identità religiosa e libertà di espressione

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identità religiosa e libertà di espressione
TESTO PROVVISORIO
Pontificia Università della Santa Croce - Facoltà di Diritto Canonico - XVII Convegno di studi
Roma, 11-12 aprile 2013
FEDE EVANGELIZZAZIONE E DIRITTO CANONICO
Identità religiosa e libertà di espressione:
considerazioni sull’incitamento all’odio o “Hate Speech”
PROF.SSA FRANCISCA PÉREZ-MADRID
Università di Barcellona (Spagna)
È per me un grande onore partecipare a questo Convegno, organizzato nell’ambito delle iniziative
per l’Anno della Fede. È anche una feconda opportunità di incontrare e stabilire un dialogo con così
tanti specialisti accademici, tra cui molti colleghi e amici, per imparare da loro. Straordinaria è anche la
data di questo evento che ha permesso a molti di noi qui presenti di poter venire nella Città Eterna
proprio durante i primi giorni del nuovo pontificato.
Mi occuperò di alcuni conflitti giuridici che insorgono negli ordinamenti statali, a causa della
libertà di espressione in materia religiosa.
La fede, come è noto, presuppone un atto libero di pieno consenso dell’intelletto alla verità
conosciuta1, una disposizione della volontà di adeguare la propria vita, che implica una serie di
responsabilità in ambito sociale2. Nello specifico, il diritto e il dovere di trasmettere la dottrina 3. Ora,
per poter agire secondo la propria fede – che sia in privato o in pubblico, in forma individuale o
collettiva – è indispensabile che sia garantita in maniera efficace la libertà religiosa da parte dello
Stato4. Da un lato, alcuni governi modellano le proprie politiche sul leitmotiv che Grozio esprimeva con
questa formula: etsi Deus non daretur (come se Dio non esistesse), chiudendo gli occhi di fronte a una
realtà – quella dei cittadini credenti – con la quale è impossibile interagire se non la si comprende.
Sarebbe necessaria una soluzione ben diversa, ovvero impostare le politiche sociali in materia religiosa
in base al lemma veluti si Deus daretur (come se Dio esistesse). Non stiamo con ciò affermando, però,
l’accettazione di un credo o di una visione religiosa della vita 5. Una cornice legislativa adeguata solo
1 Vale la pena ricordare il testo della Dichiarazione del Concilio Vaticano II Dignitatis Humanae, n. 2, riportato al n. 2106
del Catechismo della Chiesa Cattolica.
2 “Il cristiano non può mai pensare che credere sia un fatto privato (…)La fede, proprio perché è atto della libertà, esige
anche la responsabilità sociale di ciò che si crede” (Lettera apostolica Porta Fidei, 24 novembre 2011, n. 10).
3 Su questo argomento, CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Nota dottrinale su alcuni aspetti
dell’evangelizzazione, 2007. R. PELLITERO, voce “evangelización” nel "Diccionario General de Derecho Canónico", J.
Otaduy - A. Viana - J. Sedano (dirs), ed. Thomson Reuters-Aranzadi, Instituto Martín de Azpilcueta-Facultad de Derecho
Canónico, Universidad de Navarra, Pamplona 2012, vol. III, pp. 791-798.
4 Cfr. Viaggio apostolico negli Stati Uniti d’America e visita alla sede dell’organizzazione delle Nazioni Unite, Discorso di
Sua Santità Benedetto XVI, New York, venerdì 18 aprile 2008.
http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/speeches/2008/april/documents/hf_ben-xvi_spe_20080418_unvisit_sp.html
5 Vale la pena ricordare le parole di Benedetto XVI nel discorso di Westminster Hall nel 2010, “La religione, in altre
parole, per i legislatori non è un problema da risolvere, ma un fattore che contribuisce in modo vitale al dibattito pubblico
nella nazione”. E aggiungeva: “non posso che esprimere la mia preoccupazione di fronte alla crescente marginalizzazione
della religione, in particolare del Cristianesimo, che sta prendendo piede in alcuni ambienti, anche in nazioni che
attribuiscono alla tolleranza un grande valore. Vi sono alcuni che sostengono che la voce della religione andrebbe messa a
tacere, o tutt’al più relegata alla sfera puramente privata (…) E vi sono altri ancora che – paradossalmente con lo scopo di
eliminare le discriminazioni – ritengono che i cristiani che rivestono cariche pubbliche dovrebbero, in determinati casi, agire
contro la propria coscienza. Questi sono segni preoccupanti dell’incapacità di tenere nel giusto conto non solo i diritti dei
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teoricamente non basta. Tutti sappiamo che una disposizione del potere esecutivo, nel rispetto del
principio formale di legalità, può essere perfino una decisione ingiusta e lesiva dei diritti fondamentali
di una persona. E, di fatto, spesso facciamo l’esperienza di trovarci in un ambito di libertà sotto
minaccia.
Inoltre, l’apostasia silenziosa6 e la secolarizzazione, che impregnano la cultura contemporanea, a
volte sono divenute “una minaccia esterna per i credenti” che marca “un terreno quotidiano di
confronto”7 dove viene negato il diritto di professare pubblicamente la propria religione 8. Spesso quanti
esercitano la propria libertà di espressione in materia religiosa e il proprio diritto di partecipazione alla
vita politica, sono sospettati di voler imporre la propria religione agli altri.
È sufficiente ricordare quanto è accaduto in Spagna nel 2012 a proposito dell’omelia del Venerdì
Santo del vescovo Reig Pla, che fu trasmessa in televisione. Il porporato parlò di alcuni mali che
vengono spacciati per beni e che conducono al peccato, all’ingiustizia e all’autodistruzione. Fece
diversi esempi: l’adulterio, l’aborto, i rapporti omosessuali, le imprese che si approfittano dei
lavoratori, l’alcol, le droghe e anche i sacerdoti che conducono una “doppia vita, corrompendo l’ordine
sacro che hanno ricevuto”. Un’associazione spagnola9 lo denunciò in tribunale per incitamento all’odio.
La richiesta fu archiviata, non potendosi provare elementi di discriminazione, odio e violenza contro gli
omosessuali, né che stesse diffondendo idee offensive dell’orientamento sessuale. In Svezia è accaduto
qualcosa di simile nel 2005. Il pastore Ake Green fu processato per aver predicato contro il
comportamento omosessuale, anche se alla fine la Suprema Corte svedese lasciò decadere la sentenza.
Ad agosto del 2011, invece, il vescovo irlandese Philip Boyce fu anche lui accusato di incitare all’odio
per avere affermato che la Chiesa era attaccata dalla cultura laicista e atea.
Anche la molteplice presenza di gruppi religiosi emergenti in occidente ha provocato nuovi
presupposti di conflittualità giuridica. Joseph Weiler, nel suo intervento al Tribunale Europeo dei Diritti
Umani, (Lautsi vs. Italia) affermava: “I paesi odierni dell’Europa hanno aperto le porte a molti nuovi
residenti e cittadini. Dobbiamo loro tutte le garanzie della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
Dobbiamo loro rispetto, accoglienza ed evitare ogni discriminazione. Ma il messaggio di tolleranza
verso gli altri non dovrebbe essere tradotto come messaggio di intolleranza verso la propria identità”.
Malgrado la forza con cui sono difesi i diritti di ogni cultura, a mio avviso si è discusso poco
nella dottrina giuridica delle relazioni tra identità religiosa della persona e il suo diritto a partecipare
alla vita culturale. Sull’identità, afferma Huntington, c’è una domanda fondamentale in un mondo
globalizzato che dovrebbe porsi ciascuna persona. La domanda a cui allude è cosa sei tu? Una risposta
sbagliata a questa domanda nel Caucaso o in Sudan può comportare un grave pericolo per la propria
vita. Il problema è, come afferma questo autore, che la religione differenzia le persone nella maniera
più radicale. Chiunque potrebbe dire senza alcuna difficoltà di essere mezzo arabo e mezzo francese,
mentre invece non potrebbe mai dire di essere mezzo cattolico e mezzo musulmano. A partire da questa
osservazione Huntington sottolinea che la religione rimane un’importante elemento di identità,
credenti alla libertà di coscienza e di religione, ma anche il ruolo legittimo della religione nella sfera pubblica”, BENEDETTO
XVI,
Discorso
alle
autorità
civili,
Westminster
Hall,
17
settembre
2010.
http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/speeches/2010/september/documents/hf_ben-xvi_spe_20100917_societacivile_sp.html
6Cfr. Ecclesia in Europa, n. 9.
