Prosegui - Comune di Beinasco

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4. Natalità e mortalità infantile.
La Chiesa, fino a tempi relativamente recenti (seconda metà del secolo scorso), fungeva anche da
Ufficio di Stato Civile. Registrava, in presenza di testimoni, nascita, matrimoni e decessi. II presente
paragrafo, che doveva trattare dello Stato Civile, nasce monco, perché dall'Archivio Parrocchiale
mancano i registri dei matrimoni e dei decessi per il periodo considerato 1749-1751); a disposizione il
solo "V Liber Baptismatum" (Quinto libro dei Battesimi), un voluminoso registro manoscritto, redatto in
latino dai parroci di S. Giacomo Maggiore dal 1737 al 1803; in ordine cronologico vi sono elencati
battesimi di Beinasco e dei suoi "cassinaggi". Il censimento del 1751, l'unico ad indicare anche l'età dei
censiti, serve da complemento per trattare delle nascite avvenute nella "cura" di Beinasco.
Occorre aprire una breve parentesi per accennare alle coppie di coniugi che nell'anno appena
ricordato sono 201 (82 a Beinasco-centro e 119 nei "cassinaggi"). Il marito, di solito è più vecchio della
moglie, ma non è raro il caso inverso: infatti 36 mogli (su 201) hanno qualche anno in più dei rispettivi
consorti. Non mancano coppie con notevole differenza di età (in simili circostanze il marito è sempre il
più anziano): il caso limite è costituito da un maturo uomo di 59 anni, non benestante, sposo, forse in
seconde nozze, ad una giovane di appena 20. Delle 201 mogli, 138 sono al disotto dei 45 anni,
considerati questi ultimi come termine dell'età feconda nella donna. (I parti oltre il quarantesimo anno
di età sono frequenti.
Nè mancano testimonianze di maternità in età molto avanzata; nel 1751 Margherita Castagno, 55
anni ha un figlio di appena 7 anni; alla Bellezia Teresa Monasterolo, 48 anni, è mamma di una bambina
di pochi mesi). I parti, in mancanza di ospedali, avvengono nelle abitazioni. Ostetriche improvvisate le
vicine di casa della partoriente (forse, in casi particolarmente difficili, sarà intervenuto Giuseppe
Cordero, medico-chirurgo). Le complicazioni intervenute durante il parto devono essere abbastanza
frequenti se, come testimonia il "Liber Baptismatum", a non pochi neonati viene somministrato il
Battesimo in "periculo mortis".
Purtroppo non è possibile sapere quante donne muoiono in conseguenza delle difficoltà a partorire.
Sull'intero territorio della "cura" nel 1749 nascono 20 maschi e 24 femmine; nel 1750 28 maschi e 25
femmine; nel 1751 25 maschi e 24 femmine. A Beinasco-centro con le 82 coppie di sposi (62 delle quali
in età feconda) il boom demografico avviene nel 1751 con 30 "lieti eventi" (quasi una coppia su due
vede aumentare il numero delle bocche da sfamare). Nel 1749 le nascite a Beinasco-centro sono 23;
l'anno successivo appena 15. Al castello del Drosso, dove abitano un centinaio di persone tra contadini,
bovari e massari con le rispettive famiglie, nel 1750 da 17 coppie di coniugi nascono 11 bambini (l'anno
precedente ne erano nati appena 2: nel 1751 ne nasceranno 5).
A Borgaretto, che conta poco meno di 200 abitanti, le nascite nel periodo di tempo considerato sono
rispettivamente 5, 3 e 5. Nel triennio 1749-1751 sui 148 nati dell'intera "cura" vi è un solo parto
gemellare: il 12 ottobre 1749 ad Anna Maria e Bernardino Brunetto nascono Giacomo e Maria, i quali
ricevono d'urgenza il Battesimo, poiché versano in pericolo di morte. Non sopravviveranno: infatti
l'anno successivo, censimento 1750, nella famiglia Brunetto non è fatta menzione dei due gemelli. Le
maternità si susseguono a tempi brevi (e non si ha notizia delle più che probabili gravidanze non
portate a termine per aborto spontaneo). Non poche spose, madri nel 1749, partoriscono nuovamente
nel 1750 o nel 1751.
