Presentazione CLAUSER TONIATTI-scritta da Toniatti

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Presentazione CLAUSER TONIATTI-scritta da Toniatti
Le nuove competenze dell’Unione europea
in materia di giustizia
Trento, maggio 2010
a cura di
Roberto Toniatti
Mattia Magrassi
Marco Zenatti
PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO - 2011
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Il seminario ed il convegno, di cui si pubblicano gli interventi, si sono realizzati in collaborazione
con il Progetto di ricerca di rilevanza nazionale (PRIN 2007) sul tema “Magistrature, giurisdizioni
ed equilibri istituzionali (MaGiE)”.
Copyright:
Tutti i diritti riservati
Giunta della Provincia autonoma di Trento, 2011
Centro di Documentazione Europea
Coordinamento redazionale: Dott. Marco Zenatti
Editore: PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO
Stampato in proprio
Centro duplicazioni della Provincia autonoma di Trento
Finito di stampare nel mese di ottobre 2011
Le NUOVE
competenze dell’Unione europea in materia di giustizia : Trento, maggio 2010 /
a cura di Roberto Toniatti, Mattia Grassi, Marco Zenatti. – [Trento] : Provincia autonoma di
Trento, 2011. – 235 p. ; 21 cm. – (Quaderni del CDE ; 30)
Relazioni presentate al Seminario L’accesso dei cittadini alla giustizia: il portale della egiustizia e Atti del Convegno Le reti giudiziarie europee: le esperienze, il potenziale, le conseguenze per la funzione giurisdizionale
1. Giustizia – Unione Europea – Congressi – 2011 I. Toniatti, Roberto
ISBN 978-88-7702-307-0
341.
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Presentazione: Nicoletta Clauser e Roberto Toniatti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 5
Parte I
L’accesso dei cittadini alla giustizia: il portale della e-giustizia. pag. 9
Il sistema di e-Justice dell’Unione Europea e la tutela comunitaria dei
diritti: nuove esigenze formative del giurista europeo e nuove
opportunità per saperi professionali trasversali Roberto Toniatti. . . . . . . . pag. 11
I progetti di informatizzazione della giustizia nel contesto italiano
ed europeo: tappe evolutive Floretta Rolleri. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 27
Il progetto di e-Justice dell’Unione Europea: aspetti tecnici e operativi
Giulio Borsari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 37
Giustizia elettronica e portale della giustizia elettronica nell’unione
europea. un’analisi criminologica Andrea Di Nicola. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 45
La traduzione giuridica nel progetto sulla giustizia elettronica
Elena Ioriatti Ferrari. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 53
Riflessioni sulla didattica di diritto comparato, europeo e transnazionale (in specie: in tema di diritto processuale civile) Ena-Marlis Bajons. pag. 63
Parte II
Le reti giudiziarie europee: le esperienze, il potenziale, le conseguenze per la funzione giurisdizionale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 69
L’Unione Europea come spazio di libertà, sicurezza e giustizia:
alcune note introduttive Mattia Magrassi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 71
Le esperienze. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 81
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Premessa: Andrea Di Nicola. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 83
Eurojust: ruolo ed esperienze Filippo Spiezia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 85
L’ufficio europeo per la lotta antifrode (olaf): funzioni ed organizzazione Andrea Venegoni. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 93
Il ruolo dei magistrati nei programmi internazionali di assistenza
per la riforma dell’ordinamento giudiziario Luca Perilli. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 99
Il potenziale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 107
Premessa: Sergio Bartole. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 109
La rete europea dei consigli di giustizia Fabio Roia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 115
Le garanzie di imputati e indagati in procedimenti penali nella prospettiva dell’armonizzazione tra gli stati membri dell’unione europea
Clara Tracogna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 125
Le “reti giudiziarie” nel diritto comparato Sergio Gerotto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 137
Le conseguenze per la funzione giurisdizionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 147
Premessa: Daniela Bifulco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 149
Un caso di studio: il programma del consiglio d’europa a supporto
dell’istituzione della scuola della magistratura albanese.
Pasquale Profiti. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 153
Le reti giudiziarie europee e la comunitarizzazione del diritto
internazionale privato e processuale Antonino Alì. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 161
Reti e circuito giudiziario europeo Maria Rosaria Ferrarese. . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 171
Reti giudiziarie europee e modelli di ordinamento giudiziario
Carlo Guarnieri. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 187
Il sistema delle reti giudiziarie nel contesto dello spazio di libertà,
sicurezza e giustizia (slsg) dell’unione europea Roberto Toniatti. . . . . . . . . . . pag. 197
Nicoletta Clauser
Dirigente Servizio Europa - Provincia autonoma di Trento
Roberto Toniatti
Professore Ordinario di Diritto Costituzionale Comparato
Dipartimento di Scienze Giuridiche - Università degli Studi di Trento
Coordinatore del Progetto Prin 2007 MaGiE
(Magistrature, giurisdizioni ed equilibrio istituzionale)
PRESENTAZIONE
L’organizzazione del seminario su “L'accesso dei cittadini alla giustizia: il portale
della e-giustizia” e del convegno in tema di “Le reti giudiziarie europee: le
esperienze, il potenziale, le conseguenze per la funzione giurisdizionale” è il
risultato della felice collaborazione - ben collaudata nel corso di oltre quindici anni
- fra il Servizio Europa della Provincia autonoma di Trento e il Dipartimento di
Scienze giuridiche dell'Università di Trento nella valorizzazione congiunta del
Centro di Documentazione Europea (CDE).
Le due iniziative, promosse nella circostanza nell’ambito di questa collaborazione,
si sono poste l’obiettivo di contribuire alla divulgazione della conoscenza di un
tema generale - “Le nuove competenze dell’Unione Europea in materia di
giustizia” - che rappresenta uno dei capitoli più interessanti ed innovativi del
trattato sull’Unione Europea, quale risulta dall’entrata in vigore del trattato di
Lisbona e dalla “comunitarizzazione” dello spazio europeo di libertà, sicurezza e
giustizia: quest’ultimo, infatti, rappresenta una delle innovazioni particolarmente
5
significative del trattato di Lisbona, entrato in vigore nel dicembre 2009, anche
perché, fra l’altro, trasferisce completamente questo settore di intervento
dell’Unione europea dalla cooperazione intergovernativa degli Stati membri
(fondata sul voto unanime degli stessi) alla dimensione comunitaria in senso
proprio nella quale, a regime, le deliberazioni vengono adottate a maggioranza.
Al fine di garantire tanto l’effettività del diritto di accesso alla giustizia da parte dei
cittadini dell’Unione europea quanto l’efficacia della cooperazione fra le autorità
giudiziarie, si è elaborato e si sta sviluppando il concetto di giustizia elettronica (egiustizia) con l’intenzione di migliorare il funzionamento del servizio giustizia in
tutti gli Stati membri, razionalizzando le procedure e riducendo i costi, anche
attraverso l’introduzione delle tecnologie informatiche e di comunicazione.
Lo sviluppo dello spazio giudiziario europeo ha previsto pertanto l’attivazione di
un portale europeo di giustizia elettronica – entrato concretamente in funzione
pochi mesi dopo il seminario di Trento - per agevolare l’accesso dei cittadini, dei
professionisti e delle imprese alla giustizia in Europa, con la funzione di migliorare
l’accesso all’informazione su norme, procedure e orientamenti giudiziari nei diversi
Stati membri, di costituire una piattaforma orientativa verso i siti esistenti delle
istituzioni giudiziarie europee o le varie reti che esistono in materia giudiziaria e,
infine, di creare procedure europee interamente elettroniche.
L’effettività dell’accesso alla giustizia richiede, evidentemente, che tutte le
operazioni si possano svolgere nelle diverse lingue proprie dei cittadini
dell’Unione, con evidenti difficoltà di traduzione giuridica.
Il seminario su “L’accesso dei cittadini alla giustizia; il portale della e-giustizia” grazie
al contributo di relatori particolarmente qualificati anche in ragione dell’intensa
esperienza professionale in materia, ha inteso dare un’informazione sugli sviluppi
applicativi di questa iniziativa di cui sono direttamente destinatari non solo i
cittadini ma anche tutte le professioni e le funzioni proprie della giustizia,
approfondendo anche gli aspetti problematici della traduzione giuridica e
dell’informatizzazione.
Lo spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia, inoltre, dal punto di vista dei
contenuti, ricomprende la piena realizzazione delle quattro libertà fondamentali
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dell’ordinamento comunitario (libera circolazione delle persone, delle merci, dei
servizi e dei capitali) e dunque il funzionamento a pieno regime della cittadinanza
dell’Unione europea e di tutte le sue garanzie, fra le quali la tutela giurisdizionale.
Si richiedono, pertanto, forme di collaborazione sempre più strette ed intense fra i
sistemi giudiziari degli Stati membri, sia per creare un contesto di reciproca
conoscenza, comprensione e fiducia, sia per dare concretezza alla tutela
giurisdizionale in una dimensione transfrontaliera (ad esempio, in tema di
ammissibilità delle prove). Tali forme assumono una configurazione a rete, in
quanto si tratta di un assetto collaborativo rivolto all’integrazione, a struttura non
gerarchica e a formalizzazione variabile (più forte nel caso di EuroJust – ossia, il
nucleo di un possibile futuro pubblico ministero europeo – e più debole, ad
esempio, per quanto concerne la formazione e l’aggiornamento professionale dei
giudici, che continua ad essere in grande prevalenza impostata su base nazionale).
Il convegno su “Le reti giudiziarie europee: le esperienze, il potenziale, le conseguenze
per la funzione giurisdizionale”, che si è avvalso anch’esso, oltre che di studiosi di
alto profilo di diversa formazione scientifica (diritto, scienza della politica,
sociologia), dell’esperienza professionale diretta di chi opera in prima persona e
da anni all’interno della rete giudiziaria europea, ha inteso porre a confronto e
approfondire l’origine e gli sviluppi normativi e attuativi della collaborazione a rete
fra magistrati europei e cercare di valutare le conseguenze che tali innovazioni
producono sulla concezione tradizionale della funzione giurisdizionale.
Le due iniziative, benché necessariamente suscettibili di una trattazione di natura
tendenzialmente tecnica, hanno avuto come destinatario generale i cittadini tutti
- in quanto l’argomento presenta una propria vocazione tipicamente divulgativa,
giacché si tratta di un settore di intervento comunitario che riguarda direttamente
i cittadini dell’Unione quali titolari della libertà di circolazione - ma anche, più in
particolare, oltre agli studenti delle Facoltà più direttamente interessate, gli
ambienti professionali tanto del contesto dell’informatica quanto del mondo delle
professioni legali e di quello della traduzione linguistica.
I temi trattati, inoltre, sono particolarmente vicini non solo agli ambiti di ricerca
giuridica europea e comparata dell’Università di Trento ma anche agli interessi
dell’autonomia speciale del Trentino, sia in ragione della sua tradizionale
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vocazione europea, sia per la rilevanza che si conferisce a tutte le istanze di
giustizia di prossimità, anche di riflesso rispetto alle competenze regionali in tema
di giustizia di pace, le quali rappresentano il primo anello di una catena
istituzionale articolata che culmina nella giurisdizione dell’Unione Europea, sia in
conseguenza della determinazione del Governo provinciale ad investire in cultura,
ricerca e formazione di alto livello, sia, infine, per la pertinenza immediata delle
esperienze europee prese in considerazione con una recente iniziativa, quale
l'impegno della Provincia autonoma di Trento, attraverso il Servizio Europa,
nell'utilizzare i programmi del Fondo sociale europeo per un progetto pilota di
razionalizzazione della gestione della Procura di Trento.
Gli atti del seminario e del convegno hanno la funzione non solo di consolidare le
conoscenze maturate dal confronto che ha avuto luogo in quelle sedi e di
manifestare l’impegno istituzionale della Provincia autonoma di Trento ma anche
di promuovere nuovi ed ulteriori studi in una materia che appartiene al nostro
futuro.
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Parte I^
L’ACCESSO DEI CITTADINI ALLA GIUSTIZIA:
IL PORTALE DELLA e-GIUSTIZIA
Roberto Toniatti
Professore Ordinario di Diritto Costituzionale Comparato
Dipartimento di Scienze Giuridiche - Università degli Studi di Trento
Coordinatore del Progetto Prin 2007 MaGiE
(Magistrature, giurisdizioni ed equilibrio istituzionale)
INTRODUZIONE
IL SISTEMA DI e-JUSTICE DELL’UNIONE EUROPEA E LA TUTELA
COMUNITARIA DEI DIRITTI: NUOVE ESIGENZE FORMATIVE DEL GIURISTA
EUROPEO E NUOVE OPPORTUNITÀ PER SAPERI PROFESSIONALI
TRASVERSALI
1. Il processo di integrazione europea ha previsto, sin dalla formulazione iniziale
del trattato istitutivo della Comunità Economica Europea (1958), il riconoscimento
in capo ai cittadini degli Stati membri di quattro libertà fondamentali – il nucleo
originario della ben più estesa protezione dei diritti fondamentali garantita dalla
Carta di Nizza quale fonte normativa di portata costituzionale (adottata nel 2000
ed entrata in vigore nel 2009 per effetto del trattato di Lisbona) -, segnatamente la
libertà di circolazione di persone, capitali, beni e servizi: la libera circolazione era
intesa manifestarsi principalmente in una dimensione geografica - ossia fisica,
territoriale – ma, inevitabilmente, essa non poteva non manifestarsi altresì in
un’area immateriale, identificabile con l’ordinamento giuridico dello Stato
membro di insediamento trasformato, peraltro, proprio in virtù della condizione di
Stato membro, in spazio giuridico europeo.
Tale trasformazione implicava, evidentemente, non la sostituzione di uno spazio
giuridico – ossia dell’insieme di norme sostanziali e processuali ed apparati
istituzionali (in primis, l’ordine giudiziario) dello Stato – con un altro (quello
comunitario), bensì l’integrazione funzionale e selettiva dei due, ossia la
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predisposizione di condizioni di compatibilità fra la sovranità giuridica e giudiziaria
dello Stato membro e l’esercizio concreto ed effettivo delle quattro libertà
fondamentali da parte dei cittadini degli altri Stati membri, fra l’altro divenuti (dal
1993, con il trattato di Maastricht) cittadini dell’Unione Europea.
La costruzione dello spazio giuridico e giudiziario europeo ha condiviso, per
effetto delle successive revisioni del trattato sull’Unione Europea, la stessa
esperienza di sviluppo graduale ed incrementale di tutti gli altri settori materiali di
competenza europea e, in particolare, con il trattato di Lisbona, ha conosciuto la
scomparsa della differenziazione delle competenze dell’Unione per “pilastri”: nato
nell’ambito del pilastro della cooperazione intergovernativa e soggetto dunque
inizialmente al requisito del voto unanime di tutti gli Stati membri, lo spazio
giuridico e giudiziario europeo è in seguito parzialmente maturato all’interno del
pilastro comunitario e si trova ora stabilizzato nel nuovo assetto unitario delle
deliberazioni prese a maggioranza.
E’ in questo contesto di evoluzione storica e normativa che il trattato sull’Unione
Europea (TUE), nel testo in vigore, stabilisce (art. 3.2°) che “l'Unione offre ai suoi
cittadini uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne, in cui sia
assicurata la libera circolazione delle persone insieme a misure appropriate per
quanto concerne i controlli alle frontiere esterne, l'asilo, l'immigrazione, la
prevenzione della criminalità e la lotta contro quest'ultima”; che l’art. 4.2.j del
trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) ) colloca lo “spazio di
libertà, sicurezza e giustizia” fra le competenze concorrenti dell’Unione; e che il
TFUE dedica allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia tutto il Titolo V (artt. 67-89). Il
Titolo V a sua volta si articola in una serie di Capi dedicati, in successione, a
“Disposizioni generali” (Capo 1), alle “Politiche relative ai controlli alle frontiere,
all’asilo e all’immigrazione” (Capo 2), alla “Cooperazione giudiziaria in materia
civile” (Capo 3), alla “Cooperazione giudiziaria in materia penale” (Capo 4) e alla
“Cooperazione di polizia” (Capo 5).
Nel dicembre 2009 – e dunque con la massima tempestività, in coincidenza
temporale con la stessa entrata in vigore del trattato di Lisbona – il Consiglio
Europeo, nell’esercizio di una funzione di indirizzo di alto profilo politico
esclusivamente ed espressamente prevista e disciplinata dall’art. 68 TFUE per
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questa materia1, ha adottato il “Programma di Stoccolma”2, intitolato ”Un'Europa
aperta e sicura al servizio e a tutela dei cittadini”: si tratta di un programma
pluriennale, per il periodo 2010-2014, nel quale si afferma che “il Consiglio
europeo ribadisce di considerare prioritario lo sviluppo di uno spazio di libertà,
sicurezza e giustizia”3.
1
Dispone infatti l’art. 68 cit. che “il Consiglio europeo definisce gli orientamenti
strategici della programmazione legislativa e operativa nello spazio di libertà,
sicurezza e giustizia”. Si tratta dunque di una sorta di riserva di indirizzo politico,
attribuita all’organo collegiale di più alto rilievo politico-istituzionale dell’Unione e
destinata ad orientare l’azione amministrativa nonché l’iniziativa legislativa della
Commissione. Ricordiamo peraltro che in tema di spazio europeo di libertà, sicurezza
e giustizia l’art. 76 del TFUE stabilisce che determinati atti “che assicurano la
cooperazione amministrativa” tra i servizi competenti degli Stati membri e fra tali
servizi e la Commissione “sono adottati: a) su proposta della Commissione, oppure b)
su iniziativa di un quarto degli Stati membri”, con evidente valorizzazione del ruolo
propositivo e d’impulso di questi ultimi, coerente del resto con gli ampi margini
attribuiti alle cooperazioni rafforzate in materia.
2
Il programma succede nel tempo ai precedenti programmi pluriennali di Tampere
(1999) e de l’Aja (2004) che avevano delineato il quadro di indirizzo politico in materia.
I progressi compiuti nel settore sono stati così sintetizzati: “I controlli alle frontiere
interne sono stati soppressi nello spazio Schengen e le frontiere esterne dell'UE sono
ora gestite in modo più coerente. Attraverso lo sviluppo dell'approccio globale in
materia di migrazione, la dimensione esterna della politica migratoria dell'UE
s'incentra sul dialogo e sui partenariati con i paesi terzi, in base a interessi reciproci.
Sono state intraprese importanti iniziative volte a istituire un regime europeo in
materia di asilo. Le agenzie europee, quali Europol, Eurojust, l'Agenzia per i diritti
fondamentali e Frontex, hanno raggiunto la maturità operativa nei rispettivi settori di
attività. La cooperazione nel settore del diritto civile facilita la vita quotidiana dei
cittadini e la cooperazione fra le autorità di contrasto offre maggiore sicurezza” (punto
1).
Per il testo del Programma di Stoccolma in lingua italiana cfr. http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2010:115:0001:01:IT:HTML
3
Il corsivo è nostro. La rilevanza politica è peraltro ulteriormente confermata: “Il
Consiglio europeo ritiene che una priorità dei prossimi anni consista nel concentrarsi
sugli interessi e le esigenze dei cittadini. La sfida da affrontare sarà quella di garantire,
a un tempo, il rispetto delle libertà fondamentali e dell'integrità e la sicurezza in
Europa. È estremamente importante che le misure di contrasto e i provvedimenti a
tutela dei diritti delle persone, dello stato di diritto e delle norme sulla protezione
internazionale vadano di pari passo nella stessa direzione e si rafforzino
reciprocamente” (punto 1.1).
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Successivamente (aprile 2010), la Commissione ha elaborato e proposto un Piano
di azione per l’attuazione del Programma di Stoccolma intitolato “Creare uno
spazio di libertà, sicurezza e giustizia per i cittadini europei4.
In tale contesto, nel Programma di Stoccolma si afferma che “il diritto alla libera
circolazione dei cittadini e dei loro familiari all'interno dell'Unione europea è uno
dei principi fondamentali su cui si basa l'Unione, nonché una delle libertà
fondamentali garantite dalla cittadinanza europea”5.
Lo spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia rappresenta pertanto il quadro
generale di riferimento per l’intervento comunitario e degli Stati membri volto a
dare concretezza ed effettività a quel diritto: il Programma di Stoccolma, ad
esempio, ricorda che “alla riunione di Tampere del 1999 il Consiglio europeo ha
dichiarato che il rafforzamento del reciproco riconoscimento delle decisioni
giudiziarie e delle sentenze e il necessario ravvicinamento delle legislazioni
faciliterebbero la cooperazione fra le autorità, come pure la tutela giudiziaria dei
4
Le finalità generali ed interlocutorie vengono ribadite: “L'intento principale
dell'azione dell'Unione in questo settore per i prossimi anni è "portare avanti l'Europa
dei cittadini" dando loro i mezzi per esercitare i diritti e trarre pieno beneficio
dall'integrazione europea. La libertà, la sicurezza e la giustizia sono settori che
interessano la vita di tutti i giorni, in cui per l'appunto i cittadini pretendono di più dai
responsabili delle politiche. Uomini e donne in Europa si aspettano giustamente di
vivere in un'Unione di prosperità e pace, nella certezza che i propri diritti vengano
pienamente rispettati e la sicurezza sia garantita. Uno spazio europeo di libertà,
sicurezza e giustizia dev'essere uno spazio in cui tutti, anche i cittadini dei paesi terzi,
possono contare sul rispetto effettivo dei diritti fondamentali sanciti dalla Carta dei
diritti fondamentali dell'Unione europea. Obiettivo del presente piano d'azione è
realizzare queste priorità a livello europeo e globale, garantendo ai cittadini i vantaggi
che derivano dai progressi compiuti nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, in
modo che l'Unione possa guardare al futuro e dare una risposta chiara e adeguata alle
sfide europee e globali”.
5
Si precisa altresì che “i cittadini dell'Unione hanno il diritto di circolare e di
soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, il diritto di voto e di
eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo e alle elezioni comunali negli Stati
membri in cui risiedono, il diritto alla tutela da parte delle autorità diplomatiche e
consolari di altri Stati membri ecc. Nell'esercizio dei loro diritti ai cittadini è garantita la
parità di trattamento con i cittadini degli Stati membri alle condizioni stabilite dal
diritto dell'Unione. L'efficace applicazione della pertinente legislazione europea
rappresenta pertanto una priorità” (punto 2.2).
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diritti dei singoli e che il principio del riconoscimento reciproco dovrebbe
diventare il fondamento della cooperazione giudiziaria tanto in materia civile
quanto in materia penale. Tale principio è ora sancito dal trattato”.
Si precisa altresì che “nel programma dell'Aia, adottato nel 2004, il Consiglio
europeo ha osservato che, per rendere effettivo il principio di riconoscimento
reciproco, è necessario rafforzare la fiducia reciproca sviluppando gradualmente
una cultura giudiziaria europea basata sulla diversità degli ordinamenti giuridici e
l'unità attraverso la legge europea. I sistemi giudiziari degli Stati membri
dovrebbero poter funzionare insieme, in modo coerente ed efficace, nel rispetto
delle tradizioni giuridiche nazionali. L'UE dovrebbe continuare a rafforzare la
fiducia reciproca negli ordinamenti giuridici degli Stati membri stabilendo diritti
minimi nella misura necessaria alla diffusione del principio di riconoscimento
reciproco e fissando norme minime per la definizione dei reati e delle sanzioni
secondo quanto definito dal trattato. Lo spazio giudiziario europeo deve inoltre
consentire ai cittadini di far valere i propri diritti ovunque nell’Unione, rendendoli
più consapevoli al riguardo e facilitando il loro accesso alla giustizia” (punto 3).
Dal punto di vista organizzativo, è da registrare che l’ampiezza e l’articolazione
delle aree materiali di intervento rientranti nello spazio di libertà, sicurezza e
giustizia ha determinato l’attivazione – rispetto alla Direzione Generale (D.G.) unica
già esistente in precedenza - di due nuove strutture amministrative ad hoc, la D.G.
Affari interni e la D.G. Giustizia, la prima competente in tema di sicurezza ed
immigrazione6 e la seconda direttamente preposta alla tutela e alla promozione
dei diritti e al potenziamento della cooperazione giudiziaria europea7.
6
Dal relativo sito (per ora solo in inglese) si ricava una descrizione analitica delle
competenze: “The policies managed by the Directorate-General aim at ensuring that
all activities necessary and beneficial to the economic, cultural and social growth of
the EU may develop in a stable, lawful and secure environment. The ultimate goal is to
create an area without internal borders where EU citizens and third-country nationals
may enter, move, live and work, bringing with them new ideas, capital and knowledge
or filling gaps in the labour market, in line with the Europe 2020 strategy. All of this
should be possible without being threatened by, for example, the activities of
organised crime, or terrorist attacks. The Directorate-General thus focuses on two
main priorities. On one side, it is ensuring European security and on the other, putting
solidarity at the heart of the European migration policy. The Stockholm Action Plan
constitutes the roadmap to implement these priorities.
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In order to ensure the security of Europe, we need to intensify our efforts to fight
terrorism and organised crime. Several proposals critical to this area include stricter
rules against illicit trafficking of firearms, as well as the revision of the present
legislation on fighting against trafficking in human beings and on combating child
sexual abuse, sexual exploitation and child pornography. The fight against terrorism
and the Internal Security Strategy, strictly linked to the broader European Security
Strategy, will continue to be cornerstones of our efforts to make Europe more secure
by strengthening cooperation in law enforcement, border management, civil
protection, and disaster management.
In the domain of migration, our focus will be to ensure a balanced migration policy
that addresses the irregular migration problems and, as it is foreseen in EU 2020, clears
the way for legal migration to the EU, an asset for a sustainable economic recovery. A
priority will therefore be the consolidation of a genuine common immigration and
asylum policy that will include actions such as developing new and flexible admission
systems for economic immigration; initiatives to support smooth integration of
immigrants into our societies; and the proposal of a common European Migration and
Asylum system based on solidarity and respect of human rights.
The requests on all sides for greater and more tangible solidarity among Member
States are growing, and not only in migration and asylum as in the past, but, with the
Lisbon Treaty, also in case of natural and home-made disasters.
All Home affairs policies have two dimensions, an internal and an external one. That is
why the Directorate-General will continue and enhance dialogue and cooperation with
third countries. This will strengthen position of the Union as a reliable, active and
pragmatic global player while ensuring that our policies are effective.
Finally, to cater for EU interests, whether concerning migration management or
security, financial instruments must be at the level of the Union's ambitions. Sound
and effective management of these instruments is an essential component of the
Home Affairs policy”.
7
Dal sito: “In today's Europe, millions of citizens are involved in cross-border
situations - either in their private lives, through their work or studies, or as consumers.
The creation of the Directorate-General Justice reflects the new opportunities the
Lisbon Treaty gives us to improve the everyday lives of EU citizens. We offer practical
solutions to cross-border problems, so that citizens feel at ease about living, travelling
and working in another Member State and trust that their rights are protected no
matter where in the European Union they happen to be […]
The Directorate-General consists of four directorates – Civil Justice, Criminal Justice,
Fundamental Rights and Union Citizenship and, since January 2011, the directorate for
Equality.
To this end, the Directorate General seeks to: Promote and enforce the Charter of
Fundamental Rights of the European Union: such as personal data protection, the
rights of the child, the rights laid down in Chapter VI of the Charter, like the right to an
effective remedy and to a fair trial, as well as the rights of persons belonging to
minorities.- Coordinate and promote policy developments to combat discrimination
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2. Rispetto a tali finalità generali, il Programma di Stoccolma ribadisce in
particolare “l'importanza orizzontale della giustizia elettronica, la quale non è
limitata a determinati settori del diritto ma dovrebbe essere inglobata in tutti i
settori del diritto civile, penale e amministrativo al fine di assicurare un migliore
accesso alla giustizia e una cooperazione rafforzata tra le autorità amministrative e
giudiziarie”.
Già nel 2008 era stato adottato un piano d'azione in materia di giustizia elettronica
europea8 che, attraverso il portale europeo della giustizia elettronica9, si propone di
on grounds of sex, racial or ethnic origin, religion or belief, disability, age or sexual
orientation. Promote awareness on gender equality and non-discrimination.
Coordinate policy developments in respect of the Roma.- Enhance citizenship by
promoting and protecting citizens' rights in their daily lives, ensuring they fully benefit
from European integration, in particular from the right of free movement within the
European Union.- Develop the European area of justice, based on mutual recognition
of judicial decisions, mutual trust between justice authorities achieved through
common rules and by building on the legal traditions of the EU Member States.Ensure legal certainty and a level-playing field for citizens, consumers and businesses
(especially small and medium-sized businesses) in enforcing their rights within, and
across, national borders, and developing citizen's access to justice through e-justice.Strengthen the single market for cross-border transactions by a better harmonisation
of consumer, contract and marketing laws, by developing an EU contract law and by
reducing procedural obstacles.- Develop a coherent criminal policy for the EU based
on mutual recognition of judicial decisions, approximating substantive and
procedural criminal law, enhancing mutual trust between criminal justice authorities,
and strengthening Eurojust and combating fraud against the financial interests of the
Union by means of criminal law.- Develop a global, coherent and balanced drugs
policy.- Engage in a close dialogue with the EU institutions and national Parliaments
on the development of sound justice policies”.
8
Rinviamo al testo del Programma per l’indicazione di ulteriori aree nelle quali fare
affidamento sulla giustizia informatica per il consolidamento dello spazio giudiziario
europeo. A titolo informativo richiamiamo alcune indicazioni in tal senso: “Occorre
sfruttare meglio la videoconferenza, ad esempio per risparmiare alle vittime inutili
spostamenti e lo stress di assistere al processo. Nel rispetto della normativa sulla
protezione dei dati, alcuni registri nazionali verranno progressivamente interconnessi
(ad es. registri d’insolvenza, interpreti, traduttori e testamenti). Alcune basi dati
esistenti potrebbero anche essere parzialmente integrate nel portale (ed es. il Registro
europeo delle imprese e il Servizio europeo di informazione territoriale). A medio
termine alcuni procedimenti transfrontalieri europei e nazionali (come l'ingiunzione di
pagamento europea, il procedimento europeo per le controversie di modesta entità e
17
agevolare i cittadini quanto alla semplificazione delle informazioni necessarie per
la tutela dei propri diritti e per l’accesso alla giustizia negli ordinamenti dei singoli
Stati membri. La predisposizione tecnica di tale portale si è rivelata ben più
complessa del previsto e l’avvio effettivo del portale stesso è stato via via più volte
rimandato e si è concretizzato solo nel mese di agosto del 2010.
Il Portale è essenzialmente una fonte informativa, che mette a disposizione dei
cittadini una moltitudine di dati sul diritto in generale, sul diritto dell’Unione e
degli Stati membri – compreso l’accesso diretto a banche dati giuridiche -,
sull’organizzazione giudiziaria e i fondamenti del processo civile e penale degli
Stati membri, allo scopo di fornire ai cittadini (e ai professionisti che li assistono)
una sorta di prima assistenza legale di base, in vista di un loro eventuale
coinvolgimento in una controversia giudiziaria al di fuori dell’ordinamento
giuridico e giudiziario del proprio Stato.
Si tratta, dunque, di uno strumento che si rivolge potenzialmente ad ogni
cittadino, sia uti singulus, sia come impresa, sia in quanto professionista e
impegnato in attività lavorative di ogni genere, il quale, in tutte le parti del
territorio dell'Unione in cui si trovi, deve essere posto in grado di agire per la più
efficace tutela dei propri interessi ed altresì di poter esercitare la propria
professione o attività imprenditoriale nei confronti di controparti che possono
essere anch’esse collocate in qualsiasi parte del territorio dell'Unione.
Il Portale, pertanto, non è che un primo passo rispetto ad un percorso che richiede
altri e ben più sofisticati elementi di sostegno, ma un primo passo comunque
significativo anche in considerazione del fatto che rispetto alle finalità generali –
la mediazione) potrebbero essere espletati on-line. Nell'ambito del progetto sulla
giustizia elettronica andrebbe inoltre promosso l'uso delle firme elettroniche. Il
Consiglio europeo invita il Consiglio, la Commissione e gli Stati membri a creare
condizioni idonee a consentire alle parti di comunicare con gli organi giurisdizionali
attraverso mezzi elettronici nell'ambito di procedimenti giudiziari. Occorre a tal fine
mettere a disposizione moduli dinamici attraverso il portale della giustizia elettronica
per quanto riguarda taluni procedimenti europei quali il procedimento europeo
d'ingiunzione di pagamento e quello per le controversie di modesta entità. In tale fase,
andrebbe nettamente migliorata la comunicazione elettronica tra le autorità
giudiziarie nel settore dell'applicazione della giustizia elettronica” (punto 3.4.1).
9
Cfr. il sito https://e-justice.europa.eu/home.do?lang=it&action=home
18
intimamente connaturate al rispetto dei diritti e degli interessi di varia natura dei
cittadini e del tutto conforme al principio di legalità e di tutela giurisdizionale – si è
posto in essere, in realtà, accanto ed oltre al Portale stesso, tutto un apparato
organizzativo e funzionale articolato, il quale si fonda sull’attivazione di reti
giudiziarie di collaborazione, sia in forma istituzionale sia attraverso strumenti di
natura procedurale e include altresì, pertanto, grazie al Portale, anche
l’agevolazione tecnologica per un efficace accesso alla giustizia.
In realtà, il Portale potrebbe anche essere un’iniziativa dotata di una visibilità
relativamente marcata e di immediato impatto psicologico sulla generalità dei
cittadini utile a distogliere l’attenzione sulle diffuse criticità dell’attuazione dello
spazio di libertà, sicurezza e giustizia: non solo da esso, infatti, e dalla stessa
applicabilità della Carta dei diritti fondamentali alcuni Stati membri (Danimarca,
Irlanda, Polonia, Regno Unito e Repubblica Ceca) – a vario titolo e pur con
differenziazioni - si sono chiamati fuori ma occorre ricordare anche che lo sviluppo
delle più significative iniziative di integrazione giudiziaria è destinato ad essere
attivato, almeno in una prima fase, attraverso le forme della cooperazione
rafforzata fra un numero ristretto di Stati membri. Si prospetta, pertanto, come del
resto già avviene in rilevanti comparti di intervento pubblico comunitario10, la
tendenza verso una configurazione, almeno (e forse solo) iniziale, di uno spazio di
libertà, sicurezza e giustizia asimmetrico dal punto di vista della partecipazione
dello degli Stati membri11.
3. La riflessione sin qui svolta, per quanto sommaria ed introduttiva e pur con
tutte le cautele suggerite dalla riluttanza di alcuni Stati membri ad accettare
incisivi interventi comunitari su una delle attribuzioni più importanti della
sovranità quale l’esercizio della potestà punitiva e della competenza normativa in
materia (sostanziale e processuale) penale12, sembra idonea, nondimeno, a porre
10
Cfr. infatti G. Di Paolo, La circolazione dei dati personali nello spazio giudiziario
europeo dopo Prüm, in Cassazione penale, 2010, 1969 ss.
11
Cfr. in proposito S. Carrera y F. Geyer, El tratado de Lisboa y un Espacio de libertad,
seguridad y justicia: Excepcionalismo y fragmentación en la Unión Europea, in Revista de
Derecho Comunitario Europeo, 2008, 133 ss.
12
Per un’interessante ricognizione di tali problemi cfr. G. Di Paolo, Il processo penale
nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia dell’UE tra cooperazione giudiziaria e orizzonti
sovranazionali, in Cassazione penale, 2009, 4488 ss.
19
in evidenza come lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia – quale configurato dal
TUE entrato in vigore nel 2009 ed ulteriormente qualificato dalla futura adesione
dell’Unione Europea al sistema di tutela dei diritti fondamentali offerto dalla
Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà
fondamentali (CEDU) e garantito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo di
Strasburgo (CtEDU)13 – venga a rappresentare una significativa prospettiva di
sviluppo del processo di integrazione giuridica e giudiziaria europea, in un settore,
come quello giuridico, che si conferma essenziale e strutturalmente funzionale
rispetto all’evoluzione di ogni altro contesto materiale.
E’ agevole rilevare, di conseguenza, che la piena realizzazione di questa
prospettiva non può non richiedere un corrispondente ed adeguato impegno
nella formazione, sia in termini di aggiornamento professionale degli operatori già
in servizio del mondo forense e della giustizia, da intendersi in senso lato e
comprensivo delle forze dell’ordine, sia per quanto concerne la formazione di base
delle future generazioni. Il diritto è un fenomeno sociale e culturale che deve
sempre essere posto in grado di esprimere la propria vitalità intrinseca e di
corrispondere alle innovazioni del contesto che lo circonda, lo determina e ne
sollecita l’intervento.
Nel quadro europeo attuale, il diritto sta vivendo una parziale de-statualizzazione
delle fonti normative e giurisprudenziali ovvero sta articolando modi innovativi
attraverso i quali nuovi soggetti istituzionali, impiegando nuovi procedimenti,
sono in grado di determinare la statualizzazione di fonti normative e
giurisprudenziali di origine extrastatuale. La stessa circostanza di attribuire pari
rilevanza alla fonte giurisprudenziale rispetto alla fonte normativa di origine
legislativa costituisce un fattore innovativo qualora inserito nel contesto giuridico
di diritto codificato dell’Europa continentale e nel prevalente quadro culturale
dell’attuale insegnamento del diritto, ancora troppo condizionato dal positivismo
giuridico statocentrico (e, talvolta, statolatra e nazionalista) che ha caratterizzato
per ampia parte il pensiero giuridico del Novecento.
13
Come prescritto dall’art. 6.2° TUE: “L'Unione aderisce alla Convenzione europea per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Tale adesione non
modifica le competenze dell'Unione definite nei trattati”.
20
In tal senso, il Portale della giustizia elettronica dell’UE rappresenta – di certo al di
là delle intenzioni di chi lo ha ideato – un monumento emblematico del diritto
europeo odierno, un totem bicefalo, riproduttivo, da unlato, dei ventisette sistemi
giuridici e giudiziari degli Stati membri e, dall’altro, della ratio della loro
integrazione nel sistema giuridico e giudiziario dell’UE, secondo quanto richiesto
dallo Zeitgeist della nostra epoca.
L’innovazione dell’integrazione giuridica e giudiziaria europea, presente e
dell’imminente futuro, richiede dunque una adeguata innovazione didattica del
diritto, europea nei contenuti ma, possibilmente, anche nelle modalità di contesto
(ad esempio, valorizzando la mobilità interuniversitaria di studenti e docenti).
In questa direzione si è orientato, del resto, il Programma di Stoccolma che,
facendosi carico dell’esigenza di gestione dello spazio di libertà, sicurezza e
giustizia quale realtà operativa nell’immediato, sembra porre l’accento più sulla
formazione professionale in servizio che sulla formazione di base delle giovani
generazioni: “per promuovere un'autentica cultura europea in materia giudiziaria
e di applicazione delle legge è essenziale intensificare la formazione relativa alle
tematiche connesse all'UE e renderla sistematicamente accessibile per tutte le
professioni coinvolte nell'attuazione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, tra
cui sono da annoverare giudici, pubblici ministeri, personale giudiziario, agenti
doganali e guardie di frontiera. Occorrerebbe porsi come obiettivo regimi di
formazione europea sistematica, offerti a tutti i soggetti coinvolti, con l'ambizione
seguente per l'Unione e gli Stati membri: partecipazione, entro il 2015, di un
numero significativo di professionisti, ovvero scambio con un altro Stato membro
che potrebbe rientrare in regimi di formazione già utilizzati. A tal fine si dovrebbe
in particolare ricorrere agli istituti di formazione esistenti. Al riguardo sono
responsabili in primo luogo gli Stati membri; l'Unione deve però offrire loro
supporto e sostegno finanziario e disporre inoltre di meccanismi propri per
integrare gli sforzi nazionali. Il Consiglio europeo ritiene che gli aspetti della
cooperazione UE e internazionale debbano rientrare nei programmi di formazione
nazionali. Nella formazione di giudici, pubblici ministeri e personale giudiziario è
importante salvaguardare l'indipendenza del potere giudiziario, ponendo nel
contempo l'accento sulla dimensione europea per i professionisti che si servono
frequentemente degli strumenti europei. CEPOL e FRONTEX dovrebbero svolgere
21
un ruolo chiave nella formazione del personale preposto all'azione di contrasto e
delle guardie di frontiera al fine di garantire una dimensione europea all'attività
formativa. La formazione delle guardie di frontiera e degli agenti doganali riveste
una rilevanza particolare nell'ottica di promuovere un approccio comune alla
gestione integrata delle frontiere. Si dovrebbero ricercare soluzioni a livello
europeo per potenziare i regimi di formazione europea. Si devono inoltre
sviluppare programmi di teledidattica per formare i professionisti riguardo ai
meccanismi europei” (punto 1.2.6)14.
In realtà, la formazione svolge un ruolo cruciale in questo contesto anche in vista
del conseguimento di un risultato di primaria importanza, nel breve come nel
lungo periodo, quale è la creazione di un fondamento di fiducia reciproca fra gli
operatori del diritto e della giustizia15.
14
Il Consiglio europeo invita la Commissione a: proporre un piano d'azione per
innalzare sistematicamente, in misura sostanziale, il livello dei regimi di formazione e
scambio nell'Unione. Il piano dovrebbe prospettare come garantire che a un terzo di
tutte le forze di polizia coinvolte nella cooperazione europea di polizia e alla metà dei
giudici, pubblici ministeri e altro personale giudiziario coinvolti nella cooperazione
europea giudiziaria, nonché alla metà di altri professionisti coinvolti nella
cooperazione europea possano essere offerti regimi di formazione europea;
considerare ciò che può definirsi un regime di formazione europea e proporre, nel
piano d'azione, soluzioni per sviluppare questo concetto nella prospettiva di
conferirgli una dimensione europea; istituire specifici programmi di scambio (tipo
Erasmus) che potrebbero coinvolgere Stati non appartenenti all'UE e, in particolare,
Stati candidati e paesi con i quali l'Unione ha concluso accordi di partenariato e di
cooperazione; far sì che la partecipazione ai corsi, alle esercitazioni e ai programmi di
scambio comuni sia decisa in funzione delle attribuzioni e non dipenda da criteri
settoriali” (1.2.6). Osserviamo in proposito che l’instaurazione di un contesto di fiducia
(in questo caso) accademica è stata del resto una condizione indispensabile – e, a
posteriori, una preziosa acquisizione - per il consolidamento della mobilità
universitaria degli studenti nell’ambito del Programma ERASMUS.
15
Sulla stretta connessione in parola (“Dans le domaine de la justice, un des objectifs
généraux était la pleine utilisation de la reconnaissance mutuelle et, plus
spécifiquement, l’instauration de la confiance mutuelle: La coopération judiciaire dans
les matières tant pénales que civiles pourrait être encore développée en renforçant la
confiance mutuelle et en faisant émerger progressivement une culture judiciaire
européenne fondée sur la diversité des systems juridiques des États membres et sur l'unité
par le droit européen (…). Les principes de reconnaissance mutuelle des décisions et de
confiance mutuelle sont en fait liés entre eux, le premier ne pouvant pas subsister sans
le deuxième. L'élimination pure et simple de tout contrôle du juge de l'État requis sur
la décision étrangère ne peut fonctionner de manière effective que si le juge du pays
22
In tal senso, si legge nel Programma di Stoccolma che “il Consiglio europeo
sottolinea la necessità di rafforzare la fiducia reciproca tra tutti i professionisti del
settore a livello nazionale e dell'UE. Un'autentica cultura europea in materia di
applicazione della legge dovrebbe svilupparsi grazie allo scambio di esperienze e
buone pratiche, nonché mediante l'organizzazione di corsi di formazione e di
esercitazioni comuni […]”; pertanto, “il Consiglio europeo esorta gli Stati membri
a ideare meccanismi di incentivo per i professionisti che assumono funzioni
attinenti alla cooperazione transfrontaliera, favorendo in tal modo una risposta a
tutti i livelli su scala europea” (punto 4.2.1).
Ed ancora: “il riconoscimento reciproco ha come conseguenza che le decisioni
pronunciate a livello nazionale producono effetti, in particolare, sull'ordinamento
giuridico degli altri Stati membri. Per poter sfruttare appieno queste realizzazioni,
sono pertanto necessarie misure volte ad accrescere la fiducia reciproca. L'Unione
è chiamata a sostenere gli sforzi degli Stati membri volti a migliorare l'efficacia dei
sistemi giudiziari nazionali, favorendo lo scambio di migliori prassi e lo sviluppo di
progetti innovatori relativi alla modernizzazione della giustizia (punto 3.2); e “la
formazione dei giudici (compresi i giudici amministrativi), dei pubblici ministeri e
di altro personale giudiziario è fondamentale per rafforzare la fiducia reciproca.
L'Unione dovrebbe continuare a sostenere e rafforzare le misure intese ad
aumentare la formazione, in linea con gli articoli 81 e 82 del trattato FUE” (punto
3.2.1).
Ne consegue che, in conseguenza ed altresì in vista del consolidamento dello
spazio di libertà, sicurezza e giustizia, la formazione del giurista deve acquisire una
propria dimensione europea come formazione di base e la formazione avanzata
degli operatori della giustizia – ricordando, fra l’altro, che ogni giudice nazionale è
requis fait confiance à son collègue de l'État membre d'origine”, 11, corsivi originali)
rinviamo anche allo studio di P. Goldschmidt, C. Botelho e N. Long, Renforcement de la
formation judiciaire dans l’Union Européenne, pubblicato dal Parlamento Europeo, PE
419.591, D. G. Politiques internes de l’Union, Luxembourg, 2009.
23
anche giudice comunitario - deve in via fisiologica riflettere la realtà dello spazio
giuridico europeo16.
Anche in questa prospettiva – in tanto in quanto rappresentativo della
individualità di ciascun sistema giuridico e giudiziario degli Stati membri, accanto
a quello dell’UE ed altresì quale strumento iniziale di informazione circa la realtà
plurale rappresentata - il Portale viene a svolgere un ruolo indiretto di catalizzatore
di una dinamica che dovrebbe condurre dall’isolamento (dei sistemi giuridici e
giudiziari) all’integrazione europea, dall’informazione alla formazione, dalla
diffidenza causata dalla non conoscenza alla fiducia reciproca fondata sulla
conoscenza delle diversità e sulla consapevolezza circa la loro suscettibilità di
partecipare e di contribuire all’integrazione europea.
16
L’estensione della formazione necessaria agli operatori della giustizia è stata
ritenuta dover includere: “ Connaissance d’une ou plusieurs langues de l'Union
européenne autres que la langue maternelle de la personne concernée.- Connaissance
du droit primaire de l’UE et des principes généraux du droit communautaire et du
droit de l’Union.- Connaissance du droit dérivé de l’UE, l'accent étant mis sur les
instruments juridiques de l’UE, qu'ils aient été adoptés dans le cadre du premier ou du
troisième pilier, et sur les instruments appliquant le principe de reconnaissance
mutuelle.- Connaissance du rôle du juge national en tant que juge communautaire.
Ceci inclut une formation pratique sur la façon dont les magistrats nationaux peuvent
obtenir une aide dans leur interprétation et leur application de la législation de l'UE
par le biais par exemple des décisions ou procédures de la Cour de justice des
Communautés européennes. Les juges nationaux ont besoin en particulier d'une
formation pratique sur la procédure préjudicielle (par exemple quand et comment
soumettre des questions à la CJCE) comme garantie d'une interprétation commune
des divers instruments juridiques communautaires – ou d’une decision commune sur
leur validité.- Formations de droit comparé afin de mieux connaître les systèmes
juridiques des autres États membres. Ceci est particulièrement important lorsque le
droit de l’Union permet aux magistrats d'appliquer le droit de leurs homologues (par
exemple dans les questions de droit civil) ou lorsque ceux-ci doivent comprendre
pourquoi une décision spécifique a été prise dans un autre État membre en
appliquant un instrument de l'UE (par exemple, dans le cadre de la coopération en
matière pénale, une décision relative au mandat d'arrêt européen), in P. Goldschmidt,
C. Botelho e N. Long, Renforcement de la formation judiciaire dans l’Union Européenne,
cit., 36 s.
24
Si tratta, evidentemente, di un processo, peraltro già avviato - come ben
testimoniato da oltre un decennio di azione comunitaria, di collaborazione
giudiziaria, di esperienza di reti interattive di magistrati -, ma che in questa fase,
anche in virtù dell’effetto promozionale prodotto dall’entrata in vigore del nuovo
TUE (dopo la frustrazione causata dalla débacle del c.d. trattato costituzionale),
appare destinatario di una forte accelerazione, come indicato dalla connotazione
di priorità che il Consiglio Europeo nel Programma di Stoccolma ha conferito
all’attuazione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia e come confermato
altresì dalla impressionante lunga lista di ”cose da fare” contenuta nel citato Piano
d’azione della Commissione.
Il Portale corrisponde dunque, come abbiamo posto in evidenza, ad
un’applicazione puntuale e concreta, nel senso della facilitazione nell’acquisizione
di informazioni essenziali, nel contesto delle vaste potenzialità offerte dalla
giustizia elettronica e, dunque, della valorizzazione della tecnologia informatica al
servizio della giustizia: non a caso si parla oggi, in proposito, della “scrivania
virtuale del magistrato”.
Senza l'informatica applicata al diritto, le importanti e delicate dinamiche di
garanzia del cittadino – giacché di questo si tratta - delle quali si è sin qui discorso
non sarebbero possibili. Da questo punto di vista, emergono con tutta evidenza
ancora una volta sia l'importanza della familiarità del giurista con gli strumenti
informatici sia l’utilità della consuetudine dell’informatico con il diritto: solo dalla
combinazione intelligente di questi due saperi professionali è dato assecondare
ed assicurare ulteriori sviluppi in un settore così delicato.
Nondimeno, proprio con riguardo alla predisposizione del Portale, occorre anche
rilevare che, se da un lato l’utilizzazione e la valorizzazione delle tecnologie
informatiche si sono confermate funzionali al perseguimento di questo obiettivo
di facilitazione, dall’altro si sono trovate a dover gestire, fra gli altri, un problema
strutturale dell’ordinamento comunitario quale il fattore linguistico: in un'Unione
Europea con ventitré lingue ufficiali si richiede che ogni cittadino, proprio per
esercitare fino in fondo la sua libertà fondamentale di circolazione sul territorio
dell'Unione, venga posto in grado - nella concretezza di una controversia
giudiziaria e nell’effettività della tutela giurisdizionale - di esercitare i propri diritti
superando anche la barriera linguistica.
25
L'informatica al servizio della tutela degli interessi del cittadino è pertanto
un'informatica che deve anche agevolare la traduzione dei termini tecnici, dei
termini giuridici sostanziali e dei termini processuali e, come ben sanno tutti
coloro che si occupano di comparazione giuridica, una traduzione letterale non è
necessariamente una buona traduzione giuridica perché il diritto va tradotto per
concetti e non per parole17.
Anche queste ultime osservazioni contribuiscono in modo particolare a porre in
evidenza come la trattazione di questi temi richieda il concorso di una pluralità di
saperi professionali e di prospettive scientifiche e disciplinari18. Il tema della eJustice quale componente essenziale del processo di integrazione europea e di
consolidamento dell’Unione Europea e del suo spazio di libertà, sicurezza e
giustizia, in altre parole, si presta a dare un contributo significativo ed
emblematico alla diffusa comprensione delle crescenti esigenze di una formazione
europea del giurista che si ponga l’obiettivo, fra l’altro, di far acquisire il possesso di
saperi professionali trasversali.
17
Cfr. in argomento R. Toniatti Il diritto tradotto e comparato, in D. Londei e M. Callari
Galli (cur.), Traduire les savoirs, Peter Lang, Fribourg, 2011.
18
Per un approfondimento in materia cfr. S. Cavagnoli, Traduire le droit, 249 ss. e E.
Ioriatti Ferrari, Le project Transjus: un modèle de collaboration entre juristes et linguistes,
297 ss., in D. Londei e M. Callari Galli (cur.), Traduire les savoirs, cit.; S. Cavagnoli e E.
Ioriatti Ferrari (a cura di), Tradurre il diritto. Nozioni di diritto e di linguistica giuridica,
Cedam, Padova, 2009; nonché, per la rilevazione circa “il fatto che l’esperienza
comunitaria dia luogo ad un’elaborazione linguistica nuova, una «meta-lingua
giuridica» a carattere specialistico, la cui originalità semantica è funzionale agli scopi
che l’Unione persegue attraverso il diritto comunitario”, E. Ioriatti Ferrari, Linguismo
euruniònico e redazione della norma comunitaria scritta. Prime riflessioni in J. Visconti (a
cura di), Lingua e diritto. Livelli di analisi, Edizioni Universitarie di Lettere Economia
Diritto, Milano, 2010, 284.
26
Floretta Rolleri
Magistrato
Gruppo di lavoro del Consiglio di Europa “e-Justice”
I PROGETTI DI INFORMATIZZAZIONE DELLA GIUSTIZIA NEL
CONTESTO ITALIANO ED EUROPEO: TAPPE EVOLUTIVE
Sono particolarmente grata di avere la possibilità di partecipare a questo incontro,
dal momento che, com'è già stato sottolineato dal collega, non mi risulta che in Italia
finora ci siano state iniziative dirette a diffondere la conoscenza dello sviluppo nei
Paesi europei delle pluralità di iniziative ricomprese sotto la denominazione eJustice, riguardanti cioè il “dominio” della . giustizia elettronica. Sono ancor più felice
del fatto di essere presente a questo evento poiché il momento attuale rappresenta
per me la conclusione di un lungo percorso. In effetti sono riuscita a vedere gli
albori del progetto e vorrei condividerli in parte con voi perché è significativo il ruolo
avuto dall'Italia.
Negli anni ‘70 l'Italia era all'avanguardia in Europa per ciò che riguardava le banche
dati documentali e la ricerca semantica. La banca dati della Corte di Cassazione, e il
sistema di information retrieval Italgiure Find costituivano un unicum in Europa. La
banca dati era l'unica banca dati giuridica europea che riuniva legislazione,
giurisprudenza e dottrina giuridica. Il nostro comune "maestro", il magistrato
professor Renato Borruso, aveva coniato uno slogan, “il dato giuridico globale”,
sostenendo a ragione che non si può affrontare un fatto sotto il profilo giuridico se
non si ha la compiuta conoscenza su quello specifico problema del dettato del
legislatore, dell’interpretazione della giurisprudenza e dell'opinione della dottrina.
Ben presto, sempre negli anni ’70, la banca dati del costituito Centro Elettronico di
Documentazione (CED) della Cassazione si arricchì della banca dati, ancora molto
tradizionale dal punto di vista informatico e soprattutto semantico, della legislazione
27
europea, la banca dati CELEX, sottolineando così la necessità da parte degli operatori
giuridici della conoscenza del diritto europeo
A posteriori si può dire che in realtà noi italiani siamo molto bravi nell’avere idee e
anche iniziative estremamente rilevanti, ma spesso non siamo in grado di portare a
frutto quello che abbiamo fatto . A scusante bisogna dire che molte nostre iniziative
non sono sufficientemente apprezzate in quanto non sono sufficientemente
conosciute e ciò anche perché la lingua italiana è una lingua quasi discriminante. Io
credo che se si fosse affrontato subito il programma del plurilinguismo (o quanto
meno dell’uso delle lingue “veicolari”), la banca dati del CED probabilmente avrebbe
avuto una risonanza che non ha avuto, tanto più che, fin dalla fine degli anni ‘80, per
facilitare l’accesso all’informazione da parte di utenti non esperti, era stata creata
un’interfaccia amichevole, c.d. “easyfind”, anticipando l’evoluzione che si sarebbe
avuta solo negli anni successivi da parte di altre banche dati giuridiche documentali.
Però, e certo non dipende dal problema linguistico o tecnologico, il fatto che a
tutt’oggi l’accesso alla banca dati della Corte di Cassazione, anche per il settore, il
c.d. Archivio legislativo, sia a pagamento per i cittadini ( sono escluse solo le
magistrature e gli uffici pubblici), ci pone in una situazione di inferiorità rispetto agli
altri paesi europei, dove il problema è stato risolto nel senso della gratuità della
consultazione on line della legislazione. Infatti la consultazione gratuita della
Gazzetta Ufficiale è limitata agli ultimi tre mesi.
Dal punto di vista tecnologico, invece, il sistema di information retrieval della Corte
di Cassazione italiana è ancora all’avanguardia, essendosi evoluto con l’utilizzo di
tutte le potenzialità del web.
Tornando all’Europa, comunque, con la partecipazione attiva dei magistrati del CED,
negli anni ‘80 nasce il gruppo per lo studio della documentazione giuridica. Dal
momento che la lingua ufficiale delle istituzioni giudiziarie europee, in particolare
della Corte di Giustizia, era il francese, a differenza di altri gruppi di lavoro, l’iniziativa
ad origine fu targata come informatique juridique.
Il compito era proprio quello di creare una base dati documentale, comune,
europea riguardante la legislazione, e il recepimento delle direttive nonché la
giurisprudenza applicativa del diritto europeo da parte dei singoli Stati. Nasce così
EUR-Lex che si pone proprio quest’obiettivo con i vari settori e nasce anche la banca
dati della Corte di Giustizia.
A questo punto si pose come ineludibile il problema linguistico tant'è che fu creato ed è ancora a mio giudizio uno strumento valido - il thesaurus lessicale in materia
giuridica Eurovoc che, peraltro, la banca dati della Corte di Cassazione ha recepito,
28
per consentire una forma di approccio con la traduzione automatica che non fosse
quella che troviamo su Google. Si tratta infatti di un thesaurus specifico di termini
giuridici.
Un limite ovviamente deriva, a livello nazionale, dal fatto che, come sanno benissimo
tutti coloro che seguono l'evoluzione normativa, il legislatore italiano persegue la
brutta abitudine di non chiamare mai lo stesso istituto con lo stesso nome. Basti un
esempio, la “firma elettronica”.. Quando - e anche qui noi eravamo all'avanguardia nel 1997 (D.P.R. 513) si è iniziato a parlare di firma elettronica, il primo Paese europeo
a legiferare in materia è stata l'Italia. Peccato che l’affermazione legislativa è una cosa
e l'applicazione pratica è un'altra, tant’è che in Italia ancor oggi la diffusione nelle
pubbliche amministrazioni dell’utilizzo della firma elettronica è estremamente
limitato (meglio in alcune categorie di professionisti). Abbiamo, con il D.P.R.
445/2000 recepito la direttiva europea del 1999 e distinto tra “firma elettronica” e
“firma elettronica avanzata”e infine abbiamo sviluppato legislativamente, con il
Codice dell’Amministrazione digitale (CAD) introdotto con D.lgs.82 del 2005 ben tre
categorie di “firme elettroniche”: la firma elettronica c.d. semplice, la firma
elettronica”qualificata”, la firma”digitale”, con diversi livelli di sicurezza.
Non basta. Sta per esser reintrodotto, sotto la spinta del Ministro per la pubblica
amministrazione e l’innovazione, con il “nuovo CAD” il termine firma elettronica
“avanzata” che però non è quella del 2000, ma una firma “qualificata” con meno
protezione. A chi giova? Certo non ai cittadini ed alla diffusione del nuovo sistema.
Viene il dubbio che queste fluttuazioni legislative siano legate a problematiche di
mercato.
E ancora è stata introdotta accanto alla “posta elettronica certificata” (la c.d. PEC) la
“comunicazione elettronica certificata”(la c.d. CECPAC), per favorire il rapporto tra
cittadini e la P.A. Tutti i cittadini che lo richiederanno avranno gratis una casella di
posta elettronica per ricevere le comunicazioni che li riguardano dalle pubbliche
amministrazioni. Nel frattempo occorrerà che tutte le P.A. centrali e locali si
attrezzino per avere una casella elettronica collegata al protocollo informatico per
ricevere le c comunicazioni dei cittadini. Vedremo se l’iniziativa avrà il successo che
merita.
A proposito di PEC, ahimè, occorre dire che finora anche gli avvocati sono restii ad
utilizzare la casella di posta certificata per l’interazione con gli uffici giudiziari,
malgrado che una legge dello stato renda obbligatoria la acquisizione e la
comunicazione al Consiglio dell’Ordine di appartenenza della PEC, quale nuova
forma di domicilio legale. Ma tant’è, esiste l’obbligo non la sanzione. Si dovrà
29
attendere un’altra legge ? Eppure i vantaggi ed in particolare le conseguenze sulla
durata dei processi, se si pensa a quanti processi vengono rinviati per “omessa
notifica” e quanto beneficio può venire dalla diffusione del processo telematico,
sono di tutta evidenza. Non solo. La grande scommessa all’efficienza della giustizia
derivante dall’uso delle nuove tecnologie rimane un obiettivo ma non ancora una
realtà, mentre alcuni paesi europei (basti pensare all’Austria) sono ormai a regime.
Sicuramente a livello europeo la situazione è migliore, su questo fronte, perché nella
maggior parte dei paesi si punta ad una maggiore semplificazione. A mio parere eJustice si muove in questa direzione e quindi avrà un futuro positivo.
Del resto e-Justice nasce proprio da questa esigenza. Nel gruppo di informatica
giuridica, alla fine degli anni ‘90 , incomincia a prender corpo la consapevolezza che
non si poteva affrontare solo il problema dell'accesso alla legislazione e alla
giurisprudenza, con la creazione delle banche dati documentali, ma si doveva
studiare come le applicazioni informatiche applicate alla giustizia, quindi la
giustizia elettronica, potessero rendere migliore il rapporto con gli utenti, i cittadini e
le imprese.. In questo contesto si svilupparono animate discussioni e si ebbero
anche alcuni esempi virtuosi che venivano portati avanti da altri paesi. In particolare
devo ricordare la Germania e l'Austria che furono molto propositive nel sostenere
che ormai era inevitabile occuparsi di amministrazione della giustizia e non solo di
documentazione giuridica. Nel frattempo fu anche dato l'avvio a iniziative europee
che riguardavano settori particolari dell’attività giudiziaria, come il mandato europeo
di pagamento.
Quando il Trattato di Lisbona affermò il principio della giustizia elettronica, come
motore dello spazio di legalità europeo, principio ricordato dal professor Toniatti,
già serpeggiavano in Europa iniziative in questo senso. Quindi il terreno era molto
fertile. Basti pensare alla rete giudiziaria europea in materia civile e penale. Non
vorrei essere fraintesa: queste iniziative non sono nate come reti telematiche, ma
reti di soggetti che man mano si sono valse sempre di più degli strumenti
informatiche.
E’ però bene ricordare, in questo contesto, la nascita di Eurojust. Come istituto,
Eurojust nasce dall'esigenza di un coordinamento e uno scambio di informazioni in
materia di particolari reati fra i vari stati dell'Unione europea. Come progetto
informatico nasce sulla base di un progetto italiano. L'Italia, che si è aggiudicata la
realizzazione del sistema per l'informatizzazione e la creazione dei collegamenti e
della banca dati di Eurojust, ha seguito, nella sostanza, il modello realizzato per la
30
banca dati della Direzione Nazionale Antimafia e dei rapporti fra la DNA e le
Direzioni Distrettuali Antimafia.
Per chi di voi non è a conoscenza del progetto, ricordo che il sistema vede la
titolarità del processo rimanere al singolo magistrato, della singola procura
distrettuale, ma consente la condivisione dei dati di interesse a livello di Direzione
Nazionale Antimafia, per poter verificare se ci siano altri magistrati, che procedono in
ordine allo stesso fenomeno criminoso, consentendo così di mettere a fattor
comune il frutto delle indagini. Questo principio, il rispetto delle competenze che la
legge attribuisce ai singoli uffici giudiziari ma anche la conoscibilità delle
informazioni utili per evitare duplicazione di interventi, ha portato alla creazione
della banca dati di Eurojust. Ripeto che è un merito che va ascritto all’Italia, anche se
spesso non viene riconosciuto.
Un altro problema che nel frattempo è stato studiato e portato all’attenzione
dell’Unione Europea , questa volta per iniziativa del Belgio e della Francia, è stata la
necessità di mettere a fattor comune le informazioni riguardanti i casellari penali dei
diversi paesi. Come è noto il casellario contiene le informazioni relative alle
condanne passate in giudicato. In realtà la prospettiva italiana è più ampia, poiché la
base dati, non ancora perfettamente realizzata, dovrebbe contenere anche le
informazioni riguardanti i cosiddetti “carichi pendenti”, cioè le iscrizioni processuali
che nascono quando un soggetto viene rinviato a giudizio. L'Italia ha partecipato a
questo progetto europeo, ed ha usufruito anche dei contributi economici, con la
realizzazione del sistema informatico di interscambio dei dati. E’ il caso di
sottolineare, vista l’importanza della componente linguistica, lo sforzo congiunto di
creare un thesaurus riguardante la materia specifica della criminalità, cosicché, ad
esempio, il concetto di estorsione in Italia possa essere ritenuto equivalente alla
stessa tipologia di reato in un altro Paese europeo, anche se con una denominazione
diversa. Il progetto testimonia l’importanza di un lessico giuridico comune ai
diversi paesi dell’Unione.
Dopo il Trattato di Lisbona, dunque, accanto al termine informatique juridique
incomincia a comparire il termine e-Justice. Devo dire che il Consiglio d'Europa si è
fatto promotore di una forte pressione sia sul Parlamento europeo sia sulla
Commissione perché quest'idea venisse codificata in risoluzioni. Si arriva così nel
2008, a un'indicazione sufficientemente precisa di che cosa si deve intendere per eJustice.
Devo anche sottolineare, e mi riferisco a quanto detto dal professor Toniatti, che il
concetto di e-Justice, è molto più ampio di quello di giustizia elettronica come la
31
intendiamo noi in Italia, perché comprende anche settori che non sono più o non
sono mai stati settori attinenti la giustizia. Per esempio, il registro delle imprese che
ormai da più di 10 anni o forse 15 non viene più tenuto dai tribunali; il registro dei
falliti su cui i tribunali emettono le sentenze ma sono le Camere di Commercio a
gestire i dati; il registro del catasto che non è mai appartenuto al mondo della
giustizia a diversità di molti paesi europei.
