Un computer per non dimenticare
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Un computer per non dimenticare
Collana I Quaderni di eTutorWeb diretta dal prof. Antonio Cocozza #Un computer per non dimenticare a cura della redazione www.etutorweb.it # Un computer per non dimenticare di Mario Rusconi e Alfonso Benevento Web, Rete, Internet, Email, Social sono solo alcuni dei termini ormai entrati, di fatto, nel nuovo lessico ma che soprattutto sono diventati riti e consuetudini delle giornate di tutti noi, anzi di ogni nostro momento del giorno. Eppure né Turing né Zuse, con i loro prototipi di personal computer, avrebbero mai potuto immaginare la rivoluzione che in seguito si sarebbe scatenata con le loro macchine, frutto di tanta passione e di un sorprendente intuito. Né tantomeno Berners-Lee quando invento l’ipertesto, e quindi poi il www, avrebbe mai immaginato le straordinarie conseguenze che ci sarebbero state con quel software che il CERN, seppur la considera una brillante idea non ritenne di promuovere. Sembra di parlare di secoli di storia, ma sono soltanto pochissimi anni fa. Oggi proprio da queste invenzioni geniali, e del tutto singolari per quei tempi, si può dire che discenda ciò che è definita come la terza rivoluzione industriale. Una rivoluzione, che ha diverse peculiarità e che tocca differenti ambiti. Probabilmente sono tre gli aspetti più importanti, della società contemporanea e di quelle future, che queste tecnologie hanno travolto, stravolto e prefigurato. Certamente quello economico, con interessi mondiali in gioco per un predominio in un settore senza confini e che coinvolge l’intero genere umano senza distinzione d’età. Riuscire a controllare enormi masse di persone attraverso filmati, video virali, pubblicità e notizie certamente non è facile. E’ la posta in gioco ad essere veramente molto alta per cui non è un caso che oggi la televisione sia diventato il secondo strumento di divulgazione in una classifica ideale che vede internet al primo posto. Un mondo quest’ultimo dove (almeno apparentemente) non c’è costo per entrare. L’altro aspetto è sicuramente legato al pensiero come forma propria del modo di ragionare e argomentare. La connessione alla rete sempre attiva, l’aver a portata di mano qualsiasi informazione, il riuscire a trovare in qualsiasi momento la risposta giusta mette tutti nelle condizioni di agire senza aspettare. Non è un caso che le idee, le mode e le abitudini, riescano a influenzare e penetrare la struttura sociale in maniera più pertinente e pervasiva rispetto a un tempo. Il terzo aspetto è quello della comunicazione e dell’informazione. L’always on, il riuscire a essere nello stesso istante lettori e interpreti di se stessi, pubblicare e interpretare ciò che si vuole senza vincoli ha cambiato la condizione sostanziale di ciascuno. Il paradosso di essere contemporaneamente in ogni dove pur rimanendo fermi. Tutto questo, e altro ancora, grazie alla tecnologia e alle sue applicazioni. Eppure proprio queste stesse possono essere vissute secondo schemi di opportunità o rischi. Dipende dall’uso o dall’abuso che se ne fa. Dall’immagine talvolta distorta che si vuol dare o adoperare. Non è un caso che allora uno strumento di questo tipo debba esser utilizzato con consapevolezza. Sicuramente la capacità di memoria, come testimonianza, insieme al concetto di libertà è ciò che più appartiene al mondo del computer. Quella stessa libertà che ha un solo obbligo morale: saper entrare in relazione con ciò che le sta intorno al vasto mondo d’internet rispettando i concetti di pluralità e diversità. Proprio per questo siamo convinti che sia importante lanciare nel giorno della memoria l’hastag: # Uncomputerpernondimenticare, quale testimone di un giorno che rimanga vivo e attivo sempre. E’ al computer assieme al libro e alla matita la consegna del ricordo nel tempo. La giornata della memoria di Alessandro Di Liegro La giornata della Memoria non è la festa della mamma. Non è quella del papà, non è la giornata mondiale del cibo. Anzi, sarebbe anche inopportuno chiamarla giornata della Memoria perché non ne esiste solo una. Ne esistono molteplici, perché la memoria non è un dato oggettivo ma è parte della coscienza di ognuno, forgiando personalità, imprimendosi nelle esistenze. Dedicare un giorno solo all'Olocausto è improprio. Tragedie come quelle della Shoah fanno parte di una collettività pensante, avendo un riflesso travolgente sulla comunità umana, che prevarica la semplice memoria di chi ha vissuto direttamente quell'orrore, diventando parte fondante della nostra società. Chiunque sia nato dopo il 1945 ha quel peccato originale ancorato nelle coscienze. Noi sappiamo perché, finora, abbiamo avuto chi ce lo ha raccontato, chi ne ha perpetuato il ricordo oralmente o tramite lo scritto: abbiamo avuto Primo Levi, Dacia Maraini, Giorgio Bassani, Anne Frank, Liana Millu, Salmen Gradowski. Abbiamo avuto grandi opere cinematografiche, come Schindler's list, Train de vie, La vita è bella. Ma cosa succederà quando fra 50 o 100 anni l'Olocausto sarà sempre più lontano nel tempo? Chi alimenterà quel fuoco? La Shoah (catastrofe) è la più grande tragedia dell'odio razziale, del diverso, è la testimonianza diretta di quanto perversa possa essere la mente umana e a quale orrore possa portare: il genocidio. Olocausto deriva dal greco. Sta per “bruciare interiormente” e, nel giudaismo, indica la più retta forma di sacrifico. Frank Chalk e Kurt Johansson ritengono il genocidio “Una forma di massacro di massa unilaterale con cui uno Stato o un'altra autorità ha intenzione di distruggere un gruppo, gruppo che è