Ma la mortalità infantile tocca livelli inverosimili (ne è indiretta testimonianza la somministrazione del
Battesimo nello stesso giorno della nascita o, al più tardi, all'indomani). Le cause sono molteplici:
inadeguata alimentazione della madre durante la gravidanza, precarie condizioni igieniche per il
neonato, terapie inefficaci nei frequenti casi di infezioni. Pur in mancanza del registro dei decessi, è
possibile seguire, attraverso i censimenti del 1750 e del 1751, il corso della vita dei nati nel 1749. Come
detto in precedenza, le nascite in quell'anno sull'intero territorio sono 46. Di 11 bambini si perdono
immediatamente le tracce, perché le loro famiglie, non comparendo più sui censimenti, si sono
trasferite in altro territorio. Ne restano quindi 35. Alla data del censimento del 1750 (marzo), i superstiti
sono 21; nello stesso mese dell'anno successivo appena 16.
5. Classi Sociali.
Pur con le poche indicazioni ricavate dalla lettura del "Liber Adnotationis", non è difficile indicare le
classi e i gruppi sociali operanti nella società contadina della Beinasco di metà settecento. I censimenti
del 1749, 1750 e 1751, oltre ai dati anagrafici, precisano, seppure saltuariamente, attività e professioni
dei Beinaschesi. Al vertice della scala sociale si collocano i nobili, titolari di cospicue rendite fondiarie:
sono marchesi e conti (dei quali uno solo dimora stabilmente in paese). Hanno un peso determinante
sull'economia della piccola comunità: sono infatti proprietari delle aziende agricole più estese. I loro
terreni, con le relative pertinenze (cascine e rustici), sono in genere dati a mezzadria (contratto che
prevede la divisione dei prodotti agricoli tra proprietario e conduttore del fondo), più raramente ceduti
in affitto a famiglie quanto mai numerose di bovari, pecorai e agricoltori.
Talvolta il nobile si improvvisa imprenditore agricolo: allora si avvale di persone di fiducia (i massari)
che curano sul posto i suoi interessi. In ogni caso "agenti" (così li indica don Siro) con incarichi di
rappresentanza dei nobili provvedono a riscuotere dai mezzadri e affittavoli quanto stabilito dai contratti
di mezzadria e di locazione. I nobili, proprietari di poderi nella sola Beinasco-centro, sono cinque (i
marchesi di San Germano e Faussone; i conti di Beinasco-Piossasco, Nomis e Valdige)e ben dodici
sull'intero territorio. I nostri antenati hanno frequenti contatti con tanto "sangue blu"; contatti poco
piacevoli quando sono costretti a dividere il frutto della fatica nei campi.
Poche famiglie (una decina sull'intero territorio) formano la media borghesia agraria. Nei censimenti
su ricordati il cognome di questi Beinaschesi benestanti è sempre preceduto dall'abbreviazione "Sig.",
cioè "signore". Provvedono direttamente alla conduzione dei propri fondi, aiutati da tre-quattro servi
lavoranti stagionali) e, nei periodi di più intenso lavoro in campagna (semine e raccolti), da braccianti
del luogo assoldati a giornata.
Anche la parrocchia di San Giacomo Maggiore a metà del secolo è proprietaria di alcuni
appezzamenti, affittati a contadini del luogo: si tratta di campi, prati, un piccolo bosco e un orto per
una estensione di 34 giornate, pari a circa tredici ettari. Nobili e borghesi, che intraprendono anche
attività commerciali (compra-vendita dei prodotti della terra e degli allevamenti), sono proprietari della
maggior parte delle abitazioni di Beinasco. Un piccolo gruppo sociale e costituito dal clero: a differenza
dei prelati che vivono nelle città, non gode di particolari privilegi, conduce una vita modesta se non
povera e si dimostra sensibile ai problemi dei ceti più modesti. In Beinasco pochissime persone
svolgono professioni non attinenti al mondo rurale.
