La penale esigua e l`equità del contratto

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La penale esigua e l`equità del contratto
Premessa
«In quale modo possa essere equo ciò che è giusto al di là della legge
scritta?» 1.
Il lavoro, in premessa, ripercorre lo stato della dottrina e della giurisprudenza relativamente alla qualificazione causale e alla disciplina della
clausola penale. La disamina dell’istituto prosegue con l’approfondimento degli sviluppi critici della ricostruzione del patto penale ed, in particolare con il tentativo di verificare l’ammissibilità e la giustificazione giuridica dell’intervento equitativo dell’autorità giudiziaria, anche oltre i limiti
imposti ai sensi dell’art. 1384 c.c.
La trattazione si articola in quattro capitoli di cui il primo assume una
funzione prodromico introduttiva, avente ad oggetto l’approfondimento
dell’evoluzione causale e l’interpretazione della disciplina normativa del
patto penale. In particolare, ci si sofferma sulla ricostruzione causale della clausola penale quale patto avente natura coercitiva di strumento rafforzativo, ancorché indiretto, dell’adempimento; ovvero quale patto avente funzione risarcitoria consistente nella liquidazione anticipatoria del
danno con particolare riferimento alla categoria dell’istituto di «determinazione convenzionale del danno». Ci si sofferma, altresì, sulla qualificazione della penale quale istituto avente funzione mista o variabile con
particolare attenzione rispetto alla possibilità di ricomprendere in tale
funzione mista, oltreché una funzione risarcitoria liquidativa e di coercizione indiretta all’adempimento, anche una funzione sanzionatoria. Il dibattito sulla funzione (anche) punitiva del danno risulta essere, infatti, di
stringente attualità in quanto, a fronte di una chiusura tradizionale del nostro ordinamento rispetto all’ammissibilità di tale funzione, dettata da una
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Aristotele, Hθικα Νικομάχεια.
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La penale esigua e l’equità del contratto
motivazione di contrarietà della stessa all’ordine pubblico, si evidenzia
una recente tendenza legislativa e giurisprudenziale di apertura verso la
funzione punitiva del danno.
Si procede, quindi, con l’analisi della categoria dei danni punitivi con
particolare riferimento all’istituto dei punitive damages di derivazione anglosassone, al fine di verificare la piena coincidenza dei due istituti.
Si passa, poi, all’analisi degli strumenti di coercizione indiretta all’adempimento sul cui tema, parimenti, vi sono evoluzioni di notevole portata. Anzitutto si procede all’analisi delle astreintes che, quale forma di
coercizione indiretta all’adempimento, sono state considerate ammissibili, da un recente orientamento giurisprudenziale, nel nostro ordinamento
in sede delibazione di sentenze straniere. Sul punto si evidenzia, inoltre,
che il nostro ordinamento ha previsto e disciplinato diverse forme di
coercizione indiretta all’adempimento in singole disposizioni normative
di settore, quali l’art. 709 ter c.p.c., la disciplina in tema di marchi e brevetti, la disciplina prevista dal Codice del consumo e quella dal Codice
del processo amministrativo, l’art. 18, ultimo comma, dello Statuto dei
lavoratori e l’azione di classe. Inoltre, con la recente novella che ha interessato l’art. 614 bis c.p.c. è stato introdotto nel nostro ordinamento un
generale strumento di coercizione indiretta all’adempimento degli obblighi di fare sia fungibili che infungibili. Con queste riflessioni, si conclude il capitolo in esame, con l’elaborazione di una nuova concezione di
responsabilità civile nel nostro ordinamento, finalizzata non solo alla liquidazione del danno ma, anche, ad una funzione sanzionatoria del comportamento del soggetto inadempiente. Tale natura policausale della responsabilità civile diventa, nel dibattito che interessa il presente lavoro,
un’argomentazione a favore dell’adesione alla ricostruzione causale della clausola penale quale patto avente funzione mista o variabile e comprensiva, quindi, di una natura sanzionatoria, oltreché di coercizione indiretta all’adempimento e liquidatoria del danno. Tesi che, come verrà
argomentato in conclusione al presente lavoro, è idonea a ricomprendere, proprio in tale preferibile ricostruzione causale, anche l’ipotesi oggetto di analisi della maggiorazione della penale di importo manifestamente
esiguo.
Il secondo capitolo affronta, invece, la trattazione dell’argomento che
rappresenta il fulcro centrale della ricerca, ovvero il rapporto tra la riducibilità giudiziale della penale manifestamente eccesiva, come espressa-
Premessa
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mente ammesso ai sensi dell’art. 1384 c.c., e l’integrazione del contratto
al fine della riduzione dello stesso ad equità, come previsto ai sensi dell’art. 1374 c.c. Il punto di partenza della riflessione giuridica è l’analisi
del fondamento giuridico della riducibilità della clausola penale manifestamente eccessiva, ravvisato, secondo il più recente orientamento, nell’esigenza di natura oggettiva di garantire la proporzione tra le prestazioni dedotte e l’adeguatezza della sanzione, in un’ottica di tutela dell’ordinamento giuridico. Secondo tale accreditata ricostruzione, infatti, l’intervento del giudice, ex art. 1384 c.c., sarebbe mosso non tanto dall’interesse della parte gravata dal peso della penale, quanto piuttosto da un interesse più generale, di natura oggettiva. Interesse che i contratti, o le clausole in essi contenuti, realizzino equilibri ragionevoli senza sconfinare in
pattuizioni arbitrarie.
