Catherine Virlouvet (Université de Provence / Centre Camille Jullian

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Catherine Virlouvet (Université de Provence / Centre Camille Jullian
INTRODUZIONE
Catherine Virlouvet (Université de Provence / Centre Camille Jullian)
È un onore per me inaugurare queste giornate e poter presentare in questa prestigiosa sede ricerche
che impegnano molti di noi da qualche anno, ricerche che richiedono la collaborazione di tutti gli
studiosi che s’interessano di storia e archeologia nel campo dell’economia antica. Prima di tutto vorrei
esprimere la nostra gratitudine alle istituzioni che sostengono questa manifestazione, la
Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma e l’Ecole Française de Rome. E ringraziare
tutti quelli che si sono impegnati nell’organizzazione dell’incontro, le colleghe di Palazzo Altemps che
hanno assicurato la segreteria dell’incontro, Renato Sebastiani e Mirella Serlorenzi, della
Soprintendenza di Roma, responsabili del cantiere del Nuovo Mercato Testaccio, e, last but not least,
Evelyne Bukowiecki dall’Institut de Recherche pour l’Architecture Antique di Aix-en-Provence,
responsabile della parte Ostiense del programma di ricerca francese chiamato “Entrepôts”.
Queste giornate sono nate in un primo tempo dal convergere di due programmi di ricerche ai quali ho
appena accennato:
• quello avviato nella zona del Testaccio in seguito alla scoperta, cinque anni fa circa, in
occasione dei lavori di costruzione del nuovo mercato, di un’ampia zona di magazzini antichi;
• quello nato nello stesso tempo, nel ambito prima del programma europeo RAMSÈS 2, poi di
una ricerca sostenuta in Francia dall’Agence Nationale de la Recherche, da un gruppo di
studiosi internazionali, prevalentemente francesi e italiani che s’interessano ai sistemi di
stoccaggio nel mondo mediterraneo. In questo quadro sono stati condotti, prima con la
Soprintendenza archeologica di Ostia, adesso con quella di Roma, tra il 2006 e il 2008, studi
sui Grandi Horrea di Ostia, e dal 2009 in poi ricerche sui magazzini di Traiano a Portus.
Queste ultime indagini si sono incrociate con una ricerca condotta dalla British School
nell’ambito del programma Roman Port Networks sotto la responsabilità di Simon Keay de
l’University of Southampton e con uno studio coordinato dall’Ecole Française sul delta del
Tevere. Abbiamo potuto misurare in quest’occasione quanto questi lavori interdisciplinari,
che coinvolgono archeologici, ma anche geofisici e fisici, arricchiscano la nostra conoscenza
della zona.
L’idea di riunirci oggi si è precisata un po’ più di un anno fa, quando fu organizzato alla MMSH di
Aix-en-Provence, il primo convegno tenuto nell’ambito del programma ENTREPÔTS. In
quest’occasione, fu presentato il database sui magazzini di stoccaggio creato sul sito internet del
programma e gli studiosi furono invitati a unirsi al gruppo che nutrisce questa banca dati con schede
sulle fonti scritte e archeologiche. Poco a poco questo lavoro procede e speriamo al termine del
programma di poter offrire agli studiosi uno strumento di lavoro utile quanto il libro di Rickman lo è
per noi tutti da quarant’anni, più completo ancora dei Roman Granaries perché frutto di un lavoro
collettivo. Questa banca dati vi sarà presentata di nuovo in conclusione del presente incontro.
Le giornate di studio che si aprono ora saranno dedicate a risultati preliminari d’indagini
archeologiche, e, trattandosi di ricerche in corso, non è probabilmente ancora tempo per trarre
conclusioni di ordine storico. In questa introduzione, vorrei però brevemente ricordare il dibattito di
storia economica e sociale in cui s’inseriscono gli scavi di cui parleremo nel corso delle prossime tre
giornate. Questo dibattito, che le ricerche ricordate sopra hanno contribuito a rilanciare, è per lo più
conosciuto e preso in considerazione da quelli che studiano le strutture di stoccaggio. Mi sembra
dunque importante ricordare quali sono le domande che abbiamo in mente mentre lavoriamo sul
terreno.
