cap. 2 par 2.2

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cap. 2 par 2.2
2.2.
Mercati
azionari
Mercati finanziari e valutari
Durante i mesi estivi è proseguito il trend rialzista delle quotazioni di borsa
iniziato a metà marzo (fig. 2.2). Negli Stati Uniti, l’indice S&P500 ha realizzato
rendimenti prossimi al 25%, mentre in Giappone l’indice Nikkei 225 è
aumentato di quasi il 30%. Tra i forti rialzi delle quotazioni azionarie dei
mercati europei (+33%) risulta particolarmente pronunciato quello del mercato
tedesco (+55%), che nel corso dei dodici mesi precedenti lo scoppio del
conflitto iracheno aveva registrato le perdite più elevate.
Fig. 2.2
MERCATI AZIONARI NELLE PRINCIPALI ECONOMIE
(Indici: 1 gennaio 2002=100)
120
110
100
90
80
70
60
50
Stati Uniti
Area dell'euro
Giappone
Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Set Ott Nov Dic Gen Feb Mar Apr Mag GIu Lug Ago Set
2002
Fonte: Thomson Financial.
2003
Queste performance estremamente positive sono state interpretate da
alcuni analisti come l’anticipazione del rafforzamento della ripresa anche
nell’attività economica. L’opinione che l’evoluzione dei mercati finanziari
preceda quella dell’economia reale è largamente diffusa, ma va tenuto
presente che i risultati degli studi riguardanti le capacità previsive degli indici
di borsa non sono univoci: in alcuni casi essi confermano lo stretto legame tra
le dinamiche dei mercati azionari e quelle dell’attività economica, mentre in
altri casi ne smentiscono l’esistenza (cfr. il riquadro: Mercati azionari e attività
economica: la fine della bolla?). Pur ammettendo che gli Stati Uniti, il cui
recupero costituisce un elemento essenziale per la ripresa mondiale, si trovino
in una fase di assestamento prima di avviarsi verso una crescita più robusta
nel 2004, i rialzi avvenuti negli ultimi mesi ci sembrano eccessivamente elevati
e troppo rapidi rispetto al miglioramento in corso dei fondamentali
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macroeconomici soprattutto in Europa. Non si può escludere quindi che al
rally al quale stiamo assistendo segua una qualche correzione al ribasso, la
cui entità dipenderà essenzialmente dagli utili aziendali nella seconda metà
dell’anno. I risultati del secondo trimestre delle più importanti società
internazionali, nel complesso abbastanza positivi, sono di buon auspicio ed
evidenziano i progressi delle aziende nel processo di ristrutturazione,
miglioramento dell’efficienza e contenimento dei costi. Oltre a riflettere il buon
andamento delle performance aziendali e delle economie, il trend favorevole
sui mercati azionari può essere interpretato come conseguenza di una minore
percezione del rischio globale degli investitori, che fino allo scoppio del
conflitto in Iraq avevano riallocato il proprio portafoglio preferendo attività
finanziarie a basso rischio.
Anche nei paesi emergenti, l’evoluzione dei mercati azionari continua ad
essere molto positiva, soprattutto in America latina, che resta una delle regioni
più dinamiche; in alcuni casi, come quello argentino, le quotazioni di borsa
hanno registrato aumenti record superiori al 120% negli ultimi dodici mesi.
Tendenze analoghe, ma meno pronunciate, si rilevano anche nei mercati
dell’Europa Centro-orientale, che sembrano beneficiare degli afflussi di
capitale nei paesi che entreranno nell’Unione Europea dal 2004, e in quelli
asiatici (fig. 2.3).
Fig. 2.3
MERCATI AZIONARI NEI PAESI EMERGENTI
(Indici: 1 gennaio 2002=100)
160
140
Sud-Est Asiatico (escl. Giappone)
Europa Centro-Orientale (escl. Russia)
America Latina
120
100
80
60
Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Set Ott Nov Dic Gen Feb Mar Apr Mag Giu Lug Ago Set
2002
Fonte: Thomson Financial.
