1 Religione e laicità dello Stato
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1 Religione e laicità dello Stato
1 Giuseppe Castellese Palermo Religione e laicità dello Stato Palermo: a Palazzo reale “dibattito” autorevole Sabato 26 novembre, nella cornice fastosa della “sala gialla” di Palazzo dei Normanni ha avuto luogo, più che un dibattito (che si immagina tra parti in dissenso) una affabile, ovattata, elegante dissertazione che ha costituito uno dei momenti conclusivi del convegno ecclesiale “ricorda, racconta, cammina” indetto a Palermo (dalla CEI e dalla Facoltà Teologica di Sicilia) come ideale collegamento tra il 3° Convegno della Chiesa italiana (celebrato a Palermo nel 1995) e il 4° (da celebrare a Verona l’anno prossimo). E dunque tra i “duellanti” illustri (si trattava da una parte, dell’Arcivescovo di Monreale, S.E. Mons. Cataldo Naro – storico della Chiesa - e dall’altra di S.E. il prof. Marcello Pera, presidente del senato della Repubblica - filosofo) è sembrato che a “optare” più decisamente in favore della laicità, malgrado la qualità di “alto prelato”, fosse proprio l’arcivescovo e non il “laico” presidente del senato. L’arcivescovo, cui è toccato introdurre, ha subito focalizzato come il tema sia diventato di attualità e se ne parli sui giornali (c’era stato in quei giorni l’intervento di Zagrebelsky, su Repubblica dal titolo: “Stato, Chiesa e lo spirito perduto del Concordato”) anche se il problema è “storia non di anni ma di secoli”. E subito emerge quasi una prima concordanza circa la longevità del problema con il giurista Zagrebelsky dato che questi oltre che rifarsi all’art. 7 della Costituzione e al documento conc iliare “Gaudium et spes”, risale a testi relativamente più antichi quali l’enciclica “Immortale Dei” di Leone XIII (1885) e la formula dottrinaria (“potestas indirecta in temporalibus” della Chiesa sullo Stato) dovuta al cardinale Bellarmino (1524-1621). Ma avverte l’arcivescovo, non basta, giacché la questione “laicità” è coeva alla nascita del cristianesimo come religione. E infatti la prima riflessione dello storico (l’arcivescovo Naro) verte sul fatto che “laicità” è apporto, anzi esigenza propria del cristianesimo: senza la concezione laica, il cristianesimo dei primi tre secoli non avrebbe potuto districarsi dall’abbraccio mortale dell’impero. Da qui comincia a profilarsi, da parte del presule, una, per me, originale concezione di laicità. E tale concezione di laicità, attraverso la riflessione del vescovo Naro, parrebbe mettere d’accordo lo stesso Cardinale Ruini con Zagrebelsky e quanti si battono per la libertà religiosa e laicità dello Stato. Accuse laiciste o meglio, anticlericali E invece rileggendo le affermazioni di Zagrebelsky pare chiaro che le dissonanze tra laici (o “laicisti” come apprenderemo dalla distinzione fatta dal presidente del senato) non stanno tanto nella “identificazione teorica” di laicità quanto nella prassi istaurata: “i poteri” (sia che incarnino Stato o Chiesa) lungi dal riaffermare la non ingerenza della Chiesa nello Stato (quindi laicità dello Stato) sono proclivi a reciproche “compromissioni” che di fatto svuotano anche il Concordato. Nessuno, continua il giurista, esclude il diritto-dovere della Chiesa di enunciare, anche quando a intaccarsi è la giurisdizione dello Stato, i principi cristiani. Ma queste pronunce restano destinate alla coscienza dei credenti e, in genere, a coloro (quanti cittadini dello Stato) che liberamente riconoscono alla Chiesa un’autorità 2 morale; a costoro (laici, credenti e non) e sotto la loro responsabilità, va rimessa poi l’articolazione pratica delle scelte contingenti. In altre parole non dovrebbe verificarsi che la Chiesa (potere gerarchico) possa rivolgersi ai pochi “uomini di potere” per far dettare legge “vincolante”… per i molti che poi devono sottostarvi (alla legge), cioè tutti. Forse, ed azzardo una considerazione banale nel contesto, questo “potere