Le prime civiltà

Transcript

Le prime civiltà
Mod.1 Civiltà e imperi
nel mondo antico
Capitolo 1
Cap.1
Le prime civiltà
1.Prima della storia
Le prime civiltà
Storia e preistoria: da dove partire?
Da dove partire, per raccontare, ancora una volta, la storia dell’umanità? Esplicitiamo, per prima cosa, la scelta che siamo costretti a fare: nel nostro racconto entriamo quasi immediatamente nel cuore della storia, sorvolando su quel periodo
della storia umana, immensamente lungo (più di due milioni di anni) e tuttora
poco conosciuto, chiamato “preistoria”.
Negli ultimi decenni, la straordinaria quantità di rinvenimenti fossili, insieme all’utilizzo di nuovi e raffinati metodi di indagine e conservazione dei reperti, ha
dato luogo al moltiplicarsi di ipotesi sulle origini e sull’evoluzione del genere
“Homo” cui noi apparteniamo.
I testi di scienze e i manuali di storia relativi ai programmi degli anni scolastici
precedenti hanno già trattato, in modo analitico e approfondito, i diversi aspetti
della cosiddetta “alba dell’umanità”.
Diamo così per scontate le prime fondamentali conquiste dei nostri antenati. Due
esempi, per intenderci: il primo, che riguarda il corpo, è la conquista della stazione eretta, che permise loro di liberare gli arti anteriori per la difesa e l’aggressione
e soprattutto per la manipolazione di oggetti e la costruzione di strumenti; il secondo, fra i molti altri possibili, che ci fa riflettere sullo stretto rapporto tra gli uomini e l’ambiente naturale, concerne la capacità di “imprigionare” il fuoco, una
conquista che segnò un punto di “non ritorno” nell’evoluzione della specie umana.
1. Prima della
storia
2. Le civiltà fluviali
3. La civiltà egizia
4. Una civiltà a sé:
Creta
5. Altri popoli
migrano verso
occidente
6. Fenici ed Ebrei
Un’amigdala del paleolitico, con
la tipica lavorazione simmetrica
su entrambe le facce, trovata a Petrignone, nei pressi di Forlì.
Vivere di caccia e raccolta: l’età paleolitica
Convenzionalmente gli inizi della preistoria del genere umano sono fatti risalire
a 2,4 milioni di anni fa, quando si avviò la cosiddetta “età della pietra antica”, o
paleolitico. I reperti del paleolitico sono rappresentati da selci e ossidiane, le pietre più diffuse, robuste ma facilmente intaccabili: queste pietre si presentano
“scheggiate” con una tipica lavorazione “a mandorla”, da cui il nome di amigdale e il riferimento al periodo come età della pietra scheggiata.
Durante il paleolitico comparvero e si estinsero diverse specie del genere Homo
ciascuna delle quali fu protagonista di decisive tappe nell’evoluzione sociale e
culturale degli ominidi. L’ultima di quelle specie, Homo sapiens, comparsa circa
300.000 anni fa, diede vita a diverse sottospecie. Non più di 80.000 anni fa, con il
sopravvenire di una glaciazione, cioè di una delle periodiche fasi di raffreddamento del clima della terra, se ne affermò una che conosciamo bene avendone
ritrovato numerosi scheletri: l’Uomo di Neanderthal. Rispetto alle specie precedenti esso era caratterizzato da una struttura fisica particolarmente robusta e dal
maggior volume del cervello. La sopravvivenza dei membri di queste specie era
legata in particolare alla caccia e alla pesca, cui si affiancava la raccolta di quanto
la natura offriva spontaneamente, sotto forma di foglie, bacche e frutti. I neanderthaliani, inoltre, non abbandonavano più i loro simili dopo la morte ma incominciarono a seppellirli con sempre maggior cura, seguendo precisi rituali.
Noi, Homo sapiens sapiens
Homo sapiens sapiens
si diffonde in Europa
Fioritura
Rivoluzione neolitica:
della civiltà neolitica
cominciano a diffondersi
agricoltura e allevamento
Apogeo
della civiltà egizia
80.000 anni fa 40.000 anni fa IV millennio a.C. 8500a.C. 3500-3300 a.C. 2000-1450 a.C. 1900 a.C. XVI-XI sec. a.C. 900-750 a.C.
Si impone l’Uomo
di Neandertal
Si sviluppano le grandi
civiltà fluviali in Egitto
e in Mesopotamia.
Nasce la scritttura.
Rivoluzione urbana
in Mesopotamia
Gli Ittiti si insediano
in Anatolia
Apogeo della
potenza fenicia
La specie a cui apparteniamo tutti noi, esseri umani di oggi, è stata definita Homo sapiens sapiens. Originatasi in Africa, essa si diffuse gradualmente in
Europa, intorno a 40.000 anni fa, e poi in tutte le
terre abitabili, fino all’Australia e all’intero continente americano, imponendosi, cancellando o assorbendo le altre specie umane, tra cui quella dei
neanderthaliani, che si estinsero.
Stretti da forti vincoli di gruppo, cementati da un
linguaggio già piuttosto complesso, i nostri proge-
Questa ricostruzione del volto di
un neanderthaliano mostra alcuni tratti somatici abbastanza primitivi, come la calotta cranica bassa, la fronte quasi inesistente e il
chiaro prognatismo. Eppure, se
lo incontrassimo per strada vestito come noi, non avremmo dubbi
nel ritenerlo un nostro simile.
Alcuni strumenti da pesca di età
neolitica rinvenuti sulle coste del
Cile. Si riconoscono un amo, un
ago con la sua corda e la punta di
un arpione.
Mod.1 Civiltà e imperi
nel mondo antico
Cap.1
Le prime civiltà
nitori vivevano essenzialmente della caccia alle
grandi prede come mammut, renne e bisonti;
grande importanza aveva anche la pesca. Essi sapevano utilizzare in modi complessi il fuoco, per
esempio affumicando le carni per conservarle, così da poter creare preziose scorte alimentari.
Segno del forte sviluppo psichico e culturale della
nuova specie è certamente la comparsa delle prime
manifestazioni “artistiche” dell’umanità, sotto forma
di dipinti e graffiti rupestri rappresentanti animali,
scene di caccia, ma anche di raccolta e, più tardi, di
lavoro agricolo. Queste immagini sono state variamente interpretate: la maggior parte degli studiosi
concorda nel considerarle manifestazioni di tipo
magico, legate probabilmente a riti propiziatori.
Un particolare delle pitture rupestri della grotta di Lascaux (Francia) risalenti a 14-12 000 anni fa.
Queste magnifiche figure furono
realizzate in un’area nascosta e
buia della grotta; è quindi probabile che non siano state fatte per
essere ammirate ma con finalità
magico-religiose.
L’età neolitica
Paleontologi e storici parlano di rivoluzione neolitica (della “pietra nuova”), riferendosi con questo termine al grande cambiamento nel modo di produrre e
consumare, e quindi di vivere, che interessò le popolazioni umane, in tempi e
modi diversi, a partire da 10.000 anni fa. Tuttavia, prima di introdurre il neolitico, essi danno sempre più rilievo all’esistenza di una cosiddetta età della pietra
“di mezzo”, il mesolitico, nel quale sarebbero già stati sperimentati modi più sistematici di raccolta e di cattura della selvaggina, soprattutto di quella di piccola
taglia, data la crescente scarsità dei grandi animali di cui si è parlato.
Il neolitico prende il nome dalle nuove tecniche di lavorazione della pietra, non
più solo scheggiata ma levigata. Comunque, a partire dal V millennio a.C., alla lavorazione della pietra si affiancò man mano, fino a sostituirsi ad essa, la metallurgia; si iniziarono quindi ad estrarre, fondere e lavorare i metalli: dapprima rame e stagno, poi la loro lega, il bronzo, infine, molto più tardi, come vedremo, il
ferro. Tuttavia, al di là degli sviluppi dell’industria litica, il neolitico si caratterizza principalmente per l’introduzione dell’agricoltura e dell’allevamento.
MAR
MA
R
Jeitun
(6 800)
CASPIO
Çatal Hüyük
(6 300-5 300)
Can Hasan
(4 800-4 500)
LA NASCITA DELL'AGRICOLTURA E DELLE CITTÀ NEL NEOLITICO
RO
MAR
Hacilar
(5 400-4 800)
NE
Cayönu
(7500-6000)
Shanidar
Hassuna
(9 000)
(5 600-5 000)
Umm Dabaghiyah
CIPRO
Tel Mureybet
(5 800-5 400)
ME
(10 000-8 500)
Samarra
Karin Shahir
DI
(5 600-5 000)
(7 500)
TER
RANEO
Ain Mallaha
Tepe Asiab
Tepe
Sarab
(10 000-8 500)
(8 000-7 000)
Gerico
Tepe Guran
(10 000-8 500)
Deh Luran
(8 000-7 000)
Beidha
(10 000-8 500)
Ali Kosh
(7500-6000)
Tepe Sialk
(5 500-4 500)
Vivere coltivando e allevando
Gli uomini e le donne del neolitico non si nutrivano quindi più soltanto delle piante
alimentari che crescevano spontaneamente, ma impararono a raccoglierne i semi e a
spargerli in un terreno accuratamente preparato, nella stagione opportuna, favorendone la crescita fino al raccolto. Parallelamente si svilupparono anche le tecniche di
domesticazione degli animali, utili sia per l’alimentazione sia per il lavoro agricolo.
Si trattò di un cambiamento nei modi di produrre e di consumare che ebbe conseguenze anche nel modo di organizzare gli schemi di pensiero. La relativa abbondanza di cibo costrinse sempre meno a faticosi spostamenti stagionali e nello stesso tempo la necessità di curare le piante comportò abitudini di vita imperniate sulla stabilità,
forse sulla possibilità di programmare di più il futuro: semplificando, possiamo dire
che i gruppi che praticavano l’agricoltura si trasformarono da nomadi in sedentari.
Matrilinearità e patrilinearità
Il lavoro agricolo sarebbe stato “inventato” e sviluppato dalle femmine della nostra specie, che conservarono e forse rafforzarono così il ruolo centrale, prestigioso e quasi sacro di cui, come riproduttrici, già godevano nelle comunità. In questo
e nell’addomesticamento degli animali sarebbero state aiutate dai loro bambini,
mentre gli uomini si specializzavano nella caccia e nella difesa del gruppo.
È stato anche ipotizzato che alcune società neolitiche fossero “matriarcali”, governate cioè dalle donne; questa ipotesi, formulata nel corso dell’Ottocento e ripresa da alcuni studiosi ancora in tempi recenti, sarebbe suffragata dai numerosi ritrovamenti delle statuette di cosiddette “veneri” o dee dalle caratteristiche
femminili molto vistose (seni, cosce, glutei). Tuttavia, sembra che si possa più correttamente parlare di società neolitiche che conobbero il diritto ereditario matrilineare e il culto di una divinità femminile, la grande madre, piuttosto che di
un reale matriarcato, inteso come potere politico delle donne.
La cosiddetta “Venere di Willendorf”, con i marcati caratteri femminili tipici di questo tipo di statuette paleolitiche: seni prominenti, ventre ampio e glutei pronunciati.
2.Le civiltà fluviali
Le regioni dei grandi fiumi
A partire dal IV millennio a.C., nei territori favoriti dalla presenza di grandi fiumi le
tecniche di coltivazione agricola andarono evolvendosi, fino ad impegnare un sempre maggior numero di uomini in un lavoro che, per ottenere risultati, necessitava di
organizzazione e disciplina, sotto il controllo di una forte autorità. Nacquero allora le
grandi civiltà agricole, società ormai molto complesse rispetto a quelle neolitiche.
Queste civiltà sono state definite “fluviali” perché fondate sullo sfruttamento di
grandi corsi d’acqua, e quindi per l’importanza assunta dai lavori idraulici necessari per sfruttarne le acque per l’agricoltura: il Tigri e l’Eufrate in Mesopotamia, il
Nilo in Egitto, l’Indo nell’Asia centro-meridionale e il Fiume Giallo in Cina.
Le grandi civiltà fluviali sono considerate le prime civiltà storiche, in quanto di
esse non restano soltanto tracce, ma grandi monumenti, testimonianze artistiche, fonti scritte. Proprio il passaggio dalla semplice comunicazione orale alla
scrittura segna l’ingresso dell’umanità nella “storia”.
Proveniente dal palazzo reale di
Mari, nell’attuale Siria, questa statuetta rappresenta una dea mesopotamica la cui veste è ornata con
pesci che nuotano tra le onde di
un fiume. In origine decorava una
fontana, la cui acqua sprizzava dal
vaso che la dea tiene tra le mani.
Area di origine e linee d'espansione dell'agricoltura nel Vicino
Oriente
Area della comparsa delle prime ceramiche (7500-6000 a.C.)
Alcuni dei più antichi siti con testimonianze di
lavorazione del rame
.
Ali Kosh
(7500-6000)
G
Area delle grandi culture ceramiche dell'Alta Mesopotamia
(5800-5000 a.C.)
Pe
rsic
o
G.
di Om
an
Affresco della tomba egizia di
Khaemwese a Tebe. Il defunto, a
sinistra, controlla diverse attività
agricole, inclusa la vendemmia.
Tutte attività rese possibili dalle
acque del Nilo.
Mod.1 Civiltà e imperi
nel mondo antico
Cap.1
Le prime civiltà
Lavoro e gerarchie sociali
M.
Nelle zone dei grandi fiumi il fango alluvionale non era soltanto distruttore, ma si
rivelava un vero e proprio “dono divino” che agiva da fertilizzante dei territori limitrofi. La creazione di un’agricoltura molto produttiva fu permessa da un mirato
intervento umano, che consisteva nella costruzione di argini e dighe, di canali, di
bacini e opere di drenaggio indispensabili per trarre il massiLago
LA REGIONE MESOPOTAMICA
di Van
mo vantaggio da questo fenoLago di
Urmia
meno naturale. Compiti così
ANATOLIA
IO
complessi comportarono una
ASSIRIA M
progressiva e precisa divisione
Eufr
ate
SIRIA
Assur
del lavoro e dei ruoli: tra uomini e donne, tra contadini e arA LT O P I A N O
CIPRO
tigiani, tra chi svolgeva il lavoIRANICO
ro pesante e chi programmava,
O
RTO SIRIACO
DESE
Akkad
S
RR
E
dirigeva, o sorvegliava. Si creaSusa
T
Babilonia
DI
E
rono così gerarchie sociali via
M
PAESE DI SUMER
PALESTINA
MAR
Umma
via più rigide e immutabili di
Isin
MAR
Lagash ELAM
Larsa
MORTO
generazione in generazione.
Uruk
DESERTO
AR
AB
Ur
Le donne furono man mano
Linea di costa attuale
IC
O
Eridu
confinate nel lavoro nelle case
Bassa Mesopotamia
Golfo
e in quello artigianale, perdenPersico
Alta Mesopotamia
do anche prestigio e potere.
CA
SP
O
N
TI
EO
rdano
R
N
G
A
ZA
i
Tigr
Gio
Un potere specifico era poi quello degli scribi. Per l’importanza che assunse la
loro funzione, li possiamo considerare, in un certo senso, come i “signori della
scrittura”, che sulle tavolette d’argilla (il terreno mesopotamico ne è ricco) fissavano gli eventi importanti, le leggi e le norme, registravano i contratti e gli accordi, e i numeri di un’ormai complessa contabilità amministrativa e commerciale. Interessante è la tecnica che essi utilizzavano: un sistema di stampini cuneiformi, che permetteva l’uniformità e perciò la chiarezza della scrittura, garantendone anche la ripetitività e quindi una certa rapidità.
Evoluzione delle città mesopotamiche
A partire dalla metà del III millennio a.C., avvennero numerose trasformazioni
nelle città-Stato dell’area mesopotamica. Tra i popoli già residenti e quelli sopraggiunti in successive migrazioni bellicose ebbe luogo in alcuni casi una sorta
di simbiosi. Si verificarono lunghi periodi di caos e di mancanza di un potere capace di unificare politicamente le città-Stato. Ma la regione conobbe anche dinastie imperiali che centralizzarono fortemente il potere, imponendosi sui popoli
vinti spesso con il feroce strumento della deportazione.
A queste civiltà gli storici fanno risalire anche la promulgazione dei primi codici
di leggi scritte, che testimoniano la volontà dei sovrani mesopotamici di sottrarre
l’esercizio della giustizia alla vendetta privata del singolo o del suo clan di appartenenza, assegnandola invece ai funzionari dello Stato. Questi codici, il più famoso dei quali è attribuito al re di Babilonia Hammurabi (1792-1750 a.C.), distinguevano meticolosamente la gravità delle offese e delle relative pene da assegnare a seconda della casta d’appartenenza di offensori e offesi.
