Istituto Analisi Transazionale – NUMERO 3
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Istituto Analisi Transazionale – NUMERO 3
ISTITUTO ANALISI TRANSAZIONALE NUMERO 3 IAT NEWS ROMA — DICEMBRE 2010 Lettera del Presidente IAT Cari soci, SOMMARIO - LETTERA DEL PRESIDENTE pag 1 - L’ IAT E L’AT: ALTRE RIFLESSIONI STORICHE pag 2 - UN VIAGGIO IN MALAWI, ESPERIENZE DI TRAINING CON L’AT pag 4 - SINTOMI COME DONI pag 6 - DE SENECTUTE: ANNI MORBIDI E.. pag 9 - RECENSIONE: C’ERA UNA VOLTA...COSA C’E’ ORA? pag 10 - SEMINARI CLINICI. LA CASSETTA DEGLI ATTREZZI DELL’ANALISTA TRANSAZIONALE pag 11 - LA FORMAZIONE E I SUOI SISTEMI pag 11 - NEWS DALL’IAT pag 12 ASSOCIAZIONE IAT Via Piemonte, 117 Roma tel/fax 06.42013471 Internet home page: wwwistitutoanalisitransazionale.it SEGRETERIA IAT Via A. Fleming, 2 70017 Putignano (BA) Tel/fax: 080.4055617 DIRETTIVO IAT Presidente: Eva Sylvie ROSSI [email protected] Vice Presidente e Tesoriere: Patrizia VINELLA [email protected] Segretario: Cesare FREGOLA [email protected] Consiglieri: Antonio FERRARA [email protected] Orlando GRANATI [email protected] A. Emanuela TANGOLO [email protected] Gaetano SISALLI [email protected] Soci fondatori e Past President: Carlo MOISO Michele NOVELLINO Gaetano SISALLI Le IATnews stanno crescendo, è con grande piacere che abbiamo ricevuto in questi mesi diversi ed interessanti contributi dei nostri soci, che volentieri pubblichiamo. La nostra ultima iniziativa, il Colloquium ci ha proiettati in una dimensione europea con piacere e soddisfazione, non solo per l‟ampliamento dello scambio, ma per la ricchezza della condivisione di esperienze di lavoro, attività, apprendimenti, contributi dei relatori e riflessioni dei partecipanti. Questa dimensione allargata sarà a breve condivisa, questa volta a livello interassociativo italiano, nella sede più ampia di un Convegno il 24-26 Febbraio 2012 a Rimini. con il potere, come si evince dalla sua biografia e dai ricordi di chi lo ha conosciuto personalmente, sappiamo anche che era particolarmente attento ai confini (nello sviluppo delle sue teorie) e ai concetti di dinamica di gruppo di cui conosceva la potenza e che utilizzava abitualmente. Eric Berne è stato un attento lettore di Lewin, Moreno e Hall, come risulta evidente dai suoi scritti, in particolare nel libro The structure and dynamics of organizations and groups dove la bibliografia annotata di ogni singolo capitolo costituisce una miniera di informazioni sull‟elaborazione e sull‟evoluzione del suo pensiero. Forse, anche se il suo limite è stato quello di definire le organizzazioni solo come una somma di gruppi, dovremmo tenere a mente più spesso ciò che ci ha insegnato su gruppi ed organizzazioni, cioè l‟attenzione da prestare ai confini in particolare Confine Maggiore All‟organizzazione del Convegno il cui tema è “Cultura, Interno tra la leadership e il resto dell‟organizzazione identità e cambiamento in Analisi Transazionale” partecon i suoi sistemi, gruppi e sottosistemi. ciperanno tutte le associazioni AT italiane. Promotore di questa iniziativa che stanno realizzando congiuntaSylvie ROSSI mente Auximon, Irpir, Cpat, Simpat, Aiat, insieme all’Iat, è il nostro collega Maurizio Martucci Presidente Cari soci, Comitato di redazione dell‟AIAT. IAT NEWS e WEB Si tratterà della prima iniziativa che ci vede condividere insieme l‟eredità dei nostri Padri Fondatori che sono stati i “pionieri“ dell‟AT in Italia. Condivideremo anche gli sviluppi che hanno contraddistinto le generazioni di “figli” e ormai” nipoti” e che ci vedono proiettati nel futuro complesso della società contemporanea muniti dei nostri strumenti e bagagli nei diversi campi di applicazione. C’è un‘altra notizia del mondo AT che vorrei condividere, e commentare e sulla quale diversi soci italiani EATA e ITAA si sono interrogati con qualche perplessità. La notizia riguarda le dimissioni di Rosemary Napper dal suo ruolo di Presidente ITAA, dopo un anno di Presidenza. Credo che come analisti transazionali sia utile e salutare riflettere sulle possibili idealizzazioni che a volte ognuno di noi ha o si costruisce rispetto al mondo AT, alle sue associazioni e ai suoi gruppi professionali, immaginando o dando per scontato, a volte, aspetti irrealistici di concordia, okayness e valorizzazione di diversità di ruoli e di approcci. In realtà l‟aspetto contrattuale del mondo AT, se applicato a tutti i livelli del funzionamento organizzativo, presuppone uno sviluppo di innovazioni e proposte attraverso “accordi espliciti bilaterali tra le varie parti coinvolte” che non destabilizzino i poteri di quell‟organizzazione. Un‟eventuale rovesciamento dei poteri costituiti, e la sostituzione di questi con altri, può avvenire in una fase successiva di cambiamento o “rivoluzione” all‟interno di una dinamica non certo contrattuale ma conflittuale. Ecco, io a volte ho osservato con sorpresa e perplessità descrivere nei vari mondi associativi AT conflitti aperti come scambi contrattuali alla pari e ok e prese di posizione o dichiarazioni di intenti o affermazioni definite contratti, trasformando così il pensiero di Berne e tradendone lo spirito. Sappiamo che il Berne pioniere aveva le sue difficoltà Questo numero era stato dedicato, nella nostra programmazione, al tema del setting in Analisi Transazionale. Il tema è stato trattato nelle due iniziative tenute in primavera a Firenze, nel Colloquium EATA e nella Giornata IAT. L’interesse emerso in queste due occasioni ed il dibattito successivo ci ha fatto decidere di spostare l‟argomento al n. 4, che sarà dedicato interamente alla pubblicazione dei lavori e alle riflessioni da essi scaturite. Chiunque voglia esprimere il proprio punto di vista in merito, potrà inviarlo alla nostra redazione per contribuire allo scambio di idee che la nostra rivista si propone di stimolare. La redazione Managing Editor Orlando GRANATI Cesare FREGOLA Editing Lidia CALO’ Web Master Patrizia VINELLA IAT NEWS STORIA AT ITALIANA L’ IAT E L’AT: ALTRE RIFLESSIONI STORICHE di Michele NOVELLINO psichiatra, CTSTA Pagina 2 Raccolgo con rinnovato piacere il nuovo invito della redazione di ampliare le riflessioni storiche presentate nel n.0 del Bollettino IATNews. Quel numero era segnato dalla perdita di Carlo, questo porta storicamente le tracce di quella di Pio Scilligo. Quest‟ultimo ha in qualche modo accompagnato la storia dell‟ IAT in un percorso parallelo, le cui rette si sono a un certo punto avvicinate per poi riallontanarsi. Questa seconda perdita mi conduce ad ampliare alcuni degli spunti che avevo fornito nelle precedenti note storiche. E‟ davanti agli occhi di tutti noi la realtà della presenza sul suolo italiano di tante associazioni „nazionali‟, realtà rispetto alla quale i colleghi stranieri si sono dichiarati spesso colpiti e stupiti. Con la maggiore chiarezza possibile, quando ne ho avuto occasione, ho loro spiegato che, in realtà, è necessario uscire dall‟equivoco di considerare le diverse associazioni italiane iscritte all‟EATA come „nazionali‟. Come ho ribadito nel precedente bollettino, l‟unico tentativo serio di fondare una associazione „nazionale‟, che rappresentasse a livello internazionale gli analisti transazionali italiani diplomati dall‟ITAA e dall‟EATA, è stata la SIAT. Quest‟ultima nasceva in una dinamica che è iscritta nella memoria dei partecipanti alle vicende dei primi anni Ottanta, e non ve ne è traccia nell‟atto costitutivo, nel quale compaiono cinque nomi come Soci Fondatori: Carlo Alberto Cavallo, all‟epoca collaboratore fidato di Scilligo; Maria Bonaria Lorenti, allora docente presso l‟IAT; Carlo Moiso; Michele Novellino; Pio Scilligo. In sostanza comparivano due membri dell‟IRPIR e tre membri dell‟IAT. Quello che non è stato scritto finora è quanto accadde nei tre anni precedenti, e credo che nello spirito del „nonno„ che racconta…valga la pena di lasciare traccia di quanto è nella memoria, soggettiva come tutte le memorie ma vivida, di chi scrive. Vi furono in quell‟epoca diverse riunioni, alle quali parteciparono inizialmente, oltre ai futuri fondatori della SIAT, Giorgio Cavallero (allora non aveva fondato l‟Auximon, dalla quale è di recente uscito), Ferdinando Montuschi, e Maria Teresa Romanini della SIMPAT, che costituivano la terza associazione significativa come presenza didattica e „politica‟ di quei tempi lontani. In queste riunioni si discusse, anche con sporadiche