definito, così come i suoi membri, dall'aggressore”. A oggi è ritenuta la definizione più corretta dagli studiosi. Pochi anni prima dell'introduzione delle leggi razziali in Italia e nei territori controllati dalla Germania nazionalsocialista, fra il 1915 e il 1923, il governo nazionalista ottomano dei Giovani Turchi sterminò 2,5 milioni di cristiani fra Armenia e Grecia. Ancora prima, durante il periodo coloniale, gli europei hanno raso al suolo popolazioni intere: gli olandesi a Giava (200.000 vittime), i portoghesi in Mozambico (100.000 morti), i tedeschi in Africa Orientale (145.000 persone uccise). I tasmaniani vennero addirittura estinti. Nel 1932 i Russi assediarono l'Ucraina provocando un numero incerto – fra 1,5 e 10 milioni – di vittime, annientarono la popolazione Kulaki uccidendo 600.000 uomini. Il maresciallo Tito, attraverso le foibe, fece sparire circa 20.000 italiani che vivevano in Dalmazia. E, per arrivare ai giorni nostri, una seppure breve menzione va alla strage degli Hutu da parte dei Tutsi (fra il 1962 e il 1994), i Janjawid nel Darfur che, appoggiati dal governo del Sudan, sterminano (ancora oggi) i gruppi etnici Fur, Zaghawa e Masalit (200.000/400.000 morti), i Khmer Rossi in Myanmar, Timor Est, gli attacchi perpetrati dal regime di Yahya Kahn contro il Pakistan e dal regime di Suharto contro il partito comunista indonesiano. Il suono di alcuni nomi rimandano sinesteticamente al concetto di orrore: Milosevic, Pol Pot, Videla, Pinochet, Saddam Hussein, Ceaucescu, Stalin, Goebbels, Hitler. La giornata della Memoria non è un mero esercizio mnemonico, un rito da festeggiare ogni anno quasi per inerzia, un interruttore da accendere una tantum. La Memoria deve vivere ogni giorno. Noi siamo la Memoria. Strategia comunicativa dei terroristi come male assoluto contrapposto al bene! di Gianpiero Gamaleri L’atroce uccisione di tredici ragazzini da pare dell’ISIS a Mosul in Iraq, per aver visto una partita di calcio della Coppa d’Asia, ripropone il quesito – già ampiamente affrontato nel 1978 per le Brigate Rosse ai tempi del sequestro Moro – se staccare la spina dell’informazione, come prospettato da McLuhan, per evitare un panico planetario. Ritengo, al contrario, che vi debba essere una profonda presa di coscienza, un’indignazione costruttiva, una necessaria e una forte reazione da parte dell’opinione pubblica di fronte a quello che si va manifestando come un “male assoluto”. Non si può staccare la spina, soprattutto in questo caso, anche perché staccare la spina, significa abbandonare ancora di più a se stessi le vittime di atrocità di questo genere. Occorre far ragionare la gente e cercare di portare loro dalla propria parte. Creare quindi un’informazione che sia anche propedeutica alla riflessione e alla capacità di reazione rispetto a cose di questo genere, e più in generale rispetto ai crimini più efferati e crudeli che alcuni uomini riescono a compiere nei confronti di altri. L’informazione ha quindi il dovere di parlarne in senso critico. Deve riuscire con tutti i mezzi a disposizione, primo tra tutte internet e il web, a mobilitare le forze del male e quelle del bene. Certamente è una lotta titanica tra due enormi forze opposte e contrapposte: appunto le forze del male e quelle del bene. Ma è certamente l’unica possibilità che ha l’informazione se vuole dare una mano a risolvere il tragico problema. Riuscire a capire, o forse percepire, fino a che punto ancora oggi si possa arrivare a afre tanto male è pressoché impossibile, poiché quando si superano certi limiti che provocano terrore o panico planetario la spiegazione è umanamente incomprensibile. Si può viceversa tentare di pensare cosa ci sia esattamente dietro a tutto questo. Da una parte, certamente, è terrorizzare le persone che stanno sull’altro versante dell’umanità, quello cioè del buon senso, per cercarle di piegare per far perdere loro sempre di più delle porzioni di libertà. Dall’altra creare proselitismo la dove il terreno dell’ignoranza rende fertile una tale strategia. Pensando quindi che siamo difronte a una manifestazione di un male assoluto, poiché il male assoluto esiste, ciò di cui oggi abbiamo bisogno tutti è una reazione forte di contrasto che non metta al primo posto la violenza, ma invece la persuasione e la consapevolezza come arma bianca anche della seduzione e del pensiero. La strategia comunicativa del terrore va certamente combattuta e ostacolata non con la chiusura, metaforica e reale, ma viceversa con l’apertura alla conoscenza consapevole che l’informazione può dare. Je suis Charlie... jusqu'à un certain point di Cinzia Cetraro Parigi, 31 agosto 1997. Sotto il ponte dell'Alma muore la principessa Diana Spencer e la commozione popolare è senza precedenti. In molti hanno versato lacrime, portato mazzi di fiori e pregato per Lady Di dando la colpa della sua morte ai paparazzi, senza rendersi conto che se una foto della principessa con il nuovo amante valeva migliaia di sterline, era anche grazie a loro, sempre intenti a conoscere ogni dettaglio della sua vita. Parigi, 7 gennaio 2015. Attacco terroristico alla sede del giornale Charlie Hebdo. La stessa gente che ora si associa al grido di Je suis Charlie sarebbe scandalizzata se qualcuno suggerisse che la loro adesione spontanea e acritica all'hashtag più condiviso del momento contribuisce in qualche modo a fomentare il clima di odio razziale che sta alla base degli attentati terroristici. Eppure quanti di loro saprebbero distinguere tra il sacrosanto diritto di esprimere opinioni controcorrente e l'incitamento all'odio razziale o religioso? Quanti di loro saprebbero dire dove finiscono