E ancora. Una delle grandi problematiche che nascono nel momento in cui si deve
puntare a una giustizia europea è quello delle anagrafi. Noi, in realtà, non abbiamo
come Amministrazione il potere di intervenire sull'anagrafe, gestita in Italia dai
singoli comuni.
Così si verifica l'assurdo che, come Ministero della giustizia partecipiamo a progetti
europei riguardanti l'aggiornamento delle anagrafi relative agli italiani all'estero, ma
non abbiamo alcuna competenza relativa all'aggiornamento delle anagrafi degli
italiani in patria, che sono disseminati in oltre 8.100 comuni di cui solo una parte è
informatizzata, per cui non è possibile controllare l'effettivo aggiornamento. Voi
capite l’importanza di tale fatto per l’amministrazione giudiziaria, dal momento che,
per esempio, il problema delle notifiche è legato a un'anagrafe efficiente. Si può
imporre l’uso della posta elettronica certificata, della PEC, ma certamente se non si
ha il dato certo sarà una PEC che va a vuoto come va a vuoto ora la notifica
tradizionale tramite ufficiale giudiziario.
Non sono una pessimista ma realista, perché di lavoro da fare ce n’è tanto e l'Unione
europea ovviamente non è la panacea di tutti i mali, neanche in materia di giustizia
elettronica.
Un altro terreno che ci vede in difficoltà nel facilitare l’accesso del cittadino europeo
alla giustizia è la mancanza in Italia di una banca dati ufficiale degli interpreti e dei
traduttori. Non solo presso ciascun tribunale vi è un registro, ma ogni singolo
giudice può decidere di rivolgersi, così come per i periti, anche a un interprete o a un
traduttore esterno al registro. Voi capite l'importanza di tale situazione, soprattutto
in una società multietnica come quella in cui viviamo sempre di più, poiché non è
detto che al momento della necessità si possa avere sotto mano l'interprete che
parla ad esempio urdu, una delle diciotto lingue ufficiali indiane. Anzi è pressoché
impossibile. Ma a livello europeo ci sarà pur qualcuno che parla urdu, e ciò dovrebbe
permettere al giudice italiano di contattare il traduttore o interprete che sta a Berlino.
È un aspetto un po' particolare che si lega a quello della videoconferenza che viene
vista non solo come strumento per facilitare i rapporti tra le varie autorità giudiziarie
che si devono scambiare informazioni - per esempio, Eurojust usa già pesantemente
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la videoconferenza per colloquiare con i punti di contatto nei diversi paesi- ma
proprio nell'ottica della la possibilità da parte del cittadino di partecipare ad un
processo a distanza.
In ogni caso il Portale di e-Justice è andato avanti sempre con grande entusiasmo
anche se con notevoli difficoltà per la diversità degli ordinamenti giuridici. Si è giunti
così all’affermazione di un principio che è l'unico che può consentire effettivamente
di portare a buon fine il progetto, quello di assicurare che i singoli Stati non
venissero lesi nella loro autonomia. Quindi il portale deve basarsi non solo su una
forte interconnessione tecnologica tra le varie reti esistenti nei diversi Stati, ma
anche sul fatto di utilizzare standard tali da consentire lo scambio di dati e
informazioni, mantenendo ciascuno la propria struttura informatica e giudiziaria. Il
piano d’azione è stato approvato, la Commissione che era stata incaricata della
direzione dei lavori aveva scelto una determinata società che seguisse quello che noi
chiamiamo “studio di fattibilità operativo” e si era data anche un termine
estremamente ambizioso: fine 2009. Disgraziatamente non è stato possibile
rispettare questo termine. Il piano è stato ribadito anche nel 2010. Comunque la
realizzazione del progetto è prevista nel piano d'azione 2009-2013, quindi siamo
ancora nei tempi.
Certo, la situazione si sta configurando in una maniera più realista perché, passato il
momento dell'entusiasmo, si è incominciato a pensare che bisognava: valorizzare
quelle che erano le esperienze già esistenti a livello nazionale,( e sicuramente Borsari
parlerà del decreto ingiuntivo telematico); valorizzare le esperienze dell'Unione
europea come il progetto dei Casellari che già costituisce una base comune; avere
stretti contatti con le reti giudiziarie in materia civile e penale; potenziare la
collaborazione tra i vari partner dal momento che, nel frattempo, si erano
organizzati anche gruppi di lavoro sulla materia, come quello comprendente tutte
le Supreme Corti europee. Si è capito che l'esperienza di Eurojust poteva essere
messa a fattor comune proprio perché tutelava da un lato il decentramento e
dall'altro la condivisione..
Quindi, ed era inevitabile dal momento che si è avuto l'ingresso in Europa di nuovi
Paesi, ormai il principio affermato per la nascita del Portale costituisce una strada
obbligata senza possibilità di ritorno, un'esigenza per i cittadini e per le imprese e noi
dobbiamo assolutamente fare la nostra parte.
Una cosa molto positiva in Italia in realtà è già stata realizzata: e cioè la creazione di
una rete (il c.d. Sistema Pubblico di Connettività) che assicura l’interoperabilità di
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tutte le amministrazioni centrali ed aperta anche alle amministrazioni locali, con un
elevato livello di affidabilità e sicurezza
Un altro aspetto importante che si è affrontato in Italia nell’ottica di e-Justice è quello
e, quindi, dell’obbligo per tutte le Pubbliche Amministrazioni di dotarsi di una
casella di posta elettronica certificata collegata al protocollo informatico, pubblicata
sul proprio dito web per facilitare il rapporto con i cittadini.
Questo può essere veramente un aspetto innovativo e foriero di efficienza per la
giustizia,. Le perplessità avanzate in materia di sicurezza non costituiscono un
problema diverso dalla situazione tradizionale , se pensiamo a tutta la tematica dei
falsi che hanno occupato volumi sulla base di articoli del codice, ecc.; quindi, i
problemi sono sempre gli stessi. È chiaro che se la criminalità organizzata affronta il
suo business utilizzando i mezzi elettronici, corre l'obbligo da parte della giustizia e
prima ancora delle forze dell'ordine di contrastarli.
Per esempio, uno dei progetti i che è stato finanziato dall’Europa estremamente
interessante , è quello che riguarda la sicura identificazione dei carcerati sulla base
dei template delle impronte digitali. Questo è uno degli aspetti che sicuramente
dovrebbe essere valorizzato, anche perché diventa indispensabile, tanto più in
considerazione di una società multietnica in cui non sappiamo esattamente come si
scrivono i nomi.
Devo dire che nel periodo in cui ero alla Direzione generale dei sistemi informativi mi
sono battuta che si partisse proprio dai magistrati e dai funzionari della giustizia
perché il tesserino di identificazione personale ( il tesserino AT) contenesse anche il
template dell'impronta digitale. La sicura identificazione di un soggetto non deve
essere discriminatoria e deve essere, invece, un progresso di civiltà. Peraltro la
normativa in materia è ancora bloccata perché sono intervenuti fenomeni da un lato
di tipo politico, poiché si voleva attuare il sistema identificativo solo per una
categoria (gli immigrati) dall'altro il problema tecnologico. Allora, perché non
abbiamo ancora la carta d'identità elettronica? Perché ci sono forti contrasti più che
sulla sicurezza direi sulla tecnologia, poiché la scelta comporta notevoli riflessi
economici. Su questo l’Unione europea potrebbe fare chiarezza, e dovrebbe esser
stimolata dai singoli Stati.
E non bisogna retrocedere. Ad esempio il CAD (codice dell'amministrazione digitale)
contiene un’affermazione bellissima, sancisce un diritto dei cittadini, il “Diritto all'uso
delle tecnologie per i cittadini e le imprese” ( art. 3). Diritto vuol dire che può essere
tutelato davanti al giudice ordinario. Un anno dopo, però, una riforma legislativa
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precisa che ci sarà solo una tutela davanti all'organo amministrativo, quindi si fa un
passo indietro, di fatto riducendo un diritto a interesse legittimo..
Quello che io credo possiamo fare per contribuire allo sviluppo di e-Justice, oltreché
portare il nostro contributo perché, ripeto, siamo molto bravi quando ci poniamo
come propositori sia a livello legislativo sia a livello tecnologico, è quello di recepire
dall'Europa una maggiore semplificazione ed un maggior realismo. Il problema
economico, come tutti sanno, oggi è il vero problema. Quello che fa risparmiare lo
Stato è sicuramente un bene da perseguire, ma una giustizia efficiente è un bene
superiore. A mio giudizio e-Justice si muove in questa direzione e quindi dobbiamo
fare del nostro meglio per farlo diventare una realtà operativa.
Grazie.
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Giulio Borsari
Esperto informatico
Ministero della Giustizia
Direzione Generale Sistemi Informativi Automatizzati
Referente tecnico progetti europei “e-Justice”
IL PROGETTO DI e-JUSTICE DELL’UNIONE EUROPEA: ASPETTI TECNICI E
OPERATIVI
Sono un esperto informatico del Ministero e siamo stati assunti proprio sotto la
direzione della dottoressa Rolleri che è stata il nostro capo per molti anni e che ha
fondato l’ufficio del Ministero che si occupa di informatica. È presente anche il
collega che sovrintende tutta l'informatica di questo distretto, il collega Nuzzaci, che
ringrazio e saluto. Noi siamo dislocati sul territorio e tipicamente ci occupiamo di far
funzionare la giustizia anche insieme alle società esterne, in quanto non siamo
numericamente sufficienti per operare autonomamente.
In particolare, io mi occupo dell'informatizzazione dei progetti dell'area civile; forse
qualcuno ha sentito parlare del processo civile telematico e dopo aver
informatizzato i registri abbiamo colto la sfida di collegare gli utenti esterni con gli
utenti interni attraverso la telematizzazione, cominciando con la consultazione dei
dati (che già si fa attraverso il sistema chiamato “PolisWeb”), ma anche di iniziare a
depositare telematicamente gli atti in formato elettronico e ricevere le
comunicazioni telematiche direttamente alla casella di posta elettronica certificata.
Questo lo dico non tanto per fare pubblicità a me o al Ministero ma perché, come
accennava prima la dottoressa Rolleri, queste iniziative ci collocano all'avanguardia a
livello europeo; abbiamo infatti dovuto recepire tutte le questioni tecnologiche
sottese, mi riferisco alla firma digitale, alla cifratura degli atti, alla strutturazione in
formato .xml per quanto riguarda il formato dei dati, alla smart card con cui ci sia
autentica, quindi un’autenticazione di tipo forte, tutte fattispecie che sono
abbastanza complesse, articolate e sofisticate che qui in Italia, come ama dire la
dottoressa, sono ipergarantiste, mentre in Europa sono molto più easy nel senso che
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si accontentano di una normale e-mail piuttosto che di un sito Web dove uno entra
utilizzando una password e deposita l'atto.
Qui in Italia non si può praticare, nel senso che se l'atto non è firmato digitalmente,
l'autenticità e l'integrità non è garantita, se non c'è la smart card con l'autenticazione,
si ritiene che la sicurezza e la riservatezza non siano garantite. Insomma, siamo un po'
esagerati, lo dico sia in riferimento ai magistrati sia agli avvocati, tuttavia, perlomeno,
portiamo a livello europeo una grande esperienza che ci viene riconosciuta da anni
con molto interesse da parte delle istituzioni centrali.
Un altro aspetto che tratterò nella mia relazione è quello del trasporto. Noi
adottiamo un sistema di posta elettronica certificata che è unico in Europa. Anche
questo è forse un po' esagerato, tuttavia è stato l'antesignano di quello che ora è lo
standard europeo, denominato REM (Registered E-Mail), che sarà adottato dai vari
Stati membri con cui abbiamo a che fare nei progetti a cui partecipiamo e che
accennerò. Forse proprio perché siamo così ipergarantisti siamo sempre stati un
passo avanti.
Accenno brevemente al fatto che esiste un working party, un gruppo di lavoro in
seno al Consigliodell’Unione Europea, dove tutti i 27 Stati membri si riuniscono con il
Segretariato del Consiglio; inizialmente si chiamava informatique juridique ma da
qualche anno si occupa anche di e-Justice. Abbiamo approvato nel novembre 2008
l’action plan che è un po' la nostra bibbia: è stato fatto durante il semestre di
presidenza francese, che ci ha tenuto molto soprattutto all'orientamento nei
confronti dei cittadini. Per quanto riguarda l'Italia, devo dire che è una novità: noi
nell'informatizzazione siamo sempre stati concentrati sui professionisti, sugli addetti
ai lavori, invece a livello europeo c'è molta più attenzione verso i cittadini, attenzione
che ovviamente stiamo percependo iniziando a recepire anche noi in Italia.
Dopodiché la parte esecutiva la cura la Commissione, e noi come Stati membri
abbiamo costituito un tavolo di esperti dove seguiamo i lavori più tecnici; in
particolare, proprio sulla realizzazione del portale inteso come software e anche
hardware per la realizzazione fisica non ci sono necessariamente esperti informatici,
ma anche esperti giuridici, di semantica, di linguistica, ecc.
Esiste una prima versione del portale, che non è ancora pronta perché è in ritardo,
dove sostanzialmente c'è una serie di informazioni su varie questioni (legislazione,
difensori, informazioni sui procedimenti civili, trasparenza dei costi, ecc.). Tra l'altro
esiste già qualcosa che è stato rivisto, le procedure che sono già figlie di direttive
europee come gli small claims, l'ordine di pagamento europeo, traduttori e
interpreti, il registro delle insolvenze, ecc., però trattasi per la maggior parte di
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informazioni statiche o link a sistemi esistenti come i land registers, quindi i catasti, i
commercial registers (ossia i registri delle imprese), ecc. Anche per la
videoconferenza non esiste un sistema, bensì una serie di informazioni: al riguardo è
stato creato un booklet, una sorta di piccolo manuale o di vademecum.
Come ha detto la dottoressa, non tutte le materie sono gestite dai ministeri nei
singoli stati membri: io ne ho già segnalate due; è una questione non soltanto
italiana perché esiste una varietà di situazioni in tutti gli Stati membri. La
realizzazione del portale, di cui si occupa la Commissione con il contributo di questi
Stati membri e di questi esperti tecnici anche con un sottogruppo ulteriore di tester
e di valutatori, è stato affidato al general contractor della Commissione, guidato da
Unisys Belgio. Ogni Stato dell’Unione ha dovuto lavorare molto nell’estate del 2009
per fornire i contenuti del portale nella propria lingua; le pagine sono poi state tutte
tradotte nelle altre 22 lingue comunitarie. Nonostante questo, il fornitore del
software non ha rilasciato il sistema entro i termini previsti (dicembre 2009).
Consoliamoci, quindi: noi italiani ci lamentiamo che non riusciamo a portare avanti i
progetti e a non rispettare i tempi, ma questo accade anche a livello comunitario.
Si è deciso di procedere con una linea di sviluppo alternativo, affidato ad un'altra
azienda dello stesso raggruppamento temporaneo di imprese, chiamata
Bibliomatica, spagnola, ma nonostante questo non riescono ancora a fissare una
data di rilascio; si parlava di luglio ma a questo punto anche a livello politico se ne
dovrà parlare. Devo dire che noi siamo stati anche abbastanza duri a dire che questa
situazione è spiacevole, però conosciamo bene e abbiamo a che fare con le persone
della Commissione, e non è colpa loro se il progetto è stato gestito piuttosto male da
parte del fornitore.
Quello che mi interessava dirvi è che questo portale, in questa prima versione, come
detto non ultimata, è un sito informativo di contenuti statici e di link a sistemi e siti
esistenti, quindi è abbastanza normale semplice e statico; invece quello su cui si
vuole fare è andare oltre ad un sito informativo e di link, puntando ad un portale che
consenta di fae parlare le applicazioni. Le applicazioni sono necessariamente
decentrate: ogni Stato membro ha le sue, quindi l'obiettivo è che un utente di un
altro Stato membro possa utilizzare le applicazioni di un altro Paese. Lo scenario è
dunque il seguente: uno Stato membro con il suo utente o la sua applicazione vuole
utilizzare un'applicazione o un servizio di un altro Stato membro. Questo come
dovrebbe funzionare? Innanzitutto il portale dovrebbe contenere una breve
directory, quindi un indice, un elenco di link, di istruzioni, di requisiti, di modelli, di
template; dipende dall'applicazione perché si può passare da un'applicazione
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semplice come la consultazione di un registro a una cosa molto più complessa come
un deposito di un ricorso per decreto ingiuntivo presso un altro Stato membro,
oppure un ordine di pagamento europeo. L'utente dello Stato membro si fa
autenticare dal suo portale nazionale che ha la responsabilità di dire che lui è quel
soggetto e gli attribuisce il relativo ruolo; per collegarsi all'applicazione dell'altro
Stato membro i due portali parlano tra di loro e ovviamente il portale dello Stato
membro dove c'è l'applicazione si fida dell'autenticazione che ha fatto il portale
nazionale dell'altro Stato membro (è quello che in inglese si chiama trust, fiducia).
Quindi, il portale italiano darà fiducia al portale di tutti gli altri Stati membri, cioè non
si deve preoccupare di autenticare il singolo utente perché si deve fidare non
soltanto dell'identificazione ma anche del ruolo che gli viene attribuito. Se ad
esempio per una determinata applicazione mi serve sapere se l’utente è un
avvocato, perché io consento l’accesso unicamente all’l'avvocato, in quel caso mi
devo fidare anche del fatto che c'è un'attribuzione di ruolo (avvocato) per
quell'utente specifico che vuole accedere.
Facciamo un esempio concreto. Un ordine di pagamento di un utente tedesco verso
un foro italiano: l'utente sa che deve avere a che fare con il sistema italiano e per farlo
va sul portale dell'Unione, vede quali sono i requisiti, legge le istruzioni,
eventualmente scarica i modelli e compila il suo atto. Dai requisiti del portale
europeo rispetto al sistema italiano sa che deve apporre la firma digitale, deve cifrare
l’atto, perché magari deve conoscerlo soltanto il tribunale adito, e deve utilizzare la
posta elettronica certificata. Una volta che ha fatto questo, è autonomo a procedere,
si fa autenticare e identificare dal portale tedesco che veicola il suo atto attribuendo
l'ID univoco del soggetto e il suo ruolo, perché in questo caso l'applicazione richiede
che sia un avvocato abilitato a inviare. A questo punto il sistema italiano si fida
dell'identificazione, lo autorizza a entrare, elabora la sua busta e alla fine gli manda
l'esito finale del deposito telematico. Questo è a regime una tipica applicazione di
trasmissione dati che peraltro noi in Italia abbiamo già realizzato ed è già operativa,
ovvero il cosiddetto “processo telematico”, che consente già ad alcuni uffici il
deposito telematico degli atti di parte, in particolare il ricorso per decreto ingiuntivo.
Un altro esempio, ancora più semplice, è quello dell'utente italiano che accede in
consultazione ad un registro in Austria. L'utente italiano sa che deve andare a
consultare il registro austriaco, chiede informazioni su come deve fare al portale
europeo, dopodiché si fa autenticare dal portale italiano, se è necessario, perché se
trattasi di un accesso pubblico non ne ha bisogno (anche qui l’autenticazione
dipende dal tipo di applicazione). Nell'accesso al registro austriaco il sistema veicola
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in maniera completamente automatica l’identificativo univoco e a questo punto è
possibile fare la consultazione del registro.
Per riepilogare, vedete che ci sono dei profili tecnici fondamentali da risolvere:
l’identificazione che non è semplice ma che comunque viene lasciata ad ogni
singolo Stato membro, secondo il principio che ognuno si fida dell'altro;
l’autorizzazione, che è basata su ruoli e diritti; la firma digitale, di cui esiste una
direttiva europea che conoscete meglio di me, ma, per esempio, in questo momento
le firme digitali non sono interoperabili. Esistono delle realizzazioni fatte da altri, ad
esempio i notai hanno organizzato un sistema dove chiedono al singolo Stato
membro di dare la certificazione della firma digitale perché ogni Stato membro si
comporta in modo diverso, quindi devono fare in modo che questo sistema sappia
come si comporta ogni singolo Stato membro.
Per l'Italia c'è il discorso della certification authority accreditata e solo quella può dire
che quel certificato è valido, ma non è così in ogni singolo Stato membro. Questa è
l'interoperabilità, un problema molto importante su cui ci si confronterà nei prossimi
tempi.
Un altro è il problema del trasporto; ho già citato lo standard REM (Registered EMail). Devo dire in tutta onestà che questa REM è abbastanza sconosciuta a livello
europeo anche dai signori della Commissione con cui abbiamo a che fare, perché
esistono degli altri progetti trasversali fatti dalla Direzione generale che si occupa
dell'informatica nella Commissione, la quale però ha adottato degli altri sistemi per la
trasmissione di documenti, tutti validi comunque. Quello della REM è un sistema
asincrono, come le mail, non ha bisogno di punti di accesso, di essere autenticato e
mi è stato detto proprio dal CNIPA, dall'ingegner Giovanni Manca che è stato il
nostro guru sulla sicurezza, che l’80% della PEC, la posta elettronica certificata
italiana, è già aderente alla REM. La REM è uno standard ETSI (European
Telecommunications Standards Institute).
C'è poi il problema dei formati e della semantica. Il problema dei formati è un
problema tecnico quindi si risolve; la semantica è molto più complessa e qui il
gruppo di lavoro ha a che fare con SEMIC.EU, un'entità a livello europeo che si
occupa proprio di semantica. C’è anche un problema di pagamenti telematici
perché, magari, lo stesso servizio in alcuni Stati membri è gratis mentre in un altro
Stato membro si deve pagare.
Vi sono comunque degli ambiti dove esperienze nazionali hanno dimostrato
l’impraticabilità di telematizzare. I rappresentanti del Regno Unito ci fecero vedere il
loro sistema di mediazione, e fu interessante scoprire che per loro funzionava la
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mediazione telefonica, nel senso che c'è un help desk con una quarantina di
mediatori che riuscivano a risolvere queste dispute telefonicamente. A noi sembra
impossibile, comunque stiamo cominciando a recepire questo sistema. Hanno
provato on-line ma non ha avuto successo.
Riguardo alla sicurezza, c’è da considerare che tutti i portali nazionali e internazionali
hanno il problema degli attacchi, soprattutto quelli che si chiamano DOS (Denial Of
Service), cioè lo attacco ripetutamente in modo tale che vada in sovraccarico e non
riesca più a fornire accesso: sono importanti e sono da scongiurare.
Le tecnologie aiutano, ma c'è un salto di qualità nell'approccio alla sicurezza che va
fatto. Devo dire che il CNIPA (ora DigitPA) l'ha fatto fin dalla sua impostazione con
SPC, quindi tutti i portali, soprattutto quelli recenti, vengono sottoposti a test di
vulnerabilità molto sofisticati con metodologie note, standard e credo
assolutamente che queste vadano adottate anche a livello europeo. In seno
all'Unione europea farò mia questa esperienza in materia di sicurezza, perché in
effetti non è stato così tanto affrontato. Per ora è ritenuto essere un argomento di
carattere molto tecnico, ma è meglio non darlo troppo per scontato perché, in
effetti, uno che viola questi sistemi riesce potrebbe essere in grado di
impersonificare altri soggetti.
Ritengo peraltro che questo ipergarantismo che noi in Italia abbiamo perseguito fin
dall'inizio e ci ha fatto ritardare la diffusione di sistemi (perché bisogna dotarsi di
smart card che però poi scade, così come la firma digitale, ecc.), sia la strada giusta
per determinati ambiti dove c'è bisogno di identificare chiaramente una persona,
dove in sostanza c'è bisogno di riconoscerla con certezza. Sono tutti discorsi che
iniziano ad essere considerati a livello europeo e forse su questo terreno siamo quelli
che più hanno sperimentato. Con il processo telematico, per ora sulla giustizia civile
ma che verranno estesi alla giustizia penale, già pretendiamo che gli avvocati
utilizzino la smart card per l'autenticazione forte prima di entrare a consultare i
registri civili e ricordiamoci che su questi registri ci sono sicuramente informazioni
meno delicate rispetto ai registri penali, per quanto alcune siano comunque delicate
(ad esempio se uno riesce a capire nella fase prefallimentare che quel debitore sta
fallendo evidentemente può essere attaccato dagli “avvoltoi”, quindi è
un'informazione delicatissima, quasi penale, se vogliamo chiamarla così). In sostanza,
esistono dei profili di riservatezza elevati anche lì.
Noi abbiamo sempre voluto e preteso che ci fosse un‘autenticazione forte e credo
che questa scelta abbia pagato: ha retto perché in Italia sono circa 30.000 gli avvocati
che in giro per tutti i tribunali consultano i registri civili, sono 14.000 quelli che sono
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dotati di indirizzi elettronici a cui noi mandiamo le comunicazioni telematiche e non
abbiamo avuto problemi di quel tipo. Siamo lenti nella diffusione però perlomeno
quest'ipergarantismo ha pagato dal punto di vista della sicurezza che sicuramente è
un tema presidiato in Italia attentamente anche grazie a queste strutture nazionali.
Noi stiamo costruendo il portale dei servizi telematici italiano, quello che consentirà
a tutti cittadini di accedere alla giustizia in Italia, agli avvocati che non si dotano di un
punto d'accesso e quant'altro; stiamo creando un portale delle vendite dove verrà
reso disponibile un motore di ricerca sugli avvisi di vendita dei beni all'asta;
lavoreremo infine per le aste on-line. Tutte queste nuove iniziative, tra l'altro già
normate, sono comunque soggette a dei pericoli di sicurezza sempre maggiori.
Tornando a livello europeo, dove si sta andando visto che supponiamo che a
settembre-ottobre arriverà questa prima versione statica del portale ? La
Commissione ha bandito, nell'ambito del programma CIP ICT PSP, un bando relativo
all'informatica, un pilota di tipo A, che significa che si costruisce sulle iniziative degli
Stati membri, “building on initiatives in member States”, quindi si lavora su cose già
esistenti, non si inventa niente. La scadenza è il 1 giugno e ci saranno 36 mesi per
realizzarlo, per questo si parlava del 2013. Gli obiettivi quali sono? Innanzitutto la
piena aderenza all'action plan dell’e-Justice; l’interoperabilità tra i sistemi nazionali
esistenti; affrontare e risolvere le tematiche trasversali (reti sicure, identificazioni,
firma digitale, trasporto); adottare specifiche comuni assicurandole alle
caratteristiche tipiche dei sistemi informatici, quali modularità, flessibilità,
replicabilità, scalabilità, usabilità e affidabilità; soprattutto usabilità visto che deve
servire anche il cittadino; deve inoltre confrontarsi con altri progetti pilota, appunto
perché non si deve reinventare nulla.
Noi stiamo partecipando a un consorzio guidato dalla Germania, stiamo preparando
ora la proposta e ci sono parecchi Stati membri; il bando prevede almeno sei
Ministeri di Stati membri e noi abbiamo già raggiunto il numero. Per ora è l'unico
consorzio, quindi probabilmente lo vinceremo noi; il budget è di 7 milioni di euro
cofinanziato, quindi vuol dire che è di 14 milioni di cui la Commissione ne finanzia 7.
Ci cimenteremo con un consorzio italiano fatto di identità pubbliche e private. È
importante il collegamento con altri pilota, cioè altre iniziative analoghe non sull’eJustice ma in generale che già trattano e magari risolvono problematiche tecniche:
PEPPOL, ad esempio, parla di e-signature e di trasporto con un sistema, il BUSDOX,
diverso dalla REM; SPOCS parla di trasmissioni, di scambi sicuri e certificati; STORK
parla di autenticazione ma senza ruoli, trasmissioni elettroniche e e-delivery. La
Commissione ha bisogno di fare ordine perché vedete che ci sono già molte
43
sovrapposizioni tra questi che sono pilota in corso, quindi con grossi consorzi che se
ne occupano; manca il discorso REM e pertanto dobbiamo cercare di fare parecchio
ordine; questa è la sfida del pilota A, di questo consorzio che si sta sviluppando dove
noi siamo una parte piuttosto importante e ci stiamo proponendo con un ruolo
molto attivo proprio perché crediamo nel know-how che abbiamo maturato in seno
alle nostre applicazioni e che ci è già riconosciuto.
In generale i progetti sono realizzati dagli Stati membri con le loro aziende, ma sono
comunque portati avanti sotto l’egida della Commissione che ha la sua direzione
generale dell'informatica ed è questa direzione che si occupa di questi temi
trasversali, tecnologici e che, quindi, ci invita anche come giustizia a considerare
questi progetti pilota. Pilota significa che uno realizza qualcosa e deve farla
funzionare. L'e-procurement - lo banalizzo perché non sono un giurista - riguarda
gare, aste, appalti pubblici on-line e cross border; sicuramente toccano in maniera
forte la sicurezza, le reti, le connessioni sicure, ecc., quindi sono aspetti presidiati dalla
Commissione e da questi organi che comunque stanno affrontando praticamente
questi problemi. Non esiste un centro come il CNIPA in Europa, però
sostanzialmente sono loro.
Questo è il sito del processo telematico (www.processotelematico.giustizia.it) e l'email a cui potete scrivere per chiedere informazioni ([email protected]), in realtà
più sul processo telematico italiano, perché in effetti non esiste un portale italiano di
e-Justice a livello europeo; esisterà quello europeo in cui ci sarà la lingua italiana che
spiegherà le cose. Se avete bisogno, questi sono i nostri riferimenti. Grazie.
44
Andrea Di Nicola
Ricercatore in Criminologia
Facoltà di Giurisprudenza
Università degli Studi di Trento
GIUSTIZIA ELETTRONICA E PORTALE DELLA GIUSTIZIA ELETTRONICA
NELL’UNIONE EUROPEA. UN’ANALISI CRIMINOLOGICA
Quando il professor Toniatti mi ha chiesto di partecipare a questo seminario come
relatore, mi sono subito domandato: in che termini alla criminologia possono
interessare la giustizia elettronica e il portale della giustizia elettronica nell’Unione
europea? Cosa c’entra la criminologia con l’e-giustizia? In altre parole: cosa ci fa qui
oggi un criminologo? Vorrei provare a rispondere a questi interrogativi.
Premessa. Criminologia e scienza dell’informazione
Ai nostri giorni la criminologia, come ogni disciplina scientifica, entra
inevitabilmente in contatto con la scienza dell'informazione e della
comunicazione. Partiamo da due esempi.
Primo. Le società e le nostre città stanno diventando sempre più “smart”,
raccolgono informazioni su tutto e noi ne siamo quasi all’oscuro. Ai fini
criminologici questa grandissima mole di informazioni può diventare rilevante per
prevenire la criminalità e per allocare risorse di polizia. Si possono studiare, cioè,
risposte criminologiche basate sull’analisi del patrimonio informativo che i tecnici
riescono a recuperare dalle città, dai nostri movimenti, dalle notizie sui trasporti
urbani, dai parcheggi, dai dati sui luoghi in cui avviene la criminalità.
45
Secondo. Molti di noi lasciano post in Internet; molti di noi online parlano di
insicurezza: “Mi sento insicuro”, “La nostra sta diventando una città sempre più
insicura”, “Ho paura ad andare in giro la notte”. Queste notizie disparate, che pure
esistono, si perdono nella rete, non sono utilizzate; potrebbero invece essere
classificate, organizzate e comprese per indirizzare decisioni in ambito di sicurezza.
Già questi due esempi permettono di intuire come mai la criminologia, per natura
interdisciplinare, è interessata all’incontro con l'ICT e mi danno la possibilità di
avvicinarmi all’oggetto di questo intervento, ovvero al portale della giustizia
elettronica e alla e-giustizia nell’Unione europea.
La definizione di criminologia e gli obiettivi di questa relazione
Di cosa si occupa la criminologia? Studia la devianza e la criminalità, le vittime o gli
autori di devianza e di criminalità, ma anche la risposta sociale ai comportamenti
devianti e criminali. Il portale della giustizia europea e in generale la e-giustizia
rappresentano anche una nuova risposta sociale, politica, normativa a forme di
devianza e in questo breve intervento vorrei riuscire a dimostrarlo. Proprio
partendo dagli elementi costitutivi della definizione di criminologia vorrei
organizzare, quindi, il mio discorso, che seguirà questo ordine:
- giustizia elettronica e autori (imputati) e vittime di reati;
- giustizia elettronica e risposta penale ed extrapenale;
- giustizia elettronica e devianza e criminalità (per ragioni di logicità espositiva
tratterò questo elemento al termine).
Prima di entrare nel vivo, è necessario però ricapitolare: cosa è la e-giustizia e cosa
prevede il portale della e-giustizia che può essere di interesse per uno studio
criminologico?
La giustizia elettronica nell’Unione europea: lo stato dell’arte
L' e-giustizia può essere definita come il ricorso alle tecnologie informatiche e di
comunicazione per migliorare l’accesso dei cittadini alla giustizia e l’efficacia
dell’azione giudiziaria intesa come attività di ogni genere per risolvere una
controversia o sanzionare penalmente un comportamento. Il portale della egiustizia dell’Unione europea prevede:
46
•
informazioni sul processo per le vittime di atti criminali, sul processo penale,
sui diritti degli imputati, su sistemi di giustizia civile e commerciale dei vari
Paesi membri;
• accesso semplificato ad ogni tipo di informazione di giustizia, accesso a
documentazione legale;
• atlanti (penale e civile) per riuscire a semplificare e velocizzare l'azione
giudiziaria e di polizia, direttive, aiuti online per ricercare contatti;
• pagamenti online delle spese processuali;
• accesso ai casellari giudiziari e facilitazione nel recuperare i relativi dati;
• European Business Register (EBR);
• EU Land Information Service (EULIS);
• registro dei marchi (OHMI);
• registro dei brevetti (Epoline);
• motore di ricerca per la ricerca delle insolvenze;
• Solvit, rete online per risolvere dispute che sorgono quando pubbliche
amministrazioni di Stati membri non applicano correttamente le regole del
mercato unico europeo. Se uno Stato non si comporta come dovrebbe con
un cittadino europeo di un altro Stato, quest’ultimo può rivolgersi a questa
mediazione online. La mediazione, che di solito prende forma dal vivo e tra
persone fisiche (imputato-vittima), qui viene spostata su un altro piano,
online, e riguarda il rapporto tra uno Stato e una persona;
• alternative dispute resolution, modalità di mediazione e risoluzione
alternativa dei conflitti online (in ambito civile);
• servizi di traduzione giuridica.
A questo il piano d'azione per la giustizia elettronica dell’Unione europea
aggiunge obiettivi ambiziosi:
• continuare l'interconnessione dei casellari giudiziari;
• creare una rete di scambi sicuri per condividere informazione tra gli uffici
giudiziari degli Stati membri;
• facilitare l'utilizzo della videoconferenza.
La giustizia elettronica dell’Unione europea non riguarderà solo repositories,
insieme di dati e informazioni già esistenti, ma anche l'interconnessione e lo
scambio di informazioni tra magistrature, forze di polizia. Quindi, scambi sicuri per
condividere informazioni e facilitare la cooperazione di polizia giudiziaria.
L'interconnessione fra i casellari giudiziari dovrebbe semplificare l'azione della
magistratura; l'utilizzo della videoconferenza, soprattutto nei processi di
47
criminalità organizzata transnazionale, dovrebbe permettere di ottenere risultati
rilevanti.
Ora, come anticipavo nell’introduzione, si seguirà questo ordine:
• giustizia elettronica e autori (imputati) e vittime di reati;
• giustizia elettronica e risposta penale ed extrapenale;
• giustizia elettronica e devianza e criminalità.
Giustizia elettronica: autori (imputati) e vittime
Cosa significa la giustizia elettronica per gli imputati? In estrema sintesi, un
esercizio più pieno del loro diritto di difesa in un contesto allargato come quello
dell'Unione europea, in cui anche solo conoscere le discipline normative dei molti
Stati membri è complicato: più informazioni di qualità su sistemi normativi
differenti, più velocità di accesso alle informazioni. Si stanno anche studiando
soluzioni per l'"online procedure for obtaining legal aid". è palese, quindi, che la egiustizia offra nuove opportunità di difesa. Un imputato in un processo
transnazionale in uno Stato che non è il suo, tramite il suo avvocato, avrà accesso a
notizie che sono di difficile consultazione, difficile ottenimento.
Anche leggendo il bando di appalto europeo che si è concluso da poco in merito
ai legal aid, si nota come l’online permetterà di agevolare gli imputati in processi
transnazionali: da chi posso ricevere consulenza legale in un altro Stato? Come
posso avere accesso alla difesa d'ufficio in uno Paese membro diverso dal mio?
Sono tutti temi che riguardano la gestione della giustizia e il diritto di difesa.
E per le vittime, cosa significa giustizia elettronica? Per decenni la vittima è stata
poco considerata in tutti i procedimenti penali in molti Stati dell'Unione europea.
Si è cominciato a intuire che le vittime sono importanti sul finire degli anni '70
quando anche i criminologi e il diritto penale hanno iniziato a occuparsi dello
studio della vittima, della vittimologia. Così si è compreso che la vittima può
fornire informazioni preziose sulla criminalità, ma anche che la vittima è una
persona che subisce un forte danno non solo come conseguenza del reato ma
anche del processo, se tramite questo non si sente “restituire” qualcosa. Se dare
soddisfazione alla vittima è complicato in un giudizio che interessa un solo Stato,
lo è certamente ancora di più in procedimenti penali che interessano più Paesi.
Quando le regole del giudizio che coinvolgono una vittima come parte offesa
sono regole di un altro Stato dell'Unione europea, la vittima può sentirsi
48
frastornata. Ecco che quindi spiegare, offrire notizie accessibili, rendere partecipi le
persone offese è importante in un'ottica di giustizia europea.
Va poi aggiunto che si stanno sperimentando forme di mediazione dei conflitti
online, che potrebbero essere integrate in futuro nel portale. Si provi a pensare alla
mediazione nel caso di SOLVIT, anche se non si tratta di conflitti penali. è probabile
che per alcuni casi minori di conflitti penali si possa arrivare a forme di giustizia
online da inserire nel portale. Esiste già una letteratura su come la mediazione tra
vittima e autore si può trasferire in un ambiente virtuale: si discute, seppure in
modo embrionale, sulla possibilità di un processo penale online. Una mediazione
online per piccoli reati, quando il conflitto nasce tra cittadini di Stati diversi,
potrebbe forse essere praticabile.
Giustizia elettronica: risposte alla criminalità
La criminologia si occupa della risposta alla criminalità. Nell’ambito della giustizia
elettronica e del portale della e-giustizia si possono trovare molte risposte alla
criminalità, sia dirette, interventi di diritto penale, sia indirette, interventi
extrapenali.
Rimanendo in ambito penale, gli interventi previsti, ad una prima valutazione,
vanno tutti nella direzione di rendere più efficiente il contrasto dei fenomeni di
criminalità transnazionale. È priorità dell'Unione accrescere l’efficacia della
cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri nella lotta a forme gravi di criminalità
organizzata internazionale, quali traffico di stupefacenti, reti di immigrazione
clandestina, traffico di veicoli rubati, tratta di esseri umani, compresa la
pornografia infantile, contraffazione di denaro e altri mezzi di pagamento, traffico
di sostanze radioattive e nucleari, terrorismo, frode. D'altro canto i criminali
transnazionali si avvantaggiano delle asimmetrie tra legislazioni, della difficoltà e
lentezza di collaborazione tra autorità giudiziarie e di polizia e si possono muovere
veloci, non limitati da barriere nazionali e agevolati dalle opportunità offerte da
una società sempre più globalizzata.
Se un investigatore o un magistrato possono capire rapidamente quali sono le
controparti a cui rivolgersi in un altro Stato, se posso trasferire documenti
velocemente con un click, se, in estrema sintesi, la cooperazione di giustizia e il
processo sono resi più rapidi dalle reti informatiche, è indiscutibile che per tutti i
cittadini europei ne derivi un beneficio in termini di risposta penale.
49
Si rifletta poi su come il procedimento penale può essere supportato dalla
videoconferenza. Nei processi di criminalità organizzata in molti Stati europei si
adotta questo strumento per proteggere un testimone o un collaboratore di
giustizia. Così in un processo contro gruppi criminali transnazionali che vede la
partecipazione di un collaboratore o un testimone di un'altro Stato membro
rispetto a quello degli imputati, la videoconferenza può garantire l'incolumità del
collaboratore o del testimone riducendo al contempo le spese connesse
all’amministrazione della giustizia.
Nell’ambito delle previsioni dell’Unione in materia di giustizia elettronica si
ritrovano poi molti altri spunti che un criminologo può leggere in ottica di
prevenzione della criminalità, sempre di carattere non penale.
Partiamo dall’interconnessione telematica tra registri penali nazionali nell’Unione
europea. Può diventare un forte mezzo di prevenzione della criminalità. La
criminalità, infatti, può essere impedita anche intervenendo sui contesti fisici,
virtuali, normativi che influenzano le occasioni di reato, dall'illuminazione che
manca in una piazza a una norma troppo burocratica che può favorire
comportamenti devianti perché difficile da seguire.
Pensiamo ad un criminale organizzato italiano condannato per corruzione e
associazione a delinquere di stampo mafioso, amministratore di un’azienda,
capitalizzata da questa persona con denaro sporco, che vuole partecipare ad un
appalto pubblico in Belgio. è possibile che a questa persona a Bruxelles venga
richiesto di autocertificare il fatto di non essere né un mafioso, né un corrotto
perché da quello Stato non si può guardare nel casellario giudiziario italiano.
Anche se nella banca dati italiana risultasse una condanna di questa persona a 15
anni di reclusione, un autorità appaltante straniera, di un altro Paese dell’Unione,
potrebbe non riuscire a valutare il background criminale del cittadino europeo in
questione. Se un frodatore seriale usa aziende decotte, non fallite ma insolventi o
sull’orlo del fallimento, per frodare controparti in altri Stati dell’Unione attraverso
quelle aziende, e per motivi tecnici è complicato consultare dall’estero il registro
nazionale di quelle imprese e controllare se quelle aziende con cui si entra in
rapporti commerciali sono insolventi e/o hanno problemi seri, le attività di quel
frodatore sono sicuramente facilitate. L’occasione criminale è fornita dal fatto che i
registri di cui si discute non sono ben interconnessi tra Stati.
Quindi interconnessione e rapidità di acceso ai registri dei beni immobiliari, delle
imprese, dei fallimenti, del casellario giudiziario sono metodi per rendere meno
50
vulnerabili i mercati europei ad alcune forme di criminalità organizzata o
comunque di criminalità economica o, più in generale, ai rischi di insolvenza.
È ovvio che non bastano gli strumenti informatici, ma che servono pure regole
comuni. Se, così, le regole di accesso al casellario giudiziario di Stati differenti sono
diverse, le asimmetrie che ne deriveranno potranno essere deleterie dal punto di
vista della circolazione delle informazioni utili. Nel 2000, assieme ad altri colleghi, ci
occupammo di uno studio il cui obiettivo era valutare l’utilità di un registro penale
comune nell’Unione europea: lo studio si intitolava “L'uso dei criminal records quindi dei registri penali - come mezzo per prevenire la criminalità organizzata”.
Ormai sono trascorsi circa 10 anni e oggi si sta andando ad aggiungere anche la
variabile telematica.
Criminalità e devianza nel mondo della giustizia elettronica: scenari possibili
A fronte di tutti i benefici appena esposti (razionalizzazione della giustizia, accesso
più efficace ed efficiente alla giustizia, maggiore efficienza della risposta penale,
maggior attenzione alle vittime e agli imputati, maggiore capacità preventiva nel
mercato unico europeo), non ci sono costi? Ogni uso delle tecnologie o in genere
ogni innovazione porta con sé anche rischi criminali. Quali sono, quindi, i possibili
rischi criminali delle operazioni che stiamo esaminando? Nei documenti europei
non c'è molta attenzione a questo aspetto, che pure non dovrebbe essere
considerato come marginale. Siamo sostanzialmente di fronte a ipotesi di cybercrime. Vediamo alcuni possibili scenari.
Scenario 1. Defacement del portale della e-giustizia. Un gruppo di attivisti politici
per protestare contro la decisione di centralizzare i vari casellari giudiziari nel
portale e-Justice effettua il defacement del sito stesso. Inoltre, ne causa la paralisi
con ripetuti attacchi portando al DoS - Denial of Service. Si tratta di danno
reputazionale e di immagine di dimensioni molto rilevanti per l'Unione europea.
Scenario 2. Accesso abusivo a sistema informatico, a seguito di furto di identità, per
ottenere dati sensibili. Dopo aver rubato l'identità telematica di un soggetto che
può accedere legalmente alle reti informative relative ai casellari giudiziari o allo
scambio di informazioni sicure tra polizie e magistrature, un criminale informatico
carpisce illegalmente/ruba informazioni riservate contenute nel casellario
51
giudiziario, in fascicoli giudiziari o in atti processuali.
Scenario 3. Furto di identità per ottenere dati sensibili, attraverso attacco
informatico. Bucando la rete informatica relativa ai casellari giudiziari o allo
scambio telematico di informazioni sicure tra polizie e magistrature, un cracker
carpisce illegalmente/ruba informazioni riservate contenute nel casellario
giudiziario, in fascicoli giudiziari o in atti processuali.
Scenario 4. Cyber-estorsione. Un criminale informatico, dopo aver sottratto
illegalmente notizie sul passato criminale di una persona oppure informazioni
contenute in fascicoli giudiziari che, secondo il diritto dello Stato in questione,
dovrebbero essere assolutamente riservate, ricatta online la persona in questione,
minacciando di divulgarle se non riceverà un compenso non dovuto.
Scenario 5. Frode informatica. Un pirata informatico, conoscendo la possibilità di
effettuare il pagamento delle spese processuali sul sito e-Justice, si intromette nel
sistema, modifica i dati bancari di uno o più beneficiari trasferendo così i
pagamenti di dispute legali su un conto cifrato in un paradiso fiscale a lui
riconducibile.
Come si intuisce, si tratta di casi di scuola, ma non del tutto improbabili. Questi
rischi criminali, come altri, sono però sicuramente mitigabili con gli standard
vigenti di sicurezza informatica.
Quanto esposto non vuol dire, dunque, che non si debba proseguire in maniera
determinata verso la giustizia elettronica. Significa soltanto che a fronte di molti
benefici esistono anche dei rischi che vanno tenuti in debita considerazione e
tanto più devono essere considerati quanto più numerosi sono gli attori di questa
rete che può diventare tutta vulnerabile se è debole anche uno solo dei sui anelli.
Spero che questi cenni siano serviti a chiarire il perché la criminologia dovrebbe
essere interessata alla e-giustizia e al portale della giustizia elettronica. Grazie per la
vostra attenzione.
52
Elena Ioriatti Ferrari
Ricercatrice in Diritto Privato Comparato
Responsabile del Programma TransJus (traduzione e comparazione giuridica)
Facoltà di Giurisprudenza
Università degli Studi di Trento
LA TRADUZIONE GIURIDICA NEL PROGETTO SULLA GIUSTIZIA ELETTRONICA
Come è noto la traduzione è un procedimento con il quale un termine viene
trasposto da un testo fonte a un testo di arrivo1. Questo procedimento implica la
verifica di due diversi contesti; il contesto relativo alla lingua di partenza,
innanzitutto, nel quale il termine si colloca, e successivamente la verifica del
contesto di arrivo. Esso deve concludersi con un'equivalenza: ad esempio, la
traduzione di un termine dal tedesco all’italiano a mezzo di un termine della lingua
italiana utilizzato nell’Ottocento costituisce un errore nella scelta del contesto.
Una delle ragioni per le quali la traduzione della lingua giuridica2 implica difficoltà
maggiori rispetto alla traduzione della lingua ordinaria è dovuta quindi alla scelta
del contesto. Con riferimento alla traduzione del dato giuridico3, il contesto è
innanzitutto un “ordinamento giuridico”, inteso come l’insieme di norme e
1
U. ECO, G. COSENZA, Traduzione, in Dizionario di filosofia di Nicola Abbagnano,
terza edizione aggiornata e ampliata da Giovanni Fornero, Torino, 2000. Sulla
traduzione in generale, in letteratura ha gradualmente riscosso il consenso generale il
lavoro di Umberto Eco, Dire quasi la stessa cosa, esperienze di traduzione, Bompiani,
2003. Il testo è di carattere divulgativo. Medesime considerazioni valgono per l’opera
La ricerca della lingua perfetta nella cultura europea, Laterza, 1993, dello stesso autore.
2
Sul concetto e sulla storia della lingua giuridica si veda il testo classico (tecnico, ma
non privo di carattere divulgativo) di D. MELLINKHOFF, The language of the law, Boston Toronto, 1963.
3
Il riferimento è naturalmente R. SACCO, voce “Traduzione giuridica”, Digesto IV, sez.
Aggiornamento, Utet, 2000, p. 741.
53
procedure dirette a disciplinare le relazioni di un determinato gruppo sociale. Un
contesto quindi di carattere culturale.
A differenza di quanto accade nell’ambito di scienze diverse da quella giuridica, i
concetti attraverso i quali si esprimono i concetti tecnici si riferiscono a realtà
materiali. In medicina, ad esempio, è possibile trasporre in tutte le lingue il
concetto medico “cuore” semplicemente attraverso una traduzione linguisticoletterale - heart, herz, coeur, corazón - in quanto esiste nelle diverse lingue un
referente materiale di comune comprensione. Diversamente, in ambito giuridico i
concetti che esprimo i dati giuridici non hanno un referente comune4
riconducibile ad una realtà materiale, in quanto costituiscono elementi di diverse
realtà culturali. La traduzione letterale del concetto “contratto” con la parola
inglese contract può avere nel contesto d'arrivo un significato molto diverso, in
quanto gli effetti giuridici riconducibili alla parola “contract” sono diversi rispetto a
quelli che l’ordinamento giuridico italiano assegna alla parola “contratto”5
In secondo luogo, ogni ordinamento giuridico si esprime attraverso una propria,
specifica lingua giuridica. Ordinamenti bilingue o multilingue conoscano quindi
piu’ di una lingua giuridica6, con la conseguenza che all'interno di una lingua
possono esistere diversi linguaggi giuridici: la lingua tedesca comprende, per
esempio, il linguaggio giuridico dell'Austria, della Svizzera tedesca, della Germania.
4
Non mancano in letteratura proposte stimolanti ed innovative sulla ricerca di
possibili referenti, anche culturali, per le parole del diritto: “La norma ha una sua
componente muta. Questa componente ha un fonte nel reale umano – biologico,
psicologico, culturale - comune agli umani di quella data cultura. Quando il giurista si
esprime, può avvenire che la sua parola, significante, sia in qualche correlazione con un
referente, presente in quel reale umano”: R. SACCO, Antropologia giuridica, Il Mulino, 2007,
p. 205.
5
Naturalmente l’attività di traduzione giuridica può presentare diversi gradi di
difficoltà: la tassonomia del diritto civile, ad esempio, è composta da numerosi
concetti astratti, di valenza categoriale; ne consegue che la traduzione di questi
termini presenta maggiori difficoltà tecniche rispetto, ad esempio, alla traduzione
della terminologia processualistica, composta da concetti con una valenza piu’
materiale che si riferiscono spesso a procedimenti. Per limitarsi ad un esempio,
nonostante le indubbie diversità tra le norme processuali dei diversi ordinamenti, la
traduzione del concetto “processo di esecuzione” è meno problematica rispetto a
concetti privatistici tali consideration o contract.
6
Si pensi all’esempio del Québec, caratterizzato dalla presenza della lingua giuridica
francese e di quella inglese o alla Svizzera, ordinamento multilingue.
54
Il problema della traduzione giuridica si amplifica quindi a livello europeo,
ordinamento multilingue e multijure 7. Quella dell’Unione europea è un’esperienza
giuridica che nella redazione del testo multilingue non ha fruito di un lessico
giuridico preesistente al testo medesimo, quale risultato dell’elaborazione di una
cultura giuridica unica e capace di trasmettere nelle ventitre lingue dell’Unione gli
stessi concetti giuridici.
In modo del tutto originale, l'Unione europea formula il proprio linguaggio giorno
per giorno: la creazione di un istituto giuridico, nella maggior parte dei casi, viene
accompagnata dalla formulazione del termine giuridico destinato a veicolare
quell'istituto in tutte le lingue dell'Unione. Ciò avviene principalmente attraverso
l’uso dei neologismi. La terminologia europea è così il risultato di un particolare
meccanismo di creazione lessicale, il quale consiste principalmente nella
“risemantizzazione” (o mutamento di significato) dei lessici; il significato di un
singolo termine, già presente in una lingua, viene adattato al diritto comunitario.
Secondo questa modalità è stata creata, ad esempio, la nota “direttiva
comunitaria” (oggi direttiva europea); in quell’occasione l'Unione europea ha fatto
ricorso ad un termine di uso corrente nella lingua comune, la direttiva - modalità
con la quale si dà un'indicazione a una persona su quale comportamento seguire –
il quale è stato poi risemantizzato in tutte le lingue8. L'Unione europea crea così
una propria terminologia, un proprio linguaggio, spesso semplicemente
attraverso la consolidazione dei termini. Per limitarsi ad un esempio, il termine
“Libro bianco” (o “Libro verde”) è nato semplicemente dal colore della copertina
del volume nel quale erano contenute inizialmente le comunicazioni della
Commissione.
E’ questa la ragione per la quale alcuni concetti giuridici oggi contenuti negli atti
dell’Unione europea, e che in futuro si troveranno altresì nel portale della giustizia
elettronica, sembrano non aver alcun significato giuridico per il giurista nazionale,
in quanto non si riconducono ad alcuno dei “riferimenti e referenti” riconoscibili da
parte della comunità giuridica che si serve di tale linguaggio9. Si pensi al termine
europeo "residenza abituale", che non coincide con il concetto “residenza” di cui
7
Regolamento n. 1 del 15 aprile 1958, sul regime multilingue comunitario.
D. COSMAI, Tradurre per l’Unione Europea. Prassi, problemi e prospettive del
multilinguismo comunitario dopo l’ampliamento ad est, Hoepli, 2007.
9
Sul punto G. AJANI, P. ROSSI, Coerenza del diritto privato europeo e multilinguismo, in
V.JACOMETTI, B. POZZO (a cura di), Le politiche linguistiche delle Istituzioni comunitarie
dopo l’allargamento, Giuffrè, 2006, p. 132.
8
55
all’art. 43 del codice civile. La terminologia europea è infatti autonoma e non è
riconducibile ad alcuna terminologia nazionale10.
Entrando nel merito del progetto sulla giustizia elettronica, rileviamo come la
comunicazione del 200811 faccia frequente riferimento alla traduzione giuridica, la
quale appare più uno strumento che la realtà strutturale che interessa tutta
l'attività dell’Unione europea. La traduzione del diritto europeo costituisce infatti la
principale ricaduta concreta del principio del multilinguismo, scelto, fin dal
Trattato di Roma quale regime linguistico dell’Unione12 e che, come tale, permea il
funzionamento dell’intera costruzione istituzionale europea13.
10
In linguistica si segnala un pressoché accordo tra gli studiosi che si sono occupati
di linguaggi specialistici sulla natura non gergale del linguaggio comunitario
(Riferimenti in COSMAI, Tradurre per l’Unione europea, cit., p. 28). In ambito giuridico è
un dato acquisito il fatto che la terminologia europea dà luogo ad un’elaborazione
linguistica nuova, una “meta-lingua giuridica” a carattere specialistico la cui originalità
semantica è funzionale al diritto dell’Unione europea: M.R. FERRARESE, Interpretazione e
traduzione: da una cultura giuridica “introversa” ad una cultura giuridica “estroversa”, in
E. IORIATTI FERRARI, Interpretazione e traduzione del diritto, Cedam, 2008, cit., p. 13 ss. E’
diversamente discusso il grado di indipendenza della terminologia europea rispetto a
quella nazionale nell’ambito del procedimento interpretativo da parte del giudice
nazionale. A parere di Comba, l’attribuzione ai termini giuridici europei di significati
indipendenti dai quelli di origine costituisce solo una tendenza e non la conseguenza
di un’imposizione normativa che separerebbe il linguaggio comunitario da quello
degli Stati Membri e che sarebbe causa loro un eccessivo distacco dai significati
nazionali dei termini: M. E. Comba, Divergenze nei testi giuridici multilingue dell’Unione
europea, in R. RAUS, Multilinguismo e terminologia nell’Unione europea, Hoepli, 2010, p.
37.
11
Comunicazione della Commissione del 30 maggio 2008 «Verso una strategia
europea in materia di giustizia elettronica» COM(2008) 329 (GU C 10 del 15.1.2009).
12
Nel corso del tempo, questo principio ha acquisito grande importanza nel quadro
istituzionale europeo, così da rendere riduttiva ogni sua definizione unicamente in
termini di disciplina della lingua: da soluzione pragmatica di un’organizzazione
internazionale che ha dovuto decidere il proprio regime linguistico, il multilinguismo è
assunto oggi a principio costituzionale di importanza fondamentale: B. DE WITTE,
Language Law of the European Union: Protecting or Eroding Linguistic Diversity, in R.
CRAUFURD SMITH (ed.), in Culture and the European Union Law, 2004, p. 221.
13
Sia concesso il rinvio al mio scritto: E. IORIATTI FERRARI, Linguismo euruniònico e
redazione della norma comunitaria scritta. Prime riflessioni, in J. VISCONTI (ed), Lingua e
diritto: livelli di analisi, Led, 2010.
56
In particolare, la Comunicazione sulla giustizia elettronica fa riferimento alla
traduzione giuridica in tre contesti.
1) In primo luogo, la Commissione si propone di creare un programma di
formazione alla traduzione giuridica ed al linguaggi giuridico. Si tratta di
un’iniziativa positiva e necessaria, in particolare con riferimento alla formazione dei
magistrati. Una decisione del Consiglio di Stato risalente all’anno 2002 dimostra
che, almeno fino ad una data relativamente recente, la peculiarità del linguaggio
giuridico dell’Unione europea non era ancora “metabolizzata” nel patrimonio
culturale delle corti italiane; con riferimento all’interpretazione della lingua
giuridica europea, la massima della sentenza stabilisce infatti come “…è necessario
abbandonare la terminologia della direttiva ed utilizzare concetti appartenenti al
sistema giuridico nazionale”14.
Nel corso del tempo, la classe forense ha acquisito maggior consapevolezza della
peculiarità del linguaggio giuridico europeo15. Rimane comunque il fatto che per
l’interprete nazionale la lingua normativa europea è una lingua “delocalizzata”, che
per certi aspetti lo costringe ad un salto nel vuoto, mancando il contesto di
riferimento per l’interpretazione dei termini: non sempre infatti le coordinate dei
linguaggi giuridici nazionali nei quali gli istituti europei sono destinati a produrre
effetti giuridici consentono al giudice di attribuire ai concetti europei un significato
uniforme. Ciò vale naturalmente anche per i termini relativi al progetto di giustizia
elettronica, quale quello di “mandato di pagamento europeo” o “mandato di
arresto europeo”16.
In questo contesto, una formazione adeguata è certamente necessaria.
La conoscenza delle modalità di formulazione dell’atto europeo, così come la
struttura dell’atto, il suo contenuto, il linguaggio consolidato dell’Unione può
fornire all’interprete indicazioni utili ad orientare il processo interpretativo. Può
essere utile comprendere che un termine è intenzionalmente vago perché la
terminologia comunitaria è spesso il frutto di un compromesso tra i vari
rappresentanti dei diversi Stati membri ed è una terminologia che ha un aspetto
14
Consiglio di Stato, 2002, n. 2636.
Prova ne sono i seminari sull’inglese giuridico e sul linguaggio europeo previsti dal
programma
formativo
del
Consiglio
Nazionale
Forense
http://appinter.csm.it/internat/elenco_corsi.php?lingua=1
16
Su quest’ultimo termine, recentemente: RAUS, Multilinguismo e terminologia
nell’Unione europea, cit.
15
57
fortemente diplomatico17. Allo stesso modo, un termine può essere compreso con
il supporto delle definizioni, alle quali è dedicato specificatamente l'art. 2 delle
direttive. Le definizioni hanno infatti l’effetto di aumentare la coesione del testo18 e
di definire il contenuto dei termini utilizzati in modo diverso rispetto al lessico
nazionale che definisce aree semantiche simili19. Trattasi quindi di definizioni di
valore normativo vincolante al momento dell’interpretazione, in quanto la
definizione è come incorporata in tutte le disposizioni che si rapportano al suo
oggetto20 e facilita così al giudice la comprensione dell’articolato normativo.
Un terzo esempio: i “considerando” delle direttive o dei regolamenti non sono
scritti per l'interprete e non contengono quindi enunciati normativi. Ciò non
esclude che nella maggior parte dei casi l’interprete potrà trarre dal testo
informazioni ermeneutiche indirette, costituendo i considerando una sorta di
giustificazione del contenuto del dettato normativo.
Questi ed altri aspetti possono essere utili se inseriti in un programma di
formazione, così come il programma di giustizia elettronica correttamente
prevede.
2) Il secondo elemento al quale fa riferimento il programma di giustizia
elettronica è la traduzione automatica; essa viene proposta come “uno strumento
che verrà utilizzato molto frequentemente nell'ambito del progetto di giustizia
17
La produzione normativa europea è condizionata da logiche tipiche
dell’ordinamento internazionale (L. SICO, Il diritto dell’Unione europea nei rapporti con il
diritto internazionale in P. FOIS, R. CLERICI, I caratteri del diritto dell’Unione Europea,
Cedam, 2007, p. 61). Infatti, come in ambito internazionale, anche nel contesto
europeo i delegati degli Stati membri percepiscono il proprio ruolo come una
funzione diplomatica, piuttosto che legislativa: T. GALLAS, EC-law between Social
Message and Record of Agreement. How the Theory of Legislation can Contribute to the
Understanding Practical Problems of Negotiated Law, in L. WINTGENS, P. THION, M. CARLY
(EDS.), The theory and practice of legislation: essays in legisprudence, Aldershot, Hants,
England, 2005. L’obiettivo dei delegati/redattori della norma non è il contenuto
giuridico/operativo del testo normativo, bensì la conclusione del negoziato, inteso
come accordo politico sulle frasi e sulle parole, che per questa ragione a volte sono
volutamente vaghe.
18
R. CATERINA, P. ROSSI, L’Italiano giuridico, in B. POZZO, M. TIMOTEO (a cura di), Europa e
linguaggi giuridici, Giuffrè, 2008, p. 199.
19
Si porta l’esempio del termine “professionista” il quale identifica un soggetto
diverso rispetto al libero professionista di cui all’art. 2229 del codice civile.
20
G. CORNU, Linguistique Juridique, Ed. Montchrestien, Paris, 2005, p. 297.
58
elettronica per tradurre in modo molto veloce sentenze che poi verranno messe a
disposizione dei magistrati di altri ordinamenti giuridici”; allo sesso modo saranno
tradotti “documenti e notizie molto sintetiche relative al contenuto dei fascicoli, in
modo che un magistrato appartenente a un ordinamento giuridico diverso possa
avere già da subito un'idea del contenuto di un determinato fascicolo”.
Gli attuali strumenti di traduzione automatica a disposizione dell’Unione
europea21 consentono certamente di tradurre con un certo grado di affidabilità le
informazioni di base di un fascicolo, quali “procedimento civile”, “responsabilità
extracontrattuale”, “attore soccombente”, “spese compensate”, ecc.
Maggior cautela deve essere diversamente riservata alla traduzione automatica
delle sentenze.
E’ vero che l’Unione europea conosce sistemi di traduzione semi-automatica nella
traduzione delle sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione europea22. È anche
vero, però, che le decisioni dell'Unione europea sono scritte in vista della
traduzione23, diversamente dalla decisione nazionale, addirittura caratterizzata da
uno stile molto legato alla realtà interna24. La sentenza inglese, ad esempio, è
difficile da massimare per un giurista italiano, in quanto perché è caratterizzata da
un rapporto molto complesso fra le sue due componenti ratio decidendi e obiter
dicta. Lo stile della sentenza francese è proprio di una realtà, quella del periodo
dell'esegesi francese, nella quale il ruolo creativo del giudice doveva essere
occultato per tutta una serie di motivi politici e culturali legati a quell’ordinamento.
21
L'Unione europea utilizza ad esempio il programma Systran in grado di tradurre
testi abbastanza semplici nel contenuto con una velocità di 2.000 pagine l'ora; circa in
un quarto d'ora il traduttore comunitario che trasmette un testo di alcune pagine può
avere un risultato abbastanza apprezzabile, sul quale, però, è necessario compiere
un'attività di post-editing, nel senso che l'attività umana è comunque necessaria per
correggere e rendere perfetto il testo per la divulgazione.
22
Sul punto M. FEDERICO, La traduzione automatica, sviluppi recenti e prospettive, in E.
IORIATTI FERRARI, La traduzione del diritto comunitario ed europeo: riflessioni
metodologiche, Quaderni del Dipartimento di Scienze Giuridiche, Trento, 2007, p. 235.
23
L. MULDERS, Translation at the Court of Justice of the European Communities, in S.
PRECHAL B. VAN ROERMUND (ed.), The Coherence of EU Law, The Search for Unity in Divergent
Concepts, Oxford studies in European law, 2008.
24
Per un’esemplificazione si vedano in materiali contenuti nel volume V. VARANO, B.
BARSOTTI, La tradizione giuridica occidentale, Vol. II, Giappichelli, 2009, Cap. V, Lo stile
delle sentenze, a cura di S. Sonelli.
59
Ne è derivato uno stile di sentenza molto breve e molto asciutta – il c.d. arrêt - dalla
quale è difficile a volte estrarre la massima giudiziaria.
Queste difficoltà sono particolarmente sentite in ambito penale, in quanto la
traduzione della norma penale comporta sono solo la trasposizione di termini
tecnici, ma altresì di valori, i quali, se trasferiti in un ordinamento giuridico diverso
dal proprio possono essere percepiti in modo diverso.