Viene, poi, ripercorso l’iter giurisprudenziale relativo all’ammissibilità
dell’intervento equitativo d’ufficio del giudice avente ad oggetto la riduzione della clausola penale manifestamente eccessiva. In particolare, viene analizzata la nota sentenza della Cassazione a Sezioni Unite 13 settembre 2005, n. 18128 che, oltre ad ammettere espressamente l’intervento officioso del giudice anche in assenza di un’eccezione della parte
interessata, offre particolari spunti rispetto all’esigenza di riduzione dell’equilibrio contrattuale ad equità. I giudici di legittimità offrono un interessante spunto in relazione al ridimensionamento del principio di intangibilità del regolamento pattizio e alla pregnante esigenza di un adeguamento del contratto ai principi costituzionali, al fine del bilanciamento
della libertà negoziale e della libera iniziativa economica con i valori di
solidarietà ed utilità sociale, della valorizzazione dell’iniziativa economica, e della funzione sociale della proprietà.
L’approfondimento prosegue, poi, evidenziando quello che sembra
essere, in realtà, un vuoto normativo del legislatore del ’42 nella misura
in cui nessun potere correttivo del giudice è normativamente previsto nel
caso di una penale d’importo manifestamente esiguo. Ci si intende riferire, in particolare, all’ipotesi in cui le parti abbiano convenuto una valida
quanto lecita clausola penale che sia determinata, però, in un importo
notevolmente inferiore rispetto all’imprevedibilità dei danni. Questa
aporia o vuoto nella normativa del codice civile a ben vedere è stato ravvisato da autorevole dottrina che ha evidenziato il disvalore della mancata previsione, a fronte di un potere di riduzione giudiziale della penale
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La penale esigua e l’equità del contratto
manifestamente eccessiva, di un corrispondente potere di maggiorazione
giudiziale di una penale manifestamente esigua 2.
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Sul punto, infatti, è stato rilevato che: «Inoltre, nel sottolineare come la sanzione penale possa rafforzare la posizione del creditore, si osserva che questa spesso è, nel suo
ammontare, determinata in misura molto limitata e ciò che si guadagna in rapidità di tutela lo si perde nell’entità della sanzione. Pertanto, viene criticato il disposto legislativo che
non prevede, accanto al potere di riduzione della penale manifestamente eccessiva, un
analogo potere nell’ipotesi opposta», A. MARINI, La clausola penale, Napoli, 1984, p. 38.
In senso analogo: «A parte l’incerto rilievo, almeno sotto il profilo della (im)produttività degli effetti, secondo cui l’autonomia delle parti incontrerebbe il “limite” consistente nel non poter convenire “una penale di importo tanto esiguo da indurre il debitore a non adempiere”, perché riterrebbe “tale comportamento più conveniente” va
considerato, invece, che una valida, quanto lecita, penale “irrisoria” o, comunque, notevolmente “inferiore” all’(im)prevedibilità dei danni, ma tale da non essere, nella fattispecie concreta, né una clausola in frode alla legge, sanzionabile con la nullità radicale
di cui all’art. 1344 c.c., né una penale abusiva, sanzionabile con l’inefficacia relativa di
cui all’art. 1469-quinquies, non trova, in realtà, nel nostro ordinamento, una coerente
corrispondenza con gli stessi princìpi dell’adeguatezza e della proporzionalità delle prestazioni e/o delle sanzioni che si vogliono, invece, a fondamento della riducibilità della
penale (all’esatto opposto) eccessiva», e pertanto, «Il mantenimento dell’equilibrio contrattuale, avuto riguardo al contenuto globale dell’accordo e, dunque, avuto riguardo
anche all’eventuale stipulatio poenae, è fortemente avvertito da quella dottrina che si
manifesta assai critica nei confronti di una impostazione codicistica che privilegia soltanto la riducibilità della penale eccessiva (che sia tale “manifestamente” o per il “parziale adempimento” dell’obbligazione principale) e trascura del tutto la possibilità di
una corrispondente equa maggiorazione giudiziale di una penale irrisoria (manifestamente tale o, comunque, gravemente lesiva dell’interesse del creditore all’esatto adempimento o ad un adeguato risarcimento)», S. MAZZARESE, Clausola penale, in Commentario cod. civ., diretto da P. SCHLESINGER, Giuffrè, Milano, 2004, p. 610 ss.
Lo stesso rilievo è stato evidenziato da C. MEDICI, Controllo sulla penale «manifestamente eccessiva» ed equilibrio degli scambi contrattuali, in Danno e resp., 4, 2006,
p. 411, nota a Cass., Sez. un., 13 settembre 2005, n. 18128, secondo la quale: «La tenuta
della nuova lettura dell’art. 1384 c.c., così come suggerita dalle Sezioni Unite, in chiave
di intervento correttivo del disequilibrio contrattuale, trova un insormontabile ostacolo
nella disciplina stessa della clausola penale. Ad una simile connotazione della norma
osta, infatti, la direzione a senso unico intrapresa dal legislatore del ‘42 che, nel predisporre la modifica dell’ammontare della penale solamente nell’ipotesi di ammontare
manifestamente eccessivo (tale da attribuire un indubbio vantaggio per creditore), non
ha, invece, contemplato alcun intervento nell’opposto caso di penale di importo manifestamente esiguo (tale da attribuire un indubbio vantaggio per il debitore)».
