Istituto Analisi Transazionale – NUMERO 3

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Istituto Analisi Transazionale – NUMERO 3
ISTITUTO ANALISI TRANSAZIONALE
NUMERO 3
IAT NEWS
ROMA — DICEMBRE 2010
Lettera del Presidente IAT
Cari soci,
SOMMARIO
- LETTERA DEL PRESIDENTE
pag 1
- L’ IAT E L’AT:
ALTRE RIFLESSIONI STORICHE
pag 2
- UN VIAGGIO IN MALAWI,
ESPERIENZE DI TRAINING
CON L’AT
pag 4
- SINTOMI COME DONI
pag 6
- DE SENECTUTE: ANNI MORBIDI E.. pag 9
- RECENSIONE: C’ERA UNA
VOLTA...COSA C’E’ ORA?
pag 10
- SEMINARI CLINICI. LA CASSETTA
DEGLI ATTREZZI DELL’ANALISTA
TRANSAZIONALE
pag 11
- LA FORMAZIONE E I SUOI
SISTEMI
pag 11
- NEWS DALL’IAT
pag 12
ASSOCIAZIONE IAT
Via Piemonte, 117 Roma
tel/fax 06.42013471
Internet home page:
wwwistitutoanalisitransazionale.it
SEGRETERIA IAT
Via A. Fleming, 2
70017 Putignano (BA)
Tel/fax: 080.4055617
DIRETTIVO IAT
Presidente:
Eva Sylvie ROSSI
[email protected]
Vice Presidente e Tesoriere:
Patrizia VINELLA
[email protected]
Segretario:
Cesare FREGOLA
[email protected]
Consiglieri:
 Antonio FERRARA
[email protected]
 Orlando GRANATI
[email protected]
 A. Emanuela TANGOLO
[email protected]
 Gaetano SISALLI
[email protected]
Soci fondatori e Past President:
 Carlo MOISO
 Michele NOVELLINO
 Gaetano SISALLI
Le IATnews stanno crescendo, è con grande piacere
che abbiamo ricevuto in questi mesi diversi ed interessanti contributi dei nostri soci, che volentieri pubblichiamo.
La nostra ultima iniziativa, il Colloquium ci ha proiettati
in una dimensione europea con piacere e soddisfazione, non solo per l‟ampliamento dello scambio, ma per
la ricchezza della condivisione di esperienze di lavoro,
attività, apprendimenti, contributi dei relatori e riflessioni dei partecipanti.
Questa dimensione allargata sarà a breve condivisa,
questa volta a livello interassociativo italiano, nella
sede più ampia di un Convegno il 24-26 Febbraio
2012 a Rimini.
con il potere, come si evince dalla sua biografia e dai
ricordi di chi lo ha conosciuto personalmente,
sappiamo anche che era particolarmente attento ai
confini (nello sviluppo delle sue teorie) e ai concetti di
dinamica di gruppo di cui conosceva la potenza e che
utilizzava abitualmente. Eric Berne è stato un attento
lettore di Lewin, Moreno e Hall, come risulta evidente
dai suoi scritti, in particolare nel libro The structure and
dynamics of organizations and groups dove la bibliografia annotata di ogni singolo capitolo costituisce una
miniera
di
informazioni
sull‟elaborazione
e
sull‟evoluzione del suo pensiero.
Forse, anche se il suo limite è stato quello di definire le
organizzazioni solo come una somma di gruppi,
dovremmo tenere a mente più spesso ciò che ci ha
insegnato su gruppi ed organizzazioni, cioè l‟attenzione
da prestare ai confini in particolare Confine Maggiore
All‟organizzazione del Convegno il cui tema è “Cultura,
Interno tra la leadership e il resto dell‟organizzazione
identità e cambiamento in Analisi Transazionale” partecon i suoi sistemi, gruppi e sottosistemi.
ciperanno tutte le associazioni AT italiane. Promotore
di questa iniziativa che stanno realizzando congiuntaSylvie ROSSI
mente Auximon, Irpir, Cpat, Simpat, Aiat, insieme
all’Iat, è il nostro collega Maurizio Martucci Presidente Cari soci,
Comitato di redazione
dell‟AIAT.
IAT NEWS e WEB
Si tratterà della prima iniziativa che ci vede condividere
insieme l‟eredità dei nostri Padri Fondatori che sono
stati i “pionieri“ dell‟AT in Italia. Condivideremo anche
gli sviluppi che hanno contraddistinto le generazioni di
“figli” e ormai” nipoti” e che ci vedono proiettati nel
futuro complesso della società contemporanea muniti
dei nostri strumenti e bagagli nei diversi campi di
applicazione.
C’è un‘altra notizia del mondo AT che vorrei condividere, e commentare e sulla quale diversi soci italiani
EATA e ITAA si sono interrogati con qualche perplessità.
La notizia riguarda le dimissioni di Rosemary Napper
dal suo ruolo di Presidente ITAA, dopo un anno di Presidenza.
Credo che come analisti transazionali sia utile e salutare riflettere sulle possibili idealizzazioni che a volte
ognuno di noi ha o si costruisce rispetto al mondo AT,
alle sue associazioni e ai suoi gruppi professionali,
immaginando o dando per scontato, a volte, aspetti
irrealistici di concordia, okayness e valorizzazione di
diversità di ruoli e di approcci. In realtà l‟aspetto contrattuale del mondo AT, se applicato a tutti i livelli del
funzionamento organizzativo, presuppone uno sviluppo
di innovazioni e proposte attraverso “accordi espliciti
bilaterali tra le varie parti coinvolte” che non destabilizzino i poteri di quell‟organizzazione. Un‟eventuale rovesciamento dei poteri costituiti, e la sostituzione di questi con altri, può avvenire in una fase successiva di
cambiamento o “rivoluzione” all‟interno di una dinamica non certo contrattuale ma conflittuale.
Ecco, io a volte ho osservato con sorpresa e perplessità
descrivere nei vari mondi associativi AT conflitti aperti
come scambi contrattuali alla pari e ok e prese di posizione o dichiarazioni di intenti o affermazioni definite
contratti, trasformando così il pensiero di Berne e
tradendone lo spirito.
Sappiamo che il Berne pioniere aveva le sue difficoltà
Questo numero era
stato dedicato, nella
nostra programmazione, al tema del
setting in Analisi
Transazionale.
Il tema è stato trattato nelle due iniziative tenute in primavera a Firenze, nel
Colloquium EATA e
nella Giornata IAT.
L’interesse emerso
in queste due occasioni ed il dibattito
successivo ci ha
fatto decidere di
spostare
l‟argomento al n. 4,
che sarà dedicato
interamente
alla
pubblicazione
dei
lavori e alle riflessioni da essi scaturite.
Chiunque
voglia
esprimere il proprio
punto di vista in
merito, potrà inviarlo alla nostra redazione per contribuire
allo scambio di idee
che la nostra rivista
si propone di stimolare.
La redazione
Managing
Editor
Orlando
GRANATI
Cesare
FREGOLA
Editing
Lidia
CALO’
Web Master
Patrizia
VINELLA
IAT NEWS
STORIA AT ITALIANA
L’ IAT E L’AT:
ALTRE RIFLESSIONI STORICHE
di Michele NOVELLINO
psichiatra, CTSTA
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Raccolgo con rinnovato piacere il nuovo invito
della redazione di ampliare le riflessioni storiche presentate nel n.0 del Bollettino IATNews.
Quel numero era segnato dalla perdita di Carlo, questo porta storicamente le tracce di
quella di Pio Scilligo. Quest‟ultimo ha in qualche modo accompagnato la storia dell‟ IAT in
un percorso parallelo, le cui rette si sono a un
certo punto avvicinate per poi riallontanarsi.
Questa seconda perdita mi conduce ad ampliare alcuni degli spunti che avevo fornito nelle
precedenti note storiche.
E‟ davanti agli occhi di tutti noi la realtà della
presenza sul suolo italiano di tante associazioni „nazionali‟, realtà rispetto alla quale i
colleghi stranieri si sono dichiarati spesso
colpiti e stupiti. Con la maggiore chiarezza
possibile, quando ne ho avuto occasione, ho
loro spiegato che, in realtà, è necessario uscire dall‟equivoco di considerare le diverse associazioni italiane iscritte all‟EATA come
„nazionali‟. Come ho ribadito nel precedente
bollettino, l‟unico tentativo serio di fondare
una associazione „nazionale‟, che rappresentasse a livello internazionale gli analisti transazionali italiani diplomati dall‟ITAA e
dall‟EATA, è stata la SIAT. Quest‟ultima nasceva in una dinamica che è iscritta nella memoria dei partecipanti alle vicende dei primi anni
Ottanta, e non ve ne è traccia nell‟atto costitutivo, nel quale compaiono cinque nomi come
Soci Fondatori: Carlo Alberto Cavallo,
all‟epoca collaboratore fidato di Scilligo; Maria
Bonaria Lorenti, allora docente presso l‟IAT;
Carlo Moiso; Michele Novellino; Pio Scilligo.