E’ probabilmente questa la ragione per la quale il Garante europeo della
protezione dei dati in un parere del 2009 con riferimento al programma sulla
giustizia elettronica segnala come sia necessario “definire e circoscrivere
precisamente l'uso della traduzione automatica, al fine di favorire la reciproca
comprensione dei vari reati penali senza rischiare di compromettere la qualità
delle informazioni trasmesse”25.
3) Per concludere, il progetto di giustizia elettronica prevede la creazione
di un vocabolario multilingue comparato. Ho appreso in occasione di questo
seminario l’esistenza di banche dati che contengono termini processual-penalistici
e processual-civilistici e che potranno essere utilizzati nella creazione di detto
vocabolario.
In quest’ambito, l’esperienza maturata nell’area del diritto europeo dei contratti
può costituire un utile punto di riferimento nell’elaborazione di questo linguaggio.
L'Unione europea sta creando il cosiddetto “Quadro comune di riferimento” (QCR)
ossia uno strumento di diritto privato composto da definizioni, norme modello e
principi comuni.
Fra le sue diverse funzioni, il QCR costituirà un tentativo di creare un sistema di
riferimenti concettuali e categoriali stabile, il cui obiettivo sarà quello di garantire
chiarezza e coerenza nella terminologia privatistica dell’Unione europea.
Una delle ragioni per la quale la Commissione ha deciso di intraprendere questo
progetto è la mancanza di un contesto di riferimento concettuale del diritto
privato europeo. La contestuale, progressiva creazione di termini nuovi da parte
del legislatore europeo ha reso sempre piu’ difficile l’interpretazione uniforme
degli atti europei nei diversi contesti nazionali. In questo contesto il QCR
riecheggia il “sistema”, quale insieme di concetti e categorie organizzate con
25
Parere del garante europeo della protezione dei dati (GEPD) sulla comunicazione
della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e
sociale europeo dal titolo «Verso una strategia europea in materia di giustizia
elettronica» (2009/C 128/02).
60
funzione unificante e risponde quindi a quel bisogno di ricondurre il pensiero
giuridico a categorie intese come criteri di classificazione26.
Il programma di giustizia elettronica si sta muovendo nella stessa direzione. La
creazione di termini processuali europei comporta l’affermarsi di una nuova
terminologia processual-civilistica e processual-penalistica ed è quindi importante
essere consapevoli del fatto che un giorno potrà emergere l’esigenza di un
contesto di riferimento generale. Forse un giorno saranno create una procedura
civile europea e una procedura penale europea.
26
N. LIPARI, Prologomnei ad uno studio sulle categorie del diritto civile, in Riv. Dir. Civ.,
2009, p. 515.
61
Ena-Marlis Bajons
Prof. ordinario (a tempo determinato) di diritto processuale civile
Università degli Studi di Trento,
già Prof. nell’Università di Vienna
RIFLESSIONI SULLA DIDATTICA DI DIRITTO COMPARATO, EUROPEO E
TRANSNAZIONALE (IN SPECIE: IN TEMA DI DIRITTO PROCESSUALE CIVILE)
Negli ultimi dieci anni, il diritto comunitario ha inciso profondamente sul modo
d’essere del diritto processuale civile nazionale: questo progressivo – e peraltro
non prevedibile – cambiamento richiede oggi un imprescindibile ripensamento
del programma di studi (e di didattica) dell’area di diritto processuale civile. A
dimostrazione di tale esigenza, è sufficiente richiamare alcuni significativi
momenti storici e dati normativi che hanno interessato lo sviluppo del diritto
processuale civile in ambito europeo.
All’inizio, nel campo del diritto processuale civile, esisteva soltanto una “classica”
convenzione multilaterale di diritto internazionale, la Convenzione di Bruxelles del
1968. Questa si occupava solo di alcuni aspetti del diritto processuale civile
internazionale, ovvero della competenza giurisdizionale e del riconoscimento e
dell'esecuzione di sentenze straniere.
Ma con i Trattati di Amsterdam del 1997 e di Nizza del 2001, i cambiamenti nel
campo del diritto processuale civile sono stati enormi, anche se subito non così
visibili. Perché con questi trattati la Comunità Europea ha ottenuto la competenza
legislativa nel campo della cooperazione giudiziaria in materia civile e ha così
avviato la comunitarizzazione del diritto processuale civile.
63
Da quel momento, nel giro di pochi anni, la Comunità europea ha emanato ben
nove regolamenti e due direttive. E il processo di comunitarizzazione non è ancora
finito: Ante portas vi sono altri due regolamenti che, senza esagerare,
stravolgeranno ancora una volta i sistemi di tutela giuridica nazionali.
Tre sono i profili su cui ha inciso questa comunitarizzazione e che richiedono e
giustificano una rivisitazione di contenuti e metodo di insegnamento del diritto
processuale civile.
1. In primo luogo, tutti questi regolamenti non hanno avuto soltanto lo scopo di
introdurre nuove disposizioni (uguali per tutti gli Stati membri) che devono essere
applicate in ogni sistema nazionale dell’Unione europea; ma anche lo scopo di
creare un unico spazio giudiziario europeo (o, come si dice negli ultimi atti
comunitari: un unico spazio di giustizia). Il raggiungimento di questo secondo
scopo ha portato (nel campo del diritto processuale civile) ad una vera rivoluzione.
Infatti, con questi regolamenti, per la prima volta, atti giudiziari rilasciati in un altro
Stato membro sono considerati del tutto equivalenti a quelli emessi nel proprio
territorio nazionale. Il diritto processuale civile tende in questo modo a
trasformarsi da un diritto internazionale a un diritto infraordinamentale.
Si è assistito così ad una progressiva caduta dei confini tra sovranità nazionali.
Tre gli esempi più evidenti di questo fenomeno, cha hanno già trovato piena
attuazione:
a) le notificazioni di atti giudiziali di un altro Stato membro possono essere
eseguite direttamente in Italia, senza “intervento” di organi italiani;
b) i giudici di un altro Stato membro possono assumere direttamente prove in
Italia, dietro mero consenso dello Stato italiano;
c) le sentenze di un altro Stato membro possono essere eseguite in Italia senza
necessità di una procedura intermedia e, quindi, con esclusione di qualsiasi
controllo della sentenza straniera da parte del giudice italiano, che pertanto
non può rifiutare l’esecuzione nemmeno per violazione dell'ordine pubblico.
A giustificazione di questa progressiva ingerenza nella sovranità nazionale si è
richiamato il principio della reciproca fiducia degli Stati membri nei rispettivi
64
sistemi di giustizia: perché questa fiducia sia fondata e non soltanto una petizione
di principio è necessaria però una reale ed approfondita conoscenza dei sistemi di
giustizia dei vari Stati membri e, quindi, degli istituti giuridici che li caratterizzano.
Solo in questo modo, infatti, è possibile avere piena contezza di significato e
ripercussioni della creazione del summenzionato spazio giudiziario europeo unico.
Di qui, l’immediata rilevanza dello studio comparato ai fini di una corretta
applicazione del diritto.
2. Secondo effetto provocato dalla comunitarizzazione è stato il crescente
ampliamento dell’autonomia privata, via via riconosciuta anche in materie sino ad
oggi escluse dal potere dispositivo delle parti, in quanto finora soggette ad una
disciplina imperativa inderogabile: si pensi ad esempio al diritto di famiglia e delle
successioni. I regolamenti già in vigore e ante portas ammettono un’ampia
possibilità per le parti di determinare autonomamente la legge applicabile alle
loro relazioni familiari o questioni successorie, peraltro non solo consensualmente
ma anche per il tramite di meri comportamenti di fatto.
Il motivo per cui questo fenomeno interessa il processualcivilista è che esso è stato
raggiunto dal legislatore comunitario per mezzo del diritto processuale civile, in
particolare mediante un’identica individuazione dei criteri di collegamento nelle
norme attributive della competenza giurisdizionale e in quelle di conflitto tra
discipline sostanziali. Solo un esempio: il prossimo regolamento in materia
successoria stabilisce che il giudice competente in una causa successoria
transfrontaliera sia di regola quello dell’ultima residenza abituale del defunto.
Questo criterio di collegamento è stato scelto anche per determinare la legge
applicabile: anche questa sarà quella dell’ultima residenza abituale del de cuius. Si
arriva così al risultato che il defunto può scegliere autonomamente, tramite un
mero comportamento di fatto (id est, il cambiamento della residenza abituale),
come sarà disciplinata la sua successione.
3. La terza conseguenza determinata dalla comunitarizzazione è la crescente
regressione dello Stato nell’esercizio della tutela giurisdizionale. La tendenza
dell’Unione europea, infatti, è nettamente per la promozione di meccanismi
alternativi di risoluzione stragiudiziale delle controversie, mediante organismi non
statali.
65
a)
Ne consegue una progressiva erosione del diritto sostanziale: da un lato,
perché gli organismi non statali non sono obbligati ad applicare il diritto;
dall’altro, perché anche ove tali organismi applichino il diritto, non creano mai
una giurisprudenza. Ma proprio la giurisprudenza è una delle garanzie
fondamentali di un ordinamento giuridico sicuro ed efficiente.
b) Quest’ultimo effetto viene rafforzato anche dal fatto che la scelta di un mezzo
di tutela stragiudiziale pregiudica l’accesso alle corti statali. Questo accade sia
nell’arbitrato che nella mediazione: nell’arbitrato, oramai da lungo tempo, da
un lato, perché si assiste ad una progressiva limitazione dei motivi di
impugnazione del lodo davanti al giudice statale (oggi, ad es., non è più
ammesso un controllo da parte del giudice statale sulla violazione o meno nel
lodo del diritto sostanziale); dall’altro, perché, più recentemente, viene esclusa
la possibilità di un controllo della validità della clausola arbitrale da parte del
giudice statale che sarebbe competente a decidere nel merito (questo è
quanto prevede la recentissima proposta di modifica del regolamento n. 44
/2001); nella mediazione, sanzionando la parte che non accetti la proposta di
conciliazione da parte del mediatore nel caso in cui il provvedimento che
finisce il giudizio successivo corrisponda interamente al contenuto della
proposta (id est, escludendo che la parte vincitrice ottenga la ripetizione delle
spese processuali e condannandola eventualmente al rimborso di quelle
sostenute dalla controparte: v. art. 13, 1° co., decreto legislativo n. 28/2010).
L’idea del diritto d’azione per la realizzazione del diritto sostanziale viene via via
perduta.
Tutti i cambiamenti descritti giustificano, quindi, una diversa organizzazione
dell’insegnamento del diritto processuale civile. Più precisamente, a voler
procedere per punti fondamentali, tale riorganizzazione dovrebbe comportare,
dal punto di vista del contenuto d’insegnamento:
a) una rimodulazione dei contenuti del corso principale di diritto processuale
civile: tale corso dovrebbe offrire una trattazione maggiormente integrata del
diritto interno e comunitario, posto che quest’ultimo oramai molto spesso si
sovrappone al diritto processuale civile domestico;
66
b) una comparazione dei concetti-base di quegli istituti giuridici dei vari Stati
membri che sono presupposto necessario per l’applicazione del diritto
comunitario;
c) la predisposizione di lezioni speciali (e di esercitazioni) in tema di arbitrato e in
materia di altre vie di risoluzione stragiudiziale delle controversie, in primis
della mediazione.
Quanto al metodo d’insegnamento, bisognerebbe dare maggior attenzione alla
giurisprudenza della Corte di Giustizia, chiamata, su sollecitazione dei rinvii
pregiudiziali nazionali, ad interpretare questioni controverse di diritto comunitario.
Grazie ad un tale metodo, gli studenti potrebbero peraltro contare su
un’educazione che, allenandoli alla trattazione e soluzione di casi concreti, li
preparerebbe con maggiore completezza allo svolgimento delle loro future
professioni di giudice o avvocato.
67
Parte II^
LE RETI GIUDIZIARIE EUROPEE:
LE ESPERIENZE, IL POTENZIALE, LE CONSEGUENZE
PER LA FUNZIONE GIURISDIZIONALE
Mattia Magrassi
Borsista di ricerca in diritto pubblico comparato
Docente a contratto di Diritto dell'Unione Europea
Dipartimento di Scienze Giuridiche
Università degli Studi di Trento
L’UNIONE EUROPEA COME SPAZIO DI LIBERTÀ, SICUREZZA E
GIUSTIZIA: ALCUNE NOTE INTRODUTTIVE
Una delle principali novità introdotte dal Trattato di Lisbona, in vigore da pochi
mesi, riguarda lo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia dell’Unione europea. Tale
area esce dal pilastro intergovernativo ove gli Stati l'avevano collocata a
salvaguardia delle proprie prerogative, e viene inserita nell'ambito di competenza
concorrente fra Unione e Stati membri1.
Di conseguenza, dal punto di vista decisionale l'azione politica dell'Unione in tale
ambito dovrà confrontarsi con il metodo di voto a maggioranza qualificata da
parte del Consiglio, con il ruolo di co-decisore del Parlamento europeo, con le
nuove funzioni di vigilanza sul rispetto del principio di sussidiarietà affidate ai
Parlamenti nazionali. Dal punto di vista delle garanzie, essa dovrà poi confrontarsi
con la contestuale entrata in vigore della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione
europea e con la prospettiva dell’accesso dell’UE alla Convenzione europea per la
salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, con il conseguente
assoggettamento della stessa Corte di Giustizia di Lussemburgo alla giurisdizione
della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo.
Gli Stati membri, con il compromesso di Lisbona, hanno abbandonato l'apparato
simbolico “costituzionale” e optato per un'evoluzione più “di basso profilo”.
1
Per una prima sintetica disamina generale sull'argomento v. R. Toniatti,
Approvato il programma di Stoccolma. Lo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia dopo
Lisbona, in AffarInternazionali, Rivista online di politica, strategia ed economia,
disponibile all’indirizzo http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=1356
71
Quest’ultima soluzione conferma, peraltro, come l’Unione non può astenersi
dall’agire su materie che rappresentano il contesto per l’esercizio delle “quattro
libertà fondamentali” dell’Unione, a tra esse, in particolare, della libertà di
circolazione delle persone, nonché la premessa dell’integrazione economica e del
mercato unico, quali i diritti fondamentali, la cittadinanza, l’immigrazione, l’asilo
politico, la tratta di esseri umani, l’accesso alla giustizia, le garanzie giurisdizionali,
le capacità d’investigazione2.
Dal punto di vista istituzionale, i Trattati ora prevedono l'avvio di cooperazioni
rafforzate che riguardano esplicitamente Eurojust, ossia il nucleo giudiziario da
tempo operativo con il compito di sostenere e potenziare il coordinamento e la
cooperazione tra le autorità nazionali responsabili delle indagini e dell'azione
penale contro la criminalità grave che interessa due o più Stati membri o che
richiede un'azione penale su basi comuni (art. 85 TFUE); e indicano la prospettiva
dell’istituzione, “a partire da Eurojust”, di una Procura dell’UE che abbia il compito di
individuare, perseguire e rinviare a giudizio gli autori di reati che ledono gli
interessi finanziari dell'Unione, esercitando l'azione penale dinanzi agli organi
giurisdizionali competenti degli Stati membri (art. 86 TFUE).
A quanto pare, quindi, l'ulteriore approfondimento dell'integrazione non sarà
affidato alla logica funzionalistica delle origini, propria del c.d. “metodo
comunitario”, bensì alle cooperazioni rafforzate, con il rischio, tuttavia, che
l'avanzamento diventi più difficile, in quanto i costi di negoziazione politica e di
adeguamento amministrativo, in un'Europa a più velocità, sono elevati3.
Nel dicembre del 2009 il Consiglio europeo ha conferito una forte priorità alla
materia, adottando, come richiesto dall'art. 68 TFUE, il c.d. “Programma di
Stoccolma”, ovvero il progetto strategico dello Spazio di libertà, sicurezza e
giustizia dell’Unione europea sino al 20144.
Il Programma di Stoccolma dà conto innanzitutto di quanto già realizzato,
tracciando un quadro articolato e a chiaroscuri. Vi è da considerare, infatti, che
l'abbattimento delle frontiere interne, certamente prodromico alla creazione di
2
In questo senso v. R. Toniatti, Approvato il programma di Stoccolma, cit.
In questo senso v. M. Savino, Trattato di Lisbona. La Pesc e lo Spazio di Libertà,
Sicurezza e Giustizia, in Giornale di diritto amministrativo, 3, 2010, p. 226-231.
4
V. GU C 115 del 4.5.2010, pagg. 1–38. Di seguito, a sua volta, la Commissione ha
presentato il proprio piano attuativo, con COM(2010) 171. Sull’argomento, v. anche F.
Spiezia, Il coordinamento giudiziario sovranazionale: problemi e prospettive alla luce della
nuova decisione 2009/426/GAI che rafforza i poteri di Eurojust, in Rivista della Corte dei
Conti, 1, 2010, pp. 14 ss.
3
72
uno “Spazio” unitario di libertà, sicurezza e giustizia, è peraltro avvenuto più in
risposta ad una prospettiva funzionalistica ispirata ad esigenze di carattere
economico, quali la diminuzione dei costi transattivi e la facilitazione della libera
circolazione.
Nel Programma viene valorizzata l'idea di un Global Approach to Migration, ma le
recenti tensioni tra Stati membri (es. Italia e Malta) sul problema degli sbarchi di
migranti irregolari, o le censure mosse dalla Commissione nei confronti delle
politiche dei respingimenti attuate da alcuni Stati membri (ancora Italia)
sottolineano il deficit di una vera politica comunitaria nei confronti
dell'immigrazione.
Il Programma dà conto delle azioni ed istituzioni, come Europol, la già citata
Eurojust, l'Agenzia dei diritti fondamentali, Frontex, che compongono un articolato
sistema di governance in cui operano shareholders e stakeholders del settore di
policy della giustizia e della tutela dei diritti.
Dal punto di vista istituzionale, vale la pena di sottolineare che tale evoluzione ha
suscitato il dibattito sulla necessità di una “cabina di regia” comunitaria in materia
di giustizia, che ha infine condotto all’istituzione di una direzione generale
Giustizia in seno alla Commissione5. Il sistema descritto si caratterizza così per un
approccio spiccatamente amministrativo al problema dei diritti, e continua a
mancare una risposta sotto il profilo giudiziario, poiché il momento della
giurisdizione è ancora affidato ai singoli Stati.
Inoltre, il Programma di Stoccolma lascia trasparire un approccio prudente anche
nell'indicazione degli strumenti per la propria realizzazione.
L'azione dello Spazio di Libertà, Sicurezza e giustizia continuerà ad ispirarsi al
principio fondamentale della fiducia reciproca tra ordinamenti nazionali, che
continueranno infatti a costituire il fondamento del sistema della giustizia
dell’Unione. La “battaglia” per l'integrazione e l'efficacia del sistema giustizia
europeo va quindi combattuta all'interno dei singoli ordinamenti degli Stati
membri.
Secondo le indicazioni contenute nel Programma, l'attuazione delle nuove
prospettive dovrà essere perseguita, per quanto possibile, utilizzando gli strumenti
5
La direzione generale Giustizia è stata infine creata in data 1 luglio 2010.
Sull’argomento, v. The Case of a DG Justice at the European Commission, briefing paper
del Conseil des barreaux européens – Council of Bars and Law Societies of Europe,
disponibile all’indirizzo http:// www.ccbe.eu / fileadmin / user_upload / NTCdocument
/ The_case_for_a_DG_Ju1_1231414454.pdf
73
istituzionali esistenti, favorendo l'analisi e la circolazione delle best practices.
L'intervento normativo dell’Unione avverrà solo previa verifica del rispetto dei
principi di sussidiarietà e proporzionalità, e della compatibilità con i principi del
mercato interno. Si postula altresì la necessità di una maggiore coerenza nell'attività
delle varie agenzie, ma la soluzione proposta per perseguire tali obiettivi è un
maggior controllo politico del Consiglio – e quindi degli Stati membri. E sotto il
profilo della valutazione delle politiche e degli strumenti giuridici adottati nello
Spazio di libertà, sicurezza e giustizia, al fine di evitare “doppioni” si programma di
approfondire la sinergia, cooperazione e partecipazione attiva dell’Unione alle
attività degli organi di controllo del Consiglio d'Europa, che non potrà che
beneficiare dall’adesione formale dell’Unione alla CEDU.
Per quanto riguarda, infine, la formazione delle figure professionali del “sistemagiustizia” europeo (giudici, procuratori, cancellieri, polizia, guardie di frontiera) il
Programma indica la definizione di uno schema di formazione europea che
coinvolga un numero importante di soggetti entro il 2015, valorizzando l'impiego
delle istituzioni già esistenti e di un programma tipo “Erasmus” per gli operatori
giudiziari e di polizia.
In questo modo il Programma affronta il tema della formazione degli operatori del
sistema giustizia – in particolare dei magistrati – argomento di importanza centrale
per l’Unione Europea, in cui un ruolo fondamentale ha l’integrazione tramite il
diritto.
Del resto, autorevole dottrina ha insegnato che la professionalità del giudice è
fattore decisivo per la sua indipendenza e condizione della legittimazione
democratica dell'attività giurisdizionale6. La professionalità della magistratura deve
sussistere a “livello diffuso”, poiché, a differenza di quanto avviene per i difensori o
per altri professionisti della giustizia, il cittadino non ha la possibilità di “scegliersi” il
magistrato competente. Anzi tale possibilità gli è espressamente preclusa dal
principio costituzionale della precostituzione del giudice per legge. Pertanto, ogni
cittadino ha diritto di ottenere dallo Stato la garanzia della professionalità del
magistrato che andrà a giudicarlo, qualunque esso sia7.
6
In questo senso v. A. Pizzorusso, Principio democratico e principio di legalità, in
Questione giustizia, 2, 2003, pp. 345 ss.; A. Proto Pisani, Controriforma dell’ordinamento
giudiziario: ultimo atto?, in Foro it., 2004, V, p. 109 ss.
7
In questo senso v. R. Romboli, La professione del magistrato tra legislazione
attuale e possibili riforme, in I magistrati e la sfida della professionalità, Milano, 2003, p. 9
ss.
74
Ebbene, accanto all’obbligo degli Stati membri di fornire tale garanzia di
professionalità – e ciò con riferimento tanto al diritto interno quanto al diritto
dell’Unione, attesa la sempre più stretta integrazione tra gli ordinamenti – si pone
sempre più analogo obbligo ed interesse proprio dell’Unione stessa, che il
Programma di Stoccolma intende declinare a livello sovranazionale, non essendo
sufficiente ed opportuno delegare ai soli Stati membri la formazione “europea” dei
magistrati.
Le “reti”. Introduzione del problema
Sinora si è tracciato il contesto di sistema in cui va a collocarsi uno studio sulle “reti
giudiziarie europee”. Un secondo elemento che va aggiunto al presente percorso
introduttivo è la descrizione del concetto di “rete”, al fine di indagarne poi
l’applicabilità alla cooperazione tra ordinamenti nel contesto europeo.
Il concetto di “rete” è oggi correntemente utilizzato quale metafora descrittiva – ma
in effetti non solo descrittiva – delle organizzazioni del potere pubblico.
Si tratta di una delle tante immagini che, nel corso del tempo, sono state accostate
alla pubblica amministrazione e alla sua azione, al fine di coglierne tratti distintivi e
tendenze evolutive8.
Difatti, se non altro per le comuni origini, il funzionamento della pubblica
amministrazione è stato innanzitutto accostato all’immagine dell’esercito, volta a
sottolineare in particolare alcuni tratti degli apparati burocratici, ritenuti
caratterizzanti: la disciplina e la gerarchia (pilastri anche del modello burocratico
weberiano); la subordinazione ed obbedienza al potere politico; la natura
meramente esecutiva delle funzioni svolte; l’esistenza di valori, codici e riti interni
capaci di rafforzare il senso d’appartenenza e l’orgoglio corporativo.
Ancor oggi profondamente radicata è inoltre l’immagine della pubblica
amministrazione come macchina, che sottolinea l’alta formalizzazione dell’operato
degli apparati amministrativi pubblici, volta a conferire ripetitività, prevedibilità e
neutralità alla loro azione, ma che per altro verso ne diminuisce la propensione a
correggere gli errori e ad interagire con l’ambiente esterno, dalle cui ingerenze
intendono anzi essere protetti. Una variante particolare in termini analoghi è
l’immagine del castello, utilizzata in riferimento alle imprese ma che, per certi versi,
ben si attaglia anche alle amministrazioni pubbliche.
8
Sull’argomento v. F. Campomori e F. Toth, L’amministrazione a rete: retorica o
realtà?, in Stato e mercato, n. 1, aprile 2007, pp. 107 ss. e la bibliografia ivi richiamata.
75
La prospettiva della pubblica amministrazione quale apparato unitario e
cooperativo, strumentale agli indirizzi del vertice politico viene completamente
ribaltata, invece, dall’immagine dell’arena politica, fondata sul rilievo che le
burocrazie pubbliche, in realtà, sono sistemi altamente frammentati e conflittuali,
in cui le diverse componenti organizzative, in quanto portatrici di valori ed
interessi contrapposti, tendono a competere più che a cooperare tra loro e con il
potere politico per acquisire maggiori risorse, visibilità ed autonomia. Viene così
sfatato il mito della neutralità del burocrate, il quale è tutt’altro che privo di
interessi e valori propri – non necessariamente illegittimi interessi privati, ma
anche legittimi “interessi istituzionali” di tutela delle prerogative
dell'amministrazione di appartenenza – e non rinuncia ad utilizzare la propria
posizione per tutelarli.
In risposta ad alcuni limiti e disfunzioni sottolineati in maniera più o meno
implicita nelle rappresentazioni metaforiche precedenti, alcuni autori hanno inteso
ribadire quanto sia importante che l’operato delle pubbliche amministrazioni si
ispiri ai principi di onestà, imparzialità e trasparenza. A tale riguardo, intende porre
l’accento sulla necessità di ristabilire l’etica pubblica la metafora
dell’amministrazione come ordine religioso, che in risposta a piaghe quali la
corruzione o l’abuso di ufficio, pone l’enfasi sull’integrità morale e sulla forte
motivazione dei dipendenti pubblici, cui è richiesto di agire nell'interesse generale
con imparzialità, sobrietà, e neutralità nei confronti dei vertici politici.
Con l’affermarsi della dottrina amministrativa denominata New Public
Management, ha poi raccolto numerosi consensi negli ultimi quindici-venti anni la
figura retorica della pubblica amministrazione come impresa. Le performances
degli apparati burocratici sono spesso deludenti a causa di logiche autoreferenziali
e procedure farraginose, che determinano scarsa produttività, spreco di risorse
pubbliche, insensibilità verso le esigenze dei cittadini, riluttanza alle innovazioni
tecnologiche. Da qui l’idea di adottare anche nel settore pubblico logiche e
strumenti gestionali mutuati dalle imprese private. Ciò implica inevitabilmente un
radicale riorientamento culturale dell’agire amministrativo, attento più ai risultati
che alle procedure, e fondato sull’autonomia dei dirigenti, cui spetta stimolare
forme di concorrenza interna, contenere i costi, adottare criteri più meritocratici di
gestione del personale, incrementare la qualità dei servizi erogati.
La metafora dell'amministrazione come impresa costituisce per molti versi l’attuale
paradigma di riferimento degli studi dell’organizzazione amministrativa, pur non
essendo immune da critiche e perplessità per l’eccessiva disinvoltura con cui, a
76
volte, le organizzazioni pubbliche – e soprattutto le loro finalità – vengono
paragonate all’azione delle organizzazioni private.
Solo un’altra metafora insidia tale egemonia ed esercita attualmente una
suggestione altrettanto forte: si tratta dell’immagine della pubblica
amministrazione come rete, utilizzata come nozione sintetica per richiamare
istintivamente l’idea del sistema aperto, flessibile, propenso alla comunicazione
continua e trasversale, e per tali motivi più efficace.
La metafora della rete viene oggi ritenuta più adatta a cogliere la natura delle
organizzazioni (sia pubbliche che private) e dei rapporti di scambio che – anche su
scala globale – intercorrono tra di esse (“reti di organizzazioni”).
Negli ultimi anni i contributi scientifici in tema di reti, di networks sono cresciuti in
modo esponenziale, in una molteplicità di settori disciplinari, al punto che –
proprio per sottolineare la capillare diffusione del modello reticolare – si è definita
quella attuale una network society9.
Continua a mancare, tuttavia, una definizione condivisa del concetto di rete, al
punto che esso rischia di essere relegato allo status di metafora evocativa applicata
però in maniera così generalizzata da essere, in effetti, eccessivamente generica e
quindi priva di un preciso significato scientifico.
Ma vi è un modo efficace per definire il concetto di rete, ed è ragionando a
contrario. In questo senso si può affermare che la rete è una forma di
organizzazione sociale e di coordinamento alternativa tanto al mercato quanto alla
gerarchia10. Per un verso, infatti, il mercato è caratterizzato da scambi spesso
istantanei, da rapporti di tipo competitivo, ed utilizza il meccanismo del prezzo
come modalità comunicativa fondamentale; le reti, al contrario, si fondano su
relazioni continuative e durevoli, sono caratterizzate da rapporti principalmente
cooperativi, ed adottano una modalità comunicativa di tipo «relazionale».
Per altro verso, la forma gerarchica si fonda su un sistema formalizzato di regole ed
autorità, nonché su flussi comunicativi prevalentemente verticali, mentre nella rete
si sviluppano intense relazioni orizzontali e il coordinamento avviene sulla base
dell’adattamento reciproco, della fiducia interpersonale e dei valori condivisi11.
9
Per una rassegna bibliografica, v. sempre F. Campomori e F. Toth,
L’amministrazione a rete: retorica o realtà?, cit..
10
Seguendo Powell, W.W. (1990), Neither Market nor Hierarchy: Network Forms of
Organization, in Research in Organizational Behavior, vol. 12, pp. 295-336, cit. in F.
Campomori e F. Toth, L’amministrazione a rete: retorica o realtà?, cit., p. 113.
11
Nohria, N., Eccles, R.G. (1992), a cura di, Networks and Organizations. Structure,
Form, and Action, Boston: Harvard Business Scholl Press., cit. in F. Campomori e F. Toth,
77
Le “reti giudiziarie europee”
Tracciato il contesto dell'analisi, e dopo averne tentato una ricostruzione per
quanto essenziale, ciò che si propone è verificare, quindi, l'applicabilità del
concetto di rete all'organizzazione giudiziaria, al fine di verificarne l'idoneità
descrittiva e prescrittiva nel contesto sovranazionale dell’Unione Europea, traendo
però utili spunti di indagine dalle dinamiche operanti nei singoli ordinamenti
nazionali, attesa la sempre più stretta integrazione tra ordinamenti che induce
inevitabili reciproche interferenze e ripercussioni delle rispettive soluzioni
organizzative.
A livello nazionale, il caso italiano può essere, a suo modo, emblematico. Esso ha
registrato un totale distacco dalla visione pre-repubblicana e anche pre-fascista di
una magistratura strutturata in maniera sovrapponibile alla pubblica
amministrazione, composta da giudici-funzionari, organizzata all’interno in modo
gerarchico, con una carriera per gradi percorribili attraverso concorsi finalizzati alla
selezione dei soggetti tecnicamente più preparati, e scarse garanzie di autonomia
e di indipendenza, esterna ed interna. Un sistema organizzativo, in sostanza,
coerente con la concezione del giudice-funzionario meccanico applicatore della
legge, tipico della tradizione europea continentale.
La progressiva attuazione dei principi costituzionali, in particolare dell’autonomia
dell'ordine giudiziario e dell’indipendenza della magistratura, ed il ruolo del
Consiglio superiore della magistratura, hanno contribuito all'evoluzione di un
sistema incardinato non solo sull'indipendenza esterna dei giudici, specie nei
rapporti con il potere politico, ma anche sull'indipendenza interna, garantita dalla
progressione di carriera c.d. a ruoli aperti, dal sistema tabellare di organizzazione
del lavoro, dall'applicazione del principio di pre-costituzione del giudice. Nonché
da un pubblico ministero garantito al pari del giudice quanto ad indipendenza
esterna e dal principio costituzionale dell'obbligatorietà dell'azione penale12.
Alcuni di questi cardini, peraltro, sono stati nel mirino degli interventi legislativi
degli ultimi anni, volti ad introdurre elementi di gerarchizzazione interna, a limitare
il potere interpretativo dei magistrati, e a mettere in discussione l'indipendenza
esterna soprattutto del pubblico ministero.
L’amministrazione a rete: retorica o realtà?, cit., p. 113.
12
R. Romboli, Il ruolo del giudice in rapporto all’evoluzione del sistema delle fonti ed
alla disciplina dell’ordinamento giudiziario, in Quaderni dell’Associazione per gli studi e
le ricerche parlamentari, Seminario 2005, Torino, Giappichelli.
78
La dialettica che ne è scaturita, anche veemente, tra magistratura (organizzata
nell'Anm) e politica trae la sua origine soprattutto dal fatto che una visione
gerarchizzata e piramidale della magistratura non solo non è più applicabile in via
di fatto, ma costituirebbe una violazione dei principi fondamentali che governano
il ruolo del giudice nel contesto dell'ordinamento. Principi che vanno
necessariamente ricostruiti in via integrata tenendo conto non solo
dell’ordinamento costituzionale nazionale ma anche dell’ordinamento europeo
sovranazionale (UE) oltre che internazionale (Consiglio d'Europa).
Il giudice – ogni giudice – è giudice della legalità dell'ordinamento, ma anche e
sempre di più, giudice dei diritti; è, in Italia così come in altri ordinamenti degli Stati
membri, il “portiere” della Corte costituzionale, in quanto titolare della prerogativa
di sollevare la questione di legittimità costituzionale; prima, però, deve tentare di
superare eventuali dubbi di costituzionalità della legge facendo ricorso ai propri
poteri interpretativi (c.d. interpretazione conforme) e, se ne ricorrono le condizioni,
può risolvere il caso applicando direttamente la Costituzione; deve perseguire
un'interpretazione adeguatrice della normativa nazionale al diritto dell’Unione e,
quando necessario, proporre la questione interpretativa alla Corte di giustizia di
Lussemburgo nonché, anche sulla base della risposta di quest'ultima, procedere
alla disapplicazione (o meglio, non applicazione) del diritto nazionale ritenuto in
contrasto con il diritto dell’Unione.
In questo senso, il concetto di “rete” si propone all'attenzione come metafora non
solo illustrativa di tutti questi meccanismi di cooperazione tra giudici (giudici e
Corte costituzionale, giudici e Corte di Lussemburgo), ma anche prescrittiva della
funzione giudiziaria nel contesto europeo. Difatti, le norme che governano questi
meccanismi di cooperazione non solo propongono ma in certi casi impongono la
funzione giurisdizionale come un'impresa “collettiva”, e quindi “a rete”.
Nel contesto sovranazionale si rinvengono sia reti giuridiche, ovvero reti di
cooperazione tra organi giudicanti – come quella instaurata dal meccanismo del
rinvio pregiudiziale; sia reti giudiziarie, ovvero le reti per l'amministrazione della
giustizia e quelle costituite per la formazione e lo scambio scientifico tra magistrati,
al fine di assicurarne il valore centrale della professionalità. Queste ultime, in alcuni
casi, sono istituzionalizzate, in quanto espressamente previste da specifici
strumenti normativi. In altri casi sono auto-organizzate, ma la loro matrice di fatto
privatistica e in certa misura “lobbistica” viene eclissata dalla indubbia rilevanza
pubblica, sicché l’associazionismo sovranazionale tra magistrati pare, in tali casi,
proporsi quale espressione di una dinamica di sussidiarietà orizzontale.
79
Tutte queste reti, formalmente o di fatto, compongono a creare, nell'ambito
dell'Unione Europea, uno “Spazio” di Libertà, Sicurezza e Giustizia. Quest’ultimo
non è la mera sommatoria dei territori dei singoli Stati membri, ma ha una
dimensione più dinamica, relazionale, “a rete”, in quanto investe le interdipendenze
tra ordinamenti ed i rapporti, anche dialettici se non conflittuali, che ne
scaturiscono, ed è considerato un banco di prova di una vera e propria
“risignificazione” della nozione giuridica di territorio quale elemento essenziale
dello Stato13.
Al tempo stesso, tuttavia, non va dimenticato che è sempre lo Stato, nel vincolo di
solidarietà con gli altri Stati membri dell'Unione, a rimanere il “regista” del processo
di integrazione europea, in virtù di una ratio di sussidiarietà nella delega di
competenze a organismi sovranazionali ispirata soprattutto ad una concezione di
efficienza14; e ciò, vero in linea generale, è tanto più vero nell'ambito delle
competenze dell’Unione in materia di giustizia, in quanto è agli ordinamenti
nazionali, come detto, che continua ad essere affidato il momento della
giurisdizione15.
Tali ultime notazioni dimostrano come sul tema delle reti giudiziarie non vi siano e
non vi possano essere certezze. In effetti, si tratta di un campo ancora tutto da
indagare. Per ora è possibile solo indicare una prospettiva di studio della
governance giudiziaria europea, che partendo dalle esperienze sin qui realizzate,
individui il potenziale, ovvero i possibili passi successivi, nonché le ricadute delle
dinamiche illustrate sulla funzione giurisdizionale.
13
Alessandra Di Martino, Il territorio: dallo Stato-nazione alla globalizzazione. Sfide
e prospettive dello Stato costituzionale aperto, Giuffrè, Milano, 2010, passim.
14
In questo senso v. R. Toniatti, La razionalizzazione del ruolo dello Stato: spunti e
appunti per uno studio sistematico sull’ordinamento composto, in A. Reposo, L. Pegoraro,
R. Scarciglia, M. Gobbo, S. Gerotto (a cura di), Federalismo, decentramento e revisione
costituzionale negli ordinamenti policentrici - Liber Amicorum per Nino Olivetti Rason,
PADOVA: CLEUP, 2010, (IL DIRITTO DELLA REGIONE), p. 266.
15
Ciò non costituisce tanto un’applicazione del principio di “sussidiarietà”, quanto
piuttosto una risposta all’esigenza di garantire il rispetto, negli ordinamenti interni,
delle sentenze emesse in applicazione del diritto comunitario. In questo senso v. D. F.
Waelbroeck, Liability: Convergence or Divergence?, in D. Curtin, T. Heukels (cur.),
Institutional Dynamics of European Integration, Essays in Honour of Henry G. Schermers, II,
Dordrecht, 1994, p. 468.
80
Parte II^
LE ESPERIENZE
Andrea Di Nicola
Ricercatore in Criminologia
Facoltà di Giurisprudenza
Università degli Studi di Trento
PREMESSA
Buongiorno a tutti e grazie di essere intervenuti. Nell’aprire questa prima sessione
del nostro Convegno sulle reti giudiziarie europee nella quale ci occuperemo delle
esperienze, ovvero delle reti giudiziarie come sono “vissute” dai loro operatori,
prima di introdurre i nostri primi relatori e ospiti, permettete un breve commento.
Sono un criminologo e quando sento parlare di reti mi vengono innanzitutto in
mente le reti criminali. Una parte della criminologia infatti analizza come i criminali
collaborano tra di loro, come entrano in connessione. Stiamo parlando di network
analysis. Queste ricerche hanno il merito di aiutare a capire le organizzazioni
criminali, le connessioni tra i loro membri e i nodi principali, ovvero le figure più
rilevanti, e di supportare le investigazioni. Però la criminologia non si è occupata,
né si sta occupando approfonditamente, di esaminare come prendono forma
nella prassi applicativa le reti giudiziarie, sia quelle formalizzate che non. Al di là
delle regole scritte o dentro le regole scritte, come gli operatori delle reti
giudiziarie entrano concretamente in rapporto tra loro, quali sono i punti di forza e
di debolezza di queste reti? La network analysis potrebbe dunque essere
proficuamente usata anche per la comprensione delle risposte alla criminalità
complessa che avvengono in rete. Sono certo che molto di quello che sentiremo
dai relatori di questa prima sessione, che partiranno proprio dalla loro esperienza
di operatori, ci permetterà di gettare uno sguardo sulle reti giudiziarie “in azione”,
con la speranza che anche le nostre discipline scientifiche si interessino di più a
questi temi.
Le persone sedute a questo tavolo sono esperti di cooperazione giudiziaria.
Abbiamo il dottor Filippo Spiezia, che è stato a lungo magistrato presso la
Direzione Distrettuale Antimafia di Salerno e da qualche anno è vice membro
83
italiano presso EuroJust. Spiezia si occupa di cooperazione giudiziaria penale in
ambito europeo, di facilitare le indagini contro la criminalità organizzata
transnazionale tra Stati membri.
Alla mia destra c’è il dottor Venegoni, che è stato sostituto procuratore a Genova e
che oggi lavora all’OLAF, l’ufficio della Commissione europea per la lotta antifrode.
L’OLAF svolge tutte le funzioni investigative attribuite alla Commissione in ambito
di lotta contro le frodi, la corruzione e qualsiasi altra attività illegale che danneggi
gli interessi finanziari ed economici della Comunità europea e, nel farlo, coopera
necessariamente con gli Stati membri.
Luca Perilli, giudice presso il Tribunale di Rovereto, magistrato nella nostra
comunità, ha lavorato e lavora in progetti e missioni di formazione, di assistenza
tecnica in contesti internazionali, sia in Paesi da poco entrati a far parte dell'Unione
europea sia in Paesi che potranno entrarvi o, più in generale, che necessitano
supporto. Ci parlerà di come un magistrato si può trovare a collaborare con
colleghi stranieri, portando esperienza e formazione in un ambito di cooperazione
più informale.
Questi sono i nostri ospiti di oggi. Passo dunque volentieri la parola al dottor
Filippo Spiezia di EuroJust.
84
Filippo Spiezia
EuroJust, L’Aja
EUROJUST: RUOLO ED ESPERIENZE
Ringrazio il professor Toniatti e tutti gli organizzatori per l’invito, particolarmente
apprezzato, a partecipare a questo interessante convegno sulle Reti giudiziarie
europee. Colgo l’occasione per salutare i colleghi presenti e gli amici dell’Università
degli studi di Trento, con i quali vi è già una consuetudine di rapporti per comuni
riflessioni su tematiche afferenti il diritto sovranazionale.
Vorrei partire dalle indicazioni che sono state già date dal primo relatore, in sede di
introduzione di questo convegno, sul concetto di rete perché, a mio avviso, esso
esprime bene, in sintesi, il significato ed anche del senso di questa iniziativa. È
stato sottolineato l’uso metaforico della parola rete che bene esprime,
innanzitutto, le relazioni tra giurisdizioni e, ancora prima, tra i diversi livelli di
produzione normativa. In quest’ultimo senso, la relazione a rete tra fonti, secondo
il concetto di un pluralismo ordinato contrassegnato da una reciproca integrazione
tra ordinamento statuale, sovranazionale ed internazionale, rappresenta il
superamento del tradizionale assetto di rapporti tra fonti del diritto inteso come
relazioni organizzate secondo una graduazione di tipo gerarchico.
La rete come metafora vale anche ad indicare le relazioni tra autorità impegnate in
rapporti di cooperazione giudiziaria; infine, la rete può valere per indicare la
relazione tra i soggetti impegnati nell'attività di formazione nelle esperienze dei
diversi paesi.
Ho riflettuto molto su questo spunto iniziale, che del resto è in linea con le
indicazioni che abbiamo ricevuto in via preliminare sui temi di questo convegno e
ciò mi consente di formulare una prima conclusione che anticipo qui, all'inizio del
mio intervento. A mio giudizio, alla luce del Trattato di Lisbona e con specifico
riferimento ai rapporti di cooperazione giudiziaria vissuti da quell’angolo visuale
rappresentato da EuroJust, il concetto di rete è già in parte superato. Essa resta
indubbiamente fondamentale, perché contrassegna quell'insieme di connessioni
85
e di collegamenti esistenti tra organi e giurisdizioni, tra organismi della formazione
e, ancor prima, tra sistemi di produzione normativa. Tuttavia il dato che si ricava
dall 'esperienza vissuta sul campo in quest’ultimi anni – e a noi oggi si richiede
proprio un contributo che parta da essa - dimostra che, a fronte delle forme di
manifestazione di criminalità di tipo transnazionale, con le quali quotidianamente
ci rapportiamo nell’attività di assistenza alle autorità nazionali, non solo appare
insufficiente la reazione isolata degli Stati, fondata sul concetto di sovranità
statuale, ma lo è anche la risposta della Rete.
Sotto questo profilo EuroJust rappresenta il primo serio tentativo, a livello
dell'Unione europea, di introdurre, nell'ambito delle relazioni di cooperazione
giudiziaria una prima forma di verticalizzazione, che noi definiamo leggera, nei
rapporti tra le diverse autorità giudiziarie dei paesi membri, che supera il concetto
della rete. I caratteri della moderna criminalità, grave e organizzata, sempre più
connotata da dimensioni transnazionali, hanno posto i sistemi penali nazionali
sotto forte tensione, rendendo evidente l’inadeguatezza della reazione isolata. Le
diverse modalità di tempo e di luogo che caratterizzano l’attività criminale
transnazionale, determinano difficoltà investigative e pongono l’esigenza del
coordinamento, anche sopranazionale, delle indagini penali nazionali, oltre che
problemi di individuazione della giurisdizione. In questo contesto, il terrorismo
internazionale è solo una delle priorità, accanto ad altri fenomeni criminali (traffico
internazionale di stupefacenti, traffico di esseri umani, etc.), che ha richiesto il
rafforzamento della cooperazione interstatuale, sempre più attuata nel quadro di
una integrazione tra le autorità giudiziarie coinvolte nei relativi procedimenti.
Queste, pur appartenendo a diversi ordinamenti, operano con collegamenti diretti
in un quadro di crescente reciproca fiducia, pur permanendo, in alcuni casi,
resistenze statuali riconducibili alla paura della “perdita di sovranità”.
L’organizzazione e l’internazionalizzazione del crimine ha richiesto, dunque,
l’adozione di un modello che pone al centro l’idea del coordinamento, divenuto
concetto chiave nel campo della lotta al crimine organizzato transnazionale.
Eurojust nasce come facilitatore ed interface necessario delle diverse autorità
giudiziarie nazionali. L’obiettivo di agevolare «il buon coordinamento tra le
autorità nazionali responsabili dell’azione penale, anche sulla base delle analisi di
Europol», si traduce in un’azione volta al superamento delle asimmetrie
informative e strategiche dei soggetti attivi nell’azione di contrasto. Questi
vengono posti in condizione di dialogare e confrontarsi nel corso di appropriate
riunioni di coordinamento, nel corso delle quali vengono affrontati e spesso
86
superati problemi derivanti dalle perduranti differenze dei sistemi penali e
processuali nazionali, modellati su criteri di competenza territoriale frammentati e
non ancora sufficientemente armonizzati.
Per comprendere la differenza funzionale tra Eurojust e la Rete credo che un
esempio valga a chiarire meglio il senso delle mie affermazioni. Nei giorni scorsi
abbiamo tenuto una riunione organizzata dal desk italiano di Eurojust, su impulso
dell'autorità giudiziaria di Salerno, in una vicenda che credo sia nota a tutti, quella
dell’omicidio di Elisa Claps. Nell’ambito delle relative indagini, l’autorità giudiziaria
di Salerno ha emesso ed inviato un mandato di arresto europeo alla competente
autorità del Regno Unito ai fini dell’esecuzione. Quest’ultima è preceduta, secondo
la normativa interna di quel paese, da una certificazione che compete al Soca
(l’agenzia nazionale che si occupa di crimine organizzato), allo scopo di ottenere
l’accesso alla fase esecutiva. Tra l'altro, si è trattato di una fase esecutiva
particolarmente problematica nel caso concreto, perché, come è noto, il soggetto
colpito dal mandato, di recente è stato arrestato proprio dall'autorità britannica,
dovendo rispondere di un gravissimo fatto omicidiario anche in quel contesto
nazionale.
Noi abbiamo promosso una riunione perché l'autorità giudiziaria italiana aveva
l’esigenza di acquisire un campione del Dna, per confrontarlo con le tracce
biologiche che sono state rinvenute sul luogo di ritrovamento del cadavere di Elisa
Claps, a distanza di molti anni dalla scomparsa e dalla morte della donna.
Vi erano delle difficoltà, segnalate dai colleghi italiani, nell’ottenere tale campione,
tenuto conto di alcuni requisiti formali propri della legislazione del Regno Unito in
materia di tutela della privacy e della conservazione di campioni biologici nelle
relative banche dati; tra l'altro, tali problemi scaturivano anche dall'esistenza di un
procedimento investigativo pendente nel Regno Unito per fatti connessi.
A fronte di queste difficoltà abbiamo organizzato ad Eurojust una riunione di
coordinamento ottenendo, all’esito, un risultato che credo importante, che ha
consentito uno sviluppo delle indagini condotte nei rispettivi ordinamenti. Infatti
le autorità inquirenti del Regno Unito hanno potuto ricevere una serie di
informazioni che hanno potuto ulteriormente sviluppare nel contesto della loro
indagine nazionale, mentre l'autorità giudiziaria italiana ha potuto ottenere
l’esecuzione della rogatoria attraverso un atto di perquisizione finalizzata alla
raccolta di materiale da cui estrarre tracce biologiche.
87
Ciò che è stato fatto, in questo caso, è aver agevolato un rapporto di cooperazione
finalizzato all’esecuzione di una rogatoria giudiziaria internazionale, per la quale vi
erano difficoltà nella fase esecutiva.
Tuttavia la missione essenziale di Eurojust non è questa. Se noi esaminiamo la
decisione istitutiva del 2002 – i cui contenuti sono stati ripresi ed ampliati nel
Trattato di Lisbona, in particolare nelle previsioni degli articoli 85 e 86 – la funzione
di Eurojust è quella di agevolare il coordinamento tra le autorità giudiziarie
responsabili dell'azione penale. Sottolineo dunque il concetto: "agevolare il
coordinamento". Esso rinvia, sul piano strutturale, ad un'organizzazione diversa
rispetto a quella della Rete.
Il confronto pù immediato è alla Rete dei punti di contatto di cui all’Azione comune
del 1998. In quel caso abbiamo una serie di punti di contatto, che in Italia, come è
noto, sono costituiti dai punti di contatto istituiti presso le 26 Procure generali, le
Corti d'appello il Ministro della giustizia e la Procura nazionale antimafia. Esistono
poi punti di contatto negli altri Paesi. La dimensione finalistica della Rete dei punti
di contatto è quella di agevolare i rapporti di cooperazione tra le autorità
giudiziarie dei diversi paesi membri.
Nell'ambito di questa dimensione, tuttavia, ciascuna autorità rimane all'interno del
proprio ordinamento, con le proprie prospettive investigative, con le proprie
necessità procedimentali di acquisizioni probatorie, che prescindono dalla
definizione di una possibile e condivisa comune strategia.
Perché vi è il bisogno di accrescere il livello delle relazioni, ossia di passare da
concetto di rete a quello, diverso, del coordinamento?
Dal punto di vista strutturale è noto che il concetto di coordinamento esprime un
modulo funzionale ed organizzativo mutuato dal diritto amministrativo e rinvia
all'esistenza di un organismo in posizione non gerarchicamente superiore, ma
comunque differenziata rispetto ai soggetti da coordinare, in vista del
perseguimento di una funzione unitaria. Sul piano processuale interno, il modello
di coordinamento di tipo investigativo che conosciamo è quello della procura
nazionale antimafia, di cui all'articolo 371-bis del codice di diritto.
L'esistenza di una prospettiva di coordinamento è tanto più necessaria nella
misura in cui ci troviamo a fronteggiare fattispecie delittuose a carattere
transnazionale. È l'unitarietà dei fenomeni criminali – pensiamo all'ipotesi di
traffico internazionale di sostanze stupefacenti, del traffico internazionale di
persone ( traffico di esseri umani) – che esige un minimo di centralizzazione ai fin
del coordinamento delle indagini, ovvero l'esistenza di un soggetto in grado di
88
fornire indicazioni più o meno vincolanti nei confronti delle autorità giudiziarie
competenti, al fine di esprimere una visione strategica unitaria per un efficace
azione di contrasto al fenomeno criminale transnazionale.
Nell'esempio ho fatto prima, dell’omicidio Claps in Italia e dell’omicidio Barrett nel
Regno Unito, abbiamo due fatti criminosi distinti, rispetto ai quali abbiamo due
autorità giudiziarie che sviluppano autonomamente le loro investigazioni anche
se, a un certo punto, hanno bisogno di cooperare, cioè di aiutarsi l'un l'altra per
ottenere lo scambio di informazioni, per finalità latu sensu probatorie. Quindi la
cooperazione rinvia a questo concetto del lavorare insieme per migliorare l'efficacia
del risultato complessivo, ma ciascuno rimanendo nel proprio ordinamento, senza
la condivisione di una strategia comune.
Il concetto di coordinamento invece richiede l'esistenza, dal punto di vista
organico, di un organismo unitario, capace di sottendere ed esprimere una diversa
visione. Questa differenza funzionale si riflette dunque sul piano strutturale. A
differenza della Rete dei punti di contatto e dei magistrati di collegamento, che
sono localizzati nei diversi paesi dell'Unione europea, EuroJust è composta da 27
rappresentanti dei Paesi membri che siedono tutti insieme, all'interno di un'unica
struttura con sede all’’Aja, cui compete questa innovativa funzione.
Il 2009 è stato un anno molto importante per Eurojust: esso è stato contrassegnato
dall'incremento dell'operatività dell'organismo che ha registrato
complessivamente 1372 casi nuovi, con una progressione ed un aumento del 10%
rispetto al trend registrato nel 20008, già a sua volta crescente rispetto alle
statistiche registrate negli anni precedenti. Anche dal punto di vista qualitativo
l'azione dell'organismo è migliorata, per il tipo di feedback ricevuto in proposito
dalle autorità giudiziarie nazionale, ossia dagli utenti finali del servizio erogato da
Eurojust.
Il 2009 è stato un anno importante anche per il contesto giuridico ordinamentale
nel quale si inserisce l'azione di EuroJust. Si ricordava infatti, all'inizio del convegno,
l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona e l'adozione del programma di
Stoccolma. Cosa significherà tutto questo per l’organismo? L'articolo 82 del TFUE si
apre con la riaffermazione di un principio importante in materia di cooperazione
giudiziaria. Parlo di riaffermazione perché è noto che sin dal 1999, con le
conclusioni del Consiglio di Tampere, il principio del mutuo riconoscimento è
stato già indicato a chiare lettere come la pietra angolare della cooperazione
giudiziaria nell’UE. Ebbene, l'articolo 82 ribadisce questo principio e riconferma
89
anche la scelta verso l'armonizzazione normativa, in chiave funzionale, cioè come
misura che agevola la migliore attuazione del principio di mutuo riconoscimento.
Ciò che occorre chiedersi, sul piano della prassi e dell’applicazione degli strumenti,
è in che misura i rapporti di cooperazione giudiziaria e l’ azione di coordinamento
promossa da Eurojust sono in linea con i principi sanciti nel Trattato, secondo cui la
cooperazione giudiziaria si basa sul principio del mutuo riconoscimento.
Parlo qui ad esperti e quindi non devo spiegarne il significato dal punto di vista
tecnico giuridico. Devo però una risposta sul piano della pratica, ossia del concreto
sviluppo dei rapporti tra gli Stati membri: per questo posso riferire che il 90% delle
azioni di cooperazione che si sviluppano tra le autorità giudiziarie degli Stati
membri non si fondano, nella prassi, sul principio del mutuo riconoscimento delle
decisioni giudiziarie.
A parte l'esperienza del mandato d'arresto europeo, che può essere indicata come
una storia crescente di successi, per l’efficacia rivelatasi nelle relative procedure
che hanno sostituito i tradizionali meccanismi estradizionali, per il resto, quando le
nostre autorità giudiziarie devono acquisire elementi di prova o devono sviluppare
le indagini nel territorio degli altri Stati membri, ricorrono allo strumento
rogatoriale, che rinvia ad una tradizionale concezione dei rapporti di
cooperazione, secondo una dimensione di tipo orizzontale, fondata su relazioni
intergovernative.
Quali le cause di tutto questo? Innanzitutto, a parre di chi vi parla, la mancata
ratifica di una serie di strumenti e di decisioni quadro molto importanti basate sul
principio del mutuo riconoscimento. Basti pensare alle decisioni quadro in materia
di congelamento, sequestro e confisca dei proventi di reato (2003, 2005 e 2006), al
mancato esercizio della delega legislativa conferita dal Parlamento al governo con
la legge comunitaria per il 2007 e per il 2008.
Dunque, gli strumenti si elaborano a livello comunitario, vengono adottati dopo
faticosi negoziati, ma spesso non si traspongono a livello nazionale.
In secondo luogo rileva, quale causa di insuccesso della formula del mutuo
riconoscimento, la cattiva qualità di alcuni strumenti: si pensi al mandato europeo
di ricerca della prova adottato dal Consiglio nel dicembre 2008. Si è partiti da una
prospettiva ambiziosa, ma il risultato finale è piuttosto scadente. Il numero e la
qualità dei dati probatori acquisibili con il MER è decisamente esigua rispetto alle
previsioni iniziali.
Direi, infine, che c'è anche un problema di armonizzazione complessiva tra gli
ordinamenti e su questo credo che il collega Perilli potrà darvi la sua testimonianza
90
nella sua opera di relazioni e rapporti con gli altri Paesi che hanno avuto accesso
all'Unione europea. Un problema di armonizzazione che è tuttora perdurante. Al
riguardo ho avuto modo di apprezzare un lavoro fatto proprio da un ricercatore di
questa università, il dottor Calderoni, che ha condotto una ricerca molto
interessante sullo stato di attuazione e di armonizzazione delle normative
sovranazionali in materia di associazione criminale.
Il risultato di questa ricerca è stato il riconoscimento di uno scarso grado di
armonizzazione con riferimento a quella tipologia delittuosa.
Anche questo rappresenta un serio ostacolo all'attuazione del principio del mutuo
riconoscimento in quanto non vi è dubbio che la presenza di sistemi armonizzati
influenza il livello di reciproca fiducia, precondizione per la piena operatività del
medesimo.
Quali le vie di uscita? Da operatori del diritto ci tocca indicare i problemi, ma anche
indicare possibili soluzioni: allo stato della mia esperienza direi che la prospettiva
dello scambio di informazioni, prevista dai più recenti atti pattizi internazionali –
già previsto per la cooperazione di polizia ed elevato al rango di strumento
adoperabile nelle relazioni tra autorità giudiziarie e l’agevolazione del
coordinamento sovranazionale, possono costituire valide alternative .
Infatti, nel corso delle riunioni di coordinamento promosse da Eurojust alla quale
partecipano le autorità giudiziarie responsabili dell'azione penale, di fatto si
riescono spesso ad individuare soluzioni, di volta in volta elaborate nel quadro del
legal framework internazionale, che possono far fronte alle carenze sopra
individuate.
Attraverso l’incontro ed il confronto delle autorità giudiziarie, con il supporto di
Eurojust, vengono elaborati protocolli operativi finalizzati, ad esempio, alla
prevenzione di conflitti di giurisdizione, alla elaborazione dei comuni strategie
investigative, alla prevenzione di situazioni che possono rappresentare potenziali
violazione del principio del bis in idem, ecc..
Concludo il mio intervento dicendo che la prospettiva resta molto stimolante e
interessante. Si pensi alla nuova decisione su Eurojust, numero 426 del 2009, che
dovrà essere attuata nell’ordinamento nazionale entro il mese di giugno 2011.
L’attività di trasposizione porrà una serie di difficoltà, specie laddove è previsto un
incremento delle attribuzioni del membro nazionale, con espresso conferimento
di poteri giudiziari ( artt. 9 a- 9e). Ancora lontana appare la prospettiva della
possibile istituzione del Procuratore europeo, anzi, dell'ufficio del Procuratore
europeo. Ci sono state forti spinte, specialmente durante l'esperienza della
91
presidenza di turno spagnola, verso la realizzazione di passi concreti per la
realizzazione di questo nuovo organismo. L'idea spagnola peraltro richiama molto
da vicino quel concetto di rete, cioè questa volta riferita a relazioni fra Procuratori
generali.
Sul punto, l’idea che si ricava dalla lettura del Trattato, confermata anche dal
programma di Stoccolma, è quella di arrivare alla costituzione di questo
organismo attraverso una politica step by step, cioè di approccio graduale. Si
tratterà, dunque, prima di attuare l'articolo 85 del TFUE con l’attribuzione ad
Eurojust del potere di decidere l’apertura di un procedimento investigativo e, solo
nella fase finale, di procedere alla costituzione di organismo titolare dell’esercizio
dell'azione penale, secondo le previsioni di cui all’art. 86 del TFUE, a partire dai reati
che ledono gli interessi finanziari dell’UE.
Io credo che per quanto riguarda la magistratura italiana, ma non solo (penso
anche al ruolo dell’accademia e dell'avvocatura), sia oggi molto importante essere
presenti nel nuovo cantiere dell’UE, che si riapre a partire da Lisbona con inediti
scenari. Poter far sentire la propria voce significherà poter portare la nostra
sensibilità ed il nostro approccio culturale, fondato sulla cultura del diritto e dei
diritti e poter condividere, anche nella logica della rete, la nostra lunga esperienza
in una aperta e costruttiva prospettiva di confronto con le altre culture e tradizioni
giuridiche.
Vi ringrazio per l’attenzione.
92
Andrea Venegoni
OLAF, Bruxelles
L’UFFICIO EUROPEO PER LA LOTTA ANTIFRODE (OLAF): FUNZIONI ED
ORGANIZZAZIONE
Anch’io prima di tutto vorrei cominciare con i ringraziamenti agli organizzatori per
aver pensato ad un convegno di questo tipo, perché secondo me è sempre utile
diffondere la circolazione di informazioni su questo argomento, soprattutto oggi,
quando siamo in una fase di transizione, di passaggio, verso la piena creazione di
uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia.
Quindi è molto importante che se ne parli, è molto importante avere conoscenza
degli strumenti che esistono già oggi. Sono d'accordo con Filippo Spiezia quando
dice che parlare del concetto di rete oggi, nel senso di collegamento tra autorità
giudiziarie di Stati membri indipendenti, a proposito della cooperazione
giudiziaria penale internazionale, probabilmente vuol dire parlare di un concetto
già superato. Se noi guardiamo a determinate normative specifiche, quella
sull’EuroJust ma anche quella dell’OLAF di cui ora vi parlerò molto in breve, in
realtà siamo già molto oltre un concetto di rete in questo senso. Addirittura, cosa
che può sembrare incredibile, per quello che riguarda l’OLAF siamo già oltre il
concetto di rete dal 1999, cioè già da 10 anni, da quando esiste questo organismo.
Il motivo è che l’OLAF non è un organismo di collegamento, ma di investigazione
ed ha il potere di compiere indagini sovranazionali di carattere europeo.
Quindi esiste già dal 1999 un organismo investigativo che e’ in grado di mandare
investigatori in tutti i Paesi, non solo europei ma, a certe condizioni, addirittura
anche extra UE ed extraeuropei, senza i limiti delle frontiere nazionali. Ovviamente
stiamo parlando di indagini amministrative e voi potreste dirmi che non sto
parlando di procedimenti penali, ma per normativa comunitaria di ex primo
pilastro, quindi regolamenti applicabili immediatamente nello Stato membro, gli
esiti delle indagini amministrative OLAF nei quali gli investigatori, come ripeto,
93
non hanno limiti territoriali, sono trasmissibili, possono passare nel procedimento
penale.
Quindi oggi, ma, ribadisco, già da 10 anni a questa parte - circostanza forse non
nota a molti - esiste già la possibilità di condurre delle indagini senza limiti di
barriere nazionali, i cui risultati possono confluire in un procedimento penale.
Questa non è solo teoria, ma di questo abbiamo esperienza concreta. La riflessione
che vorrei fare, in aggiunta a quanto detto prima, è quindi che il concetto di rete in
un certo senso è già superato, siamo addirittura già all’indagine sovranazionale. Il
fatto è che molto spesso ho l'impressione che queste possibilità, che pure
esistono, non siano del tutto conosciute, anche e soprattutto a livello della pratica.
Ovviamente l'attività dell’OLAF è circoscritta in limiti ben precisi, nel senso che non
si occupa di indagini di qualunque tipo, non si occupa di droga, di terrorismo, di
traffico di esseri umani, ma solo di una particolare materia che è la protezione degli
interessi finanziari dell’Unione europea. Si occupa quindi di tutte quelle condotte
che in qualche modo possono incidere sul bilancio comunitario; per esempio, per
quanto attiene alle spese, l’uso dei cosiddetti fondi strutturali, il settore dei
contributi in agricoltura; vi sono poi le somme erogate nel settore della ricerca
scientifica, nell’ambito dei cd “programma quadro”: tutte le condotte che in
qualche modo possano costituire o delle irregolarità o anche delle frodi - e quando
si parla di frodi c'è il collegamento con l'indagine penale -nell’utilizzo di tali fondi di
provenienza europea rientrano nell'ambito di competenza dell'OLAF.
Per quanto riguarda le entrate, poiche’ le entrate del bilancio comunitario sono
essenzialmente diritti doganali, rientrano nelle competenze dell’OLAF tutte le
fattispecie di contrabbando, tutte quelle fattispecie che tendono all’evasione dei
diritti doganali, inclusi, per esempio, i dazi anti-dumping; al riguardo c'è tutta una
casistica di ipotesi di frodi che trattiamo quotidianamente.
Analizziamo quindi in che modo l'azione concreta dell’OLAF può favorire la
cooperazione tra Stati. Può favorirla nel senso che quando l’OLAF apre
un'indagine, ovviamente apre un'indagine amministrativa. Nell'ambito di questa
indagine può compiere determinate attività investigative proprie. Esiste una
normativa comunitaria, cioè un regolamento, il 1073 del 1999, direttamente
applicabile negli Stati Membri in quanto regolamento di ex primo pilastro, che
disciplina tutta l'attività dell'ufficio. Aperta l'indagine, l’OLAF per esempio può
andare a fare dei veri propri controlli sul posto, presso gli operatori economici che
si ritiene abbiano commesso l’irregolarità o la frode. Quindi materialmente questo
vuol dire che gli investigatori dell'OLAF da Bruxelles partono e vanno nei vari Paesi
94
europei senza dover richiedere nessun tipo di autorizzazione allo Stato membro.