Identico rilievo è evidenziato da E. BATTELLI, Clausola penale: riduzione d’ufficio e
criteri di valutazione, in Contratti, 2008, 8, p. 765, secondo il quale: «Invero, se il principio generale è quello dell’equilibrio delle prestazioni, il giudice non dovrebbe intervenire esclusivamente nel caso di penale eccessivamente alta, ma anche in caso di penale
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A ben vedere, una penale esigua ma non irrisoria non è, nella fattispecie concreta, né una clausola in frode alla legge, quindi radicalmente nulla ex art. 1344 c.c., né una penale abusiva, e, quindi, affetta da nullità relativa ex art. 36 del Cod. consumo, né, tantomeno, una penale «irrisoria»,
e comunque, nulla ovvero inefficace. Pertanto, nel caso di specie, si pone
il problema di ricercare un rimedio correttivo.
L’analisi, in particolare, si propone di verificare se i principi di equità,
adeguatezza e proporzionalità delle prestazioni e/o delle sanzioni, cui si
ispira il recente orientamento dogmatico finalizzato alla creazione di un
modello unitario di «contratto giusto», e posti coerentemente a fondamento della riducibilità officiosa della clausola penale, possano, altrettanto coerentemente, porsi a fondamento di un adeguamento giudiziale, in
termini maggiorativi, di una penale manifestamente esigua o, comunque,
gravemente lesiva dell’interesse del creditore all’esatto adempimento ovvero ad un adeguato risarcimento.
Al fine di verificare tale risultato il lavoro prosegue, nel terzo capitolo,
con la ricostruzione dei concetti di intervento equitativo del giudice, principio di proporzionalità e di bilanciamento del contratto e del loro rapporto con il principio dell’autonomia negoziale. L’equità, nel caso di specie,
si presta ad essere più propriamente qualificata come equità correttivointegrativa, finalizzata, ad intervenire sull’iniziale regolamento contrattuale come convenuto tra le parti per effetto dell’autonomia negoziale ad
esse riconosciuta. A ben vedere si è evidenziato che il potere di equità
correttiva dell’intervento giudiziale può validamente essere posto in essere in termini restrittivi, allorché riduca quantitativamente le prestazioni
dedotte nel regolamento contrattuale, come nel caso di riduzione della
penale nell’ipotesi ammessa dall’art. 1384 c.c. ovvero in termini di ampliamento del contenuto contrattuale, come nel caso della fissazione del
giusto prezzo ovvero di determinazione equitativa del danno.
Occorre, a questo punto, considerare se l’ampliamento o la restrizione
delle prestazioni, come dedotte in contratto, debbano essere posti in relazione con le regole del mercato, oppure se da queste si possa prescindere.
eccessivamente bassa o irrisoria (come è previsto dall’art. 1152 code civil). Così invece
non avviene, con evidente disparità di situazioni e di discipline. Evidenti ragioni di simmetria, infatti, vorrebbero che i poteri correttivi si esplicassero in entrambe le direzioni,
intervenendo non soltanto sulle penali eccessive, ma anche su quelle irrisorie, si da ritoccarle, se del caso, verso l’alto».
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La penale esigua e l’equità del contratto
In tema di riduzione della prestazione dedotta nel contratto, come nel caso di riduzione della penale, l’intervento equitativo integrativo correttivo
è finalizzato al bilanciamento delle prestazioni dedotte dalle parti, al fine
di garantire la proporzionalità e l’adeguatezza delle stesse e la commutatività del rapporto. Il potere correttivo del Giudice, infatti, trova precipuo
fondamento proprio nell’esigenza di evitare uno squilibrio, una irragionevole sproporzione tra le prestazioni e, quindi, risponde ad una tutela
oggettiva dell’ordinamento e non soggettiva del debitore e, quindi, secondo un riferimento al rapporto tra le prestazioni come originariamente
stipulate tra le parti.
Da questo si ricava la regola generale che l’intervento equitativo prescinde dal mercato ed è un controllo intero al regolamento, avente ad oggetto la verifica della proporzionalità ed adeguatezza delle prestazioni
contrattuali dedotte.
Nel caso, inverso, di intervento di ampliamento del contenuto contrattuale rispetto a quello originario, oltre al controllo, per così dire, interno
del contenuto comparativo delle prestazioni dedotte, è necessario, anche
un controllo esterno, avente quale termine di comparazione il contenuto
del contratto ed il mercato in cui tale contratto è sorto ed opera. Nel caso,
infatti, in cui al giudice sia demandata, sempre secondo equità, ad esempio la fissazione del «giusto prezzo» per l’inserimento del relativo valore
nel contratto ovvero per la stima del danno allora, è imprescindibile il riferimento ai canoni del valore del mercato che trascendono la natura e
l’ammontare delle prestazioni dedotte dalle parti al momento della fissazione del regolamento contrattuale e che, appunto, determinano un controllo relazionale esterno allo stesso.
