Presentazione CLAUSER TONIATTI-scritta da Toniatti
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Presentazione CLAUSER TONIATTI-scritta da Toniatti
Le nuove competenze dell’Unione europea in materia di giustizia Trento, maggio 2010 a cura di Roberto Toniatti Mattia Magrassi Marco Zenatti PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO - 2011 - 1 - Il seminario ed il convegno, di cui si pubblicano gli interventi, si sono realizzati in collaborazione con il Progetto di ricerca di rilevanza nazionale (PRIN 2007) sul tema “Magistrature, giurisdizioni ed equilibri istituzionali (MaGiE)”. Copyright: Tutti i diritti riservati Giunta della Provincia autonoma di Trento, 2011 Centro di Documentazione Europea Coordinamento redazionale: Dott. Marco Zenatti Editore: PROVINCIA AUTONOMA DI TRENTO Stampato in proprio Centro duplicazioni della Provincia autonoma di Trento Finito di stampare nel mese di ottobre 2011 Le NUOVE competenze dell’Unione europea in materia di giustizia : Trento, maggio 2010 / a cura di Roberto Toniatti, Mattia Grassi, Marco Zenatti. – [Trento] : Provincia autonoma di Trento, 2011. – 235 p. ; 21 cm. – (Quaderni del CDE ; 30) Relazioni presentate al Seminario L’accesso dei cittadini alla giustizia: il portale della egiustizia e Atti del Convegno Le reti giudiziarie europee: le esperienze, il potenziale, le conseguenze per la funzione giurisdizionale 1. Giustizia – Unione Europea – Congressi – 2011 I. Toniatti, Roberto ISBN 978-88-7702-307-0 341. - 2 - Presentazione: Nicoletta Clauser e Roberto Toniatti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 5 Parte I L’accesso dei cittadini alla giustizia: il portale della e-giustizia. pag. 9 Il sistema di e-Justice dell’Unione Europea e la tutela comunitaria dei diritti: nuove esigenze formative del giurista europeo e nuove opportunità per saperi professionali trasversali Roberto Toniatti. . . . . . . . pag. 11 I progetti di informatizzazione della giustizia nel contesto italiano ed europeo: tappe evolutive Floretta Rolleri. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 27 Il progetto di e-Justice dell’Unione Europea: aspetti tecnici e operativi Giulio Borsari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 37 Giustizia elettronica e portale della giustizia elettronica nell’unione europea. un’analisi criminologica Andrea Di Nicola. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 45 La traduzione giuridica nel progetto sulla giustizia elettronica Elena Ioriatti Ferrari. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 53 Riflessioni sulla didattica di diritto comparato, europeo e transnazionale (in specie: in tema di diritto processuale civile) Ena-Marlis Bajons. pag. 63 Parte II Le reti giudiziarie europee: le esperienze, il potenziale, le conseguenze per la funzione giurisdizionale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 69 L’Unione Europea come spazio di libertà, sicurezza e giustizia: alcune note introduttive Mattia Magrassi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 71 Le esperienze. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 81 - 3 - Premessa: Andrea Di Nicola. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 83 Eurojust: ruolo ed esperienze Filippo Spiezia. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 85 L’ufficio europeo per la lotta antifrode (olaf): funzioni ed organizzazione Andrea Venegoni. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 93 Il ruolo dei magistrati nei programmi internazionali di assistenza per la riforma dell’ordinamento giudiziario Luca Perilli. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 99 Il potenziale. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 107 Premessa: Sergio Bartole. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 109 La rete europea dei consigli di giustizia Fabio Roia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 115 Le garanzie di imputati e indagati in procedimenti penali nella prospettiva dell’armonizzazione tra gli stati membri dell’unione europea Clara Tracogna . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 125 Le “reti giudiziarie” nel diritto comparato Sergio Gerotto . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 137 Le conseguenze per la funzione giurisdizionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 147 Premessa: Daniela Bifulco . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 149 Un caso di studio: il programma del consiglio d’europa a supporto dell’istituzione della scuola della magistratura albanese. Pasquale Profiti. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 153 Le reti giudiziarie europee e la comunitarizzazione del diritto internazionale privato e processuale Antonino Alì. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 161 Reti e circuito giudiziario europeo Maria Rosaria Ferrarese. . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 171 Reti giudiziarie europee e modelli di ordinamento giudiziario Carlo Guarnieri. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag. 187 Il sistema delle reti giudiziarie nel contesto dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia (slsg) dell’unione europea Roberto Toniatti. . . . . . . . . . . pag. 197 Nicoletta Clauser Dirigente Servizio Europa - Provincia autonoma di Trento Roberto Toniatti Professore Ordinario di Diritto Costituzionale Comparato Dipartimento di Scienze Giuridiche - Università degli Studi di Trento Coordinatore del Progetto Prin 2007 MaGiE (Magistrature, giurisdizioni ed equilibrio istituzionale) PRESENTAZIONE L’organizzazione del seminario su “L'accesso dei cittadini alla giustizia: il portale della e-giustizia” e del convegno in tema di “Le reti giudiziarie europee: le esperienze, il potenziale, le conseguenze per la funzione giurisdizionale” è il risultato della felice collaborazione - ben collaudata nel corso di oltre quindici anni - fra il Servizio Europa della Provincia autonoma di Trento e il Dipartimento di Scienze giuridiche dell'Università di Trento nella valorizzazione congiunta del Centro di Documentazione Europea (CDE). Le due iniziative, promosse nella circostanza nell’ambito di questa collaborazione, si sono poste l’obiettivo di contribuire alla divulgazione della conoscenza di un tema generale - “Le nuove competenze dell’Unione Europea in materia di giustizia” - che rappresenta uno dei capitoli più interessanti ed innovativi del trattato sull’Unione Europea, quale risulta dall’entrata in vigore del trattato di Lisbona e dalla “comunitarizzazione” dello spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia: quest’ultimo, infatti, rappresenta una delle innovazioni particolarmente 5 significative del trattato di Lisbona, entrato in vigore nel dicembre 2009, anche perché, fra l’altro, trasferisce completamente questo settore di intervento dell’Unione europea dalla cooperazione intergovernativa degli Stati membri (fondata sul voto unanime degli stessi) alla dimensione comunitaria in senso proprio nella quale, a regime, le deliberazioni vengono adottate a maggioranza. Al fine di garantire tanto l’effettività del diritto di accesso alla giustizia da parte dei cittadini dell’Unione europea quanto l’efficacia della cooperazione fra le autorità giudiziarie, si è elaborato e si sta sviluppando il concetto di giustizia elettronica (egiustizia) con l’intenzione di migliorare il funzionamento del servizio giustizia in tutti gli Stati membri, razionalizzando le procedure e riducendo i costi, anche attraverso l’introduzione delle tecnologie informatiche e di comunicazione. Lo sviluppo dello spazio giudiziario europeo ha previsto pertanto l’attivazione di un portale europeo di giustizia elettronica – entrato concretamente in funzione pochi mesi dopo il seminario di Trento - per agevolare l’accesso dei cittadini, dei professionisti e delle imprese alla giustizia in Europa, con la funzione di migliorare l’accesso all’informazione su norme, procedure e orientamenti giudiziari nei diversi Stati membri, di costituire una piattaforma orientativa verso i siti esistenti delle istituzioni giudiziarie europee o le varie reti che esistono in materia giudiziaria e, infine, di creare procedure europee interamente elettroniche. L’effettività dell’accesso alla giustizia richiede, evidentemente, che tutte le operazioni si possano svolgere nelle diverse lingue proprie dei cittadini dell’Unione, con evidenti difficoltà di traduzione giuridica. Il seminario su “L’accesso dei cittadini alla giustizia; il portale della e-giustizia” grazie al contributo di