7 Si veda l’Instrumentum Laboris, «La nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana» (19 giugno de
2012) in www.vatican.va; cfr. Anche il n. 166 del Catechismo della Chiesa Cattolica.
8Caritas in veritate, 56. Non si può più parlare di “un tessuto culturale unitario, largamente accolto nel suo richiamo ai
contenuti della fede e ai valori da essa ispirati”, e si rileva una profonda crisi della fede che colpisce molte persone, Porta
Fidei, n. 2.
9La Confederazione Spagnola delle Associazioni di lesbiche, gay, bisessuali e transessuali.
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malgrado la secolarizzazione dell’Europa10. Si possono rilevare focolai di islamofobia, antisemitismo e
cristianofobia nel nostro occidente secolarizzato11. Così, in ambito dottrinale e giurisprudenziale si è
iniziato a parlare del cosiddetto discorso di incitamento all’odio, o hate speech.
Queste manifestazioni sono esempio del conflitto che si può creare tra l’esercizio della libertà di
espressione e libertà religiosa, quando vi concorre anche l’ingrediente dell’intolleranza. Esiste un
diritto a non essere molestati nell’esercizio delle proprie credenze religiose con le parole o attraverso la
libera creazione artistica12? Quali sono gli obblighi dello Stato relativamente alla protezione
dell’esercizio pacifico della libertà religiosa? Si può considerare hate speech la predicazione di un
ministro del culto quando dà giudizi morali su determinati comportamenti?
Non esiste società democratica senza il diritto fondamentale della libertà di espressione 13, una
libertà che si applica non solo alle espressioni favorevoli o ritenute inoffensive 14. Il diritto alla libertà di
espressione non è assoluto e, sia nel diritto internazionale che nella maggior parte delle legislazioni
nazionali, c’è la possibilità di imporre restrizioni per la salvaguardia di interessi pubblici o privati più
importanti15. Tali restrizioni dovranno però essere espressamente fissate dalla legge ed essere necessarie
per: a) assicurare il rispetto dei diritti e della reputazione degli altri, e b) garantire la sicurezza
nazionale, l’ordine pubblico, la salute e la morale pubblica 16.
È assai indicativo quello che Oliver Wendell Holmes, giudice della Suprema Corte degli Stati
Uniti, rilevava nella causa Schenck vs Stati Uniti: “la più rigorosa protezione della libertà di espressione
non proteggerebbe un uomo che falsamente gridi “al fuoco!” in un teatro pubblico provocando panico.
10Altri autori invece sostengono che le persone non possono essere classificate secondo un’identità unica. Secondo
Amartya Sen “il mondo è spesso considerato come una collezione di religioni (o di “civiltà”, “culture”), e si ignorano le
altre identità e valori posseduti dagli individui, tra cui la classe, il genere, la professione, la lingua, la scienza, la morale e la
politica. Questa suddivisione unica è assai più polemica dell’universo di classificazioni plurali e diverse che formano il
mondo in cui viviamo”, A. SEN, Identidad y violencia, Madrid 2007, p. 16. Bernard Lewis aggiunge che queste identità
multiple non esistono solo in ambiti particolarmente complessi come il Medio Oriente. Anche in Occidente esiste questa
molteplicità, come si può facilmente verificare in Ameriuca del Nord o nel Regno Unito. Secondo questo autore, le identità
acquisite per nascita sono l’appartenenza etnica, la terra di origine e la comunità religiosa, B. LEWIS, Las identidades
múltiples de Oriente Medio, Madrid 2000, p. 5.
11Cfr. J. WEILER, Una Europa cristiana, ed. Encuentro, Madrid 2003, passim.
12Su questo si veda anche M.J. GUTIÉRREZ DEL MORAL, Libertad de expresión y protección de los sentimientos religiosos.
La autorregulación de los medios de comunicación, in “Base para el conocimiento juríridico”, in www.iustel.com.
13Cfr. la Risoluzione del Consiglio d’Europa 1510 (2006) sulla libertà di espressione e il rispetto delle credenze religiose.
Non dobbiamo però dimenticare che fu approvata poco dopo la pubblicazione delle vignette su Maometto da parte del
giornale danese Jyllands-Posten, che ebbe una violenta ripercussione in tutta Europa. Per questo si insiste sul fatto che la
critica, la satira, l’umorismo e l’arte debbano godere di ampia libertà di espressione e che il ricorso all’enfatizzazione non
debba essere visto come una provocazione. L’Assemblea ritiene che la libertà di espressione, così come è garantita dall’art.
10 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, non dovrebbe essere
sottomessa a maggiori restrizioni in risposta alla crescente sensibilità di certi gruppi religiosi, anche se dichiara che
“l’incitamento all’odio” o hate speech contro un gruppo religioso non è compsatibile con i diritti fondamentali e le libertà
garantite dalla Convenzione.
14Sentenza della CEDU, caso De Haes e Gijsels vs Belgio, 24 febbraio 1997, § 49.
15Così, nel paragrafo 3 dell’art. 19 del Patto internazionale sui diritti civili e politici si prevede che la libertà di espressione
implichi “doveri e responsabilità speciali”.
16Anche l’art. 10, 2 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali indica
che questo diritto “può essere sottoposto alle formalità, condizioni, restrizioni o sanzioni che sono previste dalla legge e che
costituiscono misure necessarie, in una società democratica, per la sicurezza nazionale, per l'integrità territoriale o per la
pubblica sicurezza, per la difesa dell'ordine e per la prevenzione dei reati, per la protezione della salute o della morale, per la
protezione della reputazione o dei diritti altrui, per impedire la divulgazione di informazioni riservate o per garantire
l'autorità e l'imparzialità del potere giudiziario”.
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Ciò di cui va tenuto conto è se le parole usate in tali circostanze possano creare un pericolo di male
sostanziale. È una questione di prossimità e di grado” 17.
La libertà religiosa è, inoltre, ugualmente un requisito necessario nella società democratica, e una
delle libertà essenziali riconosciute nell’art. 9 della Convenzione Europea. Essa non può nemmeno
essere considerata illimitata: infatti, l’art. 9.2 di detta Convenzione permette di restringere la libertà di
manifestare la religione o le proprie convinzioni quando questo sia necessario per la sicurezza pubblica,
la protezione dell’ordine, della salute e della morale pubblica, e nel caso della protezione dei diritti e
delle libertà degli altri 18.
Sarebbe effettivamente assurda la pretesa di una libertà religiosa illimitata, come lo è dare asilo
alle offese gravi verso i sentimenti religiosi in ossequio alla tolleranza che deve regnare in una società
democratica19. La tolleranza non deve essere brandita solo per difendere la libertà di espressione, ma
anche per proteggere efficacemente l’integrità dei vari gruppi sociali 20.
Il problema è come affrontare l’effetto nefasto del discorso che istiga all’odio, senza mettere in
discussione la libertà di espressione, il libero scambio di idee e opinioni e altre libertà che costituiscono
il fondamento stesso dei diritti umani.
L’HATE SPEECH NEGLI STRUMENTI INTERNAZIONALI
Molti strumenti internazionali e regionali sui diritti umani trattano diversi aspetti,
dell’incitamento all’intolleranza e all’odio religioso.
La giustificazione giuridica della proibizione dell’hate speech si fonda sulla fondamentale
uguaglianza di tutti gli esseri umani. Come si afferma nell’art. 1 della Dichiarazione Universale, “tutti
gli esseri umani nascono liberi e uguali in dignità e diritti”. E nell’art. 2 si stabilisce l’uguale godimento
dei diritti e delle libertà proclamati nella Dichiarazione “senza distinzione alcuna, per ragioni di razza,
di colore, di sesso”, e quindi nell’art. 7 si riconosce la protezione contro la discriminazione e contro
l’istigazione alla discriminazione 21.
La Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio del 1948, contempla
un presupposto particolarmente grave di incitamento all’odio. Sono considerati genocidio una serie di
17Tratto da R. NAVARRO VALLS, La globalización del odio, Zenit 20 settembre 2012.
18Su questo si veda anche la Raccomandazione del Consiglio d’Europa 1804 (2007), su Stato, religione, laicità e diritti
umani. In termini simili, l’art. 18,3 del Patto internazionale sui diritti civili e politici tratta dei limiti della libertà religiosa.
19La Raccomandazione 1804 (2007) su Stato, religione, laicità e diritti umani si occupava di queste questioni. Al n. 19
dichiarava che malgrado il riconosciuto dovere di rispettare gli altri e di evitare insulti innecessari, la libertà di espressione
non può essere limitata in ossequio a certi dogmi o credenze di una comunità religiosa. Aggiungeva inoltre che gli Stati
devono impedire la diffusione di principi religiosi che, in pratica, violino i diritti umani. In caso di dubbio, dovrebbero
richiedere ai leader religiosi una chiara presa di posizione a favore della priorità dei diritti umani, al di sopra di qualsiasi
altro principio. La Raccomandazione si dedica in particolare a commentare la separazione tra Chiesa e Stato, qualificata nel
testo come uno dei valori condivisi in Europa. Sottolinea poi il ruolo delle organizzazioni religiose come parte della società,
promosse da cittadini che hanno il diritto alla libertà religiosa.
20L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani, in un Rapporto sull’incitamento all’odio razziale e
religioso e la promozione della tolleranza del 2006, sottolineava che l’esperienza mondiale, dalle atrocità naziste fino al
genocidio in Rwanda e altri episodi più recenti, dimostra che è possibile abusare del discorso orale e dei mezzi di
comunicazione per promuovere l’odio, la discordia e perfino la violenza.
21 Infine, l’art. 29 della Dichiarazione Universale versa sui doveri di ogni persona verso la comunità e riconosce che può
essere necessario e legittimo imporre certi limiti ai diritti per ottenere, tra le altre cose, “il riconoscimento e il rispetto dei
diritti e delle libertà degli altri”.
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atti perpetrati con l’intenzione di distruggere, totalmente o parzialmente, un gruppo nazionale, etnico,
razziale o religioso: a) l’uccisione di membri del gruppo; b) la lesione grave all’integrità fisica o
mentale dei membri del gruppo; c) la sottomissione intenzionale del gruppo a condizioni di vita che
possano provocarne la distruzione fisica, totale o parziale; d) le misure destinate a impedire le nascite
all’interno del gruppo; e) il trasferimento forzato di bambini dal gruppo a un altro gruppo. In base
all’art. 3, quindi, sarebbe sanzionabile “l’incitamento diretto e pubblico a compiere genocidio”.
La Convenzione Internazionale sui Diritti Civili e Politici, con un criterio più limitato, al comma
2 dell’art. 20 prevede che “ogni apologia di odio nazionale, razziale o religioso che costituisca
incitamento alla discriminazione, all’ostilità o alla violenza, è proibita dalla legge” 22.
La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali del
1950, la Convenzione americana dei diritti dell’uomo del 1969 e la Carta Africana dei Diritti
dell’Uomo e dei Popoli del 1981, permettono agli Stati di proibire discorsi incitanti all’odio e apologie
dell’odio che traggano origine da motivazioni religiose. Affrontano però in maniera molto diversa come
si deve articolare l’equilibrio tra il divieto di discorsi che incitano all’odio e il rispetto della libertà di
espressione.
La Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali
non contiene una disposizione esplicita che proibisca l’incitamento all’odio razziale e religioso.
Tuttavia, le clausole di limitazione generale contenute nell’art. 9 (libertà di pensiero, di coscienza, di
religione) e nell’art. 10 (libertà di espressione) permettono di limitare questi diritti per preservare
l’ordine pubblico e sociale, proteggere la salute e la morale e anche i diritti degli altri. Si riferisce più
esplicitamente all’hate speech la Raccomandazione n. R(97)20, approvata il 30 ottobre 1997 dal
Comitato dei Ministri del Consiglio Europeo, e la Raccomandazione del 13 dicembre 2002 di politica
generale sulla legislazione nazionale per la lotta al razzismo e alla discriminazione razziale della
Commissione Europea contro il Razzismo e l’Intolleranza (ECRI).
La Convenzione americana condanna specificamente l’hate speech. All’art. 13.2 stabilisce che “è
proibita dalla legge ogni propaganda a favore della guerra e ogni apologia di odio nazionale, razziale o
religioso che costituiscano incitamento alla violenza o qualsiasi altra azione illegale simile contro
qualsiasi persona o gruppo di persone, per nessun motivo, inclusi quelli legati alla razza, al colore, alla
religione, alla lingua o all’origine nazionale” 23.
La Carta Africana dei Diritti dell’Uomo e dei Popoli, infine, al suo art. 2 stabilisce unicamente
che “ogni individuo usufruirà dei diritti e delle libertà riconosciute e garantite dalla presente Carta,
22 Ricordiamo anche la Dichiarazione sull’eliminazione di ogni forma di intolleranza e di discriminazione basata sulla
religione o le credenze del 1981 e la Dichiarazione di Vienna del 9 ottobre 1993, che richiamò l’attenzione internazionale
sul risorgere del razzismo, della xenofobia e dell’antisemitismo e sulla nascita di un clima di intolleranza.
23 Per la sua particolarità, offriamo il testo completo di questo articolo: “1. Ognuno ha il diritto alla libertà di pensiero e di
espressione. Tale diritto include la libertà di ricercare, ricevere e trasmettere informazioni e idee di ogni tipo, senza
considerazione di frontiera, oralmente o per iscritto, attraverso la stampa, in forma artistica o attraverso qualunque altro
medium di propria scelta. 2. L'esercizio del diritto di cui al paragrafo precedente non sarà soggetto a censura preventiva, ma
sarà motivo di responsabilità successiva, come stabilito espressamente dalla legge nella misura necessaria ad assicurare: a) il
rispetto dei diritti e della reputazione di altri; b) la protezione della sicurezza nazionale, dell'ordine pubblico o della salute o
della morale pubblica. 3. Il diritto di espressione non può essere limitato con metodi o mezzi indiretti, quali l'abuso di
controlli pubblici o privati sulla stampa periodica, sulle frequenze per le trasmissioni radio, o sulle strumentazioni per la
diffusione dell'informazione, o con ogni altro mezzo che tenda ad impedire la comunicazione e la circolazione di idee e
opinioni. 4. Nonostante quanto previsto nel paragrafo 2, gli spettacoli pubblici possono essere sottoposti da parte della legge
a forme di censura preventiva al solo scopo di regolarne l'accesso per proteggere la morale dell'infanzia e dell'adolescenza.
5. Qualunque propaganda in favore della guerra e qualunque richiamo all'odio nazionale, razziale o religioso che costituisca
incitamento alla violenza illegale o ad ogni altra azione simile contro qualunque persona o gruppo di persone per qualsiasi
ragione, compresi motivi di razza, colore, religione, lingua o origine nazionale o sociale, deve essere considerato dalla legge
come reato”.
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senza distinzione alcuna di razza, gruppo etnico, colore, sesso, lingua, religione, opinione politica o di
altra natura, origine sociale e nazionale, fortuna, nascita o altro status” 24. In virtù di ciò, gli artt. 8 e 9
riconoscono rispettivamente la libertà religiosa e la libertà di espressione.
L’HATE SPEECH COME DELITTO
Malgrado il gran numero di testi giuridici che fanno riferimento all’hate speech, non esiste una
definizione universalmente accettata di questo concetto 25. Da un punto di vista dottrinale, il politologo
indiano B. Parekh distingue tre caratteristiche fondamentali del discorso di incitamento all’odio.
In primo luogo, questo discorso riguarda un individuo o un gruppo di individui a partire da certe
caratteristiche. Se qualcuno afferma di odiare tutti gli esseri umani, non possiamo qualificare questa
dichiarazione come hate speech. È quindi irrilevante un discorso di incitamento all’odio che sia
talmente astratto e indeterminato da non implicare o ispirare un’azione determinata o che anche includa
il soggetto che compie la dichiarazione.