il diritto alla privacy e la libertà di informazione per cedere il passo alla sicurezza della maggioranza? Je suis Charlie. Milioni di persone in tutta Europa si sono unite al coro di sdegno verso la violenza che ha attaccato il giornale parigino. Charlie Hebdo è diventato un sinonimo di 'libertà di espressione' e nel mondo di internet, in cui la trasmissione del pensiero individuale non conosce limiti e in cui la comunicazione della notizia raggiunge in tempo reale i confini di un mondo divenuto così 'piccolo', per una inspiegabile e sempre più diffusa tendenza ad associare il pensiero in ondate emotive, rischiamo di ritrovarci schierati senza aver avuto il tempo di riflettere sul significato degli eventi. Alla manifestazione hanno partecipato rappresentanti e capi di stato di paesi che non sono noti come difensori ad oltranza dell'assoluta libertà d'espressione. La loro ipocrisia è palese, un po' meno lo è quella della gente comune ma non per questo è meno pericolosa. Il mondo è più complesso di quanto vogliono far credere coloro che si esprimono per slogan. A meno che questi non si riducano ai minimi termini della banalità assoluta del tipo 'Je suis un être humain' che di fatto, proprio nella sua ovvietà, richiama ad una riflessione sulla propria coscienza e a una meditazione sulla propria civiltà. La scuola ha da sempre una grande responsabilità ma, ora, il compito diventa più difficile. In un mondo così complicato non può solo dare risposte. Nell'era digitale, ora più che mai, deve insegnare a porsi dubbi e domande attraverso il pensiero critico nell'ottica di un'apertura, senza confini, verso un'integrazione autentica, che è sempre più impellente. Dobbiamo acquisire la consapevolezza che siamo tutti legati gli uni agli altri e la scuola deve insegnare ad aprire cuore e mente verso un ragionamento al plurale: non è più il caso di continuare a parlare in contrapposizione come fanno i fondamentalisti. “ La Democrazia chiama, la Scuola risponde” di Stefania Grossoni Durante il tragitto per arrivare a scuola, dopo le stragi di Parigi, mi sono chiesta più volte come avrei raccontato i fatti appena successi, se i miei piccoli alunni mi avessero fatto delle domande. Da subito ho percepito che l’eventuale confronto con loro sarebbe stato inevitabile, poiché attraverso i devices, che utilizzano ormai con dimestichezza, le immagini e le parole li raggiungono nella loro crudezza. Difficile da arginare. Impegnativa come impresa. Necessario l’intervento degli adulti. Raccontare a bambini storie di violenza e crudeltà, incomprensibili già a noi, non è semplice, ma lasciare che un bambino non abbia risposte è deleterio per la sua salute psicologica. Due attentati con la stessa matrice, ma profondamente diversi. Da una parte la volontà precisa di spuntare delle matite blasfeme, dall’altra invece gente comune affaccendata nella propria quotidianità con l’unico torto di appartenere a un’altra religione. Come sfondo, poi, la Nigeria di Boko Haram e il proseguire della sua lotta interreligiosa con l’utilizzo di bambini innocenti come armi. Una situazione preoccupante per il mondo intero, perché l’attacco è alla libertà e alla democrazia di ciascun popolo. Spargere violenza e odio per avere il predominio! I piccoli in classe non hanno fatto nessun accenno a ciò che stava accadendo, a parte uno, che ha espresso tutto il suo sdegno per la violenza messa in atto. Tutti sono invece intervenuti riguardo all’uccisione del poliziotto, mentre era a terra. Le parole non sempre arrivano, l’immagine sì. Abbiamo cominciato a parlare del valore della vita umana che non ha prezzo e di come nessuno ha il diritto di calpestarla. Ritengo che non sia mai troppo presto per iniziare a dare concetti così profondi. Diversamente è accaduto con i miei ex alunni, quelli che quest’anno fanno la prima media, che invece mi hanno fatto tante domande. Inevitabile è stato analizzare gli attentati più recenti di matrice fondamentalista cercando collegamenti, diretti o indiretti, con le leggi razziali e lo sterminio degli ebrei. In loro tanta voglia di conoscere e confrontarsi reciprocamente ascoltando i racconti su come l’odio razziale sia stato, e lo è tuttora, causa di stragi folli per mano di uomini fragili e fanatici. Ci siamo messi dietro ad un computer e abbiamo cercato informazioni, guardato immagini e documentari, letto di uomini carnefici, ma anche di quelli che non hanno perso se stessi e si sono prodigati per salvarne altri. Ieri nella seconda guerra mondiale, oggi negli attentati di Parigi. Uomini con la stesse fede religiosa che salvano altri uomini di fede diversa. Uomini che uccidono i propri “fratelli”. Stupidità o disegno politico? Se il ventisette gennaio è il giorno “per non dimenticare”, credo che i restanti giorni dell’anno debbano servirci per rispondere con compiutezza a chi guardandoci con occhi innocenti ci chiede: “Perché?”