presenze di alcuni rappresentanti dell‟AIAT, della opportunità di fondare una associazione davvero nazionale che rappresentasse gli interessi e desse voce a tutti gli analisti transazionali italiani, nel progetto di costituire un‟ entità super partes. Non ne venne fuori niente: era chiaro che gli interessi particolari delle singole „scuole‟, perché di questo si trattava all‟ombra delle diverse sigle associative, passavano sopra le dichiarate intenzioni di presentarsi uniti. Il nodo, che era strutturale, si fondava sull‟interesse di alcuni direttori di scuola di tenere fuori dal controllo di organi associativi meta scolastici, scelte di ordine interno che sarebbero di sicuro state contestate. Tale nodo riemerse in tutto il suo clamore all‟ interno della stessa SIAT, quando esplicitamente il prof. Scilligo dichiarò, in consiglio direttivo, che non voleva „controlli„ sulla „sua„ scuola. Tale contrasto di esigenze e di visioni divenne conflitto quando l‟EATA rispose positivamente alla richiesta di organizzare esami EATA di I livello gestiti da associazioni „nazionali‟. Chi aveva inteso la SIAT come un‟associazione nazionale di analisti transazionali (dizione che peraltro compariva nello statuto fondante della SIAT), ossia noi dell‟IAT, riteneva che tali esami andassero gestiti dalla stessa SIAT, da non sminuire ad associazione ombra che si limitasse a fare un convegno annuale; tale proposta venne rigettata nella „democrazia„ dei numeri, ovviamente a favore dell‟IRPIR, per quanto all‟epoca minoritario per numeri di analisti transazionali e di didatti, e quello fu l‟inizio della fine di un‟avventura nella quale posso amaramente affermare che non tutti avevamo creduto con la stessa sincerità, e le conseguenze le paghiamo tutti. Su questa amarezza s‟innesta quell‟orgoglio e quello slancio al quale accennavo nell‟altro commento storico: l‟IAT sta ancora alacremente lavorando per congiungersi con forze e passioni che portino a una comunione d‟intenti che riesca a elevarci tutti al di sopra di interessi particolari, i quali vanno sempre tutelati ma mai devono diventare egoistici, e soprattutto non devono danneggiare quell‟equità che filosoficamente perseguiamo o dovremmo perseguire. Verso la fine degli anni Ottanta, l‟IAT operò, ovviamente tra confronti e discussioni molto impegnative, nella linea di distinguere la propria natura associativa da quella formativa, finché si giunse a separare i due livelli, che hanno condotto alla chiarezza che oggi ci contraddistingue nella sostanza e non solo nella forma: l‟IAT è un‟ associazione alla quale aderiscono della scuole di formazione, alcune delle quali riconosciute dal MURST. Oggi è aperta un‟altra linea di lavoro associativo, che da una parte segue lo spirito iniziale di chi aveva fondato l‟IAT, chi scrive e Carlo, dall‟altra guarda al futuro degli analisti transazionali nell‟idea di arrivare a dei criteri di formazione e di valutazione equi per tutti. Ritengo che l‟esempio degli esami di Firenze e di Torino, merito degli sforzi congiunti di IAT e AIAT, possa tracciare una strada seria e rispettosa dei principi che hanno illuminato la Pagina 3 IAT NEWS strada dei padri fondatori dell‟analisi transazionale, Berne in primis. Berne scriveva che un analista transazionale deve essere un professionista competente che sa applicare l‟analisi transazionale; le associazioni ITAA e EATA hanno stabilito quei criteri di competenza che vanno verificati negli appositi esami. Questi ultimi, certamente migliorabili nel loro meccanismo, dovrebbero in ogni caso, garantire a tutti i partecipanti, esaminati ed esaminatori, una universalità di giudizio. Questo a Firenze e a Torino è avvenuto: sia gli esaminati che gli esaminatori provenivano da scuole e associazioni diverse. Ora ho invitato il consiglio direttivo dell‟IAT, nel corso dell‟assemblea di Torino, a promuovere presso l‟EATA un momento di verifica sul come vengano realizzati gli esami EATA presso quelle associazioni (in realtà scuole) che sono autorizzate a svolgere gli esami stessi in proprio, precludendoli a esaminati e a esaminatori esterni, venendo così meno a quel principio di equità presente nella stessa carta dell‟Unione Europea. Troppe discrepanze, e purtroppo, facilitazioni vengono segnalate tra le due modalità nello svolgimento negli esami EATA: un esempio vale per tutti, ed è dato dalla notevole differenza rinvenibile nelle diverse scuole sulle effettive ore di esperienza clinica svolta dai trainees sia in individuale che, ancora di più, in gruppo. Per quanto riguarda quest‟ultimo, vengo frequentemente a conoscenza che alcuni trainees traggono il loro nastro per l‟esame da gruppi… alla pari! Carlo prima, e io stesso successivamente, abbiamo dato molto nei primi anni dell‟EATA: lo spirito iniziale era diverso, e certamente l‟associazione europea nacque per uniformare le varie culture e non per favorire interessi egoistici e pseudosindacali. Gli esami dovevano garantire analisti transazionali qualificati, e non licenziare tanti diplomati che avevano fatto un esame, per di più interno con docenti e supervisori della propria scuola. Termino, a proposito di EATA, con un ultima memoria, della quale forse qualche traccia scritta esisterà, ma chissà dove. Durante quei primi anni di costruzione (Carlo era vicepresidente e io consigliere per l‟Italia), avvenne un dibattito davvero aspro sulla proposta italiana di inserire la terapia personale come parte integrante del curriculum per l‟esame di livello I. Aspro è un eufemismo, a ben pensarci: venimmo apostrofati come „fascisti!„… perché la terapia doveva essere una scelta libera personale (la formazione e la supervisione no…). Il risultato è che in Italia, paese da „spaghetti e mandolini‟, la terapia personale è parte integrante del curriculum sin da quegli anni, in Europa di strada da fare ce n‟è ancora tanta, ma desidero che i giovani sappiano che i vecchi ci avevano già provato. Buon lavoro a tutti, Michele PIO SCILLIGO Prof. Sacerdote già Ordinario di Psicologia Sociale e Scolastica. il Prof. Pio Scilligo ha fondato la Scuola di Specializzazione in Psicologia Clinica dell'IFREP (SSPC-IFREP) ed ha diretto la Scuola Superiore di Specializzazione in Psicologia Clinica dell'Università Salesiana (SSSPC-UPS), entrambe a orientamento umanistico integrato. È stato il fondatore e direttore scientifico della rivista Psicologia Psicoterapia. Nato l'8 gennaio 1928 nella frazione Chiesa del comune di Formazza (Verbania), deceduto il 3 luglio del 2009. Salesiano dal 16 agosto 1945, venne ordinato sacerdote il 24 luglio 1954 a Shillong (India). Ha conseguito il Dottorato in Scienze Psicologiche presso l'Università di Stanford, California U.S.A. (1968), dopo che aveva già ottenuto il Master of Arts in Education all'Università di S. Francisco, U.S.A., nel 1965. Dal 1976 al 1981 ha rivestito l'incarico di professore ordinario di Psicologia Sociale e Scolastica presso la Facoltà di Scienze dell'Educazione dell'Università Pontificia Salesiana. Dal 1974 era, inoltre, docente associato di Metodologia della ricerca psicologica presso l'Istituto di Psicologia della Facoltà di Magistero (poi Facoltà di Psicologia) dell'Università degli Studi di Roma La Sapienza. Autonomamente aveva creato una scuola di specializzazione in Psicoterapia con sede centrale a Roma e due sedi periferiche a Mestre (VE) e a Cagliari. La scuola, afferente all'Istituto di Formazione e Ricerca per Educatori e Psicoterapeuti (IFREP), è riconosciuta dal Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica. Recentemente sono stati pubblicati presso la LAS, nella collana "Psicoterapia e salute", due volumi che raccolgono i suoi saggi più significativi: “La ricerca scientifica tra analisi ed ermeneutica” e “Analisi Transazionale socio-cognitiva”. di Patrizia Vinella IAT NEWS CAMPO ORGANIZZAZIONI UN VIAGGIO IN MALAWI, ESPERIENZE DI TRAINING CON L’AT di Susanna CESARINI e Nadia MURGIONI CESARINI Sociologa, Counsellor Formatore, PTSTA O MURGIONI Pedagogista, Counsellor Formatore CTA educativo Pagina 4 Abstract Un'esperienza di formazione con le insegnanti, un workshop sul conflitto, un 101 sono "ordinaria amministrazione" per chi si occupa di AT. Se il luogo dove si tengono questi corsi è il Malawi, uno dei paesi più poveri dell'Africa, la prospettiva cambia completamente. Entrano in gioco fattori culturali, abitudini, valori e percezioni che si alternano e portano