Al fine di applicare questi principi fondanti l’equità correttivo-integrativa del contratto all’ipotesi oggetto di analisi dell’intervento giudiziale della maggiorazione della penale, sia in termini di controllo interno
delle prestazioni che in termini di equità di mercato, si è proceduto ad
analizzare la portata ed i limiti di tale duplice intervento. In primo luogo
con l’analisi dei principi fondanti il controllo equitativo interno del contratto in termini di proporzionalità e bilanciamento delle prestazioni dedotte.
Il principio di proporzionalità, in particolare, tende ad essere un principio che ha valenza sul piano quantitativo e determina, di conseguenza,
la riduzione del contratto. Questo principio consiste, infatti, nella giusta
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proporzione e quantificazione delle prestazioni oggetto del contratto e,
quindi, configura un parametro di natura prettamente quantitativa.
Il principio di meritevolezza della tutela, però, come è stato evidenziato puntualmente dalla dottrina, non può basarsi solo su una valutazione
quantitativa, come quella espressa dal principio di proporzionalità, ma
necessità di una valutazione anche di natura qualitativa. Ed allora si impone il ricorso ulteriore ai principi di ragionevolezza ed adeguatezza, che,
a completamento dell’esigenza di meritevolezza, esprimono il generale
criterio di bilanciamento qualitativo del contratto. In effetti, proprio l’esigenza di mantenimento dell’equilibrio contrattuale è fortemente avvertita
da quella dottrina che si manifesta assai critica nei confronti di un’impostazione meramente codicistica volta ad ammettere la riducibilità della
penale eccessiva, trascurando, invece, la possibilità di una corrispondente
equa maggiorazione giudiziale della penale esigua, e, quindi, lesiva dell’interesse del creditore all’esatto adempimento.
Vi è, poi, il principio di uguaglianza delle posizioni del rapporto obbligatorio che sovviene nell’ipotesi ricostruttiva in esame. In particolare,
proprio in relazione all’uguaglianza delle posizioni del rapporto obbligatorio, è stato osservato che la normativa in tema di riduzione della clausola penale finisce per penalizzare il creditore a favore esclusivamente del
debitore 3.
In secondo luogo si è proceduto all’analisi del rapporto tra equità e
mercato, ovvero l’ulteriore parametro di riferimento in relazione ad un
intervento integrativo in termini di ampliamento, anche quantitativo, delle prestazioni dedotte originariamente nel contratto, come avviene nel caso di determinazione del prezzo rimessa al giusto prezzo, ex art. 1474,
comma 3, c.c. ovvero in caso di liquidazione giudiziale del danno secondo equità, ex art. 1226 c.c. È stato, infatti evidenziato che, nel nostro tempo, il riferimento al c.d. «giusto prezzo» altro non significa che «il prezzo
di mercato», giacché, anche secondo la coscienza sociale, un prezzo è
equo quando un certo bene è abitualmente scambiato a quel valore o comunque ad un valore che si formi secondo le regole della domanda e
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La «penalizzazione» della posizione del creditore e, al contempo, la «estensione», in
modo significativo, della tutela del debitore sono rilevate da F. AGNINO, La riducibilità
d’ufficio della clausola penale, in Corriere giur., 2007, p. 46 ss., 51, al servizio della critica alle conclusioni cui pervengono sia Cass., Sez. un., 13 settembre 2005, n. 18128, cit.,
sia Cass., 28 settembre 2006, n. 21066, cit.
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La penale esigua e l’equità del contratto
dell’offerta, ovvero secondo le regole del mercato. Anche in questo caso
si evidenzia la necessità di un intervento equitativo del giudice a fronte
dell’ipotesi in cui il creditore si veda costretto a ricevere una penale esigua e non corrispondente ad un equo valore, secondo il parametro di riferimento del mercato, del danno subito. Questa analisi evidenzia, quindi,
che, nel nostro ordinamento, l’intervento equitativo del giudice è per così
dire «claudicante» perché non realizza, sia rispetto ad un controllo interno relativo ad un principio generale di adeguatezza e proporzionalità delle prestazioni contrattuali, sia in relazione ad un controllo esterno relativo
al rapporto tra equità e mercato, una perfetta simmetria del principio di
uguaglianza reciproca dei soggetti nel rapporto obbligatorio, nella misura
in cui tali principi si traducono nella possibilità di un intervento equitativo di riduzione, ma non altrettanto di maggiorazione della penale esigua.