. Risposte chiare ai giovanissimi, che racchiudono le loro esperienze nelle dita delle mani, che cominciano a voler vedere il mondo con i propri occhi, che stanno conquistando a piccoli passi la loro autonomia, che non conoscono le cattiverie dell’animo umano e che ci fanno riflettere quando guardando la Storia con i propri occhi ci dicono ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. Proprio per loro, la Scuola, i Genitori e gli Adulti non possono esimersi dal dare risposte per aiutarli a crescere in un mondo in cui la Pace, l’Amore e la Libertà di pensiero non siano rappresentate solo da parole. Diremo loro che la passione nelle cose in cui credono permetterà il superamento delle difficoltà e delle delusioni. Li aiuteremo a crescere se capiranno che solo se staranno bene con se stessi potranno stare bene con gli altri. L’accoglienza dell’altro dovrà rappresentare un arricchimento ed un sostegno quando la strada è in salita. Nel loro bagaglio dovranno portare la dignità e il rispetto per se stessi, per gli altri e per tutto ciò che incontreranno, senza farsi condizionare. Un concetto che ai miei alunni ripeto giornalmente. Fondamentale per diventare uomini consapevoli. L’esperienza che ho accumulato nel tempo mi porta ad amare le classi cosiddette “problematiche”. Quelle in cui la crescita degli alunni è a tutto tondo, ma in cui cresciamo insieme ogni volta, anch’io e a volte i genitori. La scuola: tantissimi momenti, piccoli gesti che possono renderla indimenticabile, accompagnati dall’amica “conoscenza”, preziosa guida nelle scelte di vita dei “futuri uomini”. SMART CITY di Gennaro Colangelo Liberiamoci definitivamente dell'idea superficiale secondo cui il titolo della nostra rubrica sia riferibile ai processi di cablaggio, informatizzazione e restyling della scena urbana. Per noi la citta' veramente intelligente e' quella in cui si investe al massimo grado sulle tre T evocate fin dal 2002 da Richard Florida dell' Universita di Pittsburgh, ve le ricordate? Tecnologia, talento, tolleranza...nessuno dei tre elementi può bastare da solo a costruire il tessuto connettivo delle societa': lo dimostra il caso del sub- continente Cindia, che può vantare la crescita costante del primo e del secondo, ma che in presenza di un regime dispotico e del sistema delle caste non sarà mai una societa' democratica come gli Usa e l' Europa. Per nutrirsi di creatività la Smart City deve avere attenzione alla formazione e ai percorsi di confronto culturale, per questo fa bene raccontare le buone notizie che ci inducono alla speranza, in tempi di profonda inquietudine metropolitana. Il Rettore della LUMSA , Prof. Francesco Bonini,e il Senato Accademico hanno approvato un progetto educativo intitolato significativamente THE WOR( L )D IS MY COUNTRY , concretizzatosi in un ciclo di seminari che e' diventato una stimolante officina di elaborazione di pensiero creativo. Coordinati da docenti dell'Ateneo romano e da un team di referenti delle Scuole Superiori aderenti al progetto ( Newton, Montessori, Garibaldi e Albertelli ) un folto gruppo di giovani praticano una didattica interattiva in cui gli allievi dei Master e delle Lauree Magistrali fanno da tutor a quelli di Laurea Triennale , mentre questi ultimi fanno da traino ai liceali, in un confronto di opinioni che ospita intellettuali , giornalisti e protagonisti dello spettacolo e delle professioni: tutti portatori di una mozione autentica. La Lumsa non pretende di essere perfetta, ma rimane una comunità accademica in cui si privilegia la formazione permanente, l'economia civile, la comunicazione sociale e l'attenzione alla spiritualità come esigenza insopprimibile della persona. L'Ateneo delle buone pratiche in questo percorso si avvale della collaborazione di professionisti della Comunicazione come eTutorweb e VOX Communication ,che propongono i professionisti ospiti nei seminari, mentre l'organizzazione studentesca Good Morning Youth, molto attiva negli eventi dell' Università, coordina gli interventi secondo i segmenti didattici di volta in volta articolati. La città realmente creativa è quella che sviluppa la narrazione di storie, e considera l' intreccio del vissuto di ciascuno con la rete dello storytelling globale come esperienza collettiva per l'esercizio della convivenza: finche' avremo memoria saremo stimolati a restare insieme, e fin quando staremo insieme avremo necessariamente storie da raccontarci. Come ripeteva Elias Canetti: ognuno, ma proprio ognuno, è il centro del Mondo. l giorno della memoria: “meditare che questo è stato” di Piera Levi-Montalcini Dal 2002 anno in cui è stata rispettata con celebrazioni e commemorazioni la legge istitutiva del Giorno della Memoria purtroppo molti testimoni di quel periodo sono venuti a mancare. Tra questi a fine 2014 anche mia madre ha portato via con sé quella memoria e quella testimonianza sugli anni delle persecuzioni e delle deportazioni. L’abbiamo pregata molte volte di scrivere per lasciare i ricordi di quel periodo di ansia, di incertezza e di angoscia in modo da tramandarli almeno in ambito familiare. Qualche anno fa lei, buona scrittrice, donna lucida e razionale si è applicata con molto travaglio interno per scrive quegli episodi che molte volte aveva raccontato a voce. Quanto scritto non riesce tuttavia a far rivivere nel lettore lo stato d’animo di chi perseguitato cercava scampo sempre temendo che la persona con cui stava parlando potesse intuire la sua origine e denunciarlo. Questa sensazione di gap tra quanto si riesce a immaginare leggendo e quella che deve essere il reale sentire di chi si sente braccato l’ho percepito non solo nello scritto di mia Madre ma in tutti i libri di testimonianze di coloro che ne hanno scritto. Non so per quale motivo, io che sono nata subito dopo la guerra e che per molti anni non ho sentito parlare delle traversie affrontate dai miei, ho sempre avuto una sensazione di precarietà e di incertezza credo simile anche se sicuramente molto più tenue a quella che la mia famiglia deve aver provato negli anni delle persecuzioni. Quando la televisione ha trasmesso le scioccanti immagini dell’attacco alle Torri gemelle ho pensato che finalmente tutti avrebbero acuito l’attenzione per difendersi da follie che possono mettere a repentaglio tutti noi, mi è sembrato però che quell’episodio sia stato presto cancellato con il pretesto