Cristiani perseguitati e persecutori

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Cristiani perseguitati e persecutori
Cristiani
perseguitati e persecutori
Franco
Cardini
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I rapporti tra potere e società all’avvento dell’era
cristiana. I divieti e le repressioni. Le persecuzioni e la libertà di culto. La cristianizzazione concepita come sistema fondato sui valori dell’amore
e della libertà; il paganesimo inteso come libera
convivenza tra i differenti culti: i ruoli del perseguitato e del persecutore chiaramente distinti.
Franco Cardini, con l’onestà intellettuale e la
spregiudicatezza che lo distinguono, indaga su questi e altri “equivoci” per restituirci un quadro storico limpido e chiaro, perché la luce del passato
illumini un presente quanto mai oscurato da pretestuosi appelli a nuove crociate e pericolose
guerre sante.
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ac u le i
COLLANA DIRETTA DA
a l e s s a ndro b a r b e ro
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FRANCO CARDINI
CRISTIANI
PERSEGUITATI E PERSECUTORI
SALERNO EDITRICE
ROMA
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Composizione presso Grafica Elettronica, Napoli
Copertina:
Concept and graphic design: Andrea Bayer
Bayer + Conti + Associati, Roma
a
1
edizione digitale: novembre 2012
ISBN 978-88-8402-774-0
a
1
edizione cartacea: marzo 2011
isbn 978-88-8402-716-0
Tutti i diritti riservati - All rights reserved
Copyright © 2012 by Salerno Editrice S.r.l., Roma
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Alla memoria dei sette cistercensi francesi
del monastero di Tibhirine, sulle montagne
dell’Atlante algerino, martirizzati
il 21 marzo 1996 in circostanze
sulle quali non è mai stata fatta piena luce.
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P ROLOGO
« Non possiamo contare i martiri ». La commossa espressione di
Tertulliano è tornata spesso a risonare anche nei nostri tempi: ed è
sembrata forse ancor piú drammatica, per noi europei e – come si usa
dire – “occidentali”, dal momento che era­vamo da alcune generazioni abituati a ritenere che quella religiosa non fosse piú una delle principali ragioni al mondo per le quali si potesse morire e, soprattutto,
uccidere.
D’altro canto, dopo le “guerre di religione” cinque-seicentesche, la
Rivoluzione francese, quella messicana del 1917 e le grandi esperienze totalitarie del XX secolo, ci eravamo abituati anche all’idea che le
persecuzioni religiose in generale, quelle contro i cristiani (e soprattutto i cattolici) in particolare, a parte ristrette e isolate situazioni locali fossero solo un triste ricordo del passato o una realtà in via di liquidazione. Tuttavia la ricerca storica e magari le ragioni della discussione e perfino della polemica, ispirate talvolta anche da convinzioni
o da propensioni anticlericali ma sostenute sovente anche dal ridimensionamento di certi eventi e dall’approfondimento di certe ricerche, ci avevano indotti a ritenere che non sempre i “martiri della fede” fossero stati tanto frequenti e numerosi quanto in passato era
stato sostenuto.
Gli eventi dell’ultimo trentennio circa hanno presentato invece
l’al­larmante ritorno di un incubo che credevamo dissolto: nuovi appelli a “guerre sante”, nuovi carnefici e nuove vittime tali anche e
magari soprattutto nel nome di Dio. Come dice Pascal, sembra proprio che l’uomo non sia mai tanto capace di fare del male come quando lo commette nel nome di una fede religiosa: una sentenza che
mantiene la sua verità anche da quando, cioè dal tardo Settecento in
poi, sono sorte le “religioni laiche”.
Vero è altresí che, a partire dall’ultimo quarto circa del XX secolo,
abbiamo assistito a una sorta di “ritorno selvaggio di Dio” e a un riaffermarsi di nuove forme di “guerra santa”. Da molti ambienti del­
l’immenso mondo musulmano alle regioni induiste del subcontinente indiano alla Cina, all’Africa, all’America latina, molti religiosi e
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prologo
anche semplici credenti laici sono stati uccisi: e, sempre piú spesso, si
è trattato non solo di cristiani vittime della violenza, ma di vittime
della violenza tali proprio in quanto cristiani. In effetti – a parte casi
molto particolari e specifici, per esempio in Irlanda o in Libano o in
Rwanda – in linea di massima i cristiani hanno rivestito il ruolo, nelle
tristi effemeridi degli ultimi anni, mai di carnefici e persecutori bensí
sempre di vittime e perseguitati. Si è detto quindi che quello contro i
cristiani appare, al giorno d’oggi, « l’ultimo pregiudizio possibile »; ma
si è anche ricordato che i seguaci del Cristo restano costantemente
fedeli alla consegna di pace loro affidata dal Maestro tanto da rinunziare perfino a difendersi.