sovrano ” della Chiesa potrebbe indirizzarsi in maniera piena e incontestabile, oggi, esclusivamente a coloro che come “cittadini” ricadono sotto la giurisdizione dello SCV. Infine la considerazione più risentita: la Chiesa istituzionale “per affermare i suoi principi morali, privilegia e perfino ostenta il rapporto che detiene con capi politici o dirigenti di gruppi, associazioni, movimenti che organizzano il consenso da cui, in democrazia, alla fine, anche le fortune dei capi politici dipendono ”. Dal cattolico Pietro Scoppola, una analisi di alto profilo Ma già prima Pietro Scoppola (notiziario ADISTA n.39 del 3 novembre) aveva interloquito sul tema avvertendo, rispetto al Concilio Vaticano 2°, “una torsione dei corretti rapporti tra Stato e Chiesa” per la costituzione di “un circuito diretto tra i vertici della Chiesa e partiti di governo nella logica dello scambio” con conseguente “caduta” per la laicità dello Stato ed una ancor più grave caduta “per l’autenticità della Chiesa e della sua testimonianza”. Da qui un interrogarsi in profondità sul significato “ambiguo” di laicità: una laicità come “neutralità dello Stato” e quindi, secondo la concezione del “dualismo” anglosassone, “laicità fondata sulla incompetenza dello Stato in materia religiosa”; viceversa una laicità come “fede, religione secolare, ideologia di Stato”, concezione “monistica” che ha avuto in Francia, dal ‘700 ad oggi, il suo “terreno di cultura” coerente (fino alla proibizione del velo alle ragazze musulmane) ma “premessa dei totalitarismi del 20° secolo ”. E questo perché non può essere data “democrazia” se non attraverso “il dualismo cristiano ” (date a Cesare… e date a Dio…). E dunque, a parte il fatto che la laicità si è affermata in età moderna in antitesi e polemica durissima con la chiesa cattolica, resta vero che essa ha nel cristianesimo le sue radici e le sue ragioni profonde. Anzi la “civitas occidentale”, (l’Europa stessa le cui radici sono profondamente cristiane ma con apporti della cultura greca, la cultura giuridica romana, l’influenza del mondo islamico e giudaico, l’ illuminismo e tutto il seguito) nei suoi sviluppi fino allo “Stato di diritto”, si è potuta realizzare nella misura in cui la “distinzione della sfera del sacro dalla sfera del potere” ha permesso non soltanto “la crescita di un dualismo istituzionale ” (e quindi di una tensione dialettica tra stato e chiesa) ma la stessa “laicizzazione della politica”, intesa come “desacralizzazione ” (Max Weber): è per la presenza del “cristianesimo occidentale ” (nella tradizione dei grandi imperi orientali non esiste laicità) che il potere politico è stato “liberato” della sua “sacralità interna ” (alle origini del cristianesimo è il rifiuto della divinizzazione dell’imperatore che spinge alla distinzione e quindi alla laicità) dando inizio al processo di democratizzazione (rivoluzioni e stipula di patti paritari tra gli uomini). Non sarebbe possibile una concezione democratica senza la desacralizzazione del potere, frutto della dialettica che il cristianesimo ha introdotto (dualismo come garanzia di libertà). Per quanto riguarda l’Italia, il passaggio dalla concezione liberale (libera chiesa in libero stato) al sistema concordatario (art. 7 Cost.) che riconosce la Chiesa 3 “istituzione indipendente e sovrana nel proprio ordine”, in assenza di una autorità superiore di arbitraggio, ha comportato necessariamente una “dialettica” che poi è la storia dei rapporti tra stato italiano e chiesa cattolica. E poiché non è conveniente rimanere in una logica di permanente conflittualità, occorre affermare responsabilmente, sia da parte laica che da parte cattolica, l’esigenza di una definizione di confini il più possibile consensuale (principio di collaborazione emerso dal concordato del 1984) che è l’ approdo di quella che viene indicata come “laicità di integrazione ”. Il consenso, tessuto connettivo nella convivenza, per affermare il “valore irrinunciabile della laicità” prospettato non come “anticlericalismo battagliero e irrispettoso, emotivo ed umorale ” ma come valore profondo che non trova ostili gli uomini di fede ma li coinvolge profondamente, li richiama alla coerenza delle loro convinzioni. La stessa dialettica (ricchezza per la democrazia) va salvaguardata ma “vissuta ad un livello alto” quando si ravviva la “mediazione con culture e sensibilità diverse”. Pur condividendo… l’impostazione del vescovo Naro, proprio per fare rifulgere la verità ovunque si trovi, provo a riportare ancora… il crescendo di analitiche “accuse” di quanti con il presidente Pera chiameremo “laicisti”: a) la chiesa apre ai concetti di laicità e libertà quando e dove deve convivere con ideologie e religioni diverse, ossia quando si trova in situazione di minoranza. Ma, fuori da questi casi, la chiesa, specie se si tratta di conservare un predominio consolidato come in America latina, continua la vecchia politica di alleanze con il potere anche il più tirannico. E si ricorda che qui (in America latina) il papa, abbracciato Pinochet, si è schierato contro tutte le spinte innovative del mondo cattolico, specie contro la teologia della liberazione, e glissato disinvoltamente sull’assassinio di Romero. E poi non ha esitato a sostenere il reazionario nazionalismo cattolico croato, favorendo l’esplosione delle guerre jugoslave, in contrasto con il pacifismo manifestato nel caso dell’Iraq un’area dove il papa temeva di vedere compromesse, dalle aggressive politiche antimusulmane degli USA, le possibilità di penetrazione o di pacifica convivenza ai fini di evangelizzazione; b) viceversa ’lalleanza della chiesa con i potenti viene assicurata a partire da Costantino e soprattutto dal decreto di Teodosio nel 380, quando il cristianesimo assume il ruolo di religione di stato e, da perseguitata, inizia la sua persecuzione contro i pagani. E qui non si può fare a meno di citare il teologo tedesco Karl Schneider: “prima della vittoria del cristianesimo si pretendeva che lo stato non potesse costringere nessuno a venerare una determinata divinità; poi con la stessa determinazione si pretese che esso dovesse costringere tutti all’adorazione del dio proprio dei cristiani e ciò… anche con l’uso di ogni forma di violenza ”. Sullo stesso tenore ci sembra anche il priore di Bose, il p. Enzo Bianchi (Cefalù, convegno del 3/6 novembre 2005). Ed ecco un piccolo florilegio di persecuzioni in nome del dio cristiano: 4° /5° secolo persecuzioni contro i pagani: 8°/9° secolo, Carlo Magno e successori contro i saraceni; Crociate contro turchi e riconquista della Spagna contro gli arabi; Sei secoli di inquisizione; Crociata contro gli Albigesi condotta da papa Innocenzo 3°, 1208; le feroci conversioni forzose degli indios americani. 4 Insomma, in linea con i “laicisti”, si può sintetizzare che in cambio di privilegi economico-politici e influenza sociale, il papato assicurò appoggio ai governi anche i più dispotici. Ed ecco una chicca! questo ruolo della “religione ” è stato rilevato prima che da Marx, da Napoleone Bonaparte (concordato del 1801) il quale così rispondeva a talune osservazioni: “quando un uomo muore di fame accanto a un altro pieno fino al gozzo, gli è impossibile darsi pace se non c’è una autorità (religiosa) che gli assicuri che, intanto in questo mondo… così vuole Dio… che ci siano ricchi e poveri… ma dopo e per l’eternità 1 le parti saranno fatte diversamente!” Questo, per i “laicisti” è il compito che si sono dati gli uomini di religione in cambio della condivisione del potere: tenere buoni i poveri che sono una maggioranza… pericolosa, rinviando le loro rivendicazioni di giustizia… all’altro mondo! c) Ma se non bastasse viene evidenziato che, anche nei momenti di apparente apertura, la “mens” della chiesa non cambia. Il riferimento è : 1) a criteri interni alla stessa “Immortale Dei (1885) di Leone 13 quando il papa evoca i tempi