a dover riscrivere il proprio modo di lavorare e di relazionarsi. Susanna Cesarini e Nadia Murgioni hanno fatto quest'esperianza di formazione in Malawi. Il loro racconto ce ne scandisce le fasi, i risultati e le difficolta. Sempre nel segno dell'AT che, con la sua okness, non ha frontiere e non le pone a chi incontra. L’esperienza Il Capodanno 2010 ci ha portato un improvviso regalo: la proposta di preparare un progetto di formazione per conto di una ONG di Rieti, la OltreConfine, da svolgersi ad Aprile nel Sud del Malawi, a Balaka, dove un padre Monfortano, Mario Pacifici, ha creato una vasta comunità nei suoi 35 anni di permanenza. Di quel momento ricordiamo il desiderio di consultare un atlante e scoprire che tipo di paese fosse quella piccola striscia di terra quasi interna al Mozambico, nella parte meridionale del continente africano. Qualche mese dopo, all‟atterraggio all‟aeroporto di Lilongwe, la capitale, ne avremmo scoperto i colori, quello rosso e intenso della terra, gli odori e i grandi alberi di baobab, forti, dal tronco quasi scolpito nella roccia. Ma soprattutto, avremmo incontrato subito i tantissimi fiori, che sembravano prendere da quel rosso per generare altri colori e un profumo persistente nell‟aria e sulla pelle che è stato il tratto costante del nostro viaggio. Una terra è fatta di persone, soprattutto per chi fa formazione e non scienze naturali. Ma la dominanza dell‟elemento natura incide sull‟essere persona e non poteva non essere considerato come parte essenziale della vita. È iniziato così un viaggio intenso e profondo, accettato con un entusiasmo e che ci ha posto la sfida professionale di lavorare con l‟AT in un contesto estraneo e distante dal nostro: portare Okness, autonomia e altri concetti in uno dei paesi più poveri dell‟Africa per proporre un primo passo di un possibile percorso più lungo e con l‟obiettivo di invitare e di rendere le persone a essere protagoniste delle proprie vite. Sapevamo di avere dalla nostra anni e anni di esperienza professionale in contesti disagiati: Nadia si occupa di disabilità e di minori e Susanna, di disoccupazione. In particolare, di recente, entrambe siamo impegnate in un progetto di sostegno alle insegnanti delle scuole dell‟infanzia cattoliche di L‟Aquila, finalizzato a sostenere la ripresa dopo il terremoto del 2009: una varietà di emozioni, sentimenti e pensieri era in viaggio con noi. Portavamo comunque la consapevolezza di essere altro da loro, dagli abitanti di Balaka in Malawi e questo perché la differenza è un punto di snodo, un punto importante su cui costruire relazione. Pertanto non abbiamo voluto “ staccare le spine” del nostro essere italiane, tenendo bene inserite quelle del pensiero, quelle del sentimento, quelle dei gesti gentili. E‟ stato difficile orientarsi in questo mondo lontano. Intenzionalmente ad esempio, abbiamo deciso di non indossare tailleur (per scoprire poi che i manager vestono come noi al lavoro!), e di mettere in valigia le scarpe da running e scoprire che Susanna è stata l‟unica donna ad avere percorso quelle strade correndo. Il soggiorno in Malawi è durato 16 giorni e gran parte li abbiamo dedicati alla scoperta: osservando la vita quotidiana, visitando scuole, negozi, mercati e uffici. Abbiamo partecipato a rituali formali e informali, mangiato il cibo locale, parlato con adulti e bambini usando l‟inglese e le poche parole di chichewa che generosamente ci insegnavano. Abbiamo camminato molto, nonostante l‟afoso clima autunnale, perché questa è l‟abitudine del luogo. Lungo le strade, solitamente sterrate, ai lati scorrevano fiumi di folla e qualche ciclista, il principale mezzo di trasporto. Quando abbiamo iniziato a ringraziare utilizzando le formule di rito, “Zigomo”, “Zikomo” per ringraziare, e a rispondere alle formule calde di saluto come “Mwadzuka bwanji” (il saluto del mattino), quello è stato il segno che poteva iniziare l‟avventura della formazione. Il workshop con le insegnanti di Scuola dell‟infanzia Il primo committente è stato un comitato di insegnanti di scuola dell‟infanzia. L‟insegna sul portone è “Scuola del latte”, e sta ad intendere che in Malawi, la funzione della Scuola Primaria è accogliere i piccoli e offrire loro nutrimento, ma nel senso più pieno, dal latte al giocare insieme. La richiesta di formazione del committente locale è stata di progettare e offrire un training che renda le insegnanti in grado di sostenere situazioni di emergenza, che in loco sono dovute a più fattori. Primo fra tutti, la mancanza di fondi e stanziamenti pubblici. La scuola dell‟infanzia non è parte del Piano educativo nazionale e le insegnanti spesso lavorano con i bambini senza avere a disposizione materiali didattici (carta, colori, giochi, oggetti). Altro elemento problematico che abbiamo osservato è la fragilità e lo stato di sofferenza e di bisogno che coinvolge la maggior parte degli allievi. Spesso essi sono orfani, al limite della sopravvivenza e come unico ricovero abiatano una affollata capanna di fango a cui fanno ritorno la sera. Nell‟alloggio privo di acqua ed esposto ad ogni genere di rischio e di contaminazione è facile che contraggano patologie infettive di ogni tipo o che siano esposti ad incidenti domestici come ustioni da fuoco o aggressioni di animali. Nadia, dopo un primo colloquio con la Responsabile del progetto educativo dell‟Andiamo Trust e un secondo incontro con l‟équipe di responsabili delle scuole primarie coinvolte del progetto ha proposto alle insegnanti un contratto di formazione di un‟intera giornata. L‟obiettivo del lavoro di formazione, condiviso con il gruppo è stato individuato nel riconoscimento delle competenze professionali delle insegnanti. Nadia ha proposto un‟esperienza di insegnamento-apprendimento di strategie educative con i bambini utilizzando in particolare una Pagina 5 formazione esperienziale di gruppo e non una lezione excathedra. La finalità del training è stato per Nadia quello di aumentare nelle corsiste il livello di autostima attraverso la consapevolezza delle competenze professionali. Le insegnanti sono state accompagnate nella scoperta del proprio talento personale e professionale attraverso la creazione di un oggetto rappresentativo del loro essere insegnanti utilizzando ciò che la natura offre intorno a loro. Il passaggio poi dall‟esperienza alla riflessione ha avuto la funzione di riconoscersi in grado di svolgere il ruolo educativo nonostante la scarsezza di mezzi e strumenti didattici e con l‟entusiasmo e la fierezza di proporre uno stile di insegnamento personale e non copiato dall‟occidente. Le Ventisei insegnanti che hanno partecipato al workshop sono state invitate a “sbloccare” la loro immaginazione e ad esprimere le loro capacità creando una farfalla utilizzando materiali rinvenuti intorno a loro (colori, terra, polvere, foglie, semi, fiori). Dopo il lavoro creativo, Nadia, che si è presentata come trainer analista transazionale, ha introdotto il concetto dell‟okness e delle tre P – Potere, Permesso e Protezione di Pat Crossman. Le idee sono state presentate per fornire un terreno concettuale comune che permettesse di analizzare l‟esperienza fatta e verificare insieme la possibilità di trasferire l‟esperienza creando i presupposti di condivisione e di alleanza nel lavoro educativo con i bambini. Ogni insegnante ha avuto la possibilità di ri-leggere la sua farfalla scoprendo la dimensione dell‟okness usando il permesso, la protezione e il potere di essere una Fantastica-InsegnanteMalawiana. Dal feed-back del gruppo è emerso che ognuna si è riconosciuta la possibilità di avere talento, colore, originalità riconoscendo nella propria competenza la funzione degli insegnamenti ricevuti dai propri educatori. Durante il feedback ogni insegnante ha ricevuto la protezione necessaria per riconoscere il modello ricevuto ma anche di scegliersi consapevolmente nella professionalità educativa dandosi il permesso di essere originale, diversa e creativa. Il Training presso Andiamo Youth Cooperative Trust Immaginate la sorpresa di trovare, in un villaggio di capanne e strade sterrate, una cooperative con 700 dipendenti, divisa in varie sezioni che vanno dalla manutenzioni motori, alla falegnameria, alla sartoria, alla gelateria. Con un teatro e un gruppo musicale, l‟Halleluja Band, che ha più volte fatto tourne mondiali. Quindi, uffici gestionali, con pc e segreterie ben