Nel giorno di Natale 2010 papa Benedetto XVI, durante la tradizionale preghiera meridiana dell’Angelus, denunziò accorato che contro i cristiani si stavano perpetrando nuove stragi in Nigeria, nelle
Filippine e in Pakistan, oltre alle discriminazioni e alle persecuzioni
contro la Chiesa cattolica in Cina. Una settimana piú tardi il pontefice fu dolorosamente costretto a tornare sul medesimo tema perché,
nella notte di Capodanno, un sanguinoso attentato aveva fatto decine
di morti tra i cristiani copti in Alessandria d’Egitto. Non sono mancate, riguardo a questi incidenti, polemiche e recriminazioni dalle quali – al di là del tono spesso intemperante e pretestuoso – sono comunque emersi alcuni dati effettivi. Presentiamone e discutiamone brevemente quattro.
Primo. L’Occidente, abituato a un processo di secolarizzazione
del­la propria cultura e delle proprie istituzioni che fu avviato dalla
Riforma all’inizio del Cinquecento e che con maggior decisione è
proceduto dal XVIII secolo a oggi, non sempre reagisce alle persecuzioni o addirittura ai massacri contro i cristiani nel mondo con il rigore e la fermezza che molti si aspetterebbero e magari auspicherebbero, in quanto, al di là del riconoscimento del valore della tolleranza e
della rivendicazione dei diritti umani, non avverte il cristianesimo
come uno dei suoi connotati fondanti. Insomma, esso non si riconosce piú, almeno dalla fine del Settecento, come “una Cristianità”: per
quanto i cristiani o comunque coloro che in qualche modo e non
senza distinzioni e limitazioni di vario genere si dicono tali siano
forse ancora la maggioranza tra Europa, continente americano e Au10
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prologo
stralia, i sistemi giuridici e civili e i valori culturali elaborati da oltre
due secoli non si riconoscono piú nella fede cristiana e accordano alle
Chiese cristiane un ruolo accuratamente limitato e circoscritto. Da
qui il senso di sia pur relativa estraneità e di solo indiretto coinvolgimento nella tragedia rappresentata dalle nuove persecuzioni.
Secondo. La cultura affermatasi da circa mezzo millennio, e con
piú forza la consuetudine invalsa negli ultimi due-tre secoli, hanno
abituato gli occidentali a molte e frequenti discussioni – trasformatesi talvolta in accese polemiche – a proposito della storia del cristianesimo e delle Chiese cristiane, in modo particolare di quella cattolica.
Gli elementi anticlericali in tale lungo periodo affermatisi hanno fatto sí che molti siano stati gli ambienti nei quali questo o quell’aspetto
del cristianesimo, questa o quella confessione cristiana, sono stati con­
siderati come estranei, come avversari, magari addirittura come duri
e irreversibili nemici. Con tali premesse, può essere doloroso e condannabile ma non è incomprensibile che le notizie relative a nuove
persecuzioni anticristiane siano accolte da alcuni con scetticismo e
considerate da altri con riserve e freddezza.
Terzo. A un mondo occidentale consapevole della realtà e della
profondità di questa progressiva divaricazione tra fede cristiana e società civile verificatasi ormai da secoli – per quanto possa poi presentare modi differenti o addirittura opposti di valutarne cause e conseguenze –, si oppongono altre culture le qua­li invece (come accade in
ambienti dell’Islam che si usano ormai indicare con l’improprio aggettivo di “fondamentalisti”) insistono sull’identità e la stretta equivalenza di Occidente e cristianesimo, giungendo a definire “crociate” le
forze militari degli Stati Uniti d’America e dei paesi loro alleati nei
conflitti scatenati dopo il fatidico 11 settembre 2001 in Afghanistan e
in Iraq. Ne consegue il paradosso di un Occidente che si sente attaccato a causa di una fede che non è piú, o non è comunque in senso
primario piú la sua, mentre i suoi avversari lo attaccano nel nome di
valori religiosi ch’essi giudicano come a esso profondamente connaturati; e considerano quindi, nei loro paesi, chiunque sia cristiano
come “complice” dell’Occidente e magari corresponsabile delle colpe da esso commesse in età coloniale nonché delle sue scelte politiche piú recenti.