felici in cui… “procedevano concordi sacerdozio e impero stretti tra loro per amichevoli reciprocanze di servizi”; 2) infine, e siamo a questi giorni, la distinzione tra “laicità vecchia” e “laicità nuova” o “sana ”, attribuita, prima che a Papa Benedetto, a perspicace inventiva del Card. Scola, patriarca di Venezia. Secondo questa visione, la vecchia laicità consentiva, ai cattolici in minoranza, il diritto alla “obiezione di coscienza ”; la nuova laicità mette i cattolici “maggioranza ” nella condizione di imporre le loro leggi a tutti, dato che allo Stato “è vietato vietare” con la sua sovranità svuotata (Stato notarile) i desiderata di lobbies culturali, economiche, religiose (da L’Espresso- E. Scalfari). Le tre affermazioni del vescovo Ciò detto, preferiamo proseguire con la brillante dissertazione del vescovo Naro che, quanto meno sul piano della cultura (cultura storica in particolare), resta proficua e validissima. Il discorso dell’illustre presule si sviluppa attraverso tre affermazioni: 2 Prima affermazione : la laicità non solo riconosciuta e promossa dalla chiesa ma… costitutiva della storia del cristianesimo (laicità frutto della storia del cristianesimo). Seconda affermazione : il principio della modernità “etsi Deus non daretur ” (agiamo nella vita pubblica come se Dio non ci fosse) di fatto, storicamente, almeno fino alla rivoluzione francese, non ha significato “espulsione di Dio” dalla società. In effetti il principio era stato adottato nel ‘600 per consentire una convivenza tra cristiani che avevano perduto l’ unità cattolica. Era, dunque, un ordinare la vita dello Stato prescindendo non da Dio ma dalle diverse confessioni religiose giacché una fede in Dio persisteva e non si era arrivati ad escludere l’esistenza di una verità assoluta, punto fermo da cui partire per cristiani di diverse 1 Ma anche Napoleone non era originale: espressioni simili ritroviamo in Simon Mago e negli gnostici: fare intravedere ai poveri “la speranza di beni futuri, con la conseguenza di privarli del godimento delle realtà presenti e di illuderle su quelle future” (Clemente, Recognitiones, III, 41) 2 Delle tre affermazioni, della seconda e terza, ho preferito sviluppare subito tutte le considerazioni fatte in vari momenti del dibattito. 5 confessioni ma poi (con la rivoluzione francese) anche per credenti in Dio e non credenti. A partire da metà ‘900 si compie l’ altro passo verso il relativismo: non c’è verità, non c’è possibilità di conoscere la verità e chi crede in una verità o aspira a una verità che dia certezza alla sua esistenza, viene considerato “residuo ” del passato ed ecco che la chiesa, attaccata, prova a difendersi. Dunque la società, lo Stato rischia di non ritrovare i giusti legami necessari alla pacifica convivenza. In una prospettiva di pace sperata si pone adesso anche papa Benedetto quando suggerisce la ricerca libera di punti di certezza tra credenti e non credenti proprio supponendo il contrario e cioè “etsi Deus daretur ”! La concezione del Card. Ruini… apertura coraggiosa Terza affermazione : su questa storia lunga della concezione di laicità come rapporto dei cristiani rispetto allo stato e viceversa, il Vaticano 2° (e in particolare la Dignitatis humanae cui si richiama anche Zagrebelsky), “influisce” (parole del card. Ruini) nel senso di “una riconciliazione della chiesa con la storia della libertà”. Viene riportato in nota il testo della prolusione pronunciata dal Card. Ruini nell’ultima assemblea dei vescovi quando presentò in sintesi i singoli documenti del Concilio Vaticano 2°. 