I popoli mesopotamici
Seimila anni fa, uno dei territori più fertili del Vicino Oriente, molto più di
quanto lo sia ai giorni nostri, era quello compreso tra i fiumi Tigri ed Eufrate,
che allora sfociavano separatamente in mare; un’area aperta nello stesso tempo
all’Occidente e all’Asia centrale, terra di passaggio tra il Mediterraneo e il Golfo
Persico. Lì si sovrapposero, dunque, dal IV millennio avanti Cristo, diversi popoli “mesopotamici”, presenti cioè nella regione “in mezzo ai fiumi” (dal greco
mesos, “in mezzo”, e potamos, “fiume”): Sumeri, Accadici, Amorrei, Assiri, Caldei,
Babilonesi.
Le civiltà cui essi diedero vita erano caratterizzate dall’esistenza di una serie di
città-Stato, intorno alle quali continuavano a sopravvivere i distretti agricoli preistorici. Proprio al loro interno, a partire da quelle sumere, si incominciarono a
sperimentare quei modi della vita associata che nei secoli successivi, in forme
più raffinate, passeranno ai popoli del Mediterraneo.
Le rovine della ziqqurrat di Aqar
Auf, risalente al XIV-XIII sec. a.C.
L’imponente tempio, costruito in
mattoni cotti, aveva una pianta
quadrata, con lati di quasi 70 metri, ed era alto 57 metri, più o meno come un palazzo di venti piani.
Casta
Gruppo sociale rigidamente separato dagli altri, nel quale ogni individuo entra alla nascita e che non
può durante la vita abbandonare
per accedere ad un altro. L’insieme
delle caste costituisce un sistema
rigido, che non prevede mobilità
sociale e assegna compiti e funzioni precise ad ogni membro che
ne fa parte.
I clan nomadi
Ma non vi erano solo le città: tenuti a distanza da queste e dalle coltivazioni, si spostavano, montando e smontando le loro tende scure (“case di pelle” o “case di pelo”) i clan di pastori nomadi; nella zona semidesertica erano sempre alla ricerca
dell’acqua, poca e salmastra, e dell’erba, per sé e per le proprie greggi. La loro vita
non era poi del tutto diversa da quella che ancora oggi conducono i beduini del
deserto mediorientale e nordafricano. Questi clan, che a loro volta facevano capo
a diverse tribù, erano giunti in Mesopotamia a partire dal III millennio a.C., in varie ondate migratorie, delle quali fu principale protagonista il popolo degli Amorrei. Alcuni gruppi di Amorrei si insediarono addirittura nelle città sumere conquistate, dando anche vita a dinastie regali. Le immigrazioni amorree sono nella
tradizione genericamente radunate sotto il nome di “semite”. È importante sottolineare che il termine “semita” non designa una razza, quanto piuttosto un insieme di popolazioni accomunate da alcune forti affinità linguistiche e culturali.
Il potere nella città
In origine, il cuore politico e religioso di ogni città-Stato sumerica era il tempio,
sede del potere di un re-sacerdote, considerato vicino agli dèi, ma non dio egli
stesso, e lì convergevano tutte le attività economiche e politiche della città. Esso
sorgeva in cima ad un’alta costruzione costituita da più terrazze, la ziqqurrat, nella zona, non a caso, chiamata “cielo”. Ma con il tempo, le funzioni sacerdotali si
distinsero da quelle regali e al tempio si affiancò un altro centro del potere,
spesso in tensione con il primo: il palazzo del re.
In questa società vigeva una rigida divisione in caste e le attività della popolazione erano ormai molto differenziate. Appena sotto al sovrano, la casta dei sacerdoti, degli alti funzionari e dei capi militari: erano queste le élites che in generale gestivano le terre, che formalmente erano “proprietà” della divinità protettrice della città, quindi del tempio. Seguivano gli artigiani e i mercanti, che
vivevano del loro lavoro, spesso commissionato dal palazzo, e i contadini, che
ne lavoravano le terre. Alla base della piramide sociale vi erano gli schiavi, in
buona parte prigionieri di guerra e debitori.
3.La civiltà egizia
L’Egitto
La civiltà egizia si sviluppò in Nord-Africa, lungo il corso del Nilo fino al suo delta
nel mar Mediterraneo. Ogni estate il fiume inondava un’ampia zona circostante
depositandovi un fertilissimo fango, il “limo”: Egitto, dunque, descritto, fin dall’antichità come dono del Nilo. Più ricca era la zona settentrionale, soprattutto
verso il delta (Basso Egitto), meno coltivabile quella verso sud (Alto Egitto).
Come grande regno, sottoposto al comando assoluto di un re-faraone, l’Egitto ebbe vita autonoma nel lunghissimo arco di tempo compreso tra la metà del IV e il
I millennio a.C., quando cedette sotto i colpi di altri popoli più agguerriti. Per l’organizzazione del lavoro agricolo e le gerarchie sociali, però, questa civiltà ebbe
una vita molto più lunga: la sua stessa rigidità la aiutò a sopravvivere nel tempo.
Si può ricordare che una fra le più gravi crisi che la civiltà egizia conobbe fu quel-
Su questa stele di basalto nero,
conservata al British Museum di
Londra, è inciso in caratteri cuneiformi il Codice di Hammurabi; il sovrano è rappresentato in
alto a sinistra mentre riceve le leggi, simboleggiate dal bastone della giustizia, dal dio della giustizia
Shamash.
Clan
Dal gaelico clann (discendenza) indica un gruppo di persone legate
tra di loro dalla convinzione di discendere da un comune antenato,
e quindi di essere portatrici di diritti e obblighi comuni. Spesso le società primitive individuavano il mitico antenato, il totem, in un animale, una pianta o un elemento
naturale. Un clan poteva imporsi
sugli altri sino a dominare l’intera
società.
Mod.1 Civiltà e imperi
nel mondo antico
Cap.1
Le prime civiltà
IMPERO ITTITA
ASSIRIA
r
Tig
MASSIMA ESTENSIONE DELL'IMPERO EGIZIO
(XIV sec. a.C.)
i
BABILONIA
CRETA
Qadesh
RODI
MEDIT
ERRANEO
Eufr
a
te
MA
R
PALESTINA
la rappresentata dall’invasione del nord dell’Egitto da parte di un popolo nomade di origine asiatica, gli Hyksos, intorno al 1700 a.C.:
anche da questa il paese riuscì a risollevarsi
con una politica più aggressiva e attenta alle
alleanze e all’espansione commerciale.
Gerusalemme
Il modello della piramide
N il
o
Menfi
Le informazioni per la conoscenza della civiltà
egizia sono fornite ad archeologi e storici sia
dalla scrittura geroglifica, in parte oggi tradotta
e interpretata, sia dallo studio dei grandi moEGITTO
numenti, prime fra tutti le piramidi. Proprio la
Tebe
forma geometrica di quelle enormi costruzioni,
erette a scopo funebre e celebrativo per i faraoni, può ben rappresentare l’organizzazione sociale, sempre castale, che ebbe l’antico Egitto:
una larghissima base di lavoratori, buona parte
NUBIA
dei quali viveva in condizioni di schiavitù o comunque servili, addetti alle opere irrigue o murarie; un’ampia seppur più contenuta
presenza di uomini liberi, artigiani e commercianti; una catena di sorveglianti, funzionari, burocrati; l’élite degli scribi e dei sacerdoti; infine una estesa famiglia reale
che faceva capo al faraone e, quasi sempre, alla sua regina-sorella. Questi ultimi due,
divinizzati, erano considerati incarnazioni del potere divino sulla terra.
AI
SIN
LIBIA
M
Ni
O
SS
RO
lo
AR
scheda1.
l’Egitto appare una realtà geografica
in cui, accanto allo sviluppo di scienza, tecnica, scrittura, letteratura, scultura, architettura e pittura, la gente
vive momenti di incertezza legati all’ambiente naturale e alla precarietà
dell’esistenza. La forza della civiltà
egiziana nasce proprio dal tentativo
di dominare questa incertezza ambientale attraverso l’intervento sovrannaturale di un potere divino.
In questa prospettiva due elementi risultano vincenti. Il primo è la presenza di una forte struttura sociale e politica, che attraversa le varie fasi dell’evoluzione della civiltà egizia.
Il secondo è la capacità dello Stato di dare risposte a
momenti traumatici della
vita del popolo, quali epidemie e carestie, lotte, crisi. Di questo gli Egizi furono consapevoli al punto da
sviluppare gradualmente
un atteggiamento conservatore, teso a mantenere e
riprodurre nel tempo i modelli culturali, sociali e
Ognuno dei popoli fin qui citati ebbe un suo pantheon di dèi e un suo
patrimonio mitologico specifico. Tuttavia, Cielo e Terra rappresentarono
per tutti i due princìpi primordiali dell’ordine nato dal Caos degli inizi. Il
mondo “superiore” e quello “infero” erano dunque pieni di segni da leggere e interpretare: religione, magia, e quella che oggi chiameremmo
“conoscenza scientifica” del mondo in una certa misura coincidevano.
Andavano precisandosi anche le concezioni dell’aldilà e della morte.
Questa non era considerata come un annientamento totale: fra molti popoli si fece strada l’idea che i morti continuassero a vivere un’esistenza simile a quella condotta sulla terra, ma con un ritmo più lento, in un’atmosfera molto più triste, in un luogo grigio.
Fra gli Egizi queste concezioni presero spazio fino ad influenzare in modo determinante lo stesso modo di vivere la vita terrena e le rappresentazioni architettoniche e artistiche. Chi ne ebbe la possibilità conservò i propri morti attraverso una tecnica accuratissima di mummificazione, custodendoli in sontuose
necropoli e nelle piramidi. Molte fra queste mummie con i loro sarcofagi sono
ancora oggi visibili nei principali musei d’Europa. Affreschi e pitture parlano,
forse per la prima volta, di un aldilà in cui si pesano le anime su una bilancia di
giustizia per assegnare premi e punizioni per le azioni compiute in vita.
scientifici di cui si sentivano portatori.
Lo storico greco Erodoto scrive che gli
Egizi erano “gelosi delle loro tradizioni”, al punto che essi tendevano a rifiutare quelle che venivano da altre
società. Questa caratteristica, alla base dell’indipendenza del paese nei
momenti di difficoltà, tese globalmente a irrigidire la cultura in modelli di vita del passato.
Papiro del X sec. a.C., dal Libro dei morti, che riporta, in caratteri geroglifici, l’inno al dio Ra
Particolare dei geroglifici che coprono il sarcofago di Petosiris (IV
sec. a.C.), conservato al Museo
Egizio del Cairo. Il sistema geroglifico era basato su disegni che
rappresentavano oggetti, animali
o persone, cui corrispondevano
dei suoni.
Ordinamento matrilineare
4. Una civiltà a sé: Creta
La civiltà minoica
Caratteri di un popolo:
dominare, aggregare, assorbire
Gli Egizi erano consapevoli della grandezza della loro cultura e civiltà. Lo
documentano gli investimenti nelle
monumentali opere collettive e la capacità di organizzare un vasto spazio
interamente governato dal potere teocratico del faraone-dio, figlio del dio
Osiride-Ra, colui che con sguardo penetrante feconda terre e animali e intrattiene, se così si può dire, i rapporti
con il dio Nilo. Era il faraone ogni anno a emanare “l’ordine di semina” a
partire dal quale gli agricoltori davano inizio alla semina dei campi. Tutte
le terre erano censite in tre categorie:
aride, medie e fertili. In base a questo
si stabiliva la parte del raccolto da consegnare ai magazzini reali. Ma questa
rigorosa programmazione economica,
sostenuta da un’amministrazione efficiente, era sempre minacciata da un
ambiente naturale imprevedibile. Le
piene del Nilo non si ripetevano tutte
con la medesima intensità. Alcune erano scarse, altre violente e nessuno conosceva la causa dell’aumento delle
acque.
Anche nel racconto biblico, quando ci
si riferisce alla prigionia degli Ebrei,
Leggere i segni del cielo: l’aldilà
Il rinvenimento di numerose statuette di divinità femminili a Creta ha spinto ad
ipotizzare che in questa grande isola, crocevia delle comunicazioni marittime
mediterranee, si fosse sviluppata una civiltà matriarcale, fondata sul culto della dea madre. Di sicuro, si può dire che le donne vi conobbero una situazione
di prestigio e di potere, confermato anche dall’esistenza di un ordinamento
matrilineare.
La ricchezza cretese si fondò sui commerci marittimi dei suoi abitanti. Nei secoli del suo splendore economico e artistico (dal 2000 al 1450 a.C.) si creò nell’isola una società fortemente gerarchizzata, ma meno rigida di quelle che abbiamo menzionato finora, capace di valorizzare il ruolo delle classi medie, come marinai, artigiani e commercianti. La civiltà minoica ebbe un carattere fondamentalmente pacifico. Essa infatti non conobbe le distruzioni delle guerre ma non
sfuggì alla furia dei terremoti: uno particolarmente disastroso, verso il 1650 a.C.,
mandò infatti in rovina tutti i suoi palazzi.
I miti cretesi
Della civiltà minoica sono rimasti resti archeologici imponenti, che mostrano
ancora oggi ai turisti l’esistenza di grandi palazzi reali, capaci di ospitare la vita
e le attività di migliaia di persone: famiglie reali, sacerdoti, funzionari, artigiani, servi.
Si è parlato perciò, per i centri di Cnosso, Festo, Mallia e Zakros (i più celebri dell’isola) della presenza di una civiltà palaziale, tanto affermata e incurante delle
possibilità della guerra da non munirsi neppure di mura. La ricca e complicata
architettura di questi palazzi ci rimanda a molti celebri miti che verranno successivamente rielaborati dalla cultura greca attraverso la quale sono giunti fino a
noi: fra questi, il “labirinto”; la tragica fuga in volo di Icaro, figlio di Dedalo, verso il sole che ne sciolse le ali di cera; il “Minotauro”, figlio del re Minosse, mostruoso essere dalla testa di toro; il “filo di Arianna”, che permise l’uscita dal labirinto dell’eroe Teseo dopo l’uccisione del Minotauro.
È quell’ordinamento secondo il
quale i doveri, i privilegi, i divieti e
le restrizioni di una certa società
sarebbero regolate dalle relazioni
di ogni persona nei confronti dei
parenti e del gruppo sociale della
madre, e non del padre. Legata al
diritto materno è in genere la discendenza matrilineare, cioè l’appartenenza di ogni persona al
gruppo sociale della madre e il diritto all’eredità dei beni in base alle relazioni con i parenti materni.
Statuetta cretese in terracotta del
XVIII sec. a.C. proveniente da Festo, che rappresenta la Dea madre di Creta che stringe due serpenti, segno del suo stretto rapporto con i misteri del mondo
sotterraneo.
Mod.1 Civiltà e imperi
nel mondo antico
Bassorilievo del IX sec. a.C. che
rappresenta un carro da guerra ittita che travolge un nemico. Si
nota la ruota a raggi, una decisiva
innovazione tecnologica rispetto
alle pesanti ruote di legno pieno
dei carri mesopotamici.
Testa di una divinità celtica maschile rinvenuta in Boemia e risalente al II-I sec. a.C.
scheda2.
Cap.1
Le prime civiltà
5. Altri popoli migrano
verso occidente
6.Fenici ed Ebrei
I popoli del ferro: gli Ittiti
Con il nome di “popoli del mare” sono ricordati in molti documenti antichi gli
invasori che verso il 1200 a.C. distrussero la civiltà ittita e attaccarono l’Egitto,
facendone retrocedere la sfera d’influenza, giunta nei secoli fino all’attuale Medio Oriente. Della crisi dei grandi imperi che ne seguì, e che durò alcuni secoli, approfittarono alcune popolazioni, che si liberarono dalla sottomissione a
questi ultimi e poterono acquistare identità e autonomia: tra queste le più importanti furono quelle dei Fenici e degli Ebrei.
Un’altra imponente migrazione avvenne verso il 2000 a.C., quando si spostarono
verso occidente gruppi di indoeuropei, provenienti dalle steppe tra il mar Nero e
il mar Caspio. Una parte di loro si sistemò sugli altipiani dell’Anatolia, fondendosi con le popolazioni locali. Queste popolazioni, gli Ittiti, furono tra le prime a
sviluppare le tecniche della siderurgia e per questo furono ricordate come il “popolo del ferro”.
Dal ferro ricavavano soprattutto armi, che, insieme all’uso di leggeri carri da battaglia con le ruote a raggi, assicurarono loro la supremazia militare sui popoli
della Mesopotamia. Formato un vasto impero, gli Ittiti giunsero a scontrarsi con
successo con gli Egizi, ancora fermi alla lavorazione di armi in bronzo.