di non creare panico o psicosi. Proprio in questi giorni abbiamo avuto la conferma che tutti dobbiamo ricordare che cosa è stato capace di attuare, con una programmazione scientifica e impeccabile, l’uomo contro il suo simile e questo ci deve dare quella sensibilità in più per capire e prevenire l’insorgere di nuove forme di esaltazione e distruzione. In una intervista a zia Rita il giornalista chiede se ci sia pericolo di manipolazione genetica da parte di uno “scienziato pazzo” la sua risposta è: “certo il rischio c’è, per quanto io non ritengo il pericolo tale; oggi io ritengo molto maggiore il pericolo dei grandi dittatori che riescono semplicemente con la parola a portare milioni di uomini allo stermino”. Sul calendario il “Giorno della Memoria” compare una sola volta all’anno, ma noi siamo obbligati ogni giorno a “Meditare che questo è stato” (PrimoLevi). Tunisi, Tolosa e Bruxelles. La riflessione prima della memoria di Marzia Cappetta (18 anni) e Flavia Cuccaro (16 anni). Sembra sempre così difficile dimenticare le stragi o gli attentati terroristici almeno fin quando poi, purtroppo, non ci rendiamo conto di esser riusciti a farlo davvero. In fondo la giornata della memoria, il 27 Gennaio, non è altro che la dimostrazione e la sottolineatura di questo terribile meccanismo ed errore umano. Infatti, proprio nel giorno in cui i circa 6 milioni di ebrei morti durante la seconda guerra mondiale ritornano nelle menti di molti e spopolano frasi sul web affinché “ogni giorno sia un 27 Gennaio”, sarebbe opportuno invece che l’accento cadesse anche sulle numerose altre stragi, ancora più recenti, che l'antisemitismo continua a trascinarsi dietro. Il 1 Febbraio 2011, un esempio fra tanti, la sinagoga El Hamma di Tunisi viene incendiata. Uno dei rotoli della Torah è stato completamente carbonizzato, così come quattro delle auto dei membri della comunità di Djerba. Comunità colpita anche dall'attentato del 2002 alla Ghirba, la più antica sinagoga d'Africa, sull'isola di Djerba, in cui restarono uccise 21 persone. L'attentato fu poi rivendicato da Al Qaeda. Il 19 Marzo 2012 nella scuola confessionale Ozar Harorah a Tolosa, un uomo, identificato dalla polizia francese in Mohammed Merah e membro del gruppo fondamentalista Forsane Alliza, uccide il professore e rabbino Jonathan Sandlere e tre bambini di età compresa tra i 3 e gli 8 anni. Il 24 Maggio 2014 a Bruxelles, invece, vicino a Plaze Sablon, nel museo ebraico della capitale belga una sparatoria provoca quattro vittime tra i civili, tra cui due turisti israeliani. Mehdi Nemmouche di Roubaix (Francia settentrionale ), un uomo di 29 anni, è stato arrestato dalla polizia francese con l'accusa di omicidio e tentato omicidio. Nemmouche è sospettato di essere stato in Siria nel 2013, volontario nelle schiere dei jihaidisti. Sia lui che Mohammed Merah hanno filmato gli attacchi, probabilmente con la volontà di diffondere poi il video su internet. Per la prima volta, dopo la seconda guerra mondiale, la sinagoga di Parigi a rue de la Victoire è rimasta chiusa per lo Shabbat. La causa è stata l' attacco antisemita, definito “terrificante” dal presidente francese Francois Hollande, avvenuto il 9 Gennaio 2015 nel supermercato kosher Hyper Cacher che si trova a Porte de Vincennes. È circa l’ora di pranzo quando nella zona est di Parigi sono stati avvertiti numerosi spari. Cinque i presunti ostaggi rimasti vittima dell’attacco da parte del terrorista Amedy Coulibaly, già noto alle autorità per traffico di stupefacenti e atti violenti.Nel frattempo la prefettura ordina la chiusura precauzionale dei negozi in rue des Rosiers, nell’antico quartiere ebraico.L’uomo nel primo pomeriggio avrebbe preteso dalla polizia la liberazione di Saïd Kouachi e suo fratello Chérif Kouachi - responsabili della strage di Charlie Hebdo - pena la morte degli ostaggi.La polizia in serata fa irruzione nel supermercato, l’uomo viene ucciso; il tragico episodio si conclude con la morte di quattro ostaggi, uccisi da Amedy Coulibaly, quattro agenti feriti e la fuga della complice di Coubaly: Hayat Boumeddiene. Questi fatti testimoniano un “nuovo” antisemitismo che, però, si nutre di vecchi cliché e di antichi pregiudizi. Nelle proteste che stanno infiammando il mondo arabo di questi giorni, più precisamente in Pakistan, è apparso un cartello scritto in un inglese molto maccheronico in cui si inneggia a un presunto “Hollow cost” - che starebbe per Holocaust – e a Hitler. Se non vi fosse dentro un odio conosciuto, profondo e radicato, ci sarebbe quasi da ridere. Non è lo strumento a creare l’odio. di Matteo Benevento (11 anni) Il giorno della Shoah, il ventisette gennaio di ogni anno, si ricorda non solo la liberazione del campo di Auschwitz, da parte delle truppe sovietiche, ma anche il genocidio dei sei milioni di ebrei torturati e uccisi negli anni compresi tra il 1941 e il 1945. Il fenomeno ebbe inizio con la segregazione degli Ebrei Tedeschi nella Germania nazista e ben presto dilagò in tutta l’Europa durante la seconda guerra mondiale. Proprio in quel periodo, l’Italia fascista promulgò le leggi razziali rivolte prevalentemente contro le persone di religione ebraica, che hanno sacrificato vittime innocenti, indipendentemente dall’età e dal sesso, con la sola colpa di essere discendenti dalla dinastia di Isacco. Sono state leggi che hanno completamente annientato la dignità di quegli uomini, la libertà del loro pensiero, il rispetto per le loro idee e la loro fede. Ricordo ad esempio, la storia del piccolo Giosuè nel film “La vita è bella”. Il bambino, che con i propri genitori è deportato in un campo di concentramento, vive