Questo è già implicito nel potere dell’OLAF. Gli Stati membri, aderendo all'Unione
europea, aderiscono all'attività investigativa dell'OLAF.
Vanno presso questi operatori economici, possono sequestrare documenti anche
su supporto informatico, possono interrogare persone e dopodiché redigono un
rapporto in cui danno conto di questa attività, allegando i documenti. Se da
questa attività emergono gli estremi di un reato, questo rapporto può essere
trasferito all'autorità giudiziaria nazionale. Lo stesso regolamento 1073/99 afferma
espressamente che questo rapporto amministrativo ha lo stesso valore dei
rapporti redatti dalle autorità amministrative degli Stati membri. Ha lo stesso
valore che potrebbe avere il verbale di una verifica tributaria fatta per esempio
dalla Guardia di Finanza.
La conseguenza di questo è che, parlando per esempio di documenti, se l’OLAF è
andato ad acquisire dei documenti – poniamo - in Romania e li ha trasmessi
all'autorità giudiziaria italiana perché si sta indagando su un'ipotesi di frode che
riguarda Italia e Romania, tali documenti, in quanto allegati ad un rapporto
amministrativo, dovrebbero potersi produrre anche nel procedimento penale,
dovrebbero poter essere presentati come elemento di prova dal pubblico
ministero al giudice penale.
Ovviamente per le testimonianze e le dichiarazioni il discorso potrebbe essere un
po' diverso, anche se l’OLAF agisce cercando di rispettare le garanzie della difesa:
la persona ha diritto di essere assistita da una persona di fiducia, che sia un
avvocato o meno, ma sul valore nel procedimento penale delle deposizioni
assunte in sede amministrativa si potrebbe discutere; per quanto riguarda i
documenti, invece, si puo’ sostenere che possano essere trasferiti nel
procedimento penale in un modo che li renda utilizzabili, in virtu’ di normativa
comunitaria direttamente applicabile negli Stati Membri senza bisogno di
attuazione da parte della normativa nazionale.
A volte quindi la questione è di conoscere e saper utilizzare gli strumenti che già ci
sono, anche se con questo non voglio dire che l’OLAF sia il miracolo che risolve
tutti i problemi di lotta alla criminalità finanziaria, organizzata o meno.
Ovviamente quanto detto sopra avviene a certe condizioni, seguendo
determinate procedure, ma allo stesso tempo devo dire anche che noi, nella
nostra esperienza pratica, abbiamo vissuto dei casi concreti di questo tipo. Casi
che poi, nei procedimenti penali, hanno portato a dei sequestri per milioni di euro.
Sapete che parallelamente c'è tutta una normativa nazionale che ha attuato
95
normative comunitarie, per esempio in materia di confisca per equivalente, uno
strumento che oggi è diventato efficacissimo nella lotta a questo tipo di reati.
Combinando tutte queste fonti normative, secondo me si possono ottenere
risultati anche oggi. Spesso è un problema di conoscenza di queste possibilità.
Anche per l’OLAF si pongono i problemi degli scenari futuri, che sono tutti da
definire, nel senso che nel trattato di Lisbona l’OLAF non viene citato, a differenza
di EuroJust. Probabilmente questo per un motivo molto pratico che, a mio parere,
potrebbe essere semplicemente perché l’OLAF e’ un servizio della Commissione
Europea - non è un'agenzia, non è un organismo distinto dalla Commissione - e
quindi il Trattato cita la struttura complessiva e non le sue singole componenti.
Penso comunque che l'esperienza dell'OLAF, in un modo o nell'altro, potrà essere
utile nel dibattito sul procuratore europeo, perché se il procuratore europeo, in
una prospettiva futura, dovesse mai arrivare a configurare un organismo che può
fare indagini sovranazionali, questo oggi lo fa l’OLAF, è l'unico organismo oggi
abilitato a fare questo tipo di indagini. Credo quindi che nel dibattito sul
procuratore europeo dovrà entrare anche l’OLAF.
Certamente, oggi dal punto di vista della composizione e della struttura, OLAF ed
EuroJust sono due organismi abbastanza diversi. Per esempio l’OLAF non è un
organismo di magistrati, ma è un organismo "anche" di magistrati. I magistrati
rappresentano una minima parte del personale dell’OLAF.
L’OLAF è essenzialmente un organismo di funzionari comunitari con funzioni
amministrative e investigative; il personale investigativo italiano proviene in
genere dalla Guardia di Finanza, dai Carabinieri e dalle Dogane; per gli altri Stati
Membri, dai rispettivi servizi di polizia o dalle Dogane.
I magistrati sono solamente componenti di un’unità specifica, un'unità con
competenza orizzontale interna, che dà consigli giuridici e legali agli investigatori
nello svolgimento delle indagini e poi tiene i rapporti con le autorità giudiziarie
degli Stati membri, oppure sono capi di alcune unita’ investigative. Però non direi,
se si dovesse usare una formula per identificarlo sinteticamente, che l’OLAF sia un
organismo di magistrati.
Peraltro, e in questo vi potrebbero essere analogie con la possibile futura
istituzione della Procura Europea, il personale dell’OLAF lavora nell'interesse
dell'istituzione comunitaria. Io stesso sono un magistrato italiano che è stato
distaccato per lavorare presso l’OLAF e, nel momento in cui sono entrato a farne
parte, ho prestato e presto il mio servizio nell’interesse della istituzione
comunitaria. Noi prima di tutto ci occupiamo di proteggere il bilancio comunitario
96
nell’interesse della istituzione: chiaramente, per motivi linguistici e di conoscenza
del sistema giudiziario, ogni magistrato tende principalmente a seguire le
questioni attinenti al proprio Paese di origine, ma questo in quanto agente OLAF
che all'interno di questo organismo, per tutelare gli interessi comunitari, si occupa
dei rapporti con un particolare Stato membro.
La situazione amministrativa dei due organismi, ad oggi, mi sembra quindi diversa,
distinta. Se poi vogliamo discutere di quali potrebbero essere gli scenari futuri e il
futuro dell’OLAF in particolare, allora si apre un altro discorso, che probabilmente
porterebbe via molto tempo.
Lo scenario comunque è aperto ed è in movimento. Ritengo che il futuro, da
questo punto di vista, sarà molto interessante. Oltretutto sul procuratore europeo
mi risulta che la Commissione Europea abbia già cominciato a fare i primissimi
passi preliminari: non è probabilmente una entita’ che rimarrà sulla carta del
trattato di Lisbona, ma già nei prossimi anni si potrebbe incominciare a vedere
qualcosa a proposito del procuratore europeo.
Questo è il contributo che volevo darvi, molto sintetico. Se ci fossero domande
ovviamente sono a disposizione.
Grazie.
97
Luca Perilli
Magistrato
Rovereto - Trento
Il RUOLO DEI MAGISTRATI NEI PROGRAMMI INTERNAZIONALI DI
ASSISTENZA PER LA RIFORMA DELL’ORDINAMENTO GIUDIZIARIO
Buon pomeriggio.
Premetto che la mia attività di esperto internazionale nel settore giudiziario di cui
sono chiamato a riferire è, per un verso, più complessa e, per altro verso, più
“formalizzata” di come è stata presentata dal presidente di questa sessione.
In vista di questo incontro mi volto sono a guardare indietro per ripercorrere gli
ultimi sei anni di vita professionale, nei quali ho attraversato, nella mia veste di
giudice esperto di sistemi giudiziari, Paesi assai diversi, dai nordici Paesi baltici, ai
Balcani occidentali, fino al Caucaso ed all'Africa settentrionale.
Gli eventi più frequenti cui ho preso parte sono stati conferenze o seminari di
formazione per giudici e pubblici ministeri, ossia luoghi di scambio di esperienze e
conoscenze.
Oltre che nell’attività di formazione giudiziale, sono stato, in certi periodi anche
lungamente, impegnato in missioni di assistenza tecnica nel settore giudiziario. A
tale riguardo devo ringraziare il Consiglio Superiore della Magistratura che mi ha
dato fiducia, assegnandomi il ruolo di esperto chiave nei due progetti di
gemellaggio, condotti in Albania nel 2007 e 2008 ed in Romania quest’anno, di
assistenza ai Consigli Superiori della Magistratura, albanese e rumeno, per la
realizzazione delle riforme necessarie per l’adeguamento del sistema giudiziario ai
cosiddetti standards europei.
Il riferimento agli standards mi consente di menzionare, inoltre, la mia attività di
esperto internazionale per conto della Commissione Europea, DG Giustizia ed
Allargamento, nell’ambito della valutazione dei sistemi giudiziari dei Paesi
candidati all'accesso all'Unione europea.
99
SI tratta, come dicevo in apertura di questo intervento, di un’attività “formalizzata”,
perché le missioni organizzate dalla Commissione Europea hanno una
collocazione specifica nell’ambito del percorso delle negoziazioni condotte dai
Paesi candidati, con gli Stati Membri per il tramite della Commissione Europea,
per l’accesso dei primi all’Unione Europea.
Tale cammino verso l’ accesso all’Unione si apre e si chiude con la stipula di
Trattati: dal Trattato di Associazione e Stabilizzazione al Trattato di Adesione.
Lungo il guado di questo percorso, il Paese candidato deve dimostrare di essersi
allineato all’ acquis communautaire e quindi di essersi adeguato agli standards
europei con riferimento a ben 35 settori, chiamati capitoli, dell’ordinamento
europeo.
Nel percorso di negoziazione i capitoli vengono aperti e chiusi.
La chiusura di tutti i capitoli segna il passaggio al Trattato di Adesione.
Il capitolo numero 23, nel quale mi trovo ad operare come esperto, riguarda
appunto l’ordinamento giudiziario ed i diritti umani ed è uno dei più complessi,
sia perché coinvolge l’essenza dei principi costituzionali del Paese candidato sia
perché gli standards internazionali in materia di Giustizia non sono così raffinati
come possono esserlo, ad esempio, regole tecniche in materia di politica agricola
oppure i regolamenti e le linee guida emessi dalle Istituzioni comunitarie in
materia di antitrust.
Ed è proprio per queste peculiarità dell’ acquis communautaire nel settore
dell’ordinamento giudiziario che, nonostante la “formalizzazione” del percorso di
negoziazioni per l’accesso, dietro all’apparente freddezza del concetto di standard
pulsano diritti vitali e fondamentali.
Per esemplificare, consentitemi di richiamare alcuni episodi accaduti nello
svolgimento della mia attività internazionale.
Nel 2008, quando fu organizzata la prima missione di peer assessment review per la
valutazione della Turchia, la Commissione Europea fu positivamente sorpresa dal
fatto che il governo turco consentisse che il pool di tre esperti di cui io facevo parte
potesse accedere all’area della Turchia sud-orientale, altrimenti conosciuta, fuori
dalla Turchia, come Kurdistan turco. Andammo in città di cui non conoscevo
l’esistenza: Diyarbakir, abitata da quasi un milione di curdi e circondata da
possenti mura romane; Mardin, città antica, posta ad oltre 1000 metri d'altezza,
ed avvolta intorno ad una enorme roccia, dalla cui sommità si domina la piana
della Mesopotamia siriana. Ricordo che, nella pausa tra i diversi incontri ufficiali
organizzati dalle autorità turche, avemmo modo di pranzare, fuori programma,
100
con avvocati delle organizzazioni umanitarie in difesa dei diritti dei curdi, i quali
chiedevano di essere ascoltati e volevano comunicarci, in quella manciata di
minuti che il programma ci consentiva, fatti e nomi di persone, in particolare di
bambini e di ragazzi che erano, stati, secondo loro ingiustamente, arrestati e
processati insieme ad imputati adulti, per il solo fatto di avere partecipato a
manifestazioni di protesta organizzate dal PKK, un movimento politico clandestino
noto come Partito dei Lavoratori del Kurdistan.
Oppure, ricordo che, nel corso di una missione in Croazia, a Rjieka (la Fiume
italiana) incontrai i giudici che si occupavano di crimini di guerra ed operavano in
condizioni difficilissime. Raccontavano della straordinaria difficoltà di mantenere
l’equilibrio, che è sempre richiesto ad un giudice, in processi che si celebravano
laddove gli imputati, spesso serbi o serbo-bosniaci e pressoché sempre
contumaci, erano accusati di avere commesso crimini di guerra. I giudici
giudicavano sotto lo sguardo di quella stessa comunità, nella quale i presunti
criminali di guerra erano accusati di avere inferto ferite ancora aperte.
O ancora ricordo i seminari sull’indipendenza dei giudici, ed in particolare sui
sistemi disciplinari e di valutazione della professionalità dei giudici albanesi,
organizzati per conto del Consiglio Superiore della Magistratura Italiano in diverse
città dell’Albania; ricordo, in particolare, le difficoltà logistiche che spesso i giudici
dei albanesi dovevano affrontare per essere presenti; ad esempio per raggiungere
in inverno Scutari, città nel passato mobilissima, i giudici dei tribunali vicini
dovevano superare valichi innevati e percorrere strade impervie per molte ore di
viaggio.
Ebbene qual è il comune denominatore di queste attività? Noi oggi stiamo
parlando di reti. Si possono individuare delle reti dietro le diverse esperienze
professionali che ho citato? Cosa lega tra loro gli esperti internazionali, giudici nei
loro Paesi, che incontrano giudici od avvocati, o giuristi, o esponenti di
organizzazione umanitarie di Paesi che la storia ha allontanato per molti anni dal
cuore dell’Europa?
ll legante, che è espressione di un comune sentire tra i giuristi di diverse tradizioni
giuridiche ed appartenenti a Paesi con storie politiche assai diverse e spesso
dolorose, è rappresentato dal bisogno di tutela dei diritti umani e fondamentali.
Proprio sui diritti fondamentali è costruita gran parte dell’architettura riformatrice
dei sistemi costituzionali e di ordinamento giudiziario dei Paesi che aspirano
all’accesso all’Unione Europea, intesa come una “comunità di diritti”.
101
Basti guardare ai cosiddetti screening reports o ai progress reports elaborati dalla
Commissione Europea al fine di tracciare il percorso delle riforme dei Paesi
candidati o potenziali candidati all’accesso all’Unione Europea; essi assumono a
proprio riferimento, per comparare lo stato delle riforme nel Paese soggetto a
screening con gli standards europei, la Convenzione Europea per la Salvaguardia
dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà Fondamentali, la Carta dei Diritti Fondamentali
dell'Unione Europea, e la giurisprudenza delle due Corti, quella della Corte
Europea dei diritti dell’Uomo e le sentenze della Corte di Giustizia, che richiamano
la Convenzione o la Carta di Nizza.
L’esistenza di questa rete di diritti fondamentali, saldata dalla giurisprudenza delle
alte Corti e che attraversa tutti gli Stati europei, si percepisce in modo chiaro,
anche guardando al versante nazionale. Basti considerare la giurisprudenza della
Corte Costituzionale dal 2007 a oggi in tema di rilievo della Convenzione Europea
dei Diritti dell’Uomo e delle decisioni della Corte di Strasburgo nell’ordinamento
interno; dietro l’opera di classificazione operata dalla Corte Costituzionale per
attribuire la giusta collocazione alla Convenzione Europea nell’ambito del sistema
di fonti di diritto disegnato dalla Costituzione Italiana, il giudice delle leggi afferma
principi assai importanti nell’ottica della costruzione una rete giudiziale
sovranazionale. La Corte Costituzionale riconosce, infatti, al giudice nazionale il
ruolo di giudice comune della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e gli
riconosce il potere e gli attribuisce il dovere di interpretare il diritto nazionale in
modo conforme alla Convenzione ed alla giurisprudenza della Corte dei Diritti
dell’Uomo; afferma che la Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo vive nella
giurisprudenza della Corte europea; afferma che il giudice nazionale deve essere
guidato dal diritto vivente e deve pertanto interpretare la Convenzione alla luce
della giurisprudenza della Corte di Strasburgo.
Un analogo percorso di rilevanza dei diritti umani può essere riscontrato anche
negli altri Stati aderenti al Consiglio di Europa: in tal modo i diritti fondamentali,
attraverso la giurisprudenza delle Corti europee, diventano diritto vivente per i
cittadini di Paesi diversi e lontani, che riconoscono, nei diritti fondamentali, la loro
radice costituzionale comune.
Vi è quindi una “corrispondenza” e ed un dialogo tra Corti supreme e giudici
nazionali, dei diversi Paesi, che finiscono per costruire una rete di diritti.
Vi sono poi altre reti, che influiscono sulla trasformazione dei sistemi giudiziari dei
Paesi che aspirano all’accesso all’unione Europea e che finiscono per trovare nella
giurisprudenza delle Corti europee la loro legittimazione.
102
Mi riferisco alle reti di giudici o di giuristi che, sovente sotto l’egida del Consiglio
d’Europa, si confrontano e confrontano i sistemi giudiziari cui appartengono, per
elaborare pareri (come nel caso dei Consigli Consultivi dei Giudici Europei o della
Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa) o raccomandazioni e carte di
diritti (come nel caso del European Charter on the Statute for Judges del Consiglio
d’Europa), i quali sovente rappresentano un modello od un riferimento per le
riforme nel campo dell’ordinamento giudiziario.
Tali opinioni e carte sono talvolta richiamate dalle decisioni della Corte di
Strasburgo che, in questo modo, attribuisce forza giuridica a precetti che sono
certamente autorevoli ma non posseggono l’autorità delle fonti giuridiche perché
sono il prodotto di reti “informali”.
Ci accorgiamo, dunque, che da reti giurisprudenziali o da reti informali di giudici e
pubblici ministeri nasce un autentico diritto comune ai Paesi del Consiglio
d’Europa: un diritto mobile, un diritto vivente, fatto di circolarità, di rimandi che
dalle decisioni dei giudici nazionali raggiungono quelle delle Corti Europee e che
da queste ritornano per costituire, secondo quella che è la mia esperienza, il
riferimento del percorso delle riforme in materia di giustizia. Si tratta di un
fenomeno di reti, caratterizzato dalla circolarità dei diritti fondamentali, che si
affermano negli ambiti nazionali secondo un processo di bilanciamento con i
principi costituzionali.
La chiave di volta dell’adattamento del “diritto comune” ai diversi contesti politici
dei Paesi del Consiglio d’Europa è poi rappresentato dal principio di effettività,
presente non solo nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo –il riferimento
va all’art. 13 relativo al rimedio effettivo- ma pure costantemente richiamato dalla
giurisprudenza della Corte di Strasburgo.
I principi fondamentali in materia di giustizia si devono infatti adattare a situazioni
nazionali assai diverse: come, per ritornare agli esempi sopra citati, al trattamento
dei minori curdi nei processi per –presunto- terrorismo; al trattamento degli
imputati in contumacia nei processi per crimini di guerra; oppure, nel contesto dei
procedimenti disciplinari o di valutazione di professionalità, al regime di garanzie
di indipendenza di giudici che operano in situazioni materiali e logistiche di
grande difficoltà e povertà di mezzi
In tutti questi casi, gli “standards” in materia di giustizia devono confrontarsi con il
principio di effettività: i diritti fondamentali che vivono nella giurisprudenza delle
Corti o nelle carte e nelle dichiarazioni delle reti di giudici e pubblici ministeri
devono essere tradotti secondo gli equilibri specifici propri di ogni Paese e
103
debbono adattarsi al singolare contesto sociale e politico, senza che, al contempo,
ne resti intaccata l’essenza e ne resti eluso il contenuto minimo di tutela.
Il prof. Toniatti mi chiede se il percorso di avvicinamento agli standard europei che
viene richiesto agli Stati in procinto di entrare nell'Unione europea non sia una
sorta di normalizzazione culturale.
Mi riesce difficile ragione in termini “normalizzazione culturale” in materia di
Giustizia, essendo difficile stabilire cosa sia la normalità degli ordinamento
giudiziari, dato che in Europa abbiamo modelli giudiziari diversissimi. Basti
pensare ai sistemi del Regno Unito e dell’Irlanda, nei quali i giudici sono nominati
tra gli avvocati esperti all’apice della loro carriera; mentre nell’Europa meridionale i
giudici vengono reclutati tramite un concorso pubblico tra inesperti e giovanissimi
laureati e l’intera carriera è considerata un percorso di approfondimento e
miglioramento. E così ai giudici anglosassoni, a differenza di quelli continentali,
sono sconosciuti valutazioni di professionalità e codici etici.
Ci muoviamo dunque in contesti assai diversi, ma pur sempre di democrazie
costituzionali e pur sempre di Paesi membri del Consiglio d'Europa, che hanno
aderito quindi alla Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà
Fondamentali.
Il compito dell'esperto internazionale nelle missioni, come quella che il Consiglio
superiore della magistratura attualmente sta conducendo in Romania, ha
prevalentemente una natura tecnica. L’esperto ha il compito di studiare, valutare,
consigliare le istituzioni del Paese beneficiario, tenendo sempre come punto di
riferimento i due pilastri dell’acquis communautaire in materia di giustizia, ossia il
principio di indipendenza della magistratura e quello dell'effettività della tutela
giudiziaria. Attorno a questi due pilastri si dipanano gli ambiti rilevanti
dell’ordinamento giudiziario. Per quanto riguarda l'indipendenza, si vanno a
considerare per esempio le modalità di accesso alla magistratura, le modalità di
progressione in carriera, il sistema disciplinare, il sistema di valutazione della
professionalità. Per quanto riguarda, invece, l'effettività dell’azione giudiziaria si
valutano non soltanto la rapidità nelle decisioni ed il rispetto del principio della
ragionevole durata del processo, ma si considera anche la qualità del processo
stesso e la gestione delle risorse ed inoltre l 'accesso alla giustizia, la tutela delle
parti deboli, i diritti dei minori, il diritto di difesa.
Per tutti gli ambiti dell’indipendenza e dell’effettività dell’azione giudiziale, i
riferimenti principali dell’attività dell’esperto si rinvengono, come dicevo, nella
104
giurisprudenza Corte Europea dei Diritti dell'Uomo oppure nelle raccomandazioni
e pareri delle reti di giudici e pubblici ministeri che ho citato.
L'aspetto delicato è trovare un equilibrio che sia adatto alla storia e alla cultura di
un determinato Paese. Per tornare all'esempio della Turchia, il Paese, è stato, come
noto, governato, fin dall’adozione della Costituzione nel 1924, da un potere di
tipo secolare, con una presenza ingombrante delle autorità militare, ed ha visto
storicamente una magistratura omogenea culturalmente con il potere dominante.
Solo recentemente in Turchia, con l’avvento al potere del Partito per la Giustizia e
Sviluppo, rappresentato dall’attuale primo ministro, si è creata una “frattura” tra
magistratura e politica, dovuta alla incrinatura della citata omogeneità culturale ed
è stata avvertita con maggiore forza l’esigenza della concreta attuazione del
principio costituzionale dell’indipendenza dei giudici ed, allo stesso tempo,
l’esigenza di una accountability dei giudici e quindi un controllo di fronte alla
collettività della qualità del servizio reso da giudici e pubblici ministeri. Le
profonde modifiche che hanno scosso la società e la politica turche negli ultimi
anni hanno condotto al procedimento, tutt’ora in corso, della modifica della
Costituzione, per garantire ai giudici ed al loro Consiglio Superiore una maggior
indipendenza. Questo processo di riforme costituzionali è stato accompagnato
dalla Commissione Europea attraverso missioni di esperti, pareri, osservazioni,
rapporti, tutti molto attenti a rispettare, da un lato, l’equilibrio dell’assetto della
giustizia stabilito dalla Costituzione turca ed ad assicurare dall’altro l’affermazione
dei principi di indipendenza della magistratura e di effettività dell’azione
giudiziaria.
A tale riguardo il lavoro dell’esperto è, o almeno dovrebbe essere, un lavoro di tipo
tecnico, immune da considerazioni di carattere politico, e che dovrebbe servire a
proporre al Paese beneficiario soluzioni tecniche utili ad accompagnare il processo
delle riforme.
A comprova che si tratti di un lavoro tecnico mi piace evidenziare che, avendo
partecipato a missioni con esperti di diversa nazionalità e provenienza culturale,
raramente ho riscontrato divergenze di vedute sull’applicazione degli standards al
sistema giudiziario del Paese beneficiario.
Inoltre mi sembra importante evidenziare il ruolo dell’esperto ha natura
completamente indipendente dalla politica e così da direttive “culturali” suggerite
od imposte da orientamenti politici.
Le missioni organizzate nel contesto dell’allargamento si chiamano peer
assessmenti: si tratta cioè di un confronto tra pari su principi condivisi; dall'esito
105
del confronto nasce una conclusione o una raccomandazione, frutto, appunto, di
un lavoro indipendente.
Ad esempio, l'esito del rapporto del progetto in Romania che si chiuderà tra una
settimana, sarà un concept paper sul sistema di qualità dell'ordinamento
giudiziario rumeno: esso è il frutto di una collaborazione libera tra Consiglio
Superiore della Magistratura italiana e Consiglio Superiore della Magistratura
rumeno, senza nessuna influenza da parte dell'autorità politica. In questo rapporto
si riprende un lavoro svolto da giudici danesi e olandesi alcuni anni fa; si crea una
stratificazione di principi resi da soggetti indipendenti, nel contesto di reti di cui ho
detto. La condizionalità, come la chiama il prof. Toniatti, o, se si vuole, la
normalizzazione culturale, si sposta poi sul piano politico. Il lavoro degli esperti
indipendenti è messo a disposizione di coloro che devono operare delle scelte
politiche, e ciò sia sul versante nazionale del Paese beneficiario, ossia delle
Istituzionali locali che sono libere di decidere se accettare o meno le
raccomandazioni degli esperti, sia su quello Europeo, perché gli Stati membri, nel
momento in cui decidono se consentire l'accesso ad un nuovo candidato,
assumono decisioni politiche.
Vi ringrazio per l'attenzione
106
Parte III^
IL POTENZIALE
Sergio Bartole
Professore Emerito di Diritto Costituzionale
Facoltà di Giurisprudenza – Università degli Studi di Trieste
PREMESSA
Siamo arrivati alla conclusione e io vorrei fare qualche considerazione
finale.
Innanzitutto, il tema del nostro incontro: le reti. Una prima
osservazione: ho la sensazione che molto spesso quando ragioniamo
di reti, ci facciamo in qualche modo condizionare dal fatto che in
pratica quando si parla di reti si parla di reti telematiche. In realtà, se
voi partite dalla decisione del 1998, potete agevolmente constatare
che sono due le reti di cui si parla, la rete istituzionale e la rete
telematica. Questo va detto perché la distinzione ha delle ricadute
molto importanti sul piano dell'acquisizione delle informazioni.
Laddove abbiamo anzitutto a che fare con una rete istituzionale, viene
in rilievo quello che osservavo al dottor Spiezia, al termine del suo
intervento. Cioè, viene in rilievo la necessità di un procedimento
disciplinato per cui si parte da una richiesta, si va alla valutazione di
questa richiesta, alla decisione di soddisfarla, alla trasmissione
dell'informazione e così via.
Quando invece ci troviamo in presenza di una rete istituzionale
sorretta da una rete telematica, allora sorge il problema dell'accesso
diretto alla rete telematica. E questo allora spiega come, di
conseguenza, ci siano stati interventi sulla tutela dei dati che la rete
informatica fornisce.
Mi pare che questo sia un chiarimento utile nel senso che noi
dobbiamo tenere chiari davanti a noi i diversi livelli del discorso. Fra
l'altro io ho colto o mi è sembrato di cogliere un atteggiamento non
109
dico di denigrazione ma di riduzione dell'importanza di questo
fenomeno, nell'intervento del dottor Gerotto, quando diceva che
quelle in oggetto sono tutte reti. Stiamo attenti, perché ci sono le reti
casuali, quelle che chiunque di noi può impiantare semplicemente
perché ha delle conoscenze, mentre altra cosa sono le reti istituzionali,
in cui i soggetti che fanno parte della rete sono individuati in base ad
una precisa finalità. Queste sono tutte reti istituzionali, non si può dire
che sono paragonabili alle altre: proprio perché c'è un circuito ben
limitato e circoscritto, non c’è una generalizzata distribuzione di
password, certamente ne restano fuori quei soggetti che non fanno
parte della rete.
Questo è il primo punto sul quale volevo richiamare la vostra
attenzione. Il secondo punto riguarda l'accesso diretto. Di accesso
diretto parla in particolare, con molta enfasi, la decisione relativa al
terrorismo, laddove si definisce addirittura l'accesso all'informazione
come accesso diretto. Questo è un punto che forse meriterebbe
qualche approfondimento. Questo accesso diretto significa veramente
che premendo pochi tasti accedo direttamente alla rete informatica di
questo o quello Stato nazionale?
Io ho qualche perplessità, perché la decisione riguardante il terrorismo
tocca alcuni aspetti estremamente delicati: il Dna, i rilievi dattiloscopici
e altri dati personali. Mi sembra, tutto sommato, che qui prevale la
logica delle politiche antiterrorismo degli inglesi, cioè l'esistenza del
pericolo fa sì che si sormonti la preoccupazione della tutela
dell'individuo singolo. E’ questo un punto che forse rientra nella logica
del sistema complessivo, sicuramente però non si tratta di scelta
conforme al nostro sistema. D'altro canto in queste decisioni c'è una
cura abbastanza evidente nell'individuare il ruolo e la posizione dei
privati.
Ricordiamo una serie di elementi. Il privato può chiedere informazioni
per sapere se è stato iscritto o no, se le informazioni che lo riguardano
sono state iscritte; deve essere informato quando l'informazione è
trasmessa; può chiedere correzioni e rettifiche; può addirittura
esercitare un'azione di danni, ove questi ricorrano. C’è comunque una
clausola generale che gli riconosce un potere di ricorso all'autorità
giudiziaria.
110
Quelle ora accennate sono preoccupazioni che trovano ragione di
essere anche nel caso dell'accesso diretto, oppure la disciplina
dell'accesso diretto consente di scavalcarle? Lo so, si tratta di due cose
diverse, una è la posizione dei privati, altra la posizione dell'autorità
che ha l'accesso diretto. Però, mi chiedo, le regole che sono state
dettate pensando a qualcosa di diverso dall'accesso diretto, valgono
anche nel caso dell'accesso diretto oppure no?
Questo è un punto importante perché alla fine, da tutti questi nostri
discorsi, dalle stesse terminologie che abbiamo usato - collaborazione,
cooperazione e coordinamento - risulta chiaro che in realtà questi
sono spazi che gli Stati tendono ancora a riservare a sé stessi. Sono
spazi rispetto ai quali il trasferimento di poteri ad altre autorità
esterne, quindi l'assunzione da parte di queste autorità di determinate
attribuzioni, sono viste dagli Stati con estrema preoccupazione.
Mi chiedevo quali potessero essere le ripercussioni delle scelte che
queste decisioni implicano. Forse qui c'è una epifania del principio di
sovranità, e quindi della scarsa disposizione a rinunciare alla sovranità
.E, però, forse entra in giuoco anche un elemento ulteriore: non
dimenticate che nella nostra tradizione storica, c’è l'articolo 102 della
Costituzione, c'è il principio dell'unità di giurisdizione. L'idea che in
questi spazi vadano a operare autorità giurisdizionali diverse,
probabilmente solleva tante preoccupazioni da non essere
compensata dal fatto che nel funzionamento del sistema rientrano
attività di formazione professionali ripetute e costanti.
Certo, se ci sono preoccupazioni, si dice anche di volerle superare. A
pagina 28, per esempio, del rapporto di Stoccolma si parla
dell'introduzione di regole uniformi, però sono tutte regole che ancora
sono di là da venire. C’è poi un altro problema: la loro interpretazione
sarà di spettanza dei giudici interni oppure di quelli comunitari?
L'unica apertura ad una realtà sovranazionale sembra essere ancora
quella a favore della giurisdizione del Lussemburgo, la quale quindi
avrà una funzione moderatrice. Forse andrà così, ma non siamo in
grado di allargare le nostre previsioni, molto dipenderà dalla cultura
dei giudici. dalla loro formazione e, quindi, dalla loro capacità di
affrontare nuovi inusitati problemi.
111
Un ulteriore problema: il trasferimento e l’attribuzione di attribuzioni
dall’EuroJust alle procure. Forse è possibile parlare di trasferimenti di
compiti, non di funzioni. Non direi invece che ci sia trasferimento nel
caso dell’Equis, perché è detto chiaramente che questa non è una
Banca centrale. Si tratta ancora una volta di una rete in cui ogni Stato
mantiene la sua banca di casellario penale.
Vorrei fare una riflessione: se andiamo a vedere complessivamente il
tipo di attività di cui abbiamo parlato, quando si parla di una
giurisdizione europea si fanno delle affermazioni di facciata, a volte,
forse, per impressionare gli interessati ma perdendo in precisione. In
realtà siamo in presenza – in gran parte - di attività amministrative che
sono serventi per la giurisdizione, che dovrebbero favorire in via
incrementale l'esercizio della giurisdizione all'interno dei singoli Stati.
Badate bene che nella misura in cui queste informazioni riguardano la
raccolta, la colletta di dati che riguardano le persone, allora a quel
punto l'attività non ha più soltanto un rilievo interno
all'organizzazione, ma ha un rilievo che tocca il singolo. E qui può
scattare il principio di legalità. Ecco allora che ci si domanda: chi è che
decide all'ultimo momento sull'interpretazione della normativa
rilevante? Sono autorità giurisdizionali, perché nel nostro sistema
l'ultima decisione in fatto di limitazione della libertà è quella che
spetta al giudice. Ecco allora che c'è un grosso compito ( per quanto
riguarda queste realizzazioni ) dei nostri giudici, i quali vedono
allargate le loro attribuzioni. Ha ragione però il dottor Spiezia: perché
questo allargamento si possa avere, è necessario che il legislatore si
attivi, che il legislatore faccia quello che ci si attende da lui in uno
Stato di diritto.
Un'ultima rapidissima riflessione a proposito dello statuto personale
dei componenti della procura europea e, in genere, delle procure,
oltre che sull'indipendenza del giudiziario.
Io vengo da una delle più belle esperienze della mia vita di professore
universitario, che già di per sé comporta che si facciano mille mestieri
alternando lezioni, ricerca, relazioni a convegni, consulenza. Alludo al
fatto io ho fatto parte e faccio ancora parte della Commissione per la
democrazia attraverso il diritto del Consiglio d'Europa.
112
Molte volte abbiamo avuto occasione di occuparci di progetti e di
disegni di legge sull'ordinamento giudiziario delle nuove democrazie
dell’Europa centro – orientale. Abbiamo dato dei pareri, traendo
ispirazione dai nostri paradigmi costituzionali, guardando a
documenti di organizzazioni parallele al Consiglio d'Europa ovvero a
deliberazioni dello stesso Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa.
Però sino ad oggi non avevamo un nostro documento di sintesi in
materia. Negli ultimi mesi invece è stato adottato un documento
sull'indipendenza del giudiziario, che è estremamente interessante
perché noi alla fine siamo stati costretti a riconoscere che, in fatto di
indipendenza del giudiziario, nei confronti delle nuove democrazie
siamo molto esigenti, forse più di quanto il Consiglio d’Europa lo sia
stato nei confronti dei suoi soci fondatori. Diciamo ai primi altri che
bisogna istituire il Consiglio superiore, che questo deve essere un
organo costituzionale, che a sua volta deve essere indipendente ed
autonomo a garanzia dello statuto dei giudici, ma quando si pongono
problemi in rapporto alle
vecchie democrazie, partiamo dal
presupposto che non sorgono interrogativi sulla osservanza degli
standard europei né, ad esempio, in Inghilterra, dove si può prendere
un avvocato e farlo diventare giudice, rafforzando – come diceva Laski
– il peso sociale dell’establishment né in Germania dove le decisioni
sulla carriera dei giudici vengono prese dall'esecutivo, seppure sulla
base dei pareri dati da organi giudiziari e con possibilità di ricorso nei
confronti delle decisioni dell'esecutivo.
Ci sono tanti modelli di indipendenza del giudiziario e questo fa sì che
alla fine noi siamo costretti, in qualche modo, a enunciare principi
molto belli e poi, in certi casi, a non applicarli perché ci sono queste
realtà molto differenti fra loro. E’ stata ricordata la riforma francese,
ma per arrivare a costringere quel governo a cambiare l’iniziale
proposta di consegnare ai membri laici la maggioranza in Consiglio
superiore è stato fatto anche in sede europea ( si pensi alla rete
europea dei Consigli giudiziari ) uno sforzo da poco. Noi della
Commissione di Venezia nello scrivere il nostro documento ci siamo
dovuti limitare ad affermare che in Consiglio superiore i componenti
togati debbono essere la maggioranza senza aggiungere altro. Del
resto, se pensiamo all’esperienza italiana probabilmente addirittura il
113
riparto in ragione di due terzi e un terzo favorisce troppo i magistrati.
In psicologia si dice che quando si mettono in una stanza tante
persone con gli stessi interessi e le stesse preoccupazioni, le loro
posizioni vengono radicalizzate a danno del peso della parte
minoritaria. Non so se all'interno del Consiglio superiore succeda
questo, ma sicuramente è un elemento di riflessione.
Siamo invece ancora fermi per quanto riguarda il documento sulle
procure. Qui la disparità fra i Paesi è ancor più notevole. Badate bene
però che in Commissione c'è un elemento che ci accomuna, ovvero la
diffidenza che abbiamo tutti, francesi, italiani, inglesi, spagnoli
eccetera, nei confronti dei tentativi che alcuni Stati dell'Est europeo, in
particolare quelli più vicini alla Russia, fanno per recuperare le antiche
prokurature.
Due profili vengono ad emergenza in queste preoccupazioni: da un
lato, si teme il ritorno delle prokurature come autorità investite di
compiti di sovrintendenza del rispetto della legalità aldilà di possibili
ricadute processuali. E, dall’altro lato, si nutrono timori per l’esercizio
di poteri di persecuzione penale da parte di organi che si vogliono
indipendenti e autonomi dalla stessa magistratura giudicante.
Potrebbe essere argomento di fruttuosa discussione – anche ai fini di
questo nostro discorso – il ruolo di un ordine separato dei procuratori
quale quello di cui qualcuno va discorrendo con un suo distinto
consiglio superiore. Non vi è il rischio di un ordine siffatto di funzionari
si trasformi – aldilà delle apparenze – in una sorta di prokuratura. Se
l’ipotesi risultasse credibile,ne risulterebbe confermata la bontà della
soluzione italiana che include giudici e procuratori in uno stesso
consiglio superiore e realizza un equilibrio fra gli uni e gli altri. Mi
spaventa, in effetti, la prospettiva di un consiglio superiore separato
dei procuratori, ossessionato dall’idea della persecuzione dei reati.
Meglio far convivere nello stesso organo magistratura requirente e
magistratura giudicante accumunate dalla eguale subordinazione alla
legge e ispirate dalla comune cultura della giurisdizione. Solo una
magistratura così organizzata ed attrezzata può dare garanzie di
confrontarsi adeguatamente ed efficacemente con il variegato mondo
delle procure in Europa cui spetta di portare avanti il disegno di cui qui
si è parlato.
114
Testo non corretto dall’autore
Fabio Roia
Consigliere del Consiglio Superiore della Magistratura
LA RETE EUROPEA DEI CONSIGLI DI GIUSTIZIA
Vorrei parlarvi di un nuovo fenomeno che stiamo vivendo, cioè di una
rete vera e propria che si è creata e si sta creando dal 2004 ad oggi: la
rete dei Consigli di giustizia nel panorama europeo.
Qui siamo ad una forma di rete vera e propria, nel senso che siamo in
una fase molto embrionale, che però si sta sviluppando nel corso di
questi anni. Per correttezza devo dirvi che citerò, nello studio che è
stato fatto sulla diversa composizione dei Consigli di giustizia nel
panorama europeo, un saggio del professor Volpi che con me in questi
quattro anni si è occupato del lavoro di partecipazione ai convegni
della rete, e che ha svolto uno studio comparato sulle diverse
composizioni dei Consigli.
Devo dire che dopo questi quattro anni la prima cosa che mi sento di
dire è che, parlando della magistratura italiana e anche dei
componenti del Consiglio, l'interesse per l'”internazionalità” e
l'”internazionalizzazione”, passatemi questi due brutti termini, è
piuttosto scarso. Non a caso noi stiamo investendo molto nella
formazione dei magistrati italiani sotto il profilo della conoscenza delle
istituzioni europee, degli organismi di collaborazione e della
giurisprudenza delle corti europee. Continuiamo a fare seminari di
formazione sia in sede centrale che in sede decentrata perché, credo,
siamo ancora troppo provinciali rispetto al panorama europeo.
Si parla di giudice europeo, di statuto del giudice europeo, ma
evidentemente noi, in quanto magistrati italiani, dobbiamo puntare
molto sulla conoscenza e sulla formazione per rompere questo
provincialismo che ci caratterizza e ci deprime. Ci deprime a livello
115
internazionale, partendo per esempio dalla conoscenza delle lingue.
Molte volte siamo in difficoltà nelle partecipazioni ad incontri
internazionali perché non abbiamo una conoscenza linguistica
adeguata a quella degli altri colleghi che operano con noi in Europa.
Probabilmente questo è un problema di formazione universitaria.
Tralascio la parte storica sulla formazione dei Consigli di giustizia, che
sono organismi che hanno il ruolo di garantire l'autonomia e
l'indipendenza della magistratura nei Paesi europei. I Consigli di
giustizia hanno avuto il primo modello costituzionalizzato con la
Costituzione francese del 1946, il primo modello di Consiglio è quello.
Saprete certamente che oggi il Consiglio superiore francese è oggetto
di revisione costituzionale, è stata approvata una legge di modifica
costituzionale della composizione per cui si è ritornati a una
maggioranza di componenti non togati nel Consiglio superiore
francese. Per questo motivo, in attesa che la legge diventi definitiva –
deve essere sottoposta a referendum – il Consiglio attualmente in
carica è stato prorogato di un anno e mezzo. in Francia, si è ritornati
quindi sostanzialmente al 1946.
L'”esplosione” della creazione dei Consigli di giustizia deriva dai primi
anni ’90, allorché nell'ambito del Consiglio d'Europa, a seguito del
processo di democratizzazione che coinvolge tutti gli Stati ex
comunisti dell'Europa centro-orientale, abbiamo la creazione in
numerosi Paesi di organismi indipendenti. Oggi hanno un Consiglio di
giustizia in quest'area l'Albania, l'Armenia, la Bosnia, la Bulgaria, la
Croazia, la Georgia, la Lituania, la Macedonia, il Montenegro, la
Moldavia, la Polonia, la Moldavia, la Romania, la Slovacchia, la Slovenia,
l'Ucraina, e l'Ungheria.
Vedremo brevemente che questi ordinamenti presentano tratti molto
simili nella creazione di organismi che possiamo denominare Consigli
di giustizia e che sono diversi rispetto al modello di Consigli di
giustizia che possiamo denominare “del Nord Europa” - a eccezione
del Belgio - che hanno una concezione molto diversa. Su questo punto
voglio soltanto sottolineare che uno studioso olandese ha tentato di
distinguere i Consigli di giustizia del Nord Europa - che sono
sostanzialmente delle administration court, cioè degli organismi che
godono di autonomia e gestiscono la finanza della giustizia, compito
116
che in Italia è riservato per Costituzione al Ministro della giustizia,
quindi attraverso delle finanze date allo Stato hanno la possibilità di
gestire concretamente l'operatività dei servizi - rispetto a modelli che
vengono definiti, da questo studioso olandese, del Sud Europa, ovvero
quelli che si rinvengono in Italia, Spagna e Francia.
Tutti i Paesi dell'ex area comunista hanno in qualche modo adottato il
modello di Consiglio giudiziario del Sud Europa, che non amministra le
finanze per il funzionamento della giustizia ma ha competenza sulle
decisioni che riguardano la carriera, latu sensu, dei magistrati, ovvero i
provvedimenti disciplinari, le valutazioni di professionalità, la nomina
dei dirigenti, e a volte, dove non esiste una scuola come in Francia e in
Spagna, anche la formazione.
Tutto questo grande movimento di costituzione dei Consigli, ha la
finalità di garantire un'indipendenza sostanziale della magistratura. Il
Consiglio superiore italiano, all'estero è molto apprezzato. Vi è una
sorta di esportazione del “made in Italy”, che “tira” molto, come
modello, ovvero il Consiglio superiore italiano all'estero gode di
moltissima fama, un po' meno in Italia. Il problema della salvaguardia
dell'autonomia è internazionale, cioè c'è una classe politica
transnazionale, uniforme, globalizzata, che tende sempre, sotto il
profilo dei progetti di riforma, a comprimere l'autonomia della
magistratura. Questo è un dato culturale comune a tutti i Paesi.
Proprio grazie a questa esportazione del “made in Italy” del Consiglio
superiore, nel 2004, in seno al Consiglio superiore precedente - devo
citare il professor Luigi Berlinguer che ne è stato l'artefice - venne
l'idea di creare una rete europea di Consigli di giustizia, detta anche,
con un acronimo, ENCI in inglese, ORECY in francese, proprio
sull'impulso del Consiglio superiore italiano.
Cito l'articolo 1 dello statuto: "La rete comprende qualunque
istituzione nazionale degli Stati membri dell'Unione europea,
indipendente dal potere esecutivo e legislativo, ovvero autonoma,
responsabile del supporto al funzionamento del potere giudiziario".
In questa definizione, “qualunque istituzione nazionale”, sono
compresi anche quei soggetti, come le court service o le court
administration, a cui ho fatto riferimento prima, cioè quel modello del
117
Nord Europa che ha una competenza nella gestione finanziaria del
servizio giustizia ma non ha competenze sullo statuto dei giudici.
D'altro canto uno dei punti fondamentali, per molti organismi aderenti
alla rete, è proprio la possibilità di disporre di un budget in funzione
dell'amministrazione della giustizia. Si dice: "Ma come può essere
indipendente e autonoma una magistratura, rispetto al potere
politico, se non si ha la disponibilità di risorse da investire se, cioè,
sostanzialmente, il potere politico, attraverso una riduzione dei fondi
da destinare alla giustizia, può incidere sulla funzionalità e quindi
sull'indipendenza?". E' un tema molto avvertito nei paesi del Nord
Europa, dove esiste questo modello delle court service. Invece è meno
avvertito in un Paese come il nostro dove, per dettato costituzionale,
tutta l'organizzazione dei servizi è demandata al Ministro della
giustizia.
Della rete fanno parte attualmente 18 istituzioni nazionali, su 17 Stati
membri dell'Unione europea. Sono presenti Belgio, Bulgaria,
Danimarca, Inghilterra e Galles, Francia, Irlanda, Italia, Lituania, Malta,
Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Romania, Scozia, Slovacchia, Slovenia,
Spagna e Ungheria. I Paesi che pure fanno parte dell'Unione europea
ma che non hanno un Consiglio di giustizia o, meglio, secondo
l'articolo 1 dello statuto, un'istituzione nazionale che assicuri
indipendenza del potere esecutivo e legislativo, come la Germania,
hanno lo status di osservatori. Quindi abbiamo Paesi ad alta
importanza nell'ambito dell'Unione europea che non fanno parte della
rete, perché il loro ordinamento non è dotato di questa istituzione in
grado di garantire l'autonomia della magistratura.
Ad esempio hanno lo status di osservatori il ministro della giustizia di
Austria, Repubblica Ceca, Cipro, Croazia, Estonia, Finlandia, Germania,
Lettonia, Lussemburgo, Svezia e Turchia.
Per quanto riguarda la Turchia, siccome questa deve formalmente
entrare nell'Unione europea, è in atto un forte processo di revisione
dell'ordinamento perché attualmente il Consiglio superiore turco è
stato completamente riformulato con una legge di revisione
costituzionale che deve ancora essere approvata. Il Consiglio superiore
turco aveva una composizione che comprendeva i membri dell'Alta
corte di Ankara e la partecipazione obbligatoria del ministro o del
118
sottosegretario alla giustizia, la cui presenza costituiva una sorta di
collegio perfetto, per cui in assenza del Ministro il Consiglio superiore
turco non poteva deliberare. Questo ovviamente è stato ritenuto
inaccettabile dall'Unione Europea e si è proceduto a una modifica
della composizione del Consiglio superiore turco.
Questa rete ha avuto riconoscimento di personalità giuridica nel 2007
e si è dotata di un ufficio permanente a Bruxelles. Gode di un
finanziamento importante da parte della Commissione europea, di €
250.000 all'anno. Ovviamente gli organi che fanno parte di questa rete
partecipano con una quota, nel caso del CSM italiano di € 20.000
all'anno, per finanziare tutte le attività della rete.
Cos'è esattamente questa rete e cosa può divenire? Ha una
strutturazione interna: ovviamente c'è un'assemblea generale e c'è un
comitato direttivo più ristretto. Al momento del presente intervento
abbiamo la presidenza dei Consigli, anzi, delle corti, d'Inghilterra e
Galles, più rappresentanti di otto membri, Belgio, Danimarca, Francia,
Olanda, Polonia, Spagna, Ungheria e Italia. Nell'ambito del comitato
direttivo, nominato dall'assemblea generale, si cerca sempre di
garantire rappresentatività ai vari “tipi” di membri. Come vedete
abbiamo dei paesi del Nord Europa, il Belgio (anche se ha una
strutturazione del Consiglio simile a quella del Sud Europa), ma anche
l'Olanda, poi l'Est Europa, con Polonia e Ungheria, poi i Paesi
“tradizionali” che sono Italia, Spagna e Francia.
Avremo un'assemblea generale il 2-4 giugno 2010 a Londra che
rinnoverà tutte le cariche. La prima presidenza è stata italiana, poi
abbiamo avuto una presidenza belga e attualmente abbiamo la
presidenza dell'Inghilterra e del Galles. Alla prossima presidenza è
candidato uno spagnolo.
Cosa fa questa rete e cosa potrebbe fare nell'ambito delle istituzioni
europee? La rete innanzitutto è nata come luogo di scambio reciproco
di conoscenze e opera con gruppi di lavoro. I gruppi di lavoro hanno
temi molto diversi. Farò qualche esempio più che altro per destare la
vostra curiosità, su alcuni temi e sulla diversità di comprensione su
taluni temi. Questi gruppi di lavoro, che normalmente sono coordinati
da un organo che fa parte della rete, si occupano di determinate
tematiche. Recentemente, a un comitato direttivo di Siviglia del 12
119
febbraio 2010, la rete ha tentato di fare un passo in avanti, cioè sta
tentando di trasformarsi da una sorta di forum scientifico in un
soggetto politico nell'ambito dell'istituzione europea. Un soggetto
politico, passatemi il termine, che, secondo quanto deliberato
dall'ultimo comitato direttivo, ha l'obiettivo di diventare l'unico corpo
rappresentativo, nei confronti delle istituzioni europee, di tutte le
problematiche dei Consigli aderenti che riguardano l'indipendenza e
l'autonomia della magistratura; ha come obiettivo di diventare il
centro per una discussione di tutti i problemi che riguardano la
giustizia nei Paesi europei; che ha come ulteriore obiettivo quello di
ottimizzare sia l'intervento e l’effettività della giustizia, sia di
uniformare la deontologia dei magistrati.
Attraverso la lettura di questi obiettivi stiamo capendo che questo
soggetto, che gode di un forte credito, anche economico, da parte
della Commissione europea, sta tentando di rappresentare e di
unificare linguaggi che sono completamente e profondamente diversi,
per cercare di rappresentare, attraverso lo studio, la progettualità, la
riflessione, tutti i problemi della giurisdizione ma soprattutto
l'autonomia e l'indipendenza della magistratura rispetto al potere
esecutivo.
Ovviamente chi ha esperienza di rapporti internazionali certamente
capirà quello che intendo dire: è molto difficile dire a un giudice
inglese che, poiché non è dotato di un organismo simile al Consiglio
superiore italiano, non è indipendente rispetto al potere politico,
perché ovviamente il suo ordinamento ha una tradizione di
indipendenza che deriva da diversi fattori: la cultura, la tradizione, il
controllo dei media, le modalità di carriera del magistrato. Per esempio
per i Paesi del Nord Europa è invece assolutamente fondamentale il
controllo delle finanze, cosa che noi in Italia non vorremmo mai e che
tutto sommato preferiamo lasciare all'esecutivo.
Per farvi un esempio della difficoltà e anche del fascino di dialogare su
certi temi, vorrei rappresentarvi alcuni lavori che sono stati fatti in
questi quattro anni, lavori molto intensi, per esempio in materia di
terrorismo e di imparzialità dell'investigazione. Vedremo poi lo statuto
del giudice, la deontologia e la fiducia.
120
Sul terrorismo abbiamo lavorato con il metodo del questionario,
quindi abbiamo individuato dei temi, mandati a tutti i Paesi, abbiamo
analizzato le risposte, abbiamo cercato di trovare una sintesi di queste
risposte e di elaborare un documento che fosse politico. Per esempio
sul terrorismo tutti i Paesi non ricorrono a leggi speciali, ritengono che
per fronteggiare il fenomeno il ricorso a strumenti speciali sia
assolutamente da evitare e quindi tutti auspicano che la lotta al
terrorismo venga attuata attraverso una necessaria osmosi di
conoscenze, uno scambio di dati, un raccordo tra le autorità di
investigazione, sia di polizia sia di inquirenti, e debbano pervenire a
un'efficace azione di contrasto in assenza di legislazioni speciali.
Ricordo però l'ultimo incontro di Roma al quale noi invitammo dei
nostri esperti, il dottor Spataro e il dottor Borraccetti, che tra l'altro
coordinano la rete delle DDA italiane che si occupano di terrorismo,
che misero fortemente in imbarazzo la rappresentanza inglese citando
una serie di norme che in Inghilterra prevedono delle leggi speciali in
materia di terrorismo. In Inghilterra, forse non tutti lo sanno, ma in
materia di terrorismo, siccome il profilo della sicurezza per loro prevale
rispetto ad altri diritti per noi fondamentali e costituzionalmente
protetti, abbiamo per esempio un fermo di polizia in assenza di
garanzie di difesa e di controllo del giudice che era di 8 giorni e adesso
è stato ridotto a 4; per i processi di terrorismo in Inghilterra abbiamo il
ricorso alle prove anonime, quindi testimonianze che possono essere
anonime; l'utilizzo di fonti riservate di intelligence; abbiamo
addirittura un elenco di difensori speciali che possono fare solo ed
esclusivamente reati di terrorismo.
Capite dunque che, fatta l'enunciazione generica, se poi in concreto si
va a verificare la legislazione nazionale, si abbia a volte, dal punto di
vista culturale, una grossa difficoltà. Da un lato abbiamo delle
enunciazioni di principio e dall'altro dobbiamo ancora confrontarci,
nell'ambito della creazione di un corpo e di una rete che vogliano
superare il localismo, delle grosse protezioni che derivano dal rispetto
della propria sovranità nazionale e delle leggi nazionali. Cioè c'è la
difficoltà, in una proiezione comune di intervento giudiziario, a
superare quella che viene ritenuta una buona normativa interna. Per
esempio è difficile far capire agli Inglesi che il concetto di sicurezza
121
deve cedere rispetto ad altri diritti fondamentali e questo ovviamente
deriva da una sensibilità, da una storia, da una tradizione, da
un'architettura costituzionale e ordinamentale assolutamente diversa.
Un altro esempio in tal senso si è avuto sulla nozione di terrorismo
internazionale. La decisione adottata dal Consiglio europeo il 13
giugno 2002 sulla lotta contro il terrorismo, la 2002 numero 475, è
stata adottata nella legislazione interna soltanto dai Paesi Bassi e
dall'Italia, mentre gli altri Paesi che pure fanno parte di questa rete,
hanno preferito definire internamente cosa significa terrorismo
internazionale.
Capita allora che in assenza di una fattispecie comune derivano tutte
quelle difficoltà nell'ambito della collaborazione che nella prima
sessione ci rappresentavano il dottor Spiezia da un lato e gli altri
colleghi dall'altro.
Un altro piccolo esempio su un tema che ha posto l'Italia, l'imparzialità
dell'investigazione; quando io ho parlato agli inglesi dell'imparzialità
dell'investigazione non capivano a cosa mi riferissi. Il mio inglese non è
ottimo, anzi, devo dire che è pessimo, però attraverso la presenza di
una pluralità di interpreti non capivano comunque a cosa mi riferissi.
L'idea che un'investigazione possa essere "inquinata" da una pressione
politica esterna di un soggetto forte economicamente, è qualcosa che
sfugge alla loro cultura.
Porre sul tappeto, per ragionare, per studiare ed eventualmente
arrivare a una soluzione, un tema così fondamentale, comporta la
rappresentazione di una difficoltà sociale di un Paese che a volte si
scontra con culture differenti. Ovviamente alla fine tutti concordano
con il fatto che deve assolutamente essere fondamentale l'imparzialità
nello svolgimento delle indagini, pur nella diversità dei diversi sistemi.
Sempre per quanto riguarda il “made in Italy” esportato, l'Italia è stata
invitata a far parte, come Consiglio leader, di un progetto di
costruzione dei sistemi giudiziari nei Paesi dell'ex area balcanica. È
stata creata una rete internazionale permanente, con un atto
costitutivo di cui l'Italia è stata attrice, dove si citano tutti i problemi
dell'indipendenza e dell'autonomia della magistratura.
Voglio anche dire che noi abbiamo stipulato due accordi bilaterali con
la Romania e con la Turchia. Con la Romania è successo questo:
122
ricorderete quell'omicidio efferato della signora a Roma, dopo lo
stupro. La Romania ha creato un Consiglio superiore molto simile al
nostro, ha studiato due modelli, quello francese e quello spagnolo – lo
spagnolo che riguarda solo i magistrati giudicanti perché quello fiscal
è separato – e alla fine ha scelto un modello molto simile al nostro. Il
presidente del Consiglio superiore rumeno venne in Italia per farci
formalmente le scuse in relazione a quell'omicidio commesso da un
cittadino rumeno ed è lì che si avviò un dialogo che fu rapportato alla
stipula di questo accordo bilaterale che ha consentito concretamente
di sviluppare una serie di relazioni. Per esempio noi non avevamo
magistrati di collegamento in Romania, attraverso questo accordo
bilaterale abbiamo sensibilizzato il Ministro della giustizia che ha
chiesto e ottenuto che ci fossero due magistrati di collegamento a
Roma per la Romania e due magistrati italiani in Romania. Ci hanno
chiesto di controllare molto bene l'espulsione dei cittadini rumeni,
perché prima della recente riforma la competenza era affidata a un
giudice onorario e adesso, essendo la Romania Paese comunitario, è
affidata al giudice professionale. Da qui è nata tutta una serie di
iniziative che ci portano a collaborare con questi Paesi.
Sostanzialmente la rete secondo me deve diventare un forum politico,
dove si parli anche di politica giudiziaria di alto livello. Abbiamo varato
nell'ultima assemblea un documento molto importante sulla tutela
della vittima del reato, che deve rappresentare alle istituzioni
comunitarie tutti quei problemi – e sono molti – anche di riforma
ordinamentale, che possano incidere sull'autonomia e l'indipendenza
della magistratura. E ciò sia a livello di modifiche di Consigli di
giustizia, che possano e debbano tutelare lo statuto del magistrato, sia
a livello di riforme sotterranee e più “insidiose”, che possono aggredire
una sfera di autonomia della giurisdizione nell'ambito di un panorama
che deve sempre essere più europeo
Vi è da dire, peraltro, che attualmente il network dei Consigli di
giustizia dialoga unicamente con la Commissione europea. In
prospettiva, però, è importante l'acquisizione di un peso politico
proprio nella realtà europea, anche in una prospettiva di dialogo con
le altre istituzioni, con il Parlamento e l'opinione pubblica europei.
123
L'obiettivo del network è proprio produrre dei documenti e addirittura
arrivare a intervenire laddove nei singoli Paesi aderenti al network vi
siano iniziative legislative che tendano a minare l'autonomia e
l'indipendenza della magistratura, con un giudizio unanimemente
riconosciuto da parte del network. Questo ovviamente sia in termini di
denuncia che di analisi. Se questa rete, che è molto giovane – nata nel
2004, come ho detto ha avuto personalità giuridica solo nel 2007 –
acquisisce una credibilità e un peso politico, in effetti può avere
un'importanza anche sotto il profilo della denuncia.
Ad esempio all'inizio dei Comitati direttivi il rappresentante di ogni
singolo membro nazionale rappresenta le cosiddette news, ovvero
cosa sta accadendo nel proprio Paese. Quando la Francia rappresenta
che è in atto una riforma costituzionale per cui viene ristabilita la
maggioranza dei componenti non togati in seno al Consiglio, o
rappresenta l'abolizione del giudice istruttore francese e la sua
sostituzione con un pubblico ministero che dipende dall'esecutivo,
capite che si pone un serio problema, almeno sulla carta, di
indipendenza della magistratura.
In prospettiva, se questo network acquisirà, come io credo e spero,
una credibilità a livello di istituzione europea, potrebbe fare questo
tipo di denuncia e se la Commissione in prima battuta, ma ovviamente
anche il Parlamento, decidesse di condividere questa preoccupazione,
potrebbe anche fare un atto che verrebbe ripreso non solo
dall'opinione pubblica francese ma anche da quella europea. Questa
potrebbe essere una forma di intervento europeo molto importante.
124
Clara Tracogna
Avvocato – Università degli Studi di Udine
LE GARANZIE DI IMPUTATI E INDAGATI IN PROCEDIMENTI PENALI
NELLA PROSPETTIVA DELL’ARMONIZZAZIONE TRA GLI STATI
MEMBRI DELL’UNIONE EUROPEA
1. Dal Libro verde del 2003 alla risoluzione del Consiglio del 30
novembre 2009
Mentre gli esponenti della magistratura possono vantare esperienze
concrete per disegnare l’ampio panorama nel quale utilizzano gli
strumenti della cooperazione e adoperano le potenzialità delle reti
giudiziarie, comprese quelle dedicate alla formazione, lo stesso non
può dirsi per un'altra figura fondamentale del processo, cioè il
difensore: infatti, salvo alcuni progetti pilota, mancano effettive reti di
contatto istituzionalizzate tra professionisti. Inoltre, tutto quanto
riguarda gli organismi rappresentativi dei difensori a livello europeo
nasce spontaneamente, su base volontaria e in assenza di un'azione
unitaria. Dal punto di vista del difensore, dunque, se è pur vero che
esiste il cappello della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, così
come interpretata dalla Corte di Strasburgo, è però da dire che le
iniziative europee sono ancora sostanzialmente ferme al Libro verde
della Commissione in materia di «Garanzie procedurali a favore di
indagati e imputati in procedimenti penali nel territorio dell’Unione
europea» del 20031.
1
Il Libro Verde in materia di «Garanzie procedurali a favore di indagati e imputati in
procedimenti penali nel territorio dell’Unione europea», pubblicato il 12 febbraio
125
È anzi proprio la risoluzione del Consiglio del 30 novembre 2009,
«relativa a una tabella di marcia per il rafforzamento dei diritti
procedurali degli indagati e imputati in procedimenti penali», a
ispirarsi al contenuto del Libro verde del 2003: fino ad oggi, infatti, non
è stato adottato alcun provvedimento in vista dell'armonizzazione dei
diritti di imputati e indagati coinvolti in procedimenti penali2.
Siamo quindi ancora lontani dalla creazione di una figura eventuale di
Difensore europeo, che forse potrebbe fungere da contraltare alla
creazione del Pubblico ministero europeo. Nella prospettiva del diritto
di difesa, quando si parla di potenziale, viene allora da pensare che ci
troviamo di fronte a una prateria da percorrere per arrivare a
un'armonizzazione delle garanzie nei diversi Stati membri.
Prima di analizzare alcuni dei punti principali individuati dal Consiglio
nella sua risoluzione del 30 novembre 2009, è opportuno rilevare
un’importante differenza rispetto a quanto precedentemente
prevedeva il Libro verde: infatti, mentre dal Libro verde del 2003 era
scaturita una proposta di decisione quadro, poi definitivamente
abbandonata nel 20073, avente carattere onnicomprensivo e nella
quale erano enucleati alcuni diritti procedurali, la risoluzione del
Consiglio fa una scelta diversa, cioè quella di individuare una serie di
tappe dedicandosi di volta in volta ai singoli diritti in materia
processuale. A ciascuna tappa corrisponderà uno strumento
normativo autonomo: in particolare, una direttiva. Questo perché si
2003,
è
reperibile
in
http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/site/it/com/2003/com2003_0075it01.pdf.
Il
documento si concentrava sulle seguenti aree: a) comunicazione dei diritti; b) tutela
dei gruppi vulnerabili; c) specifici diritti nel processo /procedimento (diritto
all’assistenza di un difensore, diritto all’assistenza di un interprete, diritto a
comunicare con il Consolato).
2
Vedila in G.U.U.E., C 295 del 4 dicembre 2009, p. 1 ss.
3
Si tratta della Proposta di decisione quadro in materia di determinati diritti
processuali in procedimenti penali nel territorio dell’Unione europea, doc. COM(2004)
328, del 28 aprile 2004, reperibile al seguente indirizzo web:
http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2004:0328:FIN:IT:PDF. La
proposta è decaduta soprattutto perché alcuni Stati hanno ritenuto che il problema
delle garanzie processuali è un affare interno; che per la tutela dei diritti ivi indicati era
sufficiente l’adesione di tutti i Paesi alla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo;
che l’approvazione della Proposta avrebbe comportato spese eccessive per gli Stati.
126
ritiene che un documento onnicomprensivo rischia, in ragione degli
inevitabili compromessi ai quali gli Stati si adeguano nell’iter di
approvazione, di annacquare i diritti stessi e di risolversi in mere
enunciazioni di principio.