2003
Mercati obbliga- I tassi di rendimento sui titoli di Stato a due anni sono ancora
zionari
estremamente bassi sia negli Stati Uniti che in Europa, riflettendo l’attuale
periodo di transizione prima della ripresa del 2004. Il differenziale sui tassi,
che a partire dalla seconda metà di aprile 2002 è a favore dell’area dell’euro,
33
si sta riducendo progressivamente ed ha oscillato intorno all’1% nel corso dei
mesi estivi.
I tassi di rendimento sui titoli di Stato a dieci anni sono aumentati
progressivamente, passando dal 3,6% nel mese di giugno al 4,2% nel mese di
agosto. Ciò costituisce un altro elemento che riflette come le aspettative di
una ripresa dell’attività si stiano consolidando ulteriormente (fig. 2.4).
Lo spread tra i titoli del mercato obbligazionario della clientela primaria
(AAA) e non primaria (BAA) e i titoli di stato ha continuato a ridursi a partire
dal quarto trimestre del 2002 (fig. 2.5).
Fig. 2.4
TASSI DI INTERESSE SUI TITOLI DI STATO
7.0
6.0
5.0
4.0
3.0
Stati Uniti (tassi a 10 anni)
Stati Uniti (tassi a 2 anni)
Area dell'euro (tassi a 10 anni)
Area dell'euro (tassi a 2 anni)
2.0
1.0
1999
2000
Fonte: Thomson Financial
2001
2002
2003
Fig. 2.5
STATI UNITI: DIFFERENZIALI SUI TITOLI OBBLIGAZIONARI
4.0
3.5
Titoli BAA
Titoli AAA
3.0
2.5
2.0
1.5
1.0
0.5
34
1999
2000
Fonte: Thomson Financial
2001
2002
2003
Tassi di cambio Il dollaro ha recuperato l’8,3% rispetto all’euro negli ultimi tre mesi (fig. 2.6).
delle principali Questa correzione, che fa seguito al rafforzamento della crescita negli Stati
Uniti e soprattutto alle aspettative di un’ulteriore accelerazione della ripresa
valute
americana, sembra essere destinata a proseguire. Nel nostro scenario, la
valuta americana dovrebbe continuare il recupero nei confronti dell’euro - ma
anche delle altre valute – oscillando intorno ai valori attuali per la restante
parte dell’anno e attestandosi ad 1,12 dollari per un euro nel 2003. In
corrispondenza del ritorno dell’afflusso di capitali negli Stati Uniti, dovuto sia ai
più elevati tassi di crescita del Pil e della produttività rispetto all’area dell’euro
sia alla riduzione dello spread sui tassi di interesse a breve termine, la valuta
americana si apprezzerebbe ulteriormente nel corso dei due anni successivi,
collocandosi su valori più in linea con i fondamentali economici americani.
Quale sia il tasso di cambio di equilibrio più appropriato, tuttavia, rimane una
questione fortemente dibattuta: le diverse metodologie utilizzate forniscono
risultati che differiscono in modo significativo, rendendo difficile individuare
con un ragionevole margine di sicurezza un benchmark per mezzo del quale
valutare se il tasso di cambio del dollaro rispetto all’euro risulti
eccessivamente disallineato (cfr. il riquadro: Il calcolo del cambio di lungo
periodo tra euro e dollaro, Previsioni Macroeconomiche, CSC, dicembre
2001).
Lo yen ha cominciato a rafforzarsi nei confronti del dollaro (+3% nel mese
di agosto), supportato dagli ingenti afflussi di capitale da parte degli investitori
esteri, che dall’inizio dell’anno risultano acquirenti netti di titoli mobiliari giapponesi per un valore pari ad oltre cinquemila miliardi di yen, il doppio rispetto
al 2002. Anche questo fenomeno riflette attese di miglioramento dell’economia
nipponica. Tuttavia, un apprezzamento troppo repentino dello yen rischierebbe di compromettere la fragile ripresa economica e sarebbe quindi
decisamente contrastato dalla Bank of Japan, che nel mese di agosto aveva
abbandonato la sua strategia interventista ed interrotto gli acquisti di dollari
contro yen al fine di impedire l’apprezzamento della divisa giapponese.