organizzata.. In un simile contesto, ci sono state fatte chiare le richieste dal responsabile delle risorse umane, relative al bisogno di gestire i conflitti dati dal crescere dell‟organizzazione e avviare un percorso di formazione alla comunicazione. Queste richieste si IAT NEWS sono tradotte in due attività: - Un workshop sulla gestione del conflitto rivolto a 16 dirigenti. Durato un giorno, cocondotto da Susanna e Nadia, è stato dedicato alla teoria dei confini di Berne, e i partecipanti hanno colto con curiosità ed attenzione la lettura delle loro dinamiche interne. Il nostro lavoro è stato centrato sull‟Okness con l‟obiettivo di dare stimoli dal punto di vista del Genitore Culturale per trovare nuove risposte senza svalutare le soluzioni del passato. Il simbolo usato è stato il concetto universale di mattone, mettendo a paragone un mattone locale, fatto di terra rossa cotta, con un italianissimo “foratino” trovato in un cantiere – una buona metafora di globalizzazione! - Un corso 101, tenuto da Susanna, da considerare come l‟inizio di un percorso strutturato di formazione sulla comunicazione, che ha coinvolto 12 dirigenti dei diversi reparti. È stata un‟esperienza toccante, anche inusuale per come i concetti AT sono stati discussi con i partecipanti. Ad esempio, vale la pena di considerare l‟efficacia del Triangolo Drammatico, discussa dal punto di vista di un paese in via di sviluppo, dove è frequente la relazione non paritaria con volontari, organizzazioni estere, governi esteri. I partecipanti al corso hanno tutti espresso il desiderio di continuare il loro training in Analisi Transazionale nonostante le grandi difficoltà logistiche (per esempio, la rete elettrica e telefonica non perfettamente funzionante). In questo, un ruolo chiave lo ha avuto e lo avrà Karen Pratt, (ITAA board representative per Africa/India) che è stata da subito coinvolta per avere il legame con la South African Transactional Analysis Association (SATAA). Con lei condividiamo l‟obiettivo di sviluppare l‟AT in Africa, e questo legame è diventato reale durante una telefonata via Skype a fine corso, in cui Karen ha parlato con i partecipanti e li ha incoraggiati nel loro training. OK-OK, BWINO-BWINO Bwino è una parola ricorrente nella lingua parlata locale, e scoprire che era anche la parola ricorrente nel nostro fare foramzione ha confermato come l‟AT sia stata la protagonista del nostro lavoro. Ricordando le parole di un partecipante al corso 101 “Non ci avete dato il porridge, ci avete messo in condizione di riflettere”. Noi riteniamo che alla base della riuscita del nostro lavoro ci sia stata proprio l‟alleanza sull‟essere diversi – ad esempio, ribadendo che nessuno di noi usava la propria lingua madre. Questo ha confermato come l‟autonomia venga dall‟acquisire quegli elementi che rendono ogni persona unica e dall‟apprendere a condividere quello che avvicina persone diverse tra loro. Abbiamo scelto alcune foto di questa nostra esperienza, quelle che più possono restituirne il senso. E, per questo motivo, un grazie particolare va alla fotografa Elisa Marciello per l‟impegno con cui ha seguito il nostro lavoro. Siamo tornate a casa arricchite. Il nostro dubbio “Ma come fate a conciliare Internet e questi villaggi fatti di capanne” ha avuto subito una franca risposta “questo è il modo per lavorare. Li c‟è la nostra rete di affetti”. È stata la scoperta di un mondo integrato e forte che è emerso fin dai primi incontri, e che può contare su questo per puntare a un futuro migliore. Grazie per quello che ci avete insegnato, Zikomo Zikomo. Pagina 6 IAT NEWS CAMPO CLINICO SINTOMI COME DONI di Maria Assunta GIUSTI Psicologa e Psicoterapeuta TSTA in campo clinico ...I bambini sono capaci di doni speciali trasformati in metafore quotidiane, che denunciano una loro sofferenza e spesso dei loro genitori. (M. A. Giusti) Vorrei innanzitutto porre l‟attenzione su un punto, per me fondamentale, tipico del lavoro con il bambino sia nel setting consulenziale sia in quello psicoterapico. Intendo il sintomo come un dono che il bambino fa ai suoi genitori, e questa convinzione diviene chiave metodologica. Spesso troviamo infatti una condizione apparentemente sintomatica del bambino, che in effetti non è il vero paziente, poiché porta in terapia attraverso il suo sintomo la sofferenza del genitore o genitori. I bambini sono capaci di doni speciali trasformati in metafore quotidiane, che denunciano una loro sofferenza e spesso dei loro genitori. Il tecnico che sa cogliere questo dono e impara a leggere il sintomo in questa chiave spesso riesce a dare senso a quello che apparentemente non ce l‟ha. Tale supposto teorico-metodologico è applicabile anche alla cura dell‟adulto e in genere a quelle situazioni dove si voglia lavorare con la mentalizzazione di sé e dell‟altro. L‟aspetto teorico è supportato attraverso idee relative all‟identificazione proiettiva. Il sintomo è di solito pensato sia in senso medico che analitico. Siamo abituati a gestire il sintomo come il segnale che rivela un fenomeno non adeguato, un disequilibrio, un malessere che denuncia uno stato di malattia, un qualcosa da eliminare per ristabilire l‟omeostasi precedente. Il sintomo diventa rivelatore per la diagnosi, e quando questa sarà effettuata porterà alla cura … ma ci sono sintomi che non sono così chiari e tangibili, che spesso non vengono o vengono difficilmente compresi, creando ancor più sofferenza nel soggetto che li sta patendo. Ci sono sintomi che hanno bisogno di essere decifrati e considerati, come ci suggeriva Freud (1), dei veri e propri segnali, metafore, sotto cui si cela un significato più profondo che porta alla storia della persona. Il sintomo è meccanismo di difesa o di rimozione e rappresenta comunque una esperienza rimossa: il sintomo nella letteratura psicoanalitica è segnale che sostituisce una mancata soddisfazione pulsionale. Tuttavia, rispetto al sintomo, la psicoanalisi fa suo l‟ascolto totale della parola, che si è trasformata in somatizzazione, gesto, o……… E‟ già con Freud che Il sintomo passa da segno che “significa“ a segno che può “comunicare” fino a divenire una forma di linguaggio vera e propria, secondo Lacan. (2) Suggerirei di aggiungere, a questo concetto di sintomo che parla e comunica, una dimensione relazionale, per cui il sintomo stesso non parla solo di Sé ma della relazione. Nei vantaggi, leggerei non solo quello di sopravvivenza, ma quello di mantenere una relazione e di indicare di quella stessa relazione quale può essere la parte “non ascoltata”. Il sintomo denuncia una situazione relazionale che ha bisogno di cure e spesso, nella mia pratica di psicoterapia con bambini, mi sono trovata di fronte a piccoli pazienti, che con il loro sintomo riuscivano a portare in terapia l‟intera famiglia. Il malessere del bambino chiede indirettamente che i genitori, o chi se ne prende cura, si interroghino sulla situazione relazionale e attraverso questa domanda si pongano in discussione. Spesso accade che nel prendere in cura un bambino si debba contemporaneamente o successivamente mettere in cura uno dei due genitori, lavoro che si va ad assommare a quello di presa in carico della coppia genitoriale, implicito nel setting dell‟infanzia. (3) Per questo motivo, io credo, possiamo parlare del Sintomo come un Dono. Giocando con la parola stessa, credo che possiamo parlare di sintomosintono, intendendo la sintonia e la sincronia, che devono essere mantenute tra caregiver e bambino per una corretta relazione. A mio avviso quindi il sintomo è una manifestazione atipica, che serve a mantenere un legame, spesso per salvare l‟Altro. E‟ comunque una comunicazione profonda che dona senso al dolore e che diviene dono sia per il terapeuta, che ne raccoglie i significati, sia per la persona che in quella relazione viene coinvolta e portata in terapia: come spesso accade al genitore che si deve mettere in discussione dopo aver portato il figlio. Nella ricerca fatta Schore, (4) che descrive in termini metodologici il meccanismo di identificazione proiettiva di M. Klein, (5) possiamo trovare alcuni concetti a sostegno del mio pensiero. Inizialmente M. Klein parlava di identificazione proiettiva nel senso proiettivo e protettivo, per il soggetto che espelle attraverso questo meccanismo il contenuto fantasmatico interno, non sapendo né elaborarlo né contenerlo. In questa visione si sottolinea ancora