2. Contenuto e prime attuazioni della risoluzione del Consiglio
del 30 novembre 2009
Il primo punto su cui si sofferma la risoluzione è dedicato al diritto
all'interpretariato e alla traduzione degli atti processuali. Il problema
della barriera linguistica è fortemente sentito: infatti, a partire dal
1998, la Commissione finanzia progetti per studiare le tematiche del
diritto all’interpretariato. Quello della mancata o cattiva conoscenza
della lingua nella quale si celebra il processo è effettivamente un
ostacolo che può compromettere la partecipazione consapevole di
indagati e imputati nel procedimento. In relazione a questo primo
settore individuato dal Consiglio, sono state presentate due proposte
di direttiva: la prima proviene dagli Stati (16 dicembre 2009), mentre la
seconda, gemella, presentata dalla Commissione (9 marzo 2010)4. Uno
dei punti fondamentali di queste proposte di direttiva è che si
individua il diritto all'interpretariato come distinto dal diritto alla
traduzione scritta dei documenti e degli atti processuali. È vero che
queste sono garanzie indicate e presenti nell’articolo 6 della
Convenzione europea dei diritti dell’uomo, tuttavia, la giurisprudenza
della Corte europea ha ritenuto sufficiente la presenza dell’interprete,
che non si risolve solo nella fase delle dichiarazioni in udienza, poiché
questi deve assistere l'indagato e l'imputato in tutte le fasi del
procedimento. In ogni caso, si riteneva non necessaria una traduzione
4
Nelle more della pubblicazione degli atti del convegno, il Parlamento ha
definitivamente approvato, il 16 giugno 2010, la direttiva in materia di interpretariato.
Si attende ora l’ultima approvazione da parte del Consiglio. Per i lavori di Parlamento e
Consiglio,
si
v.
http://www.europarl.europa.eu/oeil/file.jsp?id=5840482&noticeType=null&language
=en.
127
scritta degli atti processuali5. Ora, invece, il diritto alla traduzione
entrerà nella direttiva.
Come passo ulteriore, bisognerà chiedersi quali atti dovranno essere
necessariamente tradotti. La proposta di direttiva fa un elenco, che
però non è tassativo, indicando l’ordine di carcerazione, il capo di
imputazione, le prove documentali fondamentali, la sentenza, il
mandato di arresto europeo. Tuttavia, sia imputato che difensore
potranno presentare una richiesta motivata per ottenere la traduzione
di altri atti e documenti che ritengono fondamentali e, nel caso di
rigetto, è previsto un procedimento di impugnazione.
Alcuni problemi però rimangono sul versante interno. Uno di questi
riguarda la formazione e la scelta di interpreti e traduttori da parte
degli uffici giudiziari.
Innanzitutto, manca un albo nazionale per interpreti e traduttori. I
criteri per la scelta e la nomina di questi professionisti divergono non
solo tra diversi distretti di corte d'appello, ma anche all'interno dei
tribunali dello stesso distretto. Nel 2008 è stato presentato in
Parlamento un disegno di legge che propone la creazione di un albo
nazionale, il quale vuole essere anche presidio per garantire la
professionalità degli stessi. Tuttavia, il d.d.l. non è ancora approdato
alla discussione in aula. Mancano inoltre percorsi specifici, anche a
livello universitario, e in particolare nel settore della traduzione
forense.
Nell'ultimo documento che ha fornito lo spunto per la proposta di
direttiva, il cosiddetto «Status quaestionis», che è una pubblicazione
conclusiva del progetto finanziato dalla Commissione che prende il
nome di Agis II, un altro aspetto che in Italia senz'altro dovrà essere
preso in considerazione è quello dei compensi corrisposti a interpreti e
traduttori che lavorano per la giustizia. In questo studio si dice che “in
Italy pays are the worst part". Interpreti e traduttori ricevono infatti un
5
Cfr. CEDU, Hermi c. Italia, 18 ottobre 2006, n. 18114/02, nella quale la Corte afferma
che «il diritto all’assistenza di un interprete non riguarda solo le dichiarazioni in
udienza, ma anche gli atti scritti e la fase istruttoria: tuttavia, l’art. 6, par 3 lett. e della
Convenzione non richiede una traduzione scritta di ogni atto ufficiale e fa riferimento
a un interprete e non a un traduttore». La Corte ha quindi accertato la non violazione
dell’art. 6 della Convenzione.
128
compenso di € 5,70 l’ora. Lo stesso documento ricorda come questa
sia la ragione principale per cui i migliori interpreti e traduttori
semplicemente non accettano incarichi dagli uffici giudiziari italiani6.
Un ulteriore punto preso in considerazione dalla risoluzione del
Consiglio è quello relativo all'informazione del fatto contestato e dei
diritti che spettano all'accusato. La proposta di decisione quadro 2004,
che scaturiva dal Libro verde del 2003, prevedeva un allegato nel
quale erano indicate le informazioni che si dovrebbero comunicare
all'indagato nel momento in cui questo entra per la prima volta in
contatto con gli organi di giustizia o con la polizia giudiziaria.
Addirittura si pensava di creare una sorta di libriccino, in formato
elettronico o cartaceo, disponibile in tutte le lingue parlate nell'Unione
europea. A ciò si aggiungeva la necessaria redazione di un verbale che
attestasse l’avvenuta comunicazione. Tuttavia, rimane un
interrogativo: cioè quale potrebbe essere lo status di questa consegna
e quale la conseguenza, sul piano processuale, nel caso in cui queste
informazioni non vengano date? Si può parlare di nullità o di
inutilizzabilità delle dichiarazioni? La proposta non dava tuttavia una
risposta al quesito.
Dal punto di vista delle esperienze italiane, sembrano interessanti, in
vista della comunicazione del fatto contestato e dei diritti che
spettano a indagati e imputati, le cosiddette «Guide per i detenuti»,
che vengono consegnate al detenuto quando questo entra in carcere.
Le guide per i detenuti sono state elaborate sulla base di iniziative di
alcuni direttori di case circondariali. Sono state tradotte in moltissime
lingue e sono disponibili anche nelle lingue minoritarie7.
Questi esempi potrebbero essere utilizzati come spunto in vista della
comunicazione del fatto contestato e dei diritti che spettano
all’indagato e all’imputato.
Un altro aspetto interessante è quello che riguarda il diritto
all'assistenza legale e alla difesa. La sentenza CEDU del 13 maggio
1980, nel caso Artico c. Italia, definisce il contenuto del diritto, in
6
Cfr. il doc. SEC(2009) 916, presentato a Bruxelles l’8 luglio 2009.
Le guide per i detenuti sono rinvenibili in www.ristretti.it. Elaborate su iniziativa dei
direttori delle Case circondariali, sono state tradotte in diverse lingue (italiano,
albanese, arabo, francese, inglese, serbo, croato, spagnolo, arabo, rumeno).
7
129
particolare in relazione alla difesa d’ufficio8. Il Libro Verde del 2003 e la
Proposta di decisione quadro del 2004 assicuravano il diritto
all’assistenza legale nonché l’obbligo per lo Stato di fornire l’assistenza
legale gratuita (gratuito patrocinio). Lo stesso Libro verde del 2003,
soffermandosi sul difensore d'ufficio, ricordava che, in alcuni Paesi, la
difesa d'ufficio viene fornita pro bono, in caso d'arresto, da tirocinanti e
da studenti. Naturalmente ciò comporta il rischio che la professionalità
non sia adeguatamente garantita.
A questo proposito, è da ricordare la sentenza della Corte
costituzionale italiana numero 106 del 2010, che ha dichiarato
l'incostituzionalità delle norme in materia di ordinamento forense che
consentivano anche ai praticanti di iscriversi nelle liste dei difensori
d’ufficio. È vero che non è mancato chi ha criticato questa pronuncia,
perché numerosi nomi saranno depennati dalla liste e quindi si ridurrà
il numero dei difensori d’ufficio disponibili, tuttavia la decisione
assicura un livello minimo di professionalità, soprattutto nel contesto
di una nomina d’ufficio, che quindi prescinde dal rapporto di fiducia.
Per quanto riguarda la presenza del difensore nel corso del
procedimento, è da segnalare che, in tema di mandato di arresto
europeo, le Camere penali, nel mese di febbraio del 2009, hanno
inviato alla Commissione un documento nel quale si chiede di
introdurre nel formulario allegato alla decisione quadro che ha
8
La Corte ricorda che «lo scopo della Convenzione consiste nel tutelare diritti non
teorici e illusori, ma concreti ed effettivi; l'osservazione vale specialmente per quelli
della difesa tenuto conto del ruolo eminente che il diritto ad un processo equo, dal
quale essi derivano, riveste in una società democratica (sentenza Airey del 9 ottobre
1979, serie A n. 32, par. 24). L'art. 6, par. 1c, i delegati della Commissione l'hanno
sottolineato con cognizione di causa, allude a «assistenza» e non a «nomina». Orbene,
la seconda non assicura, da sola, l'effettività della prima perché l'avvocato d'ufficio può
morire, ammalarsi gravemente, avere un impedimento permanente o sottrarsi ai suoi
doveri. Se ne sono informate, le autorità devono sostituirlo o indurlo ad adempiere al
mandato. Adottare l'interpretazione restrittiva sostenuta dal Governo italiano
condurrebbe a risultati illogici, incompatibili con la formulazione dell'alinea c nonché
con l'economia dell'art. 6 considerato complessivamente; il gratuito patrocinio
rischierebbe di rivelarsi, in più di un'occasione, un'espressione vuota di significato».
Cfr., nel c.p.p. italiano: art. 105 c.p.p. e art. 30 n. att. c.p.p., rispettivamente per la
responsabilità disciplinare e penale dell’avvocato per i casi di abbandono e rifiuto
della difesa e per la nomina di un sostituto del difensore d’ufficio nominato.
130
introdotto il mandato d’arresto europeo un apposito spazio per
l'indicazione del nome del difensore del procedimento a quo, quello
su cui si fonda cioè il mandato di arresto europeo, perché sono state
registrate delle difficoltà anche solo nell’individuazione dell’avvocato
che opera nello Stato richiesto di consegnare il ricercato9.
Una problematica simile riguarda l'accesso agli atti del processo a quo,
perché la decisione quadro, come anche la nostra legge di
recepimento, prevede che l'acquisizione degli atti attualmente sia
possibile solo su richiesta dell’organo giurisdizionale e non invece
anche su input del difensore: perciò, le Camere penali chiedono di
estendere tale prerogativa anche all’avvocato e al suo assistito10.
La risoluzione del Consiglio prevede altre tre tappe. Innanzitutto, la
comunicazione con familiari, datori di lavoro e autorità consolari:
l'indagato o l'imputato sottoposto a privazione della libertà deve
essere sollecitamente informato del diritto di comunicare ad almeno
una persona, ad esempio un familiare o datore di lavoro, il suo stato di
privazione della libertà, restando inteso che ciò dovrebbe lasciare
impregiudicato il normale svolgimento del procedimento penale.
Inoltre, l'indagato o l'imputato sottoposto a privazione della libertà in
uno Stato di cui non è cittadino è informato del diritto di comunicare
alle autorità consolari competenti tale privazione.
Si prevede anche l’adozione di garanzie speciali per indagati o
imputati vulnerabili: al fine di assicurare l'equità del procedimento, è
importante rivolgere particolare attenzione agli indagati o imputati
che non sono in grado di capire o di seguire il contenuto o il
significato del procedimento per ragioni ad esempio di età o di
condizioni mentali o fisiche.
Infine, si procederà alla pubblicazione di un Libro verde sulla
detenzione preventiva: il tempo che una persona può trascorrere in
stato di detenzione prima di essere sottoposta a giudizio e durante il
procedimento giudiziario varia infatti considerevolmente da uno Stato
membro all'altro. Periodi di detenzione preventiva eccessivamente
lunghi sono dannosi per le persone, possono pregiudicare la
9
Cfr. il testo del documento delle Camere penali
http://media.camerepenali.it/201001/5213.pdf?ver=1.
10
V. il documento in http://media.camerepenali.it/201001/5212.pdf?ver=1.
131
reperibile
in
cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri e non corrispondono ai
valori dei quali l'Unione europea è portatrice11.
3. Garanzie della difesa e conflitti di giurisdizione
Oltre al contenuto della risoluzione del Consiglio, è interessante
verificare anche il ruolo, del tutto recessivo, che ricopre il difensore
nelle procedure per la prevenzione e la risoluzione dei casi di
11
Il tema della disciplina disomogenea delle misure cautelari tra gli Stati membri è
stato già oggetto di analisi in Cass., sez. un., 30 gennaio 2007, Vllaznim, in
Diritto&Giustizi@, 6 febbraio 2007, relativa all'interpretazione dell'ipotesi di rifiuto della
consegna obbligatoria in tema di mandato d'arresto europeo: il riferimento è all'art.
18, lettera e della legge 69 del 2005, che ha recepito la decisione quadro sul mandato
d’arresto europeo. Quella disposizione prevede un’ipotesi di rifiuto obbligatorio della
consegna nel caso in cui lo Stato richiedente non conosca termini massimi della
custodia cautelare in carcere, riproducendo letteralmente l'articolo 13 della nostra
Costituzione. Le Sezioni unite hanno offerto un'interpretazione convenzionalmente
orientata, piuttosto che costituzionalmente orientata, facendo salva la norma e al
contempo dando luogo alla consegna anche verso uno Stato che non conosce termini
massimi di custodia cautelare. Nei Paesi europei esistono due modelli di disciplina:
uno che prevede termini rigidi per la durata delle misure cautelari e uno che invece
preferisce predisporre le cosiddette continuous reviews, in base alle quali a
determinate scadenze il giudice competente andrà a verificare che persistono i
presupposti e le esigenze cautelari per il mantenimento della misura. Le Sezioni unite
hanno fatto tesoro di alcune pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo, la
quale non ha mai manifestato una preferenza per l’uno o l’altro modello. Tuttavia, è
vero che la nostra Costituzione prevede dei termini massimi, e che quella previsione
era stata fedelmente riprodotta nella legge 69 del 2005: quindi si è in fondo scavalcato
un dispositivo presente in Costituzione per favorire la cooperazione. In questo caso la
posizione del ricercato potrebbe essere però deterrente, nel senso che la consegna
potrebbe appunto avvenire verso uno Stato che non conosce limiti massimi di
carcerazione preventiva, pur imponendo il meccanismo delle continuous reviews. Il
tema è di incandescente attualità e recentemente un gruppo di studio dell'Università
di Tillburg ha pubblicato, su finanziamento della Commissione europea, un ampio
studio sulle misure cautelari, proprio perché si avverte la necessità di arrivare a una
serie minima di disposizioni e garanzie comuni. Lo studio è reperibile all’indirizzo:
http://ec.europa.eu/justice/doc_centre/criminal/procedural/doc_criminal_procedural
_en.htm.
132
litispendenza e di conflitti di giurisdizione tra Stati. L’Unione si è
dotata di una decisione quadro ad hoc, approvata il 30 novembre
2009, cioè in limine all'entrata in vigore del trattato di Lisbona. Lo
stesso Parlamento aveva richiesto un rinvio della discussione, che però
avrebbe portato alla decadenza della proposta e richiesto l’avvio di un
nuovo iter normativo12.
Nel corso della procedura di approvazione, la decisione quadro ha
subito una sorta di “dieta dimagrante”: in ogni passaggio, spariva
qualcosa dall’articolato e i consideranda, oltre a superare in numero gli
articoli, dicono quasi più del testo normativo stesso. Questa decisione
appare insomma annacquata e finisce per scontentare un po' tutti. Più
nel dettaglio, essa introduce la necessità, per l'autorità di uno Stato
che abbia fondato motivo di ritenere che anche in un altro Stato si stia
procedendo per i medesimi fatti nei confronti della stessa persona, di
avviare un procedimento di scambio di informazioni e di consultazioni
con l'autorità dell’altro Stato al fine di individuare quale sia l’autorità
mieux placée per procedere.
Tuttavia, tra le critiche si possono muovere, si deve ricordare che è
sparito il concetto di significant link, che serve a individuare quando
effettivamente ci sia un collegamento significativo tra fatto di reato e
Stato tale da giustificare l'inizio di una procedura di consultazione;
inoltre, la durata della procedura di consultazione non è più scandita. Il
deficit più grave è dato dalla mancanza di criteri per l’individuazione
dello Stato al quale spetterà la giurisdizione. Peraltro, anche i criteri
indicativi contenuti nel considerando n. 9 e il rinvio a quelli utilizzati da
Eurojust non paiono soddisfacenti: questi stessi criteri sono generici,
orientativi, non vincolanti. Inoltre, non sono redatti secondo un
criterio gerarchico. Lo stesso ruolo di Eurojust si sposta in secondo
piano, perché coinvolta solo nel caso in cui gli Stati autonomamente
non riescano a trovare un accordo, mentre nella proposta di decisione
quadro lo Stato poteva chiederne l'intervento per coordinare
l'individuazione dell'autorità competente in qualsiasi momento.
L'Italia dovrà recepire la decisione quadro in questione entro il 15
giugno 2012: il recepimento potrebbe porre delle questioni di
12
Si tratta delle decisione quadro 2009/948/GAI del 30 novembre 2009, in G.U.U.E., L
328, del 15 dicembre 2009, p. 42 ss.
133
compatibilità con i nostri principi costituzionali almeno sotto tre
profili. Prima di tutto l'articolo 24 Cost., in materia di diritto di difesa,
perché né l’imputato né il difensore sono coinvolti nel procedimento
di consultazione per l'individuazione dello Stato competente. In
secondo luogo, l’art. 25 Cost. con il principio del giudice naturale
precostituito per legge, che rischia a sua volta di essere compromesso:
anche se è vero che la Corte costituzionale ha ritenuto che il concetto
di naturalità del giudice si esaurisce a livello interno, ciononostante è
pur vero che il principio di territorialità nella distribuzione della
giurisdizione viene utilizzato nelle normative di settore13. Tuttavia,
nella decisione quadro sulla prevenzione e risoluzione dei conflitti, è
lampante proprio il fatto che manchino dei criteri per l’individuazione
dell’autorità competente a procedere nel caso concreto: si finisce così
per scavalcare il principio della precostituzione del giudice, che è
garanzia riconosciuta anche dall’art. 6, § 1, della Convenzione europea
dei diritti dell’uomo. In questo modo il giudice che andrà a decidere
sarà scelto nella “stanza dei bottoni”, con la totale estromissione del
difensore e dell'imputato, che nulla potranno dire. Il fenomeno è
quello che viene comunemente chiamato forum shopping, nel senso
che saranno le autorità giudiziarie a scegliere quale sia quella mieux
placée per procedere.
L’ultimo punto di frizione è quello con il principio dell’obbligatorietà
dell'azione penale: nel nostro ordinamento, una volta esercitata
l'azione penale, per i caratteri della irretrattabilità della stessa, si deve
arrivare a una sentenza. In che modo quindi coordinarsi con uno Stato
nel quale pende un procedimento, quando da noi è già stata
esercitata l'azione penale? È da dire però che esistono già dei casi in
cui l’Italia declina la propria giurisdizione in favore di uno Stato terzo,
ma ciò avviene sulla base di precise disposizioni che indicano anche i
13
Si pensi all’art. 9 della decisione quadro 2002/475/GAI sulla lotta contro il
terrorismo, in G.U.U.E., L 164 del 22 giugno 2002, p. 3 ss. nonché all’art. 10 della
decisione quadro 2005/2227GAI relativa agli attacchi contro i sistemi di informazione,
in G.U.U.E., L 69 del 16 marzo 2005, p. 67 ss. Per le pronunce della Corte cost., v. sent.
27 giugno 1973, n. 96 nonché sent. 26 settembre 1990, n. 446.
134
criteri per individuare lo Stato competente14, mentre attualmente tali
criteri mancano del tutto.
4. Le reti di contatto tra professionisti: l’esperienza di Penalnet
Da ultimo, riguardo alle reti di professionisti, si deve dire che qualche
passo è stato compiuto. In questo ambito, è fondamentale il ruolo che
il Consiglio delle avvocature europee sta svolgendo in vista della
creazione del Portale europeo e di Penalnet, rispettivamente
piattaforme virtuali dedicate al mondo della giustizia in Europea e alla
predisposizione di contatti tra i difensori di diversi Stati membri.
Il 31 maggio 2010 si è conclusa la raccolta delle informazioni relative
alle garanzie della difesa nel processo penale all'interno di ciascun
Paese. Il Consiglio delle avvocature europee ha inviato ai vari Consigli
nazionali un formulario che, su base spontanea, verrà compilato dai
vari avvocati, con l'indicazione delle garanzie al momento
dell'introduzione del processo penale, di quelli relativi all’accesso
all’assistenza e consulenza di un difensore, delle garanzie nel corso
delle indagini preliminari, durante il processo e al termine dello stesso,
oltre ad una serie di informazioni riguardanti le infrazioni in materia di
circolazione stradale.
Entro il 16 agosto 2010 il Consiglio delle avvocature europee aveva
fissato la data per l’invio alla Commissione di tutti questi documenti
tradotti. Per ciascun Paese vi è quindi un modulo unitario, proprio per
contribuire alla creazione del portale europeo, in modo che questo
costituisca anche una piattaforma per il contatto tra i diversi avvocati.
14
Cfr. l’art. 8 della l. 5 ottobre 2001, n. 367, di ratifica dell’Accordo bilaterale con la
Svizzera del 10 settembre 1998 in materia di assistenza giudiziaria, laddove è previsto
che il giudice italiano, a richiesta di parte e sentito il p.m., dispone con ordinanza la
sospensione del procedimento penale, ed ogni sei mesi dalla pronuncia di tale
ordinanza, o anche prima laddove opportuno, verifica lo stato del procedimento
penale in corso all’estero. Un’ipotesi di trasferimento del procedimento penale è stata
inoltre introdotta dagli artt. 3 e 4 della l. 2 agosto 2002, n. 181, in materia di
cooperazione con il Tribunale internazionale per i crimini commessi in Ruanda e nei
vicini Stati.
135
Tra gli esperimenti già operativi, va ricordato il progetto pilota
Penalnet, che è stato finanziato nel 2007 ed è stato lanciato nella
primavera del 2009, poi presentato pubblicamente a Madrid il 24
settembre 2009. Aderiscono a Penalnet i cinque Consigli nazionali
forensi di Spagna, Francia, Ungheria, Romania e Italia.
Un insieme di trecento “avvocati collaudatori” per Stato, selezionati
sulla base della propria iscrizione all'albo, della conoscenza linguistica
e dell'esperienza in diritto penale, hanno dato avvio al progetto. In
seguito all’adesione a Penalnet, gli “avvocati collaudatori” ricevono un
kit con una sim card e un dispositivo per la lettura del microchip, in
modo da assicurare un accesso al sito con un'identità elettronica, che
consente uno scambio sicuro con l'avvocato collega dell'altro Stato.
Tutti i documenti che vengono scambiati sono assimilati allo scambio
di raccomandate, quindi potranno essere prodotti in giudizio.
Infine, il sito web Penalnet è collegato anche all’Epractice.eu, ovvero il
sito che si occupa dello scambio delle best practices nei servizi
professionali in Europa.
136
Sergio Gerotto
Ricercatore di Istituzioni di Diritto Pubblico
Dipartimento di Diritto Comparato – Università degli Studi di Padova
Facoltà di Scienze Politiche – Università degli Studi di Trieste
LE “RETI GIUDIZIARIE” NEL DIRITTO COMPARATO
Il tema del convegno è di quelli che intimoriscono lo studioso, o almeno che
dovrebbero intimorirlo. Il termine “rete” cela infatti molto più di ciò che svela. Il
concetto che ad esso è collegato – ma sarebbe meglio parlare al plurale, di
concetti –, è molto più sfuggente di quello che siamo soliti attribuirgli. Succede
spesso con i termini che per qualche ragione diventano di uso comune di perdere
la profondità dei concetti loro collegati. L’uso comune erode i concetti, o, da altra
prospettiva, che può sembrare antitetica, l’uso comune arricchisce il termine di
ulteriori concetti, da cui l’apparente erosione di quello originario. Personalmente
mi sento intimorito anche dal fatto che, a differenza di tutti gli altri partecipanti al
convegno, non sono stato invitato in virtù, o in funzione, di una determinata
competenza in materia, ma per una sorta di sfida nei confronti di tema nuovo agli
studiosi, e in particolare ai comparatisti.
Dopo l’affermazione del World Wide Web, il termine “rete” evoca soprattutto un
concetto: la condivisione di informazioni. Ad esso fanno da corollario due requisiti
fondamentali: da un lato la libertà di accesso alle informazioni stesse, dall’altro la
libertà di contribuire alla loro formazione e diffusione. Questa accezione del
termine “rete”, ma soprattutto delle implicazioni che essa comporta con
riferimento al mondo delle informazioni, si è affermata in tempi piuttosto recenti.
È ovvio che qualsiasi fra i molti concetti collegati ad un termine non può non
variare in relazione al contesto in cui quest’ultimo viene utilizzato. Nulla quaestio
che una rete giudiziaria, per la tipologia di informazioni che si trova a veicolare,
non può essere caratterizzata dalla libertà di accesso ad esse, né, tantomeno, dalla
libertà di contribuire a formarle ed a diffonderle. È dunque necessario specificare
meglio il termine in funzione dell’uso che se ne deve fare. Dirò forse una banalità,
137
ma la “rete giudiziaria” è, allora, una struttura atta a collegare operatori della
giustizia in modo da consentire l’interscambio di informazioni per facilitare lo
svolgimento delle loro (peculiari) funzioni.
Su questa definizione c’è sicuramente ancora molto da dire, ma in prima
approssimazione ci è sufficiente per muovere qualche passo nella direzione di una
analisi di tipo comparato. Nonostante questo tipo di approccio sia, per formazione,
quello più congeniale al sottoscritto, devo ripetere che il tema mi ha intimorito, e
mi intimorisce tutt’ora. Ho trovato qualche difficoltà ad approfondirlo dalla
prospettiva del comparatista, per delle ragioni di cui dirò.
Ci sono almeno due possibilità per il comparatista di affrontare il tema delle reti
giudiziarie. Una è quella di esaminare come la struttura reticolare1 prevista prima
dall’Azione Comune 98/428/GAI del 29 giugno 1998, poi dalla Decisione del
Consiglio 2008/976/GAI del 16 dicembre 2008, che abroga la prima2, sia stata
implementata nei vari stati dell’UE. Una analisi di questo tipo è però difficile da
portare a termine perché richiede informazioni cui l’accesso non è libero. Ad
esempio, sarebbe interessante verificare la struttura del sistema di punti di
contatto nazionali, ma a questa informazione si può accedere, attraverso il sito
della rete europea di giustizia in materia penale, mediante un password che viene
rilasciata ai soli “addetti ai lavori”3. Ho comunque reperito alcune informazioni in
proposito, che però sono solo di seconda mano. La struttura è molto variegata.
L'Italia, ad esempio, ha un numero molto alto di punti di contatto, mentre in altri
Stati ne esiste solo uno. È ovvio che questo dato dovrebbe essere contestualizzato.
La presenza di più o meno punti di contatto può dipendere infatti da molti fattori
(scarsa volontà politica di crearli; sistema giudiziario di un certo tipo piuttosto che
altro; dimensione più o meno estesa dello Stato). L’informazione è però utile per
1
Uso volutamente il binomio “struttura reticolare” in luogo del termine rete, che
ritengo troppo riduttivo. Ritengo anche più confacente il binomio “sistema reticolare”
per le ragioni che spiegherò nelle pagine che seguono.
2
Esiste altresì una rete giudiziaria in materia civile e commerciale istituita con una
decisione del Consiglio del 28 maggio 2001, sul modello della rete in materia penale.
3
Uso le virgolette perché in realtà dal sito non si ricava questa limitazione. La
password dovrebbe essere fornita, secondo quanto specificato proprio nel sito, a chi la
richieda specificando il motivo per cui desidera accedere alle informazioni. Avendola
richiesta, senza poi ottenerla, devo dedurne che i motivi di studio e ricerca, da me
specificati, non sono ritenuti sufficienti a consentire l’accesso alle informazioni non
pubbliche contenute nel sito.
138
capire che si tratta di una rete disomogenea, e questo ha di sicuro delle
conseguenze sul piano della sua funzionalità.
Un’altra prospettiva possibile per il comparatista è quella di interrogarsi
sull'esistenza in altri contesti di sistemi di cooperazione assimilabili ad una rete
giudiziaria. Ci si aspetterebbe di trovare strutture simili in contesti di tipo
decentralizzato, cioè in ordinamenti che attuano la decentralizzazione come
sistema di organizzazione dei poteri statali, e in particolare quello giudiziario. In
realtà sorprende notare come non esistano strutture di tipo reticolare, ma
piuttosto strutture spontanee di tipo associazionistico, le quali hanno come scopo
di mettere in contatto, ma non in rete, corti e giudici appartenenti allo stesso
sistema o in sistemi diversi.
Ne cito solo due a titolo di esempio. La prima è il National Centre for State Courts4
(NCSC) negli Stati Uniti. Si tratta di una organizzazione indipendente senza scopo
di lucro sorta nel 1971 su stimolo del Chief Justice della Corte Suprema Warren
Burgen, le cui finalità sono principalmente di fungere in vario modo da ausilio
nell’attività delle varie corti statali. Anche se queste finalità sono molto ambiziose –
addirittura, afferma lo stesso NCSC attraverso il suo sito, rinforzare la rule of law e
promuovere la collaborazione tra le corti nazionali e tra le associazioni di corti
nazionali –, il NCSC non rappresenta una “rete” in senso tecnico perché non veicola
informazioni di natura giudiziaria, fungendo semplicemente, se si può dire, come
punto di contatto fra i giudici nazionali con il compito di facilitare uno scambio di
idee fra di essi. Non voglio con questo sminuire l’importanza di questo centro, ma
è un fatto che la sua natura è del tutto diversa dalla Rete giudiziaria europea in
materia penale, come anche quella in materia civile, del resto.
Un discorso analogo si può fare per l’Association des Cours Constitutionnelles ayant
en Partage l'Usage du Français (ACCPUF)5. Anche in questo caso non si tratta di una
vera e propria rete, ma di un'associazione, sempre su base volontaristica, di organi
con funzione giudicante a livello costituzionale, organi cioè che hanno la funzione
di pronunciarsi, in ultima istanza, su questioni di costituzionalità, interpretando la
Costituzione al fine di risolvere i conflitti che insorgono fra questa e le norme ad
essa sottoposte. Nel caso dell’ACCPUF si tratta ancor meno di una “rete” nel senso
tecnico in cui l’ho descritta nelle pagine che precedono. Lo scambio di
informazioni di natura giudiziaria non c’è e non può esserci per il semplice fatto
che un’associazione spontanea ed indipendente non può varcare i confini della
4
5
http://www.ncsc.org/default.aspx.
http://www.accpuf.org/.
139
sovranità statale. Fermo restando il valore dello strumento (non sono come quei
maligni che hanno paragonato l’ACCPUF ad un Golf Club di natura giudiziaria), che
comunque consente il confronto di esperienze diverse, anch’esso si trova su un
piano assolutamente diverso da quello della Rete giudiziaria europea in materia
penale (e civile).
A questo punto vien da fare una considerazione. Se è vero che è difficile
riscontrare nella realtà esempi di reti giudiziarie, intese in senso tecnico, è pur vero
che il concetto di rete è, in fin dei conti, connaturato all'agire umano. Ognuno di
noi agisce sulla base di una serie di contatti e di conoscenze, e sulla base di queste
conoscenze crea una rete personale che può essere più o meno ampia. Se è vera la
teoria dei sei gradi di separazione, in base alla quale con sei passaggi ciascuno di
noi è in grado di trovare un collegamento con qualsiasi altra persona al mondo,
ciascuno di noi ha in sé, potenzialmente, una rete mondiale. Ma anche se la teoria
non è dimostrata, il grado di espansività della struttura reticolare in cui ciascuno di
noi è inserito è amplissimo.
Guardando alla storia recente ci si può rendere conto di come questa dimensione
dell’agire umano possa avere un ruolo anche nell’ambito dei sistemi giudiziari. Nel
corso degli anni ’90, in epoca dei processi Mani pulite, alcuni magistrati, italiani e
stranieri, in collegamento tra loro, promossero un appello per la creazione di uno
spazio giuridico europeo, il cosiddetto appello di Ginevra6, poi ripreso dai media
con una certa eco anche in sede comunitaria. Più che lo stesso appello, è
importante l’ambiente che ne ha creato le premesse. Questi magistrati si
vedevano, si scambiavano informazioni sui rispettivi Paesi, come anche opinioni
sul malfunzionamento di un Paese o di un sistema piuttosto che di un altro. Quasi
sicuramente si scambiavano informazioni relative ai processi in corso. Si può dire
che agissero in una struttura di tipo reticolare. Non certo in una rete vera e propria.
Una rete informale, per così dire, che però ha avuto l'efficacia di creare uno spazio
comune tra questi magistrati.
L’esempio citato mi ha spinto ad alcune riflessioni. La prima: mi ripeto ma è
importante, quei magistrati non hanno agito nell’ambito di una “rete”, ma non si
può non riconoscere che si sono mossi nell’ambito di un “struttura reticolare”. È
una distinzione che mi pare interessante. Sono due dimensioni distinte, ma che
possono intrecciarsi e finanche sovrapporsi. Da una parte la “rete” intesa in senso
6
Questi magistrati erano Bernard Bertossa, Edmondo Bruti Liberati, Gherardo
Colombo, Benoit Dejemeppe, Baltasar Garzon Real, Carlos Jimenez Villarejo, Renaud
Van Ruymbeke.
140
tecnico come istituzione è quella, ad esempio, creata con determinate
caratteristiche dall’UE con l’Azione Comune 98/428/GAI e la Decisione del
Consiglio 2008/976/GAI. Dall’altra la “struttura reticolare” è l’ambito in cui
concretamente si sono trovati ad agire i magistrati di cui ho detto. Una “rete”,
dovutamente implementata e funzionante dà vita ad una “struttura reticolare”,
mentre una “rete” che rimane sulla carta non dà vita a nulla.
Seconda considerazione. Posta la distinzione tra “rete” intesa come istituzione e
sistema reticolare come dimensione dell’agire umano, il modello europeo di “rete”
sembra essere unico. Da un primo esame, sicuramente superficiale e lacunoso,
sembra che le cose stiano in questi termini. È vero, l'Unione europea è una cosa a
sé e quindi anche gli strumenti di armonizzazione e cooperazione che si utilizzano
all'interno dell'Unione europea difficilmente possono essere trovati in altri
contesti, visto che non ci sono contesti simili. Ma i motivi di questa diversità di cose
dovrebbero essere ulteriormente indagati. A prima vista sembra strano che simili
forme organizzative non si riscontrino in ordinamenti di tipo decentrato, come gli
Stati federali, ma forse tutto può spiegarsi facilmente con il fatto che negli
ordinamenti federali non c’è una vera e propria esigenza di mettere in rete la
giustizia, visto che questa si colloca su due piani distinti: quello locale e quello
federale. Ad ogni modo, ripeto, la questione andrebbe approfondita.
Se mancano esempi di reti istituzionalizzate, non mancano, come ho detto quelli
di associazioni, non istituzionalizzate, e sistemi reticolari, com’è il caso dei
magistrati firmatari dell’appello di Ginevra nel 1996. Qui si inserisce una ulteriore
distinzione tra un sistema reticolare ed una rete. Il primo, se non è
istituzionalizzato, è assolutamente libero ed in quanto tale è anche incontrollabile.
Essendo libero, infatti, è liberamente espandibile. Il magistrato che vuole parlare
con un proprio collega, magari a cena, può scambiare informazioni di vario tipo, a
volte anche confidenziali, e questo non è controllabile, a meno che, ovviamente, la
cosa non sia nota e non abbia rilievo giuridico di qualche tipo, penale ad esempio.
La rete europea di giustizia in materia penale è però una vera e propria rete
istituzionalizzata, cioè creata con un atto formale allo scopo di adempiere ad uno
scopo ben preciso rispettando regole definite. Il contesto in cui deve collocarsi
questa rete giudiziaria è sicuramente quello della cooperazione. Si tratta infatti di
un modo di implementare la cooperazione in ambito giudiziario. La rete è una
forma della cooperazione, non certo l’unica. Una cooperazione, però, che in
seguito all'entrata in vigore del trattato di Lisbona, ha come finalità quella di creare
uno spazio di giustizia, libertà e sicurezza, quindi una cooperazione di tipo molto
141
particolare. Non è banale dire che la rete europea di giustizia si collochi in questo
contesto, perché vi è una serie di conseguenze che ne derivano. Ad esempio,
trattandosi di cooperazione, si applica anche a questo settore il principio della
leale cooperazione, previsto dai trattati. Ci sono sentenze che (anche) sulla base
del principio di leale cooperazione, ricavano l'obbligo di interpretazione conforme
degli atti del terzo pilastro. Il caso Pupino rientra in questo filone
giurisprudenziale7. La decisione ha dato vita ad un acceso dibattito per la sua
capacità di produrre effetti su un procedimento penale in corso all’interno di uno
Stato membro (nel caso di specie l’Italia stessa, poiché il caso riguardava una
maestra accusata di maltrattamenti nei confronti di minori). Secondo la Corte di
Giustizia le decisioni quadro di cui al terzo pilastro sono soggette ad
interpretazione conforme. La legge nazionale, cioè, deve essere interpretata in
senso conforme alla decisione quadro. Ne discende anche la diretta applicabilità
delle decisioni quadro. In altre parole, la creazione di uno spazio giuridico europeo
si starebbe realizzando anche in via giurisprudenziale attraverso l’impiego di
principi come quello di leale cooperazione. E soprattutto il valore degli atti in
questione, fra i quali si annoverano anche quelli che hanno dato vita alla stessa
rete giudiziaria in materia penale, ne esce in qualche modo rafforzato.
Nell'ambito della cooperazione si colloca anche un altro importante principio del
diritto comunitario, quello dell'indifferenza dell'Unione europea rispetto
all'organizzazione territoriale degli Stati membri. L'Unione europea non dovrebbe,
in teoria, agire in modo tale da alterare la struttura di organizzazione territoriale
del potere, neanche attraverso lo strumento della rete. La questione andrebbe
ulteriormente indagata, ma mi pare che vi siano delle potenzialità di interferenza
della rete nella struttura interna degli Stati. Si tratta di un circolo vizioso. Per non
interferire è necessario lasciare agli Stati membri ampia libertà nel processo di
implementazione della rete, ma così facendo la struttura reticolare che viene a
crearsi potrebbe essere (di fatto è) molto disomogenea, e questo non le permette
di funzionare bene. È banale a dirsi, ma facendo un paragone con le reti
informatiche è evidente che una rete mal assortita, composta ad esempio di
computer vetusti insieme a computer super moderni, non può funzionare bene.
La cooperazione, in seno all’Unione europea, è di tipo pluridirezionale. Essa fa
infatti uso di strumenti ed attori che non sono quelli a cui siamo abituati negli
ordinamenti di tipo statuale. La rete ne è un esempio. Ma per l'UE non è cosa
nuova usare questo tipo di strumento. Essa l’ha impiegato anche in altri contesti,
7
CGCE, C – 105/03, noto come caso Pupino.
142
prima che nella cooperazione giudiziaria (ad esempio in materia commerciale), in
due diversi modi. Quando la Commissione, o un’altra istituzione europea, ha delle
competenze, può venir creata una rete, al di sopra della quale, verticisticamente, si
pone la Commissione stessa come coordinatore. In questo caso c’è dunque
sempre un coordinamento di tipo verticistico. In altri casi viene creata un’agenzia.
Questo modello, noto come il sistema delle agenzie, funziona molto spesso come
coordinamento a rete delle autorità statali competenti nella materia in cui l’UE
intende coordinare. Questo secondo pattern mi sembra possa essere quello che
potrebbe essere implementato rafforzando il ruolo di EuroJust attribuendogli dei
poteri di tipo giudiziario-investigativo.
Quali potrebbero essere le conseguenze o le influenze sulla funzione
giurisdizionale derivanti dall'utilizzo dello strumento della rete in ambito europeo?
Il dottor Spiezia sostiene che la rete è già uno strumento superato, se non ho
interpretato male le sue parole, perché EuroJust ha già fatto qualcosa di più con
un “coordinamento verticistico leggero”8. A mio parere la rete, o perlomeno quello
che mi sembra possa fare la rete, dovrebbe aiutare la creazione di uno spazio di
giustizia, libertà e sicurezza. Di per sé la rete non ha alcun valore se non in funzione
del raggiungimento di questo obiettivo.
Questo obiettivo, la creazione cioè di uno spazio di giustizia, libertà e sicurezza, o
meglio, uno spazio di giustizia europea, è già in atto al di fuori ed al di là della
presenza di uno strumento di tipo reticolare. Ne è prova certa giurisprudenza,
come quella, per fare un solo esempio, che ricava la responsabilità dello Stato per
la mancata attuazione degli obblighi comunitari, quando questa mancata
attuazione derivi dall’azione, o anche dalle omissioni, di un organo di tipo
giurisdizionale9.
In sostanza mi pare che la creazione di uno spazio giuridico europeo sia già in atto,
e che si tratti di una dinamica che in qualche modo prescinde dalla rete. Prescinde
dalla rete ma può averne un ausilio, nel senso che tale dinamica può dipendere, e
8
Uso le sue stesse parole.
CGCE, C-224/01, nota come caso Köbler. In tale sentenza viene appunto
riconosciuto che lo Stato membro è responsabile per il mancato adempimento di un
obbligo comunitario derivante da una decisione quadro (nella fattispecie la decisione
che istituisce il mandato d’arresto europeo) anche quando esso derivi da un
comportamento o da una omissione dell’autorità giudiziaria, fosse anche di un organo
giudicante in ultima istanza. Con ciò si può dire, significativamente, che neppure il
principio dell’intangibilità del giudicato sarebbe in grado di interrompere il nesso che
lega lo Stato alla sua, e non di altri, responsabilità.
9
143
dipende, sia dalla strutturazione di particolari istituzioni – la trasformazione di
EuroJust, ad esempio, o la creazione di un procuratore europeo –, o attraverso
l’implementazione di una rete, anzi, per meglio dire, di un sistema reticolare. A
voler fare un collegamento di concetti, in forma quasi sillogistica, si potrebbe dire
che se il concetto di spazio lambisce quello di dialogo, questo lambisce quello di
rete. Le istituzioni che dialogano cooperano e quando cooperano fanno nascere
uno spazio comune. Se non cooperano non dialogano e non ne nasce nulla, tanto
meno uno spazio comune. Il problema è che il dialogo in genere è inteso a due,
ma quando le voci sono tante, come nelle reti, o nei sistemi reticolari, che per me
restano concetti distinti, tutto diventa più difficile.
Per illustrare meglio questo rozzo sillogismo posso rispondere al dottor Spiezia,
che ritiene il coordinamento un modo per superare la cooperazione. Secondo il
dottor Spiezia EuroJust potrebbe diventare una istituzione in grado di coordinare i
sistemi dei vari paesi europei. Ciò nell’assunto che il coordinamento sia un
qualcosa che funzioni se diretto verticisticamente, seppure in “forma leggera”. Il
professor Toniatti mi è parso perplesso circa questo modello di “coordinamento
verticistico leggero”. Il coordinamento, dice Toniatti, o è alto coordinamento, o
non è nulla. Premesso che posso essere io ad aver mal interpretato, devo dire di
trovarmi un po’ in disaccordo con questa visione, in “disaccordo leggero” per
rubare la battuta allo stesso Toniatti. Secondo me l'alto coordinamento è solo una
delle forme di coordinamento, non l’unica. Ce ne possono essere, di forme di
coordinamento intendo, che richiedono un ausilio (più o meno leggero) che viene
dall'alto. Ora, ammesso e non concesso che ciò sia vero, si tratta di stabilire quale
forma di coordinamento si intende implementare. Nella sua relazione il dottor
Spiezia ha fatto riferimento alla creazione di un procuratore europeo, precisando
che per crearlo bisogna partire dalla funzione che ad esso si intende far svolgere, e
non da un particolare modello. Pienamente d’accordo sulla demarche, e farei la
stessa cosa per il coordinamento inteso in senso lato: partiamo dalla funzione che
vogliamo dare al coordinamento e decidiamo qual è il modello che andiamo a
implementare.
A riprova di quanto io sia d’accordo con questo approccio posso dire, in piena
sintonia con il dottor Spiezia, che il coordinamento mi sembra possa addirittura
superare la non ancora risolta antinomia, riferita all’ordinamento comunitario, tra
modello federale e modello intergovernativo, vexata quaestio nel processo di
integrazione europea. Dirò anche di più, il coordinamento può addirittura
superare, potenzialmente, il modello federale. Spesso infatti i sistemi federali sono
144
scoordinati, proprio in conseguenza dell'autonomia che hanno gli enti territoriali. Il
sottoscritto è stato giudicato in sede penale in Svizzera, da un giudice cantonale,
per un'infrazione al codice della strada. Tutto è avvenuto a completa insaputa
dell’imputato, che ha avuto comunicazione del dispositivo solo a giudizio
avvenuto. Ma com’è possibile che ciò sia avvenuto, visto che la Svizzera è
firmataria della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle libertà fondamentali, che ha peraltro anche ratificato? L'articolo 6, giusto
processo, della CEDU non dice che l'imputato deve essere adeguatamente
informato? La risposta l’ho capita col tempo. Mancanza di coordinamento. I
cantoni fanno quello che credono perché non c’è coordinamento fra di essi e fra di
essi e lo Stato centrale. E lasciatemi dire che un sistema scoordinato è anche un
sistema inefficiente. Nel caso di specie la polizia stradale commina una sanzione di
750 CHF; interviene poi un procedimento penale che stabilisce che la sanzione era
semplicemente di 20 CHF; scatta l’obbligo alla restituzione di 730 CHF. Il tutto
condito da una traduzione ufficiale per comunicare gli atti all’imputato,
scomodando anche la procura di Venezia con una rogatoria internazionale.
Quanto è costato al sistema tutto questo, per una sanzione di 20 CHF, all’epoca dei
fatti non più di 15 €? Non è un sistema tanto coordinato, né tanto efficiente, e direi
anche un po' stupido.
Su un punto mi trovo invece in pieno accordo con il professor Toniatti. Più vicino è
un sistema reticolare alla funzione giurisdizionale, massima è la ricaduta che esso
può avere all'interno degli stessi ordinamenti. Cito un'altra volta la Svizzera.
Proprio in virtù (alcuni svizzeri direbbero a causa di) della vicinanza alla funzione
giurisdizionale della Corte europea dei diritti dell'uomo, la Svizzera si è risolta a
introdurre in via giurisprudenziale un controllo di costituzionalità delle leggi
federali, che fino a poco tempo fa non aveva. Il Tribunale federale si è ad un certo
punto avveduto di non poter fare quello che invece era consentito alla Corte di
Strasburgo. Questo perché i diritti stabiliti dalla CEDU coincidono con quelli
riconosciuti dalla stessa Costituzione svizzera. Se la Corte europea dei diritti
dell'uomo può dire che una legge federale viola i diritti della Convenzione europea
dei diritti dell'uomo, è come se dicesse che è incostituzionale, perché viola i diritti
sanciti in costituzione. A questo punto è meglio che lo faccia il Tribunale federale.
Ne è nato il cosiddetto “controllo di convenzionalità”. E questa è una ricaduta di
massimo grado nell’ordinamento interno.
145
Parte III^
LE CONSEGUENZE
PER LA FUNZIONE GIURISDIZIONALE
Daniela Bifulco
Professore Associato di Istituzioni di Diritto Pubblico
Università degli Studi di Napoli II
PREMESSA
Buongiorno a tutti. Non voglio dimenticare di ringraziare l'Università di Trento e la
Provincia, per questa splendida accoglienza, e il professor Toniatti per aver
pensato a queste giornate di studi.
Introdurrò brevemente l'argomento del giorno, anche grazie a quello di cui si è
parlato ieri. Oggi si parlerà delle conseguenze della funzione giurisdizionale nel
sistema delle reti e vorrei comunicare qualche impressione che ho maturato,
anche ascoltando gli interventi di ieri.
Dopo aver letto dei saggi sull'argomento che stiamo trattando si è rafforzata una
sensazione in merito al tema delle reti, e cioè che occorra affrontare questo tema
evitando il rischio di una certa retorica che accompagna questo discorso. Una
retorica, forse un'ipocrisia del pensiero, anche inconsapevole, che certamente non
è appannaggio del giurista in quanto tale ma che appartiene, come avrebbe detto
il sociologo Bourdieu, a qualsiasi campo culturale, giuridico o non giuridico. Un
campo culturale che crede nelle proprie forme, nelle proprie categorie e tenta di
obliterarne di volta in volta il carattere spesso arbitrario. Criticando il “giuridicismo”
Bourdieu si riferiva a quel tipo di pensiero riscontrabile nei più svariati ambiti di
ricerca, non soltanto giuridico,che pretende di rendere conto delle pratiche
enunciando le regole a partire dalle quali si suppone che le pratiche stesse siano
prodotte.
Con questo intendo dire che, nella maggior parte delle cose che ho letto sul tema,
si converge su un medesimo punto: la creazione degli strumenti di cooperazione è
presentata come una tappa logica, evidente. Spesso, non a caso, alcuni ricorrono
alla logica neo-funzionalista, tipica di un nutrito filone di studi sull'integrazione
europea.
149
Forzando non poco il dato normativo. Il rafforzamento della cooperazione viene
presentato spesso come risultato naturale, il prodotto ineluttabile di
un'evoluzione, di un progresso.La sovranità, poi, è puntualmente evocata come
elemento che spiega le resistenze. Molti lavori insistono, a monte, sull'idea di un
nuovo spazio penale europeo, in base al quale assumere le regole comuni, sempre
in tema di diritto penale, di procedura penale. Si insiste anche molto sull'idea di
pubblico ministero europeo. I problemi non sono pochi, come ieri è stato chiarito.
Ascoltando ieri il discorso sul pubblico ministero, ho ricordato delle belle pagine in
cui Michel Foucault ragionava sulla nascita della procura in Francia. Chiedendosi il
perché della nascita dei procuratori, l’Autore chiariva che le procure nacquero nel
momento in cui i sovrani si resero conto di non poter gestire più da soli i propri
interessi ed ebbero quindi bisogno di delegare a terzi, i procuratori, appunto, la
cura degli stessi. Tornando a noi: anche la procura europea mi sembra soffrire di
questo schema. Quali sarebbero i reati da perseguire secondo il procuratore
europeo? Quali gli interessi da proteggere? Innanzitutto, è chiaro, gli interessi
finanziari della Comunità europea. Non a caso, ieri la necessità della procura è stata
invocata proprio a partire dall’OLAF, che protegge, appunto, gli interessi finanziari
della comunità. Ma quali sono gli altri interessi? Come si scelgono e chi li sceglie?
Quali interessi e quali reati andare a perseguire? Il problema, a monte, è quello
delle fattispecie penali comuni, che mancano. La mia pietra d'inciampo è questa:
manca tutto il diritto penale comune, non esiste; se ne parla, se ne scrive, ma dov’è
la norma comune? Non c'è, manca ancora.
Molto spesso sono trascurati i punti relativi agli attori in gioco, le loro
rappresentazioni, le loro narrazioni. Molto spesso si trascura il fatto che la
cooperazione penale europea è stata caratterizzata da logiche informali di
cooperazione.
Ciò detto, mi sembra che la dimensione normativa non sia ancora al cuore della
preoccupazione degli attori istituzionali, di coloro che decidono. Contrariamente
all'immagine di una progressiva formalizzazione e armonizzazione di tutto ciò che
attiene alla cooperazione penale europea, questo ambito sembra piuttosto essere
caratterizzato da logiche informali di cooperazione, da lotte istituzionali, dai
soggetti burocratici, di cui ci parlava ieri Mattia Magrassi, il quale diceva
giustamente che il soggetto burocratico è tutt'altro che neutrale, essendo invece
portatore di interessi molto parziali, non comuni a tutti.
Per quanto mi riguarda dunque starei attenta a un discorso un po' retorico che
accompagna sempre questi studi sul tema, perché la retorica che accompagna la
150
cooperazione è sempre la stessa: l'apertura delle frontiere ha generato più scambi
incontrollati e le rogatorie hanno tempi troppo lunghi; le differenze di procedura
penale tra gli Stati fanno gioco a favore delle organizzazioni criminali che, come si
sa, non conoscono frontiere; la realizzazione della cooperazione giudiziaria è il
naturale complemento di quelle di polizia (ricordiamo che la cooperazione di
polizia è nata ben prima, negli anni ’70). Si afferma spesso che la naturale
evoluzione della cooperazione delle forze di polizia è stata la cooperazione
giudiziaria. Dopo l'11 settembre, a maggior ragione, l'incombenza della minaccia
terroristica rende vieppiù questo discorso urgente e condivisibile.
L'intervento del dottor Roia in merito alle posizioni inglesi circa la sicurezza e la
lotta contro la criminalità mi è sembrato molto significativo. Anche il discorso sulla
sicurezza, che naturalmente alimenta il discorso sulle reti e sulla cooperazione, non
deve essere considerato dagli studiosi, dai giuristi, come un dato obiettivo, ma
come il risultato di credenze, di rappresentazioni, di narrazioni definite dai giochi
istituzionali, politici e sociali. Narrazioni molto spesso definite male dal diritto. Il
diritto è in affanno rispetto a queste definizioni. Dov’è la regola, dov’è il diritto,
rispetto, ad esempio, alla definizione di terrorismo internazionale?
Quali che siano le scelte politiche, queste ultime prendono sempre forma attorno
a una certa narrazione, allo scopo di rendere intelligibili fenomeni estremamente
complessi, allo scopo di semplificarli e stabilizzare le narrazioni a partire dalle quali
quelle decisioni politiche saranno poi assunte.
Vorrei dire altre cose sulla funzione giurisdizionale, ma a questo punto mi fermo e
mi riservo di ascoltare prima i nostri relatori ed eventualmente di intervenire in un
secondo momento.
Darei la parola ora a Pasquale Profiti, magistrato a Trento.
151
Pasquale Profiti
Magistrato
Trento
UN CASO DI STUDIO: IL PROGRAMMA DEL CONSIGLIO D’EUROPA A
SUPPORTO DELL’ISTITUZIONE DELLA SCUOLA DELLA MAGISTRATURA
ALBANESE
Grazie a tutti gli organizzatori per l'invito. Ritengo doveroso rubarvi non più di un
minuto per spiegare le ragioni per le quali, ritengo, gli organizzatori abbiano
pensato ad un mio intervento. Sono pubblico ministero a Trento, ho sempre fatto
il pubblico ministero e non ho mai voluto abbandonare questa mia attività.
Per quale motivo dunque sono qui oggi a parlare di reti europee? Perché nel 2003,
il Consiglio d'Europa rivolse al CSM italiano la richiesta di poter usufruire di un
magistrato italiano per aiutare la scuola della magistratura albanese nelle sue
prime tappe di sviluppo. Decisi, in maniera abbastanza estemporanea, di
presentare la mia candidatura; altri colleghi fecero altrettanto. All'esito di una
valutazione, il Consiglio superiore della magistratura, unitamente al Consiglio
d'Europa, mi proposero la possibilità di fare questa esperienza in Albania, che durò
un anno.
Un anno in cui, sia pure non a tempo pieno, ho lavorato a Tirana, alla scuola della
magistratura albanese.
L’opzione del Consiglio d’Europa di chiedere un magistrato italiano derivava dal
fatto che la cultura giuridica albanese era particolarmente devota alla cultura
giuridica italiana. La richiesta d’inquadrava in un programma di sviluppo a favore
dell’Albania finanziato dalla Commissione europea ed attuato dal Consiglio
d'Europa.
Si trattava di un supporto alla scuola della magistratura albanese che rientrava in
un c.d. joint program: la Commissione europea metteva a disposizione risorse
finanziarie al Consiglio d'Europa; quest’ultimo, avvalendosi della sua rete di esperti
153
internazionali, dava attuazione concreta all’assistenza a beneficio di paesi
beneficiari di un supporto per il raggiungimento e mantenimento di standards
europei riconosciuti.
Da qui partì la mia esperienza, un anno alla scuola della magistratura. Non sono
mai andato fuori ruolo, rimasi pubblico ministero con un parziale esonero dal
lavoro.
Da qui partì un successivo coinvolgimento in altri programmi di assistenza nel
settore giudiziario, sempre del Consiglio d’Europa e/o della Commissione europea:
Kosovo, Bosnia, Macedonia, Georgia.
Vengo alla sostanza.
La magistratura italiana tuttora non ha un’operativa scuola per la magistratura.
Le competenze in materia di formazione dei magistrati sono per noi esercitate dal
Consiglio superiore della magistratura. Come magistrati italiani, avevamo un
bagaglio culturale che era quello dell'indipendenza della magistratura, che
inglobava anche l'indipendenza della formazione e quindi portavamo questo
postulato istituzionale.
In secondo luogo avevamo un'esperienza all'interno del Consiglio della
magistratura come formazione e quindi avevamo alcune chiavi didattiche da
poter esportare.
Ci mancava però, come italiani, la struttura della scuola.
Qui veniamo al primo punto importante di queste esperienze internazionale di cui
vi parlerò: non sono mai a senso unico, non c'è mai un canale di trasferimento
unilaterale: il paese asseritamente più sviluppato che porta cultura, nozioni più
progredite rispetto a un altro. Normalmente è uno scambio reciproco. Quando si
parla di standards ed indicatori europei, di aquis communitaire, in realtà si parla di
principi dotati di una certa genericità, che sicuramente devono stare alla base di
ogni discorso ma che, allo stesso tempo sono spesso attuati in maniera frastagliata
anche nei Paesi tradizionali dell'Unione europea. Non solo. Talora in alcuni dei
Paesi scontano anche dei ritardi, anche in quei paesi che fin dall'origine hanno
aderito all'Unione europea.
Mi piacerebbe parlare, più che di integrazione, di un reciproco arricchimento.
In effetti la scuola della magistratura albanese dal punto di vista dell'architettura
istituzionale ha un congegno istituzionale di governante da cui imparare e
possiamo tuttora farlo, nel momento in cui ci accingiamo a varare la nostra scuola
della magistratura. La scuola della magistratura albanese ha un Consiglio di
amministrazione che garantisce da un lato l'indipendenza, dall'altro
154
un'integrazione di apporti esterni da parte non solo del potere esecutivo ma
anche dell'Università e degli stessi studenti, che arricchisce il programma di
formazione.
Al tempo stesso ha un ulteriore aspetto, estremamente importante, su cui sono
sicuro che l'Italia dovrà confrontarsi a seguito di queste esperienze che stiamo
facendo e che saranno utili se l'Italia le sfrutterà: il delicato rapporto che c’è tra la
formazione e la valutazione di professionalità; tra la scuola della magistratura e,
laddove esistano, i Consigli superiori della magistratura; tra coloro che si occupano
della formazione dei magistrati e coloro che si occupano della carriera dei
magistrati. È qualcosa di delicatissimo, perché di primo acchito si potrebbe dire
che in fondo è giusto: la formazione è un elemento essenziale per valutare la
professionalità di un magistrato e quindi anche la sua carriera. Sostanzialmente
allora ci deve essere una subordinazione o comunque un collegamento, una
dipendenza funzionale della scuola rispetto al Consiglio superiore della
magistratura.
Se noi andiamo a vedere invece ciò che ha scritto il Consiglio consultivo dei giudici
europei del Consiglio d'Europa ed osserviamo come sono organizzate le nuove
scuole dei nuovi paesi democratici, si vede che giustamente, sebbene vi sia un
rapporto, un riferire, un comunicare i propri programmi formativi e, sebbene nei
Consigli di amministrazione di queste scuole vi sia una presenza di membri del
Consiglio superiore o un rappresentante del Consiglio superiore della
magistratura, non è mai un rapporto di dipendenza funzionale ed è giusto che sia
così, perché altrimenti vi sarebbe un asservimento delle finalità di sviluppo
scientifiche, del bagaglio professionale in generale, a logiche di carriera.
Nell'ambito di queste attività presso la scuola e, ancora una volta, dimostrando che
il rapporto è di arricchimento reciproco più che di integrazione, si è svolta una
precipua formazione sui nuovi codici di procedura penale che i colleghi di quei
paesi dovevano maneggiare.
Tutti questi Paesi di cui ho parlato, il Kosovo, l'Albania, la Macedonia, la Georgia e
la Bosnia si sono dotati di nuovi codici di procedura penale. In questi Paesi è stata
molto sentita l’importanza di avere dei nuovi codici di procedura penale ad
impronta europea. Nel 2003 in Italia, sembra preistoria, la prospettiva europea nei
giudici e nei magistrati italiani era assolutamente a livelli arcaici. Parlare nel 2003,
sette anni fa, della giurisprudenza della Corte europea e utilizzare questa
giurisprudenza per interpretare le nostre norme era pionieristico, sembrava di
parlare di fantascienza. Mentre per questi Paesi, che avevano avuto la possibilità di
155
avere una formazione da parte di giudici che venivano da molti Paesi europei,
questo era il postulato iniziale. Anche il codice albanese, che molti dicevano fosse
una fotocopia di quello italiano, mostrava la formazione che i colleghi avevano
ricevuto sui principi europei di procedura penale, che da questo punto di vista
soverchiavano le conoscenze del magistrato medio italiano, di gran lunga.
Un esempio: loro avevano acquisito la consapevolezza, che all'epoca noi non
avevamo ancora, del problema delle dichiarazioni acquisite nella fase delle
indagini preliminari, che potevano essere utilizzate nel dibattimento. Una
qualcosa che all'epoca per noi italiani era scontata e anch'io, facendo il pubblico
ministero, mi sfregavo le mani: i coimputati si avvalevano della facoltà di non
rispondere; il P.M. produceva le dichiarazioni acquisite in sede di indagini
preliminari senza contraddittorio. La prassi era già condannata da Strasburgo, ma
la maggior parte della giurisprudenza non ne era a conoscenza, non se ne
preoccupava. Invece per i colleghi albanesi, dove avevano copiato le nostre
norme, questa era una preoccupazione che determinava un’interpretazione
conforme alle giurisprudenza CEDU, attenuando il valore probatorio di quelle
dichiarazioni.
L'ignoranza, perché di questo si è trattato, delle magistratura anche di alto livello –
perché questi meccanismi prima del 111 erano stati considerati costituzionali e
quindi anche le giurisdizioni superiori avevano avallato queste disposizioni – ha
portato non solo alla modifica del 111, ma anche a due norme del codice di
procedura penale (197 e 197 bis c.p.p.) assolutamente ingestibili, la cui lettura è
ermetica, a dir poco. Tutti noi navighiamo a vista. Questo per dire come questo
rapporto reciproco è assolutamente essenziale anche per il Paese asseritamente
più sviluppato.
Ultimo dato: a cominciare dal 2007 in Italia il Consiglio superiore della magistratura
ha avviato delle attività di cooperazione nell'ambito di progetti di cosiddetti di
twining. So che ieri il collega Perilli vi ha accennato di cosa si tratta: è la
presentazione di un'offerta progettuale nei vari settori del giudiziario per un
bisogno di adeguamento a standards europei di taluni paesi beneficiari. Tale
bisogno costituisce l’oggetto di un bando della Commissione europea. Una
procedura competitiva. In tre casi il CSM è riuscito ad aggiudicarsi questi progetti
europei: due in Albania e nell'ultimo caso la Romania.
Parlo dell'ultima esperienza, quella della Romania, che porta a compimento i primi
due passi fatti in Albania, per il Consiglio superiore albanese e per la procura
generale albanese.
156
In Romania stiamo lavorando per il Consiglio superiore della magistratura rumena,
Consiglio superiore che comprende sia pubblici ministeri che giudici, a differenza
di quello albanese che riguarda i soli giudici.
In questo caso secondo me tutti gli Stati europei si arricchiscono, più che
reclamare un'integrazione degli altri nel proprio sistema. I rumeni, per migliorare il
loro sistema di valutazione di professionalità dei magistrati e per migliorare il loro
sistema di valutazione di efficienza ed equità del giudiziario (rispettivamente
valutazione individuale e valutazione sistemica), hanno chiesto uno studio
comparato. La Romania giustamente vorrebbe non buttare via il proprio sistema,
ma prima avere un quadro di ciò che si muove in Europa, avendo la
consapevolezza che in Europa il quadro non è unitario. Ci sono Paesi che hanno il
Consiglio superiore e Paesi che non ce l'hanno, ci sono paesi in cui il Consiglio
superiore è incentrato sulla carriera del magistrato, come in Italia ma anche la
Spagna e un po' il Belgio e la Francia, mentre vi sono Paesi, come l'Olanda, dove
invece il Consiglio superiore è incentrato sull'efficienza del sistema in generale. Lì
la carriera del magistrato è in secondo piano. Il Consiglio superiore in Olanda ha
come primo obiettivo quello di far fronte alla cosiddetta accountability, cioè
rendere conto della propria efficienza.
Hanno dunque questa consapevolezza e hanno chiesto uno studio comparativo.
Una volta che lo studio comparativo è stato elaborato, vogliono sapere dagli
esperti, in questo caso dagli italiani, ma qualcun altro avrebbe potuto vincere al
nostro posto, che cosa, secondo questa valutazione comparata, è possibile
utilizzare in chiave positiva nel loro sistema rumeno, per la valutazione di
professionalità dei magistrati e per la valutazione di efficienza ed equità del
sistema giudiziario.