Tuttavia, la metallurgia del ferro non restò a lungo monopolio degli Ittiti: dal Vicino Oriente si diffuse infatti progressivamente nel continente europeo.
Altre migrazioni indoeuropee
Nello stesso periodo dell’invasione ittita, altre tribù indoeuropee si spostavano
verso oriente, sottomettendo le popolazioni locali: il gruppo degli Arii, ad
esempio, si stanziò dapprima nei territori dell’Iran e poi fino alla valle dell’Indo e la pianura del Gange. In quelle regioni essi imposero un rigido modello di
società divisa in caste e in cui era prevista la supremazia maschile e paterna (patriarcato). Altri gruppi, oltre agli Ittiti, dilagarono verso occidente; i Celti, nelle zone del Danubio e dell’attuale Francia, e gli Achei, nella penisola greca e a
Creta. Fu proprio la loro invasione, intorno al 1450 a.C., a segnare la fine della
civiltà minoica.
Le migrazioni indoeuropee portarono con sé in occidente nuove credenze derivate dalla religione dei Veda sul rapporto tra la vita terrena e l’aldilà; in particolare la fede nel ciclo tremendo delle reincarnazioni, per cui l’anima di ognuno
sarebbe destinata a sperimentare innumerevoli volte il percorso della vita e della
morte, fino all’espiazione, attraverso la sofferenza, di ogni colpa commessa.
Indoeuropei
Il dibattito sull’origine degli indoeuropei è tutt’ora aperto e vede contrapposte sostanzialmente due posizioni. La prima è quella di chi ritiene
si trattasse di molti popoli, stanziati a
cavallo di un’ampia regione tra l’Europa del Nord e l’Asia centrale, che
parlavano però un idioma derivante
da un’unica parlata: questa idea è sostenuta soprattutto dai linguisti, che
rintracciano le radici comuni di una
lingua comune alle parlate greche, latine, slave e indiane, che dovrebbe
appunto rimandare ad una lingua originaria degli indoeuropei. Secondo
questa interpretazione si sarebbe
trattato di popoli nomadi che si spostavano lungo l’asse est-ovest dell’Eurasia settentrionale.
I popoli del mare
I Fenici
L’antica Fenicia, che potremmo identificare negli attuali territori del Libano, dell’Antilibano e della Palestina, offriva poche risorse naturali, se si esclude il pregiato legname di cedro. Tra il X e l’VIII secolo a.C. le città fenice, Tiro, Sidone, Biblo, Berytos (l’attuale Beirut) con i loro abitanti, di stirpe semitica, divennero la prima potenza marittima del mondo allora conosciuto. In effetti, il mare offriva loro grandi possibilità di espansione che la terra negava; molti divennero marinai, mercanti, pirati. Il
porto di Tiro si sviluppò fino a divenire il luogo di passaggio e di sosta sia delle navi
provenienti dal Mediterraneo sia delle carovane di merci provenienti dall’Oriente.
Tutti i popoli importavano da loro le costosissime stoffe tinte con la porpora e i manufatti di vetro; entrambe le lavorazioni restarono a lungo prerogativa fenicia.
Una nave da carico fenicia in un
bassorilievo del II sec. a.C. proveniente da Sidone, nell’attuale Libano. Grazie al robusto scafo arrotondato le navi fenice potevano
trasportare carichi ingenti.
Gli inventori dell’alfabeto
I Fenici sono ricordati nella storia come gli inventori della scrittura alfabetica
che, tutto sommato con poche differenze, noi ancora oggi utilizziamo. A questo
risultato si arrivò con vari tentativi, condotti da scuole di scribi indipendenti tra
loro. Da tempo in queste scuole si cercava di perfezionare i sistemi di scrittura fino allora conosciuti (cuneiforme e geroglifico), perché né l’uno né l’altro soddisfacevano le crescenti esigenze di una comunicazione rapida ed efficace.
Dopo alcuni tentativi intermedi, di una scrittura definita pseudogeroglifica, avvenne
la svolta. Dapprima gli scribi di Ugarit, in Mesopotamia, arrivarono a distinguere
ventinove suoni diversi e semplici; ma i Fenici di Biblo andarono oltre: ventidue
segni soltanto, tracciati con una grafia originale, chiara e comoda. Nella scrittura alfabetica a ogni suono corrispondeva un segno; dai Fenici furono identificate le consonanti, solo successivamente furono introdotti i segni corrispondenti alle vocali.
Testina in vetro per collana di artigianato fenicio, datata al IV sec. a.C.
Il popolo di Abramo e Mosè
La seconda posizione è invece quella
di coloro che, sulla scorta dell’equazione lingua = popolo, tendono a
parlare di una vera e propria etnia
indoeuropea caratterizzata da un
forte senso della gerarchia e della
stabilità che sarebbe originaria delle
regioni circumpolari dell’Europa settentrionale. Secondo questa interpretazione l’espansione degli indoeuropei, più che da sollecitazioni
di ordine demografico e climatico,
sarebbe dovuta allo spirito aggressivo della loro indole.
Come si può vedere la prima interpretazione mette l’accento su un patrimonio linguistico comune dalla
Spagna all’India che sarebbe derivato delle successive ondate di popoli
che si sarebbero riversati nelle regioni più calde e più fertili nel corso di
due millenni. Contro questa tesi altri
avrebbero cercato di sostenere che in
realtà la lingua indoeuropea si diffuse per contatto con questi popoli e
non per una loro effettiva migrazione. Tuttavia, anche recentemente,
studiosi come Francisco Villar hanno
dimostrato che le lingue indoeuropee, per la loro estrema ricchezza e
complessità grammaticale e sintattica, non si prestano a un’appropriazione da parte di altri popoli, ma sono state quasi certamente imposte
da aristocrazie di dominatori che
hanno soggiogato altri popoli che
parlavano precedentemente linguaggi diversi.
Tra i popoli che andarono precisando e affermando una propria identità, vi furono anche gli Israeliti, o Ebrei. Secondo la tradizione orale raccolta nell’Antico
Testamento, testo sacro per ebrei e cristiani, Abramo, un capo-clan nomade di
stirpe semita che viveva nella Mesopotamia, si sarebbe mosso con tutta la sua “famiglia” (un gruppo esteso, che poteva contare decine e decine di persone, più gli
animali) verso il 1850 a.C. da Ur, in Mesopotamia, diretto verso una nuova terra.
La partenza di un gruppo di nomadi non costituiva certo un evento eccezionale.
Ciò che la tradizione registra come eccezionale è che la partenza sarebbe stata legata alla promessa fatta ad Abramo da un Dio, che gli si era rivelato e che avrebbe preteso di essere il solo ad essere adorato. Con l’affermarsi progressivo del
culto di Yahweh, il dio degli Ebrei, acquistò identità un nuovo popolo, quello di
Israele, che alla fine di questa migrazione si stabilì in Palestina.
La storia biblica parla di un’ulteriore migrazione in Egitto, secoli dopo, dovuta alla carestia. Nel paese dei faraoni gli Ebrei furono ridotti in schiavitù dagli Egizi,
ma, approfittando del caos portato dai popoli del mare, sarebbero ritornati in
Palestina attraversando la penisola del Sinai, sotto la guida di un grande condottiero, Mosè. Egli avrebbe rafforzato il patto monoteista con Yahweh, sancito dalle tavole divine dei dieci comandamenti.
Particolare dell’iscrizione in caratteri alfabetici fenici che adorna
il sarcofago di un sovrano di Sidone del V sec. a.C.
Cap.1
Le prime civiltà
Cap.1
le prime civiltà
Scheda di sintesi
Verif ica
1 Indica tra le possibilità indicate quella corretta
❖ I paleontologi distinguono nella Preistoria dell’umanità due periodi: il paleolitico, a partire da circa 2,4
❖
❖
❖
❖
❖
❖
milioni di anni fa, e il neolitico, a partire circa da 10 000 anni fa. Fra le diverse specie del genere Homo
andò affermandosi, a partire da 40000 anni fa, quella dell’Homo sapiens sapiens cui tutti noi apparteniamo.
Nell’età neolitica si svilupparono le tecniche agricole e di allevamento degli animali. Molte popolazioni
si trasformarono cosi da nomadi in sedentarie. Oltre alla lavorazione della pietra, le tecniche della metallurgia, diffuse a partire dal V millennio a.C., servono ai paleontologi e agli archeologi per classificare
epoche e civiltà delle diverse regioni del mondo.
A partire dal IV millennio a.C. si svilupparono le prime grandi civiltà agricole, definite “fluviali” perché
fondate sull’irreggimentazione e lo sfruttamento delle acque di grandi fiumi: Tigri ed Eufrate
(mesopotamiche), Nilo (egizia), Indo e Fiume Giallo nell’India e nell’Estremo oriente. A loro si deve la
scoperta della scrittura, che segna il passaggio alla “storia”.
Per le esigenze di programmazione dei lavori agricoli mutarono le forme della vita associata e si accentuò la divisione del lavoro; si formarono vere e proprie caste: al potere un re-sacerdote, circondato da alti funzionari e capi militari, un gruppo intermedio di artigiani e mercanti e infine la massa dei contadini e gli schiavi. Molto potenti erano gli scribi, esperti nella scrittura. Nell’area mesopotamica si alternarono alle città-Stato grandi dinastie imperiali. A queste civiltà si deve la promulgazione delle prime
leggi scritte e l’invenzione della scrittura cuneiforme, la costruzione di grandi ziqqurrat.
Lungo il corso del Nilo si affermò, tra la metà del IV e il I millennio a.C. la civiltà egizia, anch’essa fortemente gerarchica, che mantenne rigide nel tempo le sue strutture sociali dominate dalla figura di un refaraone. Gli Egizi sono ricordati, tra l’altro, per la scrittura geroglifica e per il culto dei morti, culminante nella pratica della mummificazione dei defunti.
Nell’isola di Creta si sviluppò invece, dal 2000 al 1650 circa a.C. una civiltà palaziale, pacifica, di tipo
marittimo e mercantile, probabilmente matrilineare. Invasioni e terremoti ne provocarono la distruzione.
Intorno al 2000 a.C. avvenne una delle più vaste migrazioni da oriente verso occidente, quella dei popoli
indoeuropei che si stanziarono in diverse zone d’Europa, in parte fondendosi con le popolazioni locali.
Fra questi, ricordiamo gli Ittiti, che inaugurarono le tecniche della siderurgia. Verso il 1200 a.C. altri invasori, i “popoli del mare”, distrussero la civiltà ittita e misero in crisi i grandi imperi fluviali. Acquistarono allora identità e autonomia alcuni popoli mediorientali, come i Fenici, cui si deve l’invenzione
della scrittura alfabetica. Si precisò anche l’identità dell’unico popolo monoteista dell’antichità, quello
ebraico, che si stabilì in Palestina, secondo la tradizione biblica, sotto la guida di Mosé.
1. Quale fu la caratteristica essenziale della “rivoluzione neolitica”?
a Un cambiamento nel modo di andare a caccia
b L’introduzione dell’agricoltura
c Una rivoluzione dei contadini
d L’introduzione di nuove tecniche di metallurgia
2. Come erano organizzate le civiltà fluviali?
a Erano divise in caste, ma era facile il passaggio dall’una all’altra
b Avevano un ordinamento egualitario
c Era una società che prevedeva soltanto uomini liberi
d Prevedevano una rigida divisione in caste
3. Tra quali uomini si fece strada l’idea di un aldilà che comportava un giudizio sulle azioni compiute
dall’uomo nella vita terrena ?
a Uomo di Neanderthal
b Fenici
c Egizi
d Ittiti
4. Da quale popolo fu distrutta la civiltà ittita?
a Popoli del mare
b Sumeri
c Clan di pastori israeliti
d Egizi
5. Perché decadde definitivamente la civiltà cretese?
a A causa di un violento terremoto
b Per l’invasione degli Achei
c In seguito a un’eruzione vulcanica
d Per colpa del matriarcato
6. In che cosa consisteva la novità del sistema di scrittura introdotto dai Fenici?
a Nell’utilizzo dei geroglifici
b Nella diffusione della scrittura cuneiforme
c Nell’idea di mescolare
d Nella corrispondenza fra suoni semplici
geroglifici e scrittura cuneiforme
e segni grafici
7. Che significato assume, nella tradizione della Bibbia, la partenza da Ur del patriarca Abramo?
a Un normale evento di una partenza di un clan nomade
b Un evento legato allo stabilirsi di un rapporto tra il patriarca e il dio Yahweh
c Una fuga per la persecuzione messa in atto da un re mesopotamico
d Uno spostamento legato all’arrivo di altri popoli nella regione
2 Indica se le affermazioni seguenti sono vere o false
1.
2.
3.
4.
5.
6.
7.
Il paleolitico ebbe termine con l’invenzione della scrittura
Gli essseri umani attuali appartengono alla specie Homo sapiens sapiens
Nelle società neolitiche si affermò il matriarcato
Il tempio era di importanza marginale per la società sumerica
Il re Hammurabi riunificò le città sumeriche dopo un periodo di caos
La civiltà egizia si sviluppò in Nord-Africa, lungo il corso del Nilo
Grazie all’organizzazione del lavoro e alle solide gerarchie sociali l’Impero egizio si prolungò
nel tempo
8. I Fenici e i Cretesi erano popoli essenzialmente dediti all’agricoltura
9. I “popoli del ferro” non erano Indoeuropei
10. Mosè liberò gli israeliti dalla schiavitù in Assiria
V
V
V
V
V
V
F
F
F
F
F
F
V
V
V
F
F
F
V
F
Mod.1 Civiltà e imperi
nel mondo antico
Raccordo
L’Europa
tra il III e il V secolo d.C.
La disgregazione dell’Impero romano
Diocleziano e Costantino: due politiche a confronto
Il periodo dell’anarchia militare si concluse nel 285 con la proclamazione di
un nuovo imperatore, Diocleziano (285-305). Egli ebbe l’accortezza di
condividere il controllo dell’impero con un altro Augusto, cui affidò l’Occidente, e con due cosiddetti Cesari, che, dopo una lunga ”adozione” ventennale erano destinati a loro volta al massimo comando. Questo meccanismo di potere a quattro (tetrarchia) (fig. 2) avrebbe dovuto garantire la
possibilità di tenere assieme i vastissimi territori dell’impero. Il malcontento contro la politica di Diocleziano, però, crebbe ugualmente, soprattutto
per l’acuirsi dei problemi economici e le alte richieste fiscali ai cittadini da
parte dello Stato romano. Diocleziano scatenò anche una violenta persecuzione contro i cristiani, ritenuti responsabili della crisi dello Stato, ottenendo soltanto il rafforzarsi della nuova fede religiosa.
Dopo Diocleziano, si ebbero feroci lotte tra i tetrarchi, finché il potere non
venne preso da Costantino (324-337) (fig. 1), che riconciliò lo Stato romano con i cristiani. Dopo l’emanazione dell’Editto di tolleranza nel 313,
una vera apertura verso tutte le confessioni religiose presenti nell’Impero,
avvenne la conversione dell’imperatore stesso al cristianesimo. Da quel
momento la nuova religione costituì uno degli elementi trainanti delle istituzioni romane, sino a diventare, con l’imperatore Teodosio (379-395), l’unica religione ufficiale dell’impero.
1
Fu Costantino, qui ritratto in una colossale statua la cui testa misura circa 3 metri, a comprendere quanto fosse inutile e
controproducente perseguitare i cristiani che, pur minoranza, erano ben organizzati e presenti in tutte le categorie sociali, occupando anche posti di rilievo
nella burocrazia e nell’esercito; conquistarne la fedeltà significava rendere più
stabile e saldo l’Impero.
La carta mostra la suddivisione dell’Impero voluta da Diocleziano per migliorare la
gestione del potere dopo mezzo secolo di
anarchia. Il meccanismo tetrarchico, nel
quale i due Cesari “adottavano” due Augusti destinati a succedere loro, era volto
proprio a garantire una trasmissione automatica e pacifica del potere.
2
L’età tardoantica e la rivincita dell’Oriente
Il periodo compreso fra il IV e il VII secolo dopo Cristo, oggi definito da
molti storici come età tardoantica, era un tempo considerato, soprattutto nei primi tre secoli, come un’epoca negativa,
di pura crisi e decadenza dell’Impero romano. A
L'IMPERO ROMANO AL TEMPO DELLA TETRARCHIA
una più attenta considerazione possiamo vedervi
(293-305 d.C.)
invece un periodo di grande trasformazione sociale ed economica, di scontro-incontro di civiltà.
Fondamentali in questa trasformazione furono
Treviri
due elementi: la crescente importanza dei territori orientali dell’Impero e l’impatto fra la civiltà roMilano
Sirmio
mana e i popoli germanici che premevano ai confini di Roma.