In sostanza comparivano due membri
dell‟IRPIR e tre membri dell‟IAT. Quello che
non è stato scritto finora è quanto accadde
nei tre anni precedenti, e credo che nello spirito del „nonno„ che racconta…valga la pena di
lasciare traccia di quanto è nella memoria,
soggettiva come tutte le memorie ma vivida,
di chi scrive. Vi furono in quell‟epoca diverse
riunioni, alle quali parteciparono inizialmente,
oltre ai futuri fondatori della SIAT, Giorgio
Cavallero (allora non aveva fondato l‟Auximon,
dalla quale è di recente uscito), Ferdinando
Montuschi, e Maria Teresa Romanini della
SIMPAT, che costituivano la terza associazione significativa come presenza didattica e
„politica‟ di quei tempi lontani. In queste riunioni si discusse, anche con sporadiche presenze di alcuni rappresentanti dell‟AIAT, della
opportunità di fondare una associazione davvero nazionale che rappresentasse gli interessi e desse voce a tutti gli analisti transazionali
italiani, nel progetto di costituire un‟ entità
super partes. Non ne venne fuori niente: era
chiaro che gli interessi particolari delle singole
„scuole‟, perché di questo si trattava all‟ombra
delle diverse sigle associative, passavano
sopra le dichiarate intenzioni di presentarsi
uniti.
Il nodo, che era strutturale, si fondava
sull‟interesse di alcuni direttori di scuola di
tenere fuori dal controllo di organi associativi
meta scolastici, scelte di ordine interno che
sarebbero di sicuro state contestate. Tale
nodo riemerse in tutto il suo clamore all‟ interno della stessa SIAT, quando esplicitamente il
prof. Scilligo dichiarò, in consiglio direttivo,
che non voleva „controlli„ sulla „sua„ scuola.
Tale contrasto di esigenze e di visioni divenne
conflitto quando l‟EATA rispose positivamente
alla richiesta di organizzare esami EATA di I
livello gestiti da associazioni „nazionali‟.
Chi
aveva
inteso
la
SIAT
come
un‟associazione nazionale di analisti transazionali (dizione che peraltro compariva nello
statuto fondante della SIAT), ossia noi
dell‟IAT, riteneva che tali esami andassero
gestiti dalla stessa SIAT, da non sminuire ad
associazione ombra che si limitasse a fare un
convegno annuale; tale proposta venne rigettata nella „democrazia„ dei numeri, ovviamente a favore dell‟IRPIR, per quanto all‟epoca
minoritario per numeri di analisti transazionali
e di didatti, e quello fu l‟inizio della fine di
un‟avventura nella quale posso amaramente
affermare che non tutti avevamo creduto con
la stessa sincerità, e le conseguenze le
paghiamo tutti.
Su questa amarezza s‟innesta quell‟orgoglio e
quello slancio al quale accennavo nell‟altro
commento storico: l‟IAT sta ancora alacremente lavorando per congiungersi con forze e
passioni che portino a una comunione
d‟intenti che riesca a elevarci tutti al di sopra
di interessi particolari, i quali vanno sempre
tutelati ma mai devono diventare egoistici, e
soprattutto
non
devono
danneggiare
quell‟equità che filosoficamente perseguiamo
o dovremmo perseguire.
Verso la fine degli anni Ottanta, l‟IAT operò,
ovviamente tra confronti e discussioni molto
impegnative, nella linea di distinguere la propria natura associativa da quella formativa,
finché si giunse a separare i due livelli, che
hanno condotto alla chiarezza che oggi ci
contraddistingue nella sostanza e non solo
nella forma: l‟IAT è un‟ associazione alla quale
aderiscono della scuole di formazione, alcune
delle quali riconosciute dal MURST.
Oggi è aperta un‟altra linea di lavoro associativo, che da una parte segue lo spirito iniziale di
chi aveva fondato l‟IAT, chi scrive e Carlo,
dall‟altra guarda al futuro degli analisti transazionali nell‟idea di arrivare a dei criteri di formazione e di valutazione equi per tutti. Ritengo che l‟esempio degli esami di Firenze e di
Torino, merito degli sforzi congiunti di IAT e
AIAT, possa tracciare una strada seria e rispettosa dei principi che hanno illuminato la
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IAT NEWS
strada dei padri fondatori dell‟analisi transazionale, Berne in primis. Berne scriveva che
un analista transazionale deve essere un
professionista competente che sa applicare
l‟analisi transazionale; le associazioni ITAA e
EATA hanno stabilito quei criteri di competenza che vanno verificati negli appositi esami.
Questi ultimi, certamente migliorabili nel loro
meccanismo, dovrebbero in ogni caso, garantire a tutti i partecipanti, esaminati ed esaminatori, una universalità di giudizio. Questo a
Firenze e a Torino è avvenuto: sia gli esaminati che gli esaminatori provenivano da scuole e
associazioni diverse. Ora ho invitato il consiglio direttivo dell‟IAT, nel corso dell‟assemblea
di Torino, a promuovere presso l‟EATA un momento di verifica sul come vengano realizzati
gli esami EATA presso quelle associazioni
(in realtà scuole) che sono autorizzate a svolgere gli esami stessi in proprio, precludendoli
a esaminati e a esaminatori esterni, venendo
così meno a quel principio di equità presente
nella stessa carta dell‟Unione Europea.
Troppe discrepanze, e purtroppo, facilitazioni
vengono segnalate tra le due modalità nello
svolgimento negli esami EATA: un esempio
vale per tutti, ed è dato dalla notevole differenza rinvenibile nelle diverse scuole sulle
effettive ore di esperienza clinica svolta dai
trainees sia in individuale che, ancora di più,
in gruppo. Per quanto riguarda quest‟ultimo,
vengo frequentemente a conoscenza che
alcuni trainees traggono il loro nastro per
l‟esame da gruppi… alla pari!
Carlo prima, e io stesso successivamente,
abbiamo dato molto nei primi anni dell‟EATA:
lo spirito iniziale era diverso, e certamente
l‟associazione europea nacque per uniformare le varie culture e non per favorire interessi
egoistici e pseudosindacali. Gli esami dovevano garantire analisti transazionali qualificati, e
non licenziare tanti diplomati che avevano
fatto un esame, per di più interno con docenti
e supervisori della propria scuola.
Termino, a proposito di EATA, con un ultima
memoria, della quale forse qualche traccia
scritta esisterà, ma chissà dove.
Durante quei primi anni di costruzione (Carlo
era vicepresidente e io consigliere per l‟Italia),
avvenne un dibattito davvero aspro sulla proposta italiana di inserire la terapia personale
come parte integrante del curriculum per
l‟esame di livello I. Aspro è un eufemismo, a
ben pensarci: venimmo apostrofati come
„fascisti!„… perché la terapia doveva essere
una scelta libera personale (la formazione e la
supervisione no…).
Il risultato è che in Italia, paese da
„spaghetti e mandolini‟, la terapia personale è
parte integrante del curriculum sin da quegli
anni, in Europa di strada da fare ce n‟è ancora tanta, ma desidero che i giovani sappiano
che i vecchi ci avevano già provato.
Buon lavoro a tutti, Michele
PIO
SCILLIGO
Prof. Sacerdote già
Ordinario di
Psicologia Sociale e Scolastica.
il Prof. Pio Scilligo ha fondato la Scuola di
Specializzazione in Psicologia Clinica
dell'IFREP (SSPC-IFREP) ed ha diretto la
Scuola Superiore di Specializzazione in
Psicologia Clinica dell'Università Salesiana
(SSSPC-UPS), entrambe a orientamento
umanistico integrato. È stato il fondatore e
direttore scientifico della rivista Psicologia
Psicoterapia.
Nato l'8 gennaio 1928 nella frazione
Chiesa del comune di Formazza (Verbania),
deceduto il 3 luglio del 2009. Salesiano dal
16 agosto 1945, venne ordinato sacerdote il
24 luglio 1954 a Shillong (India).
Ha conseguito il Dottorato in Scienze
Psicologiche presso l'Università di Stanford,
California U.S.A. (1968), dopo che aveva già
ottenuto il Master of Arts in Education
all'Università di S. Francisco, U.S.A.,
nel 1965. Dal 1976 al 1981 ha rivestito
l'incarico di professore ordinario di
Psicologia Sociale e Scolastica presso la
Facoltà di Scienze dell'Educazione dell'Università Pontificia Salesiana. Dal 1974 era,
inoltre, docente associato di Metodologia
della ricerca psicologica presso l'Istituto di
Psicologia della Facoltà di Magistero
(poi Facoltà di Psicologia) dell'Università
degli Studi di Roma La Sapienza.
Autonomamente aveva creato una scuola di
specializzazione in Psicoterapia con sede
centrale a Roma e due sedi periferiche a
Mestre (VE) e a Cagliari. La scuola,
afferente all'Istituto di Formazione e
Ricerca per Educatori e Psicoterapeuti
(IFREP), è riconosciuta dal Ministero
dell'Università e della Ricerca Scientifica.