Durante il 2003 lo yen è previsto attestarsi sui 118 yen per un dollaro,
apprezzandosi lievemente rispetto all’anno precedente in accordo con i
fondamentali dell’economia, ancora molto deboli ma in leggero miglioramento,
per stabilizzarsi poi al di sopra dei 120 yen per un dollaro nei due anni
successivi.
35
Fig. 2.6
TASSO DI CAMBIO DOLLARO-EURO
1.20
1.10
1.06
1.11
1.00
0.95
0.92
0.90
0.90
0.80
1999
2000
Fonte: Thomson Financial.
2001
2002
2003
MERCATI AZIONARI E ATTIVITÀ ECONOMICA:
LA FINE DELLA BOLLA?
Introduzione - La recente performance dei mercati finanziari internazionali a partire
dall’inizio del conflitto iracheno sembra avere segnato un punto di svolta nella
tendenza negativa degli ultimi tre anni: gli indici S&P500 e DJ STOXX sono
aumentati del 25% e del 33% rispettivamente, mentre l’indice NIKKEI 225 ha
registrato un incremento di quasi il 30%. Questi risultati, soprattutto se confrontati
con le ingenti perdite dei diciotto mesi precedenti lo scoppio della guerra, durante i
quali le quotazioni di borsa delle piazze principali si sono quasi dimezzate,
costituiscono senza dubbio un elemento estremamente positivo per gli investitori,
che potrebbero chiudere l’anno in attivo per la prima volta dal 2000. Le ragioni di
questo rally non possono essere ricondotte ad una sola causa; la sua origine è da
cercarsi piuttosto in una serie di circostanze, alcune delle quali specifiche dei singoli
mercati.
In questo riquadro si analizzano le possibili cause del trend crescente dei
principali indici di borsa durante gli ultimi mesi, nel tentativo di fornire alcuni elementi
per valutare se la bolla speculativa sui mercati finanziari si sia esaurita o meno e se
questo cambiamento derivi da un contesto macroeconomico effettivamente in corso
di miglioramento. In particolare, si sottolineano i limiti dei metodi di valutazione
basati sul confronto tra il valore di mercato delle azioni in circolazione ed i cosiddetti
“fondamentali economici”, come gli utili, i dividendi o il valore contabile. Poiché i
prezzi delle azioni vengono frequentemente ritenuti troppo elevati se sono superiori
al loro valore medio storico, un paragone di questo tipo rischia di porre in secondo
piano i possibili cambiamenti intervenuti nel corso degli ultimi anni. In secondo
luogo, viene messo in evidenza il ruolo che nella formazione e nel seguente scoppio
della bolla speculativa ha avuto l’incertezza, che sembra continuare ad esercitare un
peso preponderante anche nella cronaca finanziaria recente. In ogni caso, pur
ammettendo che i mercati azionari possano fornire dei segnali utili a comprendere
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meglio l’evoluzione futura dell’economia reale e viceversa, l’analisi empirica condotta
nel prosieguo suggerisce che i mercati azionari non anticipano con sufficiente
precisione le tendenze dell’economia reale. Le indicazioni fornite dagli indici di borsa
circa un imminente e sostenuto recupero dell’attività reale dovrebbero essere
considerate quindi alla luce del fatto che l’incremento dei prezzi azionari si è
verificato, soprattutto in un primo momento, tra le aziende del comparto tecnologico,
che negli ultimi anni è stato quello più penalizzato.
Considerazioni sui parametri storici per la valutazione del mercato - I risultati di
bilancio del secondo trimestre di molte società internazionali sono stati nel
complesso positivi, ma, in buona parte dei casi, legati piuttosto a fattori di
ristrutturazione che all’incremento delle vendite. Anche se è ancora presto per
valutare se il rally delle quotazioni di borsa sia soltanto un fenomeno temporaneo
che potrebbe risolversi con un ulteriore ribasso come all’inizio del 2001 e tra il 2001
e il 2002, la sensazione che il forte aumento dei prezzi dei titoli mobiliari sia stato
eccessivo rispetto alle concrete possibilità di miglioramento dell’economia reale nel
breve periodo trova ulteriori conferme analizzando in prospettiva storica il rapporto
1
prezzo/utili (price/earnings, P/E) del mercato azionario nel suo complesso .