Il discorso di incitamento all’odio, in secondo luogo, stigmatizza il suo “obiettivo” attribuendogli
una serie di qualità che ordinariamente sono considerate indesiderabili. La generalizzazione dello
stereotipo implica che queste qualità siano considerate qualcosa di inamovibile, di sempre presente nei
componenti di questo gruppo.
In terzo luogo, si isola questo gruppo ponendolo al di fuori delle normali relazioni sociali. Si
etichettano gli individui di questo gruppo come persone che non sono in grado di osservare le minime
regole sociali e se ne considera ostile e inaccettabile la presenza 26.
Nemmeno in ambito normativo internazionale si è giunti a una definizione univoca, e la
terminologia varia nei diversi strumenti internazionali. La grande varietà di riferimenti all’hate speech
non permette, dunque, di avere un profilo unitario di questa figura giuridica.
L’art. 20 della Convenzione internazionale sui diritti civili e politici parla di “incitamento alla
discriminazione, all’ostilità o alla violenza”, mentre la Convenzione internazionale sull’eliminazione di
ogni forma di discriminazione razziale parla della “diffusione di idee sulla superiorità e sull’odio
razziale”.
Dall’altro lato, la Convenzione sui diritti dell’uomo e la Convenzione per l’eliminazione di ogni
discriminazione razziale prevedono che l’incitamento all’odio si verifichi quando si causa uno stato
d’animo passivo, senza la necessità che tale stato d’animo sfoci in un’azione 27. Si opta per una
definizione in cui l’incitamento alla discriminazione è un elemento imprescindibile e in cui una mera
24E all’art. 28 stabilisce che “Ogni individuo ha il dovere di rispettare e di considerare i suoi simili senza alcuna
discriminazione, e di intrattenere con essi relazioni che consentano di promuovere, salvaguardare e rafforzare il rispetto e la
tolleranza reciproci.”.
25Cfr. C. CIANITTO, L'incitamento all'odio religioso : Stati Uniti, India, Gran Bretagna, Italia: spunti comparativi, Torino
2012.
26B. PAREKH, Hate speech: Is there a case for banning, in “Public policy research” (2006), pp.660-661.
27L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani spiegava nel 2006 che la nozione di incitamento è usata
per descrivere almeno tre differenti idee: a) l’incitamento a un atto illegale che ha luogo (ad esempio, il genocidio, la
violenza e la discriminazione); b) l’incitamento a un atto illegale che non ha luogo, ma che crea nel destinatario il desiderio
di commettere un atto illegale; e c) la creazione di un certo stato d’animo – odio etnico, razzismo – senza vincoli con un
determinato atto illegale. I primi due casi, per loro qualifica, sono senza dubbio meno problematici da un punto di vista
pratico, ma va sottolineato che anche il terzo caso è vero e proprio incitamento all’odio. CONSIGLIO DEI DIRITTI UMANI,
Applicazione della Risoluzione 60/251 dell’Assemblea Generale, del 15 marzo 2006, intitolata “Incitamento all’odio
razziale e religioso e promozione della tolleranza: rapporto dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani,
A/HRC/2/6, 20 settembre 2006.
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diffusione di idee non è di per sé sufficiente, anche se non è necessario che si produca effettivamente
una reazione violenta.
La Raccomandazione 1805 sulla Blasfemia, insulti religiosi e linguaggio di odio contro persone
sulla base della loro religione aggiunge un’altra precisazione nel senso che vanno tollerate le
affermazioni critiche pubbliche e il dibattito sulle attività, gli insegnamenti e le credenze religiose,
sempre che codeste critiche non promuovano insulti gratuiti e intenzionali o incitamento all’odio, non
disturbino l’ordine pubblico, e non incitino alla violenza o alla discriminazione contro i fedeli di una
determinata religione. Le legge nazionali, quindi, dovrebbero sanzionare le espressioni su questioni
religiose “solo” nella misura in cui disturbino intenzionalmente e gravemente l’ordine pubblico e
promuovano la violenza pubblica, quando non vi sia altro rimedio efficace e con estrema prudenza. La
Commissione di Venezia suggerisce che l’indennizzo dei danni potrebbe essere una soluzione adeguata,
sempre che si riesca a evitare il cosiddetto chilling effect, cioè l’effetto deterrente che può evitare la
decisione o meno di pubblicare uno scritto per paura della responsabilità civile.
In ambito giurisprudenziale, il Tribunale Europeo dei Diritti Umani, pur senza giungere a una
definizione precisa, ha apportato parecchi dati per delimitare i profili penali dell’hate speech. Ha quindi
inteso che sussista tale azione antigiuridica in quelle forme di espressione che propagano, incitano,
promuovono o giustificano l’odio fondato sull’intolleranza, inclusa l’intolleranza religiosa 28. Ci
occuperemo di seguito di alcuni casi particolare di questa giurisprudenza.
L’“INCITAMENTO ALL’ODIO” PER MOTIVI RELIGIOSI NELLA PRASSI
GIURISPRUDENZIALE
Il Tribunale Europeo dei Diritti Umani si è pronunciato molte volte sulla figura giuridica
dell’hate speech29. Va ricordato che questo Tribunale, nell’esercizio della sua attività, non pretende di
sostituirsi ai tribunali interni competenti ma, relativamente ai conflitti tra libertà religiosa e libertà di
espressione, vuole solo verificare, dal punto di vista dell’art. 10 della Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell'uomo, se le sentenze sono state emesse correttamente, in virtù del suo
potere di valutazione30. Il Tribunale deve considerare il problema nel suo insieme, il contenuto delle
dichiarazioni in oggetto e il contesto in cui sono state diffuse, per stabilire se la limitazione di libertà di
espressione era “proporzionata a fini legittimi perseguiti” e se i motivi invocati dalle autorità nazionali
28Sentenza della CEDU, caso Müslüm Gündüz contro Turchia (2003), n. 40.
29 Il Tribunale dei Diritti Umani risolse nel 2000 il caso Ross vs Canada; Ross fu incolpato di incitamento all’odio.
Malcom Ross era un insegnante per bambini che nel tempo libero aveva scritto diversi libri su temi religiosi, sull’aborto, sul
conflitto tra il giudaismo e il cristianesimo e sulla difesa della religione cristiana. Anche se le sue erano opinioni private, che
non facevano parte dell’insegnamento, un genitore ebreo lo denunciò alla Scuola e fu gravemente sanzionato. Il Tribunale
verificò se vi era stata una qualche violazione dei diritti del richiedente, dopo che era stato sospeso dal servizio di
insegnamento per una settimana e successivamente trasferito a un incarico non docente. Nel testo della sentenza è scritto:
“sia la Commissione di Indagine che il Tribunale Supremo hanno ritenuto le affermazioni dell’autore discriminatorie nei
confronti di persone di fede e ascendenza ebraica, denigranti la fede e le credenze degli ebrei e incitavano i veri cristiani
non solo a mettere in discussione la validità delle credenze e degli insegnamenti ebraici, ma a disprezzare le persone di fede
e acendenza ebraica in quanto minavano la libertà, la democrazia, le credenze e i valori cristiani (…) Il Comitato è giunto
alla conclusione che le restrizioni imposte avevano il fine di proteggere i diritti e la reputazione delle persone di fede
ebraica, incluso il diritto di godere di un insegnamento pubblico libero da orientamenti, pregiudizi e intolleranza”. Dall’altro
lato, si parlava di “una relazione causale tra le espressioni dell’autore e un ambiente scolastico avvelenato” percepito dai
bambini ebrei della scuola. Cfr. Ross vs Canada (2000) e Faurisson vs Francia (1986), che trattano degli effetti delle
dichiarazioni nella creazione di sentimenti antisemiti.
30Così si dice esplicitamente in molte sentenze, ad esempio in quella della CEDU, caso Fressoz vs Roire (1999); e anche
in Klein vs Slovacchia (2006).
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TESTO PROVVISORIO
erano “pertinenti e sufficienti”. Si dovrà, poi, anche tenere conto della natura e della gravità delle pene
inflitte31.