Recentemente sono stati pubblicati presso
la LAS, nella collana "Psicoterapia e
salute", due volumi che raccolgono i suoi
saggi più significativi: “La ricerca scientifica
tra analisi ed ermeneutica” e “Analisi
Transazionale socio-cognitiva”.
di Patrizia Vinella
IAT NEWS
CAMPO
ORGANIZZAZIONI
UN VIAGGIO IN MALAWI,
ESPERIENZE DI TRAINING CON
L’AT
di Susanna CESARINI e
Nadia MURGIONI
CESARINI Sociologa,
Counsellor Formatore, PTSTA O
MURGIONI Pedagogista,
Counsellor Formatore
CTA educativo
Pagina 4
Abstract
Un'esperienza di formazione con le insegnanti, un
workshop sul conflitto, un 101 sono "ordinaria
amministrazione" per chi si occupa di AT. Se il luogo
dove si tengono questi corsi è il Malawi, uno dei
paesi più poveri dell'Africa, la prospettiva cambia
completamente. Entrano in gioco fattori culturali,
abitudini, valori e percezioni che si alternano e
portano a dover riscrivere il proprio modo di lavorare e di relazionarsi.
Susanna Cesarini e Nadia Murgioni hanno fatto
quest'esperianza di formazione in Malawi. Il loro
racconto ce ne scandisce le fasi, i risultati e le
difficolta. Sempre nel segno dell'AT che, con la sua
okness, non ha frontiere e non le pone a chi
incontra.
L’esperienza
Il Capodanno 2010 ci ha portato un improvviso
regalo: la proposta di preparare un progetto di formazione per conto di una ONG di Rieti, la OltreConfine, da svolgersi ad Aprile nel Sud del Malawi, a
Balaka, dove un padre Monfortano, Mario Pacifici,
ha creato una vasta comunità nei suoi 35 anni di
permanenza. Di quel momento ricordiamo il desiderio di consultare un atlante e scoprire che tipo di
paese fosse quella piccola striscia di terra quasi
interna al Mozambico, nella parte meridionale del
continente africano.
Qualche mese dopo, all‟atterraggio all‟aeroporto di
Lilongwe, la capitale, ne avremmo scoperto i colori,
quello rosso e intenso della terra, gli odori e i grandi
alberi di baobab, forti, dal tronco quasi scolpito
nella roccia. Ma soprattutto, avremmo incontrato
subito i tantissimi fiori, che sembravano prendere
da quel rosso per generare altri colori e un profumo
persistente nell‟aria e sulla pelle che è stato il tratto
costante del nostro viaggio. Una terra è fatta di
persone, soprattutto per chi fa formazione e non
scienze naturali. Ma la dominanza dell‟elemento
natura incide sull‟essere persona e non poteva non
essere considerato come parte essenziale della
vita.
È iniziato così un viaggio intenso e profondo, accettato con un entusiasmo e che ci ha posto la sfida
professionale di lavorare con l‟AT in un contesto
estraneo e distante dal nostro: portare Okness,
autonomia e altri
concetti in uno dei
paesi più poveri
dell‟Africa
per
proporre un primo
passo di un possibile percorso più
lungo
e
con
l‟obiettivo di invitare e di rendere le
persone a essere
protagoniste delle
proprie vite.
Sapevamo di avere
dalla nostra anni e
anni di esperienza
professionale
in
contesti disagiati:
Nadia si occupa di
disabilità e di minori e Susanna, di
disoccupazione.
In particolare, di recente, entrambe siamo impegnate in un progetto di sostegno alle insegnanti delle
scuole dell‟infanzia cattoliche di L‟Aquila, finalizzato
a sostenere la ripresa dopo il terremoto del 2009:
una varietà di emozioni, sentimenti e pensieri era in
viaggio con noi. Portavamo comunque la consapevolezza di essere altro da loro, dagli abitanti di
Balaka in Malawi e questo perché la differenza è un
punto di snodo, un punto importante su cui costruire relazione. Pertanto non abbiamo voluto “ staccare le spine” del nostro essere italiane, tenendo
bene inserite quelle del pensiero, quelle del sentimento, quelle dei gesti gentili.
E‟ stato difficile orientarsi in questo mondo lontano.
Intenzionalmente ad esempio, abbiamo deciso di
non indossare tailleur (per scoprire poi che i
manager vestono come noi al lavoro!), e di mettere
in valigia le scarpe da running e scoprire che Susanna è stata l‟unica donna ad avere percorso
quelle strade correndo.
Il soggiorno in Malawi è durato 16 giorni e gran
parte li abbiamo dedicati alla scoperta: osservando
la vita quotidiana, visitando scuole, negozi, mercati
e uffici. Abbiamo partecipato a rituali formali e
informali, mangiato il cibo locale, parlato con adulti
e bambini usando l‟inglese e le poche parole di
chichewa che generosamente ci insegnavano. Abbiamo camminato molto, nonostante l‟afoso clima
autunnale, perché questa è l‟abitudine del luogo.
Lungo le strade, solitamente sterrate, ai lati scorrevano fiumi di folla e qualche ciclista, il principale
mezzo di trasporto. Quando abbiamo iniziato a
ringraziare utilizzando le formule di rito, “Zigomo”,
“Zikomo” per ringraziare, e a rispondere alle formule calde di saluto come “Mwadzuka bwanji”
(il saluto del mattino), quello è stato il segno che
poteva iniziare l‟avventura della formazione.
Il workshop con le insegnanti di Scuola
dell‟infanzia
Il primo committente è stato un comitato di insegnanti di scuola dell‟infanzia. L‟insegna sul portone
è “Scuola del latte”, e sta ad intendere che in Malawi, la funzione della Scuola Primaria è accogliere i
piccoli e offrire loro nutrimento, ma nel senso più
pieno, dal latte al giocare insieme. La richiesta di
formazione del committente locale è stata di progettare e offrire un training che renda le insegnanti
in grado di sostenere situazioni di emergenza, che
in loco sono dovute a più fattori. Primo fra tutti, la
mancanza di fondi e stanziamenti pubblici. La scuola dell‟infanzia non è parte del Piano educativo
nazionale e le insegnanti spesso lavorano con i
bambini senza avere a disposizione materiali didattici (carta, colori, giochi, oggetti). Altro elemento
problematico che abbiamo osservato è la fragilità e
lo stato di sofferenza e di bisogno che coinvolge la
maggior parte degli allievi. Spesso essi sono orfani,
al limite della sopravvivenza e come unico ricovero
abiatano una affollata capanna di fango a cui fanno
ritorno la sera. Nell‟alloggio privo di acqua ed esposto ad ogni genere di rischio e di contaminazione è
facile che contraggano patologie infettive di ogni
tipo o che siano esposti ad incidenti domestici
come ustioni da fuoco o aggressioni di animali.
Nadia, dopo un primo colloquio con la Responsabile
del progetto educativo dell‟Andiamo Trust e un
secondo incontro con l‟équipe di responsabili delle
scuole primarie coinvolte del progetto ha proposto
alle insegnanti un contratto di formazione di
un‟intera giornata. L‟obiettivo del lavoro di formazione, condiviso con il gruppo è stato individuato
nel riconoscimento delle competenze professionali
delle insegnanti. Nadia ha proposto un‟esperienza
di insegnamento-apprendimento di strategie educative con i bambini utilizzando in particolare una
Pagina 5
formazione
esperienziale
di gruppo e
non una lezione
excathedra. La
finalità
del
training
è
stato
per
Nadia quello
di aumentare
nelle corsiste
il livello di
autostima
attraverso la
consapevolezza delle competenze professionali.
Le insegnanti sono state accompagnate nella scoperta del proprio talento personale e professionale
attraverso la creazione di un oggetto rappresentativo del loro essere insegnanti utilizzando ciò che la
natura offre intorno a loro. Il passaggio poi
dall‟esperienza alla riflessione ha avuto la funzione
di riconoscersi in grado di svolgere il ruolo educativo nonostante la scarsezza di mezzi e strumenti
didattici e con l‟entusiasmo e la fierezza di proporre
uno stile di insegnamento personale e non copiato
dall‟occidente.