Lo stoccaggio gioca un ruolo essenziale nell’approvvigionamento delle città antiche, soprattutto di
Roma. L’argomento però non è stato oggetto di studi specifici dall’epoca del libro di Rickman,
quarant’anni fa. Ancora nel libro recente di P. Bang, The Roman Bazaar1, incentrato, in prospettiva
comparatista, sullo studio del commercio e dei mercati negli imperi tributari, non se ne parla.
Comunque, mi sembra che non riusciremo mai a capire pienamente il funzionamento dei mercati e del
commercio senza integrare la questione dello stoccaggio, che interagisce sull’insieme dell’economia
degli scambi.
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P. Bang, The Roman Bazaar. A Comparative Study of Trade and Markets in a Tributary Empire, Cambridge, 2008.
RICERCHE IN CORSO SUI MAGAZZINI ROMANI. ROMA – OSTIA – PORTUS
Roma, 13-15 aprile 2011
Il caso Roma-Ostia-Portus
Una breve riflessione per cominciare sul caso particolare dei magazzini di Roma-Ostia-Portus che ci
occuperanno durante questi tre giorni: si pone il problema di tenere conto della loro eccezionalità,
però senza esagerarla. Ci si riferisce sempre a questi magazzini quando si lavora sugli edifici di
stoccaggio in qualsiasi parte del mondo romano. Ma dobbiamo sempre ricordare che sono situati
vicini al più importante mercato di consumo dell’epoca e a una città capitale del potere politico che
domina il Mediterraneo. Avevano dunque funzioni e aspetti particolari. Nello stesso tempo, è normale
paragonare queste strutture con quelle del resto del mondo antico e che però non sono sempre
eccezionali. Per esempio, si è pensato per molto tempo – ed era ancora la posizione di G. Rickman che la pianta con cellae strette disposte intorno ad un corridoio centrale s’incontrava solo nella zona di
Roma-Ostia e doveva rispondere dunque ai bisogni particolari di distribuzione di derrate per l’Urbs.
Ormai si deve tener conto almeno dell’horreum di Hergla in Tunisia, scoperto nel 1969, oggetto ora di
nuove ricerche dirette da Françoise Villedieu nell’ambito del programma Entrepôts. Quest’edificio
presenta la stessa pianta degli horrea di Ostia e Roma, su una superficie di 4200 m quadri2. Ecco un
complesso situato in un semplice vicus che assomiglia molto, per la forma e per l’imponente
superficie, agli horrea di Ostia. Si pone dunque il problema dei motivi dello stoccaggio in questo posto
-per l’esportazione o per l’importazione-, della zona geografica legata all’edificio, dei prodotti
conservati, del proprietario del complesso assai monumentale realizzato in un unico programma nella
prima metà del I secolo dopo Cristo. Problemi che incontriamo per ciascuno dei magazzini studiati e
anche per quelli di cui parleremo in questi giorni.