3 Secondo l’arcivescovo Naro la “concezione” del Card. Ruini, che, per la verità pochi hanno colto, se applicata, avrà conseguenze notevoli nel dibattito in corso sulla questione “laicità dello Stato”: sono parole di grande apertura e perciò coraggiose. Esse non solo sintetizzano bene la Dignitatis humanae, ma aprono a un duplice superamento: - da un lato, superamento della posizione che considerava la libertà (religiosa) come “un diritto civile da ammettersi dalla chiesa” in certe circostanze e, secondo l’esemplificazione di Cataldo Naro, quando la chiesa in terra di missione si trova ad annunciare il vangelo in culture lontane: qui, chiaramente, la chiesa rivendica la libertà civile, tralasciando quel pregiudiziale “perché solo la verità e non l’errore ha facoltà di rivendicare diritti” 4 . L’altro superamento (a mio avviso, di gran lunga più importante) riguarda “la concezione relativista della libertà” cioè la libertà permessa negli stati moderni proprio in quanto non vi si ammette l’esistenza di “una verità assoluta” (ma opinioni disparate), una verità cui fare universalmente riferimento. Il superamento 3 «la dichiarazione Dignitatis humanae pone a fondamento del diritto alla libertà sociale e civile in materia religiosa la dignità stessa, o la natura, della persona umana, (dignità) che è presente in ogni uomo quali che siano le sue convinzioni e le sue idee. Così, da un lato, - è superata quella posizione che considerava la libertà religiosa semplicemente come un diritto civile, da ammettersi da parte della Chiesa solo in determinate situazioni storiche, perché unicamente la verità, e non l’errore, potrebbe avere dei diritti; dall’altro lato, -è ugualmente superata quella concezione relativistica della libertà religiosa, e delle libertà civili e politiche in genere, che ha dominato e tuttora in buona parte domina il panorama culturale dell’epoca moderna, facendo dipendere la libertà dall’assenza di una verità conoscibile e accertabile. Attraverso, dunque, questo duplice superamento si compie una importantissima riconciliazione tra la Chiesa e la “storia della libertà”». 4 Prima del superamento di tale criterio, sembrava legittimo l’interrogativo-corollario seguente: la chiesa, se essa è esclusivo luogo della “verità”, a chi poteva riconoscere il “diritto” alla “libertà religiosa” se non a se stessa? Chi avrebbe avuto “facoltà di rivendicare diritti” senza una solida e inequivocabile appartenenza-sottomissione alla Chiesa cattolica? 6 di cui parla il card. Ruini, avviene nella chiesa stessa, da parte della chiesa stessa, nel concilio, e permette il ritorno a un discorso che vale sempre e dovunque, cioè universale: la libertà religiosa viene legata alla (eguale e universale) dignità della persona umana.5 In altre parole, il ritorno a un criterio “universale” (la dignità della persona umana) ha restituito alla chiesa la capacità di dialogo con la modernità e le “libertà” conquistate. In questo contesto la chiesa può tornare a dire la sua (annunciare la verità) non dovendo più subire l’affermazione che le libertà sono possibili solo in quanto non c’è una verità. Il cristianesimo, dunque, non è più (secondo l’aggressiva concezione laicista) un elemento residuale della storia. I cristiani, anzi, annunciano la loro verità senza sentirsi “corpo estraneo” nella società moderna. A supporto Emile Poulat Le asserzioni dello storico Cataldo Naro circa la “laicità” trovano ulteriore supporto nella speculazione di Emile Poulat, storico cattolico francese, il quale si rifà al principio della “duplicità”, vigente nell’impero turco; qui la legge (generale) è uguale per tutti; ma c’è anche una legge per i piccoli gruppi (ebrei, cristiani) i cui diritti particolari venivano salvaguardati anche attraverso tribunali propri. E dunque per Poulat c’è nello Stato moderno una legge in cui si muovono alla pari cattolici e non; poi c’è la legge “per le parti” che “la legge che vale per tutti” non può mortificare. L’argomentare del Poulat è rivolto ad analizzare la posizione dello storico cattolico che nel fare storia, per farsi leggere da non cattolici, deve usare strumenti su cui gli altri “sono d’accordo”. E tuttavia, quando “il suo credere” può indurre un “guadagno” di comprensione storica, allora faccia valere la “legge particolare”. Il che può significare