Le Ventisei insegnanti che hanno partecipato al
workshop sono state invitate a “sbloccare” la loro
immaginazione e ad esprimere le loro capacità
creando una farfalla utilizzando materiali rinvenuti
intorno a loro (colori, terra, polvere, foglie, semi,
fiori). Dopo il lavoro creativo, Nadia, che si è presentata come trainer analista transazionale, ha introdotto il concetto dell‟okness e delle tre P – Potere,
Permesso e Protezione di Pat Crossman. Le idee
sono state presentate per fornire un terreno concettuale comune che permettesse di analizzare
l‟esperienza fatta e verificare insieme la possibilità
di trasferire l‟esperienza creando i presupposti di
condivisione e di alleanza nel lavoro educativo con i
bambini. Ogni insegnante ha avuto la possibilità di
ri-leggere la sua farfalla scoprendo la dimensione
dell‟okness usando il permesso, la protezione e il
potere di essere una Fantastica-InsegnanteMalawiana. Dal feed-back del gruppo è emerso che
ognuna si è riconosciuta la possibilità di avere
talento, colore, originalità riconoscendo nella propria competenza la funzione degli insegnamenti
ricevuti dai propri educatori. Durante il feedback
ogni insegnante ha ricevuto la protezione necessaria per riconoscere il modello ricevuto ma anche di
scegliersi consapevolmente nella professionalità
educativa dandosi il permesso di essere originale,
diversa e creativa.
Il Training presso
Andiamo Youth Cooperative Trust
Immaginate la sorpresa di trovare, in un villaggio di
capanne e strade sterrate, una cooperative con
700 dipendenti, divisa in varie sezioni che vanno
dalla manutenzioni motori, alla falegnameria, alla
sartoria, alla gelateria. Con un teatro e un gruppo
musicale, l‟Halleluja Band, che ha più volte fatto
tourne mondiali. Quindi, uffici gestionali, con pc e
segreterie ben organizzata..
In un simile contesto, ci sono state fatte chiare le
richieste dal responsabile delle risorse umane,
relative al bisogno di gestire i conflitti dati dal crescere dell‟organizzazione e avviare un percorso di
formazione alla comunicazione. Queste richieste si
IAT NEWS
sono tradotte in due attività:
- Un workshop sulla gestione del conflitto rivolto a 16 dirigenti. Durato un giorno, cocondotto da Susanna e Nadia, è stato dedicato alla teoria dei confini di Berne, e i partecipanti hanno colto con
curiosità ed attenzione la lettura delle loro dinamiche interne. Il nostro lavoro è stato centrato
sull‟Okness con l‟obiettivo di dare stimoli dal punto di vista del Genitore Culturale per trovare nuove
risposte senza svalutare le soluzioni del passato. Il simbolo usato è stato il concetto universale di
mattone, mettendo a paragone un mattone locale, fatto di terra rossa cotta, con un italianissimo
“foratino” trovato in un cantiere – una buona metafora di globalizzazione!
- Un corso 101, tenuto da Susanna, da considerare come l‟inizio di un percorso strutturato di formazione sulla comunicazione, che ha coinvolto 12 dirigenti dei diversi reparti. È stata un‟esperienza
toccante, anche inusuale per come i concetti AT sono stati discussi con i partecipanti. Ad esempio,
vale la pena di considerare l‟efficacia del Triangolo Drammatico, discussa dal punto di vista di un
paese in via di sviluppo, dove è frequente la relazione non paritaria con volontari, organizzazioni
estere, governi esteri. I partecipanti al corso hanno tutti espresso il desiderio di continuare il loro
training in Analisi Transazionale nonostante le grandi difficoltà logistiche (per esempio, la rete elettrica e telefonica non perfettamente funzionante). In questo, un ruolo chiave lo ha avuto e lo avrà Karen Pratt, (ITAA board representative per Africa/India) che è stata da subito coinvolta per avere il
legame con la South African Transactional Analysis Association (SATAA). Con lei condividiamo
l‟obiettivo di sviluppare l‟AT in Africa, e questo legame è diventato reale durante una telefonata via
Skype a fine corso, in cui Karen ha parlato con i partecipanti e li ha incoraggiati nel loro training.
OK-OK, BWINO-BWINO
Bwino è una parola ricorrente nella lingua parlata locale, e scoprire che era
anche la parola ricorrente nel nostro fare
foramzione ha confermato come l‟AT sia
stata la protagonista del nostro lavoro.
Ricordando le parole di un partecipante
al corso 101 “Non ci avete dato il porridge, ci avete messo in condizione di
riflettere”. Noi riteniamo che alla base
della riuscita del nostro lavoro ci sia stata
proprio l‟alleanza sull‟essere diversi – ad
esempio, ribadendo che nessuno di noi
usava la propria lingua madre. Questo ha
confermato come l‟autonomia venga
dall‟acquisire quegli elementi che rendono ogni persona unica e dall‟apprendere
a condividere quello che avvicina persone diverse tra loro. Abbiamo scelto alcune foto di questa
nostra esperienza, quelle che più possono restituirne il senso. E, per questo motivo, un grazie particolare va alla fotografa Elisa Marciello per l‟impegno con cui ha seguito il nostro lavoro. Siamo tornate
a casa arricchite. Il nostro dubbio “Ma come fate a conciliare Internet e questi villaggi fatti di capanne” ha avuto subito una franca risposta “questo è il modo per lavorare. Li c‟è la nostra rete di affetti”.
È stata la scoperta di un mondo integrato e forte che è emerso fin dai primi incontri, e che può contare su questo per puntare a un futuro migliore. Grazie per quello che ci avete insegnato,
Zikomo Zikomo.
Pagina 6
IAT NEWS
CAMPO CLINICO
SINTOMI COME DONI
di Maria Assunta GIUSTI
Psicologa e Psicoterapeuta
TSTA in campo clinico
...I bambini sono
capaci di
doni speciali
trasformati in
metafore quotidiane,
che denunciano
una loro sofferenza e
spesso dei loro genitori.
(M. A. Giusti)
Vorrei innanzitutto porre l‟attenzione su un punto,
per me fondamentale, tipico del lavoro con il bambino sia nel setting consulenziale sia in quello
psicoterapico. Intendo il sintomo come un dono
che il bambino fa ai suoi genitori, e questa convinzione diviene chiave metodologica. Spesso troviamo infatti una condizione apparentemente sintomatica del bambino, che in effetti non è il vero
paziente, poiché porta in terapia attraverso il suo
sintomo la sofferenza del genitore o genitori.
I bambini sono capaci di doni speciali trasformati
in metafore quotidiane, che denunciano una loro
sofferenza e spesso dei loro genitori. Il tecnico che
sa cogliere questo dono e impara a leggere il sintomo in questa chiave spesso riesce a dare senso
a quello che apparentemente non ce l‟ha.
Tale supposto teorico-metodologico è applicabile
anche alla cura dell‟adulto e in genere a quelle
situazioni dove si voglia lavorare con la mentalizzazione di sé e dell‟altro.
L‟aspetto teorico è supportato attraverso idee
relative all‟identificazione proiettiva.
Il sintomo è di solito pensato sia in senso medico
che analitico. Siamo abituati a gestire il sintomo
come il segnale che rivela un fenomeno non adeguato, un disequilibrio, un malessere che denuncia uno stato di malattia, un qualcosa da eliminare
per ristabilire l‟omeostasi precedente. Il sintomo
diventa rivelatore per la diagnosi, e quando questa
sarà effettuata porterà alla cura … ma ci sono
sintomi che non sono così chiari e tangibili, che
spesso non vengono o vengono difficilmente compresi, creando ancor più sofferenza nel soggetto
che li sta patendo. Ci sono sintomi che hanno
bisogno di essere decifrati e considerati, come
ci suggeriva Freud (1), dei veri e propri segnali,
metafore, sotto cui si cela un significato più profondo che porta alla storia della persona. Il sintomo è meccanismo di difesa o di rimozione e rappresenta comunque una esperienza rimossa:
il sintomo nella letteratura psicoanalitica è segnale che sostituisce una mancata soddisfazione
pulsionale. Tuttavia, rispetto al sintomo, la psicoanalisi fa suo l‟ascolto totale della parola, che si è
trasformata in somatizzazione, gesto, o………
E‟ già con Freud che Il sintomo passa da segno
che “significa“ a segno che può “comunicare” fino
a divenire una forma di linguaggio vera e propria,
secondo Lacan. (2)
Suggerirei di aggiungere, a questo concetto di
sintomo che parla e comunica, una dimensione
relazionale, per cui il sintomo stesso non parla
solo di Sé ma della relazione.
Nei vantaggi, leggerei non solo quello di sopravvivenza, ma quello di mantenere una relazione e di
indicare di quella stessa relazione quale può essere la parte “non ascoltata”. Il sintomo denuncia
una situazione relazionale che ha bisogno di cure
e spesso, nella mia pratica di psicoterapia con
bambini, mi sono trovata di fronte a piccoli pazienti, che con il loro sintomo riuscivano a portare in
terapia l‟intera famiglia. Il malessere del bambino
chiede indirettamente che i genitori, o chi se ne
prende cura, si interroghino sulla situazione relazionale e attraverso questa domanda si pongano
in discussione. Spesso accade che nel prendere in
cura un bambino si debba contemporaneamente
o successivamente mettere in cura uno dei due
genitori, lavoro che si va ad assommare a quello
di presa in carico della coppia genitoriale, implicito
nel setting dell‟infanzia. (3)
Per questo motivo, io credo, possiamo parlare del
Sintomo come un Dono. Giocando con la parola
stessa, credo che possiamo parlare di sintomosintono, intendendo la sintonia e la sincronia, che
devono essere mantenute tra caregiver e bambino
per una corretta relazione. A mio avviso quindi il
sintomo è una manifestazione atipica, che serve a
mantenere un legame, spesso per salvare l‟Altro.