Una rete di stoccaggio
Porre il problema dei motivi dello stoccaggio in un posto preciso è un’altra maniera di chiedere come
s’inserisce precisamente ciascuno degli edifici di stoccaggio in una rete con varie tappe, la raccolta, il
trasporto, e la distribuzione delle merci. Anche se gli horrea di Roma-Ostia-Portus sembrano
appartenere soprattutto alle ultime tappe della distribuzione, non è così semplice. Dipende non
soltanto della situazione nell’insieme dell’impero romano –a questo livello, i nostri magazzini sono
l’ultima tappa della rete-, ma della localizzazione precisa nel tessuto urbano: sul porto marittimo, sul
fiume, lungo la strada, in città, nel suburbio, ecc. Le capacità di certi magazzini di Portus e Ostia
consentono di pensare per loro a un ruolo di redistribuzione oltre Roma. Dobbiamo essere molto
attenti, quando è possibile, al modo in cui gli horrea s’inseriscono nella zona in cui si trovano. Quali
sono gli edifici adiacenti? Non è certamente a caso che i Grandi Horrea di Ostia sono vicini al più
importante panificio conosciuto in questa città. La presenza di tabernae costruite lungo il lato ovest
dell’edificio deve anche essere presa in considerazione. In quale misura questi luoghi di vendita sono
o no legati al complesso monumentale su cui si appoggiano? Questa riflessione ci conduce alla
domanda successiva.
A che cosa servono gli horrea ?
Allo stoccaggio, direbbe Monsieur de La Palisse, ma non sempre a quest’uso solo. Un complesso come
gli horrea Agrippiana comporta al pianterreno strutture di tipo tabernae e si deve pensare che la parola
horrea fu usata per designarlo perché presentava spazzi di stoccaggio al livello superiore. La vendita
negli horrea, o piuttosto in una parte determinata degli horrea, s’incontra, ma si trova più spesso nella
loro immediata vicinanza, perché la conservazione delle merci suppone edifici con poche aperture per
proteggerle contro i ladri. Inoltre, dobbiamo sempre ricordare che l’uso economico degli horrea va ben
oltre il semplice fatto di conservare o di vendere. Le derrate conservate hanno esse stesse un valore
certo, e sono al centro di transazioni finanziarie di cui l’archivio dei Sulpicii di Pozzuoli ci fa
intravedere solo una piccola parte attraverso i prestiti su pegno. Lo studio che abbiamo condotto tra il
2006 e il 2008, nell’ambito del programma europeo ricordato all’inizio, trattava dello stoccaggio nello
spazio mediterraneo dall’epoca antica alla fine del diciottesimo secolo. Ci ha permesso, a noi
specialisti del mondo antico, attraverso archivi più folti dei nostri, di capire meglio fenomeni che
intravediamo solo per la nostra epoca, come il guadagno che si può trarre della conservazione del
grano su un anno (vendita non al momento della raccolta ma alla fine dell’inverno successivo), e delle
speculazioni che si svolgevano intorno ai caricatori dell’epoca moderna.
I locali amministrativi
Questo ruolo economico degli edifici di stoccaggio non è del tutto facile da percepire nello studio delle
rovine che sono pervenute fino a noi. Però certe stanze o certi spazi possono essere identificati come
uffici. Si è spesso voluto identificare, talvolta in maniera un po` artificiale, accanto agli ingressi degli
horrea, il piccolo locale in cui doveva essere posto il custode. Ma dobbiamo anche interessarci agli
spazi che servivano alla gestione del complesso e alla manutenzione delle merci. Dov’erano compilati
i registri degli ingressi e delle uscite? Come si presentavano questi registri? Quando l’edificio
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Si può pensare anche, in un contesto diverso, al grande complesso che si intravede a Nauportus (decima Regione augustea).
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presentava diverse stanze, i movimenti dovevano probabilmente esser registrati stanza per stanza
come indicano i contratti negli horrea puteolani . Una scoperta interessantissima della campagna di
scavo del 2010 nei magazzini traianei di Portus è uno graffito dipinto sulla parete esterna di una cella,
a sinistra dell’ingresso. Si tratta del numero della stanza. Evelyne Bukowiecki ve ne parlerà più
precisamente. La presenza di questa numerazione conferma l’uso del sistema di gestione intravisto
tramite i contratti d’affitto di stanze negli horrea di Pozzuoli. Altre domande ancora: dove si facevano
le operazioni di manutenzione delle merci? Certe derrate ne richiedono poco, come quelle che sono
sistemate in anfore che servono tanto a misurare che a conservare il prodotto. Ma questo non vale per
il grano, tranne i casi nei quali è conservato nei sacchi che sono serviti per il trasporto. Più spesso, era
misurato e più volte rivoltato per migliorarne la conservazione. Certi spazi (tipo cortili, ambienti
riservati) dovevano essere dedicati a queste attività. Non sono sempre facili da identificare e lo studio
delle circolazioni all’interno degli edifici di stoccaggio deve’essere uno dei punti su cui poree
l’attenzione negli scavi attuali.