Nicomedia
Riguardo al primo aspetto, va messa in luce la fondazione di Costantinopoli (324-330), città costruita
sul Bosforo, in un punto chiave per il transito di uomini e merci tra Oriente e Occidente; voluta dall’imperatore Costantino come nuova capitale delTerritori sotto il controllo di Diocleziano, Augusto
l’Impero, la sua nascita sancì di fatto la decadenza
economica e politica delle città occidentali, che viTerritori sotto il controllo di Massimiano, Augusto
vevano una fase di ristagno demografico e una
Territori sotto il controllo di Galerio, Cesare
sempre maggiore difficoltà nel reperire schiavi.
Territori sotto il controllo di Costanzo Cloro, Cesare
Diocleziano
diventa
imperatore
285
Italia, Gallia e Spagna
sono devastate da
Vandali, Alani e Svevi
Fondazione di
Costantinopoli
313
Costantino emana
l’Editto di tolleranza
324-330
325
il concilio di
Nicea condanna
l’Arianesimo
407-429
Effimero
impero degli
Unni di Attila
410
I Visigoti
saccheggiano
Roma
448-453
R1 L’Europa
tra il III e il V secolo
L’ascesa delle province anche periferiche dell’Impero, processo che si era
innescato da tempo, subì un’accelerazione, arrivando a minare l’antico accentramento del potere nella città di Roma fino a mettere in forse la sua
stessa eccezionalità come caput mundi, cioè vera e propria capitale del
mondo conosciuto. In realtà la grande metropoli viveva ormai per lo più di
importazioni dall’Oriente, pagate a caro prezzo, cedendo ingenti quantità
d’oro che andavano accumulandosi nei mercati delle ricche città orientali,
sbilanciando l’assetto economico dell’Impero a favore di queste ultime.
Nel 476 d.C., anno della deposizione dell’ancora adolescente imperatore
Romolo Augustolo, s’interruppe la continuità del potere imperiale per l’Occidente. Ma ad Oriente, almeno formalmente, l’Impero romano sopravviverà per oltre un millennio: Costantinopoli assunse il nuovo nome di Bisanzio e il suo imperatore si proclamerà l’unico legittimo erede romano.
Un limes permeabile
Riguardo ai popoli confinanti, a partire dal III secolo d.C., il contatto dell’impero con i Parti ad oriente e con i Germani (fig. 3) lungo il confine dei fiumi Reno e Danubio si fece più stretto e drammatico: la “fortezza romana”,
che un tempo si era lanciata alla conquista del mondo, viveva ormai come
assediata da popolazioni straniere che avrebbero presto finito per forzarla.
Il limes, ovvero il tradizionale confine tra i Romani e gli “altri”, diventò sempre più permeabile. Accadde infatti spesso che i Germani in particolare, più
che essere respinti militarmente, fossero ammessi ai confini o entro i territori
dell’impero come federati, cioè alleati, inglobati così nell’esercito romano.
Del resto da tempo esisteva un’osmosi legata alla vita civile (fig. 4): poteva
accadere, infatti, che non solo abitanti periferici dell’Impero, come per esempio gli Iberici, arrivassero ad occupare posti nel senato romano o alte cariche
statali, ma che questo diventasse possibile persino per alcuni membri di illustri famiglie di Galli, tradizionalmente considerati “barbari” dai Romani.
Le invasioni del V secolo
Le cause delle invasioni
La maggior parte degli invasori del IV-V secolo appartenevano al variegato
mondo delle tribù germaniche: Ostrogoti, Visigoti, Vandali, in un primo
tempo, e poi Burgundi, Longobardi e Franchi, limitatamente all’Europa
continentale. Alle loro spalle premevano popolazioni di origine mongolica,
come gli Unni, e numerose tribù slave.
Le invasioni produssero un’improvvisa accelerazione della crisi, con inevitabili effetti catastrofici. Avvenne allora qualcosa di più grave e definitivo, almeno dal punto di vista della civiltà romana, con il concorso di più cause.
Sicuramente una forte crescita demografica spingeva le popolazioni che
premevano lungo il limes (fig. 5) a cercare risorse in territori più ricchi. Tuttavia agì anche un fattore naturale, un probabile raffreddamento del clima
che avrebbe investito l’area dalla Siberia alla Scandinavia, riducendo i terreni coltivabili e da allevamento e mettendo in moto queste popolazioni verso il Sud e l’Ovest fino ai confini dell’Impero.
Si innescò una sorta di movimento a catena, in cui gli invasori erano, da un
altro punto di vista, dei fuggiaschi in cerca di asilo, disperati e incalzati a loro volta dal dilagare di altre popolazioni.
Le ragioni del successo
493 31
Gli Ostrogoti
di Teodorico
si insediano in Italia
Dietro al successo militare delle popolazioni germaniche si celava certamente una superiorità garantita da una cavalleria che utilizzava spade, lunghe e taglienti, anche se la presenza di alcune tribù germaniche accolte
I barbari avevano mi- 3
nacciato Roma sin
dal II secolo, epoca
cui risale questo rilievo di un sarcofago
che rappresenta proprio una coppia di
barbari prigionieri.
Tuttavia, sin da allora, era cominciata
una parallela infiltrazione pacifica, a partire dall’esercito nel
quale crebbero costantemente gli elementi di etnia “barbarica”, alcuni dei
quali destinati a raggiungere i più alti
gradi militari.
4
Anche la produzione artistica mostra la
contaminazione tra barbari e romani.
Questa fibula aurea del III secolo, tipico
oggetto di arte barbarica, imita analoghi
gioielli romani (la gemma centrale proviene probabilmente da un anello), mostrando però una chiara “rozzezza” esecutiva, vedi l’uso di paste vitree sulla corona a imitazione di gemme autentiche.
La pressione delle popolazioni germaniche spinse i romani a rafforzare le fortificazioni delle città, soprattutto quelle
più esposte agli attacchi. Nell’immagine
la Porta Nigra di Treviri, nell’attuale Renania, un classico esempio di architettura difensiva romana del III secolo.
5
Mod.1 Civiltà e imperi
nel mondo antico
R1 L’Europa
tra il III e il V secolo
nell’esercito romano poteva permettere di controbilanciarla. Esistevano
tuttavia fattori più profondi, legati alla struttura sociale romana: a fronte di
una minoranza sempre più esigua di ricchi, essa presentava larghi strati di
popolazione che viveva sfruttata nei campi e nelle città ai limiti della sopravvivenza. Agli occhi di costoro, sopportare il gravoso dominio dei Romani o dei “barbari”, non rappresentava una gran differenza e anzi, alcuni potevano guardare a questi ultimi come a dei possibili liberatori.
Infine alcuni popoli (Vandali, Burgundi, Ostrogoti, Longobardi) furono
agevolati nel proprio insediamento dalla loro conversione all’arianesimo
(fig. 6); l’adesione al cristianesimo li avvicinava culturalmente alle popolazioni latine o romanizzate che andavano anch’esse man mano cristianizzandosi.
6
La dottrina del vescovo Ario (280-336),
che semplificava il cristianesimo ortodosso, considerando ad esempio Gesù un
semplice essere umano, era diffusissima
tra III e IV secolo nell’Impero, soprattutto
tra i ceti più umili e tra i Germani, evangelizzati dall’ariano Ulfila. L’arianesimo
fu condannato dal Concilio di Nicea
(325) ma sopravvisse a lungo come eresia.
La figura, tratta da un manoscritto greco,
mostra un gruppo di ariani in fuga, dopo
la condanna della loro dottrina.
La carta permette di farsi un’idea generale della forte pressione cui fu sottoposto l’Impero tra II e IV secolo: le migrazioni e le incursioni dei barbari, sul confine germanico e balcanico, e l’endemico conflitto con l’Impero sassanide e le
tribù dei Mauri, nell’area medio-orientale e in Africa, costringeva Roma a moltiplicare la presenza di legioni ai suoi confini, cosa che non impedì ricorrenti e devastanti invasioni.
Da queste invasioni (cartina, fig. 7), nonostante le loro valenze distruttive,
i lutti e la grande confusione che stremò per un lungo periodo la vita dell’Impero, nacque tuttavia un mondo nuovo. La fase della distruzione non
va sottovalutata, poiché comportò il crollo delle città e, più in generale, di
qualsiasi organizzazione economica, amministrativa e militare, diffondendo ovunque la carestia e un senso di insicurezza, che riportò la gente a vivere nel contado. Si innescò allora un processo, che proseguì per molti secoli oltre l’età tardoantica fino alla prima età medievale, che gli storici definiscono ruralizzazione.
Dal punto di vista sociale e politico, le ondate delle invasioni mescolarono
dapprima le stirpi germaniche fra loro, e poi con i Romani: da queste nacquero quelle forme statuali “miste” che gli storici oggi definiscono regni
romano-germanici. Nacque, in altre parole, una civiltà nuova, frutto della cultura germanica che seppe entrare in vivace dialettica con l’eredità
romana.
TI
GO
I
NI
IM
PE
RO
SASSA
M
NIDE
Acquartieramenti militari ai tempi di Diocleziano:
Legioni di stanza
Legioni aggiunte
8
La figura di Attila come esemplare dell’alterità rispetto alla civiltà romana e cristiana è stata anche ripresa dall’arte.
Questo affresco di Raffaello e Giulio Romano, dipinto tra 1511 e 1514 nella Stanza Eliodoro del Vaticano, raffigura l’incontro tra papa Leone I e il re degli Unni che sarebbe avvenuto nel 452 sul Mincio: grazie ad esso Attila avrebbe risparmiato Roma dalla devastazione: un episodio esemplare per celebrare la potenza della Chiesa, capace di arrestare anche il più barbaro dei nemici della cristianità.
INTANTO NEL MONDO
3
Visigoti e Vandali
Dal 407 al 429 d.C. Italia, Gallia e Spagna furono devastate da ripetute incursioni. La più celebre fu quella che culminò con l’assedio di Roma nel
410 da parte di Alarico, re dei Visigoti, che
mise a ferro e fuoco la città. Non si trattò di
I GERMANI E L'IMPERO (II-IV secolo)
una semplice sconfitta: colpire Roma signifiANGLI
.)
al 375 d.C
cava colpire un simbolo fin a quel momento
UNNI (d
BRITANNIA
NI
GOTI
FRISO SASSONI SVEVI
inviolato. L’impressione dei contemporanei fu
LONGOBARDI BURGUNDI
SASSONI
S L AV I
enorme, e scatenò polemiche violentissime
VANDALI
CATTI
Treviri
OSTROGOTI
MANNI
MARCOMANNI
ARMAT
ALE
tra pagani e cristiani: gli uni accusavano gli alS
(1
I
QUA
80
GALLIA
-2
DI
30
tri di essere i responsabili della maledizione
d.C
Milano Q
VISIGOTI .)
M PANNONIA
divina che si abbatteva sull’Impero.
Sirmio
.)
C
.
SPAGNA
6d
R NERO
(25
MA
Roma
Vandali, Alani e Svevi puntarono inizialmente
HI
C
N
PONTO
F
sulla penisola iberica. Dalla Spagna i Vandali
Nicomedia
attaccarono le province romane in Africa, sotA N AT O L I A
tomettendo i territori corrispondenti alle atA
R
tuali Tunisia e Algeria. Dopo aver abbandonaME
DITE
RRANEO
to l’Italia, anche i Visigoti si riversarono dapMA
Alessandria
Gerusalemme
U
prima in Spagna e poi in Aquitania, per punR
I
tare nuovamente sulla Spagna.
A nord, popolazioni di origine scandinava, AnDal 395 d.C. confine tra Impero d'Occidente e d'Oriente
gli, Iuti e Sassoni, occuparono la penisola daMigrazioni e incursioni germaniche
Scontri di confine
nese e le isole britanniche.
D
U A AN
M
CO
AR
I personaggi storici di Attila e di Teodorico rappresentano bene due differenti fasi delle invasioni subite dalla nostra penisola: al primo è legata soprattutto la memoria dello scontro spaventoso e cruento, al secondo quella di un’invasione che comportò l’insediamento e il governo barbarico sulle popolazioni latine. Attila (fig. 8) fu infatti il capo che riuscì a unificare
sotto il proprio comando le tribù mongole passate in Occidente, unitamente ad altre popolazioni barbare. Egli costruì un impero, quello degli
Unni, tanto basato sul terrore e sulle scorrerie (al punto di passare alla storia come “il flagello di Dio”), quanto effimero, perché, dal momento in cui
si lancerà alla conquista dell’Impero non durerà più di cinque anni (448453).
Diversa è la vicenda di Teodorico che, a capo degli Ostrogoti, conquistò l’Italia nel 493 e la governò per trent’anni dalla sua capitale, Ravenna, servendosi di consiglieri romani come lo storico Cassiodoro e il filosofo Severino Boezio (fig. 9). Il suo regno può sicuramente essere considerato la prima solida istituzione in grado di operare la fusione fra due culture fino allora contrapposte.
Ma Teodorico non era il solo ad aver consolidato la propria posizione in
una regione romana: negli stessi anni Clodoveo, re dei Franchi, riuscì a unificare tutta la Gallia sotto il suo dominio. Gli Ostrogoti, dopo la morte di
Teodorico, dovettero tuttavia affrontare l’impero di Bisanzio che, con l’ascesa al trono di Giustiniano (527-565), abbandonò la propria politica di
indifferenza verso l’Occidente, riconquistando per un breve periodo la penisola italiana.
La fine dell’unità del Mediterraneo
RA
7
Gli effetti delle invasioni
Attila e Teodorico: due “barbari” a confronto
2
1
1 La civiltà Inca
Sulle coste occidentali del Sud America si sviluppano le fiorenti civiltà
incaiche di Mochica e Nazca, caratterizzate da un’avanzata agricoltura,
da una raffinata metallurgia e dall’allevamento del lama e dell’alpaca.
2 L’India dei Gupta
Tra il IV e il VI secolo l’India centro-settentrionale viene unificata dalla
dinastia dei Gupta che crea un solido impero, nel quale l’arte e la letteratura indù conoscono una vera età dell’oro, prima di essere travolta
dalle invasioni degli Unni provenienti dal nord.
3 La Cina
Caduta la dinastia Han, che l’aveva dominata per cinque secoli, la Cina
si frammenta in diverse entità politiche. Il Nord del Paese subisce continue invasioni dei “barbari” delle steppe. Si diffonde il buddhismo che,
accanto al confucianesimo e al taoismo, diviene un elemento fondamentale dell’identità cinese.
9
La dominazione ostrogota rappresentò
per l’Italia un lungo periodo di pace e
stabilità. Teodorico, che seppe circondarsi di raffinati intellettuali, pur personalmente ariano, mostrò rispetto e considerazione per la Chiesa cattolica, tanto
da divenire protettore di papa Simmaco
(498-514), raffigurato in questo manoscritto del IX secolo.
I TEMI▼
Il tempo
Il tempo
nell’antichità
IL TEMPO
ANTICHITÀ
NELL’
1.IL TEMPO E I TEMPI
Il tempo ci sfugge
A un intervistatore che le chiedeva in che cosa consistesse il grande fascino del tempo, Margherita Hack,
una nota astronoma contemporanea, rispose press’a
poco in questi termini: il tempo si può considerare l’unica grandezza che l’uomo non riesce completamente a
dominare. E precisò: «Per quanto il controllo della nostra specie si sia esteso a moltissimi campi della natura,
ciò ha lasciato assolutamente indifferente il tempo, che
scorre per conto suo senza alcuna possibilità di essere
perturbato. Non sono mancati i tentativi teorici per
muoversi nel tempo analogamente a come avviene per
lo spazio. Alcuni sono stati effettuati anche da scienziati
molto validi. Ma nessuno ha mai avuto successo».
Il tempo, in effetti, ci pare un fenomeno estremamente “reale” e al tempo stesso un concetto “sfuggente”. Pensatori e scienziati, nel tentativo di dominarlo, continuano a porsi domande per riuscire a definirlo, operando distinzioni sottili: il tempo si riferisce alla natura, o alla società? All’individuo, o alla collettività? Si “vive”, oppure si “misura”?
Il tempo del sole e della luna
quello scandito dal sorgere e tramontare del Sole, dall’alternarsi senza fine del giorno e della notte. Gli uomini sono da sempre attenti a osservare e registrare, mentalmente e materialmente, questo inseguirsi di luce e di
buio, e la loro diversa durata a seconda della stagione.
Ma, fin dalle epoche più remote, l’uomo conosce anche un altro tempo, importante quanto quello solare: si
tratta del tempo “lunare”, cioè determinato dalle fasi
della Luna. Essa, con il suo periodico apparire, crescere
e sparire (novilunio, luna crescente, plenilunio, luna
calante), determina l’idea del “mese”, che corrisponde
proprio al percorso completo compiuto dal satellite intorno alla Terra in circa 29 giorni, e che fornisce un criterio altrettanto valido per il calcolo del tempo.