il processo comunicativo monadico di espulsione unidirezionale di contenuti intrapsichici. Nel concetto di identificazione proiettiva adattiva, invece la Klein si avvicina al concetto del legame di attaccamento sicuro (Bowlby). (6) Se come sottolinea Schore l‟identificazione proiettiva può essere spiegata dal colloquio che si verifica tra l‟emisfero destro della madre e quello del bambino, come dice anche Bion (7) diventa un fenomeno reale più che difensivo. “In uno scritto recente ho proposto che l‟attaccamento sia fondamentalmente la regolazione interattiva della sincronia biologica fra organismi. Suggerisco che l‟identificazione proiettiva adattiva coinvolga una strategia di regolazione interattiva che utilizzata nelle comunicazioni spontanee tra emisferi destri, un dialogo preverbale, basato sul corpo, fra i sistemi limbici lateralizzati destri; in modo particolare in contesti emotivamente intimi e intensi. Questo modello sostiene l‟affermazione di Bion in base alla quale l‟identificazione proiettiva è la più importante forma di interazione tra paziente e terapeuta”. (8) Il neonato, (e le persone in genere), comunica sia gli stati emotivi positivi che negativi favorendo la modulazione nella madre e costruendo attraverso questi un saldo legame di attaccamento che non vorrà sciogliere. Il sintomo parla della mancata sintonizzazione e di un possibile attaccamento non a base sicura, dove il bambino tenta di inviare al sistema-madre-bambino, uno stimolo che possa cambiare la situazione del sistema stesso. Se non c‟è sintonizzazione nella coppia, la madre reagirà allo stimolo ricercando una nuova omeostasi, o il bambino si autoregolamenterà, per mantenersi all‟interno di quella relazione, se pure in modo meno sintonizzato e stabile. In altri termini la funzione difensiva è da intendersi nei confronti della coppia, cioè si difende il legame in senso relazio- IAT NEWS Pagina 7 nale e non per la sopravvivenza del singolo. La funzione adattiva ripara la mancata sintonizzazione. Tanto più l‟attaccamento è insicuro/ambivalente o caotico, tanto più la persona tende a usare l‟identificazione proiettiva in senso difensivo poiché diviene una vera e propria richiesta di aiuto rivolta al caregiver, che dovrebbe saper elaborare in senso bioniano (reverie) il vissuto del bambino. (9) Se noi pensiamo in termini di relazione e di comunicazione profonda tra gli elementi del sistema stesso, anche il sintomo acquista una validità comunicativa, difensiva e riparatoria. L‟accento cade sulla cura, che diviene la presa in carico della relazione e dei suoi componenti, che possono mentalizzarsi in modo diverso, perché se il sintomo è un dono, allora l‟intervento terapeutico può essere fondato sull‟aiutare l‟adulto della relazione a vedersi sotto un‟altra prospettiva che lo aiuti a mentalizzare sia se stesso che il bambino ( o l‟altro) NOTE (1) S.Freud, (1915), Pulsioni e loro destini. In Opere, Vol. 8, Bollati Boronghieri, Torino,2003 (2) J.lacan, La cosa freudiana, Ediz. Einaudi, Torino, 1974 J. Lacan, Funzione e campo della parola e del linguaggio, Ediz. Einaudi , Torino, 1974 (3) Il setting del bambino è propriamente diverso da quello dell’adulto anche perché non lavoriamo solo sul fantasma, sull‟immagine genitoriale introiettata, sul vissuto, ma lavoriamo con e su figure reali tangibili che divengono interlocutori necessari. Così il palcoscenico si popola di genitori fantastici e desiderati, genitori e figure introiettate, genitori e figure reali, e funzioni genitoriali interne al terapeuta ed esercitate dal terapeuta che diviene attore tra gli altri nel palcoscenico della vita del bambino. Così anche il terapeuta ha parte attiva nel copione del paziente. Questo complica il controtransfert che è massiccio. L‟intensità è data dalla dipendenza reale del bambino nei confronti del genitore e del terapeuta. La natura primitiva delle fantasie che vengono esercitate sul terapeuta attraverso le angosce del bambino vissute nel loro insorgere, non sono ricordo, sono attualità, stanno accadendo nel qui ed ora. L‟identificazione è con un bambino reale, non con lo stato dell‟Io Bambino di un adulto. Tutto sta succedendo sotto i nostri occhi. (4) A. Schore, Being alive-Building on the work of Anne Alvarez. Judith Edwards Ed., New York 2001 (5) M. Klein, (1952), Sull’osservazione del comportamento dei bambini nel primo anno di vita, in Scritti, 1921-1958, Boringhieri, Torino 1978 (6) J. Bowlby, (1969), Attachment and loss, Tr. It. Attaccamento e perdita, Vol 2: La separazione dalla madre, Boringhieri, Torino, 1999 (7) W.R. Bion, Apprendere dall’esperienza, Armando Ed., Roma, 1972 W.R. Bion, Gli elementi della psicoanalisi, Armando Ed., Roma, 1973 (8) A. Schore, Being alive-Building on the work of Anne Alvarez. Judith Edwards Ed.,New York 2001 (9) La possibilità di esprimere i propri sentimenti e di percepirli accolti con empatia, permette ai genitori di sentirsi riconosciuti e li aiuta ad avvicinarsi al loro bambino reale e al pensiero di potersi occupare di lui. La mente umana ha dunque bisogno della relazione con l‟Altro per svilupparsi. Bion 1962-63 descrive in maniera mirabile questo accendersi iniziale della mente umana, vero big-bang del pensiero nell‟incontro tra la proiezione di angosce primitive, chiamate dall‟autore elementi beta, e una mente, quella del caregiver, capace di accoglierle trasformarle attraverso la funzione di reverie, che trasmette oltre al prodotto lavorato (le angosce bonificate: gli elementi beta trasformati, come illustra lo studioso, in elementi alfa). Attraverso il concetto di reverie, diventa possibile spiegare quanto accade durante gli incontri tra l‟operatore e il genitore. Questi ultimi proiettano, infatti, le loro incertezze che se trovano una mente permeabile vengono accolte, trasformate (funzione di reverie) e rimandate ai caregiver in forma tollerabile e dunque pensabile (alfabetizzate), trasformate in elementi alfa. (Giulia Salinardi:Analisi della teoria dei touchpoints di Brazlton atraverso lo sviluppo B I BLI OG R A FI A Algini M.L., De silvestris P.Forma C. Lugones M., (1994) Il transfert nella psicanalisi dei bambini, Borla, Roma. Ammaniti M. e D.N. Stern, (1992) Attaccamento e psicoanalisi, Laterza, Roma-Bari. G. Arisi Rota, (1994), Il principe e la principessa addormentati, in Quaderni di A.T. n.12, Edistampa, Milano AA.VV. (1981) Il bambino nella psicoanalisi, Ediz.Savelli, Roma. AA.VV. (1994), Il setting, l‟approccio relazionale in neuropsichiatria infantile, Borla edit., Roma. Bion W.R., Apprendere dall’esperienza, Armando Ed., Roma, 1972 Bion W.R., Gli elementi della psicoanalisi, Armando Ed., Roma, 1973 Beebe B. 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Clarkson P., The therapeutic relationship in psychoanalysis counselling psychology and psychotherapy, trad. It. La relazione psicoterapica integrata, Sovera 1997 Roma. in una diversa dimensione. Il sintomo non diviene quello che attacca o mette in pericolo il legame, ma quello che cerca di mantenerlo o avviarlo alla cura. Riporterò il caso, portato anche in due congressi di A.T., di un bambino, inizialmente diagnosticato iperattivo. La situazione è stata risolta nel momento in cui il bambino ha potuto essere pensato (mentalizzato) dalla madre, non come colui che le toglieva ogni energia, ma come colui che l‟amava così tanto da agitarsi pur di smuoverla dal letto dove giaceva per la sua depressione. Quindi nel momento in cui il Sintomo è stato visto come un Dono e un meccanismo Difensivo per la Relazione, la madre ha potuto vedere il suo bambino con altri occhi e anche l‟immagine di se si è trasformata. della relazione caregiver-bambino. - Tesi di laurea in Scienze dell‟Educazione e della formazione, presso l‟Università di Studi di Siena) (10) I dati anamnestici, sono stati tradotti in un linguaggio simile a quello delle favole per avvicinarmi alla parte bambina di ogni lettore e per far si che si possa mentalizzare la situazione nella nuova luce che il terapeuta vuole dare come lettura del sintomo. (11) Il gioco è lo strumento di terapia, il corpo lo accompagna. Il corpo sente, decodifica, restituisce in un sistema di reverie che è sempre più vicino a quello materno. E‟ seno nutritivo, attivo, presente, pulsante, pensante. “Vorrei adesso dire qualcosa a proposito del concetto bioniano di contenimento. La sua idea sembra essere che, se la madre è capace di