Naturalmente l’applicazione del criterio integrativo equitativo, si scontra, nell’ipotesi precipua dell’intervento giudiziale maggiorativo, con la
mancata previsione legislativa che accordi un simile potere al giudice. Si
entra, in questo caso, nel vivo dell’annoso dibattito tra libertà negoziale
ed intervento equitativo in quanto si deve approfondire se l’equità possa
operare anche in opposizione ad una disciplina pattizia pur senza il richiamo ad una norma specifica ma sulla base del solo art. 1374 c.c. Al
fine di superare questa obiezione si ritiene di poter prendere in considerazione una ricostruzione del concetto di equità integrativa secondo la quale l’equità di cui all’art. 1374 c.c. sia distinta dalle singole ipotesi in cui
l’intervento del giudice è autorizzato espressamente dalla legge e consentirebbe al giudice di intervenire sul regolamento contrattuale ogni qual
volta l’operazione economica appaia, alla luce delle circostanze concrete,
contraria al principio di equità 4. In tal modo, quindi, l’equità sarebbe posta a presidio di principi superindividuali, al pari delle norme imperative,
dell’ordine pubblico e del buon costume, ma essa non opererebbe a priori, bensì a posteriori solo quando il giudice, anche d’ufficio, ravvisasse in
concreto un grave squilibrio regolamentare a danno di una parte. Qualora
si propenda, invece, per ritenere che l’art. 1374 c.c. non sia dotato di un
contenuto recettivo autonomo ma sia, invece, norma ricognitiva delle
singole disposizioni che consentono l’intervento equitativo che potrebbe
essere legittimato solo da un’apposita previsione normativa e che, quindi,
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F. GAZZONI, Equità e autonomia privata, Giuffrè, Milano, 1970, p. 120.
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la mancata previsione normativa di un potere giudiziale di adeguamento
della penale esigua, sia considerata preclusiva dell’intervento equitativo,
sarà, comunque, possibile fondare tale intervento sul richiamato utilizzo
delle clausole generali ed, in particolare, sul principio di buona fede ovvero sul controllo di meritevolezza ex art. 1322 c.c. Per l’applicazione di
tali criteri, infatti, differentemente da quello equitativo, non vi è la necessità di un’apposita previsione normativa, trattandosi evidentemente di clausole generali. In entrambe le ricostruzioni, quindi, a ben vedere si perviene all’ammissibilità dell’intervento equitativo in termini di maggiorazione della penale superando, così, l’obiezione della mancanza di un’apposita norma che giustifichi l’intervento equitativo giudiziale modificativo
del regolamento pattizio.
La trattazione prosegue, nell’ultimo capitolo, con il tentativo di enucleare gli argomenti a favore dell’ammissibilità di una maggiorazione
della clausola penale esigua al fine di valutare, criticamente, la verificabilità logico giuridica della stessa.
Anzitutto viene affrontata la verifica della compatibilità della ipotesi
ricostruttiva in esame in relazione alle descritte teorie che si sono occupate del fondamento causale della penale. A ben vedere l’ipotesi cui il giudice possa intervenire sull’importo di una penale esigua in termini di adeguamento di natura maggiorativa non è incompatibile con le principali
funzioni ricollegate alla penale, anche secondo la nuova concezione della
natura policausale della responsabilità civile.
In primo luogo non è incompatibile con la funzione risarcitoria del
danno in quanto una penale così esigua rispetto il danno subìto non assolve
quella necessaria funzione ristoratrice del lucro cessante e del danno
emergente derivante dall’altrui condotta illecita. Né tantomeno sul punto
potrebbe invocarsi che trattandosi di una liquidazione forfettaria anticipatoria del danno il rischio della non (piena?) soddisfazione del pregiudizio
subito sarebbe per così dire compensato dalla celerità della liquidazione
che deriva dal meccanismo della penale. In quanto in tal caso, e senza
previsione del risarcimento del danno ulteriore, nella consapevolezza di
non potere ottenere un ristoro reale del pregiudizio subìto ma solo meramente marginale, il creditore avrebbe un atteggiamento rinunciatario rispetto all’intraprendere un’azione giudiziale, con i connessi costi, e,
quindi, vedrebbe irrimediabilmente frustrato un suo diritto inviolabile costituzionalmente garantito. In secondo luogo tale ipotesi non sarebbe in-
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La penale esigua e l’equità del contratto
compatibile anche con la funzione coercitiva ricollegata all’istituto, in
quanto si avrebbe il paradosso della piena validità ed efficacia di una penale di importo tanto esiguo da indurre il debitore a non adempiere, perché riterrebbe tale comportamento più conveniente, qualora non sia pattuita la risarcibilità del danno ulteriore. Un’ipotesi paradossale anzitutto a
ragioni di logica giuridica, ancorché in violazione di un generale principio di equità e proporzionalità delle prestazioni ma soprattutto contraria
ad uno dei principali fondamenti causali della clausola penale. Infine,
l’impossibilità di un intervento maggiorativo di una clausola penale con
siffatte caratteristiche si pone, altresì, in netto contrasto con la riconosciuta efficacia (anche) di natura sanzionatoria della responsabilità del debitore. Infatti, gli strumenti a carattere sanzionatorio dell’illecito, in alcuni
casi addirittura previsti in maniera del tutto svincolata rispetto alla sussistenza ed all’ammontare del danno, sono previsti dal nostro ordinamento
e si evidenzia una generale apertura verso una funzione anche sanzionatoria del risarcimento del danno. Nel caso di specie, lungi dalla funzione
sanzionatoria, la parte inadempiente andrebbe incontro non già ad una
sanzione del comportamento illecito posto in essere ma ad una vera e
propria impunità.