Sole e Luna sono da sempre dei punti di riferimento fondamentali: attorno a essi si sono condensati numerosi significati, simboli, riti. In molte civiltà i due
astri sono stati divinizzati, e la conoscenza del loro
comportamento ha dato origine a un complesso sapere sacro, che ha trasformato in “religioso” il tempo
astronomico da essi scandito.
Tra liturgia e politica
Il tempo religioso si esprimeva nell’antichità soprattut-
I più antichi tentativi di “imbrigliare” il concetto e l’esperienza del tempo ci conducono al rapporto fra gli esseri umani e la natura. Appare evidente, infatti, che sulla Terra il tempo per eccellenza è quello “solare”, cioè
to attraverso la “liturgia”. Il termine è greco: ad Atene
essa consisteva in un servizio offerto da un cittadino ricco alla collettività, per esempio l’allestimento di un banchetto o di uno spettacolo pubblico, in genere in occasione di una festività religiosa; banchetti e spettacoli di-
Aurora consurgens, miniatura della fine del XIV sec. che mostra la simbolica lotta tra il Sole e la Luna nel momento dell’aurora. Proprio i cicli del Sole e della Luna ispirarono le
prime misurazioni regolari e ricorrenti del tempo, e di conseguenza i primi calendari.
Ziggurat di Ur (XXI sec. a.C.) dedicata a Nan, il dio
della Luna mesopotamico, un classico esempio di
divinizzazione dei corpi celesti, tipica di gran parte
delle civiltà più antiche.
ventarono così veri e propri “riti”, che si riproponevano
con scadenze precise, e gesti e comportamenti fissi. Anche nel mondo cristiano ebbe importanza fin dall’inizio l’aspetto liturgico: esso prevedeva pratiche di culto
che seguivano un rituale determinato, che doveva però
essere interpretato in senso più spirituale che magico.
Alla dimensione del tempo religioso, nelle civiltà
antiche si intrecciò sempre quella del tempo “politico”: esso era costituito dalla scansione di ciò che riguardava la collettività, cioè gli eventi pubblici, sociali, di governo della pólis o dello stato. Per esempio,
i giochi olimpici dell’antica Grecia devono essere
considerati eventi politici o eventi religiosi? Sembra
che non sia possibile tracciare precisi confini tra i
due campi: anzi, forse la stessa ricerca di una distinzione, che a noi sembra così importante, per gli antichi non aveva senso.
2.IL TEMPO MISURATO
I calendari
Le calendae erano per gli antichi Romani il primo
giorno di ogni mese: è da lì che deriva “calendario”,
che ancora oggi indica una ripartizione sistematica
del tempo in intervalli regolari. All’inizio, il calendarium era una specie di registro a cui sia le famiglie, sia
i municipi affidavano l’annotazione di alcune scadenze economiche: alle calendae, per esempio, si riscuotevano i crediti. Il termine passò poi a indicare l’intero
mese, e poi la scansione annuale del tempo suddiviso
in giorni, con la distinzione tra quelli lavorativi o di festa, tra giorni bene o maleauguranti (fasti e nefasti).
Come per i Greci, anche per i Romani i primi calendari erano basati sull’intervallo fra un novilunio e
quello successivo: in altre parole, erano calendari “lunari”. Solo più tardi divennero “solari”, cioè si basaro-
Alcuni mesi dell’anno, con le loro specifiche
attività, nei riquadri del mosaico che adornava una villa imperiale dell’Africa romana.
no sull’enumerazione dei giorni necessari al Sole per
ripresentarsi nella stessa posizione celeste e chiudere
così il ciclo delle quattro stagioni, il cosiddetto “anno
solare”. La concordanza fra il primo e il secondo tipo
di calendario si trovò solo all’epoca di Giulio Cesare, il
quale nel 46-45 a.C., in virtù della sua carica religiosa
di “pontefice massimo”, introdusse un nuovo calendario di 365 giorni, con inizio il primo gennaio, che venne perfezionato nei decenni successivi e che ancora
oggi si ricorda come “calendario giuliano”.
I primi orologi
Per misurare il tempo esistono notoriamente gli orologi. Ma se pensiamo all’antichità, dobbiamo immaginare l’utilizzo di strumenti che rendessero possibile
l’osservazione di elementi naturali nel loro scorrere
regolare: l’acqua, per esempio, o la sabbia, che goccia
a goccia, granello dopo granello, segnalavano il trascorrere di intervalli sempre uguali di tempo. È così
che funzionavano le “clessidre”, le prime delle quali
utilizzavano l’acqua al posto della sabbia. Inoltre c’erano oggetti che proiettavano ombre diverse a seconda della loro posizione rispetto al Sole, così da indicare il momento della giornata o la stagione dell’anno
in cui ci si trovava: si tratta degli “gnomoni” (di cui
fanno parte anche gli obelischi) e delle “meridiane”.
3.TEMPO CICLICO E
TEMPO LINEARE
L’anello del tempo
Un serpente che si morde la coda: questa è una delle
immagini mitologiche più antiche e diffuse. La si trova,
con poche varianti, nell’iconografia e nella letteratura di
civiltà differenti, in Oriente e in Occidente, per significare il ciclo eterno del tempo, in cui inizio e fine si sovrappongono, confondendosi fino a coincidere. Possia-
Papiro di età ellenistica su cui è riprodotto un testo di carattere magico, racchiuso nella simbolica rappresentazione
del serpente che si morde la coda.
I TEMI▼
Il tempo
Il tempo
nell’antichità
mo dunque dire che gli antichi ebbero prevalentemente
una concezione “circolare” del tempo, secondo la quale
la vita degli esseri umani veniva a far parte del ciclo senza fine della formazione e della distruzione del cosmo.
Ma limitiamoci a considerare le culture antiche a noi
più vicine, quella greca e quella di Roma. La civiltà romana dei primordi, per esempio, presenta proprio questo modo di immaginare il tempo; ne troviamo traccia
anche nel linguaggio, in alcune parole che gli scrittori
latini ci hanno trasmesso, come an (intorno), annus
(circolo) e anulus (anello), vocaboli legati da una radice comune che esprimeva l’idea della circolarità. Annus, in particolare, stava certo a significare anche
l’”anello del tempo”, cioè il “nostro” anno che perennemente si rinnova, chiudendosi per poi ricominciare.
Il cosmo si crea e si distrugge
Fra i Greci, la concezione ciclica del tempo trovò
ampio sviluppo e fu variamente elaborata. Una delle
idee più suggestive è certo quella dei filosofi stoici,
che ipotizzarono un cosmo (con tutte le sue forme viventi e non) originatosi dal fuoco. A questa fase di
“creazione”, dopo un lunghissimo periodo, sarebbe
subentrato un processo opposto di “distruzione” dell’intero universo: così, nel volgere di un cosiddetto
“grande anno” (circa 36.000 anni solari), con una
“conflagrazione cosmica” il mondo sarebbe ripiombato totalmente nel caos e nel fuoco.
Ma a questo punto com’era possibile una rinascita?
La mente umana cercò una via d’uscita a questa idea di
assoluta distruzione. La trovarono alcuni pensatori del
IV secolo avanti Cristo, e la presentarono press’a poco
così: nel momento del massimo disordine cosmico, una
sorta di grande “fluttuazione” avrebbe spinto le particelle di materia ad aggregarsi di nuovo fra loro, per formare il mondo con tutti i suoi elementi, determinando
così la rivincita dell’ordine e della vita sul caos.
Il giorno di Yahweh
Il senso di una storia lineare e unica, non ripetitiva e
circolare, ma irreversibile, deriva alla cultura occidentale dalla tradizione ebraico-cristiana. La Bibbia, e poi
le opere teologiche dei pensatori cristiani, sono percorse dall’idea che le vicende dell’umanità e del cosmo abbiano un unico inizio (la creazione da parte di
Dio) e un unico traguardo finale. L’uomo camminerebbe cioè sempre in avanti, “dentro” la storia, ma per
arrivare, a un certo punto, “oltre” la storia, raggiungendo quello che per Israele era “il giorno di Yahweh”
e che il cristianesimo ha poi chiamato “regno di Dio”.
Molti studiosi ritengono che questa idea fosse già stata
formulata nell’ambito del cosiddetto “profetismo”, uno
degli aspetti più originali dell’antica cultura ebraica. I
“profeti” erano saggi solitari che, scagliandosi contro le
forme dell’idolatria e della corruzione, predicavano (il
più delle volte inascoltati) la fedeltà a un unico Dio, e
indicavano al popolo il traguardo finale della salvezza
eterna e del ricongiungimento con il Creatore. Si andava delineando quella che nel linguaggio teologico e filosofico viene chiamata “escatologia”, cioè “scienza delle
cose ultime” (dal greco éschaton, ultimo), che gioca un
ruolo fondamentale nelle religioni, nei miti, o nelle forme di pensiero che trattano del destino finale degli esseri umani e del mondo. In questa prospettiva, ovviamente, l’idea del ritorno del passato non trova alcuno spazio.
Le due città
La visione di un tempo rettilineo venne ampiamente
elaborata, nel IV-V secolo d.C., dal filosofo cristiano Aurelio Agostino di Ippona, più noto come sant’Agostino.
Ippona era la città del nord-Africa, ormai fortemente romanizzata, in cui egli nacque e di cui divenne vescovo
dopo la sua conversione al cristianesimo. Agostino è un
personaggio chiave per comprendere questo periodo,
poiché visse a cavallo tra il mondo romano e pagano che
stava tramontando, e quello cristiano che andava impo-
nendosi. Sull’uno e sull’altro incombeva ormai la minaccia delle invasioni barbariche: proprio mentre Agostino componeva le sue opere, i Vandali si preparavano
a entrare in nord-Africa. In uno degli scritti agostiniani
più famosi, la Città di Dio, l’autore prende posizione contro l’idea tipicamente greca di un tempo circolare, in favore di quella di un tempo lineare, che va dalla creazione del mondo narrata dalla Bibbia al “giudizio universale” che inaugura il regno di Dio. Agostino ricorre alla celebre metafora delle “due città”, una terrestre e l’altra
celeste: la prima si basa sul potere e sulla ricchezza, generando conflitti e morte; la seconda, invisibile e divina,
si fonda sulla prospettiva della salvezza. I confini fra le
due però non sono ben riconoscibili: secondo le parole
di Agostino, infatti, «le due città in questo mondo sono
intricate fra loro e confuse finché il giudizio finale non
le separi». Gli “abitanti” della città celeste si riveleranno
come tali soltanto nel giorno del giudizio, preannunciato dai Vangeli e dall’Apocalisse, quando Dio stesso, secondo criteri che sfuggono alla comprensione umana,
separerà in eterno le due città e i loro rispettivi abitanti.
La fine del mondo, dunque, per Agostino coincide con
la fine del tempo “ciclico”, del tempo “terrestre”, e con
la definitiva immersione degli esseri umani nell’eternità.
Il cerchio e la linea insieme
Come perlopiù accade quando si contrappongono
due idee, due modi di vedere le cose, anche nel contrapporre il tempo ciclico a quello lineare abbiamo operato una semplificazione. Se ripercorriamo la storia delle civiltà che ci hanno preceduto, ci accorgiamo infatti
che in realtà i due modi di intendere il tempo hanno
spesso convissuto, e forse continuano ad accompagnarci, seppur variamente rielaborati. In altre parole, non è
esistita civiltà antica che, per quanto legata a visioni del
mondo circolari, non abbia esplorato anche l’ipotesi di
un tempo lineare e progressivo, in cui qualcosa sfuggisse
all’inesorabilità dei cicli: per fare un esempio, possiamo
pensare a come ogni anno sia in fondo uguale ai prece-
denti, all’infinito; ma al tempo stesso a come ogni anno
presenti caratteristiche e accadimenti che nella memoria si fissano come particolari, unici, talvolta eccezionali.
E nelle stesse culture ebraica e cristiana, entrambe
proiettate verso il “futuro”, hanno sempre avuto grande
importanza riti e celebrazioni liturgiche che si ripetono
con scadenza annuale: si pensi al Natale cristiano, che si
celebra senza eccezioni il 25 dicembre, o alla Pasqua, la
cui data varia per ebrei e cristiani ogni anno, ma non casualmente, bensì in base a precisi calcoli astronomici.
L’età dell’oro
Comune a entrambe le concezioni è anche l’idea di
età felici, tanto passate quanto future. Ne è un esempio
significativo la cosiddetta “età dell’oro”, mito particolarmente vivo fra gli antichi: prima che la vita fosse caratterizzata da dolore e ingiustizia, nel mondo regnava il
dio Crono (così lo chiamavano i Greci, mentre i Romani gli diedero il nome di Saturno). Gli esseri vivevano
allora in assoluta felicità: senza guerre, sofferenze, ingiustizie o diseguaglianze, e la terra produceva raccolti
abbondanti spontaneamente, senza bisogno delle fatiche dell’uomo. Ma il mondo attuale non rimarrà sempre immerso nel dolore: la sua distruzione totale, che
verrà, sarà seguita dal ritorno di Crono-Saturno e di un
nuovo ciclo di felicità assoluta: una nuova età dell’oro.
Anche il giorno di Yahweh, che abbiamo citato a proposito della cultura ebraica, può essere considerato un
mito dell’età dell’oro. La Bibbia lo descrive attraverso un
linguaggio (quello profetico) ricco di colorite immagini
e metafore: si tratta del momento finale della storia del
popolo di Israele, in cui non ci saranno più dolore, male
e morte, l’agnello e il lupo potranno vivere insieme pacificamente, e il bambino potrà portare al pascolo il leone.
Per approfondire e riflettere
1) Il serpente che si morde la coda è una delle più note immagini mitologiche del tempo ciclico, ma certamente non l’unica. Puoi rintracciarne altre, anche avvalendoti delle conoscenze acquisite negli anni di
scuola nel campo della letteratura italiana e straniera,
e delle varie forme di espressione artistica.
2) Per approfondire in senso interdisciplinare il confronto fra tempo ciclico e tempo lineare, può risultare
utile la consultazione, magari con l’aiuto dell’insegnante di storia, della voce “Ciclo” dell’Enciclopedia edita da Einaudi (Torino, 1977, vol. II).
Meridiana romana di età imperiale.
La cosiddetta Basilica (VI sec. a.C.), il più antico dei templi
conservati a Paestum; in primo piano sono visibili i resti dell’altare (ara) destinato ai sacrifici rituali.
Francisco Goya, Saturno divora uno dei suoi figli, 1821-1823,
nella raffigurazione dell’antico mito di Crono (Saturno)
che, li divorava appena nati. Del mito sono possibili molteplici letture: la terribile voracità del tempo, che tutto inghiotte, ma anche la bestialità del potere, che non si ferma
davanti a nulla pur di evitare l’usurpazione.
3) Per attualizzare il tema “tempo ciclico - tempo lineare”, considera come giornali e televisione, oggi,
propongano programmi, personaggi e immagini che
ci comunicano un “senso” ben preciso del tempo, sia
rassicurandoci con una certa ripetitività degli accadimenti, sia proiettandoci in un’idea progressiva del
tempo. Quali esempi significativi, nell’uno e nell’altro
senso, ti senbra di poter individuare?
49
I grandi
Costruttori
L’immagine che
noi abbiamo delle
civiltà antiche è
spesso associata
ai grandi monumenti, soprattutto edifici templari, che hanno
varcato i secoli
grazie alle enormi
dimensioni e ai
materiali resistenti, la pietra, con
i quali erano
costruiti. L’edificazione (XV-XIII
secolo a.C.) del
tempio egizio
di Luxor, ritratto
nella foto, fu possibile solo grazie
alla mobilitazione
di grandi energie
umane ed organizzative.
L
e civiltà della “mezzaluna fertile”, Mesopotamia ed
Egitto, si contraddistinguono per la costruzione di grandi opere
monumentali (piramidi, templi e palazzi) e di imponenti opere
di ingegneria idraulica (i canali di irrigazione). La realizzazione
di queste opere fu possibile grazie alle capacità dei re mesopotamici e dei faraoni egiziani di organizzare il lavoro di centinaia
o migliaia di lavoratori, di reperire le risorse necessarie, di indirizzare l’opera dei progettisti e dei tecnici. L’obiettivo dei monarchi, i grandi costruttori, era quello di assicurare il benessere
della popolazione ed eseguire la volontà degli dei. Tuttavia, questi obiettivi si realizzarono grazie al lavoro e all’intelligenza dei
semplici lavoratori, dei tecnici, cioè di tutti quegli uomini che
nella storia lasciano di sé ben poche tracce, se non il frutto del
proprio lavoro.