la tragica esperienza come un gioco a sfide, tra uomini, grazie all’immaginazione di suo padre. Quelle abominevoli leggi erano giustificate, dai governanti di quel periodo, con la volontà e la necessità di rieducare chi era considerato inferiore per intelligenza e cultura. Con totale disprezzo del principio d’uguaglianza fra gli uomini, in realtà coprivano la loro paura, vissuta come minaccia, di vedere aumentare la presenza di Ebrei nel mondo. Data l’età, tutte queste notizie non le ho vissute direttamente ne ancora studiate approfonditamente, ma attraverso internet e il computer posso informarmi documentandomi con articoli, foto e testimonianze. Purtroppo ancoro oggi, anche se molto di rado, accadono casi d’intolleranza razziale con danni certamente meno gravi rispetto a quelli accaduti nel secolo scorso ma pur sempre detestabili. A questo genere di fatti, ricollego anche i recenti episodi di fanatismo religioso accaduti e culminati nelle stragi a Parigi. Sono rimaste vittime, della propria sferzante matita, chi ha creduto di fare della satira libera a danno di coloro che per fanatismo religioso non accetta simili atteggiamenti. Da entrambe le parti credo ci siano state forme d’intolleranza. Penso, inoltre, agli striscioni e ai cori razzisti che spesso si vedono e sentono soprattutto negli stadi, proprio in quei momenti che dovrebbero essere di divertimento per tutti. Oggi per comunicare, informare e tenerci costantemente aggiornati l’unico strumento rapido e veloce, è il web. Il suo utilizzo può essere vario da parte di tutti nascondendo buone e cattive intenzioni. Trovo inappropriato attribuire alla sconfinata libertà del web la colpa di riuscire a collegare idee ed azioni fra uomini che stanno in paesi lontani fra loro. Non è lo strumento a creare cellule di razzismo e terrorismo bensì il suo utilizzo. Proprio per questo non trovo giustificato far tacere le matite, anche se sferzanti, per risolvere problemi di credo, di fede o politici. La mente dell'uomo per sconfiggere l'uomo di Beatrice Cardella (11 anni) La tecnologia è stata una delle protagoniste della seconda guerra mondiale. Le innovazioni tecnologiche utilizzate durante la prima guerra vennero perfezionate e nel secondo conflitto mondiale hanno provocato milioni di morti anche fra i civili. L' aeroplano e il carro armato, in combinazione con le comunicazioni radio, i carri armati, i sottomarini, i messaggi crittografati e i bombardamenti aerei potenziarono l'efficacia degli attacchi tedeschi, che all'inizio del conflitto ebbero la meglio sugli avversari. La vittoria finale arrivò poi grazie alla superiorità alleata in questo campo e con l'uso della bomba atomica. In una pellicola di recente nelle sale si è ricordato il caso della macchina per crittografia Enigma, usata dai tedeschi e considerata a torto inattaccabile; solo molti anni dopo la fine della guerra si seppe che in effetti già nel 1932, prima ancora che Hitler arrivasse al potere, l'ufficio cifra polacco aveva trovato il modo di forzare l'Enigma e che durante la guerra il padre dell'informatica, l'inglese Alan Turing scoprì il modo per decrittografare i messaggi dell'esercito tedesco. Un conflitto che ha provocato la morte di quasi sessanta milioni di persone, sei dei quali fra gli ebrei. Attraverso internet, mi sto documentando su quello che avvenne in quel drammatico periodo per l'umanità. Ho capito che le deportazioni, i bombardamenti delle città, lo sterminio delle minoranze razziali e politiche erano orientati per arrivare all'annientamento del nemico, per smania di potere. Non sono certo gli strumenti tecnologici a provocare distruzione e dolore, anzi, sono utili per informarsi affinché certi orrori non avvengano mai più. Semmai è l'uomo che li utilizza in modo sconsiderato. La mente dell'uomo contro l'uomo. Nella seconda guerra mondiale come negli attentati di Parigi. #uncomputerpernondimenticare La Shoah di Alice Rota (11 anni) All’inizio quando ho sentito parlare di olocausto, leggi razziali, deportazioni, campi di concentramento e Shoah, sono rimasta un po’ frastornata e incredula. I racconti, oltre ad avermi tanto rattristato, mi sono sembrati un po’ veri e un po’ verosimile soprattutto perché non ho ancora studiato né la prima né la seconda guerra mondiale e non ho mai affrontato l’argomento in maniera approfondita. Pochissime volte alle scuole elementari ne avevamo parlato. Poi, dopo che mi sono volutamente documentata, ho capito un bel po’ di cose che mi hanno spalancato una realtà atroce. Ho compreso quanto “orrore” c’è stato in quegli anni nei campi di concentramento. Quanto dolore e accanimento seminato tra tantissime persone indifese. Milioni di morti. Attraverso il computer ho capito cosa è successo in quegli anni e ora so quanto noi, come popolazione italiana, abbiamo fatto del male. Ci siamo incattiviti sugli ebrei spedendoli nei campi di concentramento a vivere in condizioni disumane, trucidandoli, senza motivo e senza ragione. Ho scoperto le leggi razziali che sono state promulgate contro queste persone. Terribili. Inaccettabili. Ora che conosco “la verità” posso fare il confronto tra quegli anni e quelli che sto vivendo. Anche se oggi non ci sono i campi di concentramento, ugualmente si stanno ammazzando tantissime persone senza ragione. Ci si accanisce su tanti uomini senza motivo. Si costringono anche i bambini ad ammazzare persone innocenti. Che follia umana! Ho visto un film che mi ha commosso molto: “La ladra di libri”. Questo film è ambientato durante la Seconda guerra mondiale. Protagonista della pellicola è una ragazza adottata in Germania. Non sapeva leggere, ma voleva