Viene, poi, svolta un’analisi in relativa alla portata e all’ampiezza dell’intervento equitativo giudiziale rispetto ai limiti ammessi dalla legge. Tale comparazione viene posta in essere al fine di evidenziare che, pur mancando una norma che espressamente consente tale intervento giudiziale, la
finalità equitativa dello stesso e la conformazione del contratto al dettato
costituzionale giustificano, comunque, tale intervento giudiziale. Il caso cui
si riferisce è la possibilità di applicare l’ipotesi normativa della riduzione
della penale manifestamente eccessiva anche alla caparra confirmatoria ex
art. 1385 c.c. che è considerata ammissibile dalla dottrina prevalente. Più in
generale, come osservato, è stato attribuito al meccanismo di riduzione il
ruolo di riequilibrare, secondo l’equità correttiva o commutativa, l’intero
rapporto contrattuale con la finalità di garantire la proporzionalità e giustizia della sanzione in ragione dell’interesse primario dell’ordinamento giuridico. Orbene se, quindi, si arriva ad ammettere che l’intervento equitativo
del giudice possa essere posto in essere anche oltre i confini della espressa
previsione normativa sulla base dell’interesse supremo dei principi costituzionali richiamatati, allora lo stesso intervento, quando sia ispirato alla medesima finalità di equità correttiva o commutativa dell’intero rapporto con-
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trattuale, potrà giustificare l’intervento maggiorativo della penale pattuita
ancorché tale espressa facoltà non sia contemplata da una norma ad hoc.
Come evidenziato, infatti, l’equilibrio integrativo – commutativo dell’intervento giudiziale, si verifica non solo quando la penale sia eccessiva ma anche quanto la stessa sia esigua a tal punto da far venire meno il sinallagma
tra l’inadempimento e la relativa sanzione.
Una volta ammessa, dunque, la compatibilità dell’intervento maggiorativo della clausola penale esigua con i principi fondanti il nostro ordinamento, si svolge un’ulteriore analisi di compatibilità con il sistema.
Anzitutto, si verifica se una tale ipotesi ricostruttiva sia ammessa dalla
natura del fondamento causale dell’intervento ufficioso di maggiorazione
giudiziale della penale. Ci si riferisce, in particolare, alla pronuncia delle
Sezioni unite della Suprema Corte di Cassazione del 2005 5 che offre
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Cass., Sez. un., 13 settembre 2005, n. 18128, in Obbligazioni e contratti, 2006, p. 415
ss., con nota di V. PESCATORE, Riduzione d’ufficio della penale e ordine pubblico economico, in Riv. dir. priv., 2006, p. 728 ss., con nota di C. CICALA, La riducibilità d’ufficio
della penale. Per gli Autori, l’equilibrio cui l’intervento del giudice deve essere finalizzato è quello del mercato concorrenziale, come oggi delineato dal nostro ordinamento
giuridico grazie all’adesione ai Trattati europei. Le opinioni riportate sono espresse sulla
scia dell’insegnamento di N. IRTI, L’ordine giuridico del mercato, Laterza, Bari, 2004, p.
32 ss. La sentenza è altresì pubblicata in Foro it., 2006, I, p. 106, con nota di A. PALMIERI, Supervisione sistematica delle clausole penali: riequilibrio (coatto ed unidirezionale)
a scapito dell’efficienza?; nonché, ivi, p. 432, nota di A. BITETTO, Riduzione ex officio
della penale: equità a tutti i costi?, in Danno e resp., 2006, p. 411 ss., con note successive di C. MEDICI, Controllo sulla penale «manifestamente eccessiva» ed equilibrio degli
scambi contrattuali, e di A. RICCIO, Il generale intervento correttivo del giudice sugli atti
di autonomia privata, ivi, p. 424 ss., in Resp. civ. e prev., 2006, p. 56 ss., con nota di G.
SCHIAVONE, Funzione della clausola penale e potere di riduzione da parte del giudice, in
Corriere del merito, 2005, p. 1171, con nota di G. TRAVAGLINO, Clausola penale manifestamente eccessiva e potere di riduzione d’ufficio, in Corriere giur., 2005, p. 1534, con
nota di A. DI MAJO, La riduzione della penale ex officio, in Guida dir., 2005, p. 38, 41
ss., con nota di M. PISELLI, Con l’estensione del favor debitoris compromessa la finalità
dell’istituto. Un’analisi attenta della pronuncia a Sezioni Unite è offerta da C. ABATANGELO, La richiesta di riduzione della clausola penale: un’ipotesi di c.d. eccezione in senso lato?, in Riv. dir. civ., 2007, II, p. 43 ss., secondo la quale si potrebbe dubitare «dell’esistenza di una stretta consequenzialità logica tra individuazione dell’interesse sotteso
alla riducibilità della penale e soluzione del problema se la riducibilità possa o no avvenire d’ufficio ... se anche si ritenga il potere di riduzione a tutela di un interesse superiore dell’ordinamento giuridico, con ciò non si dimostra necessariamente che la penale sia
riducibile ex officio». ID., Preclusioni processuali e limiti ex contractu alla riducibilità
della penale, in Obbligazioni e contratti, 2007, p. 438 ss. Critico nei confronti dei recenti
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La penale esigua e l’equità del contratto
l’occasione per tornare a riflettere sul ruolo da attribuire all’intervento
giudiziale e sembra suggerire, con un’ampia visione di intervento, una
mutata concezione del contratto quale spazio non più autogestito dai privati ma sottoposto ad un controllo da parte dell’ordinamento per le dichiarate esigenze di equità e solidarietà sociale nonché di ordine pubblico
economico. In particolare, con la richiamata sentenza la Suprema Corte
evidenzia che l’intervento d’ufficio del giudice di riduzione della penale
non è determinato a tutela del contraente debole, ma nell’interesse del sistema ad una proporzione tra danno, costo ed utilità della prestazione. Allora il medesimo interesse potrebbe validamente fondare l’ipotesi ricostruttiva de qua che, ha ad oggetto, proprio la menzionata proporzione tra
danno ed utilità, stavolta del creditore. Spogliato, infatti, della tutela per
il contraente debole il controllo giudiziale si veste di oggettività e proporzionalità della prestazione e, quindi, si attanaglia perfettamente quale
fondamento giustificativo dell’ipotesi ricostruttiva di maggiorazione della
penale. Inoltre, la Corte, evidenziando il superamento del dogma dell’intangibilità del regolamento pattizio, afferma che l’intervento giudiziale
sul contenuto dell’autonomia negoziale deve essere giustificato sulla base
di un’equità integrativo correttiva. Anche in riferimento a quest’altro argomento l’equità integrativo correttiva del regolamento pattizio non solo
può ma deve doverosamente ispirare tanto l’intervento di riduzione della
penale manifestamente eccessiva quanto quello di maggiorazione di quella esigua.