Il Tribunale Europeo dei Diritti Umani può essere risolutivo se la libertà di espressione entra in
conflitto con un altro dei diritti garantiti dall’art. 17 della Convenzione, che vieta l’abuso di diritto 32.
Questo articolo, ad esempio, è stato applicato ad affermazioni che veicolano messaggi razzisti, che
difendono il nazionalsocialismo o che negano l’Olocausto. È stato affermato che la libertà di
espressione può essere delimitata per impedire la negazione dell’Olocausto e l’incitamento all’odio
contro gli ebrei33.
In mancanza di un abuso del genere, quindi nell’impossibilità di giustificare una delimitazione
della libertà di espressione secondo l’art. 17, occorre vedere se la legge nazionale preveda simili
restrizioni, imposte in relazione agli obiettivi fissati dall’art. 10.2. In quest’ultimo articolo si stabilisce
che, nell’esercizio della libertà di espressione, possono essere previste “alcune formalità, condizioni,
restrizioni o sanzioni previste dalla legge, che siano misure necessarie in una società democratica, per
la sicurezza nazionale, l’integrità territoriale o la sicurezza pubblica, la difesa dell’ordine pubblico e la
prevenzione dei crimini, la protezione della salute e della moralità, la protezione della reputazione o dei
diritti degli altri, per impedire la diffusione di informazioni confidenziali o per garantire l’autorità e
l’imparzialità del potere giudiziario”.
Il Tribunale Europeo dei Diritti Umani è andato via via stabilendo una serie di precisazioni per
valutare queste formalità, condizioni e restrizioni 34.
Quindi, anche se la autorità nazionali godono di un certo margine di autonomia nella valutazione
di suddette restrizioni, queste potranno essere accettate solo se rispondono a un pressing social need, a
una necessità sociale incombente, quando i mezzi usati sono proporzionali ai fini perseguiti 35.
Si deve tenere presente che l’impatto potenziale del “mezzo” con cui il discorso è veicolato è un
fattore importante per valutare la proporzionalità dell’interferenza.
Su questo aspetto, nel caso Klein vs Slovacchia, il Tribunale valutò che un articolo offensivo
contro un arcivescovo, pubblicato sul supplemento culturale di un giornale a tiratura limitata e rivolto a
uno scarno pubblico specialistico, non era un discorso di incitamento all’odio.
Il Tribunale dà molta importanza al contesto in cui viene fatta l’affermazione. È, cioè, di grande
importanza determinare se l’autore dell’affermazione stava diffondendo intenzionalmente idee razziste
e intolleranti attraverso l’uso dell’incitamento all’odio, o se invece stava solamente cercando di
31Sentenza della CEDU, caso Chauvy e altri vs Francia (2004).
32Articolo 17. Divieto dell’abuso del diritto. Nessuna disposizione della presente Convenzione può essere interpretata
come implicante il diritto per uno Stato, un gruppo o un individuo di esercitare un'attività o compiere un atto che miri alla
distruzione dei diritti o delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione o porre a questi diritti e a queste libertà
limitazioni più ampie di quelle previste in detta Convenzione.
33 Sentenza della CEDU, caso Garaudy vs Francia, del 24 giugno 2003; Sentenza della CEDU, caso Lehideux e Isorni vs
Francia, del 23 settembre 1998.
34 Sentenza della CEDU, Handyside vs Regno Unito, del 7 dicembre 1976; Sentenza della CEDU, caso Nur Radyo vs
Televizyon Yayıncılığı del 2007; Sentenza della CEDU, Gündüz vs Turchia del 2003, Sentenza della CEDU, caso Giniewski
vs Francia del 2006.
35Dice la Sentenza della CEDU, caso Kutlular vs Turchia del 29 aprile 2008: “L’aggettivo «necessario», nel senso della
sezione 2 dell’art. 10, implica una necessità sociale imperiosa. In generale, la «necessità» di un’ingerenza nell’esercizio
della libertà di espressione deve essere stabilita in maniera convincente. Certamente, in primo luogo spetta alle autorità
nazionali valutare se esiste una necessità tale da giustificare questa ingerenza e, a tal fine, esse godono di un margine
valutativo «amplio» quando ciò che è in oggetto è la libertà di espressione, essendo essa in grado di offendere le convinzioni
personali intime riferite alla morale o alla religione (vedere Otto Preminger-Institut vs Austria, Sentenza del 20 settembre
1994 [ CEDU 1994, 29] , serie A num. 295-A, sez. 50 e Aydın Tatlav vs Turchia, num. 50692/99, sez. 24, del 2 maggio 2006
[ PROV 2006, 139132] ). Tuttavia, vi è anche un controllo del Tribunale sulla Legge e sulle motivazioni che la applicano”.
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TESTO PROVVISORIO
informare il pubblico su una questione di interesse comune 36. In quest’ultimo caso, infatti, dichiarazioni
del genere sono protette dall’art. 10 del CEDU.
Nel caso Müslüm Gündüz vs Turchia (2003), si tenne conto che le dichiarazioni orali fatte in
diretta durante una trasmissione televisiva, non potevano essere riformulate, perfezionate o ritirate
prima di essere rese pubbliche. In quello Kutlular vs Turchia del 29 aprile 2008, il giudice Türmen fa
riferimento ancora al contesto nel giudicare come incitamento all’odio un discorso che attribuiva la
colpa di una catastrofe agli “infedeli”, perché l’incidente era avvenuto nella moschea maggiore di
Ankara, luogo di espressione di profondi sentimenti religiosi, dove ogni giorno si riuniscono un
considerevole numero di fedeli. Tale circostanza conferisce al discorso un carattere ancora più lesivo.
Per determinare la sussistenza di un discorso di incitamento all’odio, si deve analizzare anche
quale era l’obiettivo della persona che ha pronunciato le dichiarazioni offensive. In realtà, è proprio qui
la chiave per stabilire se ci sia stata o meno un’azione di siffatta natura.
Così, nel caso Giniewski vs Francia del 31 gennaio 2006, dove nei tribunali francesi c’era stata
una grave accusa di antisemitismo nei confronti dei cattolici, accusati anche di essere parzialmente
responsabili dei massacri nazisti, il Tribunale Europeo vide solo l’esposizione di una tesi sulle cause
della persecuzione degli ebrei in Europa. Ritenne che l’articolo scritto dall’accusato non contenesse
propriamente un attacco gratuito alle credenze religiose come tali, ma piuttosto una riflessione su un
tema che era importante nel momento in cui si verificarono i fatti 37.
Nel caso Jersild, il Tribunale Europeo dei Diritti Umani sostenne che la trasmissione di un
programma televisivo contenente dichiarazioni di incitamento all’odio da parte di estremisti razzisti
fosse protetta perché l’intenzione del produttore era quella di creare un dibattito pubblico sul tema.
Il Tribunale ha interpretato che il solo e semplice fatto di esporre la sharia, senza alcun
riferimento all’uso della violenza per ottenerla, non può essere considerato discorso di incitamento
all’odio38, malgrado si riconoscano le difficoltà di rendere compatibile la sharia e il rispetto della
democrazia39.
Ha ritenuto, invece, che la negazione dell’Olocausto non può essere garantita come libertà di
espressione, in quanto implica un proposito “di diffamazione razziale e di incitamento all’odio verso gli
ebrei” (Garaudy vs Francia, 24 giugno 2003). In particolare, questa volta si trattava della
pubblicazione di diversi articoli che negavano la realtà dell’Olocausto con la manifesta finalità di
attaccare lo Stato di Israele e il popolo ebraico nel suo insieme. Il Tribunale ha tenuto conto in maniera
decisiva dell’intenzione di accusare le stesse vittime di avere falsificato la storia 40, attentando contro i
diritti degli altri 41.
36 Fa riferimento alla necessità di valutare il testo e il contesto per qualificare la legittimità dell’intromisione dello Stato
nella limitazione della libertà di espressione (CEDU, News Verlags GmbH & CoKG v. Austria, 2000)
37J. MARTÍNEZ-TORRÓN , Libertad de expresión y libertad religiosa en la jurisprudencia de Estrasburgo, in “Quaderni di
diritto e politica ecclesiastica” XVI, nº 1 (2008), p.28.