Prendendo per concretezza il mercato americano - ma i risultati non cambierebbero
se si considerasse quello europeo oppure quello giapponese - questo parametro
misura quanto gli investitori sono disposti a pagare per ciascun dollaro di utili
conseguiti. Il fattore determinante del rapporto P/E è l’aspettativa di crescita degli
utili nel futuro: la previsione di maggiori utili futuri spinge gli investitori a pagare un
2
prezzo più elevato e viceversa .
Fig. 1 – Rapporto prezzo/utili delle imprese incluse nell’indice S&P500
50
45
40
35
30
25
20
15
10
5
0
1860
1880
1900
1920
1940
1960
1980
2000
2020
3
Fonte: Shiller (2000) .
La figura 1 mostra che il rapporto P/E basato sulla media degli utili dichiarati negli
ultimi dieci anni ha raggiunto il suo massimo nel 2001, pari ad un valore più del
doppio della media storica di 15,3. Poiché i risultati del secondo trimestre del 2003
indicano che le imprese hanno conseguito degli utili piuttosto bassi, i livelli attuali del
rapporto prezzo/utili implicano che una delle ragioni per cui esso è aumentato è che
l’attuale redditività delle imprese è ancora debole: gli utili conseguiti, anche se in
1
Questo rapporto è stato calcolato dividendo il totale di mercato delle azioni per gli utili
aggregati riferiti a tutte le imprese.
2
Non si disconosce, ovviamente, l’importanza di altri fattori, quali i tassi di interesse, la
propensione al rischio, le imposte ed il grado di liquidità.
3
Aggiornamento ed elaborazione CSC su dati contenuti in Schiller R. (2000), Irrational
Exuberance, Oxford, Oxford University Press.
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miglioramento rispetto allo scorso anno, sono stati nel complesso molto modesti.
D’altra parte, per effetto dell’accresciuta propensione al rischio delle famiglie e degli
investitori istituzionali negli ultimi dieci anni, il rapporto P/E è aumentato
progressivamente. Confrontando i livelli attuali con la media storica a partire dai
primi anni Novanta si può avanzare l’ipotesi, anche tenendo conto della ripresa
dell’attività di fusioni e acquisizioni sia in Europa che negli Stati Uniti, che la forte
correzione dell’ultimo triennio sia giunta al termine. Tuttavia, anche se ciò fa ben
sperare che ci siano le premesse per una prossima ripresa dell’attività economia
globale, la forte accelerazione dei mercati azionari sembra eccessiva e, alla luce dei
risultati statistici presentati nelle sezioni successive, non indica necessariamente che
gli eccessi azionari degli ultimi anni si siano completamente ridimensionati.
I mercati finanziari come indicatori anticipatori dell’attività reale: la teoria... - Il
quadro macroeconomico delle principali economie sembra relativamente più solido
rispetto a qualche mese fa e le aspettative dei consumatori e delle imprese
mostrano con maggiore convinzione le attese di un imminente miglioramento della
congiuntura internazionale. Il fattore che aveva pesato di più nel corso del primo
trimestre del 2003, infatti, si è ridimensionato considerevolmente: con la rapida
risoluzione del conflitto iracheno, l’incertezza sulla sua eventualità e le sue
conseguenze è venuta meno, pur permanendo ancora la percezione che il rischio
geopolitico, legato anch’esso alla guerra ma riconducibile anche ad eventi ad essa
antecedenti, non si sia dissolto completamente. In tale contesto, l’ondata di forte
ottimismo che ha investito i mercati finanziari, non del tutto corrisposta dagli sviluppi
recenti nei mercati dei beni e dei servizi, si presta a molteplici interpretazioni. Gli
indici di borsa vengono spesso considerati dei leading indicator del ciclo economico;
da molte parti si ritiene che ad una consistente diminuzione dei prezzi
azionari corrisponda un periodo di recessione a breve termine, mentre
un loro incremento significativo suggerisca una futura crescita sostenuta dell’attività
economica. La questione dell’abilità predittiva del mercato azionario è stata
ampiamente discussa. A supporto della tesi che esso costituisca un indicatore
anticipatore dell’economia reale viene comunemente citata la sua caratteristica di
incorporare delle aspettative di tipo forward-looking; i prezzi correnti, dunque,
rifletterebbero non solo le condizioni attuali delle imprese, ma anche la loro
4
possibilità di conseguire utili futuri . Poiché quindi le quotazioni di borsa riflettono la
redditività, che è a sua volta legata all’attività economica, le fluttuazioni dei mercati
azionari anticipano gli sviluppi dell’economia reale, consentendo di prevederne la
5
direzione .