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prologo
Quarto. È molto diffuso comunque in Europa e in America il parere secondo il quale – a differenza dell’ebraismo e dell’Islam, “religioni di legge” – il cristianesimo è anzitutto una religione di pace e
d’amore: e quindi la convinzione che non solo i martiri cristiani siano
sempre e comunque stati vittime pacifiche immolatesi rinunziando
al rancore e alla vendetta, ma addirittura che, a differenza ad esempio
di quanto è accaduto nella storia del­l’Islam, la stessa diffusione della
fede nel Cristo sia stata condotta, dal IV secolo a oggi, attraverso una
costante pratica missionaria ispirata alla dolcezza, al convincimento,
alla conquista pacifica. Si sono evidentemente elencati vari e magari
gravissimi episodi di deroga a tale pratica: e non è mancato chi – sia
pure ispirato da una volontà propagandistica di tipo anticristiano o
agnostico; o nell’ambito di una lunga polemica tra differenti confessioni (ad esempio tra cattolici e riformati) – ha messo insieme “libri
neri” e “storie criminali” del cristianesimo. Ma, al di là delle forzature
e delle vere e proprie calunnie, secondo le idées reçues che al riguardo
circolano ordinariamente, episodi come i massacri dei sassoni pagani
in età carolingia, le violenze compiute durante le crociate in Terrasanta o la Reconquista iberica, la repressione inquisitoriale, la liquidazione del catarismo nella Linguadoca duecentesca, le campagne dei
Cavalieri Teutonici nel Nordest europeo, le stragi di native Americans
che accompagnarono la conquista spagnola e portoghese dell’Ame­
rica centrale e meridionale o quella francese, inglese e olandese di
quella settentrionale e infine la Riforma e le “guerre di religione” cin­
que-seicentesche con relative mattanze di “eretici”, cacce alle streghe
e “Notti di San Bartolomeo”, altro non furono se non eccezioni confermanti una regola di pietà e di misericordia: incidenti di percorso
d’una fede d’amore che di quando in quando ha tuttavia potuto venir
meno a se stessa (e ciò varrebbe soprattutto per la Chiesa cattolica) e
i cui fedeli hanno agito in contraddizione con la natura della loro religione e con le loro stesse convinzioni.
Le pagine che seguono non intendono affatto costituire un j’accuse
non diciamo contro il cristianesimo in quanto tale, ma neppure contro le società che nei secoli si sono dette cristiane o contro le Chiese e
le confessioni cristiane storiche. Non si proporranno dunque piú o
meno grandguignoleschi cataloghi di errori e di orrori, non si alli­
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prologo
neeranno argomenti “scandalosi” e recriminatorii, non si procederà
ad alcuna macabra e ripugnante computisteria funebre. Ci si limiterà
a richiamare i caratteri fondamentali delle persecuzioni delle quali i
cristiani furono vittime tra I e IV secolo per mostrare come, nei due
secoli successivi, la società divenuta a sua volta cristiana – e composta,
non dimentichiamolo, per la stragrande maggioranza di figli e di nipoti non già dei perseguitati, bensí dei persecutori – si sia affermata a
sua volta proponendo, ma anche imponendo, una fede di pace e
d’amore con strumenti che furono non certo soltanto, ma tuttavia
anche quelli dell’intimidazione, della costrizione legale, della seduzione e perfino della corruzione morale, della legislazione restrittiva o
addirittura inibitrice della libertà di coscienza, dell’esibizione della
forza militare e della vera e propria violenza. Ne sarebbe derivata una
storia lunga secoli, che dall’alto Medioevo all’età coloniale andò di
pari passo con l’impegno missionario: senza nulla togliere, beninteso,
ai meriti di tanti missionari che anche in tempi recenti e recentissimi
si sono sacrificati per amore dei poveri e degli ultimi.