che è meglio, tutte le volte in cui (uscendo dalla asetticità neutrale della legge generale) si abbia un guadagno di comprensione, “restituire la parola a tutti e no n toglierla”. L’approfondimento della prima affermazione La “rivendicazione” di fondo di Cataldo Naro è che la laicità non è una conquista ottenuta contro il cristianesimo ma, viceversa, la storia della laicità coincide, è la storia del cristianesimo. Infatti l’affermazione recepita dalla Costituzione italiana (chiesa e stato sovrani nel loro ordine) che si vorrebbe collegata “alla lunga” (Zagrebelsky) alla “Immortale Dei” è già presente nella lettera che papa Gelasio rivolgeva all’imperatore Anastasio (494): questo mondo è retto da due principi; l’autorità dei vescovi e la potestà regia. Dunque la storia della laicità, una storia lunga: essa ha inizio nel momento in cui per l’esistenza del cristianesimo avviene l’abolizione di quel monismo strutturale incarnato nella polis. E il principio che scardina questo monismo è l’esperienza cristiana che è “esperienza, rapporto col 5 Anche qui riporto una richiesta di chiarimento diffusa: se la dignità della persona è il valore, anche e soprattutto la chiesa “dovrà fermarsi rispettosa (la frase è del patriarca Atenagora a Papa Paolo VI) sulla soglia della camera nuziale”. In altre parole dato che la dignità della persona è, come valore assoluto, inviolabile (non ci sarà giudeo o cristiano o islamico, libero o schiavo, maschio o femmina, bianco o nero etc.) la chiesa, a parte il suo diritto-dovere dell’annuncio, dovrà indirizzare, destinare le sue pronunce alle coscienze escludendo “le compromissioni” con i “poteri” per concordare-imporre normative di per sé “coattive e generali” sulla testa dei cittadini (dello Stato) eventualmente dissenzienti (altra religione, altre culture, altri orientamenti sessuali). 7 mondo di Dio”, sintetizzabile nella espressione di Diogneto: “cristiani… nel mondo, cittadini di Dio ”. Così riapprodiamo al concetto di “dualismo”, toccato da Pietro Scoppola ma anche da Emile Poulat: non c’è più un orizzonte unico (la polis), ma il cristiano (pur non contrapponendosi ostilmente alla polis) va oltre. Egli ha anzitutto relazione con Dio e in forza di questa relazione entra in rapporto con gli altri uomini. L’orizzonte ultimo non è più la polis (o almeno non lo è interamente): c’è lo stato, c’è la città, c’è la polis ma c’è anche l’esperienza di un rapporto con Dio. Ecco quindi visualizzato, nella storia dell’Occidente, il fondamento della distinzione tra chiesa e stato, le due sfere (religione e stato), i due poteri; ma (viene ribadito) mai da parte cristiana la distinzione è ricerca di un confronto ostile con la polis: ciò appare chiaro già dai tempi di Origene nella sua confutazione “contra Celsum”. L’impostazione liberale del presidente Pera A questo punto mi sembra quanto mai opportuno riferire, sia pure in forma schematica, quanto sull’argomento abbiamo ascoltato dal Senatore Pera. L’esempio del “vero” Stato laico è quello dello Stato liberale inglese fino al 1914: è questo (con buona pace del presidente Pera, lo avevamo appreso dai libri di economia) il classico “Stato carabiniere” che, come tale, si è dato pochissimi compiti. Non interviene nella sfera privata, non interviene nel sociale. Non interviene sulla religione che è fatto eminentemente privato, che riguarda la coscienza e l’intimo individuale e familiare 6 . Ahinoi, cattolici! Nessuno ha contestato che, in Italia a partire dal 1860, non abbiamo avuto esperienza di questo Stato così gentilmente distaccato; viceversa la storia ci dice di uno Stato liberal- massonico (allo stesso stadio di quello inglese) che si è coperto di luride nefandezze preferibilmente a carico del basso clero (soppressione degli ordini religiosi e incameramento dei beni, soprattutto quelli terrieri, a favore dell’alta borghesia massonica) e contro il popolino di nullatenenti. Ma continuiamo con Pera. L’evoluzione, che