Un’altra spiegazione teorica dell’abilità predittiva del mercato azionario si
riferisce al cosiddetto “effetto ricchezza”: poiché i consumi non dipendono soltanto
dal reddito, bensì dalla ricchezza complessiva, le variazioni delle quotazioni di borsa,
influenzando quest’ultima, provocano un incremento o una diminuzione della spesa
dei consumatori ed esercitano in definitiva degli effetti sull’economia reale, della
quale i consumi formano una grande parte.
4
Il fatto che il prezzi di un titolo azionario, P, rifletta i dividendi attesi, D, può essere espresso
attraverso il modello dei flussi di cassa attualizzati (Discounted Cash Flows, DCF), in cui i dividendi futuri vengono scontati al tasso di rendimento atteso da investimenti appartenenti alla
stessa classe di rischio, r:
∞
P0 = ∑
t =1
Dt
(1 + r )
t
Secondo questa equazione, un aumento atteso della redditività dell’impresa, assumendo r costante, corrisponderà ad un incremento del prezzo del titolo e viceversa.
5
Si noti che la determinazione del prezzo delle azioni dipende fortemente dalle aspettative
degli operatori. Esistono differenti modelli che ne descrivono il meccanismo di formazione,
come quello delle aspettative adattive, che dipendono dall’esperienza accumulata nel passato, o quello delle aspettative razionali, nelle quali viene utilizzata tutta l’informazione disponibile al momento della decisione. Anche se l’argomento esula dagli scopi di questo riquadro, è di
fondamentale importanza comprendere l’enorme influenza delle aspettative sui prezzi; nella
misura in cui esse incorporano i cambiamenti avvenuti nella recente esperienza, i prezzi delle
azioni varieranno di conseguenza.
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I critici, tuttavia, forniscono una serie di ragioni per le quali gli indici di borsa
non costituiscano un leading indicator della futura attività economica. In primo luogo,
essi fanno notare che in passato i mercati finanziari hanno spesso generato falsi
segnali circa l’evoluzione dell’attività economica futura e non sono quindi affidabili
nell’anticipare le tendenze dell’economia reale. Ne è un esempio il crash del mercato
azionario americano del 1987, durante il quale, invece di entrare in una recessione,
l’economia degli Stati Uniti ha continuato a crescere fino agli inizi degli anni Novanta.
Un altro motivo di perplessità riguarda il fatto che le aspettative degli investitori
rivestono un ruolo di primo piano nella determinazione dei prezzi delle azioni; poiché
esse sono soggette ad errore umano, le quotazioni di borsa possono deviare dai
fondamentali dell’economia reale. In altri termini, dato che gli investitori non sempre
valutano correttamente le informazioni che hanno a disposizione, i prezzi delle azioni
talvolta aumentano prima di una recessione e diminuiscono prima di un’espansione.