Quel che intendiamo qui ricordare è che, all’origine delle pagine
piú nere e sconcertanti non già del cristianesimo – che a sua volta non
consiste tuttavia semplicemente ed esclusivamente nel rispetto dei
valori evangelici –, ma della storia della società cristiana e delle Chiese storiche, non stanno momentanee fasi di obnubilamento bensí lo
sviluppo e la conseguenza di premesse intrinseche non ai loro princí­
pi, ma senza dubbio alla loro natura e alla dinamica secondo la quale
esse si sono affermate nel mondo.
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I
DALLA S ETTA ALLA C H I E SA
1. La fede nel Cristo
Dopo la morte di Gesú, attorno al 30 d.C., i suoi discepoli – che al
momento dell’arresto del Maestro si erano dileguati, nascondendosi
in vari luoghi – si ritrovarono e avviarono in Gerusalemme una vita
comunitaria principalmente rivolta a convincere gli ebrei loro correligionari che l’atteso Messia era già arrivato, che si era presentato in
modo differente dal liberatore e conquistatore militare che ci si aspettava e che si trattava ora di continuare la sua opera. Presto però essi
dovettero confrontarsi con il gruppo degli “ellenisti”, gli ebrei di lingua greca nati nelle colonie stabilite un po’ dappertutto nel bacino
mediterraneo in seguito alla diaspora ma alcuni dei quali erano rientrati in Gerusalemme. Gli ebrei “ellenisti” guadagnati alla causa della
comunità dei discepoli di Gesú non ne condividevano la prudenza:
essi si dettero a predicare con decisione, soprattutto contro chi gestiva
il Tempio, provocando in tal modo una reazione degli ebrei ortodossi che – a quanto sembra con l’appoggio degli “zeloti” – causò la
morte per lapidazione di uno dei loro capi, Stefano, che sarebbe stato
da allora appunto ricordato come “protomartire”.
L’episodio, nel quale si vuole giocasse un ruolo importante il giovane fariseo Saul di Tarso, fu in qualche modo l’epilogo di quella sete
di martirio che caratterizzava gli “ellenisti” e che trova espressione
nei capitoli viii-x del Vangelo di Marco: chi non avesse accettato di
soffrire per il Cristo1 non ne era degno seguace. Tale idea non era
affatto condivisa dalla comunità dei seguaci di Gesú insediata in Gerusalemme, che dal canto suo non sembra venisse in alcun modo disturbata dagli ebrei dei quali essa continuava a sentirsi parte. Ma gli
“ellenisti”, cacciati dalla Città Santa e dalla Giudea, trovarono accoglienza e rifugio in varie località: dalla Samaria alle città costiere della
Palestina stessa, della Siria, della Fenicia, dell’Egitto. Fu per contrastar­
li che la comunità di Gerusalemme fu costretta a intraprendere a sua
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cristiani perseguitati e persecutori
volta una campagna missionaria che – come vediamo negli Atti degli
Apostoli (8-10) – dette luogo in Palestina alla fondazione di altre comunità2 che la riconoscevano come Chiesa-madre.3
Tuttavia gli “ellenisti” conseguirono un ampio successo, a quel che
sembra grazie soprattutto alla predicazione dell’apostolo Filippo (At­
ti, 8): fondarono comunità caratterizzate da una forte ispirazione profetica, mantenendo con quella degli apostoli di Gesú rapporti né
troppo frequenti, né troppo cordiali. Furono essi che, a partire dalla
città siriana di Antiochia, imposero a quella che fino ad allora si poteva considerare solo una “setta” interna all’ebraismo una svolta decisiva, in quanto cominciarono a predicare il Vangelo anche ai pagani:4
cioè a quelli che ormai abbiamo preso la cattiva e anacronistica abitudine di definire tali.5
A partire dal 40 d.C., grazie a Barnaba di Cipro e soprattutto a Saul
di Tarso6 che si era convertito in seguito a una violenta crisi religiosa,7
il problema della convivenza di ebrei e di non-ebrei all’interno delle
Chiese dei seguaci di Gesú fu non senza fatica risolto mediante l’abbandono del rispetto letterale della Torah. Ormai, venivano appiana­
te le distinzioni tra Ecclesiae e circumcisione ed Ecclesiae e gentibus con il
mantenimento della fede nella Scrittura (alla quale si andavano aggiungendo quelle che avrebbero costituito il Nuovo Testamento), ma
con il rifiuto del ritualismo ebraico: ciò non poté tuttavia essere imposto se non vincendo numerose resistenze e attraverso una certa gra­
dualità (Atti, 21). L’azione missionaria di Paolo e dei suoi seguaci non
si limitava infatti ai soli pagani, bensí puntava a convincere gli stessi
ebrei che il Messia era giunto e che il suo messaggio si rivolgeva non
solo al popolo eletto, bensí all’intero genere umano. D’altronde il
termine Christos, che indicava il Risorto quale vero Messia ma che suo­
nava strano e forse sulle prime persino ridicolo per dei pagani ellenofoni, venne usato dai missionari come complemento del nome di
Gesú, da allora indicato con il termine Kyrios (‘Signore’), che nel mon­
do ellenistico si attribuiva correntemente a qualunque divinità.