38Sentenza della CEDU Müslüm Gündüz vs Turchia (2003) e Sentenza della CEDU, caso I.A. vs Turchia del 13 settembre
2005.
39Sentenza Refah Partisi (Partito della Prosperità) e altri vs Turchia (2003).
40Dal punto di vista dottrinale, B. Parekh afferma che non si può parlare propriamente di odio nel “negazionismo” perché, anche
se in queste affermazioni manca la verità, si tratta pur sempre di un’opinione in più che deve essere tollerata in una società “allo
stesso modo che si tollera chi crede nella stregoneria o che la terra sia piatta”. Ammette, però, che potrebbe trattarsi di un modo
cifrato di dire che non si può avere fiducia degli ebrei, che la loro è una presenza scomoda nella società o che non è possibile
convivervi. B. PAREKH, cit., p. 662.
41Posteriormente, ha parlato, obiter dicta, della differenza tra il dibattito ancora aperto tra gli storici sugli aspetti del
genocidio del regime nazista, previsto dall’art. 10, e la mera negazione di “fatti storici chiaramente accertati” che gli Stati
possono sottrarre alla protezione del medesimo articolo, applicando l’art. 17 (Sentenza della CEDU, caso Lehideux e Isorni
vs Francia, 23 settembre 1998; Chauvy e altri vs Francia, 23 giugno 2004, § 69).
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TESTO PROVVISORIO
Sono considerati fattori determinanti, anche se l’autore o la vittima delle affermazioni sono un
giornalista o un politico42, il profilo dei destinatari delle opinioni e delle espressioni, la pubblicità e il
potenziale impatto comunicativo.
Ma, fino a che punto è necessaria la presenza della violenza nel discorso di incitamento all’odio?
Un caso paradigmatico è Soulas e altri vs Francia, del 10 luglio 2008.
Gilles Soulas aveva pubblicato un libro dal titolo La colonizzazione dell’Europa. La vera storia
dell’immigrazione e dell’Islam. Con quest’opera l’autore voleva “sottolineare in maniera peculiare e
secondo la sua convinzione l’incompatibilità tra la civiltà europea e civiltà islamica in un’area
geografica specifica”. Fu accusato del crimine di incitamento alla discriminazione, all’odio e alla
violenza nei confronti di una persona o di un gruppo di persone a causa della loro origine, della loro
appartenenza o non appartenenza a una razza, nazione, etnia o religione, contemplato dalla legge
francese del 29 luglio 1881. Nel capitolo dedicato a quelle che egli considera le possibili soluzioni alla
“colonizzazione dell’Europa da parte del terzo mondo”, affermava che “solo se scoppia una guerra
civile etnica potrà esservi una soluzione” 43.
Il Tribunale Europeo dei Diritti Umani ritenne che le questioni affrontate dal libro erano di
interesse generale: l’insediamento e l’integrazione degli emigranti nei paesi di accoglienza, un tema
attualmente molto dibattuto nelle società europee, sia a livello politico che nei mezzi di comunicazione.
Per principio, quindi, la libertà di espressione su questa materia deve essere ampiamente garantita.
Il libro in questione fu, poi, pubblicato in un contesto particolare, tenendo presente la massiccia
emigrazione islamica in Francia. Da questa affermazione possiamo dedurre che il Tribunale valuti la
maggiore capacità potenziale di reazione e la pericolosità della società in oggetto, come fattore che può
alleggerire la responsabilità penale.
D’altro canto, il saggio è opera di un giornalista, di facile lettura e con un linguaggio familiare
per i lettori della carta stampata: era quindi diretto al grande pubblico. Il piano dell’opera è concepito
secondo uno schema classico, che include un’analisi della situazione, alcune proposte e le loro
eventuali conseguenze e, infine, una previsione sul futuro. Sebbene la sentenza non lo affermi
esplicitamente, si può concludere che il Tribunale sottolinei queste circostanze per giustificare la
maggiore lesività potenziale dell’opera, a causa del suo carattere divulgativo.
Quanto al contenuto, il Tribunale segnala che vari passi del libro offrono un’immagine negativa
delle comunità citate. Lo stile è a volte polemico e la presentazione degli effetti dell’immigrazione
catastrofica. Il Tribunale di Appello aveva indicato che le parole usate nel libro avevano lo scopo di
provocare nei lettori un sentimento di rifiuto e antagonismo, aggravato dall’uso di un linguaggio
militare nei confronti delle citate comunità, indicate come il nemico principale. Per questi motivi, il
Tribunale giudicò che si trattava di un caso di incitamento all’odio.
Nonostante tutto, è importante sottolineare il fatto che, nell’ambito della giurisprudenza, se si
confronta il caso Otto-Preminger-Institut e Wingrove con alcuni più recenti, il Tribunale Europeo dei
42In tal senso, la CEDU ha sostenuto esservi poco margine per le restrizioni del discorso politici o del dibattito su questioni
di interesse pubblico. Le ingerenze nella libertà di espressione dei membri e dei dirigenti dei partiti politici richiedono a
questo Tribunale un controllo particolarmente vigilante (caso Castells vs Spagna, § 42 e caso Incal, § 46). Ciò malgrado, va
anche tenuto presente che i politici devono particolarmente evitare qualsiasi tipo di incitamento all’odio, “it is of crucial
importance that politicians in their public speeches refrain from making any statement which can provoke intolerance.”
Sentenza della CEDU, caso Erbakan vs Turchia, 6 luglio 2006, § 64.
43Si basava sulla crescita prevedibile, secondo la sua opinione della “delinquenza e guerriglia territoriale delle bande
etniche, e anche sulla volontà di occupazione organizzata dell’Islam in Europa su cui si torna a insistere e a porre l’accento
sulla necessità, da questo punto di vista, di preparare una minoranza attiva di giovani, uno zoccolo duro a cui si uniranno
nuovi combattenti”.
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TESTO PROVVISORIO
Diritti Umani, senza avere esplicitamente modificato i suoi criteri di giudizio, attualmente tende a
risolvere i conflitti tra libertà religiosa e libertà di espressione a favore di quest’ultima 44.
Il Consiglio d’Europa stesso, attraverso la Commissione di Venezia, ritiene che “la Convenzione
non garantisce esplicitamente il diritto alla protezione dei sentimenti religiosi. Più esattamente, questo
diritto non può derivare dal diritto alla libertà religiosa che, in realtà, comprende anche un diritto di
esprimere punti di vista che critichino le opinioni religiose altrui”45.
Ammette però che il rispetto per i sentimenti religiosi può essere violato da provocazioni su
oggetti di venerazione religiosa e da attacchi offensivi ai principi e dogmi religiosi, e ritiene che questo
tipo di azioni violino lo spirito di tolleranza proprio di una società democratica. Inoltre, riconosce che
la Convenzione va letta nel suo insieme, perciò anche la libertà di espressione va confrontata con il
diritto altrui di essere rispettati nella propria religione e nelle proprie convinzioni, e anche con
l’interesse generale di preservare l’ordine pubblico (“pace religiosa” inclusa) 46. Tuttavia – e questo è il
vero problema – malgrado tutti questi ragionamenti, la Commissione conclude che “non è necessario
né desiderabile istituire il delitto di insulto religioso (cioè, di insulto ai sentimenti religiosi) simpliciter,
senza che l’aspetto di incitamento all’odio ne sia parte essenziale” 47.
A mio modo di vedere, c’è un errore di base in questa impostazione che, in un certo senso, è
comprensibile. Se non è difficile distinguere gli insulti religiosi e il delitto di blasfemia, in quanto nel
primo caso si protegge il credente e nel secondo la credenza, quando il bene giuridico da proteggere
nell’insulto religioso o vilipendio è il rispetto dei sentimenti religiosi, c’è il pericolo di considerarlo come
qualcosa di svincolato dalla libertà religiosa. Mentre nessuno dubita della proporzionalità e della necessità
della protezione penale della libertà religiosa, i sentimenti religiosi sono considerati come qualcosa di
entità giuridica minore. Si conclude, pertanto, che non meritino l’intervento della ultima ratio penale.