Le conoscenze
I grandi costruttori
Le grandi opere architettoniche della Mesopotamia
e dell’Egitto sono associate al nome dei sovrani, che ne
patrocinarono la costruzione; le grandi opere monumentali erano la testimonianza visibile della potenza dei sovrani, un atto di propaganda. Nei documenti antichi che
narrano la costruzione di grandi opere – canali di irrigazione, templi, palazzi, piramidi – si parte quasi sempre
con l’affermazione che il re o il faraone in persona avevano progettato e diretto la costruzione dell’opera per
adempiere il volere degli dei e su loro diretta ispirazione.
Bisognava dunque soddisfare gli dei, in tal modo essi
avrebbero protetto il popolo e il paese.
Il legame tra la religione e le
In un testo da noi possedu- grandi opere monumentali è
to, il re assiro Sennacherib
molto stretto; per spiegarlo
narra in prima persona, cebisogna ricordare le carattelebrando se stesso, la propria opera di grande
ristiche di due importanti dicostruttore. fonte1
vinità, il babilonese Enki e
l’egiziano Ptah. Questi due
dei erano considerati entrambi “creatori”: all’inizio
dei tempi essi stessi avrebbero costruito i primi templi
e le prime città, servendosi dell’aiuto di divinità minori specializzate nell’artigianato e nella produzione artistica. I re mesopotamici e il faraone avevano il dovere di continuare l’opera degli dei, costruendo, civilizzando e assicurando il benessere della popolazione e
la costruzione di nuovi templi. Il lavoro era perciò accettato dai loro sudditi come il destino naturale dell’uomo.
Nelle civiltà mesopotamiche l’importanza attribuita agli dei è ben testimoniata dalle imponenti ziggurat, le piramidi templari. Nella città di Ur, la più antica e la più sacra della
Mesopotamia, il re Ur-Nammu fece costruire nel 2100 a.C. la grande ziggurat del dio della Luna, ricostruita nell’immagine: alla base misurava 65 metri di lunghezza per 45 di
larghezza, e raggiungeva un’altezza di 20 metri.
I grandi costruttori
Le popolazioni dell’Egitto o della Mesopotamia non
contestarono mai la necessità di lavorare agli ordini dei
loro sovrani. Del resto la costruzione delle grandi opere
assicurava a queste popolazioni un benessere superiore
a quello dei popoli che abitavano nelle regioni confinanti, nelle steppe, nel deserto, sulle montagne. Lo scavo
dei canali di irrigazione assicurava la fertilità del terreno
e la sopravvivenza del popolo, ma agli occhi degli egiziani e dei mesopotamici anche la costruzione delle opere
che onoravano gli dei e i sovrani serviva a salvaguardare il benessere del popolo; quindi nessuno metteva in
dubbio la necessità di costruire templi e piramidi, lavorando magari molto di più che per i canali.
aperture negli sbarramenti, si lasciava l’acqua per circa
un mese, poi si svuotava un campo dopo l’altro. I canali
mesopotamici invece erano opere di ingegneria idraulica più complesse: si possono ricordare, ad esempio, il canale che scorreva parallelo al fiume Tigri irrigando i territori sulla riva sinistra, largo 120 m e lungo oltre 300
km, oppure l’acquedotto che riforniva di acqua la capitale assira Ninive, lungo 80 km e largo come un’arteria
stradale, pavimentato con mattoni impermeabilizzati
con bitume.
I canali d’irrigazione
Nelle civiltà della mezzaluna fertile i santuari non
erano solamente dei luoghi dove si pregava e si onoravano gli dei ma anche il centro di importanti attività
economiche. I santuari comprendevano dunque le strutture necessarie per esercitare queste attività: magazzini,
laboratori artigianali, uffici e archivi. Si trattava, nel caso dei santuari più importanti, di opere monumentali
complesse.
I santuari mesopotamici avevano al loro centro la
ziggurat, cioè la torre piramidale con in cima la sala che
custodiva la statua della divinità; le ziggurat più importanti, costruite in mattoni, erano alte diverse decine di
metri. Le piramidi egiziane, è noto, erano le tombe dei
faraoni, ma non tutti i faraoni venivano tumulati nelle piramidi: la maggior parte di loro venne sepolta in tombe
sotterranee nascoste per impedire ai saccheggiatori di
I canali di irrigazione permisero alle civiltà della Mesopotamia e dell’Egitto di sviluppare un’agricoltura redditizia. I metodi di irrigazione tra le due aree erano diversi: in Mesopotamia si trattava di scavare dei canali
per portare le acque del Tigri e dell’Eufrate ai terreni
aridi, mentre in Egitto bisognava solamente regolare la
piena del Nilo con una canalizzazione adeguata che portasse l’acqua in ogni campo.
Ambedue i sistemi richiedevano un’organizzazione
capillare del lavoro e l’opera intensiva e continua di diverse migliaia di uomini. In Egitto si sfruttava il sistema
dell’irrigazione a bacini: l’intera vallata del Nilo era divisa in una scacchiera di aree racchiuse da sbarramenti;
quando arrivava l’inondazione si praticavano delle
Le costruzioni monumentali di Babilonia, giudicate nella Bibbia come un segno della superbia umana, hanno stimolato l’immaginazione di romanzieri,
pittori e registi. Questo fotogramma del film Intolerance (1916) del regista
americano David Griffith mostra una ricostruzione piuttosto fantasiosa e
probabilmente eccessiva di Babilonia.
Santuari, piramidi
e palazzi reali
tombe di depredare i tesori funebri. La costruzione di piramidi fu dunque piuttosto rara, del resto erano imprese
che richiedevano un immenso sforzo in termini di lavoro.
Il palazzo reale, ancor più dei santuari, era il centro
del potere economico e politico. Il palazzo ospitava il re,
la corte e gli amministratori: esso possedeva terre e bestiame e disponeva del lavoro degli scribi e degli artigiani. Per adempiere a queste funzioni il palazzo doveva
avere dimensioni adeguate, quindi doveva comprendere
non solo la dimora della corte e la sala del trono ma anche i locali dove ospitare il personale di servizio e i magazzini, in cui custodire tutto ciò che serviva per il mantenimento della corte. C’erano poi gli uffici per gli amministratori del regno e gli archivi dove venivano custodite le tavolette d’argilla o i papiri.
Materiali da
costruzione
In Mesopotamia si usava il mattone, cotto o semplicemente seccato al sole. Le superfici di mattone dovevano poi essere decorate con affreschi, pannelli lignei scolpiti o ricoperti di lastre di rame o argento. L’uso del mattone ha causato la perdita di tutti i grandi monumenti
mesopotamici: infatti i mattoni cotti venivano riutilizzati, mentre quelli seccati al sole si disfacevano dopo qualche decennio di esposizione alle piogge.
L’Egitto invece conserva ancora molti monumenti di
età faraonica; la ragione è semplice: santuari e piramidi
sono stati costruiti con grandi blocchi di pietra squadra-
Lo shaduf, rappresentato in questa riproduzione di un affresco egiziano del XIV secolo a.C., è il più antico sistema
di sollevamento dell’acqua: basato sul principio della leIn questo affresco tombale egiziano, risalente probabil- va, era generalmente utilizzato per l’irrigazione dei campi
mente all’epoca di Ramses II (XIII secolo a.C.), è ritratta e dei giardini.
una coppia di sposi defunti che coltiva i campi di Iaru
(l’aldilà), tra i quali scorrono dei canali di irrigazione. Nel
paesaggio agricolo egiziano, come in quello mesopotamico, la presenza dei canali era un elemento costante, essenziale per la sopravvivenza del sistema agricolo.
Le piramidi dei faraoni Cheope, Chefren e Micerino, risalenti al III millennio a.C., hanno sempre impressionato i visitatori di ogni tempo dell’Egitto, i
quali hanno fantasticato sugli sforzi necessari per
la loro costruzione; secondo lo storico greco Erodoto, per la piramide di Cheope sarebbero stati
impiegati 100.000 uomini per la durata di 30 anni.
Le conoscenze
ta, resistenti al tempo e difficili da spostare per il loro
grande peso. L’uso di blocchi di pietra implicava la soluzione dei complessi problemi di trasporto dalle cave fino al luogo della costruzione; quand’era possibile le pietre venivano trasposrtate via acqua, oppure via terra,
trascinando i blocchi su slitte e
I resti del santuario egizia- rulli di legno. La messa in openo di Karnak possono dare
ra dei blocchi comportava poi
un’idea dello sforzo occorla soluzione di problemi di inrente per la messa in opera
nalzamento, risolti di solito con
di migliaia di blocchi di pietra con mezzi tecnici primiti- l’uso di rampe in terra.
vi. fonte2
La scienza ingegneristica degli
egiziani era meno evoluta di
quella mesopotamica, perciò i problemi connessi alla costruzione di giganteschi edifici in pietra venivano risolti
con soluzioni pratiche più che con l’uso della teoria. Ad
esempio, gli archeologi sono sconcertati dal fatto che i
monumenti egiziani non abbiano fondamenta: le mura
posano semplicemente sul terreno.
Un problema comune agli architetti mesopotamici
ed egiziani fu il legname; infatti, in entrambi i paesi abbondava il legno di palma, poco resistente; quindi per le
costruzioni bisognava importare il legname da lontano.
La scarsità di legname impediva, tra l’altro, la costruzione di ambienti ampi, ponendosi il problema della copertura dei soffitti con travi lignee di adeguata lunghezza e
resistenza.
Ur-Nammu, il re di Sumer che aveva fatto edificare la grande ziggurat di Ur,
lasciò un ricordo della sua opera di costruttore su questo mattone, recante un’iscrizione che celebra l’edificazione del tempio del dio Enlil a Nippur.
Mattoni simili venivano solitamente interrati nelle fondamenta degli edifici
templari.
I grandi costruttori
L’organizzazione
del lavoro
La realizzazione delle grandi opere presupponeva
l’esistenza di un’organizzazione complessa, ramificata,
in grado di reperire le grandi risorse necessarie, localmente o all’estero, e di dirigere il lavoro delle maestranze. L’insufficiente meccanizzazione del lavoro rendeva
necessaria l’opera di molti uomini, a volte migliaia, perciò era essenziale che l’organizzazione del lavoro fosse
efficiente, che i lavoratori fossero disponibili, che venissero sorvegliati e, in qualche modo, remunerati.
Gli Stati della mezzaluna fertile riuscivano a rispondere a questa esigenza grazie all’esistenza di una forte
burocrazia, cioè della classe degli scribi e degli amministratori dipendenti dallo Stato, una categoria privilegiata
che possedeva gli strumenti della scrittura e del calcolo.
Senza gli scribi che registravano e calcolavano ogni cosa
– uomini, derrate, pagamenti, trasporti, tasse – la costruzione delle grandi opere saL’opera quotidiana degli
rebbe stata impossibile.
La burocrazia statale com- scribi e dei progettisti è
giunta sino a noi in migliaia
prendeva una gerarchia pira- di tavolette di terracotta e
midale, al cui vertice c’era il so- di papiri; i testi raccolti ci
vrano o il faraone, da cui parti- danno un’idea dei problemi
che dovevano sorgere in ocva l’ordine, che si trasmetteva casione dei grandi lavori.
poi a catena ai gradini inferiori. fonte4
Ogni funzionario o scriba aveva compiti precisi, era specializzato nella soluzione di un
problema ben determinato: ad esempio come reperire il
legname o come provvedere ai pagamenti delle squadre
dei muratori. L’interruzione o il non funzionamento di
questa catena avrebbe reso impossibile l’esecuzione dei
lavori.
Queste statuette egiziane rappresentano uno scriba e il dio Thot, protettore della scrittura. La classe degli scribi costituiva, in Egitto e in Mesopotamia, un gruppo sociale potente, che faceva da intermediario tra il popolo e coloro che governavano. Gli scribi ricevevano un’istruzione specializzata che li poneva nettamente al di sopra di quanti non conoscevano lo strumento della scrittura.
Gli ingegneri
Prima di iniziare i lavori bisognava pensare al progetto e alla pianificazione: questo compito era svolto
da una classe di “ingegneri” che doveva ideare l’opera
e svolgere calcoli più o meno complessi per sapere in
anticipo la quantità di materiale necessario e il numero
di operai da adibire alle diverse operazioni. La matematica mesopotamica era più avanzata di quella egiziana, tanto che i babilonesi risolvevano questi problemi usando delle equazioni di secondo grado. Sono state ritrovate delle tavolette d’argilla che contengono dei
problemi pratici di matematica: date le dimensioni di
un canale e il “compito” per ciascuna persona, cioè il
volume di terra da smuovere in un giorno, si doveva
calcolare la lunghezza del tratto di canale da assegnare
a ciascuno, il numero degli uomini necessari, oppure il
numero dei giorni richiesti per compiere il lavoro.
Questi lavori di calcolo furono facilitati dalla standardizzazione delle misure: il fatto che i mattoni babilonesi fossero di misura standard rendeva più semplice il
calcolo progettuale. Altro discorso per le pietre da costruzione egiziane, che erano invece ognuna diversa
dall’altra.
I lavoratori
Il personale specializzato – scribi, ingegneri e artisti – era di regola al servizio stabile del palazzo, mentre
la massa dei lavoratori non qualificati doveva essere reperita e organizzata in modi diversi. Una prima fonte di
manodopera era costituita dai contadini: si trattava di
La rappresentazione del lavoro e dei lavoratori si trova di frequente nell’arte funeraria egiziana, si credeva infatti che le occupazione dell’oltretomba fossero le stesse di quelle terrene.
Questo affresco tombale tebano del 1450 a.C. mostra degli
operai che impastano fango per fare dei mattoni, umili lavoratori impiegati in un lavoro faticoso e ripetitivo.
lavoratori liberi, la cui prestazione d’opera era pagata in
razioni di alimenti. C’erano poi i prigionieri di guerra:
uomini, donne e ragazzi deportati dai Paesi conquistati,
obbligati al lavoro coatto al servizio del re, cioè degli
dei. Negli Stati della mezzaluna fertile gli schiavi furono
sempre poco numerosi, raramente impiegati nella costruzione delle grandi opere.
Il trattamento dei lavoratori, eccettuati i prigionieri
di guerra, era abbastanza “umano”; del resto l’esecuzione dei lavori dipendeva, per tempi e qualità, dalla buona
disposizione dei lavoratori stessi. Trattandosi di lavoratori liberi bisognava provvedere al loro pagamento, fu
così stabilito un sistema teorico di quantificazione del
lavoro. Il sistema mesopotamico era basato sulle razioni di Il villaggio degli operai egiche lavoravano nella
orzo, olio e lana. L’orzo fu ziani
città di Akhetaton mostra
scelto semplicemente perché, che le loro condizioni di vita
in quanto elemento base del- erano discrete; tra l’altro
l’alimentazione, era il prodot- disponevano di buoni alloggi dove vivere con le proprie
to più diffuso e di cui tutti co- famiglie. fonte3
noscevano il valore. Un lavoratore non qualificato maschio era retribuito con una
razione di due litri d’orzo al giorno, una donna riceveva
la metà, un ragazzo un terzo.
Il salario era differenziato in base alla qualifica dei
lavoratori. Conosciamo ad esempio i salari di una spedizione di lavoratori egiziani, 18.740 uomini, inviati in
una cava nel deserto per riportare 60 sfingi e 150 statue: il capo riceveva 200 pani e 5 misure di birra al giorno; i funzionari da 100 a 30 pani a seconda del rango;
gli scultori 20 pani e mezza misura di birra; i 17.000 lavoratori semplici 10 pani e 1/3 di misura di birra ciascuno.
Tavoletta di pietra intagliata che raffigura Ur-Nanshe, re di Lagash, in veste di costruttore con un cesto di mattoni sulla testa (2480 a.C.). I re sumeri
amavano celebrare se stessi come costruttori: in
questa veste essi infatti assolvevano al loro dovere
di provvedere alla dimora degli dei, il tempio, e al
benessere del popolo.
Il lavoro coatto fu largamente impiegato, specialmente in Mesopotamia, per la costruzione delle
grandi opere. Allo scopo venivano impiegati dei
prigionieri di guerra, che in tal modo contribuivano alla glorificazione dei vincitori. Questo rilievo
assiro del VII sec. a.C. mostra lunghe file di prigionieri al lavoro sferzati dai soldati guardiani.
Le fonti
Le coordinate
●La possibilità di ricostruire la storia politica delle civiltà mesopotamiche e dell’Egitto dipende in larga misura dai documenti celebrativi e dalle cronache dei monarchi.
In questi documenti solitamente il
re parla in prima persona ed elenca le proprie gesta.