E‟ comunque una comunicazione profonda che
dona senso al dolore e che diviene dono sia per il
terapeuta, che ne raccoglie i significati, sia per la
persona che in quella relazione viene coinvolta e
portata in terapia: come spesso accade al genitore
che si deve mettere in discussione dopo aver portato il figlio. Nella ricerca fatta Schore, (4) che
descrive in termini metodologici il meccanismo di
identificazione proiettiva di M. Klein, (5) possiamo
trovare alcuni concetti a sostegno del mio pensiero. Inizialmente M. Klein parlava di identificazione
proiettiva nel senso proiettivo e protettivo, per il
soggetto che espelle attraverso questo meccanismo il contenuto fantasmatico interno, non sapendo né elaborarlo né contenerlo. In questa visione
si sottolinea ancora il processo comunicativo monadico di espulsione unidirezionale di contenuti
intrapsichici. Nel concetto di identificazione proiettiva adattiva, invece la Klein si avvicina al concetto
del legame di attaccamento sicuro (Bowlby). (6)
Se come sottolinea Schore l‟identificazione proiettiva può essere spiegata dal colloquio che si verifica tra l‟emisfero destro della madre e quello del
bambino, come dice anche Bion (7) diventa un
fenomeno reale più che difensivo. “In uno scritto
recente ho proposto che l‟attaccamento sia fondamentalmente la regolazione interattiva della sincronia biologica fra organismi. Suggerisco che
l‟identificazione proiettiva adattiva coinvolga una
strategia di regolazione interattiva che utilizzata
nelle comunicazioni spontanee tra emisferi destri,
un dialogo preverbale, basato sul corpo, fra i sistemi limbici lateralizzati destri; in modo particolare
in contesti emotivamente intimi e intensi. Questo
modello sostiene l‟affermazione di Bion in base
alla quale l‟identificazione proiettiva è la più importante forma di interazione tra paziente e terapeuta”. (8)
Il neonato, (e le persone in genere), comunica sia
gli stati emotivi positivi che negativi favorendo la
modulazione nella madre e costruendo attraverso
questi un saldo legame di attaccamento che non
vorrà sciogliere. Il sintomo parla della mancata
sintonizzazione e di un possibile attaccamento
non a base sicura, dove il bambino tenta di inviare
al sistema-madre-bambino, uno stimolo che possa
cambiare la situazione del sistema stesso. Se non
c‟è sintonizzazione nella coppia, la madre reagirà
allo stimolo ricercando una nuova omeostasi, o il
bambino si autoregolamenterà, per mantenersi
all‟interno di quella relazione, se pure in modo
meno sintonizzato e stabile. In altri termini la funzione difensiva è da intendersi nei confronti della
coppia, cioè si difende il legame in senso relazio-
IAT NEWS
Pagina 7
nale e non per la sopravvivenza del singolo. La funzione adattiva
ripara la mancata sintonizzazione. Tanto più l‟attaccamento è
insicuro/ambivalente o caotico, tanto più la persona tende a usare
l‟identificazione proiettiva in senso difensivo poiché diviene una vera
e propria richiesta di aiuto rivolta al caregiver, che dovrebbe saper
elaborare in senso bioniano (reverie) il vissuto del bambino. (9)
Se noi pensiamo in termini di relazione e di comunicazione profonda tra gli elementi del sistema stesso, anche il sintomo acquista una
validità comunicativa, difensiva e riparatoria. L‟accento cade sulla
cura, che diviene la presa in carico della relazione e dei suoi componenti, che possono mentalizzarsi in modo diverso, perché se il sintomo è un dono, allora l‟intervento terapeutico può essere fondato
sull‟aiutare l‟adulto della relazione a vedersi sotto un‟altra prospettiva che lo aiuti a mentalizzare sia se stesso che il bambino ( o l‟altro)
NOTE
(1) S.Freud, (1915), Pulsioni e loro destini. In Opere, Vol. 8, Bollati Boronghieri, Torino,2003
(2) J.lacan, La cosa freudiana, Ediz. Einaudi, Torino, 1974
J. Lacan, Funzione e campo della parola e del linguaggio, Ediz. Einaudi , Torino, 1974
(3) Il setting del bambino è propriamente diverso da quello dell’adulto anche perché
non lavoriamo solo sul fantasma, sull‟immagine genitoriale introiettata, sul vissuto, ma
lavoriamo con e su figure reali tangibili che divengono interlocutori necessari. Così il
palcoscenico si popola di genitori fantastici e desiderati, genitori e figure introiettate,
genitori e figure reali, e funzioni genitoriali interne al terapeuta ed esercitate dal terapeuta che diviene attore tra gli altri nel palcoscenico della vita del bambino. Così anche
il terapeuta ha parte attiva nel copione del paziente. Questo complica il controtransfert
che è massiccio. L‟intensità è data dalla dipendenza reale del bambino nei confronti
del genitore e del terapeuta. La natura primitiva delle fantasie che vengono esercitate
sul terapeuta attraverso le angosce del bambino vissute nel loro insorgere, non sono
ricordo, sono attualità, stanno accadendo nel qui ed ora. L‟identificazione è con un
bambino reale, non con lo stato dell‟Io Bambino di un adulto. Tutto sta succedendo
sotto i nostri occhi.
(4) A. Schore, Being alive-Building on the work of Anne Alvarez. Judith Edwards Ed., New York 2001
(5) M. Klein, (1952), Sull’osservazione del comportamento dei bambini nel primo anno
di vita, in Scritti, 1921-1958, Boringhieri, Torino 1978
(6) J. Bowlby, (1969), Attachment and loss, Tr. It. Attaccamento e perdita, Vol 2:
La separazione dalla madre, Boringhieri, Torino, 1999
(7) W.R. Bion, Apprendere dall’esperienza, Armando Ed., Roma, 1972
W.R. Bion, Gli elementi della psicoanalisi, Armando Ed., Roma, 1973
(8) A. Schore, Being alive-Building on the work of Anne Alvarez. Judith Edwards Ed.,New York 2001
(9) La possibilità di esprimere i propri sentimenti e di percepirli accolti con empatia,
permette ai genitori di sentirsi riconosciuti e li aiuta ad avvicinarsi al loro bambino reale
e al pensiero di potersi occupare di lui. La mente umana ha dunque bisogno della
relazione con l‟Altro per svilupparsi. Bion 1962-63 descrive in maniera mirabile questo
accendersi iniziale della mente umana, vero big-bang del pensiero nell‟incontro tra la
proiezione di angosce primitive, chiamate dall‟autore elementi beta, e una mente,
quella del caregiver, capace di accoglierle trasformarle attraverso la funzione di reverie, che trasmette oltre al prodotto lavorato (le angosce bonificate: gli elementi beta
trasformati, come illustra lo studioso, in elementi alfa). Attraverso il concetto di reverie,
diventa possibile spiegare quanto accade durante gli incontri tra l‟operatore e il genitore. Questi ultimi proiettano, infatti, le loro incertezze che se trovano una mente permeabile vengono accolte, trasformate (funzione di reverie) e rimandate ai caregiver in
forma tollerabile e dunque pensabile (alfabetizzate), trasformate in elementi alfa.
(Giulia Salinardi:Analisi della teoria dei touchpoints di Brazlton atraverso lo sviluppo
B I BLI OG R A FI A
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in una diversa dimensione. Il sintomo non diviene quello che attacca
o mette in pericolo il legame, ma quello che cerca di mantenerlo o
avviarlo alla cura.
Riporterò il caso, portato anche in due congressi di A.T., di un bambino, inizialmente diagnosticato iperattivo. La situazione è stata risolta
nel momento in cui il bambino ha potuto essere pensato
(mentalizzato) dalla madre, non come colui che le toglieva ogni energia, ma come colui che l‟amava così tanto da agitarsi pur di smuoverla dal letto dove giaceva per la sua depressione.
Quindi nel momento in cui il Sintomo è stato visto come un Dono e
un meccanismo Difensivo per la Relazione, la madre ha potuto
vedere il suo bambino con altri occhi e anche l‟immagine di se si è
trasformata.
della relazione caregiver-bambino. - Tesi di laurea in Scienze dell‟Educazione e della
formazione, presso l‟Università di Studi di Siena)
(10) I dati anamnestici, sono stati tradotti in un linguaggio simile a quello delle favole
per avvicinarmi alla parte bambina di ogni lettore e per far si che si possa mentalizzare
la situazione nella nuova luce che il terapeuta vuole dare come lettura del sintomo.
