onore della cronaca quale combustibile “pulito” per l’alimentazione di motori a scoppio
(si è realizzato anche qualche prototipo di automobile) e il dibattito è ancora aperto su vantaggi e svantaggi dei serbatoi di idrogeno liquido o
gassoso a bordo di vetture commerciali.
Si può ben immaginare la mia sorpresa quando,
controllando la documentazione storica della
ACSA, ho trovato ben documentata e con tanto
di foto, una notizia a prima vista incredibile. La
ACSA nel 1935 brevettò un motore ad ammoniaca che fu montato inizialmente su una vettura
Fiat 509 del dr. Mario Zavka, direttore del laboratorio chimico, che si è recato con tale vettura da
Terni fino a Trieste, fermandosi con tappe prestabilite per i controlli e i rilievi. Lo stesso motore è
stato successivamente montato su una Fiat 527
“Ardita 2500” che è stata offerta a personalità
del governo dell’epoca (figura 6).
Questo approccio è sostanzialmente equivalente
a quello odierno di alimentare le vetture con
idrogeno perché in fin dei conti il combustibile è
sempre lo stesso, l’idrogeno. A parità di energia
erogata, in un caso si avrebbe il vantaggio economico del minor costo del combustibile (idrogeno) in quanto l’ammoniaca si produce a partire
da quest’ultimo, ma nell’altro caso si potrebbe
contare su semplicità operativa e minor costo
dell’auto perché la movimentazione e lo stoccaggio dell’ammoniaca sono senz’altro meno costosi, impegnativi e pericolosi di quelli dell’idrogeno.
Nata due volte
L’auto ad ammoniaca comunque non ebbe successo (e non si ritiene proponibile oggi) e quindi
i ricercatori della SIRI si orientarono sull’uso di
metanolo in sostituzione della benzina. Sembra
ieri e sono invece passati quasi tre quarti di secolo. Anche la soluzione metanolo è stata riscoperta negli anni ’80 da diverse società e poi abbandonata.
Altra curiosità, che probabilmente non tutti
conoscono, è che Carlo Emilio Gadda, uno dei
grandi della letteratura italiana, laureato in ingegneria elettrotecnica presso il Politecnico di
Milano, è stato dipendente della ACSA dal
1926 al 1931, lasciando una fitta corrispondenza tecnica con la società. Naturalmente aveva
già cominciato a comporre le sue opere letterarie fra una missione e l’altra.
Conclusione
Sembra oggi incredibile che una tecnologia
innovativa come quella messa a punto da Luigi
Casale non abbia trovato finanziatori in Italia.
Pertanto, buona parte del merito per il successo iniziale della ACSA deve essere riconosciuto
al sig. Carl Gutzwiller e alla sua famiglia per
avere prima finanziato Luigi Casale e poi per
aver mantenuto costantemente un vivo interesse e una sia pur minima partecipazione finanziaria nella ACSA.
Artefici del recupero sono stati però, a mio
avviso, l’ing. Salimbeni per la sua decisione di
rilevare l’azienda nel momento di crisi più totale e per aver ricostituito un team di ricercatori
e specialisti di grande efficacia, e l’ing. Zardi per
aver individuato e guidato la strategia giusta per
il recupero.
Naturalmente la seconda nascita della società è
avvenuta anche grazie a una politica lungimirante secondo la quale ogni “franco” guadagnato
doveva esser reinvestito in attività di ricerca e
sviluppo fertilizzate dalle idee nate all’interno.
Per non parlare dell’investimento destinato alla
realizzazione della nuova sede della società il
cui imponente ingresso è, a parer mio, degno di
un museo di arte moderna piuttosto che di una
società di ingegneria (figura 7).
Ma la cosa più originale credo sia la nuova filosofia aziendale, assolutamente “controcorrente” almeno secondo i canoni moderni, imposta
dall’ing. Zardi: egli è fervido assertore, contrariamente a quanto professato dalla moderna
cultura aziendale, del valore di uomini “maturi”.
Prova ne sia che i tecnici di punta della società
hanno oggi, come il loro Amministratore
Delegato, una età superiore agli 80 anni, e che
la società ha istituito un premio molto ambito
per i “50 anni di eccellenza professionale” dei
dipendenti.
Un secondo fondamentale “credo” aziendale è
quello della garanzia del “posto a vita” per i più
meritevoli.
Fig. 7 - Atrio della sede
della ACSA a Lugano
Se si deve giudicare dai risultati, si tratta di due
scelte sorprendentemente vincenti.
In conclusione, non va dimenticato che siamo
di fronte a un altro caso di una impresa frutto
dell’intelligenza e della tenacia di uomini eccezionali, ma italiani, che purtroppo con i vari passaggi di mano è finita per diventare svizzera.
A noi resta la soddisfazione di sapere che uno
dei processi attualmente più importanti per la
produzione dell’intermedio base della chimica
inorganica è opera di un italianissimo ricercatore e imprenditore, Luigi Casale (“prima nascita”), che il rilancio dell’attività è stato possibile
per l’intuizione e la dedizione degli ingegneri
italiani Salimbeni e Zardi (“seconda nascita”) e
che i principali dirigenti della nuova ACSA sono
in gran parte di origine italiana.
■
Questa nota sarebbe stata irrealizzabile senza la
collaborazione determinante degli ingegneri
Franco Salimbeni e Umberto Zardi, che sentitamente ringrazio.
Bibliografia
La SIRI: la fabbrica della ricerca, ICSIM “Franco Momigliano”
Letizia Fabi, 2003
Zardi U.: History of the Birth of the Modern Synthetic
Ammonia Industry - Nitrogen & Syngas International
Conference and Exhibition”, Rome, Italy, 22-25 february
2009
Carteggio dell’ing. Carlo Emilio Gadda con l’Ammonia Casale
S.A. (1927-1940)
Miolati A.: L’ammoniaca sintetica e il processo Casale, 1927
Zardi U., Antonini A.: Ammonia Technology: State of the Art
and New Developments - Rivista "Nitrogen", nov.-dec. 1979
Impiantistica Italiana •
Vittorio Cariati, ingegnere
chimico, medaglia d’oro del
Politecnico di Milano, anno di
laurea 1959.
Dal 1993 Amministratore
Unico della Mascon S.r.l.,
società di consulenza manageriale i cui clienti principali
sono stati Eurotecnica,
Techint, ABB Lummus
Globat, Alstom Power Italia,
Simeco, Sirtec-Nigi.
In precedenza Vice-Direttore
Generale della CTIP; Vice
Presidente di Eurotecnica
Spa; Amministratore Delegato di Tecnars, Gruppo Acqua;
Direttore della Divisione
Ingegneria e progetti di Fiat
Engineering; Amministratore
Delegato della Italairport del
gruppo Impresit; VicePresidente del gruppo
Kinetis Technology International; Amministratore Delegato
di Protec e poi VicePresidente di Ingeco International, Gruppo Altech.
Ha pubblicato diversi articoli
sulla strategia delle società
di ingegneria e contracting.
Anno XXII N. 5 settembre-ottobre 2009
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