...e l’evidenza empirica - La relazione tra il mercato azionario e l’attività economica
è stata oggetto di numerosi studi, alcuni dei quali hanno confermato l’esistenza di un
6
7
nesso causale tra i due , mentre altri ne hanno smentito l’esistenza . Al fine di
verificare empiricamente se le variazioni dei mercati azionari possano effettivamente
anticipare le variazioni dell’economia reale e se quindi il forte rialzo delle quotazioni
di borsa degli ultimi mesi possa essere interpretato come la fine del periodo di
stagnazione delle principali economie, come conseguenza soprattutto dello scoppio
della bolla dei titoli tecnologici nel 2000, abbiamo utilizzato il test di causalità di
8
Granger per gli Stati Uniti, il Giappone e l’Unione Europea. Gli indici borsa presi in
considerazione sono lo S&P500, il DJ Stoxx ed il Nikkei 225, mentre come indicatori
dell’attività produttiva sono stati utilizzati sia il Pil trimestrale che l’indice della
produzione industriale complessiva e del settore manifatturiero dei rispettivi paesi o
aree. Al fine di verificare la sensitività delle stime all’orizzonte temporale scelto,
quest’ultimo è stato fatto variare in un intervallo che va dal primo trimestre del 1991
al primo trimestre del 2003 nel caso di rilevazioni trimestrali e dal gennaio del 1965
al giugno del 2003 nel caso di rilevazioni mensili.
Si noti che più di causalità in senso stretto si dovrebbe parlare in questo caso di
anticipazione, o previsione, senza che ci debba essere necessariamente un nesso
causale tra le variabili prese in considerazione. Le quattro possibili relazioni tra il
mercato azionario e l’economia reale possono essere formulate nel seguente modo:
1. Variazioni del mercato azionario “causano” variazioni dell’attività economica,
ossia l’inclusione delle prime tra le variabili utilizzate per le stime consente di
migliorare la previsione delle seconde;
2. Variazioni dell’attività economica “causano” variazioni del mercato azionario,
ossia l’inclusione delle prime tra le variabili utilizzate per le stime consente di
migliorare la previsione delle seconde;
3. Il mercato azionario e l’attività economica si influenzano a vicenda, ossia
variazioni del primo causano variazioni della seconda e viceversa;
4. Il mercato azionario e l’attività economica sono indipendenti, ossia non
esiste nessuna relazione causale tra le due variabili.
I risultati del test effettuato hanno confermato il punto 4 per tutti i paesi o aree
prese in considerazione: la procedura statistica utilizzata non supporta l’ipotesi che i
mercati azionari siano dei validi indicatori anticipatori dell’economia reale. La
divergenza tra l’ottimismo prevalente sui mercati finanziari e il recupero fino a questo
momento modesto dell’attività economica suggerisce che, pur ammettendo una
qualche reattività degli investitori alle notizie macroeconomiche, la recente dinamica
6
Douglas P. K. (1983), “Stock Prices and the Economy”, Federal Reserve Bank of Kansas
City Economic Review, November, 7-22.
7
Burgstaller J. (2002), “Are Stock Returns a Leading Indicator for Real Macroeconomic
Developments?”, Johannes Kepler University Linz Department of Economics Working Papers
207.
8
Secondo questa procedura statistica, la variabile X causa la variabile Y se i valori passati di
X possono essere usati per prevedere Y in modo più accurato rispetto all’utilizzo dei soli valori
passati di Y. In altre parole, se i valori passati di X migliorano statisticamente la previsione di
Y, si può concludere che X causa Y nel senso inteso da Granger (cfr. Granger C.J. (1969),
“Investigating Causal Relationships by Econometric Models and Cross Spectral Methods”,
Econometrica, Vol. 37, 247-258).
39
delle borse sia più legata a fattori estemporanei che ad un recupero, dati gli
incrementi delle quotazioni così elevati in un intervallo temporale relativamente
breve, sostenuto e a breve termine della produzione e dell’occupazione.
Diverse sono le ragioni che possono avere influenzato i mercati azionari nel
corso degli ultimi mesi. Negli Stati Uniti, i tre fattori principali sembrano essere stati
l’eliminazione dell’incertezza relativa al conflitto in Iraq, l’accresciuto ottimismo sulle
prospettive di futuri utili aziendali e le attese sulla prosecuzione di una politica
monetaria fortemente espansiva da parte della Federal Reserve. In Giappone, i
mercati sembrano essere stati supportati principalmente dagli investitori stranieri,
che a partire dalla fine di aprile sono stati acquirenti netti di titoli giapponesi. In
Europa, la mancanza di dati macroeconomici significativamente positivi fa supporre
che abbiano prevalso fenomeni di spillover, cioè che i mercati europei siano stati
influenzati dal recupero quasi generalizzato dei mercati azionari internazionali.
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