● Si tratta quindi di fonti che ci
danno una visione molto parziale
della storia: in queste cronache i re
sono sempre vittoriosi, giusti, le loro imprese vanno sempre a buon
fine, sono amati dal popolo e sono
rispettosi degli dèi e dei loro templi. Manca a questi documenti una
visione critica della realtà; bisognerà attendere la civiltà greca per
avere l’inizio della storiografia, cioè
la capacità di analizzare e valutare
criticamente un fatto storico.
●Le cronache e i testi celebrativi
potevano essere scritti su stele, accompagnati da raffigurazioni esplicative del testo, su tavolette d’argilla o sulle pietre che venivano poste
nelle fondamenta degli edifici fatti
costruire dal re. Naturalmente erano documenti utili solamente a chi
sapeva leggere la scrittura cuneiforme o quella geroglifica, cioè agli
scribi, quindi ad una classe ristrettissima di persone.
●Gli storici moderni devono pertanto ricostruire la storia delle civiltà della mezzaluna fertile basandosi su documenti che potremmo
definire “propagandistici”, non è
quindi semplice capire la verità.
●I grandi re mesopotamici e i faraoni egiziani furono anche grandi
costruttori, perciò troviamo numerosi riferimenti nelle cronache reali
alle loro imprese costruttive. Così
troviamo l’elenco di ciò che il re
aveva fatto edificare: palazzi, templi, canali, giardini e mura di difesa. Naturalmente il re si dichiara
progettista e costruttore, ma gli
storici moderni sanno bene che in
realtà il lavoro veniva progettato e
messo in opera da tecnici e operai.
I grandi costruttori
fonte1/gli annali reali
LE MEMORIE DI UN RE
Leggere la fonte
Dalle cronache di Sennacherib
In quel tempo Ninive, il centro del culto, la città amata da Ishtar, dove sono tutti i luoghi di incontro degli dei e delle dee, il basamento eterno, la fondazione
imperitura, la cui pianta è stata disegnata nel lontano passato e la cui struttura è
stata fatta bella insieme con il firmamento del cielo, l’artistica residenza, la sede
della legge divina, dentro cui sono stati portati tutti i tipi di realizzazioni artistiche, ogni segreto e progetto gradevole, dove dal remoto passato, i re, che vennero prima, i miei padri, avevano esercitato la signoria sull’Assiria prima di me e
avevano governato i sudditi di Enlil, ma nessuno di loro aveva rivolto i suoi pensieri né disposto la sua mente ad ampliare l’area della città, a costruire un muro,
ad aprire strade o a scavare un canale e a piantare alberi, né al palazzo che era
là, la sede e la residenza regale, la cui area era troppo piccola, la cui costruzione
non era artistica, né vi aveva dedicato le sue energie, né i pensieri del suo cuore.
Ma io, Sennacherib, io, il re dell’universo, il re d’Assiria, rivolsi il mio pensiero e
diressi la mia mente a compiere quest’opera, conformemente all’ordine degli
dei. [...]
L’area di Ninive, la mia città regale, io ampliai. Ingrandii le sue strade e feci che
essa risplendesse come il giorno. Il muro esterno io costruii e lo feci alto come
una montagna. Sopra la città e sotto la città distesi dei parchi. La ricchezza delle montagne e di tutti i paesi, tutte le verdure del paese di Khatti, le piante della mirra, che erano più lussureggianti che nel loro proprio paese, tutti i tipi delle viti di montagna, tutti i frutti di (tutti i) paesi, verdure e piante da frutto feci
crescere per i miei sudditi. Il fiume Kushur, le cui acque da tempi antichi avevano un basso corso e nessuno tra i re miei padri aveva incanalato siccome esse si
versavano nel Tigri, per aumentare la fertilità dei campi coltivati dal lato della
città di Kisiri, attraverso un territorio scosceso scavai con le asce e aprii un canale; quelle acque condussi attraverso la piana (intorno a) Ninive e feci che
scorressero per gli orti in canali di irrigazione… Per aprire a queste acque un
corso (attraverso) le montagne scoscese schiusi un varco attraverso luoghi disagevoli con le asce e incanalai il loro corso verso la piana di Ninive. Consolidai i
loro canali rialzando le loro sponde alte come montagne e condussi le loro acque dentro di loro. […]
Un palazzo d’oro, d’argento, di rame, di corniola, di breccia, di alabastro, di ebano, di bosso, di legno muskannu, di cedro, di cipresso, di abete, di legno elam-
Ricostruzione moderna, nel sito originale, delle mura di Ninive, la capitale del regno Assiro. Ogni città mesopotamica era
difesa da una cinta di mura; ciò contribuì a sviluppare, specialmente ad opera degli Assiri, le macchine d’assedio, come
gli arieti o le torri mobili. La ricostruzione è stata condotta seguendo le rappresentazioni dei bassorilievi assiri che mostrano scene di assedio di città.
Un rilievo assiro, proveniente dal palazzo sud-ovest
del sito di Quyunjiq, che mostra l’accampamento militare del re Sennacherib (VII secolo a.C.), con le mura esterne, probabilmente di legno, e le tende per i
soldati. Un fattore che contribuiva alla potenza dell’esercito assiro era la capacità di impiegare i soldati
come operai per costruire accampamenti o macchine da guerra, in tal modo venivano sfruttate in campo militare le competenze dell’ingegneria civile.
maku, di legno sindu, come mia residenza regale costruii e un portico sul modello di un palazzo siriano feci davanti alle porte. Con travi di cedro e di cipresso, il cui profumo è gradevole, di provenienza del Monte Amano e del
Monte Sirara, le montagne biancheggianti, li ricoprii. I battenti di cedro, di cipresso, di pino e di legno sindu li rivestii con una lamina di argento e di rame
e li posi negli inquadramenti delle loro porte. Nello spazio all’interno della costruzione disposi le sale ed aprii i corridoi. Statue colossali di marmo e di avorio, che cingevano tiare a corna, le zampe anteriori inginocchiate, ammantate
di potenza e di vigore, piene di splendore, posi alle loro porte e le feci oggetto
di ammirazione. Il colore scuro dei legni dei soffitti nelle sale resi lucente e lo
feci risplendere come il giorno. Borchie di rivestimento di argento e di rame
posi tutt’attorno al loro interno. Con mattoni smaltati, con pietra ka e con lapislazzuli adornai i muri, i coronamenti e tutti i loro fastigi. Perché io potessi
completare la costruzione del mio palazzo e portare a termine l’opera delle
mie mani Assur e Ishtar [i principali dei dell’Assiria], che amano il mio sacerdozio e mi hanno chiamato per nome, mi mostrarono come estrarre i possenti
travi di cedro che erano cresciuti nei secoli ed erano divenuti straordinariamente alti, nascosti nelle montagne del Sirara. L’alabastro che al tempo dei re
miei padri era talmente prezioso da (essere usato) per le impugnature di una
spada, essi mi rivelarono nelle tenebre del monte Ammanama. […] Nei tempi
passati, quando i re miei padri realizzavano immagini di bronzo di piena verosimiglianza per erigerle nei templi, il lavoro su di esse rendeva esausto ogni
artigiano; nella loro ignoranza e carenza di conoscenze versavano olio e stendevano pelli di pecora per trascinare l’opera che essi volevano realizzare nel
mezzo delle loro montagne. Ma io, Sennacherib, primo fra tutti i principi,
esperto in ogni arte, grandi colonne di bronzo, colossi leonini in posizione incedente, che nessun re prima di me aveva prodotto, feci fabbricare, in virtù della conoscenza della rappresentazione artistica che Ninshiku [divinità degli artigiani] mi aveva concesso e della mia propria ponderazione: per portare a termine quest’opera a lungo molto riflettei. Seguendo la risoluzione del mio giudizio e l’inclinazione del mio cuore, feci eseguire il lavoro in bronzo; la sua artistica immagine la realizzai artisticamente.
P. Matthiae, Il re come artefice, Laterza, Roma-Bari 1994
Il giardino, dove venivano coltivate piante ed alberi rari, era una componente importante delle reggie mesopotamiche, si ricordino ad esempio i famosi giardini pensili di Babilonia. Questo bassorilievo del palazzo nord
di Ninive, mostra un re assiro nel giardino del suo palazzo. Per ottenere la lussureggiante vegetazione rappresentata nel rilievo venivano impiegati elaborati sistemi di canalizzazione.
Il documento appartiene agli annali del re assiro Sennacherib, il cui
regno (704-681 a.C.) appartiene al
periodo di splendore dell’Assiria,
quando, grazie alle guerre di espansione condotte ai danni degli Stati
vicini, vi era grande disponibilità di
risorse, frutto del bottino, tra cui
la manodopera, semplice o specializzata, da adibire ai lavori pubblici. Nel documento si riassumono i
lavori fatti a Ninive, la capitale del
regno, con il restauro e l’abbellimento della città; si ricordano poi i
lavori fatti per la costruzione del
palazzo reale. Il re parla in prima
persona, egli è l’ideatore dei lavori, colui che li dirige, che risolve i
problemi tecnici ed artistici. La
realtà doveva essere ben diversa: i
problemi relativi al trasporto e alla
messa in opera dei materiali che
decoravano il palazzo dovevano
essere risolti dai funzionari e dai
tecnici del palazzo, persone che rimangono anonime. Ad esempio il
passo in cui il re dice che gli dei Assur e Ishtar gli hanno mostrato come procurarsi il legname di cedro e
l’alabastro dalle montagne deve
essere letto pensando ai tecnici e
agli operai che riuscirono con le loro capacità tecniche a sfruttare le
risorse di territori difficili, lontani
dal luogo dove poi erano utilizzate.
Si può notare che il re, celebrando
la propria opera, mette in ombra
quella dei suoi predecessori, i quali non sono stati in grado di fare lavori così grandi e maestosi. Il documento si sofferma molto sullo
sforzo organizzativo fatto per intraprendere i lavori e sull’enumerazione di tutti i materiali impiegati,
soprattutto di quelli preziosi. Abbiano invece poche informazioni
sulle dimensioni e la forma finale
degli edifici monumentali costruiti,
ciò perché al sovrano interessava
fondamentalmente celebrare la
propria capacità, cioè quella dei
suoi tecnici, nel dominare le complesse tecniche costruttive e nel risolvere i problemi organizzativi
dell’opera.
Le fonti
Le coordinate
●I grandi monumenti hanno suscitato sempre la curiosità e l’attenzione dei viaggiatori e degli storici;
la percezione di una civiltà, delle
sue caratteristiche più visibili, si è
sempre basata su ciò che di monumentale essa ha saputo produrre.
I monumenti egiziani sbalordivano
già nell’antichità i viaggiatori di altri Paesi, soprattutto i greci. Possiamo quindi dire che i monumenti, in primo luogo le piramidi e poi
i grandi complessi templari, sono
stati la fonte più importante che
ha stimolato la curiosità e poi lo
studio della civiltà egiziana.
●Lo studio dei monumenti consente l’acquisizione di molte informazioni di carattere politico, sociale,
economico, artistico e tecnologico.
In primo luogo il monumento ci dice qualcosa su chi l’ha fatto costruire, il re o il faraone, che contava proprio sul monumento per trasmettere
al popolo e agli stranieri l’impressione della propria potenza.
●Le grandi dimensioni di un monumento ci dicono che esso era l’espressione di una società piramidale, nella quale le risorse venivano
accumulate al vertice e non distribuite tra tutto il popolo. Anche l’economia di un determinato popolo
era influenzata dallo sforzo di costruire e mantenere i grandi complessi monumentali: solamente
un’economia rigidamente centralizzata e controllata da una burocrazia statale poteva consentire queste
grandi costruzioni in civiltà tecnologicamente arretrate, sfruttando
grandi quantità di manodopera.
●Naturalmente attraverso i monumenti possiamo ricostruire anche
la storia dell’arte e dell’architettura di una civiltà. Infine la tecnologia: possiamo studiare le tecniche
costruttive, il modo di impiego dei
materiali, ipotizzare le soluzioni
che gli antichi davano ai problemi
connessi all’edilizia, capire qual
era il loro grado di progresso matematico e scientifico.
●I monumenti sono quindi una fonte complessa, la cui lettura è impegnativa e spesso necessita della collaborazione di archeologi e storici
specializzati nelle diverse branche
della politica, dell’economia, della
società, dell’arte, della tecnologia.
I grandi costruttori
fonte2/il complesso monumentale
IL TEMPIO DI KARNAK
2
1
Leggere la fonte
Il complesso templare del dio Ammone a Karnak venne costruito e ampliato
in tempi successivi da diversi faraoni,
da Tutmosi I a Ramsete III, nella seconda metà del II millennio a.C. Ogni faraone aggiunse degli obelischi, delle
porte monumentali, delle file di sfingi
o delle nuove sale colonnate. La visione
moderna delle imponenti rovine del
santuario è abbastanza impressionante: colpiscono soprattutto le dimensioni gigantesche delle colonne, delle statue, le mura ciclopiche costruite con
grandi blocchi di pietra squadrati (figg. 1 e 2). Mancano molte parti: alcune crollarono per effetto di terremoti e per l’inconsistenza delle fondamenta, altre vennero depredate delle pietre che le costituivano; un obelisco del tempio finì a Roma,
oggi si trova di fronte al palazzo Laterano. La maestosità del tempio vuole raggiungere un effetto ben preciso: evocare la
grandezza e la maestà degli dèi e dei faraoni.
Tra le informazioni che possiamo ricavare da questa fonte notiamo innanzi tutto la capacità di progettare in grande secondo uno schema geometrico prestabilito. La progettazione e l’esecuzione dei lavori presupponevano adeguate capacità in termini di ingegneria e organizzazione del lavoro. Dal punto di vista tecnologico possiamo notare, sull’interno della parete a sinistra della fig. 1, che le pietre venivano squadrate e lisciate solo all’esterno, mentre la parte interna, che rimaneva quindi nascosta, era lasciata allo stato grezzo, con conseguenti problemi sulla stabilità del muro a lungo termine.
La mancanza di argani e pulegge costringeva a usare rampe in terra battuta per alzare le mura ciclopiche e le colonne; dobbiamo quindi pensare che al momento della costruzione l’intero edificio fosse coperto di rampe di terra, che ne nascondevano completamente la vista. Una volta raggiunta la sommità le rampe venivano scavate via, quindi si iniziava a scalpellare
le pareti per renderle lisce e per scolpirvi sopra le figure degli dei.
Le fonti
Le coordinate
●Negli ultimi decenni l’archeologia
si è occupata sempre più di tutti
quei reperti e di quei resti che, pur
non essendo di valore artistico o
monumentale, ci possono dare molte informazioni sulla vita quotidiana degli antichi.
●L’archeologo, e quindi lo storico,
sono interessati a ricostruire il mondo antico nella sua interezza, perciò sono alla ricerca anche delle
tracce della vita dei ceti più umili,
di coloro che solitamente non sono ricordati, se non di sfuggita,
nelle fonti scritte. È dunque importante ricostruire gli elementi della
vita domestica, le case, gli oggetti
di arredo.
●Le ricerche archeologiche che si
occupano delle condizioni di vita
dei lavoratori, degli artigiani, sono
ancora rare, poco sviluppate, ma
in futuro avranno sicuramente un
ruolo più significativo.
●L’archeologia egiziana ha portato
alla luce in questi ultimi anni degli
importanti resti: si tratta dei villaggi degli operai addetti ai lavori nelle cave ai margini del deserto oppure alla costruzione dei grandi complessi funerari dei faraoni. Questi
villaggi erano costruiti seguendo
una pianta regolare, con case diversificate a seconda del rango e
della posizione dei lavoratori; la vita di questi villaggi dipendeva dalla
durata dei lavori, a volte diversi decenni, a volte meno.
●Gli archeologi hanno tratto da
questi villaggi importanti informazioni sulla vita dei lavoratori, persino su ciò che mangiavano; inoltre
gli scavi hanno restituito anche numerosi documenti scritti che contengono le liste dei lavoratori, le registrazioni dei pagamenti, le lettere
che essi mandavano o ricevevano.
●Dunque, gli scavi archeologici ci
consentono di cogliere il punto di
vista “dal basso” della storia delle
grandi costruzioni monumentali
egiziane. Per lo storico queste informazioni sono altrettanto importanti delle cronache dei faraoni
scolpite sulle facciate dei grandi
templi; anzi, i resti archeologici ci
avvicinano di più alla realtà quotidiana del passato.
I grandi costruttori
fonte3/lo scavo archeologico
I VILLAGGI OPERAI
1
2
Leggere la fonte
Affresco egizio con scalpellini al lavoro sulla statua di un faraone. Lo Stato egizio trattava abbastanza bene i propri lavoratori; questi scalpellini
avevano un lavoro sicuro, alle dipendenze dello
Stato, erano quindi, in un certo senso, dei privilegiati rispetto ad altri lavoratori che conducevano un’esistenza assai precaria.