In secondo luogo l’analisi prosegue rispetto al dato comparativo con i
principali ordinamenti di civil law europei. Detta analisi offre un interessante spunto rispetto all’art. 1152 Code Civil, che attribuisce al giudice la
facoltà tanto di diminuire la peine manifestament excessive, quanto di aumentare la peine manifestament dèrisorie, nonché rispetto al § 343 B.G.B.
che prevede un’ampia e pregnante tutela dell’interesse del creditore nella
riduzione giudiziale della penale e che, per compensare la mancata previsione di una maggiorazione giudiziale della stessa, prevede la risarcibilità
del danno ulteriore indipendentemente da un’apposita e specifica pattuizione.
orientamenti della Corte di legittimità, V. MARICONDA, I criticabili orientamenti della
Cassazione sul dividend washing e sulla riduzione d’ufficio della clausola penale, in
Corriere giur., 2007, p. 153 ss.
Premessa
XXV
In terzo luogo si prosegue con l’analisi comparativa della proposta
ipotesi ricostruttiva rispetto alla tecnica legislativa di riequilibrio del contratto a tutela del creditore. Tale tutela del creditore si snoda nel nostro
ordinamento in due binari paralleli, uno per così dire discendente da una
tutela di carattere generale ed uno di carattere speciale.
Un primo binario che corrisponde al passaggio dalla tutela del contraente debole, ovvero di interventi a tutela di determinate categorie di contraenti, quali consumatore, subfornitore, cliente, investitore, turista, passeggero,
ad un generico dovere di tutela nei contratti asimmetrici avente carattere
generale. Si registra, effettivamente, un’inversione di tendenza, in considerazione degli interventi statuali e sovranazionali finalizzati alla tutela della
giustizia contrattuale, in linea con il programma sociale solidarista delineato nella Costituzione. Per questa ragione è preliminare alla ricostruzione de
qua un ripensamento della secca rilevanza della nozione soggettiva di
«contraente debole» qualificata, volta per volta, per tabulas nelle fonti comunitarie ed in quelle nazionali. Ai fini dell’operatività della normativa di
protezione si ritiene preferibile considerare un baricentro oggettivo dato
dalla disparità di potere contrattuale. L’indiscutibile tendenza della più recente legislazione verso una tutela generalizzata del «contraente debole»,
infatti, rappresenta la risposta all’insorgenza di sempre nuove e plurime
esigenze di tutela nei diversi settori della contrattazione; si tratta di una categoria ancorata ai continui mutamenti degli assetti economico – sociali e
fonte di dibattiti in ordine alla esatta delimitazione degli ambiti soggettivi.
A venire in considerazione, nel caso oggetto di analisi, è la debolezza contrattuale fondata sulla fisiologia dei rapporti socio – economici, per così dire strutturale e diffusa, prodotta dal mercato. Tale approfondimento evidenzia un dato sistemico, di fondamentale importanza per la ricostruzione
oggetto dell’odierna analisi: il legislatore, nel dettare gli statuti a protezione del contraente debole, mira ad approntare una disciplina che garantisca
la giustizia, l’efficienza, l’equità e l’uguaglianza sostanziale in un contesto
di allargamento dei mercati e di mutamento delle tecniche contrattuali, determinando, per questo verso, «una sorta di “invasione” dell’autorità nella
sfera dell’autodeterminazione negoziale» 6.
Vi è, poi, un secondo binario rappresentato da una tutela speciale del
6
M. GIROLAMI, Le nullità di protezione nel sistema delle patologie negoziali, Napoli,
2007, pp. 329-330.