quella cosa che egli chiama reverie, il bambino può proiettare in lei le sue frustrazioni, la sua rabbia le sue paure e riaverle indietro in una forma modificata (1962): La seconda parte del processo, (riavere indietro) fu più tardi chiamata da Bion trasformazione. (1965) Egli paragonò questo processo all‟attività dell‟artista, oltre che alla attività interpretativa dell‟analista. Vorrei suggerire che in realtà il processo può essere considerato costituito da quattro fasi: lo stadio ricettivo o contenitivo, quando il materiale fa per la prima volta il suo impatto; il lavoro di trasformazione che avviene all‟interno del terapeuta; il lavoro interpretativo, che può significare restituire al paziente le sue proiezioni oppure no; l‟effetto dell‟interpretazione sul paziente – ovvero, il modo in cui egli l‟ascolta, dato che l‟effetto può essere diverso da quello auspicato dal terapeuta.” E‟ storia che si intreccia quella tra il terapeuta e il bambino. E‟ responsabilità consapevole di entrare nell‟introietto del paziente con una nuova funzione genitoriale che accompagna e modifica quella in germe già esistente e continuerà in senso positivo a funzionare. (12) Nel lavoro con la videomicroanalisi, ho preso in considerazione la possibilità di fare un parallelo o di prendere a prestito il concetto di Rappresentazione mentale di Stern per mettere a fuoco alcuni concetti di A.T. Noi sappiamo che l‟individuo ha una rappresentazione mentale di sé, dell‟altro e della vita (quadro di riferimento) che fa parte dell‟introietto (G1) del paziente e che si forma attraverso la relazione materna o genitoriale non in senso di relazione duale ma sistemica, quindi sia vicendevolmente influenzante, sia formativa. La madre ha una rappresentazione di sé e del figlio, e il figlio ha una immagine di sé e della madre e si specchia nel vissuto rappresentativo della madre, come questa si specchia nel vissuto rappresentativo del figlio. (13) Il lavoro sul sistema genitore-bambino, o sul bambino direttamente (che sta all‟interno di un sistema), favorisce il cambiamento del singolo, e quindi del sistema, e a sua volta del terapeuta che entra più o meno a farvi parte. Tutto questo è estensibile anche nel setting e nella relazione terapeutica con il paziente adulto. Anche se noi non lavoriamo direttamente con le parti del sistema, entriamo comunque nell‟immaginario mentale del paziente e questo entra nel nostro. Basti pensare alla relazione transferale e controtransferale. Avere cura del paziente implica anche il prendersi cura di noi, e la sua evoluzione è anche la nostra. English F., 1977, Analyse Transactionelle et émotion, Trad It: Essere terapeuta, La vita felice, Milano 1998 English F., Fin dove i copioni?, trad. it. In Neopsiche Riv It. IX, n.15, p.4-14, 1991 Erskine R. R.L. Trautmann, Ego States Analysis: a comparative view, TAJ 11- Trad it. Riv. Neopsiche n. 11/12 1989. 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L’attesa del piccolo fu difficile, sembrava che anche quella gravidanza non sarebbe arrivata a termine ….. Ma … finalmente il piccolo principe nacque La sua venuta al mondo non fu semplice, i medici dovettero tagliare la pancia della regina e tirarlo per un piede per farlo uscire, visto che si era rifugiato tra le costole della madre, come se fosse un nido … Il piccolo non respirava e tutti si dettero un gran da fare per salvarlo e alla fine ce la fecero .. L’aveva proprio scampata bella!!! La mamma regina non poté allattare suo figlio, perché i farmaci per la tristezza glielo impedivano, e il bambino non aveva sonni tranquilli. (10) Il principino cresceva ma aveva l’animo agitato, era aggressivo e non stava mai fermo. Non si divertiva con nulla e sembrava arrabbiato con la madre che continuava ad essere sempre più triste. Nelle scuole del regno, non riusciva ad avere amici e le maestre erano preoccupate. Il re e la regina allora si rivolsero ad alcuni maghi che sospettavano che il bambino avesse una malattia chiamata ADHD. Così fu inviato dalla fata Lella che accolse il re e la regina facendosi narrare la storia del piccolo principe . Decise con loro che lo avrebbe incontrato e quando lo vide scorse nei suoi occhi una profonda tristezza che le ricordava quella della regina. Giocarono insieme e decisero di rivedersi per capire perché il principino non riusciva a divertirsi. (11) Intanto il re e la regina fecero per la fata Lella un filmato (Che è una cosa di grande magia) (12), per farle vedere come il principe giocava a casa. La fata notò che il piccolo principe giocava con il re perché la regina stava nelle sue stanze a dormire o a fare le cose da sola. Il sovrano era paziente con il piccolo e sembrava infondergli un po’ di tranquillità, mentre la regina non riusciva ad avere grande spazio per lui. La fata Lella si insospettì nel vedere che il piccolo principe riusciva a mantenere la calma e l’attenzione se l’altro era calmo con lui e iniziò a pensa re che il comportamento del piccolo principe fosse un messaggio per qualcuno che amava. La fata Lella sapeva che i bambini, fin dalla nascita vivono in un rapporto di reciprocità con i genitori, influenzandosi l’un l’altro, e sapeva che i bambini si autoregolano per attaccarsi all’ambiente che li nutre. Così la fata ricevette i genitori sovrani e spiegò loro il dono che il piccolo principe gli stava facendo, in grande segreto. La sua agitazione, costringeva la regina madre a muoversi dal suo letto, a stare con lui, ad uscire dalla sua profonda tristezza. La regina madre si commosse nel pensare al suo bambino come ad un principino che la salvava dal suo torpore, anziché ad un figlio che la stancava, che l’aggrediva e non l’amava … cose che aveva sentito fino a quel momento. Così il re e la regina cominciarono a comportarsi con il principino in modo diverso e dopo alcuni mesi il piccolo era più sereno. I reali portarono un nuovo filmato, dove il piccolo principe ballava e giocava con la regina che era felice di “svegliarsi” dal suo incantesimo per stare insieme a lui. Passò più di un anno e la regina curò la sua tristezza, ma dolorosi eventi della vita del suo regno, la fecero ricadere nell’angoscia e il piccolo principe tornò ad agitarsi per lei. La fata Lella parlò di nuovo al re e alla regina, e con i medici che curavano quest’ultima, e decise di vedere di nuovo il piccolo per giocare con lui e insegnargli a distaccarsi dalla madre adesso che sapeva attaccarsi. Inoltre gli avrebbe insegnato a farle altri doni che avrebbero comunque parlato del suo amore, senza però farsi del male, specie adesso che doveva iniziare anche la scuola dove avrebbe imparato ad essere un buon principe. La fata Lella accoglieva periodicamente anche il re e la regina, e insieme facevano lunghi discorsi per sostenere il cammino del principino e per aiutarli a cambiare insieme a lui. Un giorno il piccolo principe disegnò una casa e la fata notò che sembrava piena di angoscia e triste come sua madre. Anche al principe sembrò così e volle disegnarne un’altra. Questa la definì: casa felice. Il piccolo principe donò questo ultimo disegno alla madre e il primo alla fata perché sapeva che lei avrebbe conservato e amato quella casa anche se era triste e sola. Quando andò in vacanza con i suoi genitori scrisse tante cartoline alla fata, dicendole quanto bene le voleva, quasi per tenere un contatto fatto di un filo invisibile. Quando tornò le portò un dono creato da solo: un porta foto fatto con tutte le più belle conchiglie raccolte nella spiaggia per lei. Passò ancora un po’ di tempo, la madre regina era infelice sia per il suo vecchio padre che stava molto male sia per il duro lavoro nel suo regno, e il principino era messo a dura prova…. La fata parlava con il piccolo principe per fargli comprendere cosa stava accadendo e un giorno che arrivò agitato perché la madre si era arrabbiata per i suoi mal di pancia, la fata Lella gli disse : “Sai qualche volta le madri quando hanno paura, reagiscono con la rabbia e questo rattrista e confonde i bambini.” Gli disse però che lei stessa si sarebbe presa cura di quella mamma per insegnarle le cose da fare quando era triste o stava male. Il principino disegnò tre alberi, che regalò alla fata, e fu felice di sapere che qualcuno si sarebbe preso cura della sua famiglia, di loro 3, e soprattutto della mamma, sollevando lui da questo compito. La fata incontrò di nuovo i reali e accolse la tristezza