Quella di Paolo fu una vera e propria rivoluzione religiosa, che
permise ai seguaci del Risorto di acquisire coscienza che la loro non
era una posizione speciale all’interno dell’ebraismo, bensí una nuova
fede che pur manteneva, nei confronti del monoteismo del popolo
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i · dalla setta alla chiesa
eletto, un carattere di continuità e d’intrinsecità: esso sarebbe restato
fondamentale per i cristiani – che altrimenti non avrebbero potuto
considerarsi “il nuovo Israele” –, mentre veniva ovviamente negato
dagli ebrei.
Paolo sapeva bene che la Chiesa di Gerusalemme guardava con
sospetto all’affermarsi delle sue tesi: per questo, verso il 51, organizzò
pare su mandato della Chiesa d’Antiochia un viaggio verso la Città
Santa accompagnato dai rappresentanti delle comunità che avevano
accettato il suo messaggio, recando in dono e in segno di comunione
a quella gerosolimitana il ricavato di una colletta organizzata per sostenere i poveri. Non è sicuro che il suo gesto fosse apprezzato dalla
comunità ch’egli stesso accettava di riconoscere come primigenia:
pare comunque che da allora anch’essa accettasse il principio di non
esigere piú la circoncisione dai pagani che si fossero convertiti e – dopo una dura resistenza di Pietro, che seguiva a sua volta gli ammaestramenti di Giacomo, congiunto di Gesú e capo della Chiesa di Gerusalemme – di rinunziare all’osservanza delle regole kosher nell’alimentazione. Senza dubbio questi due provvedimenti resero molto
piú agevoli le scelte in favore della conversione: ma ebbero l’effetto di
allontanare ancora di piú gli ebrei da un sodalizio sorto sí dal seno
d’Israele, ma cosí deviante da accogliere al suo interno dei gentili e da
accettare l’inosservanza della legge di Mosè.
A quel punto gli ebrei di Gerusalemme, i quali vedevano in Paolo
un apostata, approfittarono di un suo ulteriore soggiorno nella Città
Santa per suscitare una sommossa che indusse l’autorità romana ad
arrestarlo. Detenuto per due anni a Cesarea, quindi spedito com’era
suo diritto di cittadino romano al tribunale imperiale, risiedette per
altri due anni nel Caput mundi in attesa che coloro che si erano costituiti parte lesa accusandolo si facessero vivi con accuse precise.
La frattura tra ebrei e cristiani si andava ormai manifestando come
insanabile e irreversibile. Il sommo sacerdote Anania, forse approfittando di una temporanea vacanza della sede del procuratore romano,
fece condannare dal sinedrio e giustiziare l’apostolo Giacomo,8 il
quale dal canto suo mai aveva abbandonato l’osservanza della fede
ebraica: si sospetta che la setta degli “zeloti” abbia avuto un qualche
ruolo nella faccenda, benché il fatto ch’egli non esigeva la circoncisio17
cristiani perseguitati e persecutori
ne dei convertiti gli avesse attirato anche l’odio dei cristiani rigoristi.
La comunità gerosolimitana non si riebbe piú da quel colpo. Quando
nel 70 la Città Santa fu profanata e saccheggiata dalle truppe di Tito
dopo la rivolta degli ebrei, essa era già stata dispersa.
Frattanto, era emerso con una qualche chiarezza che i fedeli del
Risorto, quelli che ritenevano il Messia già venuto nel mondo, non
potevano piú essere considerati ebrei, per quanto senza dubbio quelli tra loro ch’erano di stirpe ebraica continuassero a ritenersi tali: ciò
comportava che essi non avevano piú diritto, al cospetto della legge
romana, a quella serie di misure eccezionali e protettive che consentiva ai figli d’Israele di venir esentati dagli atti formali in cui si configurasse un qualunque elemento di adorazione delle divinità pagane.