XXVI
La penale esigua e l’equità del contratto
creditore che a ben vedere trova degli evidenti impieghi nel nostro ordinamento come nel caso del D.lgs. 9 ottobre 2002, n. 231, e successive modifiche ed integrazioni, e rispetto alle ipotesi di tutela delle ragioni creditorie,
e nel caso della pattuizione di interessi inferiori al tasso legale nonché della
vendita ad un prezzo c.d. vile. Inoltre, l’analisi del dato comparativo con i
valori del nostro ordinamento impone la verifica della ricostruzione operata rispetto ai principi costituzionali. Anche tale verifica a ben vedere evidenzia la piena compatibilità dell’ipotesi maggiorativa della penale con il
rispetto e la valorizzazione dei principi costituzionalmente garantiti dell’iniziativa economica, e della tutela del credito e della proprietà.
Si prosegue, infine, con un riscontro a contrario avente ad oggetto la
verifica se, nel nostro ordinamento, esistano istituti giuridici tipici che,
pur assolvendo una diversa funzione, siano idonei a tutelare quegli interessi creditori, viceversa frustrati dall’assenza di uno specifico potere di
adeguamento ovvero maggiorazione giudiziale della penale. Si evidenzia,
anzitutto, l’impossibilità del ricorso all’art. 1229 c.c. al fine della declaratoria di nullità della penale esigua, oltre che irrisoria, quale clausola di
esclusione della responsabilità del debitore. Tale ricostruzione prevede,
infatti, una portata applicativa circoscritta alle sole ipotesi di dolo o colpa
grave ovvero di violazione di una norma di ordine pubblico. Il ricorso alla clausola di esclusione della responsabilità ex art. 1229 c.c., quindi, risulta applicabile alla sola ipotesi della penale irrisoria e non anche a quella della penale esigua, oggetto del presente lavoro, e, pertanto, è inidoneo
ad includere tutte le ulteriori e più frequenti ipotesi di inadeguatezza
dell’ammontare della clausola penale.
Si evidenzia, dunque, che anche il ricorso al rimedio della risoluzione
per eccessiva onerosità, ex art. 1467 c.c., non svolge una generale portata
applicativa e, quindi, non è un rimedio valutabile per il caso in esame. Infatti, l’istituto in questione è applicabile alla sola ipotesi oggettiva dell’eccessiva onerosità, necessariamente sopravvenuta, che sia determinata dal
verificarsi di eventi straordinari ed imprevedibili e solo limitatamente ai
contratti a prestazioni corrispettive e ad esecuzione continuata o periodica.
Il lavoro prosegue, poi, con la valutazione dell’ammissibilità di una diversa ricostruzione causale della clausola penale, anche alla luce delle riflessioni operate. In tale rinnovato contesto normativo ed assiologico del
nuovo diritto contrattuale, si è registrata un’aggiornata considerazione del
senso dell’autonomia privata che, sempre più, subisce interventi e controlli
Premessa
XXVII
volti a recuperare, sul piano giuridico, l’ineguaglianza sostanziale che caratterizza il rapporto tra tipici ruoli negoziali. Tale rilievo ha condotto la
dottrina all’enucleazione di una nuova categoria dogmatica ove l’equità, id
est l’equilibrio, in alcuni casi anche economico oltre che normativo, genetico e funzionale, si costruisce come requisito del contenuto non negoziato
e si mostra come necessario carattere del «contratto con contenuto imposto». In applicazione di questi principi alla clausola penale, caratterizzata
storicamente da ipotesi di abuso negoziale, si avverte l’esigenza di fissare
la funzione e gli effetti dell’istituto, misurando entrambe con il principio di
proporzionalità, sicché, in tale ipotesi, la qualifica di «contratto con contenuto imposto» non appare inappropriata.
Secondo la proposta ricostruzione può concludersi che, in un sistema
così configurato, l’equità e la proporzionalità diventano principio, mentre
l’esplicarsi dell’autonomia privata non costituisce la regola bensì l’eccezione. Per questa ragione il patto penale che superi il disvalore dell’inadempimento, programmando un’obbligazione che trascenda l’entità del
danno, determina un necessario, equo e proporzionale intervento giudiziale
di riduzione al pari di un patto penale che sia evidentemente esiguo rispetto
al danno subìto per le medesime ragioni, determinerà, un altrettanto necessario, equo e proporzionale intervento giudiziale in termini di maggiorazione.
In conclusione, ed in una prospettiva de jure condendo, si evidenzia
che solo l’intervento maggiorativo della penale esigua possa ritenersi lo
strumento giuridico idoneo a realizzare, con portata generale, la tutela
dell’interesse creditorio e l’equilibrio del contratto secondo il generale
principio di equità ed i relativi corollari ed in piena compatibilità con i
valori costituzionali. E, quindi, volendo metaforicamente fare applicazione della citazione Aristotelica riportata in epigrafe al presente lavoro ed
aderendo ad un rilievo evidenziato proprio dalla menzionata dottrina 7,
per fare in modo che possa essere equo ciò che è giusto al di là della
legge scritta, dovrebbe auspicarsi un intervento legislativo correttivo satisfattivo delle istanze, allo stato, frustrate del creditore in tema di adeguamento, in termini maggiorativi, della penale manifestamente esigua.
7
GER,
S. MAZZARESE, Clausola penale, in Commentario cod. civ., diretto da P. SCHLESINGiuffrè, Milano, 2004, p. 615 ss.