del 28 Giugno

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del 28 Giugno
Del 08 Aprile 2015
Estratto da pag.10/11
Del 08 Aprile 2015
Estratto da pag.10/11
“Caro Bettino, vorrei aprire un’azienda in Tunisia” le lettere di Simone a Craxi negli anni di
Hammamet
FILIPPO CECCARELLI © RIPRODUZIONE RISERVATA MA CHI è davvero e da dove viene questo
Francesco Simone che smuove le procure della Repubblica di mezza Italia, viene definito nelle intercettazioni
«potentissimo e supremo», offre servigi e intrattiene rapporti con presidenti del Consiglio di ieri e di oggi?
Recenti cronache l’hanno definito genericamente «craxiano », ma sembra riduttivo. Molto amico di Bobo
Craxi, Simone risulta uno dei giovani socialisti più vicini al leader del garofano durante l’ultimo e più amaro
periodo dell’esilio-latitanza in Tunisia. Quasi una persona di famiglia, al punto da accompagnare d’urgenza, e
in lacrime, Bettino nella clinica dove avrebbe subìto l’ultima e letale operazione.
Nell’immensa mole dei documenti messi lodevolmente a disposizione dalla Fondazione Craxi nel sito del
Senato si trovano tre fax che il tempo ha quasi cancellato, ma che documentano, oltre all’amicizia e alla
fedeltà, il ruolo svolto una quindicina di anni orsono da Simone in quel mondo ormai vinto e asserragliato
nella villa di Hammamet.
Il primo è un biglietto spedito per le feste in cui esprime la sua stima ed augura a Craxi «tanta salute, tante
gratificazioni e tanta Giustizia». Il secondo, già meno occasionale e datato ottobre 1999, è un promemoria che,
«facendo seguito a un colloquio», Simone invia a Craxi «nell’ipotesi concreta di realizzare insieme a Bobo
un’azienda agricola per colture orticole» in Tunisia: tipologia, convenienza, logistica e materiali. Si conclude
dichiarandosi a disposizione «per eventuali sopralluoghi e verifiche di siti che Tu riterrai interessanti». Nel
post-scriptum adombra anche la possibilità di «impiantistica floricola».
Non se ne fece nulla, né risulta che Craxi abbia risposto. Nemmeno alla terza missiva, che porta la data del 3
gennaio 2000, appena 16 giorni prima della morte dell’ex presidente. In essa, «su richiesta di Nicola Manzi
(Mansi, in realtà, ndr) », Simone, già nell’ufficio Cnp di via del Bufalo, inviava l’inventario dei materiali che
Craxi faceva circolare in Italia: 5 copie dell’opuscolo «Garibaldi a Tunisi», 21 ritratti di Bettino su carta
lucida, 22 su pergamena («alcuni già dedicati»), 30 di Radicofani (la cittadella toscana di Ghino di Tacco,
negli anni 80 luogo di pellegrinaggi e acquisti terrieri socialisti), 5 cartelle della serie foto- ritoccate «I
becchini», 27 dei «Bugiardi ed extraterrestri».
Dell’ultimo Craxi, triste e malandato, si può pensare tutto e il suo contrario. Ma per quello che ha significato la
sua storia, quella del Psi e anche quella italiana, le ultime righe della nota di Simone suonano oggi
particolarmente malinconiche: «Vi sono poi almeno 40 scatole di garofanini stilizzati».
Ora, sarebbe ovviamente ingiusto, oltre che assurdo, evocare Bettino Craxi a proposito degli impicci di cui si
occupano i pm; così come sembra appena una suggestione che Simone, ieri depositario fuori tempo massimo
di garofanini e oggi facili- tatore di rapporti e affari di potere con base in Tunisia, sia lo strumento di una sorta
di vendetta, di nemesi o di contaminazione ai danni di quanti avversarono il craxismo in nome della loro
«differenza» politica e purezza morale.
E tuttavia, al di là di qualsiasi rilievo giudiziario, fa un certo effetto sentirlo dire proprio a D’Alema, già
campione di antisocialismo nel Pci, a proposito di quel suo benedetto vino: «Siccome tu ci avevi accennato
della tua produzione eccellente, il sindaco di Ischia sarebbe disponibile, quando vorrai, se vorrai e riterrai, fare
una specie di riunione degli albergatori più importanti e presentare il frutto del sudore della fronte...».
La diaspora craxiana, di cui l’ex direttore e amministratore dell’ Avanti! Walter Lavitola rappresenta
l’estensione in Sudamerica e nel centrodestra, appare come minimo rimossa. In ogni caso c’era allora tutto da
perdere a restare fedeli a Bettino che si aggirava come un leone in gabbia nella ridotta di Hammamet. Laggiù,
per ingannare la noia, si era riscoperto una vena artistica mettendosi a dipingere vasi di terracotta («Le lacrime
dell’Italia ») o a ritoccare le foto dei «becchini », (Amato, Del Turco, La Malfa, Martinazzoli) o dei «bugiardi
» ed «extraterrestri» (Napolitano, Occhetto, Scalfari, Scalfaro) che Simone faceva girare in Italia con intenti
tutt’altro che augurali.
Il suo progetto di azienda agricola concluse che bisognava puntare sui pomodori, ma servivano dai 250 ai 500
ettari, forse troppi. La storia è sempre piena di cose strane. Di solito il potere fa finta di niente, ma proprio il
passato le rende meno strane quando vengono fuori dopo tanti anni.