della regina, la sua voglia di morire cercando di trasformarla in impegno e desiderio di vivere, facendole vedere quanto l’amava il principino. La regina madre era molto brava ad insegnare le lingue degli altri, così la fata Lella le fece notare che lei poteva tradurre il sintomo del piccolo principe, considerandolo un dono d’amore per lei. Il suo mal di pancia, la sua agitazione e tutte le altre cose, che il principe creava per lei erano doni per distoglierla dalle cose pericolose che l’affliggevano e che le facevano desiderare di morire. (13) Il piccolo principe stava percorrendo la sua strada per salutarla come madre e andare verso la vita,per viverla in modo più indipendente, ma non riusciva a farlo perché temeva per lei e la sua salute. L’energia che serviva era ancora tanta, ma le loro strade piene d’amore potevano incontrarsi e separasi di nuovo …. l’importante era ciò che avevano imparato:… …..quando ci sia ama il dono più grande è il dono di se stessi, che trova 1000 modi creativi per mostrarsi, il più strano dei quali è il SINTOMO. La fata Lella ricordò alla regina il filmato in cui lei ballava felice con il principino e la regina commossa le sussurrò: “E’ tanto tempo che non sorrido più così !” “Tornerai a farlo , le rispose la fata, “guardati nella mia sfera magica e ritrova il tuo sorriso” IAT NEWS Pagina 9 CAMPO COUNSELLING DE SENECTUTE: ANNI MORBIDI E… di Daniela BETTINI Counsellor (C-E) BIBLIOGRAFIA D. Demetrio, “Raccontarsi” Cortina Ed. L. Moreni, “Lo specchio del racconto” Ed. Unicopli C. Steiner, “The stroke economy” Taj, 1:3, 1971 I Stewart e V. Joines , ”L‟Analisi Transazionale. Guida alla psicologia dei rapporti umani” Ed. Garzanti G. Cohen “Il potere della mente matura”. Ed. Piemme Anni morbidi potrebbero essere quelli da 65 in su, a condizione che: 1. Non ci siano malattie importanti 2. Vengano vissuti all‟interno di una rete comunicativa 3. Ci sia di che vivere compreso, può tornare a concepire obiettivi raggiungibili, ad aggiustare il tiro perché le cose vadano meglio. Servirà qualche sforbiciata e aggiunta alle varie suddivisioni della strutturazione del tempo. Meno Isolamento (lo “spicchio” più temibile), a favore di maggiore Attività (quante cose sanno e sanno fare i vecchi!) e Intimità. Inoltre necessitano Carezze. Del riconoscimento ha bisogno chiunque: il bambino, per crescere con la schiena dritta; l‟adulto, per non rinsecchirsi; il vecchio, come antidoto allo sbiadimento della sua identità consumata e al processo involutivo. Permulceor, ergo sum (ricevo carezze, dunque esisto). Più tondi e quindi già fisicamente più morbidi degli spigolosi giovani - ma i grassi con le loro grasse risate non sono più simpatici? - i vecchi (ma sì, uso questa parola dismessa e fuori moda, diretta, che dice pane al pane e vino al vino) se la potrebbero godere, avendo imparato, col tempo, a sottrarre peso alle loro giornate e a curare le due-tre cose che fanno vita una Riferisco l‟esempio di un comportamento creativo, vita. concepito e adottato a oltre 70 anni, frutto di un Le più importanti sono riconoscersi e non perdersi invidiabile sviluppo psicologico maturo (da “Il potere d‟occhio. Talora le donne, più vitali e compiacenti dei della mente matura” G. Cohen, ed. Piemme). loro coetanei, non sanno dire “no” nemmeno alle Due settantenni marito e moglie, invitati a cena dalla richieste più pressanti. Gli uomini, d‟altro canto, rice- figlia sposata, usciti dalla metropolitana di Washinvono meno richieste, ma si adattano peggio al nuovo gton, rimangono intrappolati in una tormenta di neve. e non traggono soddisfazione dal rapporto con la Necessita un taxi perché il tratto di strada è troppo casa. Si ripiegano prima su di sé, si rimpiccioliscono e lungo per percorrerlo a piedi, ma tutti i taxi sono occuriducono sempre più i tanti “io” che componevano la pati. Il signor Howard allora telefona alla figlia, ma loro personalità nell‟età forte. Allora ha inizio la vec- anche lei è ferma in mezzo al traffico. Intanto le dita chiaia cattiva, il tempo dilatato, sempre uguale e che delle mani dei due settantenni si intorpidiscono per il non passa mai, il non agire (non dare senso e direzio- freddo. Il signor Howard non si dà per vinto, non rimane alle azioni). Chi gli sta intorno senza saperci stare, ne inerte, né si arrabbia con il destino avverso, ma sgrida e/o protegge troppo, quasi il vecchio sia un concepisce e pratica un‟opzione a dir poco originale, monello di pochi anni, svalutandolo, contribuendo al dovuta al folto repertorio di strategia e forse rimpicciolimento del suo spazio, alla percezione di – è Cohen a sostenerlo - alla capacità delle persone essere inutile e di peso, all‟attesa di uscire di scena. anziane di usare entrambi gli emisferi del cervello. Per riprendere il cammino, una direzione, c‟è bisogno Dopo aver con fatica attraversato una strada piena di di dolci pungoli provenienti dall‟Adulto e dal Genitore neve e fango, entrano in una pizzeria da asporto; Mr. Affettivo, che dà sostegno e nutre l‟anima ammacca- Howard ordina una pizza enorme, e quando gli chieta. dono dove portarla, si autorizza a fare la richiesta di… essere consegnati anche lui e la moglie con la pizza! Dopo una batosta, si può ripartire, e anche se Esempio che la dice lunga sulla potenzialità della “invecchiare non è per i vigliacchi” (Bette Davis), un senectus, si vivida et accepta. clima rispettoso e caldo rinforza anche chi non ha cuor di leone. Visibile e amato, chiunque, vecchio Pagina 10 IAT NEWS C’era una volta… cosa c’è ora? Analisi Transazionale per la comunicazione nella scuola dell’infanzia di Susanna Cesarini FISM Roma EUROMA, 2010 RECENSIONE DI Cesare FREGOLA Non svolgo recensioni da molto tempo e allora sono andato a recuperare i miei antichi appunti per rinfrescare i criteri da utilizzare. Ho deciso di metterli da parte perché dovrei dare struttura prevalentemente razionale a qualcosa che invece mi ha dato molti spunti di esplorazione fra pancia, testa e anche il cuore. Mi spiego. La prima volta ho letto tutto d‟un fiato il libro di Susanna e l‟ho anche chiamata per telefono per dirle della chiarezza, freschezza, essenzialità, rigore che si trovano nel suo lavoro finito. Non solo: c‟è un criterio che potrei definire di adeguatezza situazionale che si può ritrovare con riferimento ai destinatari-insegnanti, ai destinatari-famiglie, ai destinatari-bambini e che si può evidenziare nel contesto scolastico in cui essi operano. Certamente avvicinare due mondi, quello della comunicazione didattica e quello della comunicazione sociale, senza criticità nella definizione delle linee di confine e di frontiere è assai complesso ma, ritengo, uno dei pregi del libro è che si può ritrovare un rigore che protegge ogni persona nel ruolo che svolge e di conseguenza la relazione didattica e quella interpersonale trovano spunti di riflessione oltre che indicazioni tecniche e scientifiche accurate. La seconda volta ho letto il libro perché l‟ho segnalato a una studentessa del corso di laurea in Scienze della Formazione Primaria che sta preparando la relazione finale (una forma della tesi di laurea…), su quali elementi dell‟AT possono entrare a far parte delle competenze di base dell‟insegnante della Scuola per l‟Infanzia. Avevamo già fatto tanta ricerca su questo tema … e si è materializzato il lavoro di Susanna su qualcosa che non avevamo trovato: “cose simili, mi pare che mancassero, almeno così strutturate” -a dire di Francesca, la studentessa- e che, aggiungo, coniugassero il linguaggio dell‟AT con il mondo delle filastrocche, quelle della tradizione, che tanto fondano l‟immaginario collettivo e tanto sollecitano escursioni emotive provocatorie, catartiche, capaci di evocazioni e di orientamento che ogni insegnante e genitore attivano ogni qualvolta “raccontano”, “cantano”, dando ritmo con il cullare o il saltellare, ignari, spesso, forse, di quanta ricchezza di strutture e funzioni vengono attivate al di fuori dell‟intenzionalità e della consapevolezza. La terza volta ho letto il libro per scrivere la recensione. E tante scoperte ho fatto: dimensioni emotive e cognitive delle filastrocche custodiscono strutture e funzioni che l‟AT consente di cogliere e rileggere all‟interno dei propri costrutti. Guidati con lo scopo di questa rilettura, aspetti pedagogici e aspetti psicologici possono trovare sinergia negli ambienti di apprendimento che le