(11) Il gioco è lo strumento di terapia, il corpo lo accompagna. Il corpo sente, decodifica, restituisce in un sistema di reverie che è sempre più vicino a quello materno. E‟
seno nutritivo, attivo, presente, pulsante, pensante. “Vorrei adesso dire qualcosa a
proposito del concetto bioniano di contenimento. La sua idea sembra essere che, se la
madre è capace di quella cosa che egli chiama reverie, il bambino può proiettare in lei
le sue frustrazioni, la sua rabbia le sue paure e riaverle indietro in una forma modificata (1962): La seconda parte del processo, (riavere indietro) fu più tardi chiamata da
Bion trasformazione. (1965) Egli paragonò questo processo all‟attività dell‟artista, oltre
che alla attività interpretativa dell‟analista. Vorrei suggerire che in realtà il processo
può essere considerato costituito da quattro fasi: lo stadio ricettivo o contenitivo, quando il materiale fa per la prima volta il suo impatto; il lavoro di trasformazione che avviene all‟interno del terapeuta; il lavoro interpretativo, che può significare restituire al
paziente le sue proiezioni oppure no; l‟effetto dell‟interpretazione sul paziente – ovvero, il modo in cui egli l‟ascolta, dato che l‟effetto può essere diverso da quello auspicato
dal terapeuta.”
E‟ storia che si intreccia quella tra il terapeuta e il bambino. E‟ responsabilità consapevole di entrare nell‟introietto del paziente con una nuova funzione genitoriale che
accompagna e modifica quella in germe già esistente e continuerà in senso positivo a
funzionare.
(12) Nel lavoro con la videomicroanalisi, ho preso in considerazione la possibilità di
fare un parallelo o di prendere a prestito il concetto di Rappresentazione mentale di
Stern per mettere a fuoco alcuni concetti di A.T. Noi sappiamo che l‟individuo ha una
rappresentazione mentale di sé, dell‟altro e della vita (quadro di riferimento) che fa
parte dell‟introietto (G1) del paziente e che si forma attraverso la relazione materna o
genitoriale non in senso di relazione duale ma sistemica, quindi sia vicendevolmente
influenzante, sia formativa. La madre ha una rappresentazione di sé e del figlio, e il
figlio ha una immagine di sé e della madre e si specchia nel vissuto rappresentativo
della madre, come questa si specchia nel vissuto rappresentativo del figlio.
(13) Il lavoro sul sistema genitore-bambino, o sul bambino direttamente (che sta
all‟interno di un sistema), favorisce il cambiamento del singolo, e quindi del sistema, e
a sua volta del terapeuta che entra più o meno a farvi parte. Tutto questo è estensibile
anche nel setting e nella relazione terapeutica con il paziente adulto. Anche se noi non
lavoriamo direttamente con le parti del sistema, entriamo comunque nell‟immaginario
mentale del paziente e questo entra nel nostro. Basti pensare alla relazione transferale
e controtransferale. Avere cura del paziente implica anche il prendersi cura di noi, e la
sua evoluzione è anche la nostra.
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IAT NEWS
Pagina 8
C’erano una volta,
ma non tanto tempo fa, un re e una regina che
desideravano un bambino. La regina aveva
perso un figlio quando era ancora dentro
il suo grembo,
e quando rimase
di nuovo incinta era in grande ansia.
Soffriva di una malattia che le dava grande
tristezza, che i medici chiamavano Depressione, e
i grandi saggi del regno le davano rimedi e pozioni magiche per guarirla.
L’attesa del piccolo fu difficile, sembrava che
anche quella gravidanza non sarebbe arrivata a
termine ….. Ma … finalmente il piccolo principe
nacque La sua venuta al mondo non fu semplice, i medici dovettero tagliare la pancia della
regina e tirarlo per un piede per farlo uscire,
visto che si era rifugiato tra le costole della
madre, come se fosse un nido …
Il piccolo non respirava e tutti
si dettero un gran da fare
per salvarlo e alla fine ce
la fecero .. L’aveva proprio scampata bella!!! La
mamma regina non poté
allattare suo figlio, perché
i farmaci per la tristezza
glielo impedivano, e il bambino
non aveva sonni tranquilli. (10)
Il principino cresceva ma aveva l’animo agitato,
era aggressivo e non stava mai fermo. Non si
divertiva con nulla e sembrava arrabbiato con
la madre che continuava ad essere sempre più
triste. Nelle scuole del regno, non riusciva ad
avere amici e le maestre erano preoccupate.
Il re e la regina allora si rivolsero ad alcuni
maghi che sospettavano che il bambino avesse
una malattia chiamata
ADHD.
Così fu inviato dalla
fata Lella che accolse
il re e la regina facendosi narrare la storia
del piccolo principe .
Decise con loro che lo
avrebbe incontrato e
quando lo vide scorse
nei suoi occhi una
profonda tristezza che
le ricordava quella della regina. Giocarono
insieme e decisero di rivedersi per capire perché il
principino non riusciva a divertirsi. (11)
Intanto il re e la regina fecero per la fata Lella
un filmato (Che è una cosa di grande magia)
(12), per farle vedere come il principe giocava a
casa.
La fata notò che il piccolo principe giocava con
il re perché la regina stava nelle sue stanze a
dormire o a fare le cose da sola. Il sovrano era
paziente con il piccolo e sembrava infondergli un
po’ di tranquillità, mentre la regina non riusciva
ad avere grande spazio per lui.
La fata Lella si insospettì nel vedere che il
piccolo principe riusciva a mantenere la calma e
l’attenzione se l’altro era calmo con lui e iniziò a
pensa re che il comportamento del piccolo principe fosse un messaggio per qualcuno che amava.
La fata Lella sapeva che i bambini, fin dalla
nascita vivono in un rapporto di reciprocità con
i genitori, influenzandosi l’un l’altro, e sapeva
che i bambini si autoregolano per attaccarsi
all’ambiente che li nutre.
Così la fata ricevette i genitori sovrani e spiegò
loro il dono che il piccolo principe gli stava
facendo, in grande segreto. La sua agitazione,
costringeva la regina madre a muoversi dal suo
letto, a stare con lui, ad uscire dalla sua profonda tristezza. La regina madre si commosse
nel pensare al suo bambino come ad un principino che la salvava dal suo torpore, anziché ad
un figlio che la stancava, che l’aggrediva e non
l’amava … cose che aveva sentito fino a quel
momento. Così il re e la regina cominciarono a
comportarsi con il principino in modo diverso e
dopo alcuni mesi il piccolo era più sereno.
I reali portarono un nuovo filmato, dove il
piccolo principe ballava e giocava con la regina
che era felice di “svegliarsi” dal suo incantesimo
per stare insieme a lui.
Passò più di un anno e la regina curò la sua
tristezza, ma dolorosi eventi della vita del suo
regno, la fecero ricadere nell’angoscia e il
piccolo principe tornò ad agitarsi per lei.
La fata Lella parlò di nuovo al re e alla
regina, e con i medici che curavano
quest’ultima, e decise di vedere di nuovo il
piccolo per giocare con lui e insegnargli a
distaccarsi dalla madre adesso che sapeva
attaccarsi.
Inoltre gli avrebbe insegnato a farle altri doni
che avrebbero comunque parlato del suo amore,
senza però farsi del male, specie adesso che
doveva iniziare anche la scuola dove avrebbe
imparato ad essere un buon principe.
La fata Lella accoglieva periodicamente anche
il re e la regina, e insieme facevano lunghi
discorsi per sostenere il cammino del principino
e per aiutarli a cambiare insieme a lui.
Un giorno il piccolo principe disegnò una casa
e la fata notò che
sembrava piena di
angoscia e triste
come sua madre.
Anche al principe
sembrò così e volle
disegnarne
un’altra. Questa la
definì: casa felice.
Il piccolo principe
donò questo ultimo disegno alla madre e il
primo alla fata perché sapeva che lei avrebbe
conservato e amato quella casa anche se era
triste e sola. Quando andò in vacanza con i suoi
genitori scrisse tante cartoline alla fata, dicendole quanto bene le voleva, quasi per tenere un
contatto fatto di un filo invisibile. Quando tornò
le portò un dono creato da solo: un porta foto
fatto con tutte le più belle conchiglie raccolte
nella spiaggia per lei.
Passò ancora un po’ di tempo, la madre regina
era infelice sia per il suo vecchio padre che
stava molto male sia per il duro lavoro nel suo
regno, e il principino era messo a dura prova….
La fata parlava con il piccolo principe per
fargli comprendere cosa stava accadendo e un
giorno che arrivò agitato perché la madre si era
arrabbiata per i suoi mal di pancia, la fata
Lella gli disse : “Sai qualche volta le madri
quando hanno paura, reagiscono con la rabbia
e questo rattrista e confonde i bambini.”
Gli disse però che lei stessa si sarebbe presa
cura di quella mamma per insegnarle le cose
da fare quando era triste o stava male.
Il principino disegnò tre alberi, che regalò alla
fata, e fu felice di sapere che qualcuno si
sarebbe preso cura della sua famiglia, di loro 3,
e soprattutto della mamma, sollevando lui da
questo compito.