La maggioranza della popolazione residente è costituita da contadini (proprietari di qualche spanna di
terra dalla quale ricavano lo strettissimo necessario per una vita ai limiti dell'indigenza), da affittavoli,
da braccianti agricoli salariati, da mezzadri, da allevatori di bestiame. L'arretratezza degli strumenti
impiegati nell'agricoltura (i contadini usano ancora l'aratro di legno, capace appena di scalfire lo strato
superficiale del terreno), la scarsità dei raccolti spesso compromessi dalle avverse condizioni
atmosferiche e l'esiguità dei salari corrisposti ai lavoratori agricoli non compensano una durissima fatica
segnata dal sorgere e dal tramontare del sole. Le popolazioni più modeste del mondo rurale sono le più
esposte e indifese di fronte alle angherie del Potere costituito, costrette in certe occasioni a svolgere
gratuitamente lavori di corvée (come riparazioni di strade maestre, trasporti di vettovagliamenti per le
truppe, ecc.).
Al popolo, sottoposto tra l'altro a pesanti "taglie" (tasse di origine feudale), sono riconosciuti pochi
diritti: quello di pascolo (a Beinasco il pascolo comune si trova sulla sponda destra del Sangone in
direzione di Gonzole), quello di raccolta della legna e di spigolatura dopo la mietitura. Alla base della
scala sociale ci sono i mendicanti: sono poche persone (tre negli anni 1749 e 1750; cinque nel 1751), in
età avanzata. Al momento dei censimenti sono ospiti -- forse temporanei -- nelle cascine delle più
grandi tenute.
6. Mestieri e Professioni.
Le colture a cereali coprono una notevole parte del territorio, cosi come i prati a foraggio e a pascolo
per l'allevamento del bestiame. Il patrimonio zootecnico deve essere consistente se quasi in ognuno dei
22 "cassinaggi" della "cura" lavorano, tra gli altri, una famiglia di bovari e una famiglia di pecorai. Non
meraviglia se contadini, bovari e pecorai, tra la popolazione attiva, sono di gran lunga i più numerosi. Il
contratto di mezzadria che vincola quegli umili lavoratori al proprietario del fondo dura una sola
stagione e raramente viene rinnovato (lo si intuisce dai censimenti): così la famiglia contadina che nel
1749 lavora in una cascina, l'anno successivo è attiva in altro podere, oppure, non comparendo più in
censimento, si è trasferita in un altro paese.
Legati al fondo, invece, le famiglie di giardinieri e ortolani (tre in Beinasco-centro, una decina
sull'intero territorio): il loro posto di lavoro è il grosso podere. Si tratta di salariati che non possono
disporre liberamente dei frutti della loro fatica pagati in parte con un basso salario e in parte in natura,
riforniscono di frutta e ortaggi le mense dei nobili e dei signori per i quali lavorano. Una parte
consistente della popolazione attiva di Beinasco è costituita da servi (braccianti agricoli e garzoni di
stalla) e da serve (domestiche).
Nel 1751 i primi sono 16 in Beinasco-centro e 53 sull'intero territorio, che conta meno di 1200
"anime"; le seconde, rispettivamente 8 e 17. I servi lavorano alle dipendenze del proprietario del fondo
o del massaro (nei censimenti vengono indicati tra i componenti della famiglia che li ospita); come i
bovari e i pecorai hanno un contratto stagionale (ritornano in famiglia per San Martino --11 novembre-quando nei campi cessa ogni attività).
I servi -- originari del luogo o dei paesi vicini -- sono giovani nel fiore degli anni (età media al disotto
dei 22); ma non mancano i fanciulli (sette hanno appena 14 anni, uno è un bambino di 11). Le serve,
addette ai lavori domestici nelle case dei signori, sono ragazze sui 15-20 anni (uniche eccezioni le
"perpetue" di don Siro e di un cappellano di Borgaretto che hanno superato "l'età sinodale dei
quaranta"). La più giovane tra le serve (di nome Domenica e non ne è riportato il cognome), a servizio
al castello del Drosso, è una bambina di 10 anni! Il lavoro nei campi e nelle stalle è spesso coordinato
dal massaro, uomo di fiducia che deve rispondere al proprietario del fondo sulla conduzione del podere.