È un modo intelligente, perché andando a vedere cosa c'è in Europa si trovano
veramente degli approcci completamente differenti. Laddove i Consigli superiori
sono nati per la difesa dell'indipendenza, si è avuta una disattenzione storica
all'efficienza del sistema giudiziario. Laddove invece i Consigli superiori sono nati
non per difendere l'indipendenza ma per far fronte all’accountability, alla
responsabilità, allora si è preferito incentrarsi sull'efficienza. Ora questi due sistemi
stanno arrivando a una sintesi, che è quella che stiamo cercando di effettuare in
Romania ma aggiornando dei materiali di studi comparativi che in realtà erano
abbastanza datati, perché la rete dei Consigli di giustizia europea aveva prodotto
gli ultimi materiali ufficiali di comparazione che ormai risalivano al 2005. Non più
validi per l'Italia che ha riformato l'ordinamento giudiziario nel 2007, non validi
157
neanche per la Francia che ha avuto una riforma della Costituzione nel 2008, non
validi nemmeno più per il Belgio che ha avuto un'evoluzione del sistema di
organizzazione giudiziario. Dunque, grazie a questa richiesta intelligente del
Consiglio superiore rumeno vi sarà la possibilità di avere del materiale di
comparazione utile per tutti gli altri Paesi che porterà, come dicevo prima, non ad
un'integrazione maggiore della Romania, ma ad un arricchimento della Romania e
degli altri Paesi.
Infine alcune brevi considerazioni su alcune osservazioni che riguardano il ruolo
dei consigli di giustizia o consigli superiori della magistratura in Europa.
L’esportazione del modello italiano nei paesi dell'Est, è vera per quanto concerne i
giudici, per quello che posso saperne io. Tra l'altro è un'esportazione non del
modello italiano in quanto tale, sarebbe narcisistico affermare questo, ma è la
consapevolezza degli organismi europei della validità di questo modello. Vale per i
giudici, non necessariamente per i pubblici ministeri. Però i Consigli di giustizia
nascono da presupposti diversi.
Come ho detto inizialmente, ci sono i Consigli inseriti nella Costituzione, che
nascono per difendere l'indipendenza della magistratura e, progressivamente,
hanno un sistema di valutazione della carriera dei magistrati che tradizionalmente
è basata sullo sviluppo della carriera del singolo; ma negli ultimi tempi sono andati
acquisendo sempre maggiore consapevolezza che in realtà la valutazione dei
magistrati è funzionale all’esigenza e all’equità del sistema, sia come parametri di
valutazione sia come organi valutatori, sia come partecipazione e consapevolezza
del singolo magistrato alla propria autovalutazione.
Ciò vale sia per l'Italia negli ultimi tempi, con esempi molto concreti sul punto, sia
ad esempio per il Belgio. Il Consiglio di giustizia però esiste anche laddove
inizialmente non era previsto per difendere l'indipendenza ed è nato in Olanda,
secondo me con un esempio molto significativo: nasce nel 2002 e può addirittura
ricevere direttive dal Ministro, ma in realtà il ministro utilizza un self restraint
notevole. Le nomine degli uffici giudiziari dipendono dal governo, il quale però si
attiene alle indicazioni del Consiglio.
Il Consiglio olandese nasce proprio per l’accountability. Nel momento si prende
atto che il giudiziario trova la sua legittimazione nella sovranità popolare, che non
è quella della singola maggioranza che volta per volta si crea con le elezioni, ma
deriva dalle Costituzioni, la sua indipendenza va garantita anche sotto l’aspetto
finanziario. È vero dunque che non si possono utilizzare strumenti finanziari o
impropri da parte dei governi per condizionare l'indipendenza dei magistrati.
158
Necessariamente quest'autogoverno dei giudici, che più o meno si sta instaurando
ovunque, si è reso conto e ha la consapevolezza che sempre di più, più che alla
valutazione ai fini della carriera del magistrato, deve porsi l’attenzione sulla
responsabilità nei confronti della collettività. Oggi in Belgio, in Olanda, ma anche
in Italia, il magistrato che viene valutato deve dimostrare anche di avere raggiunto
degli obiettivi di efficienza del sistema. Addirittura in Belgio mentre si valuta il
magistrato, il valutatore è scelto dall'assemblea dei magistrati dell'ufficio, come in
Romania.
La valutazione del collega belga parte dal singolo magistrato con un colloquio con
il suo valutatore in cui si stabiliscono gli obiettivi che per i successivi tre anni quel
magistrato deve raggiungere, in termini di maggiore funzionalità del proprio
ufficio e del proprio ruolo, che non è solo smaltimento ma è anche rapporto con
l'utenza, è il rispetto dei diritti umani, oltre alla possibilità di dimostrare di aver
fatto dei miglioramenti nella parte informatica dell'ufficio oppure nella gestione
dei protocolli organizzativi delle udienze.
Da questo punto di vista se i Consigli di giustizia vengono utilizzati in maniera
positiva vi è un recupero della democraticità. Il sistema giudiziario si sta rendendo
conto che se vuole mantenere il proprio autogoverno nei termini in cui gli
standard internazionali lo suggeriscono anche ai paesi dell'Est, deve rendere conto
di come gestisce questo potere in maniera responsabile verso la collettività. La
valutazione di professionalità si sta spostando da una classifica dei magistrati – tu
sei al primo posto e vai a dirigere quell'ufficio – verso una valutazione
dell'efficienza per mettere la persona giusta al posto giusto che non vuol dire un
ruolo superiore, ma dargli il ruolo in cui nel giudiziario è più adatta e ha più
spiccate attitudini.
159
Antonino Alì
Professore Associato di Diritto Internazionale
Facoltà di Giurisprudenza
Dipartimento di Scienze Giuridiche
Università degli Studi di Trento
LE RETI GIUDIZIARIE EUROPEE E LA COMUINITARIZZAZIONE DEL
DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO E PROCESSUALE
Il tema delle reti giudiziarie europee acquista un significato peculiare
nella prospettiva del diritto internazionale privato e processuale, e in
particolare, nel quadro del fenomeno della “comunitarizzazione” del
diritto internazionale privato e processuale1.
E’ noto che, a seguito dell’attribuzione di nuove competenze
comunitarie con il Trattato di Amsterdam del 1997, la Comunità
europea è intervenuta per mezzo di regolamenti2 in un settore in cui,
fino a quel momento, le forme di azione erano intergovernative e,
dunque, gli strumenti utilizzati per uniformare la disciplina del diritto
1
F. MOSCONI – P. CAMPIGLIO, Diritto internazionale privato e processuale, Parte
generale e obbligazioni, Vol. I, Torino, 2010, p. 15 ss.; P. DE CESARI, Diritto internazionale
privato e processuale comunitario, Milano 2004, p. 59 ss.; J. BASEDOW, The
Communitarisation of the Conflict of Laws under the Treaty of Amsterdam, in Common
Market Law Review, 2000, p. 687; A. FIORINI, The Evolution of European Private
International Law, in International Comparative Law Quaterly, 2008, p. 969. V. P.
FRANZINA, Il ruolo della rete giudiziaria europea nell’applicazione e nello sviluppo degli
strumenti della cooperazione giudiziaria in materia civile, in N. Boschiero – P. Bertoli (a
cura di), Verso un “ordine comunitario” del processo civile – Atti del Convegno
interinale della Società italiana di diritto internazionale (Como, 23 novembre 2007),
Napoli (Editoriale Scientifica), 2008, p. 185-199.
2
Più raramente con direttive.
161
internazionale privato (in senso ampio) tra gli Stati membri erano i
trattati internazionali.3
All’indomani dell’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam l’1
maggio 1999 sono stati adottati, in un primo momento, regolamenti
che hanno avuto per oggetto il diritto processuale civile internazionale
e, in particolare, gli aspetti relativi alla competenza e al riconoscimento
e all’esecuzione delle decisioni giudiziarie4; la cooperazione nel settore
dell’assunzione di prove5, la notificazione e comunicazione degli atti
giudiziari ed extragiudiziali6, l’istituzione di un titolo esecutivo
europeo per i crediti non contestati7; il procedimento europeo
d’ingiunzione di pagamento8; il procedimento per le controversie di
modesta entità9; i modi alternativi di risoluzione delle controversie (e
in particolare la mediazione)10. Da ultimo, il regolamento relativo alla
3
Si allude, in particolare, alla Convenzione di Bruxelles del 1968 sulla competenza
giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale e alla
Convenzione di Roma del 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali.
4
Regolamento CE n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la
competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia
civile e commerciale (in GUCE L 12/1 del 16 gennaio 2001); Regolamento CE n.
2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al
riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di
responsabilità genitoriale, che abroga il regolamento (CE) n. 1347/2000 (in GUUE L
338/1 del 23 dicembre 2003); Regolamento CE n. 1346/2000 del Consiglio, del 29
maggio 2000, relativo alle procedure di insolvenza (in GU L 160/1 del 30 giugno 2000).
5
Regolamento CE n. 1206/2001 del Consiglio, del 28 maggio 2001 (in GU L 174/1
del 27 giugno 2001).
6
Regolamento CE n. 1393/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13
novembre 2007 , relativo alla notificazione e alla comunicazione negli Stati membri
degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile o commerciale ( notificazione o
comunicazione degli atti) e che abroga il regolamento (CE) n. 1348/2000 del Consiglio
(in GUUE n. L 324/79 del 10 dicembre 2007).
7
Regolamento CE n. 805/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile
2004 (in GUUE L 143/15 del 30 aprile 2004).
8
Regolamento CE n. 1896/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12
dicembre 2006 (in GUUE L 399/1 del 30 dicembre 2006).
9
Regolamento CE n. 861/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’ 11
luglio 2007 (in GUUE L 199/1 del 31 luglio 2007).
10
Direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008
(in GUUE L 136/3 del 24 maggio 2008.)
162
competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione
delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni
alimentari11.
Negli anni successivi l’Unione ha adottato regolamenti relativi ad
aspetti di diritto internazionale privato in senso stretto e cioè quelli
sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali ed
extracontrattuali12. Guardando agli strumenti adottati nel corso
dell’ultimo decennio, può notarsi che, in alcuni casi, vi è stata una
trasformazione, con naturali e opportuni aggiornamenti, degli
strumenti internazionali in precedenza adottati; in altri casi, sono stati
approvati provvedimenti “nuovi”: tappe fondamentali nella creazione
di uno spazio giuridico europeo basato sul principio del reciproco
riconoscimento delle decisioni giudiziarie.
Come affermato dalla Commissione e dal Consiglio nel Programma di
misure adottato nel dicembre 2000 per l’abolizione progressiva
dell’exequatur in quattro settori, i provvedimenti adottati implicano un
livello di fiducia sempre maggiore tra le autorità giudiziarie degli Stati
europei.13 Una fiducia reciproca è nella logica stessa del diritto
internazionale privato, che implica l’apertura a valori giuridici
incorporati nella legge straniera e a decisioni rese da giudici stranieri. 14
11
Regolamento (CE) n. 4/2009 del Consiglio, del 18 dicembre 2008 , relativo alla
competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e
alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari (in GUUE L 7/1 del 10 gennaio
2009).
12
Il 20 dicembre 2010 sulla base della procedura di cooperazione rafforzata è stato
adottato il regolamento sul divorzio n. 1259/2010 del Consiglio del 20 dicembre 2010
relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata nel settore della legge
applicabile al divorzio e alla separazione personale (in GUUE L 343/10 del 29.12.2010).
V. anche il futuro regolamento sulle successioni (proposta di regolamento
concernente la competenza, la legge applicabile, e il riconoscimento e l'esecuzione
delle decisioni e degli atti pubblici in materia di successioni e la creazione di un
certificato successorio europeo, presentata dalla Commissione in data 14 ottobre
2009).
13
Sul punto, v. P. BERTOLI, Verso un diritto processuale civile comunitario uniforme: l’
ingiunzione europea di pagamento e le controversie di modesta entità, in Riv. Dir. Inter.
Priv. e Proc., 2008, p. 396 ss.
14
Così, P. FRANZINA, L’azione dell’Unione europea nel settore del diritto internazionale
privato e processuale, in Revista Direitos Fundamentais & Democracia, 2010, p. 8.
163
Questi provvedimenti nel loro complesso aumentano, per utilizzare
una terminologia propria nel linguaggio informatico, le capacità di
interconnessione tra organi giurisdizionali e, più in generale, degli
operatori giuridici nell’Unione europea, non limitandosi al
coordinamento tra ordinamenti statali, ma dando altresì “una precisa
direzione a quel coordinamento, in quanto “ordinano” il pluralismo
delle esperienze giuridiche statali in vista del soddisfacimento di
precisi obiettivi e nel rispetto di precisi valori”.15
E’ sullo sfondo di questo quadro normativo sempre più ricco e
prolifico che intendo svolgere la mia breve analisi sulle reti giudiziarie
europee nel settore civile. E’ questo un tema che non è stato ancora
esaminato nella sessione di oggi, focalizzata sugli aspetti della
cooperazione giudiziaria penale.
Come affermato dal Consiglio, l’obiettivo dello sviluppo di uno spazio
di libertà, sicurezza e giustizia da parte dell’Unione europea e del buon
funzionamento del mercato interno può essere raggiunto attraverso il
miglioramento, della semplificazione e dell’accelerazione dell’effettiva
cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri in materia civile e
commerciale16.
La cooperazione giudiziaria raggiunta mediante i citati regolamenti, e
ancor prima attraverso accordi internazionali, ha generato forme di
collegamento tra organi giurisdizionali. Già da diverso tempo si può
registrare, infatti, l’esistenza di una rete informale, basata su
collegamenti potenziali, tra tutti i giudici che si occupano della
materia civile e commerciale.
Oggetto di questa sintetica panoramica non è tanto il profilo relativo
alla crescente fiducia tra gli organi giurisdizionali europei, quanto il
tema degli strumenti adottati per facilitare da un punto di vista
materiale la cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri dell’Unione
europea nel settore civile e commerciale.
15
Sempre P. FRANZINA, cit., p. 9.
V. il Regolamento CE n. 743/2002 del Consiglio del 25 aprile 2002, che istituisce
un quadro generale comunitario di attività per agevolare la cooperazione giudiziaria
in materia civile.
16
164
La rete giudiziaria europea trova il suo precedente immediato nel
meccanismo previsto dall’Azione comune 97/277/GAI del 22 aprile
1996, «relativa ad un quadro di scambio di magistrati di collegamento
diretto a migliorare la cooperazione giudiziaria fra gli Stati membri
dell’Unione europea».17 In questo documento, dopo aver rilevato che
«gli Stati membri ritengono di comune interesse l’adozione di misure
tendenti a migliorare la cooperazione giudiziaria, sia penale che civile»,
si sottolineava che la funzione dei magistrati di collegamento era
quella di facilitare e di accelerare «tutte le forme di cooperazione
giudiziaria in campo penale e, se del caso civile».
Con l’Azione comune 98/428/GAI del 29 giugno 199818 veniva istituita
una Rete Giudiziaria Europea (RGE) per far fronte ai fenomeni della
grande criminalità (in particolare quella organizzata), della corruzione,
del traffico di droga e del terrorismo.19
A pochi mesi di distanza, nel Piano di Azione del 1998 del Consiglio e
della Commissione per l’attuazione del Trattato di Amsterdam20 veniva
sottolineata la necessità di un’estensione al settore della giustizia civile
del meccanismo della RGE già previsto per il settore penale. Pertanto,
il Consiglio il 28 maggio 2001 adottava la decisione 2001/470/CE,
istituendo una rete giudiziaria europea in materia civile e commerciale
(d’ora innanzi “RGE civile”, per distinguerla da quella penale, “RGE”
17
GUCE L 105/1 del 27 aprile 1996. L’azione comune prevedeva «un quadro di invio
o scambio di magistrati o di funzionari particolarmente esperti nel campo delle
procedure riguardanti la cooperazione giudiziaria […] fra gli Stati membri, in base ad
accordi bilaterali o multilaterali».
18
GUCE L 191/4 del 7 luglio 1998.
19
La letteratura in materia è vasta; si rinvia a E. CALVANESE – G. DE AMICIS, La rete
giudiziaria europea: natura, problemi e prospettive, in Cassazione Penale, 2001, p. 698; M.
FLETCHER – R. LOOF – B. GILMORE, EU Criminal Law and Justice, Edward Elgar, 2008, p.
74 ss.
20
GUCE 19/1 del 23 gennaio 1999.
165
tout court)21: un «sistema di informazione per il grande pubblico», «una
struttura di cooperazione organizzata in rete»22.
Veniva, in altri termini, previsto un sistema che doveva meglio
consentire il raggiungimento degli obiettivi della cooperazione
giudiziaria e dell’accesso alla giustizia per le persone che affrontano
controversie con aspetti transnazionali. La RGE civile interviene nel
rispetto di altri meccanismi di cooperazione già presenti, ma si
contraddistingue per il suo vasto campo di azione. Si tratta di un
meccanismo di coordinamento a copertura generale e che è, dunque,
previsto sia per agevolare la cooperazione nei settori coperti da
normativa dell’Unione, sia in quelli ove non è applicato ancora alcuno
strumento.
La struttura della RGE in materia civile è fondata su una serie di punti
di contatto, su organi centrali e autorità centrali previsti da atti
comunitari e convenzioni internazionali e
dai magistrati di
collegamento previsti dall’azione comune 96/277/GAI e «da qualsiasi
altra autorità giudiziaria o amministrativa competente per la
cooperazione giudiziaria in materia civile e commerciale la cui
appartenenza alla rete sia giudicata opportuna del rispettivo Stato
membro». Gli obiettivi principali della RGE civile (cooperazione
giudiziaria e accesso alla giustizia) sono raggiunti sia per mezzo di
riunioni periodiche e contatti tra i partecipanti23, sia attraverso la
predisposizione di un sistema di informazione per il grande pubblico e
21
GUUE L 174/25 del 27 giugno 2001. La Danimarca, a seguito della clausola di
opting out alle regole del Titolo IV del TCE, non ha partecipato all’adozione della
decisione e, dunque, non è vincolata.
22
V. Considerando n. 6 alla Decisione 2001/470/CE, e le Conclusioni del vertice
straordinario di Tampere del 15-16 ottobre 1999.
23
Come si legge nella relazione alla proposta di decisione del Parlamento europeo e
del Consiglio modificativa della decisione 2001/470/CE (Bruxelles, 23 giugno 2008,
COM (2008 380 def.) 2008/0122 (COD)): «[a]ll’inizio del 2008 la rete contava 437
membri partiti in quattro categorie, vale a dire 102 punti di contatto, 140 autorità
centrali, 12 magistrati di collegamento e 181 altre autorità giudiziarie competenti in
materia di cooperazione giudiziaria […] Le riunioni dei punti di contatto hanno luogo
almeno una volta a semestre: fra l’11 febbraio 2003 e il 31 gennaio 2008 se ne sono
tenute diciannove, cioè in media quattro all’anno. I membri della rete si sono riuniti
tutti assieme, dal 2002, ogni anno».
166
per gli specialisti. Gli obiettivi specifici della rete sono: «il corretto
svolgimento dei procedimenti con risvolti transnazionali e agevolare
le richieste di cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri»24;
l’applicazione degli atti comunitari e delle convenzioni vigenti da due
o più Stati membri; la creazione nella rete Internet del suddetto
sistema di informazione della normativa comunitaria, internazionale e
nazionale e schede informative sull’accesso alla giustizia negli Stati
membri.25
La rete, inoltre, agevola i contatti tra le autorità degli Stati membri,
stabilisce riunioni periodiche tra i punti di contatto (almeno una volta
per semestre) e elabora e aggiorna le informazioni sulla cooperazione
giudiziaria in materia civile e commerciale e sui sistemi giuridici degli
Stati membri. Le riunioni periodiche consentono uno scambio di
esperienze, di dati e di punti di vista e l’individuazione di prassi, di
orientamenti e di iniziative specifiche per favorire la cooperazione
giudiziaria. I punti di contatto si adoperano per risolvere i problemi
che possono sorgere in occasione di richieste di cooperazione
giudiziaria. Sono fatte salve le competenze delle autorità previste da
altri atti comunitari o trattati internazionali e che sono integrate alla
RGE civile.
Con l’istituzione della RGE civile è stato previsto anche un meccanismo
di monitoraggio e di valutazione periodica della Rete, al fine di meglio
rispondere alle esigenze del pubblico.
Nella relazione del 2006 sul funzionamento della rete (adottata
secondo quanto previsto dall’art. 19 della decisione istitutiva) la
Commissione, ponendo l’accento alcuni problemi emersi nel corso
degli anni, ha proposto alcune modifiche della decisione con il fine di
rafforzare il ruolo dei punti di contatto sia all’interno della rete, sia nei
rapporti con i giudici e gli ordini professionali legali26.
24
Va notato che tale finalità vale anche quando non venga in rilievo alcun atto
comunitario o trattato internazionale di cooperazione.
25
http://ec.europa.eu/civiljustice/
26
V. anche Evaluation of the functioning of the European Judicial Network in civil and
commercial matters, Final Report, DG JLS, June 20th 2005.
167
Inoltre, il programma «Giustizia civile»27, volto a mantenere e
sviluppare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nell'Unione
europea (UE), dal 1° gennaio 2007 al 31 dicembre 2013 ha confermato
l’obiettivo di promozione della «cooperazione giudiziaria civile per
creare uno spazio europeo basato sul riconoscimento e sulla fiducia
reciproci»; dell’eliminazione degli «ostacoli al corretto funzionamento
dei procedimenti civili fra Stati membri»; della facilitazione
«dell’accesso alla giustizia agli individui e alle imprese»; del
miglioramento «i contatti, lo scambio di informazioni e la creazione di
reti tra le autorità giuridiche, giudiziarie e amministrative e le
professioni giuridiche, anche mediante il sostegno della formazione
giudiziaria, al fine di una migliore comprensione reciproca tra le
autorità e i professionisti in questione»28.
La decisione sulle reti giudiziarie europee “civili” è stata modificata con
decisione n. 568/2009/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del
18 giugno 2009. La decisione entrata in vigore l’1 gennaio 2011 ha
ulteriormente rafforzato gli strumenti già previsti nella decisione del
2001 e, in particolare, il ruolo dei punti di contatto nella rete e in
rapporto ai giudici e alle professioni legali. In particolare, gli ordini
degli (non i singoli) operatori del settore giustizia (avvocati, notai,
ufficiali giudiziari) possono partecipare alla rete.
Con la novella della decisione del 2001 è stato anche previsto un
maggiore contatto tra la RGE civile e le altre reti di cooperazione
giudiziaria nel mondo29 e le organizzazioni internazionali che
promuovono la cooperazione giudiziaria.
27
Decisione n. 1149/2007/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25
settembre 2007, che istituisce il programma specifico Giustizia civile per il periodo
2007-2013 come parte del programma generale Diritti fondamentali e giustizia in
GUUE 257/16 del 3 novembre 2007.
28
V. art. 2 e 3 della Decisione n. 1149/2007/CE.
29
La rete giudiziaria europea in materia penale, la rete europea di formazione
giudiziaria (nata su iniziativa della Francia in GUCE C 18 del 19 gennaio 2001), la Rete
dei centri europei dei consumatori (ECC-Net, istituita nel gennaio 2005 a seguito della
la fusione delle reti di tutela dei consumatori: la rete per la risoluzione extragiudiziaria
delle controversie in materia di consumo (Rete EJE) e la rete di Eurosportelli), nonché
le reti di cooperazione giudiziaria istituite fra i paesi terzi e con le organizzazioni
internazionali. V. anche la Risoluzione del Consiglio e dei rappresentanti dei governi
168
Vale per ultimo segnalare alcune novità di rilievo contenute nel
Trattato di Lisbona, entrato in vigore l’1 dicembre del 2009, che ha
ampliato ulteriormente le competenze dell’UE nel campo del diritto
internazionale privato e processuale.
Il primo comma dell’art. 81 TFUE (ex art. 65 del TCE) afferma che
«[l]’Unione sviluppa una cooperazione giudiziaria nelle materie civili
con implicazioni transnazionali, fondata sul principio di
riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziali.
Tale cooperazione può includere l’adozione di misure intese a
ravvicinare le disposizioni legislative e regolamentari degli Stati
membri».
E’ di tutta evidenza, a tale riguardo, la particolare enfasi con cui viene
evidenziato il fondamento stesso della cooperazione giudiziaria: il
principio del riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie, vero
e proprio cardine del sistema.30 Un principio quest’ultimo che, non
solo è incorporato, sia pure con intensità diverse, nei regolamenti già
adottati, ma che va ulteriormente rafforzato attraverso meccanismi
che consentano un’applicazione effettiva e pratica di queste regole. In
questo senso, la Rete giudiziaria si contraddistingue per essere uno
strumento privilegiato per il conseguimento di tali obiettivi.
degli Stati membri, riuniti in sede di Consiglio, sulla creazione di una rete di
cooperazione legislativa dei ministeri della giustizia degli Stati membri dell'Unione
europea in GUUE C 326/1 del 20 dicembre 2008.
30
Al secondo comma si afferma che: «Ai fini del paragrafo 1, il Parlamento europeo
e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, adottano, in
particolare se necessario al buon funzionamento del mercato interno, misure volte a
garantire: a) il riconoscimento reciproco tra gli Stati membri delle decisioni giudiziarie
ed extragiudiziali e la loro esecuzione; b) la notificazione e la comunicazione
transnazionali degli atti giudiziari ed extragiudiziali; c) la compatibilità delle regole
applicabili negli Stati membri ai conflitti di leggi e di giurisdizione; d) la cooperazione
nell'assunzione dei mezzi di prova; e) un accesso effettivo alla giustizia; f)
l'eliminazione degli ostacoli al corretto svolgimento dei procedimenti civili, se
necessario promuovendo la compatibilità delle norme di procedura civile applicabili
negli Stati membri; g) lo sviluppo di metodi alternativi per la risoluzione delle
controversie; h) un sostegno alla formazione dei magistrati e degli operatori
giudiziari».
169
Infine, cade la limitazione contenuta nell’art. 68 TCE – in passato
fortemente criticata - in base alla quale il rinvio pregiudiziale alla Corte
di giustizia UE poteva essere richiesto solo da giudici di ultima istanza
quando si trattasse di questioni di interpretazione o di validità di atti
adottati sulla base del Titolo IV del Trattato CE e, quindi, anche del
settore del diritto internazionale privato e processuale.
Va da sé, che ai fini dell’applicazione della normativa comunitaria in
questione, l’applicazione del regime normale di rinvio (ovvero senza
alcuna limitazione quanto al giudice competente per il rinvio) potrà
solo giovare a diffondere il meccanismo di rinvio pregiudiziale – e in
particolare quello di interpretazione – nelle controversie di carattere
transnazionale.
170
Maria Rosaria Ferrarese
Professore Ordinario di Sociologia del Diritto
Facoltà di Giurisprudenza
Dipartimento di Diritto Pubblico e di Studi Sociali
Università degli Studi di Cagliari
Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione – Roma
RETI E CIRCUITO GIUDIZIARIO EUROPEO
Come spesso capita a chi parla nelle ultime sessioni, molti riferimenti che avrei
voluto fare sono già stati anticipati dagli interventi precedenti. Ciò mi dà la
possibilità di passare più velocemente ad alcuni aspetti che ieri mi sembra siano
rimasti in ombra, e che invece forse meritano un risalto maggiore. In primo luogo,
il tema delle reti giudiziarie stesse, che dà il titolo al nostro convegno.
Il tema delle reti, che è stato evocato questa mattina sia da Daniela Bifulco, sia
nell’intervento che mi ha preceduta, merita di essere ripreso, perché non è un dato
di fatto quasi banale, ed anzi rivela una vera e propria rivoluzione che è avvenuta
nei nostri sistemi giuridici. Com’è noto, furono per primi Ost e van de Kerchove a
prospettare un passaggio del diritto “dalle piramidi alle reti”, ossia da una struttura
di carattere verticale, quale era quella organizzata sui territori statali in forma
gerarchica, verso una struttura giuridica di tipo tendenzialmente orizzontale e
interattiva. In questo passaggio avvengono significativi cambiamenti, che tuttavia
spesso sono ancora in via di definizione.
Non a caso, il tema della rete appare sospeso tra opposti significati. Ed è importante
innanzitutto soffermarsi su due ambivalenze che caratterizzano questa metafora. In
primo luogo, la rete può essere intesa sulla base di una connotazione che allude al
carattere dell’apertura e della comunicazione, o invece al carattere della dipendenza
e della chiusura. Oggi è prevalente la prima caratterizzazione: poiché le reti si
nutrono essenzialmente di comunicazione, esse appaiono come delle strutture
aperte e spontanee che, come tali, contengono una naturale propensione alla
creatività e all’innovazione. Ma la rete può essere intesa anche come qualcosa che
lega, che vincola, o come qualcosa in cui si può restare impigliati. E talora anche
171
questo secondo significato torna ad essere evidente. In secondo luogo, le reti
possono avere una ossatura formale, ma su questa spesso si insedia anche una
struttura informale. La disposizione in forma reticolare di alcune istituzioni, e, per
quanto qui ci riguarda, delle istituzioni giudiziarie, solo in parte riposa su meccanismi
formali: essa è infatti affidata anche e soprattutto a dinamiche spontanee, che non a
caso si configurano spesso in forma diversa o addirittura in contrapposizione rispetto
ai meccanismi e agli organigrammi formali.
In questo convegno, parlando di “reti giudiziarie europee”, si è voluto
probabilmente sottolineare soprattutto il circuito formale, che ha il suo
fondamento nella specifica struttura dell’ordinamento sovranazionale europeo,
del cui recente aggiornamente ci si occupa in questa convegno. Ma non si può
trascurare il fatto che oggi sarebbe impossibile isolare il circuito europeo delle
corti da una più ampia e generale riorganizzazione del giudiziario in forma
reticolare: in tal senso il circuito giudiziario europeo può anzi essere visto come il
corrispettivo europeo di una più generale ri-organizzazione del circuito giudiziario
a livello transnazionale e globale; insomma, quanto avviene in Europa è
inevitabilmente interconnesso con le trasformazioni che hanno luogo nel più
vasto mondo globale. Per quanto più strutturato, il circuito giudiziario europeo,
rispondente a criteri sovranazionali, non è dunque del tutto separabile da un
circuito giudiziario più ampio, che presenta sia aspetti di natura formale, che
aspetti di natura informale.
Sul piano formale, si deve registrare innanzitutto la moltiplicazione di corti e
organismi giudiziari e para-giudiziari nel mondo attuale. Siamo di fronte ad una
saga che, per dirla con un’espressione che hanno usato due autori, corrisponde
all’idea che “multiple courts are better that no courts at all”. La moltiplicazione di
corti ed espressioni giudiziarie è sintomo di una profonda diversificazione del
cosiddetto “formante giudiziario” rispetto al passato, nonché di un diverso e più
rilevante ruolo svolto dal giudiziario nel mondo attuale.
Nel mio ultimo libro ho parlato di un esteso fenomeno di governance giudiziaria,
proprio per far riferimento a una sempre più rilevante attività svolta dalle corti per
supplire ai vari bisogni del mondo attuale, con risposte giuridiche diverse dalle
leggi, e più capaci di tenere conto della specificità dei contesti e dei soggetti
coinvolti. In tal senso la governance giudiziaria segna un superamento dei
tradizionali connotati che la funzione giudiziaria aveva all’interno degli stati.
172
Anche il criterio dell’indipendenza dai poteri politici ha subito rilevanti
cambiamenti. Quel modello, beninteso, resta ineludibile all’interno degli stati, e
ancor di più, per quei Paesi che oggi si affacciano ad una cultura democratica e al
panorama istituzionale proprio degli Stati di diritto. Allo stesso tempo, quel
modello, ispirato alla separazione dei poteri, per alcuni aspetti è superato, ad
esempio a livello internazionale, dove i giudici conoscono non solo elevati livelli di
indipendenza, ma anche una notevole capacità di creare essi stessi il diritto.
Il termine “governance giudiziaria “ è stato utilizzato tra altri anche da Stone-Sweet,
ed è interessante notare che egli, per caratterizzare l’aspetto più tipico della
governance giudiziaria, insiste soprattutto sulla tendenza a far coincidere nello stesso
spazio la funzione giudiziaria con la funzione di creazione delle regole, cosicché chi
decide una controversia tra due parti, allo stesso tempo, pone in essere la struttura
normativa per risolverla. Inoltre, Stone-Sweet analizzando l’esperienza del Conseil
constitutionnel francese, mostrando come la logica giudiziaria è capace di
un'autopropulsione che porta a innovare ed estendere le competenze.
L’espansione giudiziaria ha trovato una efficace rappresentazione specialmente
sul suolo europeo, dove il processo di integrazione sovranazionale ha
enormemente cambiato e complicato il quadro giuridico preesistente, che era
consegnato integralmente agli stati, ed ha introdotto nuovi elementi di tensione e
di incertezza sotto il profilo delle gerarchie e delle priorità. Ancor più, è come se la
moltiplicazione di corti corrispondesse ad una pari moltiplicazione dell’importanza
del judge-made-law nel mondo attuale.
Specie se si guarda all’Europa continentale, il dato di fondo è che i nostri sistemi
giuridici erano basati su un’idea essenzialmente normativa del diritto.
Contrariamente ai sistemi di common law, l’idea era che il diritto consistesse in (e
non potesse che consistere in) norme, ossia che fosse un diritto scritto e deciso in
forma legislativa, e che il giudiziario fosse un organo da intendere
prevalentemente come di natura esecutiva, fatti salvi gli inevitabili spazi richiesti
dall’attività interpretativa.
Oggi questa distinzione è in buona parte stata compromessa, in una situazione in
cui la struttura normativa del diritto affidata alla legislazione registra crescenti
difficoltà di funzionamento anche nei paesi europei. Ancor più, a livello
internazionale, l’assenza di leggi trova un compensazione non solo nella fitta tela
degli accordi e dei trattati internazionali, ma anche in un corposo tessuto di
decisioni di corti nazionali, internazionali, e di altra natura, che danno risposte a
173
molteplici problemi e conflitti, spesso supplendo a significative carenze sia
normative sia carenze procedurali.
Anche in Europa, come nei paesi di common law, ci troviamo dunque in presenza
di un diritto che non ha più una struttura normativa affidata quasi esclusivamente
alle leggi: esso non consiste più prevalentemente in norme poste ex ante e
consegnate all’applicazione giudiziaria, ma piuttosto si sviluppa anche e
soprattutto attraverso pronunce giudiziarie, a ridosso di specifiche occasioni di
conflitto. Si tratta di una profonda rivoluzione, che ci immette in un universo
giuridico che somiglia a quello di common law, in cui i “signori del diritto” sono i
giudici e non più i legislatori. Ciò è particolarmente vero per alcuni settori, come ad
esempio quello della comunicazione, in cui le decisioni giudiziarie sono
l’ingrediente regolatorio per eccellenza.
La trasformazione dello scenario giuridico, che vede il diritto giudiziario diventare
protagonista, e contendere il ruolo di primadonna alla legislazione, non è solo un
dato di sfondo: esso, oltre a chiamare in causa il ruolo delle corti e del loro
rapporto con la legislazione, ci porta sul terreno di varo cambiamenti che
riguardano la funzione giudiziaria stessa. Come il titolo del convegno adombra,
infatti, le numerose e profonde trasformazioni che attraversano lo scenario
giuridico non risparmiano la stessa funzione giurisdizionale, che a sua volta esce
con un volto profondamente mutato, sia per quanto riguarda i suoi meccanismi di
legittimazione ed il suo rapporto con i poteri politici, sia per quanto attiene al suo
profilo professionale.
Sul piano della legittimazione, ad esempio, mentre nel passato era il criterio
dell’applicazione delle leggi che giustificava l’operato del giudice, oggi, specie nel
contesto internazionale sprovvisto di leggi, le pronunce del giudice acquistano
credibilità se sanno essere convincenti, cosicché vengono riprese e citate da altre
corti. Si è parlato, com’è noto, da parte di Anne Marie Slaughter, di un criterio di
prestigio, che si sostituisce al criterio dell’autorità. Ed è ovvio che il prestigio è
consono ad una interazione di tipo orizzontale tra le varie corti,che non è regolato
da criteri gerarchici.
Per quanto attiene ai rapporti con i poteri politici, la straordinaria affermazione del
giudiziario nel firmamento giuridico attuale è legata alla crescente influenza del
costituzionalismo nel mondo globale. L’immagine del costituzionalismo, inteso
come restrizione e controllo dei poteri, si è spostata sempre più dall’idea che quei
limiti consistessero solo in leggi e costituzioni verso l’idea che essi consistano
anche in diritti e garanzie riservate a individui, gruppi, minoranze e soggettività
174
varie. Ciò significa che le leggi e le decisioni giuridiche non possono più
prescindere da questi criteri, intesi come criteri giustificativi. In altri termini, il
costituzionalismo conduce verso la necessità di giustificare la decisione politica
incarnata nella legge sulla base del rispetto dei diritti.
Più in generale, è il principio del judicial review che dà al “giudice delle leggi”, ossia
al giudice costituzionale, “l’ultima parola” sulle leggi. Ma la tendenza a giudicare le
leggi e le decisioni politiche sulla base di requisiti costituzionali coinvolge un
circuito più ampio rispetto alla sola giurisdizione costituzionale: un circuito che si
estende sia verso il basso che verso l’alto. Sotto il primo profilo, basti pensare che
nel nostro ordinamento, ad esempio, è il giudice comune cosiddetto a quo, che,
nel corso di un processo, può individuare un sospetto di costituzionalità rispetto
ad una legge e rinviare alla Corte Costituzionale. Altrettanto, come si dirà più
avanti, vale per il rinvio pregiudiziale, quando questo tocca materie
costituzionalmente sensibili. Sotto il secondo profilo, basti pensare al ruolo di
natura costituzionale svolto in Europa sia dalla Corte di Lussemburgo, che da
quella di Strasburgo, o al ruolo costituzionale che si può rinvenire persino negli
organismi quasi-giudiziari della WTO.
Insomma, la logica del costituzionalismo e la tecnica del judicial review riposano su
un contesto di ampia diffusione di sensibilità costituzionale, rivolta specialmente a
salvaguardare diritti e prerogative di vario genere in capo a soggetti, individuali e
non.
Ma è utile sottolineare che il judicial review è una istituzione che deriva
esclusivamente da una dottrina giudiziaria: una dottrina concepita ed enunciata,
com’è noto, nel corso di un famoso caso giudiziario (Marbury v. Madison) discusso
di fronte alla Corte Suprema nel 1803. Quella enunciazione, che costituiva una
evidente manifestazione di capacità autopropulsiva dell’istituzione giudiziaria,
ebbe poi effetti di lunghissimo periodo e di larghissimo raggio , se è vero che
dall’800 quegli effetti giungono fino al nostro presente e che dagli Stati Uniti si
estendono anche all’Europa e ad altre parti del mondo. Oggi il judicial review è un
istituto che è parte integrante della cultura globale del costituzionalismo, e che
aggiunge nuove frecce all’arco del giudiziario, non solo sul territorio americano,
ma anche in Europa e nel più vasto mondo.
Se vi è perfetta coerenza tra lo sviluppo del costituzionalismo e l’ascesa del
giudiziario nel firmamento giuridico, altrettanto vi è perfetta coerenza tra la
crescente complessità dell’universo giuridico e la crescente importanza del
giudiziario. Via via che si ristruttura l’intero universo delle relazioni giuridiche e
175
cresce la complessità giuridica, anche le espressioni giudiziarie si moltiplicano e si
diversificano, poiché rispondono al bisogno di apprestare risposte efficaci e
cangianti ai bisogni giuridici del mondo globale e nuove modalità e nuove
procedure per dirimere la conflittualità che si produce lungo i suoi vari percorsi.
Il dialogo tra corti e i cambiamenti relativi all’operato delle corti
D’altra parte, le stesse risposte giudiziarie non possono più prodursi nelle forme
consuete. Proprio lungo la moltiplicazione di sedi e di modalità giudiziarie, che
interessa specialmente l’area dei rapporti internazionali, si sviluppano più ampi
circuiti comunicativi intergiudiziari, che hanno carattere formale (come si è visto
nel caso del rinvio pregiudiziale), ma ancor più spesso hanno carattere informale e
spontaneo, come avviene attraverso il “dialogo tra corti”.
Nel dibattito giuridico internazionale, si parla di “dialogo tra le corti” o di “dialogo
costituzionale”, proprio per riferirsi ad una comunicazione giudiziaria estesa sul
tema dei diritti, che si svolge sia nelle sedi giudiziarie, sia all’esterno delle stesse,
ossia attraverso sentenze e giudicati, così come attraverso dibattiti e confronti
culturali. Questo dialogo spesso prescinde significativamente da criteri di
appartenenza formale delle corti ad uno stato o ad una cultura giuridica. Il criterio
dell’appartenenza formale finisce per disperdersi ed attenuarsi in un circuito
comunicativo più ampio.
Le modalità e le implicazioni del dialogo intergiudiziario possono essere molto
varie, ma, se con questa espressione intendiamo il disporsi delle corti e del loro
operato in un circuito comunicativo di tipo reticolare, mi sembra che esso sveli
l’emersione di una significativa ristrutturazione del modo di essere del giudiziario.
Questa ristrutturazione
dello scenario giuridico si appoggia anche
sull’affermazione di una logica peer to peer, che prescinde da criteri gerarchici, per
fare spazio ad altri criteri, e che paradossalmente coincide con un notevole
rafforzamento dei soggetti giudiziari.
Il cosiddetto “dialogo tra le corti”, che come si è detto è particolarmente sviluppato
e fecondo anche in Europa, ci aiuta a capire meglio anche alcune concrete
implicazioni che ne derivano per la funzione giudiziaria, in Europa, ma anche al di
là dell’Europa. L’instaurazione di un dialogo tra corti nazionali e corti europee è un
elemento particolarmente importante e qualificante della rete giudiziaria europea
e ha contribuito significativamente all’integrazione giuridica.
176
I cambiamenti sono riconducibili ad una doppia dinamica che è in atto in campo
giudiziario, e che si potrebbe identificare rispettivamente sotto l’etichetta delle
“corti liberate” e sotto l’etichetta delle “corti aggiustatrici”. Se la prima etichetta
allude al fatto che esse sono spesso padrone del campo, poiché spesso agiscono
in un contesto di relativa libertà, con vincoli giuridici poco chiari, o non abbastanza
stringenti, che si esprimono in principi, piuttosto che in norme, con la seconda si
intende sottolineare che esse svolgono un ruolo importante e imprescindibile
sullo scenario giuridico attuale, caratterizzato da frammentazione e dispersione.
Le corti “liberate”
La situazione delle corti “liberate” si esprime al meglio quando le risposte vengono
cercate dai giudici in un dialogo con altre corti e con altri paesi e tradizioni
giuridiche, ossia uscendo dall’esclusivo riferimento ai propri dati normativi. Il
dialogo è favorito specialmente quando i dati normativi sono carenti o, al
contrario, sono ridondanti, ma mancano di un asse gerarchico lungo il quale
possano essere collocati, come spesso avviene in ambito internazionale.
In tutti questi casi, il ruolo degli organismi giudiziari diventa cruciale, ma al
contempo si inscrive lungo una catena di costruzione di un tessuto giurisprudenziale
tendenzialmente convergente ma molteplice, in cui sarà il tempo a scegliere e
convalidare una certa linea giurisprudenza invece di un'altra.
Con l’espressione corti “liberate” si vuole fare riferimento al fatto che esse nella scena
giuridica sono diventate attrici sempre più protagoniste, ma non sempre
assoggettate a vincoli giuridici chiari e stringenti. Specialmente in ambito
internazionale, o nel contesto sovranazionale e transnazionale, la pluralità di
riferimenti normativi e di principi e criteri a cui è possibile riferirsi, apre inediti spazi di
opzioni possibili per le corti. L’insediamento di corti internazionali di vario genere, di
diversa composizione e competenza, e con diversa finalità, avviene in un contesto
che è spesso privo di una infrastruttura giuridica completa, fatta di regole, di criteri
procedurali, di criteri gerarchici ecc. Le corti appaiono dunque affrancate, almeno in
parte, dai vari vincoli che tradizionalmente pesavano sul loro agire e che erano
appunto vincoli di natura gerarchica, di competenza territoriale, di procedure ecc.
Tuttavia l’espressione “corti liberate” non deve far pensare a una “terra di
nessuno”, in cui mancano del tutto regole e principi: il diritto internazionale può
contare non solo su una fitta rete di accordi e trattati e su una ricca elaborazione di
177
regole e principi consuetudinari, ma ormai anche su un fitto tessuto di
organizzazioni internazionali, che a loro volta forniscono principi e criteri
comportamentali. Specie il contesto europeo si presenta come maggiormente
strutturato rispetto al contesto internazionale. Ma, anche qui, la presenza di due
corti “europee”, e soprattutto della CGE, vera protagonista del processo di
integrazione, ha alterato sensibilmente la scena rispetto al passato. Sia sotto il
profilo gerarchico, sia sotto il profilo della sensibilità costituzionale, sono
intervenuti significativi cambiamenti.
Basti pensare al meccanismo del “rinvio pregiudiziale”, grazie al quale ogni giudice
nazionale può rivolgersi alla CGE quando, nel corso di un processo, sorgano dei
dubbi relativi all’interpretazione del diritto europeo. Questa procedura è disegnata
in modo da risolvere le incertezze non già in base a criteri dettati dall’alto, ma in
base a interrogativi sorti in sede giudiziaria, a ridosso di fatti specifici. Io mi
aspettavo che il tema del rinvio pregiudiziale, che a me appare un grimaldello
essenziale per la disposizione in forma reticolare del circuito giudiziario europeo,
venisse evocato ripetutamente in queste giornate. Esso infatti sconvolge le logiche
gerarchiche consuete, facendo partire dal basso, dalle corti comuni, il
collegamento con la Corte europea di giustizia. Peraltro, questo meccanismo,
mentre permette alle corti nazionali di esprimere diversi punti di vista, indicativi
delle proprie tradizioni, contribuisce significativamente alla socializzazione di
giudici e corti a una comune sensibilità giuridica e costituzionale, nonché alla
costruzione di un comune linguaggio giuridico.
E’ significativo che l’utilizzo dell’istituto del “rinvio pregiudiziale” si sia negli ultimi
anni progressivamente esteso dal basso verso l’alto, coinvolgendo sempre più
anche alcune corti costituzionali, come quella del Belgio, dell’Austria, e persino
quella italiana, che a loro volta hanno mostrato la propensione a rivolgersi alla
Corte di Lussemburgo con quesiti relativi al profilo europeo del diritto che si
apprestano a utilizzare. Qui ci troviamo veramente di fronte ad un revirement delle
logiche gerarchiche consuete. Che degli organismi giudiziari tradizionalmente
ritenuti in posizione apicale, quali le corti costituzionali, comincino a utilizzare
questo istituto, ricorrendo al rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, costituisce
una inedita manifestazione di disposizione dialogica, su un suolo dove il mito della
sovranità era stato fondato. Non sorprende che alcuni osservatori mostrino un
atteggiamento critico verso queste nuove manifestazioni di disposizione al
dialogo, in quanto dispersive di risorse e di energia, e nel caso delle corti
costituzionali, anche del loro patrimonio di autorità.
178
Altri sensibili cambiamenti si producono lungo il flusso dialogico che coinvolge le
corti in Europa e non solo in Europa. In altri termini, la circolarità della
comunicazione intergiudiziaria non impedisce, ed anzi suppone, che alcune corti
possano conquistare un rilevante ruolo culturale: si produce così un effetto di
“deferenza” verso le corti più autorevoli, che funziona come un succedaneo
dell’elemento gerarchico. Si è già parlato di un ruolo crescente che svolge il criterio
del prestigio nel disegnare le nuove gerarchie tra corti, che sono ovviamente
informali e perciò instabili. Le corti sono spinte ad affermarsi sulla base della
credibilità del proprio operato, ossia della propria capacità di apparire persuasive
e giuste nelle proprie decisioni giudiziarie. Ciò implica uno spostamento in termini
di legittimazione dal criterio dell’autorità, che era proprio degli organismi di diritto
pubblico, verso il criterio dell’affidabilità professionale, che ha invece connotazioni
di tipo privatistico.
Non a caso, a questo spostamento conseguono anche innovazioni lessicali, che sono
ugualmente indicative dei cambiamenti in atto. Le corti coinvolte nel “dialogo”
puntano sulla capacità di conquistare un prestigio basato sull’autorevolezza delle
proprie decisioni, cosicché queste, oltre ad essere efficaci soluzioni dei casi sotto
esame, possano diventare anche dei “precedenti giudiziari” significativi, ossia dei
punti di orientamento per future decisioni. E accade persino di sentire evocare il
termine clients riferito alle corti, per indicare evidentemente la ricerca da parte di
queste di un interlocutore, che è diverso dallo stato, e una sorta di rapporto di fiducia
che si può instaurare con determinate tipologie di soggetti. Ugualmente accade di
sentire evocare termini come loyalty o constituency, che sono tipici del linguaggio
politico, per indicare l’avvicinamento delle corti a percorsi o dinamiche di tipo
politico. Come si vede, gli scivolamenti lessicali denotano uno spostamento
dell’istituzione giudiziaria in due opposte direzioni: verso un ruolo di tipo quasi
professionale da una parte, e verso nuovi risvolti politici, dall’altra.
Dunque, se non ci sono più sempre e solo i tradizionali criteri di natura territoriale
o gerarchica, tipici dell’organizzazione statale, a presidiare la sfera di azione delle
corti, altri criteri si aggiungono e si impongono, o addirittura prendono il loro
posto, proponendo un’idea di azione giudiziaria che partecipa di caratteri propri
dell’universo politico, così come di quelli propri dell’universo professionale. A
spingere in direzione professionalizzante contribuisce molto la rilevanza del
fattore “prestigio”, quale elemento di “competizione” tra le corti.
A rafforzare la professionalità delle corti contribuiscono inoltre non poco anche la
diffusa conoscenza e l’uso frequente del diritto comparato. Questo tipo di
179
competenza diventa anzi imprescindibile specie da parte di corti internazionali e
sovranazionali, che si confrontano con diversi ordinamenti, diverse realtà sociali e
diverse tradizioni giuridiche. La comparazione per i giudici funziona come un
necessario strumento di allargamento della propria visione e come elemento
essenziale per confrontarsi con la complessità del mondo.
La conoscenza comparatistica infatti è indispensabile per affinare lo sguardo e per
acuire la capacità di bilanciare diverse o opposte visioni o esigenze del mondo,
così come per formulare giudizi equilibrati, che sappiano tenere conto della
diversità dei contesti, mettendo insieme, per dirla nei termini di Delmas-Marty,
“l’universale e il particolare”. Ovviamente la comparazione giuridica, che è una
modalità assolutamente estranea al modello tradizionale di giurisdizione, svolge
una funzione diversa da quella che svolge in sede accademica: essa diventa un
attrezzo professionale necessario per misurarsi con questioni di internazionalità e
di multiculturalità, così da poter formulare delle sentenze informate ed equilibrate,
e dunque suscettibili di ricevere un seguito.
Un altro aspetto che mi pare derivare dal dialogo, e che è relativo proprio all’agire
delle corti, riguarda il modo in cui si sviluppa il ragionamento giudiziario stesso.
Questo, infatti, tradizionalmente appariva come una sorta di black box: pur
essendo sottoposto a un obbligo di svelamento, attraverso la motivazione, spesso
appariva come il prodotto di un rapporto quasi solitario del giudice con i referenti
normativi. Non a caso, nell’ambito delle teorie dell'interpretazione, che
alimentavano molte indagini di teoria e di filosofia del diritto, si davano teorie
come quella della “pre-comprensione” di Gadamer, che postulavano che i giudici
tendessero a decidere indipendentemente da un rigoroso ragionamento
giuridico, e che questo fosse piuttosto ricostruito ex post.
Oggi, all'interno di un contesto “dialogico”, si dà un ambiente giudiziario in cui le
decisioni tendono meno a derivare da ragionamenti solitari che l’interprete
conduce sulla scorta delle norme e della dottrina. Come si è già detto, nel
contesto internazionale, i giudici spesso si trovano non solo e non tanto a dover
dare delle risposte scegliendo tra diversi possibili riferimenti normativi, quanto
piuttosto a patire una situazione di carenza o addirittura di assenza di dati
normativi certi. In tale situazione, è naturale che le loro decisioni si svolgano lungo
un percorso di maggiore trasparenza e condivisione. Quella che appariva la black
box del ragionamento giudiziario e del processo interpretativo delle norme,
appare sempre più una scatola degli attrezzi che viene costruita e utilizzata in
180
maniera condivisa anche con altri. Basti pensare anche all’uso di Internet, che
facilita la conoscenza e la lettura delle sentenze, a cui sono dediti appositi siti.
Si può dire dunque che il dialogo tra corti configura anche un contesto di
maggiore socializzazione del processo di decisione giudiziaria. A ciò corrisponde
una ambigua situazione sotto il profilo dei controlli: la socializzazione del processo
decisionale corrisponde ad un più intenso controllo di tipo culturale e “sociale”
sull’operato del giudice. Al contempo, a questo controllo culturale e sociale,
corrisponde spesso una attenuazione dei controlli propriamente giuridici e
normativi. Basti pensare come, specialmente nel circuito giudiziario europeo,
l’operato delle corti e specie della CGE sia sotto gli occhi attenti e interessati di una
estesa platea internazionale, e di giuristi che hanno riferimenti giuridici e culture
giuridiche di riferimento molto diverse.
Tutto questo segna una crescente integrazione del sistema giudiziario. Ciò non
vuol dire che tutto il dialogo, tutta la comunicazione giudiziaria, si svolgano
all'insegna dell'armonia, della totale condivisione, senza che si profilino anche
dissonanze, conflitti e scontri. Anzi, paradossalmente, l’assenza di stringenti vincoli
giuridici genera spesso una maggiore conflittualità non solo tra diverse corti, ma
persino all'interno di una stessa corte. Si possono infatti moltiplicare le differenze
di visione e noi ne abbiamo testimonianza, per esempio anche attraverso alcune
rilevanti decisioni della Corte suprema americana, che sono state prese a
maggioranza, spesso dopo aspri dibattiti.
Nella misura in cui su quella corte, o su altre corti, arriva una pressione
internazionale molto più forte che nel passato, si possono creare varie tensioni,
alcune delle quali tendono ad essere rappresentate nei termini di un conflitto fra i
richiami alla ratio democratica, che indulgono alla specificità delle decisioni
politiche e delle tradizioni culturali, e i richiami alla ratio del costituzionalismo, che
indurrebbero a interpretare in chiave universalistica i diritti. La tensione diventa
chiara ad esempio in materia di pena di morte, una materia che è rimessa alle
decisioni politiche degli stati, ma su cui possono incidere in qualche modo non
solo la cultura del costituzionalismo, ma anche i trattati internazionali, se non altro,
per quanto attiene alle modalità di erogazione della stessa.
Le corti “aggiustatrici”
Le corti in funzione “aggiustatrice” a livello internazionale si configurano specie in
due circostanze: in primo luogo, quando svolgono funzioni di tipo “diplomatico”;
181
in secondo luogo, quando operano in un contesto di carenza, o addirittura di
assenza, di norme e procedure da utilizzare, e devono dunque operare in modo
da predisporre esse stesse tali regole e procedure.
Allard e Garapon, proprio in considerazione del dialogo tra le corti e
dell’intensificazione degli scambi culturali che esso produce, hanno parlato di “un
forum mondiale dei giudici”, segnalando una sorta di svolta diplomatica delle
corti. In altri termini, il passaggio “dalla spada alle feluche” ha trovato un seguito
nel passaggio che Cassese chiama “dalle feluche alle toghe”. E’ come se i giudici
svolgessero funzioni simili a quelle degli ambasciatori sulla scena mondiale, in
quanto disperdono, attutiscono o risolvono i contrasti, le tensioni e i conflitti tra le
varie culture giudiziarie, per impedire la “corsa agli armamenti” giuridici. Questa
analisi può essere applicata tanto più all’Europa, dove lo spazio dialogico tra le
corti è anzi stato maggiormente organizzato in un assetto sovranazionale, e viene
costantemente arricchito da nuove regole. Anzi il ruolo “diplomatico” svolto
specie dalla Corte di giustizia meriterebbe forse maggiore attenzione e qualche
analisi più approfondita.
Ma il riferimento alla funzione diplomatica va inteso correttamente, ossia alla luce
del ruolo nuovo che il diritto svolge nello spazio internazionale. Com’è noto, un
ampio dibattito ha insistito, spesso con accenti critici, sulla valenza essenzialmente
giuridica e istituzionale assunta specialmente dal processo di unificazione
europea, a detrimento di una sostanza politica dello stesso. Sotto questo profilo,
va marcata una differenza significativa dal ruolo diplomatico: la metafora
diplomatica del judicial committee può contenere un equivoco se non si precisa
che le feluche parlavano e parlano in nome della politica e per la politica, mentre il
giudiziario spesso agisce anche in vece o addirittura in contrapposizione al
politico, poiché è una voce del diritto e, come tale, punta sulla propria
indipendenza dalla politica.
Le corti svolgono funzioni “aggiustatrici” nel diritto internazionale, anche perché
questo è diventato, molto più di quanto non lo fosse in passato, uno spazio aperto a
nuovi soggetti e a nuove dinamiche. La nascita di numerosi organismi giudiziari,
l’esistenza di migliaia di organizzazioni internazionali, spesso dotate di apparati
giudiziari, creano continuamente problemi di interferenze tra ordinamenti nazionali
e ordinamenti internazionali, di sovrapposizione tra regole e ordinamenti, di conflitti
di competenza, di forum shopping, e di incertezza delle regole.
Quanto questo contesto possa garantire l'uniformità della giurisprudenza è
dubbio. Da una parte, il diritto giurisprudenziale non appare votato all’uniformità,
182
intesa come ai vecchi tempi, in cui i confini statali valevano a chiudere i circuiti
della semantica giuridica. Tuttavia, in qualche modo, il motto europeo “Uniti nella
diversità” tende a rivivere anche nella sfera del diritto giurisprudenziale, poiché vi è
un’indubbia tendenza a condividere le stesse parole d'ordine e a confluire in una
comune sensibilità giuridica e costituzionale.
D’altra parte, vi è tuttavia una carenza di regole, sostanziale e procedurali, così
come di coordinamento tra i vari livelli. Come ha sottolineato Cassese nel
volumetto Le Corti di Babele, il lavoro di coordinamento tra diversi spezzoni di
ordinamenti, di creazione dei pezzi mancanti e di regole di raccordo, non può
essere fatto se non dalle corti. Mancano infatti nello scenario internazionale i
soggetti legislatori: gli accordi e i trattati internazionali, che sembrano svolgere un
ruolo di tipo normativo, essendo tipicamente rivolti ad uno scopo, non si
occupano di problemi di raccordo o di regole di carattere generale. Come ha
mostrato una significativa letteratura di diritto internazionale, penso soprattutto
ad alcuni contributi di Y. Shany, c’è un ruolo significativo svolto dalle corti anche
nel definire o nel ri-definire molti criteri procedurali del diritto internazionale.
Si potrebbe dunque dire che è in atto una ristrutturazione dell’ordinamento
giuridico internazionale, che è affidato in misura significativa proprio al lavoro
delle corti. Questo lavoro di regolazione, di creazione di nuove procedure
internazionali ha spesso effetti significativi anche all'interno degli Stati; d’altra
parte, a loro volta, gli Stati non sono solo dei soggetti passivi, perché possono,
attraverso vari meccanismi, avere qualche influenza sul piano internazionale. Il
sistema è insomma molto mosso e i cambiamenti sono ben lungi dallo svolgersi in
maniera unidirezionale.
Una riprova significativa di questo movimento si può trovare nella decisione del
caso Kadi, che ha portato la Corte europea di giustizia, nel 2005, a modificare un
precedente giudizio del Tribunale di Prima Istanza, per ristabilire la priorità dei
diritti individuali dei cittadini europei rispetto ad esigenze di lotta al terrorismo1. Al
contempo, quella sentenza ha ristabilito dei confini tra ordinamento europeo e
ordinamento internazionale, respingendo l’idea che l’ONU potesse stabilire misure
di sicurezza lesive dei diritti fondamentali, ponendole al riparo dal sindacato
giudiziario.
_______________
1
Il caso era stato portato davanti al giudice europeo dal sig. Kadi, che, in quanto sospettato di legami
con gruppi terroristici e come tale inserito in una lista di persone sospette, aveva subito il sequestro
dei propri beni, in ossequio a una delibera del Consiglio di Sicurezza dell’ONU.
183
Pensavo che in questi giorni si sarebbe parlato molto di questa pronuncia, che non
a caso ha dato luogo a un lungo dibattito. Si potrebbe dire che con quella
sentenza la Corte europea di giustizia ha enunciato una sorta di teoria di controlimiti europei nei confronti del sistema di diritto internazionale. Essa può inoltre
essere considerata anche al di là del merito di avere ribadito i termini
dell'indipendenza e dell'autonomia del sistema giudiziario europeo: essa
corrisponde infatti anche a un orgoglioso risveglio di sovranazionalità europea,
forse uno dei più significativi degli ultimi tempi. In altri termini, con questa
pronuncia, si definisce e si chiude una semantica giuridica propria dell’Europa, in
materia di diritti, segnando al contempo una linea di continuità che deve esistere
tra i paesi appartenenti all’Unione e una distinzione rispetto all’ordinamento
internazionale.
Al contempo, quella sentenza marca anche la capacità di innovazione che può
derivare da decisioni giudiziarie inserite in un contesto dialogico e reticolare. La
capacità di innovazione non significa solo capacità di innovare il diritto attraverso
la fonte giurisprudenziale, ma significa anche capacità di innovare e potenziare la
stessa fonte giurisprudenziale.
Come si è già detto, non sempre il dialogo
sancisce consonanze e accordi: esso può anche segnare dissensi e interruzioni
della comunicazione.
Le corti, dunque, possono operare anche per ristabilire una specifica grammatica
giuridica, propria di alcune tradizioni costituzionali, o di un dato ordinamento,
quando ritengono che essa sia stata oggetto di corrosioni o deformazioni arrecate
dall’esterno. In tal caso, piuttosto che il dialogo, opera una sorta di interruzione
della linea di continuità tra le varie corti: è come se si volesse riparare quella specie
di “tetto” della casa giuridica che era il documento costituzionale, ridandogli
nuovo smalto e nuove valenze. In Europa, il ruolo costituzionale svolto dalla Corte
europea del Lussemburgo ha finito per erodere questi tetti statali, almeno in parte.
In risposta a questo processo, specialmente alcune corti costituzionali europee,
come quella tedesca e quella italiana, hanno mostrato maggiore capacità di
resistenza.
Si può qui tornare su quel doppio significato della rete, di cui si diceva all’inizio: la
rete può essere intesa come coordinamento e comunicazione, ma anche come
reciproca interdipendenza e come vincolo, fino a poter essere percepita come
troppo stringente. In Europa, questa doppia connotazione della rete è
particolarmente evidente. Da una parte, in un mondo in cui prevale la dispersione
e la frammentazione, la rete giuridica europea implica una più accentuata
184
comunicazione ed una più coerente grammatica giuridica. Dall’altra, quando le
maglie dell’interconnessione e del vincolo si stringono troppo, alcuni stati e alcuni
attori istituzionali, come le corti costituzionali, spesso cercano di ristabilire il
proprio punto di vista e la propria specifica cultura istituzionale.
Proprio in questa doppia dialettica della rete si dibatte e si afferma lo spazio del
diritto sovranazionale europeo, che è frutto al contempo di vincoli, ma anche di un
esercizio di libertà comunicativa. L’immagine della conversazione è stata più volte
evocata nella letteratura in tema di diritto europeo. L’estesa comunicazione
giuridica che è in atto nel mondo globale trova nelle corti, e in particolare nelle
due corti europee, delle “conversatrici” particolarmente attive e impegnate. E la
conversazione, anche in campo giudiziario, sembra possedere quelle virtù al
contempo di dolcezza e di forza che le attribuiva Montaigne, in quale nei Saggi,
scriveva: è “la pratica più dolce di qualsiasi altra azione della nostra vita. E’ per
questo che, se ora fossi costretto a scegliere, accetterei credo piuttosto di perdere
la vista che l’udito o la parola”. Al contempo, egli aggiungeva: “Se converso con un
animo forte o con un giostratore gagliardo, egli mi stringe ai fianchi, mi punge a
sinistra e a destra; le sue idee danno slancio alle mie. La rivalità, la gloria, la contesa,
mi spingono e m’innalzano al di sopra di me stesso”.
185
Carlo Guarnieri
Professore Ordinario di Scienza Politica
Università degli Studi di Bologna
RETI GIUDIZIARIE EUROPEE E MODELLI DI ORDINAMENTO GIUDIZIARIO
Il mio intervento parte dalle conclusioni dell'intervento di Maria Rosaria Ferrarese,
che ha messo l’accento in maniera brillante ed esaustiva su un fenomeno
abbastanza noto: la forte crescita della creatività giurisprudenziale nei nostri
sistemi politici. Già quasi trent'anni fa Mauro Cappelletti fu fra i primi a segnalare
questa novità, sottolineando anche il ruolo svolto in questo processo dalle
dichiarazioni transnazionali dei diritti dell'uomo (Cappelletti 1984). Oggi però il
fenomeno si è sviluppato in modo molto più esteso di quanto Cappelletti allora
riteneva fosse possibile.