La fata incontrò di nuovo i reali e accolse la
tristezza della regina, la sua voglia di morire
cercando di trasformarla in impegno e desiderio
di vivere, facendole vedere quanto l’amava il
principino. La regina madre era molto brava ad
insegnare le lingue degli altri, così la fata Lella
le fece notare che lei poteva tradurre il sintomo
del piccolo principe, considerandolo un dono
d’amore per lei.
Il suo mal di pancia, la sua agitazione e tutte
le altre cose, che il principe creava per lei erano
doni per distoglierla dalle cose pericolose che
l’affliggevano e che le facevano desiderare di
morire. (13)
Il piccolo principe stava percorrendo la sua
strada per salutarla come madre e andare verso
la vita,per viverla in modo più indipendente,
ma non riusciva a farlo perché temeva per lei e
la sua salute. L’energia che serviva era ancora
tanta, ma le loro strade piene d’amore potevano
incontrarsi e separasi di nuovo …. l’importante
era ciò che avevano imparato:…
…..quando ci sia ama il dono più grande è il
dono di se stessi, che trova 1000 modi creativi
per mostrarsi, il più strano dei quali è il
SINTOMO. La fata Lella ricordò alla regina
il filmato in cui lei ballava felice con il
principino e la regina commossa le sussurrò:
“E’ tanto tempo che non sorrido più così !”
“Tornerai a farlo , le rispose la fata,
“guardati nella mia sfera magica e ritrova
il tuo sorriso”
IAT NEWS
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CAMPO
COUNSELLING
DE SENECTUTE:
ANNI MORBIDI E…
di Daniela BETTINI
Counsellor (C-E)
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L. Moreni,
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rapporti umani”
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G. Cohen
“Il potere della mente matura”.
Ed. Piemme
Anni morbidi potrebbero essere quelli da 65 in su,
a condizione che:
1. Non ci siano malattie importanti
2. Vengano vissuti all‟interno di una rete comunicativa
3. Ci sia di che vivere
compreso, può tornare a concepire obiettivi raggiungibili, ad aggiustare il tiro perché le cose vadano meglio. Servirà qualche sforbiciata e aggiunta alle varie
suddivisioni della strutturazione del tempo. Meno
Isolamento (lo “spicchio” più temibile), a favore di
maggiore Attività (quante cose sanno e sanno fare i
vecchi!) e Intimità. Inoltre necessitano Carezze.
Del riconoscimento ha bisogno chiunque: il bambino,
per crescere con la schiena dritta; l‟adulto, per non
rinsecchirsi; il vecchio, come antidoto allo sbiadimento della sua identità consumata e al processo involutivo. Permulceor, ergo sum (ricevo carezze, dunque
esisto).
Più tondi e quindi già fisicamente più morbidi degli
spigolosi giovani - ma i grassi con le loro grasse risate
non sono più simpatici? - i vecchi (ma sì, uso questa
parola dismessa e fuori moda, diretta, che dice pane
al pane e vino al vino) se la potrebbero godere, avendo imparato, col tempo, a sottrarre peso alle loro
giornate e a curare le due-tre cose che fanno vita una
Riferisco l‟esempio di un comportamento creativo,
vita.
concepito e adottato a oltre 70 anni, frutto di un
Le più importanti sono riconoscersi e non perdersi invidiabile sviluppo psicologico maturo (da “Il potere
d‟occhio. Talora le donne, più vitali e compiacenti dei della mente matura” G. Cohen, ed. Piemme).
loro coetanei, non sanno dire “no” nemmeno alle Due settantenni marito e moglie, invitati a cena dalla
richieste più pressanti. Gli uomini, d‟altro canto, rice- figlia sposata, usciti dalla metropolitana di Washinvono meno richieste, ma si adattano peggio al nuovo gton, rimangono intrappolati in una tormenta di neve.
e non traggono soddisfazione dal rapporto con la Necessita un taxi perché il tratto di strada è troppo
casa. Si ripiegano prima su di sé, si rimpiccioliscono e lungo per percorrerlo a piedi, ma tutti i taxi sono occuriducono sempre più i tanti “io” che componevano la pati. Il signor Howard allora telefona alla figlia, ma
loro personalità nell‟età forte. Allora ha inizio la vec- anche lei è ferma in mezzo al traffico. Intanto le dita
chiaia cattiva, il tempo dilatato, sempre uguale e che delle mani dei due settantenni si intorpidiscono per il
non passa mai, il non agire (non dare senso e direzio- freddo. Il signor Howard non si dà per vinto, non rimane alle azioni). Chi gli sta intorno senza saperci stare, ne inerte, né si arrabbia con il destino avverso, ma
sgrida e/o protegge troppo, quasi il vecchio sia un concepisce e pratica un‟opzione a dir poco originale,
monello di pochi anni, svalutandolo, contribuendo al dovuta al folto repertorio di strategia e forse
rimpicciolimento del suo spazio, alla percezione di – è Cohen a sostenerlo - alla capacità delle persone
essere inutile e di peso, all‟attesa di uscire di scena. anziane di usare entrambi gli emisferi del cervello.
Per riprendere il cammino, una direzione, c‟è bisogno Dopo aver con fatica attraversato una strada piena di
di dolci pungoli provenienti dall‟Adulto e dal Genitore neve e fango, entrano in una pizzeria da asporto; Mr.
Affettivo, che dà sostegno e nutre l‟anima ammacca- Howard ordina una pizza enorme, e quando gli chieta.
dono dove portarla, si autorizza a fare la richiesta di…
essere consegnati anche lui e la moglie con la pizza!
Dopo una batosta, si può ripartire, e anche se Esempio che la dice lunga sulla potenzialità della
“invecchiare non è per i vigliacchi” (Bette Davis), un senectus, si vivida et accepta.
clima rispettoso e caldo rinforza anche chi non ha
cuor di leone. Visibile e amato, chiunque, vecchio
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IAT NEWS
C’era una volta… cosa c’è ora?
Analisi Transazionale per la comunicazione
nella scuola dell’infanzia
di Susanna Cesarini
FISM Roma EUROMA, 2010
RECENSIONE DI
Cesare
FREGOLA
Non svolgo recensioni da molto tempo e allora sono andato a recuperare i miei antichi
appunti per rinfrescare i criteri da utilizzare. Ho deciso di metterli da parte perché dovrei
dare struttura prevalentemente razionale a qualcosa che invece mi ha dato molti spunti di
esplorazione fra pancia, testa e anche il cuore.
Mi spiego.
La prima volta ho letto tutto d‟un fiato il libro di Susanna e l‟ho anche chiamata per
telefono per dirle della chiarezza, freschezza, essenzialità, rigore che si trovano nel suo
lavoro finito.
Non solo: c‟è un criterio che potrei definire di adeguatezza situazionale che si può ritrovare con riferimento ai destinatari-insegnanti, ai destinatari-famiglie, ai destinatari-bambini e
che si può evidenziare nel contesto scolastico in cui essi operano. Certamente avvicinare
due mondi, quello della comunicazione didattica e quello della comunicazione sociale,
senza criticità nella definizione delle linee di confine e di frontiere è assai complesso ma,
ritengo, uno dei pregi del libro è che si può ritrovare un rigore che protegge ogni persona
nel ruolo che svolge e di conseguenza la relazione didattica e quella interpersonale
trovano spunti di riflessione oltre che indicazioni tecniche e scientifiche accurate.
La seconda volta ho letto il libro perché l‟ho segnalato a una studentessa del corso di
laurea in Scienze della Formazione Primaria che sta preparando la relazione finale (una
forma della tesi di laurea…), su quali elementi dell‟AT possono entrare a far parte delle
competenze di base dell‟insegnante della Scuola per l‟Infanzia.
Avevamo già fatto tanta ricerca su questo tema … e si è materializzato il lavoro di
Susanna su qualcosa che non avevamo trovato: “cose simili, mi pare che mancassero,
almeno così strutturate” -a dire di Francesca, la studentessa- e che, aggiungo, coniugassero il linguaggio dell‟AT con il mondo delle filastrocche, quelle della tradizione, che tanto
fondano l‟immaginario collettivo e tanto sollecitano escursioni emotive provocatorie, catartiche, capaci di evocazioni e di orientamento che ogni insegnante e genitore attivano
ogni qualvolta “raccontano”, “cantano”, dando ritmo con il cullare o il saltellare, ignari,
spesso, forse, di quanta ricchezza di strutture e funzioni vengono attivate al di fuori
dell‟intenzionalità e della consapevolezza.
La terza volta ho letto il libro per scrivere la recensione.
E tante scoperte ho fatto: dimensioni emotive e cognitive delle filastrocche custodiscono
strutture e funzioni che l‟AT consente di cogliere e rileggere all‟interno dei propri costrutti.