relatori particolarmente qualificati anche in ragione dell’intensa esperienza professionale in materia, ha inteso dare un’informazione sugli sviluppi applicativi di questa iniziativa di cui sono direttamente destinatari non solo i cittadini ma anche tutte le professioni e le funzioni proprie della giustizia, approfondendo anche gli aspetti problematici della traduzione giuridica e dell’informatizzazione. Lo spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia, inoltre, dal punto di vista dei contenuti, ricomprende la piena realizzazione delle quattro libertà fondamentali 6 dell’ordinamento comunitario (libera circolazione delle persone, delle merci, dei servizi e dei capitali) e dunque il funzionamento a pieno regime della cittadinanza dell’Unione europea e di tutte le sue garanzie, fra le quali la tutela giurisdizionale. Si richiedono, pertanto, forme di collaborazione sempre più strette ed intense fra i sistemi giudiziari degli Stati membri, sia per creare un contesto di reciproca conoscenza, comprensione e fiducia, sia per dare concretezza alla tutela giurisdizionale in una dimensione transfrontaliera (ad esempio, in tema di ammissibilità delle prove). Tali forme assumono una configurazione a rete, in quanto si tratta di un assetto collaborativo rivolto all’integrazione, a struttura non gerarchica e a formalizzazione variabile (più forte nel caso di EuroJust – ossia, il nucleo di un possibile futuro pubblico ministero europeo – e più debole, ad esempio, per quanto concerne la formazione e l’aggiornamento professionale dei giudici, che continua ad essere in grande prevalenza impostata su base nazionale). Il convegno su “Le reti giudiziarie europee: le esperienze, il potenziale, le conseguenze per la funzione giurisdizionale”, che si è avvalso anch’esso, oltre che di studiosi di alto profilo di diversa formazione scientifica (diritto, scienza della politica, sociologia), dell’esperienza professionale diretta di chi opera in prima persona e da anni all’interno della rete giudiziaria europea, ha inteso porre a confronto e approfondire l’origine e gli sviluppi normativi e attuativi della collaborazione a rete fra magistrati europei e cercare di valutare le conseguenze che tali innovazioni producono sulla concezione tradizionale della funzione giurisdizionale. Le due iniziative, benché necessariamente suscettibili di una trattazione di natura tendenzialmente tecnica, hanno avuto come destinatario generale i cittadini tutti - in quanto l’argomento presenta una propria vocazione tipicamente divulgativa, giacché si tratta di un settore di intervento comunitario che riguarda direttamente i cittadini dell’Unione quali titolari della libertà di circolazione - ma anche, più in particolare, oltre agli studenti delle Facoltà più direttamente interessate, gli ambienti professionali tanto del contesto dell’informatica quanto del mondo delle professioni legali e di quello della traduzione linguistica. I temi trattati, inoltre, sono particolarmente vicini non solo agli ambiti di ricerca giuridica europea e comparata dell’Università di Trento ma anche agli interessi dell’autonomia speciale del Trentino, sia in ragione della sua tradizionale 7 vocazione europea, sia per la rilevanza che si conferisce a tutte le istanze di giustizia di prossimità, anche di riflesso rispetto alle competenze regionali in tema di giustizia di pace, le quali rappresentano il primo anello di una catena istituzionale articolata che culmina nella giurisdizione dell’Unione Europea, sia in conseguenza della determinazione del Governo provinciale ad investire in cultura, ricerca e formazione di alto livello, sia, infine, per la pertinenza immediata delle esperienze europee prese in considerazione con una recente iniziativa, quale l'impegno della Provincia autonoma di Trento, attraverso il Servizio Europa, nell'utilizzare i programmi del Fondo sociale europeo per un progetto pilota di razionalizzazione della gestione della Procura di Trento. Gli atti del seminario e del convegno hanno la funzione non solo di consolidare le conoscenze maturate dal confronto che ha avuto luogo in quelle sedi e di manifestare l’impegno istituzionale della Provincia autonoma di Trento ma anche di promuovere nuovi ed ulteriori studi in una materia che appartiene al nostro futuro. 