Come ho avuto modo di affermare in altre occasioni, non c’è nessun bisogno di moltiplicare i tipi
penali relativi al fattore religioso, come se fossero sottoposti a una forza centrifuga 48. A partire
dall’approfondimento del “contenuto essenziale” della libertà religiosa, occorre realizzare un
parallelismo con la terminologia in fieri e in facto esse del diritto matrimoniale. Se si riduce il
contenuto della libertà religiosa a quelle situazioni in cui il soggetto decide se assistere o meno a un
atto, se seguire o meno una confessione, come mera immunità di coazione, la libertà religiosa è
contemplata solo parzialmente, ponendo l’accento solo sulla sua dimensione in fieri. Invece, la libertà
religiosa comprende altri casi relativi al godimento e allo sfruttamento pacifico di tale libertà, che
devono anch’essi essere coperti da tutela penale. Lo ha riconosciuto più volte lo stesso Tribunale
Europeo dei Diritti Umani. Nel caso Klein vs Slovacchia, al n. 47 afferma: “sebbene le garanzie
dell’art. 10 siano applicabili anche alle idee che offendono, criticano o molestano, chi esercita la libertà
di espressione assume doveri e responsabilità. Tra questi – nell’ambito delle opinioni e credenze
44J. MARTÍNEZ-TORRÓN, Freedom of Expression versus Freedom of Religion in the European Court of Human Rights ,
nell’opera collettiva “Censorial Sensitivities: Free Speech and Religion in a Fundamentalist World” (ed. A. Sajó), Budapest
2007, pp. 233-269; J. MARTÍNEZ-TORRÓN , Libertad de expresión y libertad religiosa en la jurisprudencia de Estrasburgo,
in “Quaderni di diritto e politica ecclesiastica” XVI, nº 1 (2008), pp. 15-42.
45Ammette, tuttavia, che possa essere legittimo in base alla finalità dell’art. 10 di proteggere i sentimenti religiosi di alcuni
membri della società di fronte alle critiche e agli insulti di una certa gravità; la tolleranza va intesa in un doppio senso e non
si possono autorizzare attacchi violenti e ingiuriosi contro un gruppo in una società democratica.
46EUROPEAN COMMISSION FOR DEMOCRACY THROUGH LAW, (Venice Commission), Draft preliminary report on the national
legislation in Europe concerning insults and inciting religious hatred, prepared on the basis of comments by Mr. Louis-Léon
Christians (expert, Belgium), Mr. Pieter van Dijk (member, the Netherlands), Ms Finola Flanagan (member, Ireland), Ms Hanna
Suchocka (member, Poland). Study no. 406 / 2006, Strasbourg, 12 March 2007.
47Idem. E aggiunge: “The Commission reiterates that, in its view, criminal sanctions are only appropriate in respect of
incitement to hatred (unless public order offences are appropriate)”.
48F. PÉREZ-MADRID, La tutela penal del factor religioso en el Derecho español, Pamplona 1995, pp.220-225.
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TESTO PROVVISORIO
religiose – si può legittimamente comprendere anche l’obbligo di assicurare il pacifico sfruttamento dei
diritti garantiti dall’art. 9 a coloro che hanno queste credenze, includendo anche il dovere di evitare,
nella misura del possibile, espressioni gratuitamente offensive nei confronti di oggetti di
venerazione”49.
È secondo me impossibile tutelare la libertà religiosa senza proteggere anche persone, cose e
valori. Non stiamo forzando il concetto di “contenuto essenziale” della libertà religiosa per giustificare
questa tesi. L’oggetto dei diritti soggettivi è il fascio di poteri, o ambito di potere, l’oggetto e il suo
godimento, il guadagno o il vantaggio, in cui si materializza la situazione di potere, ossia gli interessi
giuridicamente proteggibili 50.
Anche il sentimento religioso merita tutela penale come espressione della personalità, come
momento centrale di una dignità, per così dire, esistenziale, dato originario e inerente della natura
umana51. In tal senso, la protezione penale non si presta al riconoscimento emotivo di questa o quella
spiegazione trascendente della vita, ma alla dignità della relazione tra la persona e alcuni valori 52.
La libertà di espressione è un valore importante ma non assoluto, e nemmeno l’unico da
garantire. Ma, come dicevamo prima, a partire dalle conclusioni della Commissione di Venezia e del
recente Manuel sur le discours de haine53, si rileva che il Consiglio d’Europa ha privilegiato la
protezione della libertà di espressione, alzando la soglia del penalmente punibile alle azioni
riconosciute come hate speech, e convertendo di fatto il vilipendio e l’insulto religioso in un tipo di
azioni che non solo sono protette dalla libertà di espressione, ma anche in qualche modo dalla stessa
libertà religiosa.
LA DIFFAMAZIONE DELLE RELIGIONI
È pertanto sorprendente che di fronte a questa tendenza in ambito europeo a favorire la tolleranza
rispetto alla critica o all’offesa dei sentimenti religiosi, le Nazioni Unite abbiano approvato varie
Risoluzioni sulla diffamazione delle religioni 54, anche se grazie all’appoggio dei paesi islamici e
sempre per una manciata di voti.
Dato che i testi di queste Risoluzioni sono abbastanza simili, ci soffermeremo ad analizzare solo
quella approvata il 18 dicembre 200855. Non c’è bisogno di una lettura molto attenta per accorgersi che
49Sentenza della CEDU, caso Klein vs Slovacchia del 31 ottobre 2006.
50Nell’epoca liberale delle grandi legislazioni europee, Germania e Italia tradussero e consolidarono, pur se con sfumature
diverse, i cambiamenti dogmatici, logici e storico-politici, attraverso i quali il sentimento religioso come oggetto di tutela
penale passava a essere considerato dal punto di vista individuale piuttosto che collettivo. In questi Codici della fine del
liberalismo, si rinuncia a proteggere la dimensione etica, oggettiva e storico-culturale del fenomeno religioso per fissare
l’attenzione su una diversa dimensione di valori. Si pone, cioè, l’accento sulla relazione dell’uomo con il trascendente,
soprattutto sul sentimento religioso del credente come personalissimo atto di coscienza. La tutela penale non è più
condizionata dal grado di diffusione quantitativa delle diverse religioni, né dalla loro tradizione culturale e nemmeno dalla
capacità di coesione sociale del fattore religioso, come appariva nel modello del sentimento religioso collettivo.
51 Su questa questione, cfr. P. SIRACUSANO, I delitti in materia di religione. Milano 1983, p. 272.
52Martínez Torrón vede necessario un clima di rispetto e tolleranza in cui gli individui possano esercitare liberamente il
proprio diritto alla libertà religiosa senza intimidazioni nel suo articolo Freedom of Expression versus Freedom of Religion
in the European Court of human Rights, nell’opera collettiva “Censorial Sensitivities: Free Speech and Religion in a
Fundamentalist World” (ed. A. Sajó), Budapest 2007, p.263.
53 A. WEBER, Manuel sur le discours de haine (Council of Europe manuals), Martinus Nijhoff Publishers, Leiden 2009.
54Risoluzione dell’Assemblea Generale 60/50, 61/164, 62/154; la Risoluzione della Commissione per i Diritti Umani
1999/82, 2000/84, 2001/4, 2002/9, 2003/4, 2004/6, 2005/3; e le Risoluzioni del Consiglio per i Diritti Umani 4/9, 7/19.
55 A/HRC/7/L.15, Progetto del 20 marzo 2008 per il Pakistan, a nome dell’Organizzazione della Conferenza Islamica.
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TESTO PROVVISORIO
si tratta di un richiamo alla comunità internazionale sugli atteggiamenti di intolleranza e le
generalizzazioni negative delle religioni e delle credenze, che attribuisce la causa di questo fenomeno
agli eventi dell’11 settembre. L’associazione tra Islam, terrorismo e violazione dei diritti umani,
alimentata dai mezzi di comunicazione e dalla rete, incita alla violenza, alla xenofobia, all’intolleranza
e alla discriminazione. Le conseguenze denunciate dalla Risoluzione sono gli attacchi contro luoghi di
culto, centri culturali e simboli religiosi. Per questo motivo si chiede agli Stati di prendere misure
risolutive per proibire la diffusione di idee razziste e xenofobe o di materiale che promuova
l’incitamento alla discriminazione e alla violenza 56.