Questo stato di accentuata creatività giurisprudenziale è quindi un dato di fatto,
un necessario punto di partenza su cui va inserita la nostra riflessione sulle reti
giudiziarie: che ruolo giocano le reti in questo processo? Naturalmente, per
procedere correttamente, il concetto di rete giudiziaria ha bisogno innanzitutto di
un chiarimento: che intendiamo con questa espressione? Credo sia opportuno
partire con una definizione abbastanza ampia e, quindi, seguendo un
suggerimento di Roberto Toniatti, parlare non tanto di rete, ma piuttosto di
assetto reticolare, di sistema reticolare, inteso come insieme di relazioni più o
meno strutturate fra attori che operano all'interno di sistemi giudiziari nazionali,
eventualmente sostenuti o in relazione a loro volta con attori collocati a livello
sopranazionale: in particolare, visto che parliamo di Europa, a livello di Unione
europea e Consiglio d'Europa. Sono assetti che si differenziano da quello
tradizionale, di tipo rigidamente piramidale, dei sistemi giudiziari nazionali. Infatti,
negli assetti reticolari le relazioni avvengono, almeno potenzialmente, fra tutti i
componenti della rete – e quindi del sistema giudiziario – in direzione anche
187
orizzontale e non solo verticale.1 Anzi, probabilmente l’inserimento in assetti
piramidali di un assetto a rete non può non indebolire i primi, come sembra sia
appunto avvenuto nei sistemi giudiziari nazionali in Europa, ad esempio grazie
anche al rapporto che si è creato fra tutte le corti nazionali e le corti europee (Corte
europea di giustizia e Corte europea dei diritti umani).2
La presenza di reti giudiziarie non può non avere un impatto sulla funzione
giurisdizionale. Anzi, come ancora suggerito da Toniatti, l’importanza delle reti
andrebbe valutata innanzitutto per la loro maggiore o minore vicinanza alla
funzione giurisdizionale. Così, ad esempio, accanto alle relazioni tendenzialmente
verticali dell’emergente sistema giudiziario “europeo”, abbiamo reti composte da
organi giudiziari – di vario tipo: giudicante o requirente – reti di strutture di
formazione giudiziaria, reti di strutture che contribuiscono all’elaborazione delle
politiche giudiziarie o che svolgono compiti di governo del sistema giudiziario,
come i Consigli superiori. Tutte esercitano influenza sulle modalità di esercizio
della funzione giurisprudenziale sia direttamente – come nel caso delle reti
composte da organi giudiziari – sia indirettamente, nel caso delle reti di
formazione o di governo. Nel complesso, si tratta di un’influenza che tende ad
allargare i margini della creatività giurisprudenziale, in quanto il quadro di
riferimento del giudice ne esce comunque più variegato. In altre parole, le reti
contribuiscono a rendere più complesso – e quindi di più difficile interpretazione –
il sistema giuridico.
Oggi, mi voglio concentrare su un insieme particolare di reti giudiziarie europee,
quelle che contribuiscono a dare forma all'ordinamento giudiziario, cioè alle
norme che presiedono alla scelta ed allo status del giudice. Le ragioni di questa
scelta sono chiare: la crescita della creatività giurisprudenziale rende il ruolo del
giudice ancora più rilevante di quanto non fosse un tempo. Se i margini di
intervento interpretativo del giudice si allargano, diventa più importante
conoscere i caratteri di questo giudice, per cercare di valutare il modo con cui egli
cercherà di riempire questi margini. Inoltre, fatto di non secondaria importanza,
l'aumento della creatività giurisprudenziale allunga il legame fra sovranità
1
Distingue reti verticali e reti orizzontali Slaughter (2004). Nei tradizionali sistemi
giudiziari le relazioni sono però rigidamente verticali e gerarchiche, nel senso che
vanno dagli organi giudiziari inferiori a quelli intermedi fino al vertice della piramide.
Di regola, non sono ammessi “salti” o relazioni orizzontali fra organi giudiziari allo
stesso livello.
2
Un’interessante analisi dei complessi rapporti fra corti nazionali e corti europee in
Francia è stata di recente fornita da Lasser (2009)
188
popolare e decisione del giudice. Noi sappiamo benissimo che questo legame non
deve essere inteso in senso unidirezionale, come un vettore che parte dalla
sovranità popolare e va nella direzione del giudice, senza mediazioni, filtri,
considerazioni della complessità dei valori presenti nei nostri sistemi giuridici. Non
possiamo però dimenticare che i regimi politici in cui viviamo si reggono, almeno
in parte, sul principio della sovranità popolare: tant’è vero che, come è noto, il
principio della soggezione del giudice alla legge serve anche a giustificare la
posizione di giudici indipendenti in un regime democratico.
L’accentuato ruolo svolto dalla giurisdizione nei nostri sistemi politici viene
giustificato in vari modi. Talvolta, con il semplice richiamo ai testi costituzionali, ad
esempio laddove prevedono il controllo giudiziario di costituzionalità. Altre volte,
in modo più compiuto, con riferimento alla natura costituzionale, limitata dei
regimi democratici contemporanei che il potere politico vogliono appunto
controllare, limitare. Resta che questa esigenza di “frenare” il potere va riferita
anche al giudice. Come sopra richiamato, una delle giustificazioni di fondo della
decisione del giudice sta nel suo rifarsi a norme giuridiche preesistenti, a sua volta
espressione della volontà popolare e del sistema giuridico nel suo complesso così
come interpretato dalla cultura giuridica. A seconda dei momenti storici, è
prevalso uno o l’altro elemento: la fase che stiamo attraversando segna un
prevalere del peso della cultura giuridica sulla volontà politica o, piuttosto, la
tendenza a che il rapporto fra sovranità popolare e decisione del giudice sia
mediato sempre più dalla cultura giuridica (e giudiziaria). In questo contesto, il
crescente ruolo delle reti giudiziarie potrebbe essere interpretato come una delle
strade attraverso cui si affermerebbe il “costituzionalismo globale” (Zagrebelsky
2008, p. 408), un’espressione che rende bene l'idea di una cultura cosmopolitica
che, al di là delle barriere nazionali, si sviluppa fra i giuristi ed i giudici.3
Quindi, l’analisi che vorrei qui condurre intende considerare quanto le reti
giudiziarie europee stanno proponendo in tema di ordinamento giudiziario, con
quali possibili conseguenze per il ruolo del giudice: in altre parole, che tipo di
giudice le reti tendono a favorire. Ovviamente si tratta di speculazioni, di ipotesi
che dovranno essere verificate ed eventualmente corrette, ma che toccano un
aspetto – il ruolo del giudice appunto – che abbiamo visto essere diventato di
cruciale rilievo per le nostre società.
Già da una prima analisi emerge come siano numerose le reti all'opera in questo
campo. Ieri, ad esempio, abbiamo ascoltato l'intervento del Consigliere Roia che ci
3
Del resto, una prospettiva simile è anche quella adombrata da Slaughter (2004).
189
ha ricordato l’importanza, all'interno dell'Unione europea, della rete dei Consigli di
giustizia. Roia è stato anche molto esplicito: si tratta di una rete che ha un obiettivo
politico, di mobilitazione ed acquisizione del consenso a favore di determinati
assetti istituzionali e anche di influenza sui processi decisionali, ad esempio con
l’obiettivo di sostenere l’istituzione di Consigli di giustizia. Ce ne sono poi molte
altre, soprattutto a livello di Consiglio d'Europa, un’istituzione che non va
sottovalutata perché, anche se di solito non produce norme direttamente
applicabili, con le sue varie raccomandazioni e risoluzioni svolge un importante
ruolo normativo indiretto ed esercita un'influenza culturale di rilievo, all'interno
soprattutto dell'Unione europea.4
Per analizzare i caratteri del modello di ordinamento giudiziario che viene
proposto dalle reti europee è necessario prima considerare brevemente in che
modo è possibile classificare gli ordinamenti giudiziari. In generale, gli ordinamenti
giudiziari dei paesi democratici possono essere distinti a seconda di due parametri:
il tipo di indipendenza di cui i loro giudici godono e i rapporti fra i giudici e le altre
professioni giuridiche. Ci sono così sostanzialmente quattro tipi di indipendenza
giudiziaria, frutto di una tipologia molto semplice che si ottiene incrociando le due
fondamentali dimensioni dell’indipendenza, quella esterna e quella interna (vedi
Fig.1). Così, c'è il caso degli Stati Uniti, dove i giudici vengono eletti o nominati dal
potere politico, ma che qui poco ci interessa. C'è poi il caso che abbiamo definito
dell’“Influenza politica limitata”, con indipendenza interna molto bassa – dato che
ai giudici di grado più elevato spetta valutare i giudici delle corti inferiori - e
indipendenza esterna limitata, perché di solito il vertice giudiziario è nominato dal
vertice politico: probabilmente è un assetto oggi ben esemplificato dalla Svezia,
ma che un tempo era molto diffuso in Europa continentale, anche in Italia prima
dell’istituzione del CSM nel 1959. Il terzo tipo – che abbiamo battezzato della
Gerarchia – si ha in quegli assetti in cui il potere politico incontra crescenti limiti
alla possibilità di scegliere i vertici giudiziari, fino ad arrivare a situazioni in cui essi,
di fatto o di diritto, si cooptano. I giudici di grado elevato godono a loro volta di
ampi poteri nei confronti degli altri giudici, almeno per quanto riguarda la loro
carriera. Probabilmente, oggi sono la Repubblica federale tedesca o l’Inghilterra ad
avvicinarsi molto a questo tipo. Vi è infine l'Autogoverno, con la presenza di
Consigli giudiziari rappresentativi di tutto il corpo giudiziario e dotati di ampi
4
Infatti, il Consiglio d'Europa sembra avere più successo all'interno dei 27 paesi della
UE che vi aderiscono, piuttosto che fra gli altri, dove sappiamo esserci anche paesi le
cui credenziali democratiche sono abbastanza dubbie.
190
poteri: è naturalmente un assetto ben rappresentato dall’Italia, anche se oggi
buona parte dell'Europa latina, compreso il Belgio, e parecchi paesi dell'Est Europa
si stanno muovendo in questa direzione.
La seconda dimensione è il rapporto con le altre professioni giuridiche. Qui la
distinzione è più semplice: vi sono paesi dove i giudici vengono prevalentemente
reclutati subito dopo gli studi, magari con un periodo più o meno lungo di
tirocinio, come in gran parte dell’Europa continentale, e paesi, come quelli di
common law, dove chi giudica è scelto fra coloro che hanno già una certa
esperienza professionale, di solito nell'ambito dell'avvocatura o dell’università.
Tenendo conto di questi due parametri - tipo di indipendenza e rapporto con le
professioni giuridiche - qual è il modello che le reti giudiziarie europee sembrano
proporre? Per rispondere a questa domanda ho dovuto naturalmente
semplificare: ho, infatti, considerato solo alcuni documenti, anche se di sicuro
rilievo. Il primo è il rapporto elaborato da un gruppo di specialisti in vista
dell'emanazione di una raccomandazione in tema di indipendenza della
magistratura da parte del Consiglio d'Europa: è un rapporto che attende di essere
formalizzato in un documento ma che fornisce già utili indicazioni.5 Un altro
documento è la relazione sull'indipendenza del sistema giudiziario che la
Commissione di Venezia ha recentemente licenziato.6 Poi, ho considerato un
impostante documento elaborato dal Consiglio consultivo dei giudici europei
(CCJE) e dal Consiglio consultivo dei procuratori europei (CCPE).7 Infine, ho tenuto
conto anche una risoluzione – la 1685 - dell'assemblea parlamentare del Consiglio
d'Europa del 30 settembre 2009. Anche se in questo caso non ci troviamo di fronte
al prodotto di una rete giudiziaria, si tratta di un documento che riprende gran
parte delle indicazioni contenute negli altri e che è di particolare rilievo per la sede
in cui è stato elaborato ed approvato.
Detto per sommi capi, l’assetto che esce raccomandato da tutti questi documenti,
pur con qualche variazione, è quello caratterizzato dall'Autogoverno e dalla
separazione fra le professioni legali. L’influenza degli assetti di common law – e
anche dei paesi scandinavi – sembra essere stata molto limitata.8 È questo quindi il
5
Group of Specialists on the Judiciary, Draft Recommendation on the Independence,
Efficiency and Responsibilities of Judges, Strasburg, 4 December 2009.
6
European Commission for Democracy Through Law, Report on the Independence of
the Judicial System. Part I: The Independence of Judges, Venice, 12-13 March 2010.
7
Bordeaux Declaration: Judges and Prosecutors in a Democratic Society, 2009.
8
Anche se la commissione di Venezia sottolinea come la sua proposta non debba
necessariamente applicarsi a paesi di democrazia consolidata, dove l’indipendenza del
191
modello che viene proposto, soprattutto agli Stati - dell'Est Europa o anche di altre
aree – che stanno costruendo un regime democratico.
Si tratta di un assetto adeguato alle sfide che il giudice oggi si trova di fronte in
Europa? Personalmente ho qualche dubbio. Questo modello di ordinamento
giudiziario presenta alcuni limiti. Il primo è quello dell'indipendenza interna. In
quasi tutti questi documenti si sottolinea ripetutamente la necessità di garantire
l’indipendenza interna, cancellando ogni forma di gerarchia. È un punto che va
chiarito. Siamo tutti d’accordo sul fatto che il giudice nelle sue decisioni non possa
essere gerarchicamente subordinato ad altri giudici: non è, infatti, un funzionario
amministrativo. È però necessario che le garanzie di indipendenza del giudice
arrivino ad escludere qualsiasi valutazione sulle sue decisioni? In Italia, almeno fino
ad oggi, si è stabilito che solo in casi eccezionali il contenuto delle decisioni del
giudice possa essere preso in considerazione, ad esempio per la valutazione della
sua professionalità. È questa una scelta sempre giustificabile? Qualsiasi ne siano le
conseguenze?
Semplificando, il dilemma dell'indipendenza interna è questo: se l'indipendenza
del giudice è limitata, emerge ovviamente un rischio per la sua immagine di
imparzialità. Se il giudice sa che la sua decisione potrà avere conseguenze per la
sua carriera - ad esempio perché i giudici della Corte di Cassazione non lo
promuoveranno se non seguirà le loro indicazioni - la sua immagine di imparzialità
viene intaccata. Peraltro, è questo un fatto che si è verificato nel passato. In un bel
libro di Giorgio Freddi (1978) si analizzano le decisioni delle commissioni di
concorso per le promozioni dei magistrati negli anni ’60 ed emerge chiaramente
che le commissioni promuovevano i magistrati che seguivano le massime della
Cassazione e bocciavano gli altri e la motivazione era molto semplice: i magistrati
che seguivano la Cassazione erano buoni giuristi, perché conoscevano il diritto, gli
altri erano ignoranti e quindi andavano bocciati.
Se però l'indipendenza del giudice arriva a renderlo esente da qualunque
considerazione sul modo con cui decide, anche in questo caso i rischi non
mancano. Innanzitutto, possono soffrirne le sue qualificazioni professionali. È
questo una situazione tanto più probabile quanto più precoce è il reclutamento,
come avviene in molti paesi dell’Europa continentale: in questi casi è più difficile
valutare le competenze professionali dei candidati, al contrario di dove la
giudice è ben garantita già di fatto. Peraltro, va rilevato che la risoluzione
dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa è stata proposta dal ministro
della Giustizia della Germania federale.
192
selezione avviene invece fra candidati già esperti. Vi è poi il rischio non solo di
decisioni abnormi – che si spera comunque essere rare - quanto di avere un
sistema giudiziario con un basso livello di coerenza giurisprudenziale, con
conseguenze negative per la certezza del diritto. Naturalmente, in nessun sistema
giuridico vi è perfetta certezza. Di più, la coerenza giurisprudenziale non può
essere considerata un valore assoluto: è necessario che il sistema giuridico muti, se
non altro per adattarsi ai mutamenti dell’ambiente in cui opera, e non sempre
questo mutamento può arrivare dal legislatore. Ma l’esigenza di una certezza
almeno relativa non può essere trascurata, soprattutto in campo penale dove
l'incertezza può implicare gravi lesioni ai diritti fondamentali dei cittadini. Del
resto, proprio perché sappiamo che il giudice “bocca della legge” non esiste in
natura, è necessario costruire assetti che ce ne garantiscano una buona
approssimazione. Con un’indipendenza interna molto elevata il rischio invece di
trovarsi in uno stato di incertezza diventa elevatissimo.9
Naturalmente, una risposta alla necessità di controllare l’incertezza senza ledere
l’indipendenza sta nella formazione. Fare il giudice è un mestiere così importante
per le nostre società da richiedere una formazione adeguata, che non può essere
ristretta agli anni di università o poco più. Oltretutto, la formazione è importante
anche perché influisce sul gruppo di riferimento, cioè sugli attori con cui, magari
informalmente, il giudice dialoga e il cui giudizio tiene in debito conto quando
decide. È questo un punto importante perché in questo modo è possibile
ricondurre in modo flessibile il giudice all’interno della cultura giuridica. Il modello
che però viene oggi presentato dalle reti poco o nulla dice circa l'integrazione fra
le professioni giuridiche e la magistratura. Anzi, sembra voler riprodurre l’assetto
caratteristico delle magistrature dell'Europa continentale, soprattutto nella
versione latina, dove la separazione fra i percorsi professionali avviene molto
presto, subito dopo l'università, e dove quindi le esigenze di integrazione tramite
la formazione in realtà non sono veramente soddisfatte.
A tutto ciò va aggiunta una considerazione sulla composizione dei Consigli
giudiziari, la cui istituzione è una delle principali raccomandazioni delle proposte
avanzate dalle reti. Di per sé, creare un Consiglio giudiziario non significa aver
introdotto l’autogoverno. Un Consiglio giudiziario può anche essere lo strumento
9
I sistemi di impugnazione possono ovviare solo in parte a questa situazione. Come è
noto, l’incertezza nelle decisioni giudiziarie è un fattore che tende a moltiplicare
appelli e ricorsi, con il risultato di intasare le corti superiori e di allungare i tempi dei
procedimenti, aumentando ulteriormente i costi per i cittadini.
193
attraverso cui il sistema politico, il governo esercita influenza sul corpo giudiziario.
Ad esempio, anche la Spagna franchista aveva un Consiglio giudiziario, ma i suoi
componenti erano tutti scelti dal ministro della Giustizia. Quindi, la composizione
del Consiglio diventa cruciale. In tutti i documenti considerati si raccomanda
l’istituzione di un Consiglio rappresentativo del corpo giudiziario. C'è solo qualche
piccola sfumatura: la Commissione di Venezia afferma che il Consiglio deve avere
una parte “sostanziale” di giudici eletti, senza proporre proporzioni precise; invece
gli specialisti del Consiglio d'Europa richiedono che almeno il 50% dei componenti
sia eletto direttamente dei giudici, percentuale raccomandata anche dalla sopra
citata dichiarazione di Bordeaux; anche la risoluzione dell'assemblea del Consiglio
d’Europa richiede che almeno il 50% dei componenti siano eletti dal corpo
giudiziario.10
A questo punto la domanda fondamentale diventa: in che misura un Consiglio
giudiziario con compiti di gestione della carriera - quindi non solo e non tanto con
compiti di gestione organizzativa ma con compiti di valutazione delle capacità
professionali - composto per almeno metà di giudici eletti dai propri colleghi è in
grado di far penetrare il “costituzionalismo globale” di cui dicevamo prima in
magistrature a forte densità organizzativa come quelle che abbiamo davanti oggi
in Europa? Sottolineo che si tratta di magistrature a forte densità organizzativa
perché selezionano i propri aderenti in giovane età, quasi subito dopo gli studi
universitari, e li socializzano poi prevalentemente all’interno del corpo.
Dalle proposte delle reti giudiziarie europee sembrano emergere delle
magistrature caratterizzate da una crescente separazione dalle altre professioni
giuridiche, con una tendenza a diventare così – mi si perdoni l’espressione un po’
datata – dei veri e propri “corpi separati”. È augurabile proseguire con questa
tendenza, in un contesto europeo in cui già si è fatto molto per costruire le
istituzioni statali, ma poco si è fatto, anche perché si tratta di impresa non facile,
per costruire il senso di identità, la nazione? In altre parole, se le considerazioni che
abbiamo fatto hanno un senso, bisogna tenere in considerazione la necessità di
rafforzare non solo l’indipendenza delle magistrature europee, ma anche il loro
legame con la società ed in particolare con il loro naturale ambiente professionale:
10
C'è anche chi afferma l’opportunità che l’autogoverno si estenda anche al pubblico
ministero e chi no: in realtà, sulla posizione del pubblico ministero sembra esserci
l’unica differenza di rilievo tra Nord e Sud Europa, con i rappresentanti di quest’ultima
area favorevoli in generale a trattare giudici e pubblici ministeri in modo il più
possibile simile.
194
l’avvocatura e l’università. Perciò, per concludere, se il ruolo delle reti giudiziarie
nella costruzione degli ordinamenti giudiziari dei paesi europei è significativo e
potenzialmente positivo, il contenuto delle proposte che fin qui sono emerse non
può non essere messo in discussione.
Riferimenti bibliografici
Cappelletti, M. (1984), Giudici legislatori?, Milano, Giuffré.
Ferrarese, M. R. (2010), La governance fra diritto e politica, Bologna, Il Mulino.
Freddi, G. (1978), Tensioni e conflitto nella magistratura, Bari, Laterza.
Lasser, M. (2009), Judicial Transformations. The Rights Revolution in the Courts of Europe,
Oxford, Oxford UP.
Slaughter, A.M. (2004), A New World Order, Princeton, Princeton UP.
Zagrebelsky, V. (2008), La legge e la giustizia, Bologna, Il Mulino.
Fig. 1 L’indipendenza giudiziaria: una tipologia
Esterna
Interna
-
Influenza Politica Limitata
(Svezia)
Gerarchia
(RFT)
+
+
Politicizzazione completa (USA)
Autogoverno (Italia)
195
Roberto Toniatti
Professore Ordinario di Diritto Costituzionale Comparato
Dipartimento di Scienze Giuridiche – Università degli Studi di Trento
Coordinatore del Progetto Prin 2007 MaGiE
(Magistrature, giurisdizioni ed equilibrio istituzionale)
IL SISTEMA DELLE RETI GIUDIZIARIE NEL CONTESTO DELLO SPAZIO DI
LIBERTÀ, SICUREZZA E GIUSTIZIA (SLSG) DELL’UNIONE EUROPEA
Sommario:
1. Introduzione: il principio di attribuzione quale ratio dell’equilibrio istituzionale del sistema UE
- 2. Il percorso verso lo SLSG: la revisione dei trattati istitutivi - 3. Lo SLSG: il quadro circoscritto
dell’attribuzione di competenze - 4. Lo SLSG e le reti giudiziarie - 5. La ricognizione delle figure di
«rete» nel contesto dello SLSG - 6. Conclusioni: il significato sistematico delle reti giudiziarie
quale fattore di equilibrio istituzionale nell’UE
1. Introduzione: il principio di attribuzione quale ratio dell’equilibrio
istituzionale del sistema UE
Lo spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia (SLSG) è la formula con cui si
designa una finalità costitutiva e una funzione istituzionale dell’Unione Europea
(UE)1 strutturata attraverso la previsione di uno specifico ambito di competenza.
1
Cfr. art. 3.2° del TUE: “L'Unione offre ai suoi cittadini uno spazio di libertà, sicurezza e
giustizia senza frontiere interne, in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone insieme a
misure appropriate per quanto concerne i controlli alle frontiere esterne, l'asilo, l'immigrazione,
la prevenzione della criminalità e la lotta contro quest'ultima”; cfr. anche art. 67.1° TFUE:
“L'Unione realizza uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nel rispetto dei diritti fondamentali
nonché dei diversi ordinamenti giuridici e delle diverse tradizioni giuridiche degli Stati membri”
(il corsivo è aggiunto).
197
E’ agevole rilevare come e quanto tale conferimento funzionale rappresenti, anche
sul piano simbolico, tanto una ulteriore erosione del tradizionale concetto di
sovranità statuale – collegata alla rivendicazione della titolarità esclusiva di ogni
potere in materia di diritti fondamentali dei cittadini, di protezione dell’ordine
pubblico e della sicurezza, di esercizio della potestà punitiva e della giurisdizione
in campo penale (contenuti idonei, fra l’altro, a concorrere alla definizione di forma
di Stato)2 – quanto una contestuale espansione del campo d’azione dell’UE.
In proposito, occorre osservare che, almeno allo stato attuale, i due processi qui
indicati – ossia, l’erosione dell’esclusività statuale e l’espansione del ruolo
comunitario – sono sì contestuali ma, in qualche misura, non del tutto
corrispondenti, nel senso che il ruolo dello Stato non viene meccanicamente
trasferito all’UE conservandone immutati gli stessi connotati di esclusività,
semplicemente limitandosi, dunque, ad imputare questi ultimi ad una distinta
istituzione: l’espansione del ruolo comunitario, infatti, non solo ha luogo a titolo
derivato – l’originarietà della funzione rimanendo in capo agli Stati membri – e
temperato dal principio di sussidiarietà ma risulta altresì strutturalmente
condizionata dal principio compensativo, tipico dell’ordinamento sovranazionale
(come di ogni ordinamento composto)3, in ragione del quale la sovranità dello
2
Ne deriva che il concetto di «forma di Stato» impiegato per definire la formula politicoistituzionale dell’ordinamento – ossia il rapporto, connotato da un’opzione ideologica, fra la
forma conferita all’organizzazione del potere pubblico e il riconoscimento e la tutela degli
interessi dei cittadini - possa essere applicato, pur in assenza della condizione della statualità,
anche al sistema dell’UE, come ben precisato in F. Palermo, La forma di Stato dell’Unione
europea. Per una teoria costituzionale dell'integrazione sovranazionale, Cedam, Padova, 2005.
L’art. 13.1° TUE (“L'Unione dispone di un quadro istituzionale che mira a promuoverne i valori,
perseguirne gli obiettivi, servire i suoi interessi, quelli dei suoi cittadini e quelli degli Stati membri,
garantire la coerenza, l'efficacia e la continuità delle sue politiche e delle sue azioni”) stabilisce
esplicitamente il collegamento fra valori, obiettivi ed interessi e il quadro istituzionale,
equiparando gli interessi dei cittadini dell’UE e quelli degli Stati membri ed indicando i propri
interessi in quanto distinti dalla mera somma dei primi, in conformità ad una formula che rievoca
la duplice base costitutiva ma anche l’identità separata e terza di un assetto federale.
3
Per osservazioni generali in argomento cfr. R. Toniatti, La razionalizzazione del ruolo dello Stato:
spunti e appunti per uno studio sistematico sull’ordinamento composto, in A. Reposo, L.
Pegoraro, R. Scarciglia, M. Gobbo, S. Gerotto (a cura di), Federalismo, decentramento e revisione
costituzionale negli ordinamento policentrici., CLEUP, Padova, 2010, 259 ss..
198
Stato membro si traduce in istanze di partecipazione alla composizione degli
organi ed alle procedure concertative e deliberative dell’UE4.
La perdurante condizione di Stato sovrano, di conseguenza, da un lato, si trova a
sperimentare la nuova «forma di Stato comunitario» nel cui contesto le modalità di
esercizio individuale della potestà di governo risultano circoscritte ma, dall’altro,
determina la natura composita e la struttura plurale costitutiva dell’ordinamento
dell’UE, ne condiziona la forma (di Stato) politico-istituzionale quale ente
sovranazionale (non federale) e ne determina i criteri di composizione degli organi
e le principali modalità di funzionamento.
Il principio di attribuzione, integrato dal principio di sussidiarietà e di
proporzionalità5, dal principio di flessibilità (posto a fondamento delle
cooperazione rinforzate)6, nonché dal principio di partecipazione al controllo da
4
Sul tema rinviamo a R. Toniatti, Le istituzioni nazionali nell’architettura europea: il caso
dell’Italia, in G. Guzzetta (cur.), Questioni costituzionali del governo europeo, Padova, Cedam,
2003, 217 ss; e Idem, Forma di Stato comunitario, sovranità e principio di sopranazionalità: una
difficile sintesi, in Diritto Pubblico Comparato ed Europeo, 2003-III, 1552 ss.
5
Cfr. in tal senso l’art. 4 TUE come norma di chiusura (“In conformità dell'articolo 5, qualsiasi
competenza non attribuita all'Unione nei trattati appartiene agli Stati membri”) e soprattutto
l’art. 5 TUE: “1. La delimitazione delle competenze dell'Unione si fonda sul principio di
attribuzione. L'esercizio delle competenze dell'Unione si fonda sui principi di sussidiarietà e
proporzionalità. 2. In virtù del principio di attribuzione, l'Unione agisce esclusivamente nei limiti
delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei trattati per realizzare gli obiettivi
da questi stabiliti. Qualsiasi competenza non attribuita all'Unione nei trattati appartiene agli Stati
membri. 3. In virtù del principio di sussidiarietà, nei settori che non sono di sua competenza
esclusiva l'Unione interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell'azione prevista non
possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale né a
livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell'azione in
questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione. Le istituzioni dell'Unione applicano il
principio di sussidiarietà conformemente al protocollo sull'applicazione dei principi di
sussidiarietà e di proporzionalità. I parlamenti nazionali vigilano sul rispetto del principio di
sussidiarietà secondo la procedura prevista in detto protocollo. 4. In virtù del principio di
proporzionalità, il contenuto e la forma dell'azione dell'Unione si limitano a quanto necessario
per il conseguimento degli obiettivi dei trattati. Le istituzioni dell'Unione applicano il principio di
proporzionalità conformemente al protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di
proporzionalità”. In argomento si veda anche il Protocollo n. 2 sull’applicazione dei principi di
sussidiarietà e proporzionalità annesso al trattato di Lisbona.
6
Cfr. in tema Titolo IV, art. 20 TUE: “1. Gli Stati membri che intendono instaurare tra loro una
cooperazione rafforzata nel quadro delle competenze non esclusive dell'Unione possono far
199
parte dei Parlamenti nazionali7 - viene a costituire il perno del complesso nucleo
prescrittivo previsto dal trattato TUE (nel testo di Lisbona) posto a garanzia
dell’equilibrio istituzionale polidirezionale con riguardo sia alle intergovernmental
relations fra UE e Stati membri (e, ancorché in misura ridotta, eventuali rispettive
articolazioni di governo regionale), sia al rapporto fra istituzioni dell’UE, sia, infine,
alla ripartizione di funzioni fra organi esecutivi e legislativi dell’UE e degli Stati
membri, nel contesto di un controllo giurisdizionale anch’esso articolato fra Corte
di Giustizia, Corti supreme e costituzionali nonché giudici ordinari degli Stati
membri – e, per ora solo indirettamente, Corte europea dei diritti dell’uomo – la
cui interazione è stata espressa nei modi definiti di judicial dialogue.
Questi rilievi preliminari sembrano sufficienti per delineare un quadro generale
non privo di ambivalenze8: è come se gli Stati membri si pentissero subito dopo
aver attribuito una competenza all’UE e si dessero da fare per circondarne
l’esercizio di tanti «lacci e lacciuoli» consultivi, concertativi e procedurali quanti
l’ingegneria istituzionale è in grado di escogitare su istigazione degli Stati membri
stessi. Del resto, è proprio un assetto di tale natura a qualificare l’esperimento
ricorso alle sue istituzioni ed esercitare tali competenze applicando le pertinenti disposizioni dei
trattati […]”. Il principio di flessibilità – benché, in tale ipotesi convenga più parlare di principio di
volontarietà - viene ritenuto comprensivo della facoltà di autoesclusione da determinate
politiche ovvero di opting out implicitamente riconosciuta dai trattati agli Stati membri (come
risulta da protocolli e dichiarazioni unilaterali o congiunte allegati) e, nella fattispecie specifica
dello SLSG, esercitata – pur con differenziazioni individuali e con diversi effetti giuridici – da
Danimarca, Irlanda, Polonia, Regno Unito e Repubblica Ceca.
7
Cfr. art. 12 TUE: ”I parlamenti nazionali contribuiscono attivamente al buon funzionamento
dell'Unione: […] c) partecipando, nell'ambito dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, ai
meccanismi di valutazione ai fini dell'attuazione delle politiche dell'Unione in tale settore, in
conformità dell'articolo 70 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, ed essendo
associati al controllo politico di Europol e alla valutazione delle attività di Eurojust, in conformità
degli articoli 88 e 85 di detto trattato […] (il corsivo è aggiunto). In argomento si veda anche il
Protocollo n. 1 sul ruolo dei Parlamenti nazionali nell’Unione europea annesso al trattato di
Lisbona.
8
Si è puntualmente osservato “quanto tuttora incompiuto se non contraddittorio sia il quadro
politico e costituzionale in cui si collocano sovranità nazionali e volontà di proseguire verso
un’ulteriore integrazione in ambito europeo”, in R. Calvano, Mandato d’arresto e problemi
costituzionali in relazione alla giurisdizione della Corte di giustizia ai sensi dell’art. 35 TUE, in R.
Calvano (a cura di) Legalità costituzionale e mandato d’arresto europeo, Jovene, Napoli, 2007,
24.
200
sovranazionale europeo quale modello innovativo ed originale9, distinto, in
particolare, dal modello federale in ragione della dinamica centripeta ed unitaria
inevitabilmente prevalente in ogni realizzazione storica sin qui nota di
quest’ultimo10.
Di tale ambivalenza, risultante da un orientamento di fondo di prudenza
costituente che ha raggiunto il suo apice con la gestione cosmetica del passaggio
dal c.d. trattato costituzionale (2004) al trattato di Lisbona (2007)11, lo spazio di
9
Nell’ampia dottrina in argomento, cfr. C. Pinelli, Forme di Stato e forme di governo, 2a ed.,
Jovene, Napoli, 2009, 250 ss.; sull’elaborazione dei profili sistematici del (nuovo) modello
federativo, cfr. S. Ortino, Introduzione al diritto costituzionale federativo, Giappichelli, Torino,
1993, 35 ss.
10
Come argomentato, ad esempio, in R. Bifulco (a cura di), Ordinamenti federali comparati. I. Gli
Stati federali ‘classici’, Giappichelli, Torino, 2010, 3 ss.
11
Il riferimento è al dettagliato mandato affidato alla Conferenza Intergovernativa quale sede
negoziale per la conclusione di un accordo modificativo dei trattati istitutivi, allegato alle
Conclusioni della Presidenza del Consiglio Europeo di Bruxelles del 21 e 22 giugno 2007. Nel
documento (solo nella versione in lingua italiana, mentre nelle altre più diffuse si registra il
riferimento alla nozione di concetto anziché di progetto) si legge, in particolare, che “il progetto
costituzionale, che consisteva nell'abrogazione di tutti i trattati esistenti e nella loro sostituzione
con un unico testo denominato "Costituzione", è abbandonato […] Il TUE e il trattato sul
funzionamento dell'Unione non avranno carattere costituzionale. La terminologia utilizzata in
tutto il testo dei trattati rispecchierà tale cambiamento: il termine "Costituzione" non sarà
utilizzato, il "ministro degli affari esteri dell'Unione" sarà denominato Alto Rappresentante
dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e i termini "legge" e "legge quadro"
saranno abbandonati mentre i termini attuali "regolamenti", "direttive" e "decisioni" saranno
mantenuti. Parimenti, i trattati modificati non conterranno alcun articolo che faccia riferimento ai
simboli dell'UE quali la bandiera, l'inno o il motto. Per quanto riguarda il primato del diritto
dell'UE, la CIG adotterà una dichiarazione contenente un richiamo alla giurisprudenza della
Corte di giustizia dell'UE [….] Benché l'articolo sul primato del diritto dell'Unione non figurerà nel
TUE, la CIG adotterà la seguente dichiarazione: "La Conferenza ricorda che, per giurisprudenza
costante della Corte di giustizia dell'UE, i trattati e il diritto adottato dall'Unione sulla base dei
trattati prevalgono sul diritto degli Stati membri alle condizioni stabilite dalla summenzionata
giurisprudenza". Inoltre, il parere del Servizio giuridico del Consiglio (doc. 580/07) sarà allegato
all'atto finale della Conferenza”. Tale Parere recita: “Dalla giurisprudenza della Corte di giustizia si
evince che la preminenza del diritto comunitario è un principio fondamentale del diritto
comunitario stesso. Secondo la Corte, tale principio è insito nella natura specifica della Comunità
europea. All'epoca della prima sentenza di questa giurisprudenza consolidata (Costa contro
ENEL, 15 luglio 1964, causa 6/64 ) non esisteva alcuna menzione di preminenza nel trattato. La
situazione è a tutt'oggi immutata. Il fatto che il principio della preminenza non sarà incluso nel
futuro trattato non altera in alcun modo l'esistenza del principio stesso e la giurisprudenza
esistente della Corte di giustizia".
201
libertà, sicurezza e giustizia è rappresentazione emblematica. E, come si vedrà, in
tale contesto il ricorso al concetto di rete giudiziaria – qui inteso in senso latissimo
di struttura di esercizio di funzioni dell’UE attraverso strutture plurali che a loro
volta si configurano come esercizio partecipativo ed accentrato di funzioni degli
Stati membri – si inserisce nel contesto di tale ambivalenza e della sua logica di
prudente e ragionevole pragmatismo.
2. Il percorso verso lo SLSG: la revisione progressiva dei trattati istitutivi
In primo luogo conviene richiamare, sia pure in modo sommario, l’evoluzione
graduale, sperimentale ed incrementale dello SLSG, ricordando che l’assetto in
vigore è già di per sé il punto di arrivo di un percorso tracciato dalle successive
revisioni dei trattati istitutivi, osservando preliminarmente, in particolare, che se, in
conseguenza dell’assetto funzionale per pilastri introdotto dal trattato di
Maastricht, le singole aree materiali di azione erano state inizialmente collocate
nell’ambito del pilastro della collaborazione intergovernativa, una prima
significativa evoluzione si è registrata proprio con il trasferimento di singole aree –
e poi di tutto lo SLSG – nel contesto del pilastro comunitario, divenuto l’unico con
l’entrata in vigore del trattato di Lisbona. Ciononostante, a conferma
dell’ambivalenza del contesto generale già indicata, questa evoluzione –
virtualmente molto significativa - è stata però tempestivamente temperata e
contenuta, come vedremo, da una serie di non marginali limitazioni.
Il trattato di Maastricht (1992) aveva qualificato come area di interesse comune la
giustizia e gli affari interni, fra i quali la cooperazione giudiziaria in materia penale e
la cooperazione di polizia; e il trattato di Nizza (2001) non era andato oltre il
consolidamento degli assetti della cooperazione giudiziaria e l’introduzione del
riferimento normativo a Eurojust quale unità europea di cooperazione giudiziaria,
investita del compito di contribuire al coordinamento delle autorità nazionali
preposte alla promozione dell’azione penale.
Ma è con il trattato di Amsterdam (1997) che, per la prima volta, si fa esplicito
riferimento ad uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia quale cornice necessaria
per realizzare il pieno esercizio della libertà di circolazione dei cittadini dell’Unione
in un contesto caratterizzato dalla protezione della sicurezza pubblica, da un lato,
202
e assistito dalle garanzie di un sistema giudiziario adeguato alle esigenze
dell’integrazione, dall’altro: nel dettaglio, la configurazione dello SLSG risulta
dall’introduzione nel trattato che istituisce la Comunità Europea di un nuovo titolo
IV ("Visti, asilo, immigrazione e altre politiche connesse con la libera circolazione
delle persone"); di conseguenza, il controllo delle frontiere esterne, l'asilo,
l'immigrazione e la cooperazione giudiziaria in materia civile vengono fatti
rientrare nel primo pilastro (quello comunitario) e sono disciplinate secondo il
"metodo comunitario"12, mentre la cooperazione di polizia e giudiziaria in materia
penale - cui il nuovo trattato aggiunge la prevenzione e la lotta contro il razzismo e
la xenofobia - insieme alle disposizioni che disciplinano l'integrazione del sistema
di Schengen nella cornice normativa dell'UE sono oggetto del nuovo Titolo VI del
TUE e rimangono, pertanto, nell’ambito del terzo pilastro (intergovernativo).
Inoltre, fra le innovazioni significative di interesse in questa sede sono da
menzionare la previsione della «posizione comune», strumento che consente la
manifestazione di un indirizzo politico condiviso dell’UE su un determinato
problema e, in particolare, un nuovo sistema di fonti normative vincolanti, quale
soprattutto la decisione-quadro che - come la direttiva, che rimane fonte tipica ed
esclusiva del pilastro comunitario - vincola gli Stati membri per quanto riguarda il
risultato da raggiungere lasciando nondimeno agli organi nazionali la competenza
di decidere in merito alla forma e ai mezzi più adeguati e consente pertanto per
tale via di conseguire comunque il ravvicinamento della legislazione degli Stati
membri.
Il trattato di Amsterdam determina altresì una più estesa giustiziabilità: in
precedenza, infatti, la Corte di Giustizia non era competente nel campo della
giustizia e degli affari interni, con l’eccezione di quelle materie disciplinate da
accordi di diritto internazionale, conclusi fra gli Stati membri, che contenessero
una clausola che attribuisse alla Corte stessa la relativa competenza. Il citato nuovo
Titolo IV prevede invece, in particolare, che la Corte di giustizia sia competente
anche sia a pronunciarsi sulla validità e sull'interpretazione delle decisioni quadro,
sia nel caso in cui una giurisdizione nazionale di ultimo grado, al fine di risolvere
una controversia, le chieda di pronunciarsi su una questione di interpretazione
12
Peraltro, si stabilisce che la comunitarizzazione si realizzerà progressivamente con l'adozione
di decisioni del Consiglio dell'Unione europea, entro cinque anni dall'entrata in vigore del nuovo
trattato.
203
delle disposizioni del Titolo IV, oppure sulla validità e sull'interpretazione degli atti
comunitari fondati su di esse, ovvero quando il Consiglio, la Commissione o uno
Stato membro le chiedano di pronunciarsi su una questione di interpretazione
delle disposizioni del Titolo IV stesso o degli atti adottati sulla loro base13.
Occorre menzionare altresì l’incorporazione dell’accordo di Schengen nel sistema
UE e l’impulso alla collaborazione di polizia fra gli Stati membri attraverso Europol
(Ufficio europeo di polizia) con il fine di agevolare, sostenere e coordinare
operazioni investigative specifiche da parte delle autorità competenti degli Stati
membri, di chiedere a queste ultime di svolgere indagini, nonché di sviluppare
competenze specialistiche da mettere a disposizione degli Stati membri per
assisterli nelle indagini sui casi di criminalità organizzata e di lavorare in stretta
collaborazione con gli organi inquirenti (magistratura e polizie) specializzati nella
lotta contro la criminalità organizzata.
Come già indicato, il trattato di Lisbona rappresenta ora il punto di arrivo che, in
linea di principio, pone tutte le aree materiali di intervento nel contesto
istituzionale generale dell’UE, e dunque, in particolare, della competenza degli
organi, della tipologia di atti, del quadro dei controlli.
Il nuovo trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) dedica allo SLSG
tutto il Titolo V (artt. 67-89). Il Titolo V a sua volta si articola in Capi dedicati, in
successione, a “Disposizioni generali” (Capo 1), alle “Politiche relative ai controlli
alle frontiere, all’asilo e all’immigrazione” (Capo 2), alla “Cooperazione giudiziaria in
materia civile” (Capo 3), alla “Cooperazione giudiziaria in materia penale” (Capo 4)
e alla “Cooperazione di polizia” (Capo 5).
13
Cfr. in tal senso l‘art. 35 del TUE, come modificato dall’art. K7 del trattato di Amsterdam.
204
In sintesi, si può descrivere il nuovo assetto14 ricordando che il trattato di Lisbona
conferisce nuove competenze alla UE al fine di permettere una gestione comune
delle frontiere esterne dell'Unione europea attraverso lo sviluppo di Frontex l'Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere
esterne -, anche al fine di porre in essere un sistema europeo comune di asilo,
basato su uno status europeo uniforme e su procedure comuni per il
riconoscimento e la revoca dell’asilo ed allo scopo altresì di stabilire le regole, le
condizioni e i diritti in materia di immigrazione legale.
In tema di cooperazione giudiziaria in materia civile, il nuovo assetto delle fonti
prevede il conseguimento dell'attuazione del principio di riconoscimento
reciproco: ogni sistema giudiziario nazionale deve riconoscere come valide e
applicabili le decisioni adottate dai sistemi giudiziari degli altri Stati membri. Si
promuove lo sviluppo di metodi alternativi per la risoluzione delle controversie. Si
potenzia la formazione europea dei magistrati e, in generale, delle distinte
categorie di operatori giudiziari e, attraverso un’importante applicazione della
giustizia elettronica, si attiva un portale informativo per agevolare l’accesso alla
giustizia da parte dei cittadini nell’esercizio della loro libertà di circolazione nel
territorio dell’Unione.
L’UE diviene titolare di una competenza legislativa in tema di giustizia civile e
penale, nonché di cooperazione di polizia (Europol), come verrà analizzato poco
oltre. La cooperazione giudiziaria in materia penale è destinata ad avvalersi della
competenza legislativa al fine della produzione di norme volte alla definizione e
alla sanzione dei reati penali più significativi nel contesto sovranazionale e volte
altresì alla definizione di regole comuni per lo svolgimento dei procedimenti
14
Cfr. in generale l’art. 67 TFUE: “2°. [L’Unione] garantisce che non vi siano controlli sulle persone
alle frontiere interne e sviluppa una politica comune in materia di asilo, immigrazione e controllo
delle frontiere esterne, fondata sulla solidarietà tra Stati membri ed equa nei confronti dei
cittadini dei paesi terzi. Ai fini del presente titolo gli apolidi sono equiparati ai cittadini dei paesi
terzi. 3°. L'Unione si adopera per garantire un livello elevato di sicurezza attraverso misure di
prevenzione e di lotta contro la criminalità, il razzismo e la xenofobia, attraverso misure di
coordinamento e cooperazione tra forze di polizia e autorità giudiziarie e altre autorità
competenti, nonché tramite il riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie penali e, se
necessario, il ravvicinamento delle legislazioni penali. 4°.L'Unione facilita l'accesso alla giustizia, in
particolare attraverso il principio di riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie ed
extragiudiziali in materia civile”.
205
penali (ad esempio, per quanto concerne l'ammissibilità delle prove). Viene
rafforzato, in prospettiva, il ruolo di Eurojust anche in vista dell’istituzione di una
vera e propria procura europea, verosimilmente nel quadro di una cooperazione
rafforzata.
3. Lo SLSG: il quadro circoscritto dell’attribuzione di competenze
L’evidente evoluzione verso un consolidamento delle competenze dell’UE in tema
di SLSG nell’unico contesto comunitario viene in qualche modo controbilanciata –
come abbiamo già avuto modo di rilevare - da significative norme sostanziali e
aggravamenti procedurali che introducono un’eco evidente – una nostalgia? - del
pregresso assetto intergovernativo che inquadrava la materia. In tale prospettiva,
infatti, occorre svolgere una succinta ricognizione delle fonti normative le quali,
oltre a confermare e garantire le competenze individuali nel settore degli Stati
membri, predispongono una disciplina procedurale di natura prevalentemente
intergovernativa ovvero stabiliscono le condizioni e le forme finalizzate
all’attribuzione di una competenza all’Unione ma attraverso la figura della
cooperazione rinforzata. Quest’ultimo istituto, congiunto con i protocolli e le
dichiarazioni di taluni Stati membri collegati al trattato di Lisbona e volti
all’esercizio di un rispettivo e più o meno esteso opting out in proposito, fanno sì
che la configurazione generale dello SLSG vada ricostruita nei termini di un assetto
asimmetrico (o «a geometria variabile»).
(i) Nel primo senso sopra indicato sono da inquadrare, ad esempio, alcune
disposizioni ricognitive delle competenze originarie degli Stati membri e
normative quanto al rispettivo rapporto con le competenze dell’UE, queste ultime
circoscritte dal principio di attribuzione: così, a esempio, l’art. 4.2° TUE stabilisce
che “L'Unione […] rispetta le funzioni essenziali dello Stato, in particolare le
funzioni di salvaguardia dell'integrità territoriale, di mantenimento dell'ordine
pubblico e di tutela della sicurezza nazionale. In particolare, la sicurezza nazionale
resta di esclusiva competenza di ciascuno Stato membro”. Ed inoltre, l’art. 67.1°
TFUE precisa che “L'Unione realizza uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nel
rispetto dei diritti fondamentali nonché dei diversi ordinamenti giuridici e delle
diverse tradizioni giuridiche degli Stati membri; e l’art. 72 TFUE conferma che “il
presente titolo non osta all'esercizio delle responsabilità incombenti agli Stati
206
membri per il mantenimento dell'ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza
interna”. L’art. 77.4° TFUE, nel contesto delle politiche relative ai controlli alle
frontiere, all’asilo e all’immigrazione (Capo 2), precisa inoltre che “il presente
articolo lascia impregiudicata la competenza degli Stati membri riguardo alla
delimitazione geografica delle rispettive frontiere, conformemente al diritto
internazionale”; anche l’art. 79.5 TFUE specifica che “il presente articolo non incide
sul diritto degli Stati membri di determinare il volume di ingresso nel loro territorio
dei cittadini di paesi terzi, provenienti da paesi terzi, allo scopo di cercarvi un
lavoro dipendente o autonomo” mentre l’art. 82.2 TFUE stabilisce che “l'adozione
delle norme minime di cui al presente paragrafo non impedisce agli Stati membri
di mantenere o introdurre un livello più elevato di tutela delle persone”.
Ancora, giova richiamare l’art. 69 TFUE, da qualificarsi come norma del tutto
pleonastica in quanto ripetitiva del regime generale già disposto dall’art. 12.2° lett.
c), secondo il quale “per quanto riguarda le proposte e le iniziative legislative
presentate nel quadro dei capi 4 e 5, i parlamenti nazionali vigilano sul rispetto del
principio di sussidiarietà conformemente al protocollo sull'applicazione dei
principi di sussidiarietà e di proporzionalità”.
(ii) Un’eco dell’assetto intergovernativo può individuarsi invece nel rafforzamento
del ruolo del Consiglio Europeo, del Consiglio e degli Stati membri rispetto alla
Commissione. Ricordiamo, ad esempio, che in tema di SLSG l’art. 68 TFUE
attribuisce al Consiglio Europeo la potestà di definire “gli orientamenti strategici
della programmazione legislativa e operativa nello spazio di libertà, sicurezza e
giustizia”: si tratta, dunque, di una sorta di riserva di indirizzo politico, attribuita
all’organo collegiale di più alto rilievo politico-istituzionale dell’Unione e destinata
ad orientare l’azione amministrativa nonché l’iniziativa legislativa della
Commissione. Nondimeno, benché, da un lato, se ne ricavi un riconoscimento
dell’importanza della materia, dall’altro si trae altresì una conferma del ruolo
recessivo nel quale viene confinata la Commissione, cui non si attribuisce un
formale ed esclusivo ruolo d’iniziativa e propositivo e il cui compito esecutivo
consiste pertanto nell’elaborare ex post un Piano d’azione applicativo degli
Orientamenti strategici, destinato ad essere adottato formalmente dal Consiglio, e
nel dargli conseguente attuazione.
207
Fu vigente il tratto di Amsterdam che si tenne la prima riunione del Consiglio
Europeo dedicata espressamente alle questioni della giustizia e degli affari interni
e in quella sede si pervenne alla conseguente adozione del Programma di
Tampere (1999), cui avrebbe fatto seguito il Programma de l’Aja (2004) e
attualmente, quasi in coincidenza con l’entrata in vigore del trattato di Lisbona, è
stato deliberato (dicembre 2009) il Programma di Stoccolma (2009-2014) in ordine
al quale, successivamente (aprile 2010), la Commissione ha elaborato e proposto
un Piano di azione per l’attuazione del Programma di Stoccolma intitolato “Creare
uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia per i cittadini europei15.
La dimensione intergovernativa si conferma altresì nel suo potenziale di
condizionamento sia per quanto riguarda “la promozione e il rafforzamento della
cooperazione operativa in materia di sicurezza interna” attraverso l’istituzione di
un comitato permanente ad hoc collocato presso il Consiglio16, sia sotto il profilo
della verifica dell’attuazione delle politiche nell’ambito dello SLSG secondo
modalità specifiche17. Inoltre, al Consiglio compete l’adozione di “misure al fine di
15
Le finalità generali ed interlocutorie vengono ribadite nel documento della Commissione:
“L'intento principale dell'azione dell'Unione in questo settore per i prossimi anni è "portare
avanti l'Europa dei cittadini" dando loro i mezzi per esercitare i diritti e trarre pieno beneficio
dall'integrazione europea. La libertà, la sicurezza e la giustizia sono settori che interessano la vita
di tutti i giorni, in cui per l'appunto i cittadini pretendono di più dai responsabili delle politiche.
Uomini e donne in Europa si aspettano giustamente di vivere in un'Unione di prosperità e pace,
nella certezza che i propri diritti vengano pienamente rispettati e la sicurezza sia garantita. Uno
spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia dev'essere uno spazio in cui tutti, anche i cittadini
dei paesi terzi, possono contare sul rispetto effettivo dei diritti fondamentali sanciti dalla Carta
dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Obiettivo del presente piano d'azione è realizzare
queste priorità a livello europeo e globale, garantendo ai cittadini i vantaggi che derivano dai
progressi compiuti nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, in modo che l'Unione possa
guardare al futuro e dare una risposta chiara e adeguata alle sfide europee e globali”.
16
Art. 71 TFUE: “È istituito in seno al Consiglio un comitato permanente al fine di assicurare
all'interno dell'Unione la promozione e il rafforzamento della cooperazione operativa in materia
di sicurezza interna. Fatto salvo l'articolo 240, esso favorisce il coordinamento dell'azione delle
autorità competenti degli Stati membri. I rappresentanti degli organi e organismi interessati
dell'Unione possono essere associati ai lavori del comitato. Il Parlamento europeo e i parlamenti
nazionali sono tenuti informati dei lavori”.
17
Cfr. infatti l’art. 70 TFUE: “Fatti salvi gli articoli 258, 259 e 260, il Consiglio, su proposta della
Commissione, può adottare misure che definiscono le modalità secondo le quali gli Stati
membri, in collaborazione con la Commissione, procedono a una valutazione oggettiva e
imparziale dell'attuazione, da parte delle autorità degli Stati membri, delle politiche dell'Unione
di cui al presente titolo, in particolare al fine di favorire la piena applicazione del principio di
208
assicurare la cooperazione amministrativa tra i servizi competenti degli Stati
membri nei settori di cui al presente titolo e fra tali servizi e la Commissione”18; e,
sempre in tema di SLSG, l’art. 76 del TFUE stabilisce che determinati atti “che
assicurano la cooperazione amministrativa” tra i servizi competenti degli Stati
membri e fra tali servizi e la Commissione per quanto concerne sia la cooperazione
giudiziaria in materia penale sia la cooperazione di polizia “sono adottati: a) su
proposta della Commissione, oppure b) su iniziativa di un quarto degli Stati
membri”.
Al margine e ad indiretta integrazione delle competenze dell’UE, esercitate anche
nella forma delle cooperazioni rafforzate, nonché della dimensione
intergovernativa in senso proprio, il trattato esprime una norma di favore e di
incoraggiamento all’interazione diretta – anche solo bilaterale - fra alcuni Stati
membri in tanto in quanto prevede (art. 73 TFUE) che “gli Stati membri hanno la
facoltà di organizzare tra di loro e sotto la loro responsabilità forme di
cooperazione e di coordinamento nel modo che ritengono appropriato tra i
dipartimenti competenti delle rispettive amministrazioni responsabili per la
salvaguardia della sicurezza nazionale”19. Altrettanto può rilevarsi per quanto
concerne l’esercizio della competenza legislativa dell’UE – “secondo una
procedura legislativa speciale” in base alla quale (“Il Consiglio delibera
all'unanimità previa consultazione del Parlamento europeo”) – volto a stabilire “le
condizioni e i limiti entro i quali le autorità competenti degli Stati membri di cui
agli articoli 82 e 87 [in tema, dunque, di cooperazione giudiziaria in materia penale
e di cooperazione di polizia] possono operare nel territorio di un altro Stato
membro in collegamento e d'intesa con le autorità di quest'ultimo” (art. 89 TFUE).
Anche tali ultime prospettive20, per quanto contenute e addirittura marginali
riconoscimento reciproco. Il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali sono informati dei
contenuti e dei risultati di tale valutazione”.
18
L’art. 74 TFUE precisa che il Consiglio “delibera su proposta della Commissione, fatto salvo
l'articolo 76, e previa consultazione del Parlamento europeo”.
19
Un esempio è offerto dal trattato di Prüm che prevede un’espressione della facoltà indicata nel
testo su cui cfr. G. Di Paolo, La circolazione dei dati personali nello spazio giudiziario europeo
dopo Prüm, in Cassazione penale, 2010.
20
E’ da ritenere che si tratti dell’applicazione di settore di un principio normativo di carattere
generale, cui è dedicato l’intero Titolo XXIV (“Cooperazione amministrativa”) del TFUE
comprensivo del solo art. 197, alla stregua del quale “1. L'attuazione effettiva del diritto
dell'Unione da parte degli Stati membri, essenziale per il buon funzionamento dell'Unione, è
considerata una questione di interesse comune.- 2. L'Unione può sostenere gli sforzi degli Stati
209
possano essere eventualmente destinate a rivelarsi alla luce della loro attuazione,
confermano peraltro l’impianto sistematico a vocazione ancora prevalentemente
intergovernativa e a tendenza asimmetrica dell’intero SLSG.
(iii) Come già indicato, in materia di SLSG, l’UE è titolare di competenza legislativa
concorrente (art. 4.2 lett. j TFUE), il cui esercizio, “nella definizione e nell'attuazione
delle sue politiche e azioni” – beninteso, “conformandosi al principio di
attribuzione delle competenze” benché con l’obbligo di assicurare “la coerenza tra
le sue varie politiche e azioni, tenendo conto dell'insieme dei suoi obiettivi” come
prescritto dall’art. 7 TFUE - è soggetto, fra l’altro, al rispetto di una serie di finalità e
valori trasversali esplicitamente posti dalla fonte primaria, quale, ad esempio,
l’obiettivo di “eliminare le ineguaglianze, nonché [di] promuovere la parità, tra
uomini e donne” (art. 8 TFUE), ovvero il fine di “combattere le discriminazioni
fondate sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali,
la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale (art. 10 TFUE) nonché, più in generale, i
precetti e le norme programmatiche del titolo secondo della parte prima
(“Disposizioni di applicazione generale”, artt. 7-17) e della parte seconda del TFUE
(”Non discriminazione e cittadinanza dell’Unione”, artt. 18-25).
Occorre peraltro precisare che se, in linea generale, l’esercizio della funzione
legislativa anche nel contesto dello SLSG è soggetta alla procedura legislativa
ordinaria, il trattato prescrive invece in alcune ipotesi materiali di evidente
particolare rilievo un assetto derogatorio e differenziato, volto a recuperare una
diversa volontà di una parte degli Stati membri: così si prevede l’obbligo di
applicazione della procedura legislativa speciale, la quale richiede il voto unanime
del Consiglio e ripristina pertanto il metodo intergovernativo, salvo prevedere
una “valvola di sicurezza” identificata nel ricorso - che in tale contesto potremmo
membri volti a migliorare la loro capacità amministrativa di attuare il diritto dell'Unione. Tale
azione può consistere in particolare nel facilitare lo scambio di informazioni e di funzionari
pubblici e nel sostenere programmi di formazione. Nessuno Stato membro è tenuto ad avvalersi
di tale sostegno. Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando mediante regolamenti
secondo la procedura legislativa ordinaria, stabiliscono le misure necessarie a tal fine, ad
esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati
membri.- 3. Il presente articolo non pregiudica l'obbligo degli Stati membri di attuare il diritto
dell'Unione né le prerogative e i doveri della Commissione. Esso non pregiudica le altre
disposizioni dei trattati che prevedono la cooperazione amministrativa fra gli Stati membri e fra
questi ultimi e l'Unione”.
210
definire fisiologico delle concrete potenzialità attuative del trattato – alla figura
della cooperazione rafforzata che consente comunque all’UE di intervenire sia
pure con una configurazione asimmetrica variabile; e si prevede anche, benché in
una sola ipotesi, un potere di veto esercitabile da parte anche di un solo
Parlamento nazionale.
Così, ad esempio, con riguardo alle politiche relative ai controlli alle frontiere,
all’asilo e all’immigrazione, la procedura legislativa ordinaria è prevista per
l’adozione di “misure riguardanti a) la politica comune dei visti e di altri titoli di
soggiorno di breve durata; b) i controlli ai quali sono sottoposte le persone che
attraversano le frontiere esterne; c) le condizioni alle quali i cittadini dei paesi terzi
possono circolare liberamente nell'Unione per un breve periodo; d) qualsiasi
misura necessaria per l'istituzione progressiva di un sistema integrato di gestione
delle frontiere esterne; e) l'assenza di qualsiasi controllo sulle persone, a
prescindere dalla nazionalità, all'atto dell'attraversamento delle frontiere interne”
(art. 77.2 TFUE). Tuttavia, “se un'azione dell'Unione risulta necessaria per
facilitare l'esercizio del diritto, di cui all'articolo 20, paragrafo 2, lettera a), e salvo
che i trattati non abbiano previsto poteri di azione a tale scopo, il Consiglio,
deliberando secondo una procedura legislativa speciale, può adottare disposizioni
relative ai passaporti, alle carte d'identità, ai titoli di soggiorno o altro documento
assimilato. Il Consiglio delibera all'unanimità previa consultazione del Parlamento
europeo” (art. 77.3 TFUE).
Nell’ambito della cooperazione giudiziaria in materia penale (Capo 4) – che risulta
“fondata sul principio di riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni
giudiziarie e include il ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari
degli Stati membri” in taluni settori (art. 82.1 TFUE) – è prescritta la procedura
legislativa ordinaria21.
21
Si tratta delle disposizioni indispensabili al fine di “a) definire norme e procedure per
assicurare il riconoscimento in tutta l'Unione di qualsiasi tipo di sentenza e di decisione
giudiziaria; b) prevenire e risolvere i conflitti di giurisdizione tra gli Stati membri; c) sostenere la
formazione dei magistrati e degli operatori giudiziari; d) facilitare la cooperazione tra le autorità
giudiziarie o autorità omologhe degli Stati membri in relazione all'azione penale e all'esecuzione
delle decisioni”.
211
Altri eventuali oggetti normativi22 possono essere disciplinati da “norme minime”
necessarie “per facilitare il riconoscimento reciproco delle sentenze e delle
decisioni giudiziarie e la cooperazione di polizia e giudiziaria nelle materie penali
aventi dimensione transnazionale” che vengono adottate sempre secondo la
procedura legislativa ordinaria ma con l’esplicita condizione di tener “conto delle
differenze tra le tradizioni giuridiche e gli ordinamenti giuridici degli Stati
membri”23.
Tuttavia, “qualora un membro del Consiglio ritenga che un progetto di direttiva di
cui al paragrafo 2 incida su aspetti fondamentali del proprio ordinamento
giuridico penale, può chiedere che il Consiglio europeo sia investito della
questione. In tal caso la procedura legislativa ordinaria è sospesa”. Si prevede, in
altre parole, una pausa di riflessione attivabile da parte anche di uno solo degli
Stati membri il quale viene a disporre pertanto di uno strumento che è stato
definito un “freno d’emergenza”, cui consegue un duplice corso: una prima ipotesi
di prosecuzione dell’iter formativo della direttiva prevede che “previa discussione
e in caso di consenso, il Consiglio europeo, entro quattro mesi da tale sospensione,
rinvia il progetto al Consiglio, ponendo fine alla sospensione della procedura
legislativa ordinaria”; in alternativa, “entro il medesimo termine, in caso di
disaccordo, e se almeno nove Stati membri desiderano instaurare una
cooperazione rafforzata sulla base del progetto di direttiva in questione, essi ne
informano il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione. In tal caso
l'autorizzazione a procedere alla cooperazione rafforzata di cui all'articolo 20,
paragrafo 2 del trattato sull'Unione europea e all'articolo 329, paragrafo 1 del
presente trattato si considera concessa e si applicano le disposizioni sulla
cooperazione rafforzata” (art. 82.3 TFUE).
Lo stesso meccanismo è previsto anche in relazione all’esercizio della funzione
legislativa, secondo la procedura legislativa ordinaria, per quanto concerne
22
Si tratta, segnatamente degli oggetti così individuati: “a) l'ammissibilità reciproca delle prove
tra gli Stati membri; b) i diritti della persona nella procedura penale; c)
i diritti delle vittime
della criminalità; d) altri elementi specifici della procedura penale, individuati dal Consiglio in
via preliminare mediante una decisione; per adottare tale decisione il Consiglio delibera
all'unanimità previa approvazione del Parlamento europeo” (art- 82.2 TFUE).
23
E comunque, come già sopra indicato, “l'adozione delle norme minime di cui al presente
paragrafo non impedisce agli Stati membri di mantenere o introdurre un livello più elevato di
tutela delle persone” (art. 82.2 TFUE).
212
l’adozione di “norme minime” “relative alla definizione dei reati e delle sanzioni in
sfere di criminalità particolarmente grave che presentano una dimensione
transnazionale derivante dal carattere o dalle implicazioni di tali reati o da una
particolare necessità di combatterli su basi comuni” quali “terrorismo, tratta degli
esseri umani e sfruttamento sessuale delle donne e dei minori, traffico illecito di
stupefacenti, traffico illecito di armi, riciclaggio di denaro, corruzione,
contraffazione di mezzi di pagamento, criminalità informatica e criminalità
organizzata” (art. 83.1 TFUE)24. Tali “norme minime relative alla definizione dei reati
e delle sanzioni” che producano il “ravvicinamento delle disposizioni legislative e
regolamentari degli Stati membri in materia penale indispensabile per garantire
l'attuazione efficace di una politica dell'Unione … in un settore che è stato
oggetto di misure di armonizzazione … possono essere stabilite tramite direttive.
Tali direttive sono adottate secondo la stessa procedura legislativa ordinaria o
speciale utilizzata per l'adozione delle misure di armonizzazione in questione, fatto
salvo l'articolo 76” (art. 83.2 TFUE).