8 Parte I^ L’ACCESSO DEI CITTADINI ALLA GIUSTIZIA: IL PORTALE DELLA e-GIUSTIZIA Roberto Toniatti Professore Ordinario di Diritto Costituzionale Comparato Dipartimento di Scienze Giuridiche - Università degli Studi di Trento Coordinatore del Progetto Prin 2007 MaGiE (Magistrature, giurisdizioni ed equilibrio istituzionale) INTRODUZIONE IL SISTEMA DI e-JUSTICE DELL’UNIONE EUROPEA E LA TUTELA COMUNITARIA DEI DIRITTI: NUOVE ESIGENZE FORMATIVE DEL GIURISTA EUROPEO E NUOVE OPPORTUNITÀ PER SAPERI PROFESSIONALI TRASVERSALI 1. Il processo di integrazione europea ha previsto, sin dalla formulazione iniziale del trattato istitutivo della Comunità Economica Europea (1958), il riconoscimento in capo ai cittadini degli Stati membri di quattro libertà fondamentali – il nucleo originario della ben più estesa protezione dei diritti fondamentali garantita dalla Carta di Nizza quale fonte normativa di portata costituzionale (adottata nel 2000 ed entrata in vigore nel 2009 per effetto del trattato di Lisbona) -, segnatamente la libertà di circolazione di persone, capitali, beni e servizi: la libera circolazione era intesa manifestarsi principalmente in una dimensione geografica - ossia fisica, territoriale – ma, inevitabilmente, essa non poteva non manifestarsi altresì in un’area immateriale, identificabile con l’ordinamento giuridico dello Stato membro di insediamento trasformato, peraltro, proprio in virtù della condizione di Stato membro, in spazio giuridico europeo. Tale trasformazione implicava, evidentemente, non la sostituzione di uno spazio giuridico – ossia dell’insieme di norme sostanziali e processuali ed apparati istituzionali (in primis, l’ordine giudiziario) dello Stato – con un altro (quello comunitario), bensì l’integrazione funzionale e selettiva dei due, ossia la 11 predisposizione di condizioni di compatibilità fra la sovranità giuridica e giudiziaria dello Stato membro e l’esercizio concreto ed effettivo delle quattro libertà fondamentali da parte dei cittadini degli altri Stati membri, fra l’altro divenuti (dal 1993, con il trattato di Maastricht) cittadini dell’Unione Europea. La costruzione dello spazio giuridico e giudiziario europeo ha condiviso, per effetto delle successive revisioni del trattato sull’Unione Europea, la stessa esperienza di sviluppo graduale ed incrementale di tutti gli altri settori materiali di competenza europea e, in particolare, con il trattato di Lisbona, ha conosciuto la scomparsa della differenziazione delle competenze dell’Unione per “pilastri”: nato nell’ambito del pilastro della cooperazione intergovernativa e soggetto dunque inizialmente al requisito del voto unanime di tutti gli Stati membri, lo spazio giuridico e giudiziario europeo è in seguito parzialmente maturato all’interno del pilastro comunitario e si trova ora stabilizzato nel nuovo assetto unitario delle deliberazioni prese a maggioranza. E’ in questo contesto di evoluzione storica e normativa che il trattato sull’Unione Europea (TUE), nel testo in vigore, stabilisce (art. 3.2°) che “l'Unione offre ai suoi cittadini uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne, in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone insieme a misure appropriate per quanto concerne i controlli alle frontiere esterne, l'asilo, l'immigrazione, la prevenzione della criminalità e la lotta contro quest'ultima”; che l’art. 4.2.j del trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) ) colloca lo “spazio di libertà, sicurezza e giustizia” fra le competenze concorrenti dell’Unione; e che il TFUE dedica allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia tutto il Titolo V (artt. 67-89). Il Titolo V a sua volta si articola in una serie di Capi dedicati, in successione, a “Disposizioni generali” (Capo 1), alle “Politiche relative ai controlli alle frontiere, all’asilo e all’immigrazione” (Capo 2), alla “Cooperazione giudiziaria in materia civile” (Capo 3), alla “Cooperazione giudiziaria in materia penale” (Capo 4) e alla “Cooperazione di polizia” (Capo 5). Nel dicembre 2009 – e dunque con la massima tempestività, in coincidenza temporale con la stessa entrata in vigore del trattato di Lisbona – il Consiglio Europeo, nell’esercizio di una funzione di indirizzo di alto profilo politico esclusivamente ed espressamente prevista e disciplinata dall’art. 68 TFUE per 12 questa materia1, ha adottato il “Programma di Stoccolma”2, intitolato ”Un'Europa aperta e sicura al servizio e a tutela dei cittadini”: si tratta di un programma pluriennale, per il periodo 2010-2014, nel quale si afferma che “il Consiglio europeo ribadisce di considerare prioritario lo sviluppo di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia”3. 