imparare perché amava molto i libri. Con lo scoppio della guerra e con la promulgazione delle leggi razziali i Nazisti bruciano tutti i libri che per loro hanno "inquinato" le menti. La ragazza impara a leggere grazie ad un amico e ad un ebreo che viene nascosto nella sua casa. Gli avvenimenti che si susseguono evidenziano il dramma di questa guerra. Provo vergogna per quello che, come Italiani, abbiamo fatto in quegli anni. Mi addolora pensare a quanto odio esiste ancora tra gli uomini. Non capisco come ancora si facciano le guerre in nome di ideali finti ed incomprensibili. Internet: Memoria o istigazione all’odio razziale? di Giulio Boccaccio (17 anni) e Valerio Serafini (17 anni) Internet è il mezzo più democratico che esista: potremmo immaginarlo come un megafono diretto verso il mondo in cui chiunque può dire ciò che vuole a un uditorio potenzialmente sconfinato, che può decidere quando, dove e cosa ascoltare. Una così grande opportunità può, però, facilmente divenire un grave problema nel caso questi messaggi veicolassero contenuti mendaci, provocatori, reazionari. L’esempio più recente è l’uso che gruppi come lo Stato Islamico o Al Qaeda hanno fatto del mezzo, divulgando e diffondendo video e messaggi colmi di orrore, non ultime le decapitazioni degli ostaggi James Foley, Peter Kassig e Alan Henning, o utilizzandolo per indottrinare e reclutare nuovi affiliati. In Italia, ad esempio, sono molti i siti di estrema destra che si propongono come luogo di incontro virtuale tra persone che alimentano e, allo stesso tempo, sono alimentate da idee antisioniste. Ma internet non è, però, solo odio. Esistono, infatti, numerosi siti che, invece, si propongono come esempi di corretta informazione, “donando”, a chiunque li frequenti, notizie corrette sui fatti, e lasciando che siano i visitatori a formarsi una personale opinione a tal proposito. D’altronde, se è vero che molto spesso è il web il mezzo attraverso cui si diffondono idee di questa natura, è altrettanto concreta la constatazione di come sia lo stesso internet a rappresentare uno dei principali strumenti di contrasto a tali assurdità. Inoltre, la tracciabilità del web, grazie alla quale si può facilmente risalire a testi e rispettivi autori, rende internet uno strumento essenziale al contrasto, da parte delle pubbliche autorità, di attività - illegali, immorali e ingiustificabili - volte a tali scopi. Intervista a Sivan Kotler sulla Giornata Della Memoria 27 Gennaio Corrispondente in Italia per Channel 2 di Israele di James Sekitoleko (17 anni) Per lei qual'é oggi il valore della giornata delle memoria in Italia ? Dunque non è una domanda semplice visto che su questo argomento ci sono opinioni contrastanti, anche da parte di una minoranza della stessa comunità ebraica che critica la giornata, perché ritiene che la vicenda storica sia trattata con eccessiva banalità e semplicità e non con la dovuta serietà e complessità che l'argomento richiede. Comunque il valore principale di questa giornata è il ricordo e la memoria di un avvenimento storico che non deve più ripetersi. Come possono il computer, internet e lo scambio di informazioni online aiutare il ricordo? Secondo me le nuove tecnologie in questo caso non sono utili perché ritengo che il veicolo principale per tramandare cosa sia stata la Shoah siano coloro che l'hanno vissuta, cioè i testimoni, anche se per motivi di età e di lento scorrere del tempo sono sempre di meno. Ora non voglio essere fraintesa, ritengo che le tecnologie siano molto utili, tuttavia ritengo che un tweet o un hashtag sulla giornata della memoria rischiano solo di banalizzare o rendere riduttivo il concetto che ho già espresso prima. Come possono I media aiutare le nuove generazioni a mantenere il ricordo? I media possono aiutare il ricordo avvalendosi di tutto il materiale video/audio di testimonianze di cui già dispongono. Ho sentito di un progetto di un'associazione in America che vuole raccogliere nuove testimonianze video e trasformarle in 3D in modo tale che le generazioni future potranno guardare in maniera più concreta negli occhi chi parla per capirne il dolore e la sofferenza. Che ne pensa di internet e dei social network come veicoli sia di buone informazioni che di cattive? Non penso che il male risieda nella tecnologia perché essa è neutra. Il male e il bene dipendono da chi la utilizza per veicolare dei messaggi. Poi, ovviamente, sta alla cultura ed allo spirito critico di ognuno di noi accogliere certi messaggi e rifiutarne altri. È soddisfatta di quello che si fa per la giornata della memoria o vorrebbe che si facesse di più? Personalmente sono contenta dal vedere molte iniziative in particolare nelle scuole nei cinema nei musei, insomma nei principali luoghi di cultura. Certo per me si può migliorare tuttavia anche se non nego che risultati prodotti sono alti. Com'è la collaborazione dell'Italia su questo tema? Molto buona anche perché è stata uno dei primi paesi ad incentivare questa iniziativa . Intervista a Claudia Hassan A cura della redazione eTW «Il giorno della memoria non dev'essere soltanto un rito. Piuttosto deve ambire a sviluppare il lavoro della memoria». Claudia Hassan è docente di Sociologia Generale all'Università di Roma Tor Vergata, collaboratrice del Gruppo L'Espresso e, in precedenza, giornalista Rai. Qualche anno fa il suo nome è finito in una lista di docenti universitari, giornalisti e altri personaggi influenti, legati a una presunta lobby catto-masso-sionista su un sito che si identificava come vicino al mondo arabo. «Ora quel sito è stato chiuso, ma in rete si trova ancora quella lista, pubblicata su un dominio