per un certo verso diventa involuzione, si ha dopo il 1914 quando lo Stato liberale comincia a trasformarsi in stato sociale, stato interventista, stato democratico, stato di diritto ampliando la sua ingerenza sempre più fino a doversi occupare del cittadino “dalla culla alla bara”: è lo stato “welfare”, stato del benessere che, se vuo le occuparsi nei minimi dettagli del benessere del cittadino, per l’appunto dalla nascita alla morte, deve legiferare a dismisura scegliendo per tutti e imponendo a tutti “i valori” cui sottostare. Lo stato “democratico” e “sociale” diventa uno stato che vigila, interviene a regolare minutamente, a irregimentare la vita e le scelte di vita di ciascuno: nascita, vita, morte, lavoro, professioni, matrimonio, figli. Quello che chiameremo stato democratico diventa sempre e comunque “totalitario” sia esso fascista, socialcomunista o perfino liberaldemocratico. 6 Per un attimo sono stato affascinato: bellissimo! questa è l’immagine di Stato di “sana laicità” raccomandato da Papa Benedetto. Ma poi l’amara constatazione: i poteri, pur di andare a braccetto, accorciano la memoria. 8 Ci ritroviamo, da un lato a delegare volentieri allo stato che perciò diventa stato tuttofare (elefantiasi burocratica compresa!) ma poi ci lamentiamo della invadenza di questo Stato che da “laico” (indifferente, neutro, assente dal privato) è divenuto onnipresente (“la sfera pubblica è nel tinello, nel salotto e nella stanza da letto”) e pretende di stabilire “i valori” cui ciascuno deve uniformarsi: è nato lo Stato “laicista”, che ha una propria ideologia, una propria religione da imporre. Avviandoci alla conclusione Possiamo difenderci opponendo, secondo Pera, all’invadenza dello Stato la forza della tradizione che in campo laico- liberale è l’equivalente della “religione”: esigere che vengano riconsegnati al privato i valori della tradizione che poi è la storia dell’identità culturale di ciascuno. Con ciò si è voluto dire che le esasperazioni dei “laicisti” nello stato democratico moderno (lotte alla religione cristiana, ostracismi, sopraffazioni, ma… senza dimenticare le invadenze inverse) possono essere ridimensionate se torniamo a una concezione vetero liberale dello Stato? Per l’esperienza italiana e meridionale in particolare, abbiamo finito ora di osservare, non è stato così. Parrebbe comunque che Stato democratico e “laicismo” come contrapposizionenegazione delle libertà religiose (ci auguriamo… senza dimenticare le libertà dalle religioni) siano legati indissolubilmente. In un tentativo di riepilogo di quanto è stato detto mi sembra di potere affermare che il dibattito, affrontato, sia pure in buona fede, da posizioni di parte, non è riuscito (fatta eccezione per le prospettive, soprattutto di ordine metodologico, aperte dal vescovo Naro) a dare risposte esaurienti e comunque tali da indicare soluzio ni per i tempi nuovi; resta forse sullo sfondo l’arroganza e la sicumera trionfalistica di chi sta sul podio che intende mantenere, comunque, le posizioni di privilegio. In sintonia, perciò, sembra la conclusione del liberale (qualificatosi “neocon”) presidente Pera, circa l’identità cristiana : “abbiamo bisogno di più forza, abbiamo bisogno di più coraggio: abbiamo bisogno di non nasconderci, abbiamo bisogno di dire ciò che siamo, senza paura di apparire arroganti, dogmatici, imperialisti, intolleranti. Noi siamo tolleranti, rispettosi, non siamo dogmatici, ma noi siamo quelli che siamo ”…. Applauso! Ma proprio le battute finali non possono essere confuse con il messaggio di Gesù il quale è stato sacrificato da uomini di potere (servi di mammona) che vedevano vacillare il loro trono all’annuncio del Regno nel quale “chi vuole esser primo, si mette a servire tutti”. E nel fare ciò saranno riconosciuti “discepoli, da come vi amerete gli uni gli altri”. E pertanto ogni altro criterio, per quanto efficace e ammirevole agli occhi del mondo, non è cristiano.