In alcuni passi si fa certamente riferimento alla diffamazione di tutte le religioni, ma il testo
insiste in maniera evidente ed esplicita sulla necessità di proteggere l’Islam e i musulmani. Questo è
senza dubbio stato uno dei principali motivi di critica verso questa decisione delle Nazioni Unite 57. Se il
testo ha la pretesa di evitare la creazione di stereotipi e promuovere la libertà religiosa in un clima di
rispetto e tolleranza, che senso ha allora questa attenzione all’Islam, quando la Risoluzione dovrà
essere osservata in ambito internazionale?
Si comprende che nell’ambito delle Nazioni Unite un testo del genere possa essere approvato con
il concorso fondamentale dei voti dei paesi appartenenti all’OIC. Quello che stupisce, invece, è che
anche il Consiglio Europeo “tratta con disparità” le religioni e “discrimina positivamente” quando offre
orientamenti per promuovere la tolleranza. Così, la Commissione Europea contro il Razzismo e
l’Intolleranza ha approvato due Raccomandazioni di politica generale sulla lotta all’intolleranza e la
discriminazione: una rivolta ai musulmani58 e un’altra sulla lotta contro l’antisemitismo59. Nella prima,
in relazione alle possibili offese contro le credenze religiose islamiche, si raccomanda unicamente agli
Stati “che incoraggino un dibattito con i mezzi di comunicazione e i pubblicitari sull’immagine che
offrono dell’Islam e delle comunità musulmane e sulla loro relativa responsabilità di evitare il
perpetuarsi di pregiudizi e informazioni tendenziose”. Nella Raccomandazione sull’antisemitismo le
indicazioni hanno delle pretese addirittura più ambiziose. In particolare, si sollecitano gli Stati ad
“assicurare che il diritto penale nell’ambito della lotta contro il razzismo includa l’antisemitismo e
penalizzi: (…) gli insulti e la diffamazione in pubblico di una persona o di un gruppo di persone a
causa dell’identità od origine ebraica vera o presunta; l’espressione in pubblico, con finalità antisemite,
di un’ideologia che disprezzi o denigri un gruppo di persone a motivo della loro identità od origine
ebraica”60.
56Sollecita che tutti gli Stati assicurino che l’amministrazione, le autorità, i militari, i funzionari e gli educatori, nelle loro
funzioni ufficiali rispettino le differenti religioni e credenze, e non discriminino a causa della religione o della credenza; che
si realizzino azioni a livello locale, nazionale, regionale e internazionale attraverso l’educazione e la presa di coscienza. Per
un’altra serie di misure, suggerisce agli Stati di garantire un accesso ugualitario per tutti all’educazione, nella legge e nella
pratica, basato sul rispetto dei diritti umani, della diversità, sulla tolleranza senza discriminazione di alcun tipo, e di scartare
qualsiasi misura che supponga segregazione razziale nell’accesso alla scolarizzazione. Inoltre, si incoraggia ad approfondire
maggiormente il dialogo sulla diversità e si chiede che il Relatore speciale sulle forme contemporanee di razzismo,
discriminazione razziale, xenofobia e intolleranza continui a esaminare la situazione dei musulmani e delle persone arabe
nelle varie parti del mondo, la discriminazione da loro sofferta per quanto riguarda l’accesso alla giustizia, alla
partecipazione politica, il rispetto delle culture e gli attacchi contro i luoghi di culto.
57Il Relatore della Libertà di Espressione delle Nazioni Unite, dell’OSCE, dell’Organizzazione degli Stati Americani
(OAS) e della Commissione Africana dei Diritti dell’Uomo e dei Popoli (ACHPR) pubblicarono una dichiarazione
congiunta di rifiuto della decisione.
58 Raccomandazione n. 5 di Politica generale della ECRI del 16 marzo 2000.
59Raccomandazione n. 9 di Politica generale della ECRI del 25 giugno 2004.
60Anche “la diffusione o distribuzione pubbliche, o la produzione o raccolta destinata alla diffusione o distribuzione
pubblica, con propositi antisemiti, di materiale scritto, con immagini o qualsiasi altro materiale che contenga le
manifestazioni previste ai punti a), b), c), d), e), f), precedenti”. I punti citati si riferiscono all’incitamento all’odio, agli
insulti, alla negazione dell’Olocausto, alla trivializzazione del genocidio e altre questioni simili”.
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TESTO PROVVISORIO
Come ha sottolineato il delegato della Santa Sede presso le Nazioni Unite, il concetto di
diffamazione delle religioni racchiude un certo rischio: quello di spostare l’attenzione da un diritto
fondamentale di individui e gruppi verso la protezione di alcune istituzioni, simboli e idee, proprio
mentre si sta indebolendo la protezione dei sentimenti religiosi dei credenti 61.
La diffamazione delle religioni, in pratica, potrebbe portare a impedire la libertà di espressione in
pubblico, o a una specie di controllo a priori di ciò che è religiosamente corretto da parte di gruppi di
maggioranza, specialmente nei paesi islamici dove non esiste un pieno riconoscimento dei diritti e delle
libertà fondamentali 62. Perciò, un blindaggio dell’Islam che lo protegga da qualsiasi commento o critica
potrebbe condurre a una repressione delle altre religioni di minoranza nei paesi islamici, e degli stessi
musulmani.
Dunque, il problema principale è che non possiamo ricavare dal testo un concetto chiaro di
“diffamazione delle religioni”. Che significa esattamente diffamazione in un contesto simile? Possiamo
affermare che si tratta di una sottocategoria dell’hate speech, o ha una natura diversa? Quanto a
quest’ultima domanda, oserei rispondere che sono due figure giuridiche diverse. È ovvio che l’hate
speech offra uno spettro più ampio di possibilità, in quanto può essere commesso per motivi di razza,
religione, etnia, ideologia, sesso e altri aspetti simili. Ma nel caso di Diffamazione delle Religioni, il
soggetto passivo è sempre la credenza, il sistema religioso, mentre nell’incitamento all’odio sarà una
persona o un gruppo di persone individuate da un determinato criterio considerato intollerabile.
Come ha ben indicato Lerner, la differenza tra la critica accettabile a una determinata religione
nel sostenere che un certo dogma è sbagliato, assurdo o falso, da un lato, e l’incitamento all’odio contro
questa stessa religione, dall’altro, non è una questione meramente quantitativa o misurabile. E, inoltre,
una questione fondamentale sarà determinare quando la critica diventa diffamazione, e quando la
diffamazione si converte in incitamento alla discriminazione, all’ostilità e alla violenza. Ovviamente,
qui è l’intenzione a giocare un ruolo decisivo 63.
Possiamo concludere che, per tutti i motivi formali e materiali fin qui esposti, la formula finora
conosciuta di condanna per la diffamazione delle religioni presenta più rischi e pericoli che vantaggi.
Qualsiasi genere di Risoluzione o iniziativa legislativa internazionale dovrà proteggere il pacifico
esercizio della libertà religiosa di tutte le persone e di tutti i credi, senza distinzioni. Per questo motivo
mi sento di condividere la proposta di quanti reclamano che, invece di Risoluzioni contro la
“diffamazione delle religioni”, dovrebbero essere approvate “Risoluzioni per la protezione dei
sentimenti religiosi” 64. Ma, come dice l’antico proverbio, le leggi vanno dove i re vogliono.
61C. MIGLIORE, Messaggio alla 63° sessione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite sulla libertà religiosa, 29
ottobre 2008, New York. Riportato da Zenit.org.
62Vedere Z. COMBALÍA, El derecho de libertad religiosa en el mundo islámico, Pamplona 2001.
63N. LERNER, intervento in Expert seminar on the links between articles 19 and 20 of the International Covenant on Civil
and Political Rights (ICCPR): Freedom of expression and advocacy of religious hatred that constitutes incitement to
discrimination, hostility or violence (2-3 October 2008, Geneva, Palais des Nations, Room XXI). www2.ohchr.org.
64BECKET FUND FOR RELIGIOUS LIBERTY, Issues Brief submitted to the UN Office of the High Commisioner for Human
Rights. Combating defamation of Religions, 2 June 2008, p. 8.
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