scandinavo da un arabo che vive da quelle parti» conclude. L'elenco, naturalmente, non aveva alcun fondamento di verità. Il ruolo di internet, e dei social media in particolare, si rivela quindi ambiguo nel suo ruolo di diffusore di contenuti: «Purtroppo siamo di fronte a un Giano bifronte. Internet è una straordinaria opportunità di comunicazione, data la propria viralità e la capillarità, vista anche l'enorme possibilità di condivisione di contenuti. Tutto dipende però dai messaggi che vi sono veicolati. Si diffondono sempre di più siti e forum che negano l'Olocausto tout court, che diffondono odio. Forse non c'è abbastanza attenzione da parte di chi sarebbe deputato a un controllo. Anzi, è proprio l'incontrollabilità a livello mondiale che permette a questi siti di nascere ed espandersi». Un giudizio completamente negativo, quindi: «No, non del tutto. Però, se da un lato internet può essere un potente mezzo per la divulgazione e anche per la didattica, penso per esempio all'enorme mole di materiale ora presente in rete riguardo la Shoah che prima non era disponibile, è pur vero che c'è un livello di pericolosità dell'uso del mezzo che è da considerare. Dopodiché esistono siti di altissimo livello per attivismo, per informazione, per libertà. Il tema è complesso, pensiamo per esempio all'istituto della democrazia diretta che, sulla carta, sarebbe un traguardo incredibile da raggiungere, ma si presta a pesanti manipolazioni». I recenti attacchi di chiaro stampo antisemita a Parigi, ma anche a Bruxelles, Tolosa e Tunisi, riportano a un clima pesante, forse lo stesso che si respirava nei primi anni del ventesimo secolo? «C'è una differenza sostanziale fra l'antisemitismo del secolo scorso e quello di questo secolo: la Shoah. Prima del 1936 l'Olocausto non era avvenuto. In questi anni possiamo assistere a un antisemitismo legato principalmente al mondo islamico, e coinvolge moltissimo il rapporto con l'Occidente». L'attacco alla redazione dello Charlie Hebdo è chiaramente votato a distruggere la laicità occidentale, due giorni dopo arriva la strage dell'Hypercacher di Pont des Vincennes: sono due facce dello stesso odio? «Anche i giornali arabi fanno le vignette, non solo quelli occidentali. Nelle vignette dei quotidiani arabi l'ebreo viene dipinto allo stesso modo di come era disegnato dai giornali europei della fine dell'800: l'ebreo avido, fautore del capitalismo, legato ai soldi e quindi al potere. È un cliché che viene ricalcato ancora oggi. Possiamo rivedere in quest'odio lo stesso tipo di pregiudizi. Anche se per i 4 morti dell'Hypercacher, per quelli di Tolosa e per le tante stragi che antisemite non ci sono state 2 milioni di persone in strada guidate dai leader mondiali». È forse questo che intendeva quando parlava di “lavoro della memoria”? «Esattamente. Se dobbiamo ridurre la giornata della memoria a un rito annuale – per quanto importanti siano i riti – allora non serve a niente. Se, invece, diventa il punto focale per una riflessione continua e duratura intesa a portare il dialogo a un livello più elevato, allora prende il senso che, forse, può portare l'umanità un passo avanti verso la pace. Non bisogna, però, mai abbassare la guardia. È l'unica cosa che mi sento di dire, direttamente dal cuore». Per non dimenticare…….. “La matrice del fondamentalismo, di qualsiasi forma, è proprio la religione”? “Come la memoria può nutrire il ricordo”? “Negli anno ’40 molti episodi erano segnali di quello che sarebbe accaduto. Gli avvenimenti del nostro tempo, possono ricondursi ad episodi o segnali”? “La libertà di espressione è sempre un diritto”? “La rete, internet, è più un’opportunità o un rischio per la tutela dei diritti umani”? “Quale dovrebbe essere l’atteggiamento della scuola, affinché i ragazzi prendano coscienza di quanto sia importante il valore della democrazia”? “Qual è oggi la giusta risposta alla violenza”? “La libertà di espressione è un diritto umano fondamentale, qual è il suo limite”? a ciascuno di noi le risposte. “Purtroppo buona parte del nostro comportamento è ancora guidato dal cervello arcaico. Tutte le grandi tragedie, la Shoah, le guerre, il nazismo, il razzismo - sono dovute alla prevalenza della componente emotiva su quella cognitiva. E il cervello arcaico è così abile da indurci a pensare che tutto questo sia controllato dal nostro pensiero, quando non è così. Tutti dicono che il cervello sia l'organo più complesso del corpo umano, da medico potrei anche acconsentire. Ma come donna vi assicuro che non vi è niente di più complesso del cuore, ancora oggi non si conoscono i suoi meccanismi. Nei ragionamenti del cervello c'è logica, nei ragionamenti del cuore ci sono le emozioni”. Rita Levi-Montalcini La redazione di eTuorWeb Young ha creato questo quaderno, che è parte integrante della collaborazione della testata giornalistica www.etutorweb.it, nell'ambito del progetto educativo “THE WOR(L)D IS MY COUNTRY” realizzato dalla Università LUMSA. “THE WOR(L)D IS MY COUNTRY” sarà presentato nella giornata mondiale del libro patrocinata dall’UNESCO il prossimo 23 aprile 2015. Hanno collaborato alla creazione e stesura dei testi: Direttore Editoriale GAMALERI Gianpiero Direttore Responsabile DI LIEGRO Alessandro Comitato di Redazione BENEVENTO Alfonso CETRARO Cinzia COLANGELO Gennaro GANDINI Ester Marisa GROSSONI Stefania RUSCONI Mario Redazione eTWYOUNG BENEVENTO Matteo BOCCACCIO Giulio CAPPETTA Marzia CARDELLA Beatrice CUCCARO Flavia ROTA Alice SEKITOLEKO James SERAFINI Valerio Le vignette sono state realizzate da Matteo Benevento. [email protected] Il quaderno è stato realizzato con il patrocinio di LAZIO