Tra le comunità ebraiche sparse nell’impero e quello che appariva
loro un bizzarro e blasfemo coacervo di ebrei rinnegati e di pagani
giudaizzanti, le diatribe e perfino gli scontri erano frequenti. Quando
nel 64 d.C. l’imperatore Nerone tentò di addossare ai cristiani la responsabilità dell’incendio di Roma, la distinzione tra essi e gli ebrei
poteva essere forse ancora poco chiara alle autorità imperiali e alla
gente comune, ma era ormai evidente agli occhi dei membri delle
due distinte, affini eppur ormai nemiche comunità.
2. I cristiani a Roma
Da quando esisteva una comunità cristiana nell’Urbe, e come vi si
era impiantata? Ammettiamo di non saperlo: comunque, sembra
proprio che quella superstitio externa (cioè ‘culto estraneo’) di professar
la quale fu accusata nel 57 la matrona Pomponia Grecina fosse appunto quella cristiana. Né il suo doveva essere un caso isolato: Marta
Sordi, parlando di personaggi già cristiani come Acilio Glabrione e
parte della gens Flaviana, ipotizza che vi fossero degli aristocratici convertiti fin dalla prima metà del secolo.
All’indomani dell’incendio, non si scatenò – al contrario di quanto
di solito si afferma – alcuna sistematica persecuzione: tuttavia numerosi cristiani residenti a Roma vennero fatti oggetto di accuse nate
non da un disegno del potere imperiale, ma semmai da incontrollate
quanto diffuse voci popolari che le autorità, al massimo, si limitarono
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i · dalla setta alla chiesa
ad assecondare o a non reprimere: l’identificazione di un capro espiatorio è sempre utile ai governanti nella misura in cui è popolare tra i
governati. Alcuni adepti della nuova setta affrontarono dunque il
supplizio capitale sotto varie forme, di solito spettacolari: i condannati a morte venivano infatti utilmente e proficuamente impiegati come attori in quelle spietate forme di living theater, o piuttosto (visti gli
esiti) di dying theater.9 In quella tragica circostanza tanto Pietro quanto
Paolo, giunti nel Caput mundi in momenti e per ragioni differenti,
recarono il loro conforto alla comunità romana: e, arrestati, vennero
entrambi giustiziati sembra nel 68.
È forse una forzatura definire quella neroniana una vera e propria
persecuzione. Tacito la commenta riprendendo varie tradizioni precedenti e associando l’accusa di orge sessuali a quella di cospirazione
politica, com’era già accaduto a proposito dei baccanali. Il suo testo
– che scagiona gli ebrei da molte accuse abitualmente lanciate contro
di loro – non distingue tuttavia ancora tra ebrei e cristiani. Quando si
cominciò a comprendere, utilizzando non senza imprecisione dei
termini di provenienza topografica, che i “giudei” erano una cosa diversa dai “nazareni” o “galilei”, la nascita dell’anticristianesimo provocò presso i romani un immediato declino del loro fin allora tradizionale antigiudaismo: anzi, divenne corrente per quanto non generale il fenomeno di alleanze, o per lo meno di convergenze, tra pagani ed ebrei accomunati dall’odio o dall’antipatia nei confronti dei fedeli del Cristo. L’atteggiamento degli ebrei, a parte le ragioni propriamente religiose e l’indignazione per un credo che appariva come
l’incontro fra un gruppo di apostati e alcuni pagani profanatori della
fede in Dio, era giustificato anche dal fatto che dopo il 70 – quando le
truppe di Tito avevano occupato Gerusalemme – tutte le comunità
ebraiche erano state costrette a riorganizzarsi in vista di un futuro che
si presentava difficile e a evitare qualunque attrito con le autorità imperiali: il sospetto carattere eversivo che gravava ormai sui cristiani
dopo il 64 induceva di per sé a una rigorosa presa di distanze.
Che i cristiani fossero qualcosa di differente dagli ebrei emerse
gradualmente agli occhi del mondo pagano non solo a partire dalla
vittoria delle tesi paoline secondo le quali nelle comunità cristiane si
dovevano accettare anche i non-ebrei, ma anche perché le reciproche
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cristiani perseguitati e persecutori
polemiche tra i due gruppi e le due fedi, oltre a esser causa di disordini, determinarono la nascita di una letteratura apologetica che segnava efficacemente i confini tra i due mondi: come si vede nel Dialogus
cum Triphone Judaeo dell’apologista greco cristiano Giustino (100-165).