Una famiglia di massari è presente in tutte le maggiori cascine del territorio. In una società che trae
dalla terra quasi l'unica fonte di sostentamento (inesistenti sono sia l'industria sia l'artigianato), poche
persone esercitano un mestiere o una professione non legati all'agricoltura. Tra queste una sparuta
pattuglia di militari (un brigadiere e un soldato al Drosso; un soldato alla Manta e un altro alla Bellezia).
L'esiguo numero e dovuto probabilmente al fatto che durante gli anni considerati (1749-1751) il
ducato di Savoia non è impegnato in operazioni militari. Tra i "liberi professionisti" un medico chirurgo
(Giuseppe Cordero, impegnato a cercare un rimedio alla malaria che affligge -- come testimonia don
Siro -- i Beinaschesi in quegli anni) e tre "agenti", esattori e rappresentanti legali di altrettanti nobili che
posseggono cospicui beni immobiliari in Beinasco. Quattro complessivamente gli "esercenti" su tutto il
territorio: due osti, un panettiere e un calzolaio.
In un punto non precisato sulla "via per Torino" (forse lungo l'attuale strada provinciale) si trovano
due osterie, di proprietà di altrettanti nobili. Uno dei gestori ha alle dipendenze un servo e una serva: il
particolare potrebbe far pensare ad una locanda dove i viandanti possono anche pernottare. Che ci sia
un solo panettiere su un territorio abbastanza vasto non meraviglia: in quasi tutte le case contadine, in
un angolo del vasto stanzone che funge da cucina e da camera da letto, si trova il forno che in tempi di
"abbondanza" funzionerà quasi regolarmente; diversamente resterà spento per lunghi periodi.
Chi non si arricchirà dalla sua professione è Martino Steffanetto, calzolaio: nella bella stagione i
popolani camminano scalzi; d'inverno portano zoccoli di legno costruiti in casa. Le scarpe sono un lusso
per pochi e per occasioni importanti. A Beinasco non c'è mulino: per trasformare il grano in farina
occorre arrivare a Borgaretto, da Pietro Colombatto, 25 anni, sposato con prole, mugnaio senza
concorrenti.
Così come non ha concorrenti il cinquantenne Giovanni Prà, beccamorto (così lo qualifica il
censimento) del minuscolo cimitero -- unico in tutta la "cura" -- situato alla sinistra della parrocchia di
S. Giacomo Maggiore: da una planimetria tracciata da don Siro, "l'estrema dimora" dei Beinaschesi è un
rettangolo di non più di cinquanta metri quadrati (l'equivalente di un piccolo alloggio).
Il clero della Beinasco-centro è rappresentato da un priore (Siro Ceruti) e da un cap- pellano (don
Franco Maggia); vi sono sul territorio altri religiosi: tre sacerdoti (rispettivamente a Borgaretto, Drosso
e Gorgia) e altrettanti chierici. Non è possibile sapere se tante vocazioni siano autentiche o non legate
ai "nobili fini del ministero", come "procacciarsi di che vivere con qualche agio, e mettersi in una classe
riverita e forte", come scrive il Manzoni di Don Abbondio. Per la verità, due aspiranti sacerdoti di
Beinasco-centro, uno dei quali primogenito, appartengono a famiglie benestanti.
Per le donne -- la metà della popolazione della "cura" -- con la sola eccezione per le "serve", non
sono mai indicati il mestiere o la professione. C'è dunque fondatamente da pensare che siano per la
stragrande maggioranza casalinghe. Che cosa comporta "lavorare in casa"? Significa occuparsi del
marito, dei figli e delle faccende domestiche; in più, accanto agli uomini, del governo degli animali e dei
lavori nei campi. Una vita, quella delle "casalinghe", senza un attimo di respiro, più pesante di quella
riservata agli uomini.
Per il "sesso debole", che non entra mai nelle cronache del "Liber Adnotationis", anche le feste e le
maggiori solennità religiose sono giornate di fatica e di abnegazione. Note Ricerche storiche di
Domenico Colombo. Le ricerche sono state effettuate su documenti originali presenti nell'archivio della
Parrocchia di San Giacomo Apostolo di Beinasco e pubblicati sul giornale parrocchiale "L'Incontro"
nell'anno 1981.