Si pone anche il problema di sapere se certi impiegati (come l’horrearius) vivevano sul posto. Potrebbe
per esempio essere il ruolo giocato da tre stanze del primo piano dell’ala ovest degli horrea di Hergla
che presentano pavimenti con mosaici e muri rivestiti d’intonaco dipinto, scoperti nella campagna di
ottobre 2010.
Le merci conservate.
A seconda della merce conservata, le esigenze di spazio e di manutenzione cambiano. Precisare il tipo
di merci conservate è uno scopo delle ricerche sugli horrea. Esistono elementi di risposta: un edificio
che comporta al pianterreno suoli sopraelevati, come i “grandi horrea” di Ostia, è certamente dedicato
in primo luogo alla conservazione del grano. Invece gli horrea a dolia di Ostia erano destinati piuttosto
allo stoccaggio dell’olio o del vino. Ma non dobbiamo sistematizzare troppo questo tipo di
ragionamento; in buona parte gli horrea, anche quando erano destinati più particolarmente alla
conservazione di un determinato prodotto, dovevano essere gestiti con una certa elasticità. I
magazzini costavano molto, per la costruzione, il mantenimento, la gestione, ecc. Toccava alla persona
in carica della gestione (l’horrearius) di sfruttare al meglio le possibilità dell’edificio secondo il
momento dell’anno e la congiuntura economica. A seconda delle tecniche costruttive, in uno stesso
complesso, tale parte dell’edificio poteva essere dedicata più specialmente alla conservazione di tali
derrate. Su questo punto, penso che i lavori in corso nei magazzini traianei di Portus con il
Dipartimento di Fisica Tecnica dell’Università La Sapienza porteranno interessanti chiarimenti.
Molte domande vertono intorno alle condizioni e al tempo di conservazione delle merci, soprattutto
del grano, più difficile da conservare. Si tratta di un campo in cui gli studi interdisciplinari possono
probabilmente darci delle risposte. Si deve rilevare che, nello stato attuale della documentazione, non
ci sono testimonianze assicurate di una conservazione per una durata di molto superiore a un anno
nella zona geografica che ci interessa oggi. Certo, Plinio ricorda i silos dell’Africa in cui il grano si può
conservare molto di più. Però come al solito, Plinio s’interessa ai “records”. Nell’archivio dei Sulpicii
di Pozzuoli, i contratti di affitto di cellae negli horrea sono di qualche mese. Certo si tratta di grano
nelle mani del commercio privato e sappiamo che lo stato romano manteneva riserve più importanti,
almeno di un anno sull’altro in previsione del periodo di mare clausum. Però, tranne il passo della
Storia Augusta che accenna a un canon frumentarius di sette anni alla morte di Settimio Severo
(l’espressione rimane oscura), non ci sono testimonianze attestate di grano conservato su periodi
molto lunghi.
Proprietà e gestione.
Voglio terminare queste riflessioni preliminari con la questione della proprietà e della gestione degli
edifici di stoccaggio. Certo, nell’ambito dell’incontro che si apre, i magazzini romani di cui parleremo
sono per lo più di proprietà imperiale. Mi sembra però che le ricerche degli ultimi anni hanno
cambiato la percezione del dibattito pubblico/privato nel campo dello studio dell’economia dello
stoccaggio. Sappiamo che dall’epoca della legge frumentaria di Gaio Gracco, furono probabilmente
costruiti horrea pubblica3, anche se ne abbiamo poche altre testimonianze per il periodo repubblicano.