filastrocche consentono di determinare. All‟interno di questi ambienti pur lasciando alla tradizione, alla misteriosità della cultura sottesa e all‟ingenuità che potrebbe caratterizzarla, la lettura del libro può dare spunti e anche occasioni strutturate per progettare interventi sulla comunicazione sociale e sulla comunicazione didattica rivolti a insegnanti, genitori allievi delle Scuole Analitico Transazionale, studenti in Scienze dell‟Educazione e della Formazione Primaria. Le illustrazioni di Veronica Altavilla sono bellissime oltre che efficaci. Infine, ho aperto questo lavoro affermando che anche il cuore ha partecipato alla lettura. Nei miei dialoghi interni che ho intercettato ce n‟è qualcuno che mi ha riportato alla mia relazione con il mio apprendimento. Ho potuto rievocare la voce della mia nonna “seduta comoda” che “ninnava” i più piccoli e si “ninnava” narrando alcune delle filastrocche presenti nel libro. Concludo con una frase che Susanna ha scritto nella sua introduzione: “ Spero che queste competenze comunicative possano diventare patrimonio della scuola per l’infanzia. Pensando al mio lavoro, mi auguro che il lettore arrivi all’ultima pagina con la percezione che si può migliorare il proprio modo di lavorare singolarmente e in gruppo e che si possano chiudere queste pagine con il desiderio di aprirne di altre sul, e magari di aprire il proprio modo di pensare! Allora iniziamo e, come si dice agli adulti, prendete una sedia e mettetevi comodi…”. Mi prendo ancora un piccolo spazio per di lasciarvi con il libro: perso- La vispa Teresa avea tra l’erbetta a volo sorpresa gentil farfalletta E tutta giuliva, stringendola viva, Gridava a distesa: L’ho presa! L’ho presa!” A lei supplicando l’afflitta gridò: “Vivendo, volando, che Pagina 11 IAT NEWS SEMINARI CLINICI. LA CASSETTA DEGLI ATTREZZI DELL’ANALISTA TRANSAZIONALE Michele Novellino - FRANCO ANGELI EDITORE Questo manuale di metodologia e tecniche copre un vuoto molto avvertito nella comunità degli analisti transazionali: quello di un testo che descriva in dettaglio la messa in opera del metodo dell'analisi transazionale. La filosofia del libro è dunque riportare per iscritto la trentennale esperienza di didattica e supervisone dell'autore. E l'obiettivo è mettere il lettore nella condizione di poter tradurre con efficacia sul piano terapeutico i principi generali del metodo clinico e della metodologia. La sistematizzazione degli argomenti nasce dai tanti seminari svolti dall'autore prima presso lo IAT dal 1976 al 1991, e successivamente presso l'Istituto Eric Berne. Questi ultimi hanno condotto numerosi allievi ad acquisire il titolo di analista transazionale e poi di analista transazionale didatta della EATA e dell'ITAA. Vengono dunque qui presentate le operazioni descritte dal fondatore dell'analisi transazionale, Eric Berne, e i diversi sviluppi della terapia ridecisionale dei Goulding, della psicoterapia integrativa di Erskine, dell'approccio psicodinamico di Novellino e Moiso. Il manuale è rivolto agli allievi delle scuole di analisi transazionale, ai loro docenti per potere avere un riferimento didattico comune, agli psicoterapeuti di altre scuole per avere una conoscenza corretta di un metodo a volte svilito ingiustamente da opere di taglio divulgativo. LA FORMAZIONE E I SUOI SISTEMI di Cesare Fregola Nella società della conoscenza, una chiave adeguata per interpretarei processi di formazione è il paradigma della complessità che introduce discontinuità con i paradigmi classicamente utilizzati per orientare l’analisi e le decisioni per progettare i processi e i sistemi diformazione. Il quaderno di Cesare Fregola si propone di fornire criteri di riflessione per evidenziare come la riprogettazione dei sistemi formativi comporta la capacità di generare integrazione fra innovazione e tradizione a partire dalla previsione di possibili ricadute dei processi i nsegnamento-formazione-apprendimento nelle persone e nell’organizzazione. Sullo sfondo, vi è la proposta di rileggere, partendo dall’analisi dei principali paradigmi dello sviluppo organizzativo, il passaggio da una formazione imperniata sulla definizione dei contenuti dell’apprendimento a un sistema formativo. Ciò implica la concretizzazione di strategie che mirano alla gestione integrata e la ridefinizione di una relazione efficace fra la persona, il proprio apprendimento e il ruolo che essa ricopre nell’organizzazione. Fa da guida l’evidenza della costruzione di un implicito patto di sviluppo dei sistemi di formazione che possano influenzare il valore sociale, economico e culturale della conoscenza. Ci prendiamo il permesso di pagina del libro: proporvi la lettura dell’ultima “Il quaderno ha fornito sguardi su molteplici variabili dell’apprendimento nella complessità che appartengono ad aspetti funzionali di tipo culturale, organizzativo, sociale, ed economico e ad aspetti legati alla persona, che si possono considerare luogo dell’incontro fra l’esperienza, la competenza di cui si dispone e la motivazione a continuare ad apprendere. Le relazioni fra sapere, saper fare e saper essere si sviluppano nella prospettiva del saper divenire dell’individuo quando questi è coinvolto nello svolgimento del proprio ruolo con pertinenza, aderenza alle regole e alle modalità procedurali che caratterizzano il suo lavoro e alle capacità creative che mette in atto per affrontare le istanze della trasformazione e del mantenimento. Se il repertorio dei comportamenti, in particolare quelli che sono agiti in modo più inconsapevole, consente di continuare a procedere in modo efficace all’interno delle mutate condizioni organizzative e del contesto esterno, le dinamiche dell’apprendimento sono riconduci bili prevalentemente a quelle già diffuse consolidate nella vita del gruppo; se, invece, occorre attingere ad altri repertori che magari sono poco noti e appartengono anche ad altre culture organizzative, si può verificare la richiesta di supporto nelle forme di orientamento, guida, formazione. Alla ridefinizione e all’evoluzione degli schemi che sono necessari per stare nella complessità e per gestire i cambiamenti si può trovare una dimensione pragmatica nei sistemi formativi, che diventano luogo di rilevazione e organizzazione di sapere di processo in grado di favorire lo sviluppo di piani di integrazione fra l’individuo e il proprio ruolo al fine di supportarne la ridefinizione verso le direttrici del cambiamento. Questo processo potrebbe consentire uno sviluppo in una prospettiva ecologica, in grado cioè di guidare l’azione in un’ottica di apprendimento continuo dei ruoli verso un esercizio di competenze cognitive, emotive e sociali che derivano dalle caratteristiche delle complessità e da rinnovate capacità di scambio, in modo tale che l’interazione creativa fra l’individuo e l’ambiente favorisca lo sviluppo di entrambi.” www.istitutoanalisitransazionale.it ISTITUTO ANALISI TRANSAZIONALE NUMERO 3 NEWS DALL’AT Congratulazioni ai nostri soci Cesare Fregola e Giacomo Visco che lo scorso luglio hanno partecipato al TEW (Training Endorsement Workshop) tenutosi a Praga. Il nostro socio Cesare Fregola con la Dott. Annunziata Marsciano e la Prof.ssa Angela Piu e con il gruppo di formazione-ricerca (Eledia Mangia, Roberta Masci e il gruppo di insegnanti coinvolte). hanno ricevuto Due segnalazioni di eccellenza nella Sezione Sistemi Formativi del: PREMIO FILIPPO BASILE PER LA FORMAZIONE NELLA P.A. Dell’Assoclazione Italiana Formatori TA WORLD CONFERENCE. THE CHALLENGE OF GROWTH Bilbao 7th - 9th july 2011 www.TAbilbao2011AT.com 7th - 9th July World Conference 2nd - 4th July EATA Council Meeting 2nd - 4th July TEW 5th & 6th Exams 10th - 11th July ITAA BOT Meeting HAI SCRITTO UN NUOVO LIBRO? L’approccio è Analitico Transazionale? Vuoi darne notizia ai soci IAT? Non perdere l’occasione, invia la segnalazione alla redazione daremo spazio dell’uscita del tuo libro!!! [email protected] Per la Regione Umbria: Percorso formativo sulla valutazione della formazione e validazione deglistrumenti di verifica e monitoraggio. (Con Direzione regionale Risorse Umane, Finanziarie e Strumentali, Sezione Formazione e Comunicazione) Per la Direzione Didattica I Circolo di Formia Simulandia: L’integrazione delle conoscenze matematiche, didattiche e psicopedagogiche e la costruzione di ambienti di apprendimento nei luoghi reali e virtuali nella scuola primaria.