Le piante che analizziamo come fonte mostrano il tracciato delle fondamenta degli edifici dei villaggi operai di Tell el-Amarna (fig. 1), la località nella quale il faraone Akhenaton (1353-1336 a.C.) volle costruire la sua nuova capitale, Akhetaton, dedicata al dio sole Aton, e di Deir el Medina (fig. 2) che sorgeva, con la sua necropoli, sulle rive del Nilo, di fronte a Luxor.
Akhenaton e i suoi monumenti vennero costruiti nell’arco di alcuni anni: fu necessario quindi creare dei veri e propri villaggi per gli operai addetti ai lavori. Il villaggio di cui ci occupiamo (fig. 1), di pianta quadrata, delimitato da un muro perimetrale, conteneva settantatre case, tutte di pianta eguale, disposte su file parallele. Ogni unità abitativa era suddivisa in quattro o cinque ambienti. Le case, che ospitavano gli operai e le loro famiglie, erano abbastanza confortevoli; se ne deduce che
questi lavoratori fossero trattati abbastanza bene, non si trattava quindi di manodopera sfruttata senza pietà e alloggiata in
tuguri. Il muro di cinta poteva avere una duplice funzione, non ben definibile: difendere gli operai da eventuali scorrerie di
predoni oppure impedire la loro eventuale fuga. Sembra infatti che alle buone condizioni di salario e di trattamento corrispondesse, per gli operai, l’obbligo di risiedere nel villaggio e di prestare la loro opera agli ordini del faraone, una specie di
“prigionia dorata”.
Le piante regolari dei villaggi e l’allineamento delle case (figg. 1 e 2) ricordano i quartieri operai delle città industriali dell’Ottocento o del Novecento, in particolare rispetto all’idea di sfruttare lo spazio in maniera regolare e razionale. Le dimensioni standard delle case indicano che tra gli operai non dovevano esserci significative differenze di trattamento, quindi un
certo egualitarismo, sia nella funzione che nella retribuzione. Un’ultima considerazione concerne la mentalità che si poteva
creare in una comunità di persone racchiuse in uno spazio delimitato, esercitanti tutte la stessa funzione e sottoposte tutte
allo stesso trattamento: si doveva creare indubbiamente uno spirito di corpo, il sentimento di appartenere ad una comunità
coesa. Non si può certamente sostenere che nei villaggi operai egiziani siano nati organismi come le corporazioni o i sindacati, ma da altre fonti sappiamo che gruppi di operai potevano esprimere forme di protesta comune nel caso di mancati pagamenti o di trattamento inadeguato.
Le fonti
Le coordinate
●La scrittura nacque con la civiltà
mesopotamica; per oltre duemila
anni continuarono ad essere usati i
caratteri cuneiformi, una scrittura
complessa, più difficile da imparare rispetto alla scrittura alfabetica.
●Ciò che differenzia la civiltà mesopotamica da altre civiltà, soprattutto quella greca, è il tipo di impiego
della scrittura: i greci usarono l’alfabeto per comporre opere di letteratura e filosofia, mentre i mesopotamici usarono la scrittura quasi
esclusivamente per fini pratici, cioè
per la registrazione di documenti di
carattere amministrativo, finanziario e giuridico. Questa documentazione, inoltre, riflette quasi esclusivamente la vita e l’organizzazione
dello stato o dei santuari, ben poco
ci è rimasto della vita privata.
●Possediamo moltissimi documenti scritti mesopotamici grazie al tipo di superficie sulla quale erano
scritti, le tavolette d’argilla su cui lo
scriba incideva i segni cuneiformi
con uno stilo a punta triangolare,
che venivano poi cotte per impedirne lo sgretolamento. Le tavolette
cuneiformi sono perciò in grado resistere migliaia di anni.
●La grande massa delle tavolette
d’argilla proviene dagli archivi dei
palazzi e dei santuari, le grandi organizzazioni politiche, religiose ed
economiche che controllavano la
vita delle civiltà mesopotamiche.
Le tavolette erano conservate ordinatamente per molti anni dopo la
loro redazione; quando non servivano più venivano accatastate in
magazzino, oppure gettate via, ma
grazie alla loro resistenza non si
sono disfatte a contatto con l’umidità del terreno. Sono così state
ritrovate in veri e propri mucchi
durante gli scavi degli archeologi.
●Le informazioni restituite dalle
tavolette sono molto importanti
per ricostruire la vita economica
ed amministrativa degli stati mesopotamici: registrazioni della produzione agricola o artigianale dei
dipendenti del palazzo, resoconto
dei lavori pubblici, liste di materiali conservati nei magazzini, lettere
spedite ai funzionari o agli altri
stati, codici legislativi.
I grandi costruttori
fonte4/documenti amministrativi
UN EPISTOLARIO MESOPOTAMICO
1
Lettera di un soprintendente al re Sargon II (721-705 a.C.)
«Quanto ai costruttori, a proposito dei quali il re mio Signore mi ha scritto:
“Metti a disposizione maestri e aiutanti: devono lavorare nel loro settore di lavoro!”, i miei costruttori sono solo sedici: tre stanno a disposizione del Prefetto
del Palazzo; altri tre sono occupati nel centro della città; i restanti dieci costruiscono il muro nel mio settore di lavoro. Sono solo questi i sedici costruttori che
lavorano effettivamente: infatti i loro figli, gli aiutanti, sono in realtà ancora degli apprendisti, non eseguono un lavoro vero e proprio».
e giuridici
4
Problemi di manodopera in una lettera del palazzo di Mari (Siria)
«Al tempo in cui Asqudum ispezionò il palazzo, aveva stabilito 12 persone per un aratro, e quelli non ce la facevano… Ora i reclutatori sono venuti e hanno stabilito 10 persone per aratro. Se precedentemente non ce la facevano
12 persone per un aratro, ora come possono farcela 10 persone? Il mio signore stabilisca equamente quanti devono
essere gli uomini… Quanto alle razioni per i Khanei e per gli ausiliari, i reclutatori sono venuti e hanno stabilito 100
qa per ciascuno come razione d’orzo. Non accettano. Precedentemente gli volevano dare 120 qa ciascuno e non accettavano, ora come potrebbero accettare 100 qa ciascuno? Quanto ai 120 qa per ciascuno che precedentemente
mangiavano, si presentarono a Tebigirsh e dissero: “Se tu ci dai 140 qa come razione d’orzo, resteremo, altrimenti ce
ne andremo”…».
Tutti i documenti in L’alba della civiltà, a cura di M. Fales, M. Liverani, C. Zaccagnini, UTET, Torino 1976 vol. 2
2
Lettera spedita da un re assiro al figlio (XVIII secolo a.C.)
«Per quanto riguarda la fabbricazione di 10.000 chiodi (del peso) di 6 sicli
ciascuno, ho scritto a Laum e a Mashiya ed essi mi hanno risposto come segue: “Il bronzo non è disponibile; non ce la faremo a fare 10.000 chiodi”. Allora si fabbrichino solo 5.000 chiodi. Per 5.000 chiodi occorrono 8 talenti e 20
mine di bronzo ( 30.000 sicli). All’acquisto, 2 mine di bronzo costano 1 siclo
d’argento (rapporto 1:120): per 8 talenti e 20 mine occorrono dunque 4 mine
e 10 sicli d’argento ( 250 sicli [120 30.000])».
3
Leggere la fonte
Lettera spedita da un mercante di Ugarit al suo re (XIV secolo a.C.)
«Che cos’è questa faccenda per cui tu [il re di Ugarit] continui a scrivere al re
di Khatti [degli Ittiti] dicendo: “Ecco, ti ho mandato dei lapislazzuli”? Il cuore
del re si è molto adirato e se l’è presa con me dicendo: “Costui si fa forse burla di me? Ha raccolto da terra una pietra qualunque e me l’ha inviata dicendo:
Ecco, ti ho inviato dei lapislazzuli”. È veramente del lapislazzuli quello che tu
mi hai mandato? Non succeda più che tu faccia invii del genere; non raccogliere una pietra qualunque, non inviarla e non adirare il cuore del re [degli Ittiti] contro di te. Ora, trova del lapislazzuli, dove che sia, e invialo al re, in modo che il suo cuore non si adiri contro il mio Signore [il re di Ugarit]».
Ricostruzioni: realtà o fantasia?
Le migliaia di tavolette di argilla con iscrizioni cuneiformi trovate nei resti degli archivi dei palazzi mesopotamici ci consentono di conoscere fin nei più minuti particolari la vita amministrativa degli Stati sumeri, babilonesi e assiri. Questa tavoletta, proveniente da Nippur e databile intorno al 2500 a.C., riporta il
testo del contratto d’acquisto di una casa.
Tavoletta d’argilla proveniente da Ebla (ca. 2400 a.C.),
l’antica città siriana scavata dagli archeologi italiani. Il
testo ricorda l’invio al re della vicina città di Mari, probabilmente come tributo, di 2 mine d’oro e 34 mine e
36 sicli d’argento.
Nell’immagine vediamo il plastico con la ricostruzione, o meglio con la “ipotesi ricostruttiva” del santuario di Esagil a Babilonia. Il grande santuario, dedicato al dio Marduk, la più importante divinità babilonese, era posto al centro della città; esso comprendeva una vasta area, circondata da mura fortificate, alle quali si addossavano diversi gruppi di grandi edifici, che includevano le strutture di servizio del tempio, i magazzini e le abitazioni dei sacerdoti
e degli artigiani. Al centro dominava la grande ziggurat, la torre templare a
gradoni. Il disegno ricostruttivo si basa sui risultati degli scavi archeologici e
sulle descrizioni di scrittori antichi che avevano visto il santuario o ne avevano sentito parlare. Si tratta quindi di una ricostruzione che contiene per forza elementi di fantasia, ad esempio non conosciamo con precisione l’altezza
della ziggurat e l’aspetto dei suoi piani superiori in quanto si è conservato solamente il basamento; sono ipotetiche anche le alzate degli edifici, dei quali
sono rimaste solo le fondamenta. Il rischio delle ipotesi ricostruttive è che
possono falsare la realtà antica, darne un’immagine più bella o maestosa di
quanto fosse, ciò per attrarre la curiosità di coloro che si interessano per passione o curiosità di archeologia, e anche in parte dei turisti. Quindi le ricostruzioni non sono sempre delle fonti affidabili: bisogna sempre chiedersi
quante e quali possano essere le aggiunte moderne.
I documenti riportati appartengono a un genere particolare, sono infatti lettere nelle quali vengono scambiate
informazioni a proposito di lavori o di materiali da costruzione. Nella lettera del re Sargon II (testo 1) si chiedono informazioni a proposito di un gruppo di operai
edili; il sovrintendente risponde che egli non dispone del
lavoro di tutti, poiché alcuni sono impegnati in altri lavori. La lettera contiene l’interessante informazione che i
muratori avevano a disposizione come apprendisti i loro
figli, sappiamo infatti che nella civiltà mesopotamica il
lavoro veniva ereditato da padre in figlio.
Nella lettera di un re assiro al figlio (testo 2), concernente una certa quantità di chiodi, vengono fatti alcuni calcoli piuttosto complessi sul costo dei chiodi stessi e sulla
quantità di bronzo necessaria per fabbricarli; è chiaro
che i funzionari addetti alla produzione e allo smistamento dei materiali dovevano avere la capacità di compiere calcoli matematici. Il fatto che non tutti i chiodi richiesti siano disponibili ci fa toccare con mano le difficoltà pratiche che intralciavano i lavori delle opere pubbliche. La lettera è scritta dal re, ma non sembra credibile che un re si interessasse di chiodi, pertanto dobbiamo
pensare che in realtà del caso si interessasse un funzionario, magari il capo dei magazzini.
La lettera 3 presenta un caso di “truffa”. Un mercante siriano, inviato dal re di Ugarit al re degli Ittiti, per consegnare dei lapislazzuli, una pietra preziosa usata anche
nella decorazione dei palazzi, scrive al proprio sovrano,
in un tono decisamente informale e “diretto”, lamentandosi del fatto che gli sono state date delle pietre false. Il
re degli Ittiti, molto più potente del re di Ugarit, non ha
preso bene la cosa, e ha minacciato il mercante, costui
chiede allora che gli vengano mandati dei lapislazzuli veri. L’ultima lettera, testo 4, ci presenta un interessante caso di conflittualità “sindacale”. Dalla lettera traspare la
difficoltà per le autorità centrali a reperire manodopera,
il salario offerto e le condizioni di lavoro sono infatti giudicate poco soddisfacenti dai lavoratori: nessuno si presenta al lavoro e viene richiesta, invece, una maggiorazione del salario.
Le conclusioni
CONCLUSIONI E
NUOVE PROSPETTIVE
L’
imponenza dei monumenti antichi fu un segno
caratteristico delle civiltà della mezzaluna fertile, tanto
che ancora oggi il visitatore moderno rimane immediatamente colpito dalle misure ciclopiche delle piramidi o
dei templi egiziani. La Mesopotamia ci ha conservato invece ben poco a causa dell’uso del mattone, che non resiste all’usura del tempo. Nelle pagine precedenti abbiamo visto quali fossero le motivazioni che stavano dietro
alla costruzione dei grandi monumenti, in primo luogo il
desiderio del sovrano di render visibile a tutti la propria
potenza e rendersi gradito agli dei. Tuttavia, i documenti che riportano le fasi della costruzione delle opere
pubbliche, come nel caso della cronaca di Sennacherib,
devono essere letti con occhio critico, per cercare di ricostruire la complessa struttura organizzativa e tecnica
che stava dietro a queste grandi realizzazioni, fatta di
anonimi tecnici, progettisti, artigiani, operai.
Gli archeologi si sono impegnati, da molto tempo,
nello studio e nel restauro delle grandi opere. I resti dei
monumenti sono stati una buona fonte di informazione
sulla storia della tecnologia antica: quelli egiziani, come
il tempio di Karnak, mostrano che gli architetti erano in
grado di risolvere, con strumenti semplici, i problemi
connessi allo spostamento e alla messa in opera di pietre
del peso di numerose tonnellate.
L’esecuzione dei grandi lavori fu possibile senza i
supporti di una tecnologia avanzata, quindi fu necessario sviluppare al massimo delle possibilità l’organizzazione del lavoro, cioè lo sfruttamento della manodopera, sia di quella semplice che di quella specializzata.
Tranne pochi casi non vennero usati lavoratori coatti,
schiavi o prigionieri di guerra; si utilizzavano invece artigiani che lavoravano stabilmente per il palazzo e operai semplici regolarmente stipendiati.
Le indagini sui lavoratori egiziani, ad esempio gli
scavi dei villaggi operai, ci hanno permesso di sfatare un
mito, quello dei miserabili manovali che lavoravano a
colpi di frusta per erigere le piramidi. La realtà era diversa: la manodopera non era sfruttata oltre i limiti sopportabili, gli operai vivevano con le loro famiglie in alloggi dignitosi e ricevevano un salario che permetteva
loro di vivere decentemente.
La progettazione e la coordinazione dei lavori erano affidate ad una classe di tecnici specializzati. In particolare gli scribi, in grado di tenere una contabilità, redigere registri ed eseguire calcoli anche complessi. Senza
la presenza di questa burocrazia centralizzata, direttamente agli ordini del sovrano, avvantaggiata da migliori
condizioni di vita e di lavoro rispetto al resto della popolazione, l’esecuzione delle grandi opere sarebbe stata
impossibile.
Bibliograf ia e non solo
● da leggere
N. Guild, L’assiro, Rizzoli, Milano 1997
C. Jacq, I grandi monumenti dell’antico Egitto, Mondadori, Milano 1997
C. Jacq, Vita quotidiana dell’antico Egitto, Mondadori, Milano
1999
L’uomo egiziano, a cura di S. Donadoni, Laterza, Roma-Bari
1990
J. Bottéro, Dai Sumeri ai Babilonesi. I popoli della Mesopotamia,
Electa-Gallimard, Torino-Parigi 1996
F.M. Fales, L’impero assiro, Laterza, Roma-Bari 2001
da vedere
Sinuhe l’egiziano, di M. Curtiz, 1954;
●
La grande porta di Persepoli, la capitale dell’impero persiano, fatta costruire dall’imperatore Serse I nel V secolo. La grandezza della porta e
l’imponenza dei due grandi tori androcefali agli stipiti dovevano impressionare colui che l’attraversava, testimoniando così la potenza sovrumana
dell’imperatore.
da visitare
Il Museo Egizio di Torino conserva una delle più importanti
collezioni mondiali di reperti della civiltà egizia, è quindi il luogo migliore per farsi un’idea della vita e dell’arte del tempo dei
faraoni.
●