In seguito, i grandi magazzini di proprietà privata caddero poco a poco nel patrimonio imperiale.
Basta cercare la voce horrea nel Lexicon topographicum Urbis Romae: si può verificare lo slittamento verso
il fisco imperiale. Voglio rilevare comunque il fatto che ancora alla metà del II secolo dopo Cristo, certi
consoli possedevano magazzini privati di cui abbiamo conservato le prescrizioni di affitto delle varie
parti. Prescrizioni similari sono conosciute4 per horrea di proprietà imperiale (horrea Caesaris, di solito
identificati con gli horrea Galbana), in cui si poteva dunque subaffittare spazi di stoccaggio.
Mi sembra che tutto questo ci conferma nel fatto che non si devono opporre in modo sistematico,
come si è potuto fare nel passato, grandi magazzini di proprietà pubblica e strutture private più
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Festo 370 L.: Sempronia horrea, qui locus dicitur, in eo fuerunt lege Gracchi ad custodiam frumenti publici.
CIL VI 33747
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ridotte. Ancora su quest’opposizione si fonda troppo a mio avviso Paul Erdkamp nel libro che ha
dedicato nel 2005 al mercato del grano nell’impero romano5. Secondo lui, il costo di costruzione, di
mantenimento, di gestione dei grandi complessi di stoccaggio, non poteva essere assunto dai privati.
Ma non tiene conto della redditività di questi magazzini, che abbiamo intravisto prima accennando al
ruolo economico complesso giocato da loro, oltre la sola funzione di conservazione delle derrate.
Cicerone nota quanto la possessione di horrea a Pozzuoli è vantaggiosa nella tarda Repubblica6. Non ci
sono testimonianze di cambiamento per l’epoca successiva. Il sistema di gestione (diretta, tramite
dipendenti, o indiretta, per locatio-conductio) non era probabilmente diverso per un edificio di
proprietà pubblica o privata, e il subaffitto era un modo comune di sfruttare questi edifici. Da molto
tempo ormai sappiamo che l’annona di Roma non aveva una flotta commerciale per il trasporto delle
derrate fiscali. Per il loro immagazzinamento, il prefetto dell’annona si è senza dubbio appoggiato su
una rete di granai che erano in modo crescente di proprietà imperiale. Però non dobbiamo
dimenticare che l’annona di Roma ricorreva all’affitto di parti di edifici privati o posseduti da una
città secondo la situazione locale7 e che il fisco imperiale poteva a sua volta trarre profitti dal subaffitto
ai privati di certi spazi dei magazzini pubblici non usati dai servizi dell’annona. Insomma, su questo
punto come su quello ricordato sopra dell’uso specializzato o no degli horrea nella conservazione di
certe merci, dobbiamo senza dubbio fare uno spazio più importante a una certa elasticità dell’intero
sistema.
Ecco alcuni piccole riflessioni che volevo fare come “antipasto” alle giornate che ci aspettiamo. Oggi
sarà dedicata ai primi risultati dello scavo del mercato nuovo Testaccio e dello studio del materiale ivi
rinvenuto. Giovedì e venerdì, saranno presentati interventi e poster su diversi scavi e ricerche condotti
recentemente nell’area di Roma-Ostia-Portus. Interventi e poster sono raggruppati in tre temi,
inserimento topografico, architettura, funzionalità per orientare i dibattiti, che speriamo possa
succitare quest’incontro. Ci auguro a tutti buon lavoro.
5
Paul Erdkamp, The Grain Market in the Roman Empire. A social, political and economic study, Cambridge, 2005.
Cicero, De finibus, II, 84.
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Vedere per Delos in epoca ellenistica la legge Gabinia Calpurnia studiata da C. Nicolet (Insula Sacra, 1980, pp. 97 e s.)
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