Ma, “qualora un membro del Consiglio ritenga che un progetto di direttiva di cui al
paragrafo 1 o 2 incida su aspetti fondamentali del proprio ordinamento giuridico
penale, può chiedere che il Consiglio europeo sia investito della questione. In tal
caso la procedura legislativa ordinaria è sospesa”. Anche in tale evenienza, o
“previa discussione e in caso di consenso, il Consiglio europeo, entro quattro mesi
da tale sospensione, rinvia il progetto al Consiglio, ponendo fine alla sospensione
della procedura legislativa ordinaria”, ovvero “entro il medesimo termine, in caso
di disaccordo, e se almeno nove Stati membri desiderano instaurare una
cooperazione rafforzata sulla base del progetto di direttiva in questione, essi ne
informano il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione. In tal caso
l'autorizzazione a procedere alla cooperazione rafforzata di cui all'articolo 20,
paragrafo 2 del trattato sull'Unione europea e all'articolo 329, paragrafo 1 del
presente trattato si considera concessa e si applicano le disposizioni sulla
cooperazione rafforzata“(art. 83.3 TFUE).
24
Si tratta, peraltro, di un ambito materiale individuato in modo non tassativo in tanto in quanto
si stabilisce altresì che “in funzione dell'evoluzione della criminalità, il Consiglio può adottare una
decisione che individua altre sfere di criminalità che rispondono ai criteri di cui al presente
paragrafo. Esso delibera all'unanimità previa approvazione del Parlamento europeo” (art. 83.1
TFUE).
213
Così, in tema di cooperazione giudiziaria in materia civile, una volta precisato che
l’obiettivo dell’UE è quello di sviluppare “una cooperazione giudiziaria nelle
materie civili con implicazioni transnazionali, fondata sul principio di
riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziali” e che, di
conseguenza, “tale cooperazione può includere l'adozione di misure intese a
ravvicinare le disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri” (art. 81.1
TFUE), si stabilisce l’adozione della procedura legislativa ordinaria25.
In tale settore, anche in ragione della pertinenza della materia all’originaria finalità
comunitaria dell’integrazione economica - come suggerito dall’inciso “se
necessario al buon funzionamento del mercato interno” che è dato leggere nella
medesima disposizione -, non sono previsti
il meccanismo del freno
d’emergenza e il ricorso fisiologico alla figura della cooperazione rafforzata.
Nondimeno, “in deroga al paragrafo 2, le misure relative al diritto di famiglia aventi
implicazioni transnazionali sono stabilite dal Consiglio, che delibera secondo una
procedura legislativa speciale. Il Consiglio delibera all'unanimità previa
consultazione del Parlamento europeo. Il Consiglio, su proposta della
Commissione, può adottare una decisione che determina gli aspetti del diritto di
famiglia aventi implicazioni transnazionali e che potrebbero formare oggetto di
atti adottati secondo la procedura legislativa ordinaria. Il Consiglio delibera
all'unanimità previa consultazione del Parlamento europeo. I parlamenti nazionali
sono informati della proposta di cui al secondo comma. Se un parlamento
nazionale comunica la sua opposizione entro sei mesi dalla data di tale
informazione, la decisione non è adottata. In mancanza di opposizione, il Consiglio
può adottare la decisione” (art. 81.3 TFUE).
25
L’oggetto di tale competenza legislativa concerne più in particolare: a) il riconoscimento
reciproco tra gli Stati membri delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziali e la loro esecuzione; b)
la notificazione e la comunicazione transnazionali degli atti giudiziari ed extragiudiziali; c) la
compatibilità delle regole applicabili negli Stati membri ai conflitti di leggi e di giurisdizione; d) la
cooperazione nell'assunzione dei mezzi di prova; e) un accesso effettivo alla giustizia; f)
l'eliminazione degli ostacoli al corretto svolgimento dei procedimenti civili, se necessario
promuovendo la compatibilità delle norme di procedura civile applicabili negli Stati membri; g)
lo sviluppo di metodi alternativi per la risoluzione delle controversie; h) un sostegno alla
formazione dei magistrati e degli operatori giudiziari” (art. 81.2 TFUE).
214
E’ agevole dunque constatare che il diritto di famiglia, rispetto al quale l’esercizio
della competenza legislativa dell’UE è sottoposto ad un potere di veto di anche
uno solo degli Stati membri, espresso dal rispettivo Parlamento, rappresenta
un’area nella quale si è precostituito un muro di separazione fra le dinamiche
evolutive concretizzatesi nell’ordinamento di alcuni Stati membri – comprensive in
particolare del superamento della discriminazione in base all’orientamento
sessuale, prescritto peraltro in via generale dal diritto costituzionale dell’Unione – e
le resistenze frapposte da parte di altri Stati membri.
Per quanto riguarda, in particolare, la disciplina ordinaria di Eurojust – il cui
compito è “di sostenere e potenziare il coordinamento e la cooperazione tra le
autorità nazionali responsabili delle indagini e dell'azione penale contro la
criminalità grave che interessa due o più Stati membri o che richiede un'azione
penale su basi comuni, sulla scorta delle operazioni effettuate e delle informazioni
fornite dalle autorità degli Stati membri e da Europol” (art. 85.1 TFUE) -, è prescritta
la procedura legislativa ordinaria, da esercitarsi con l’emanazione di regolamenti
che “determinano la struttura, il funzionamento, la sfera d'azione e i compiti di
Eurojust”26.
Il meccanismo del freno d’emergenza che apre la possibilità di una cooperazione
rafforzata è previsto anche dall’art. 86 TFUE il quale disciplina l’iter che, partendo in
questo caso, però, comunque dalla procedura legislativa speciale, può condurre
all’istituzione della Procura europea27 partendo da Eurojust. Si prevede, infatti, che
26
L’art. 85.1 TFUE precisa che “tali compiti possono comprendere: a) l'avvio di indagini penali,
nonché la proposta di avvio di azioni penali esercitate dalle autorità nazionali competenti, in
particolare quelle relative a reati che ledono gli interessi finanziari dell'Unione; b) il
coordinamento di indagini ed azioni penali di cui alla lettera a); c) il potenziamento della
cooperazione giudiziaria, anche attraverso la composizione dei conflitti di competenza e tramite
una stretta cooperazione con la Rete giudiziaria europea”. Inoltre, “tali regolamenti fissano
inoltre le modalità per associare il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali alla valutazione
delle attività di Eurojust”. In applicazione del principio di attribuzione, si prescrive che “Nel
contesto delle azioni penali di cui al paragrafo 1, e fatto salvo l'articolo 86, gli atti ufficiali di
procedura giudiziaria sono eseguiti dai funzionari nazionali competenti” (art. 85.2 TFUE).
27
Cfr. in proposito la disciplina “in divenire” posta dal trattato: “la Procura europea è competente
per individuare, perseguire e rinviare a giudizio, eventualmente in collegamento con Europol, gli
autori di reati che ledono gli interessi finanziari dell'Unione, quali definiti dal regolamento
previsto nel paragrafo 1, e i loro complici. Essa esercita l'azione penale per tali reati dinanzi agli
organi giurisdizionali competenti degli Stati membri” (l’art. 86.2 TFUE); “i regolamenti di cui al
215
“per combattere i reati che ledono gli interessi finanziari dell'Unione, il Consiglio,
deliberando mediante regolamenti secondo una procedura legislativa speciale,
può istituire una Procura europea a partire da Eurojust. Il Consiglio delibera
all'unanimità, previa approvazione del Parlamento europeo”. Nondimeno, “in
mancanza di unanimità, un gruppo di almeno nove Stati membri può chiedere
che il Consiglio europeo sia investito del progetto di regolamento. In tal caso la
procedura in sede di Consiglio è sospesa. Previa discussione e in caso di consenso,
il Consiglio europeo, entro quattro mesi da tale sospensione, rinvia il progetto al
Consiglio per adozione”. In alternativa, “entro il medesimo termine, in caso di
disaccordo, e se almeno nove Stati membri desiderano instaurare una
cooperazione rafforzata sulla base del progetto di regolamento in questione, essi
ne informano il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione. In tal caso
l'autorizzazione a procedere alla cooperazione rafforzata di cui all'articolo 20,
paragrafo 2 del trattato sull'Unione europea e all'articolo 329, paragrafo 1 del
presente trattato si considera concessa e si applicano le disposizioni sulla
cooperazione rafforzata” (art. 86.1 TFUE).
Da ultimo, occorre considerare la disciplina posta in tema di cooperazione
operativa di polizia, anche, ma non necessariamente, attraverso l’istituzione
dell’Europol.
L’art. 87.1 TFUE stabilisce in via generale che “l'Unione sviluppa una cooperazione
di polizia che associa tutte le autorità competenti degli Stati membri, compresi i
servizi di polizia, i servizi delle dogane e altri servizi incaricati dell'applicazione della
legge specializzati nel settore della prevenzione o dell'individuazione dei reati e
delle relative indagini”. Anche in questa materia viene attribuita all’UE una
competenza legislativa da esercitarsi secondo la procedura legislativa ordinaria in
paragrafo 1 stabiliscono lo statuto della Procura europea, le condizioni di esercizio delle sue
funzioni, le regole procedurali applicabili alle sue attività e all'ammissibilità delle prove e le
regole applicabili al controllo giurisdizionale degli atti procedurali che adotta nell'esercizio delle
sue funzioni” (art. 86.3 TFUE); “il Consiglio europeo può adottare, contemporaneamente o
successivamente, una decisione che modifica il paragrafo 1 allo scopo di estendere le
attribuzioni della Procura europea alla lotta contro la criminalità grave che presenta una
dimensione transnazionale, e che modifica di conseguenza il paragrafo 2 per quanto riguarda gli
autori di reati gravi con ripercussioni in più Stati membri e i loro complici. Il Consiglio europeo
delibera all'unanimità previa approvazione del Parlamento europeo e previa consultazione della
Commissione” (art. 86.4 TFUE).
216
relazione ad alcuni profili28, mentre la procedura legislativa speciale (“Il Consiglio
delibera all'unanimità previa consultazione del Parlamento europeo“) è invece
prevista in ordine all’adozione di “misure riguardanti la cooperazione operativa tra
le autorità di cui al presente articolo). Secondo il meccanismo già indicato, è
stabilito che “in mancanza di unanimità, un gruppo di almeno nove Stati membri
può chiedere che il Consiglio europeo sia investito del progetto di misure. In tal
caso la procedura in sede di Consiglio è sospesa. Previa discussione e in caso di
consenso, il Consiglio europeo, entro quattro mesi da tale sospensione, rinvia il
progetto al Consiglio per adozione”; e in questa materia è previsto che “entro il
medesimo termine, in caso di disaccordo, e se almeno nove Stati membri
desiderano instaurare una cooperazione rafforzata sulla base del progetto di
misure in questione, essi ne informano il Parlamento europeo, il Consiglio e la
Commissione. In tal caso l'autorizzazione a procedere alla cooperazione rafforzata
di cui all'articolo 20, paragrafo 2 del trattato sull'Unione europea e all'articolo 329,
paragrafo 1 del presente trattato si considera concessa e si applicano le
disposizioni sulla cooperazione rafforzata”.
In tema di definizione legislativa di struttura, funzionamento, sfera d'azione e
compiti di Europol – cui viene conferito “il compito di sostenere e potenziare
l'azione delle autorità di polizia e degli altri servizi incaricati dell'applicazione della
legge degli Stati membri e la reciproca collaborazione nella prevenzione e lotta
contro la criminalità grave che interessa due o più Stati membri, il terrorismo e le
forme di criminalità che ledono un interesse comune oggetto di una politica
dell'Unione”, secondo quanto prescritto dall’art. 88.2 TFUE -, si prevede che
Parlamento europeo e Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa
28
Tali profili sono : “a) la raccolta, l'archiviazione, il trattamento, l'analisi e lo scambio delle
pertinenti informazioni; b) un sostegno alla formazione del personale e la cooperazione relativa
allo scambio di personale, alle attrezzature e alla ricerca in campo criminologico; c) le tecniche
investigative comuni ai fini dell'individuazione di forme gravi di criminalità organizzata” (art 87.2
TFUE). Cfr. infatti l’art. 88.2 TFUE, secondo il quale “tali compiti possono comprendere: a) la
raccolta, l'archiviazione, il trattamento, l'analisi e lo scambio delle informazioni trasmesse, in
particolare dalle autorità degli Stati membri o di paesi o organismi terzi; b) il coordinamento,
l'organizzazione e lo svolgimento di indagini e di azioni operative, condotte congiuntamente
con le autorità competenti degli Stati membri o nel quadro di squadre investigative comuni,
eventualmente in collegamento con Eurojust”. E’ previsto altresì che i suddetti regolamenti
“fissano inoltre le modalità di controllo delle attività di Europol da parte del Parlamento europeo,
controllo cui sono associati i parlamenti nazionali”.
217
ordinaria, possano adottare regolamenti che incidano sulla stessa definizione dei
compiti di Europol, integrandoli e ulteriormente specificandoli29.
Il trattato si preoccupa anche di precisare la titolarità delle competenze in
relazione alle modalità di intervento territoriale in materia penale: l’art. 88.8
prevede che “qualsiasi azione operativa di Europol deve essere condotta in
collegamento e d'intesa con le autorità dello Stato membro o degli Stati membri
di cui interessa il territorio. L'applicazione di misure coercitive è di competenza
esclusiva delle pertinenti autorità nazionali”; mentre, per quanto concerne la
cooperazione di polizia tout court, l’intervento delle autorità competenti degli Stati
membri in relazione alla cooperazione giudiziaria in materia penale e alla
cooperazione di polizia, si prevede che il Consiglio, deliberando all'unanimità
previa consultazione del Parlamento europeo – dunque secondo una procedura
legislativa speciale – possa stabilire le condizioni e i limiti entro i quali esse possano
operare nel territorio di un altro Stato membro in collegamento e d'intesa con le
autorità di quest'ultimo (art. 89 TFUE).
4. Lo SLSG e il sistema delle reti giudiziarie
La ricostruzione sin qui svolta del percorso evolutivo graduale, sperimentale ed
incrementale e delle principali aree di intervento nonché delle modalità di
esercizio delle competenze che ne derivano - nel contesto ordinamentale dell’UE
ben radicato nel principio di attribuzione - sembra idonea, per quanto succinta, a
porre in evidenza come lo SLSG si possa qualificare in ragione di una vocazione
ancora prevalentemente intergovernativa (nonostante il superamento formale
dell’architettura a pilastri), di una configurazione tendenzialmente e variamente
asimmetrica, di una caratterizzazione funzionale altamente specialistica e di
un’esigenza molto forte di conferire all’innovazione che lo SLSG stesso
29
Cfr. in argomento l’art. 88.2 TFUE (“Tali compiti possono comprendere: a)la raccolta,
l'archiviazione, il trattamento, l'analisi e lo scambio delle informazioni trasmesse, in particolare
dalle autorità degli Stati membri o di paesi o organismi terzi; b)il coordinamento,
l’organizzazione e lo svolgimento di indagini e di azioni operative, condotte congiuntamente
con le autorità competenti degli Stati membri o nel quadro di squadre investigative comuni,
eventualmente in collegamento con Eurojust”).
218
rappresenta una legittimazione ad hoc30, sia con lo scopo di interessare e
coinvolgere direttamente i cittadini e, più in generale, l’opinione pubblica31, sia al
fine di natura istituzionale di includere con immediatezza ed acquisire l’adesione
attiva e collaborativa delle magistrature nazionali, delle forze dell’ordine nonché
del mondo delle professioni forensi. Sia con riguardo ai cittadini sia nei confronti
dei magistrati e delle altre categorie professionali una delle massime priorità
dell’avvio dello SLSG è quella di colmare non solo una lacuna di informazione e di
conoscenza ma anche una mancanza di fiducia reciproca che va ovviamente oltre
la mera conoscenza ma che, senza quest’ultima, anche in virtù del tecnicismo
giudiziario che la materia comporta, sarebbe impossibile suscitare, costruire e
consolidare.
Nel Programma di Stoccolma, il primo degli strumenti indicati ai fini
dell’attuazione dello SLSG è proprio “la fiducia reciproca tra autorità e servizi nei
vari Stati membri e tra decisori [che] è il presupposto di una cooperazione efficace
in questo settore. Pertanto, una delle principali sfide future consisterà nel
consolidare la fiducia e nel trovare nuove soluzioni che favoriscano un maggiore
ricorso ai vari sistemi degli Stati membri e una migliore comprensione degli stessi”
(punto 1.2.1)32.
30
Sì che appare del tutto contraddittorio circoscrivere l’area di giustiziabilità in materia, come
risulta dall’inevitabile richiamo in proposito dell’art. 276 TFUE:” Nell'esercizio delle attribuzioni
relative alle disposizioni dei capi 4 e 5 della parte terza, titolo V concernenti lo spazio di libertà,
sicurezza e giustizia, la Corte di giustizia dell'Unione europea non è competente a esaminare la
validità o la proporzionalità di operazioni condotte dalla polizia o da altri servizi incaricati
dell'applicazione della legge di uno Stato membro o l'esercizio delle responsabilità incombenti
agli Stati membri per il mantenimento dell'ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza
interna”.
31
Si pensi solo al tema della facilitazione dell’accesso dei cittadini alla giustizia e allo strumento
de portale della e-Justice: non a caso il titolo del Programma di Stoccolma è “Un'Europa aperta e
sicura al servizio e a tutela dei cittadini”.
32
E’ evidente che la promozione della fiducia è un obiettivo che si pone già nell’immediato ma
che, nel lungo periodo, almeno per quanto riguarda la conoscenza (ma già abbiamo osservato
che la conoscenza di per sé rappresenta il primo ed indispensabile fattore ai fini della
costruzione dello SLSG) insostituibile si rivela il contributo della formazione, come ben indicato
nel Programma di Stoccolma (cfr. infatti il punto 1.2.6): “Per promuovere un'autentica cultura
europea in materia giudiziaria e di applicazione delle legge è essenziale intensificare la
formazione relativa alle tematiche connesse all'UE e renderla sistematicamente accessibile per
tutte le professioni coinvolte nell'attuazione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, tra cui
sono da annoverare giudici, pubblici ministeri, personale giudiziario, agenti doganali e guardie
219
A ragione si può dunque ritenere che, sulla base di tali premesse di fondo, la
predisposizione di un apparato esecutivo destinato alla migliore attuazione
funzionale dello SLSG, combinando efficienza operativa unitaria e centralizzata ma
anche garanzie di compatibilità con la pluralità e le diversità degli Stati membri –
anche per il riflesso che tali attività hanno sulla funzione giurisdizionale e sulla
tutela dei diritti fondamentali – avvenisse in modo da non affidarne il
funzionamento alla Commissione (pur direttamente coinvolta, peraltro, quanto
all’organizzazione amministrativa) ma da privilegiare piuttosto un assetto
operativo nuovo, ad hoc, per quanto possibile collegiale se non addirittura a base
di frontiera. Occorrerebbe porsi come obiettivo regimi di formazione europea sistematica, offerti
a tutti i soggetti coinvolti, con l'ambizione seguente per l'Unione e gli Stati membri:
partecipazione, entro il 2015, di un numero significativo di professionisti, ovvero scambio con un
altro Stato membro che potrebbe rientrare in regimi di formazione già utilizzati. A tal fine si
dovrebbe in particolare ricorrere agli istituti di formazione esistenti. Al riguardo sono
responsabili in primo luogo gli Stati membri; l'Unione deve però offrire loro supporto e sostegno
finanziario e disporre inoltre di meccanismi propri per integrare gli sforzi nazionali. Il Consiglio
europeo ritiene che gli aspetti della cooperazione UE e internazionale debbano rientrare nei
programmi di formazione nazionali. Nella formazione di giudici, pubblici ministeri e personale
giudiziario è importante salvaguardare l'indipendenza del potere giudiziario, ponendo nel
contempo l'accento sulla dimensione europea per i professionisti che si servono
frequentemente degli strumenti europei. CEPOL e FRONTEX dovrebbero svolgere un ruolo
chiave nella formazione del personale preposto all'azione di contrasto e delle guardie di
frontiera al fine di garantire una dimensione europea all'attività formativa. La formazione delle
guardie di frontiera e degli agenti doganali riveste una rilevanza particolare nell'ottica di
promuove un approccio comune alla gestione integrata delle frontiere. Si dovrebbero ricercare
soluzioni a livello europeo per potenziare i regimi di formazione europea. Si devono inoltre
sviluppare programmi di teledidattica per formare i professionisti riguardo ai meccanismi
europei.
Il Consiglio europeo invita la Commissione a: proporre un piano d'azione per innalzare
sistematicamente, in misura sostanziale, il livello dei regimi di formazione e scambio nell'Unione.
Il piano dovrebbe prospettare come garantire che a un terzo di tutte le forze di polizia coinvolte
nella cooperazione europea di polizia e alla metà dei giudici, pubblici ministeri e altro personale
giudiziario coinvolti nella cooperazione europea giudiziaria, nonché alla metà di altri
professionisti coinvolti nella cooperazione europea possano essere offerti regimi di formazione
europea; considerare ciò che può definirsi un regime di formazione europea e proporre, nel
piano d'azione, soluzioni per sviluppare questo concetto nella prospettiva di conferirgli una
dimensione europea; istituire specifici programmi di scambio (tipo Erasmus) che potrebbero
coinvolgere Stati non appartenenti all'UE e, in particolare, Stati candidati e paesi con i quali
l'Unione ha concluso accordi di partenariato e di cooperazione; far sì che la partecipazione ai
corsi, alle esercitazioni e ai programmi di scambio comuni sia decisa in funzione delle
attribuzioni e non dipenda da criteri settoriali”.
220
quasi associativa, intergovernativo e a forte componente professionale. Affidarsi
unicamente e direttamente alla Commissione, peraltro ben connotata dal punto di
vista sistematico quale organo che “promuove l’interesse generale dell’Unione”
(art. 17 TUE) e in qualche modo interlocutore dialettico del Consiglio, avrebbe
probabilmente rappresentato una eccessiva semplificazione mentre – anche alla
luce delle resistenze espresse anche negli opting-out di alcuni Stati membri –
collocare lo SLSG piuttosto nel baricentro strutturale offerto dal Consiglio e
soprattutto in prima battuta dagli Stati membri avrebbe fornito garanzie più
rassicuranti.
È sulla base di questi requisiti che si innesta il ricorso, anche formale – ossia in virtù
del dato letterale delle disposizioni normative - alla figura atipica delle «rete»
europea.
5. La ricognizione delle figure di «rete» nel contesto dello SLSG
Il concetto di rete non appartiene alle categorie consolidate del diritto pubblico33
ma, nondimeno, come testé precisato, in tanto in quanto esso corrisponde al
lessico del diritto positivo comunitario oltre che del linguaggio istituzionale
corrente, come ad esempio nel citato Programma di Stoccolma, occorre che il
giurista si faccia carico - se e per quanto possibile - del compito di definirne il
significato e la configurazione sistematica. Preliminare rispetto a tale compito,
peraltro, sembra essere quello di svolgere una ricognizione analitica dei contesti
nei quali quel lessico viene utilizzato in modo da impostare una riflessione
sistematica sulla base di una mappatura del fenomeno.
È dato osservare, di conseguenza, che il termine e il concetto di rete si rinvengono
in una pluralità di accezioni che giova sottoporre a un tentativo di classificazione.
33
In proposito rinviamo a R. Toniatti, Il regionalismo relazionale e il governo delle reti: primi
spunti ricostruttivi, in S. Gambino (a cura di), Il “nuovo” ordinamento regionale. Competenze e
diritti, Milano, 2003.
221
(i) In primo luogo giova soffermarsi su quella che viene formalmente definita come
Rete giudiziaria europea: il riferimento alle fonti vigenti34 va fatto alla Decisione
2008/976/GAI del Consiglio del 16 dicembre 200835 relativa alla Rete giudiziaria
europea36.
La Rete giudiziaria europea, in senso proprio - in tanto in quanto così denominata
dal legislatore comunitario -, è costituita dalle autorità giudiziarie ovvero da altre
autorità degli Stati membri competenti con responsabilità specifiche nell’ambito
della cooperazione internazionale ma con una specifica destinazione a svolgere le
funzioni di punto di contatto, ossia di corrispondente nazionale perla Rete
giudiziaria europea. La potestà di nomina è determinata “tenuto conto delle
norme costituzionali, delle tradizioni giuridiche e della struttura interna di ciascuno
Stato membro, delle autorità centrali responsabili della cooperazione giudiziaria
internazionale” (art. 2.1 della Decisione ult. cit.). Quanto ai requisiti soggettivi
richiesti, è stabilito che “ciascuno Stato membro si adopera affinché i propri punti
di contatto abbiano funzioni attinenti alla cooperazione giudiziaria in materia
penale e una conoscenza sufficiente di una lingua dell’Unione europea diversa
dalla lingua nazionale, tenuto conto della necessità di consentire la comunicazione
con i punti di contatto degli altri Stati membri” (art. 2.5 della Decisione ult. cit.) .
Il duplice requisito soggettivo prescritto - professionale (segnatamente la titolarità
di “funzioni attinenti alla cooperazione giudiziaria in materia penale”) e linguistico consente di precisare le funzioni dei magistrati di contatto e contribuiscono
inoltre, di per sé, a definire anche le funzioni della Rete, riconducibili soprattutto a
finalità di collaborazione in ambito giudiziario fra gli Stati membri, attraverso
34
Ma la fonte originaria è da ricondurre all’Azione comune del 29 giugno 1998 adottata dal
Consiglio sulla base dell’art. K.3 del trattato sull’Unione europea sull’istituzione di una Rete
giudiziaria europea (98/428/GAI) in GUCE L/191/4 del 7 luglio 1998, la cui abrogazione è
espressamente disposta dall’art. 14 della Decisione del 2008 su cui si veda oltre. Peraltro, la
continuità istituzionale è del pari esplicitamente stabilita dall’art. 1 della Decisione (“La rete di
punti di contatto giudiziari, in prosieguo denominata «Rete giudiziaria europea», istituita tra gli
Stati membri in applicazione dell’azione comune 98/428/GAI, continua a operare
conformemente al disposto della presente decisione”).
35
Cfr. Atti adottati a norma del Titolo VI del trattato UE in GUCE L 348/130 del 24.12.2008.
36
Cfr. in particolare http://www.ejn-crimjust.europa.eu/about-ejn.aspx
222
attività di reciproca informazione e di agevolazione37 – generale e specifica38 - allo
scopo di prestabilire ulteriori occasioni di contatto e collaborazione39; si profilano
altresì attività di formazione40.
Anche le modalità decentrate, coordinate e convergenti di funzionamento
contribuiscono a consolidare l’immagine di un sistema a rete, il quale è
37
Quanto al contenuto e all’aggiornamento delle informazioni diffuse nell’ambito della Rete
giudiziaria europea cfr. l’art. 7 (“Il segretariato della Rete giudiziaria europea mette a disposizione
dei punti di contatto e delle competenti autorità giudiziarie le seguenti informazioni: a) dati
completi sui punti di contatto di ciascuno Stato membro compresa, se necessario, l’indicazione
delle relative competenze a livello interno; b) uno strumento informatico in grado di consentire
all’autorità richiedente o emittente di uno Stato membro di individuare l’autorità di un altro
Stato membro competente a ricevere e dar corso alla sua richiesta di cooperazione giudiziaria,
ed alle decisioni in merito, anche per quanto riguarda gli strumenti che applicano il principio del
riconoscimento reciproco; c) informazioni giuridiche e pratiche concise sui sistemi giudiziari e
procedurali degli Stati membri; d) testi degli strumenti giuridici pertinenti e, per quanto riguarda
le convenzioni in vigore, testo delle dichiarazioni e riserve”.; e l’art.8 (“1. Le informazioni diffuse
nell’ambito della Rete giudiziaria europea sono costantemente aggiornate.
2. Spetta a ciascuno Stato membro verificare l’esattezza delle informazioni contenute nel
sistema e avvisare il segretariato della Rete giudiziaria europea non appena un dato che riguarda
uno dei quattro punti di cui all’articolo 7 debba essere modificato”.
38
Rinviamo ancora all’art. 4: “4. In particolare, il corrispondente nazionale, oltre ai suoi compiti in
qualità di punto di contatto di cui ai paragrafi da 1 a 3: a) è responsabile, nel proprio Stato
membro, delle questioni relative al funzionamento interno della Rete, incluso il coordinamento
delle richieste di informazioni e delle risposte fornite dalle autorità nazionali competenti; b) è il
principale responsabile dei contatti con il segretariato della Rete giudiziaria europea, inclusa la
partecipazione alle riunioni di cui all’articolo 6; c) su richiesta, formula un parere sulla
designazione di nuovi punti di contatto”.
39
Cfr. infatti l’art. 4 della Decisione il quale prevede che: “1. I punti di contatto sono intermediari
attivi che hanno il compito di agevolare la cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri,
soprattutto nelle azioni contro le forme di criminalità grave. Essi sono a disposizione delle
autorità giudiziarie locali e delle altre autorità competenti del loro Stato membro, nonché dei
punti di contatto e delle autorità giudiziarie locali e altre autorità competenti degli altri Stati
membri, per consentire loro di stabilire i contatti diretti più appropriati” […] 2. I punti di contatto
forniscono alle autorità giudiziarie locali dei rispettivi Stati membri, nonché ai punti di contatto e
alle autorità giudiziarie locali degli altri Stati membri le informazioni giuridiche e pratiche
necessarie per consentire loro di approntare efficacemente le richieste di cooperazione
giudiziaria ovvero per migliorare quest’ultima in generale”.
40
Così l’art. 4.3 della Decisione: “Al loro rispettivo livello, i punti di contatto partecipano a e
promuovono l’organizzazione di sessioni di formazione sulla cooperazione giudiziaria destinate
alle autorità competenti del proprio Stato membro, se del caso in cooperazione con la Rete
europea di formazione giudiziaria.
223
preordinato ad operare normalmente a distanza, anche grazie alla previsione
esplicita dell’impiego delle tecnologie della comunicazione e della nomina di un
contatto ad hoc41, ed occasionalmente con riunioni personali42.
Giova precisare che uno degli effetti strumentali particolarmente innovativi della
Rete – ma, in effetti, di ciascun corrispondente nazionale - risulta essere anche
quello di venire ad integrare ab externo l’apparato giurisdizionale anche degli altri
Stati membri. Le “funzioni dei punti di contatto”, infatti, vengono prescritte (in
realtà sembrano meramente descritte) come segue dall’art. 4: “1. I punti di
41
Infatti, “ciascuno Stato membro designa un corrispondente incaricato degli aspetti tecnici
della Rete giudiziaria europea” (art. 2.4). E previsto, inoltre, che questa figura – unica ovvero
distinta che sia – abbia comunque un ruolo determinante quale fonte attiva di informazione
circa il proprio ordinamento (art. 4.5: Il corrispondente incaricato degli aspetti tecnici della Rete
giudiziaria europea, che potrebbe anche essere il punto di contatto di cui ai paragrafi da 1 a 4,
garantisce che le informazioni relative al proprio Stato membro e citate all’articolo 7 siano fornite
e aggiornate conformemente all’articolo 8”. Sul sito web e sul sistema protetto di
telecomunicazioni cfr. in particolare l’art. 9 della Decisione (“1. Il segretariato della Rete
giudiziaria europea garantisce che le informazioni di cui all’articolo 7 siano rese disponibili su un
sito web costantemente aggiornato. 2. La rete protetta di telecomunicazioni è istituita per le
attività operative dei punti di contatto della Rete giudiziaria europea. L’istituzione della rete
protetta di telecomunicazioni è a carico del bilancio generale dell’Unione europea. L’istituzione
della connessione di telecomunicazioni protetta rende possibile la circolazione dei dati e delle
richieste di cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri. 3. La rete protetta di telecomunicazioni
di cui al paragrafo 2 può essere utilizzata per le loro attività operative anche dai corrispondenti
nazionali dell’Eurojust, dai corrispondenti nazionali dell’Eurojust in materia di terrorismo, dai
membri nazionali dell’Eurojust e dai magistrati di collegamento da essa designati. Può essere
collegata al sistema automatico di gestione dei fascicoli dell’Eurojust di cui all’articolo 16 della
decisione 2002/187/GAI. 4. Le disposizioni del presente articolo lasciano impregiudicati i contatti
diretti tra autorità giudiziarie competenti previsti dagli strumenti di cooperazione giudiziaria,
quali l’articolo 6 della convenzione relativa all’assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati
membri dell’Unione europea”.
42
Così l’art. 3 della Decisione in tema di “Modalità di funzionamento della Rete”: “La Rete
giudiziaria europea opera in particolare nei tre modi seguenti: a) facilita l’istituzione di adeguati
contatti tra i punti di contatto dei vari Stati membri per assolvere i compiti di cui all’articolo 4; b)
organizza riunioni periodiche tra i rappresentanti degli Stati membri secondo le modalità di cui
agli articoli 5 e 6; c) fornisce costantemente alcune informazioni di base aggiornate in
permanenza, in particolare attraverso un’adeguata rete di telecomunicazioni, secondo le
modalità di cui agli articoli 7, 8 e 9” (come previsto anche dal testo dell’art. 4.1: “ Ove necessario e
in base ad un accordo tra le amministrazioni interessate, essi possono spostarsi per incontrare i
punti di contatto degli altri Stati membri”. Sulle riunioni dei corrispondenti e dei corrispondenti
tecnici cfr. altresì gli artt. 5 e 6 della Decisione.
224
contatto sono intermediari attivi che hanno il compito di agevolare la
cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri, soprattutto nelle azioni contro le
forme di criminalità grave. Essi sono a disposizione delle autorità giudiziarie locali e
delle altre autorità competenti del loro Stato membro, nonché dei punti di
contatto e delle autorità giudiziarie locali e altre autorità competenti degli altri
Stati membri, per consentire loro di stabilire i contatti diretti più appropriati. Ove
necessario e in base ad un accordo tra le amministrazioni interessate, essi possono
spostarsi per incontrare i punti di contatto degli altri Stati membri. 2. I punti di
contatto forniscono alle autorità giudiziarie locali dei rispettivi Stati membri,
nonché ai punti di contatto e alle autorità giudiziarie locali degli altri Stati membri
le informazioni giuridiche e pratiche necessarie per consentire loro di approntare
efficacemente le richieste di cooperazione giudiziaria ovvero per migliorare
quest’ultima in generale. 3. Al loro rispettivo livello, i punti di contatto partecipano
a e promuovono l’organizzazione di sessioni di formazione sulla cooperazione
giudiziaria destinate alle autorità competenti del proprio Stato membro, se del
caso in cooperazione con la Rete europea di formazione giudiziaria”.
Destinataria delle disposizioni in materia non è solo la Rete ma anche i singoli
magistrati di contatto quali suoi componenti. Si precisa ulteriormente, infatti, che
ciascun corrispondente nazionale “a) è responsabile, nel proprio Stato membro,
delle questioni relative al funzionamento interno della Rete, incluso il
coordinamento delle richieste di informazioni e delle risposte fornite dalle autorità
nazionali competenti; b) è il principale responsabile dei contatti con il segretariato
della Rete giudiziaria europea, inclusa la partecipazione alle riunioni di cui
all’articolo 6; c) su richiesta, formula un parere sulla designazione di nuovi punti di
contatto” (art. 4.4).
Si stabilisce un rapporto di collaborazione permanente fra la Rete e Eurojust: “la
Rete giudiziaria europea e l’Eurojust intrattengono rapporti privilegiati tra di loro
basati sulla concertazione e sulla complementarietà, in particolare tra i punti di
contatto di uno Stato membro, il membro nazionale dell’Eurojust dello stesso
Stato membro e i corrispondenti nazionali della Rete giudiziaria europea e
dell’Eurojust. Al fine di garantire una cooperazione efficace, sono adottate le
seguenti misure: a) la Rete giudiziaria europea mette a disposizione dell’Eurojust le
informazioni centralizzate di cui all’articolo 7 e la rete protetta di
telecomunicazioni istituita ai sensi dell’articolo 9; b) i punti di contatto della Rete
225
giudiziaria europea informano, caso per caso, i rispettivi membri nazionali di tutti i
fascicoli che ritengono possano essere trattati più efficacemente dall’Eurojust; c) i
membri nazionali dell’Eurojust possono partecipare alle riunioni della Rete
giudiziaria europea su invito di quest’ultima” (art. 10)43.
La Rete giudiziaria europea rappresenta, dunque, non un’istituzione dotata di per
sé di una propria funzione unitaria ed organica quanto piuttosto uno strumento
meramente operativo la cui funzione non è altro che la rappresentazione
funzionale dell’attività dei suoi componenti a propria volta finalizzata, anche con
spazi di intervento valutativo e propositivo, alla funzione – politica, legislativa,
giurisdizionale, amministrativa - di altri organi dell’UE44, oltre che, come abbiamo
visto, ad esprimere un ruolo complementare di supporto esterno a vantaggio
degli apparati di settore degli Stati membri il quale, in tanto in quanto filtrato
dall’intermediazione dell’UE, non acquisisce un significato di interferenza con
l’attività istituzionale degli Stati membri di volta in volta coinvolti.
(ii) In secondo luogo, occorre richiamare in questa sede la Rete giudiziaria europea
in materia civile e commerciale45.
Rispetto alla precedente, questa Rete presenta una composizione più varia ed
eterogenea46, in corrispondenza del resto con la vastità della materia oggetto delle
43
Pertanto, “per consentire alla Rete giudiziaria europea di assolvere i propri compiti, il bilancio
dell’Eurojust include una parte relativa alle attività del segretariato della Rete giudiziaria
europea” (art. 11).
44
Rubricato “Valutazione del funzionamento della Rete giudiziaria Europea”, l’art. 13 prevede
che: “1. Ogni due anni dal 24 dicembre 2008, la Rete giudiziaria europea riferisce al Parlamento
europeo, al Consiglio e alla Commissione in merito alle sue attività e alla sua gestione. 2. Nella
relazione di cui al paragrafo 1, la Rete giudiziaria europea può anche indicare problemi di politica
anticrimine nell’Unione europea eventualmente venuti alla luce grazie all’attività della Rete
giudiziaria europea e può inoltre formulare proposte intese a migliorare la cooperazione
giudiziaria in materia penale. 3. La Rete giudiziaria europea può altresì fornire qualsiasi relazione
o informazione sul proprio funzionamento eventualmente richiesta dal Consiglio. 4. Ogni
quattro anni dal 24 dicembre 2008, il Consiglio procede alla valutazione del funzionamento della
Rete giudiziaria europea sulla base di una relazione stabilita dalla Commissione in collaborazione
con la rete stessa”.
45
Cfr. la Decisione del Consiglio, del 28 maggio 2001, relativa all'istituzione di una rete giudiziaria
europea in materia civile e commerciale (2001/470/CE) in GUCE n. L 174 del 27/06/2001 pag.
0025 – 0031. Per ulteriori e più dettagliate informazioni cfr. il relativo sito in
http://ec.europa.eu/civiljustice/index_en.htm
226
sue attività (art. 3): “1. La rete ha il compito di: a) agevolare la cooperazione
giudiziaria tra gli Stati membri in materia civile e commerciale, compresi
l'ideazione, la progressiva predisposizione e l'aggiornamento di un sistema
d'informazione destinato ai membri della rete; b) ideare, predisporre
progressivamente e tenere aggiornato un sistema d'informazione accessibile al
pubblico. 2. Fatti salvi gli altri atti comunitari o strumenti internazionali relativi alla
cooperazione giudiziaria in materia civile e commerciale, la rete sviluppa le proprie
attività in particolare con le finalità seguenti: a) assicurare il corretto svolgimento
dei procedimenti con risvolti transnazionali e agevolare le richieste di
cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri, in particolare ove non si applichi
alcun atto comunitario o strumento internazionale; b) garantire un'applicazione
effettiva e pratica degli atti comunitari o delle convenzioni vigenti tra due o più
Stati membri; c) predisporre e alimentare un sistema d'informazione, destinato al
46
Cfr. infatti l’art. 2 in tema di composizione: “1. La rete giudiziaria si compone di: a) punti di
contatto designati dagli Stati membri a norma del paragrafo 2; b) organi centrali ed autorità
centrali previsti da atti comunitari, strumenti internazionali cui gli Stati membri partecipano o
norme di diritto interno nella sfera della cooperazione giudiziaria in materia civile e commerciale;
c) magistrati di collegamento previsti dall'azione comune 96/277/GAI del 22 aprile 1996, relativa
ad un quadro di scambio di magistrati di collegamento diretto a migliorare la cooperazione
giudiziaria fra gli Stati membri dell'Unione europea, con responsabilità nel campo della
cooperazione in materia civile e commerciale; d) qualsiasi altra autorità giudiziaria o
amministrativa competente per la cooperazione giudiziaria in materia civile e commerciale la cui
appartenenza alla rete sia giudicata opportuna dal rispettivo Stato membro. 2. Ciascuno Stato
membro designa un punto di contatto. Se lo reputa necessario, ciascuno Stato membro può
tuttavia designare un numero limitato di altri punti di contatto, in funzione dell'esistenza di
sistemi giuridici differenti, della ripartizione interna delle competenze, dei compiti affidati ai
punti di contatto, o allo scopo di associare ai lavori dei punti di contatto direttamente organi
giudiziari che trattino frequentemente controversie con risvolti transnazionali. Qualora uno
Stato membro designi vari punti di contatto, fa in modo che tra essi funzionino meccanismi di
coordinamento adeguati”. La disposizione con prescrive direttamente requisiti soggettivi (salvo
prevedere che ciascuno Stato membro comunichi, insieme alla designazione individuale, anche
“l'indicazione a) dei mezzi di comunicazione di cui esse dispongono; b) delle loro conoscenze
linguistiche e c) ove opportuno, delle relative funzioni specifiche all'interno della rete”) ma le
conoscenze linguistiche costituiscono in realtà una condizione per la designazione, come
prescritto dall’art. 7 della Decisione (“Per agevolare il funzionamento della rete, ciascuno Stato
membro provvede a che i suoi punti di contatto dispongano di una conoscenza sufficiente di
una lingua ufficiale delle istituzioni della Comunità europea diversa dalla loro, tenuto conto del
fatto che devono poter comunicare coi punti di contatto degli altri Stati membri. Gli Stati
membri agevolano e favoriscono la formazione linguistica specializzata del personale dei punti
di contatto e promuovono gli scambi tra i punti di contatto degli Stati membri”.
227
pubblico, sulla cooperazione giudiziaria in materia civile e commerciale all'interno
dell'Unione europea, sugli strumenti comunitari e internazionali pertinenti,
nonché sul diritto interno degli Stati membri, con particolare riferimento
all'accesso alla giustizia”.
I compiti della Rete sono svolti secondo modalità47 e attraverso le attività di
informazione, agevolazione, collegamento dei singoli punti di contatto
individuate in base alle finalità che si intende conseguire48. La Decisione, infatti, fa
costante riferimento alle finalità generali e specifiche dello SLSG, come è dato
rinvenire precisato nella formula preliminare dei considerando: atteso che “(1)
l'Unione si è prefissa di mantenere e sviluppare uno spazio di libertà, sicurezza e
giustizia al cui interno sia garantita la libertà di circolazione delle persone” e che
“(2) l'istituzione progressiva di questo spazio, nonché il buon funzionamento del
mercato interno, richiedono il miglioramento, la semplificazione e l'accelerazione
47
Cfr. in proposito l’art. 4: “La rete svolge i propri compiti in particolare secondo le modalità
seguenti: 1) agevola gli opportuni contatti tra le autorità degli Stati membri di cui all'articolo 2,
paragrafo 1, per realizzare i compiti previsti all'articolo 3; 2) organizza riunioni periodiche tra i
punti di contatto e i suoi membri, ai sensi delle disposizioni previste dal titolo II; 3) elabora e
mantiene aggiornate le informazioni relative alla cooperazione giudiziaria in materia civile e
commerciale, nonché ai sistemi giuridici degli Stati membri di cui al titolo III, conformemente ai
sensi delle disposizioni previste da tale titolo”.
48
Cfr.in proposito l’art. 5: “2. In particolare, i punti di contatto hanno il compito di: a) fornire
qualsiasi informazione necessaria per la buona cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri, a
norma dell'articolo 3, agli altri punti di contatto, alle autorità di cui all'articolo 2, paragrafo 1,
lettere da b) a d), e alle autorità giudiziarie locali del rispettivo Stato membro, per consentire loro
di presentare richieste di cooperazione giudiziaria attuabili e di stabilire i contatti diretti più
appropriati; b) cercare soluzioni alle difficoltà che possono sorgere quando si presenta una
richiesta di cooperazione giudiziaria, fatti salvi il paragrafo 4 del presente articolo e l'articolo 6; c)
agevolare il coordinamento del trattamento delle richieste di cooperazione giudiziaria nello
Stato membro interessato, in particolare ove varie richieste delle autorità giudiziarie di questo
Stato debbano essere eseguite in un altro Stato membro; d) collaborare all'organizzazione delle
riunioni di cui all'articolo 9 e parteciparvi; e) collaborare alla preparazione e all'aggiornamento
delle informazioni di cui al titolo III, in particolare del sistema d'informazione destinato al
pubblico, secondo le modalità previste da tale titolo. 3. Qualora un punto di contatto riceva una
richiesta d'informazione da un altro membro della rete alla quale non è in grado di dare seguito,
la trasmette al punto di contatto o al membro della rete più idoneo a provvedervi. Il punto di
contatto si tiene a disposizione per fornire ogni possibile forma di assistenza utile per contatti
successivi. 4. Nei settori in cui gli atti comunitari o gli strumenti internazionali prevedono già
autorità incaricate di agevolare la cooperazione giudiziaria, i punti di contatto invitano i
richiedenti a rivolgersi a tali autorità.
228
dell'effettiva cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri in materia civile e
commerciale”, pertanto “(6) per migliorare, semplificare e accelerare l'effettiva
cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri nelle materie civili e commerciali, è
necessario creare a livello comunitario una struttura di cooperazione organizzata
in rete, ovvero la rete giudiziaria europea in materia civile e commerciale”; e “(8)
per garantire la realizzazione degli obiettivi della rete giudiziaria europea in
materia civile e commerciale è opportuno che le disposizioni relative alla sua
istituzione vengano fissate da uno strumento giuridico comunitario vincolante”.
Nella medesima sede si precisa altresì che “(9) dato che gli obiettivi dell'azione
proposta, vale a dire migliorare la cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri e
consentire un accesso alla giustizia effettivo per le persone che devono far fronte a
controversie con risvolti transnazionali, non possono essere sufficientemente
realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni e degli
effetti dell'azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario, la
Comunità può adottare misure in base al principio di sussidiarietà di cui all'articolo
5 del trattato. Nel rispetto del principio di proporzionalità di cui a detto articolo, la
presente decisione non va al di là di quanto necessario per il raggiungimento degli
obiettivi in questione”; e la portata teleologica generale della fonte viene del resto
espressamente specificata (“(10) la rete giudiziaria europea istituita dalla presente
decisione mira ad agevolare la cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri in
materia civile e commerciale, sia nei settori contemplati dagli strumenti in vigore
sia in quelli in cui non si applica alcuno strumento”.
(iii) Occorre altresì osservare che, accanto alle due Reti qui sopra richiamate quali
realtà concepite dalla volontà politico-istituzionale degli Stati membri e istituite
con atto normativo dell’UE, è dato registrare l’esistenza di una pluralità di figure
che portano la medesima denominazione di “rete” e che vengono a gravitare
soprattutto in un’area materiale coincidente o almeno convergente con quella
dello SLSG.
Si tratta di iniziative operanti nel settore della formazione, dell’amministrazione
giudiziaria (e, come il Consiglio superiore della magistratura italiano, in particolare
della vita professionale dei giudici e della giurisdizione disciplinare),
dell’informazione e dello scambio di opinioni ed esperienze in senso quanto mai
229
vasto generale e generico, quali – senza pretesa di essere esaustivi49 - la Rete europea
di formazione giudiziaria50, la Rete europea dei Consigli di giustizia51, la Rete europea
dei Presidenti delle Corti di Cassazione52, la Rete europea delle Procure generali53,
l’Associazione dei Consigli di Stato e delle Corti supreme amministrative54.
L’elemento comune fra queste reti, che possiamo definire “associative”, con le Reti
dell’UE – le quali, senza essere di per sé “istituzioni”, possono ben dirsi, per
distinguerle dalle prime,”istituzionali” – è di natura esclusivamente materiale ed è
da individuare, dunque, nella convergenza delle rispettive distinte attività verso
gli obiettivi dello SLSG, ciò che, conseguentemente, sta alla base di un sostegno
anche economico, ancorché del tutto eventuale, delle reti associative da parte
dell’UE. Ma la tipologia delle rispettive attività, pur distinguendosi le une dalle altre
nel titolo (associativo nel primo caso e istituzionale nel secondo) e nel contesto
giuridico (meramente di fatto le prime e formale-strumentale le seconde), non
muta invece sostanzialmente in una prospettiva meramente descrittiva e
ricostruttiva55.
49
In proposito, nel ricco contesto di iniziative, giova altresì richiamare le analoghe strutture
attivate nell’ambito del Consiglio d’Europa, quali il CEPEJ (Commissione europea per l’efficienza
della giustizia), il CCJE (Consultative Council of European Judges), il CCPE (Consultative Council
of European Prosecutors).
50
Cfr. il sito http://www.ejtn.net/
51
Cfr. il sito http://www.encj.eu/
52
Cfr. il sito http://www.rpcsjue.org/
53
Cfr. il sito http://www.euro-justice.com/
54
Cfr. il sito http://www.juradmin.eu/ (da segnalare che di essa fa parte anche la stessa Corte di
Giustizia dell’UE).
55
In argomento cfr. A. Canepa, La progressiva “retificazione” dell'Unione europea: il caso del
settore giustizia, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2006-3, dove si osserva fra l’altro che
“Le reti istituzionali del settore giustizia appaiono oggi come organismi sostanzialmente stabili in
grado di offrire una certa continuità di azione nella realizzazione di politiche comuni settoriali a
livello europeo: si potrebbe affermare che esse rappresentano quasi una nuova “forma di
regolazione” che ha come obiettivo la risoluzione di problemi riguardanti il coordinamento e
soprattutto lo sviluppo di politiche integrate a livello comunitario. Infatti, i networks di questo
tipo assumono il ruolo di vere e proprie «istituzioni informali» in cui vengono meno il principio
gerarchico e l'omogeneità dei soggetti pubblici componenti, viste le differenze fra gli
ordinamenti, ma non la capacità di cooperare che anzi risulta accentuata dalla presenza di uno
spazio costante di confronto”.
230
6. Conclusioni: il significato sistematico delle reti giudiziarie quale fattore di
equilibrio istituzionale nell’UE
Fra le finalità costitutive dell’UE, si è visto come l’art. 3.2° del vigente trattato
istitutivo collochi la creazione di uno “uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia
senza frontiere interne, in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone
insieme a misure appropriate per quanto concerne colloca i controlli alle frontiere
esterne, l'asilo, l'immigrazione, la prevenzione della criminalità e la lotta contro
quest'ultima” (SLSG). Una volta venuta meno la struttura per pilastri (comunitario e
intergovernativo) e ricondotta la pluralità istituzionale all’unico contesto
ordinamentale (comunitario) dell’UE, si è dovuto predisporre un quadro
organizzativo e funzionale idoneo a dare attuazione a quella stessa finalità
secondo profili che fossero in grado di non alterare affatto ovvero di alterare il
meno possibile il quadro esistente delle competenze degli Stati membri in un’area
sistematica - diritti fondamentali, ordine pubblico, funzione giurisdizionale - che
incide, sia pur con intensità variabile, sul sistema nervoso stesso della sovranità. In
altre parole, l’attuazione dello SLSG sembra aver dovuto rispondere all’esigenza
prioritaria di assicurare l’equilibrio istituzionale fra UE e Stati membri, adeguando il
requisito dell’efficienza dell’intervento dell’UE con l’accentuazione delle istanze di
partecipazione degli Stati membri all’esercizio delle competenze.
Sotto il profilo della funzione normativa, lo SLSG viene assegnato alla competenza
legislativa concorrente dell’UE e degli Stati membri (art. 4.2 lett. j TFUE), in ordine
alla quale occorre richiamare altresì il relativo Protocollo, nonché all’ambito delle
materie nelle quali si accentua la partecipazione dei Parlamenti nazionali. Inoltre,
nonostante l’elevazione del metodo deliberativo comunitario a regola generale
dell’UE, la deliberazione sugli oggetti afferenti lo SLSG è inquadrata in misura
prevalente nella procedura legislativa speciale – di per sé derogatoria – che in
questo settore sembra venire essa stessa elevata a metodo generale. Da ultimo –
per non soffermarsi in modo analitico sull’esercizio dell’opting out di singoli Stati
membri – occorre ricordare il meccanismo del cosiddetto “freno d’emergenza” che
scatta alla vigilia della deliberazione secondo la procedura ordinaria e obbliga o a
procedere seguendo la procedura legislativa speciale (ossia l’unanimità del
Consiglio) ovvero a fare ricorso alla figura della cooperazione rinforzata.
231
Sotto il profilo della funzione amministrativa, lo SLSG ha generato una parziale
riorganizzazione della Commissione, espressa con l’attivazione di due Direzioni
generali56.
Per quanto riguarda, infine, la funzione giurisdizionale, la competenza della
giurisdizione dell’UE si consolida con portata generale57, riducendosi l’area della
sua esclusione in conseguenza di una deroga posta dall’art. 276 TFUE a garanzia
della funzione degli Stati membri in tema di ordine pubblico e sicurezza interna58,
in conformità del resto con la riserva di priorità già espressa in proposito dall’art. 4
del TUE59.
Si è di fronte, dunque, a un’innovazione complessa, significativa e delicata, anche
per la sua manifesta portata costituzionale: e non a caso per la massima parte i
contenuti risultano quasi automaticamente recepiti dal testo del (dichiarato
defunto ma in realtà assai operativo) trattato istitutivo di una Costituzione per
l’Europa.
Occorre peraltro osservare che lo SLSG, se da un lato si traduce oggettivamente in
un rafforzamento funzionale dell’UE, dall’altro omette di dotare la funzione - così
56
Si tratta della DG Giustizia e della DG Affari interni per le quali rinviamo ai rispettivi siti
http://ec.europa.eu/dgs/justice/index_en.htm e http://ec.europa.eu/dgs/home-affairs/index_en.htm
57
Sotto il profilo della acquisizione, da parte dell’UE in seguito alla modifica in tema di
legittimazione processuale attiva degli individui introdotta dal trattato di Lisbona, di “tratti ormai
maturi di un sistema giurisdizionale sempre più simile a quello degli Stati e ispirato al
fondamentale principio della protezione giurisdizionale effettiva” cfr. B, Marchetti,
L’impugnazione degli atti normativi da parte dei privati nell’art. 263 TFUE, in Rivista italiana di
diritto pubblico comunitario, 2010, 171 ss.
58
Questo il testo della disposizione citata:” Nell'esercizio delle attribuzioni relative alle
disposizioni dei capi 4 e 5 della parte terza, titolo V concernenti lo spazio di libertà, sicurezza e
giustizia, la Corte di giustizia dell'Unione europea non è competente a esaminare la validità o la
proporzionalità di operazioni condotte dalla polizia o da altri servizi incaricati dell'applicazione
della legge di uno Stato membro o l'esercizio delle responsabilità incombenti agli Stati membri
per il mantenimento dell'ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna”.
59
Dispone l’art 4.2° TUE: “L'Unione rispetta l'uguaglianza degli Stati membri davanti ai trattati e la
loro identità nazionale insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale,
compreso il sistema delle autonomie locali e regionali. Rispetta le funzioni essenziali dello Stato,
in particolare le funzioni di salvaguardia dell'integrità territoriale, di mantenimento dell'ordine
pubblico e di tutela della sicurezza nazionale. In particolare, la sicurezza nazionale resta di
esclusiva competenza di ciascuno Stato membro”.
232
come risulta configurata dall’innovazione complessiva introdotta - di un proprio
apparato istituzionale corrispondente allo spessore della sua attuazione, obiettivo
che si sarebbe potuto realizzare, in ipotesi, solo attraverso un adeguato
potenziamento dell’organizzazione giudiziaria e di protezione dell’ordine pubblico
dell’UE ed un correlato contenimento della partecipazione dell’organizzazione
giudiziaria e delle forze dell’ordine degli Stati membri allo svolgimento della
funzione di realizzazione dello SLSG e di garanzia dei beni giuridici primari
interessati, secondo modelli tipici, però, di un assetto federale.
Rispetto a quest’ultima ipotesi, verosimilmente sono mancate due condizioni
oggettive: sia la volontà politica degli Stati membri (anche in ordine alla
conseguente attribuzione di ulteriori funzioni all’UE), sia anche la disponibilità di
un proprio personale professionalmente attrezzato all’esercizio della nuova
funzione. Si spiega (anche) così, a nostro parere, il ricorso alla figura della “rete”,
quale struttura a composizione intergovernativa ma in realtà su base quasi
associativa fondata sulla professionalità (anche linguistica) dei suoi componenti,
operativa in un contesto unitario per la cura di interessi condivisi fra UE e Stati
membri. Nel concetto di rete possiamo individuare un contenuto strutturale
minimo, generale e generico che consiste in un paradigma relazionale, ossia un
elemento fisiologico in virtù del quale si realizza un’interazione complementare e
sinergica fra una pluralità di soggetti istituzionali che condividono interessi
materiali, funzioni di natura non necessariamente omogenea e saperi professionali
coordinati e convergenti. L’inesistenza di una correlata e formale nozione giuridica
fa sì che la rete si collochi nel contesto concettuale della governance, più che su
quello – giuridicamente più impegnativo - del government; e pertanto in un
ambito, informale, procedimentale, flessibile, in grado di adattarsi e autoinnovarsi
piuttosto che, rispettivamente, formalizzato, istituzionale, rigido e stabile.
Come abbiamo osservato con riguardo all’apparato testuale delle disposizioni, il
contenuto prescrittivo delle norme si esprime nella descrizione anche minuziosa
delle attività da svolgere, anche in ragione della relativa innovatività sia del tipo di
struttura sia delle funzioni da disciplinare. Ci si trova, infatti, nel contesto di una
funzione che si colloca in rapporto strumentale, servente, istruttorio, preparatorio
rispetto all’esercizio della funzione giurisdizionale in senso proprio. Non si tratta di
attività di per sé di natura giurisdizionale ma di attività che, negli ordinamenti
statuali, sono normalmente e complessivamente svolte all’interno della funzione
233
giurisdizionale stessa, sicché sarebbe arduo classificarle quali attività di natura
anche solo prevalentemente amministrativa nel contesto dell’ordinamento
dell’UE60. In altre parole, si tratta di una funzione atipica rispetto alle esperienze
statuali e connotativa dell’ordinamento sovranazionale.
Occorre dunque sottolineare che né le Reti istituzionali né, a maggior ragione, le
reti associative svolgono una funzione giurisdizionale ancorché rispetto a
quest’ultima svolgano un’azione preparatoria, di agevolazione e facilitazione, di
sostegno ed assistenza che ne spiega e ne valorizza l’esistenza ed il
funzionamento (nonché, per quanto riguarda le reti associative, l’attenzione e il
finanziamento da parte dell’UE)61.
60
Cfr. in argomento la sentenza n. 136 del 2011 della Corte costituzionale italiana, la quale, con
riguardo ad Eurojust - che, per quanto ispirato alla collegialità interstatuale della composizione
analoga ad una rete, è in realtà (come la Corte stessa del resto precisa, punto 6.1 del Considerato
in diritto) “un organo dell’Unione dotato di personalità giuridica, istituito dalla decisione
2002/187/GAI del 28 febbraio 2002, secondo cui tale organo è composto da membri nazionali,
distaccati da ciascuno Stato «in conformità del proprio ordinamento giuridico», aventi «titolo di
magistrato del pubblico ministero, giudice o funzionario di polizia con pari prerogative» (art. 2,
paragrafo 1)” – afferma che “poteri e funzioni [ad esso assegnati] non sono riconducibili a quelli
giudiziari propri dei magistrati del pubblico ministero” (6.1.1), che “con riferimento alle richieste
indirizzate alle competenti autorità nazionali, la loro natura non vincolante impedisce di
riscontrare in esse i connotati propri dell’autonomo esercizio di funzioni giudiziarie requirenti,
costituendo, invece, espressione di poteri strumentali all’esercizio di dette funzioni, che restano
riservate, in via esclusiva, alle autorità giudiziarie nazionali”; e che “con riferimento alle indicate
attività di «assistenza», «collaborazione», «sostegno» o «coordinamento» svolte dall’Eurojust nei
confronti delle autorità nazionali in ordine alle indagini ed alle azioni penali, la genericità di tali
formule linguistiche, nonché la carenza dei suddetti connotati delle funzioni giudiziarie
requirenti inducono a qualificare tali attività come amministrative” (61.1).
61
Cfr. in proposito il Programma di Stoccolma (punto 3.2.2 “Sviluppare le reti”): “Il Consiglio
europeo è del parere che i contatti tra alti funzionari degli Stati membri nei settori inerenti alla
giustizia e affari interni siano preziosi e vadano promossi dall'Unione nella misura del possibile.
Tali contatti potrebbero riguardare in funzione delle strutture nazionali, i capi della polizia ad alto
livello o i capi procuratori, i responsabili degli istituti di formazione, i responsabili delle
amministrazioni penitenziarie, i direttori generali delle amministrazioni doganali. Ove
opportuno, tali reti dovrebbero anche essere informate circa il lavoro svolto dal comitato per la
sicurezza interna, oppure poter partecipare allo sviluppo della valutazione dei rischi e la
situazione in materia di criminalità organizzata e ad altri strumenti strategici dell'Unione. Le reti
in questione dovrebbero riunirsi principalmente grazie alle strutture esistenti come Europol,
Eurojust e Frontex oppure su invito della presidenza in qualità di paese ospitante. Dovrebbero
continuare a beneficiare del sostegno dell'Unione anche altre reti di professionisti che già
234
Si tratta, in altre parole, di una manifestazione sui generis del principio di
sussidiarietà - fra pubblico, privato e privato-pubblico - ma anche di una
conseguenza indiretta e di una garanzia del principio di attribuzione: l’esigenza
crea la funzione e, in un contesto di vuoto normativo ed istituzionale che
l’ordinamento formale non ha provveduto a colmare con previsioni legislative, la
funzione genera e modella una istituzione atipica ma – almeno in una fase di
avvio - adeguata e sufficiente. Le Reti associative ancora più di quelle istituzionali
contribuiscono a porre in evidenza l’esigenza di curare il rapporto di
complementarietà fra giurisdizioni nazionali e giurisdizione dell’UE anche per
quanto concerne la dimensione preliminare e quella collaterale della fase
giurisdizionale in senso proprio. Ancora una volta, emerge il fattore sovranazionale
caratterizzante l’UE: l’assetto a rete si risolve dunque in una modalità di esercizio di
competenze proprie (dell’UE) in coordinamento, convergenza e sinergia con altri
soggetti interessati al conseguimento del medesimo fine e titolari anch’essi di
competenze proprie (gli Stati membri), ancorché eventualmente di diversa natura.
Concetto e lessico di rete sono connessi e condividono le origini e lo sviluppo di
una realtà istituzionale plurale, non gerarchica, priva di un rapporto di esercizio
esclusivo o monopolistico di una determinata funzione, orientata a sperimentare
un nuovo modo di esercitare una funzione pubblica definita con una
formalizzazione minima e pragmaticamente identificata soprattutto in ragione del
risultato da conseguire e forse orientata altresì ad anticipare in via di prassi
(governance e soft law) una formalizzazione successiva.
esistono nel settore. Tra queste figurano la rete europea dei Consigli di giustizia e la rete dei
Presidenti delle Corti di Cassazione”.
235
COLLANA “QUADERNI DEL CDE”
La collana raccoglie i contribiuti presentati dai relatori ai seminari organizzati dal Centro di documentazione
Europea
1. La tutela delle minoranze etnico-linguistiche in relazione alla rappresentanza politica: un’analisi
comparata
2. Le professioni turistiche nell’ottica comunitaria
3. Euro: una sfida per la pubblica amministrazione
4. L’accesso ai documenti amministrativi nella prospettiva comunitaria
5. Cooperative, associazioni e mutue nelle normative e nelle politiche della comunità europea
6. Accesso alle fonti informative comunitarie
7. Opportunità di cofinanziamento comunitario nel settore dell’ambiente
8. Documento elettronico e firma digitale
9. Gioventù - il programma Europeo per l’educazione non formale e la mobilità internazionale
10. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea
11. Programma comunitario “Cultura 2000”
12. Disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato
13. Il sistema degli aiuti di Stato nella politica di concorrenza dell’Unione Europea
14. La produzione della normativa comunitaria
15. Il nuovo Programma Quadro dell’Unione Europea per la ricerca
16. La concorrenza nei servizi pubblici di trasporto
17. Il Libro Bianco sulla Governance Europea: nuove prospettive comunitarie dell’autonomia trentina
18. L’Unione Europea e la “questione regionale”. Quali orientamenti nella Convenzione per una Costituzione europea?
19. Le politiche europee in materia di cooperazione con i paesi terzi: processi, prospettive, opportunità
20. Il futuro dell’Unione europea dopo il V allargamento
21. Gli strumenti tematici all’interno delle politiche europee di cooperazione con i paesi terzi
22. Via Claudia Augusta. Sulle tracce degli imperatori
23. Gare d’appalto: come redigere un’offerta e gestire un contratto di finanziamento della Commissione
europea
24. L’energia costa?... Risparmiare si può
25. La tutela del contraente debole nei rapporti tra imprese
26. Società pubblico-private e procedure di affidamento. L’in house alla prova delle regole comunitarie
27. Strumenti alternativi di partenariato pubblico – privato
28. Le regole della concorrenza e i principi comunitari nel recepimento delle Dir. 2004/18/CE e Dir.
2004/17/CE
29. Il risarcimento del danno da condotta anticoncorrenziale: Stati Uniti ed Europa a confronto
30. Le nuove competenze dell’Unione europea in materia di giustizia
Le pubblicazioni sono disponibili su Internet al seguente indirizzo:
http://www.cde.provincia.tn.it, oppure si possono richiedere a:
Provincia autonoma di Trento,
Centro di Documentazione Europea, via Romagnosi, 9 - 38122 Trento
tel. 0461/495087-88, fax 0461/495095, mailto: [email protected]