Guidati con lo scopo di questa rilettura, aspetti pedagogici e aspetti psicologici possono
trovare sinergia negli ambienti di apprendimento che le filastrocche consentono di
determinare. All‟interno di questi ambienti pur lasciando alla tradizione, alla misteriosità
della cultura sottesa e all‟ingenuità che potrebbe caratterizzarla, la lettura del libro può
dare spunti e anche occasioni strutturate per progettare interventi sulla comunicazione
sociale e sulla comunicazione didattica rivolti a insegnanti, genitori allievi delle Scuole
Analitico Transazionale, studenti in Scienze dell‟Educazione e della Formazione Primaria.
Le illustrazioni di Veronica Altavilla sono bellissime oltre che efficaci.
Infine, ho aperto questo lavoro affermando che anche il cuore ha partecipato alla lettura.
Nei miei dialoghi interni che ho intercettato ce n‟è qualcuno che mi ha riportato alla mia
relazione con il mio apprendimento. Ho potuto rievocare la voce della mia nonna “seduta
comoda” che “ninnava” i più piccoli e si “ninnava” narrando alcune delle filastrocche
presenti nel libro.
Concludo con una frase che Susanna ha scritto nella sua introduzione: “ Spero che queste
competenze comunicative possano diventare patrimonio della scuola per l’infanzia.
Pensando al mio lavoro, mi auguro che il lettore arrivi all’ultima pagina con la percezione
che si può migliorare il proprio modo di lavorare singolarmente e in gruppo e che si possano chiudere queste pagine con il desiderio di aprirne di altre sul, e magari di aprire il proprio modo di pensare! Allora iniziamo e, come si dice agli adulti, prendete una sedia e
mettetevi comodi…”. Mi prendo ancora un piccolo spazio per di lasciarvi con il libro: perso-
La vispa Teresa avea tra
l’erbetta
a volo sorpresa gentil farfalletta
E tutta giuliva, stringendola viva,
Gridava a distesa: L’ho
presa! L’ho presa!”
A lei supplicando l’afflitta
gridò:
“Vivendo, volando, che
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IAT NEWS
SEMINARI CLINICI. LA CASSETTA DEGLI ATTREZZI DELL’ANALISTA TRANSAZIONALE
Michele Novellino - FRANCO ANGELI EDITORE
Questo manuale di metodologia e tecniche copre un vuoto molto avvertito nella comunità degli analisti
transazionali: quello di un testo che descriva in dettaglio la messa in opera del metodo dell'analisi transazionale.
La filosofia del libro è dunque riportare per iscritto la trentennale esperienza di didattica e supervisone dell'autore.
E l'obiettivo è mettere il lettore nella condizione di poter tradurre con efficacia sul piano terapeutico i principi generali
del metodo clinico e della metodologia. La sistematizzazione degli argomenti nasce dai tanti seminari svolti
dall'autore prima presso lo IAT dal 1976 al 1991, e successivamente presso l'Istituto Eric Berne.
Questi ultimi hanno condotto numerosi allievi ad acquisire il titolo di analista transazionale e poi di analista transazionale didatta della EATA e dell'ITAA. Vengono dunque qui presentate le operazioni descritte dal fondatore dell'analisi
transazionale, Eric Berne, e i diversi sviluppi della terapia ridecisionale dei Goulding, della psicoterapia integrativa di
Erskine, dell'approccio psicodinamico di Novellino e Moiso. Il manuale è rivolto agli allievi delle scuole di analisi
transazionale, ai loro docenti per potere avere un riferimento didattico comune, agli psicoterapeuti di altre scuole per
avere una conoscenza corretta di un metodo a volte svilito ingiustamente da opere di taglio divulgativo.
LA FORMAZIONE E I SUOI SISTEMI
di Cesare Fregola
Nella società della conoscenza, una chiave adeguata per interpretarei processi di formazione è
il paradigma della complessità che introduce discontinuità con i paradigmi classicamente
utilizzati per orientare l’analisi e le decisioni per progettare i processi e i sistemi diformazione.
Il quaderno di Cesare Fregola si propone di fornire criteri di riflessione per evidenziare come la
riprogettazione dei sistemi formativi comporta la capacità di generare integrazione fra
innovazione e tradizione a partire dalla previsione di possibili ricadute dei processi i
nsegnamento-formazione-apprendimento nelle persone e nell’organizzazione.
Sullo sfondo, vi è la proposta di rileggere, partendo dall’analisi dei principali paradigmi dello sviluppo organizzativo, il passaggio da una
formazione imperniata sulla definizione dei contenuti dell’apprendimento a un sistema formativo. Ciò implica la concretizzazione di
strategie che mirano alla gestione integrata e la ridefinizione di una relazione efficace fra la persona, il proprio apprendimento e il ruolo
che essa ricopre nell’organizzazione. Fa da guida l’evidenza della costruzione di un implicito patto di sviluppo dei sistemi di formazione
che possano influenzare il valore sociale, economico e culturale della conoscenza.
Ci prendiamo il permesso di
pagina del libro:
proporvi la lettura dell’ultima
“Il quaderno ha fornito sguardi su molteplici variabili dell’apprendimento
nella complessità che appartengono ad aspetti funzionali di tipo culturale, organizzativo, sociale, ed economico e ad aspetti legati alla persona,
che si possono considerare luogo dell’incontro fra l’esperienza, la competenza di cui si dispone e la motivazione a continuare ad apprendere.
Le relazioni fra sapere, saper fare e saper essere si sviluppano nella prospettiva del saper divenire dell’individuo quando questi è coinvolto nello
svolgimento del proprio ruolo con pertinenza, aderenza alle regole e alle
modalità procedurali che caratterizzano il suo lavoro e alle capacità creative che mette in atto per affrontare le istanze della trasformazione e del
mantenimento. Se il repertorio dei comportamenti, in particolare quelli
che sono agiti in modo più inconsapevole, consente di continuare a procedere in modo efficace all’interno delle mutate condizioni organizzative
e del contesto esterno, le dinamiche dell’apprendimento sono riconduci
bili prevalentemente a quelle già diffuse consolidate nella vita del gruppo; se, invece, occorre attingere ad altri repertori che magari sono poco
noti e appartengono anche ad altre culture organizzative, si può verificare la richiesta di supporto nelle forme di orientamento, guida, formazione. Alla ridefinizione e all’evoluzione degli schemi che sono necessari per
stare nella complessità e per gestire i cambiamenti si può trovare una
dimensione pragmatica nei sistemi formativi, che diventano luogo di
rilevazione e organizzazione di sapere di processo in grado di favorire lo
sviluppo di piani di integrazione fra l’individuo e il proprio ruolo al fine di
supportarne la ridefinizione verso le direttrici del cambiamento. Questo
processo potrebbe consentire uno sviluppo in una prospettiva ecologica,
in grado cioè di guidare l’azione in un’ottica di apprendimento continuo
dei ruoli verso un esercizio di competenze cognitive, emotive e sociali che
derivano dalle caratteristiche delle complessità e da rinnovate capacità di
scambio, in modo tale che l’interazione creativa fra l’individuo e
l’ambiente favorisca lo sviluppo di entrambi.”
www.istitutoanalisitransazionale.it
ISTITUTO ANALISI TRANSAZIONALE NUMERO 3
NEWS DALL’AT
Congratulazioni ai nostri soci
Cesare Fregola e Giacomo Visco
che lo scorso luglio hanno partecipato al
TEW (Training Endorsement Workshop)
tenutosi a Praga.
Il nostro socio
Cesare Fregola
con la Dott. Annunziata Marsciano e la
Prof.ssa Angela Piu e con il
gruppo di formazione-ricerca
(Eledia Mangia, Roberta Masci e
il gruppo di insegnanti coinvolte).
hanno ricevuto
Due segnalazioni di eccellenza nella
Sezione Sistemi Formativi del:
PREMIO FILIPPO BASILE
PER LA FORMAZIONE NELLA P.A.
Dell’Assoclazione Italiana Formatori
TA WORLD CONFERENCE.
THE CHALLENGE OF GROWTH
Bilbao 7th - 9th july 2011
www.TAbilbao2011AT.com

7th - 9th July World Conference

2nd - 4th July EATA Council Meeting

2nd - 4th July TEW

5th & 6th Exams

10th - 11th July ITAA BOT Meeting
HAI SCRITTO UN
NUOVO LIBRO?
L’approccio è Analitico
Transazionale?
Vuoi darne notizia
ai soci IAT?
Non perdere
l’occasione,
invia la segnalazione
alla redazione
daremo spazio
dell’uscita del
tuo libro!!!
[email protected]
Per la Regione Umbria:
Percorso formativo sulla valutazione
della formazione e validazione
deglistrumenti di verifica e
monitoraggio.
(Con Direzione regionale Risorse Umane,
Finanziarie e Strumentali, Sezione Formazione e
Comunicazione)
Per la Direzione Didattica
I Circolo di Formia
Simulandia:
L’integrazione delle conoscenze
matematiche, didattiche e
psicopedagogiche e la costruzione di
ambienti di apprendimento nei
luoghi reali e virtuali nella
scuola primaria.