La polemica mostra come da una parte gli ebrei cercassero di difendersi dal proselitismo cristiano, dall’altra i cristiani intendessero tutelarsi dalle malevole leggende fatte circolare nei loro confronti (soprattutto le accuse di sacrificio umano e di eccessi sessuali). Se tra i
cristiani prese presto a circolare la leggenda dell’infanticidio rituale
perpetrato dagli ebrei (cosa di cui i pagani accusavano gli stessi cristiani: mentre va detto che gli ebrei non si servirono mai di analoga calunnia), i fedeli della Torah risposero elaborando tutta una serie di
leggende che tendevano a negare la divinità del Cristo attribuendogli
una nascita impura e vergognosa: Gesú sarebbe stato generato da
Maria, sedotta o violata da un vicino di casa in una notte di shab­bat e
mentre era in stato d’impurità mestruale. Queste leggende confluirono poi nelle Toledoth Yeshuh, che i cristiani vennero a conoscere abbastanza presto (almeno dai primi del III secolo).10
Quanto alle voci che riferivano di riti criminali e abominevoli segretamente perpetrati dai cristiani, e consistenti soprattutto in casi
d’infanticidio e di pedofagia nonché d’incesti e di promiscuità sessuale – delitti commessi tutti nel corso di riti notturni e segreti –, si trattava di calunnie ch’erano già circolate in forme piú o meno analoghe
nei confronti di culti stranieri e misterici provenienti dall’Oriente: è
famoso il caso del culto dionisiaco, proibito dal celebre Senatusconsul­
tum de Bacchanalibus del 186 a.C.11
La tragedia che aveva tenuto dietro all’incendio di Roma dovette
produrre esiti immediati e remoti di opposto segno. Vi fu chi, com’è
testimoniato dal messaggio contenuto nel Vangelo di Matteo, rafforzò il suo proposito di soffrire per il Cristo e mostrò di ritenerlo indispensabile alla professione stessa della nuova fede; e chi invece, ammaestrato dalla persecuzione, preferí scegliere la via della prudenza e
della dissimulazione. Comunque, il senso di lealismo rispetto all’impero era, tra i cristiani, diffuso, naturale e comune: nonostante alcune
voci estremistiche e minoritarie, come quella che si sarebbe manifestata ad esempio con Tertulliano, è certo che i cristiani ch’erano citta20
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I N DIC E
Prologo
9
I. Dalla setta alla Chiesa
1.La fede nel Cristo
2.I cristiani a Roma
3.L’apologetica
4.Confessioni alternative, religioni concorrenti
5.La Chiesa tra II e III secolo. I fondamenti disciplinari e
teologici
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24
26
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II. L’avvio delle persecuzioni
1.Una “nuova nazione”
2.La vittoria dei martiri
3.« Crudelitas vestra gloria est nostra »
4.La crisi e la ricerca di un capro espiatorio
5.Espansione e radicamento
6.Chiese d’Oriente, Chiese d’Occidente
38
41
45
49
55
58
III. Da Diocleziano a Costantino
1.I cristiani nell’esercito
2.L’Era dei Martiri
3.La fine delle persecuzioni
4.Il cristianesimo di Costantino
5.Concili e nuovi provvedimenti
6.Le leggi e i loro effetti
7.La “questione costantiniana”
63
68
72
78
83
88
91
IV. Il IV secolo: fra reazione pagana e consolidamento
cristiano
1.Il prevalere dei cristiani: travolgente vittoria o “resistibi le ascesa”?
185
95
indice
2.Fra contrasti e difficili equilibri
3.Giuliano
4.Aurelio Ambrogio
5.Ordinazione episcopale e controversie ereticali
100
104
109
115
V. Dalle religioni nello stato alla “religione di stato”
1. Verso la fine del paganesimo
2.Teodosio e l’irrigidimento della normativa antipagana
3.Ipazia
4.Il Codice teodosiano
5.La Chiesa d’Occidente
6.Giustiniano
7. Processi ed esecuzioni
122
127
133
136
141
146
149
Epilogo
157
Note
167
Bibliografia
173
Indici
Indice dei nomi
179
186
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