1 Dispone infatti l’art. 68 cit. che “il Consiglio europeo definisce gli orientamenti strategici della programmazione legislativa e operativa nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia”. Si tratta dunque di una sorta di riserva di indirizzo politico, attribuita all’organo collegiale di più alto rilievo politico-istituzionale dell’Unione e destinata ad orientare l’azione amministrativa nonché l’iniziativa legislativa della Commissione. Ricordiamo peraltro che in tema di spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia l’art. 76 del TFUE stabilisce che determinati atti “che assicurano la cooperazione amministrativa” tra i servizi competenti degli Stati membri e fra tali servizi e la Commissione “sono adottati: a) su proposta della Commissione, oppure b) su iniziativa di un quarto degli Stati membri”, con evidente valorizzazione del ruolo propositivo e d’impulso di questi ultimi, coerente del resto con gli ampi margini attribuiti alle cooperazioni rafforzate in materia. 2 Il programma succede nel tempo ai precedenti programmi pluriennali di Tampere (1999) e de l’Aja (2004) che avevano delineato il quadro di indirizzo politico in materia. I progressi compiuti nel settore sono stati così sintetizzati: “I controlli alle frontiere interne sono stati soppressi nello spazio Schengen e le frontiere esterne dell'UE sono ora gestite in modo più coerente. Attraverso lo sviluppo dell'approccio globale in materia di migrazione, la dimensione esterna della politica migratoria dell'UE s'incentra sul dialogo e sui partenariati con i paesi terzi, in base a interessi reciproci. Sono state intraprese importanti iniziative volte a istituire un regime europeo in materia di asilo. Le agenzie europee, quali Europol, Eurojust, l'Agenzia per i diritti fondamentali e Frontex, hanno raggiunto la maturità operativa nei rispettivi settori di attività. La cooperazione nel settore del diritto civile facilita la vita quotidiana dei cittadini e la cooperazione fra le autorità di contrasto offre maggiore sicurezza” (punto 1). Per il testo del Programma di Stoccolma in lingua italiana cfr. http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2010:115:0001:01:IT:HTML 3 Il corsivo è nostro. La rilevanza politica è peraltro ulteriormente confermata: “Il Consiglio europeo ritiene che una priorità dei prossimi anni consista nel concentrarsi sugli interessi e le esigenze dei cittadini. La sfida da affrontare sarà quella di garantire, a un tempo, il rispetto delle libertà fondamentali e dell'integrità e la sicurezza in Europa. È estremamente importante che le misure di contrasto e i provvedimenti a tutela dei diritti delle persone, dello stato di diritto e delle norme sulla protezione internazionale vadano di pari passo nella stessa direzione e si rafforzino reciprocamente” (punto 1.1). 13 Successivamente (aprile 2010), la Commissione ha elaborato e proposto un Piano di azione per l’attuazione del Programma di Stoccolma intitolato “Creare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia per i cittadini europei4. In tale contesto, nel Programma di Stoccolma si afferma che “il diritto alla libera circolazione dei cittadini e dei loro familiari all'interno dell'Unione europea è uno dei principi fondamentali su cui si basa l'Unione, nonché una delle libertà fondamentali garantite dalla cittadinanza europea”5. Lo spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia rappresenta pertanto il quadro generale di riferimento per l’intervento comunitario e degli Stati membri volto a dare concretezza ed effettività a quel diritto: il Programma di Stoccolma, ad esempio, ricorda che “alla riunione di Tampere del 1999 il Consiglio europeo ha dichiarato che il rafforzamento del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie e delle sentenze e il necessario ravvicinamento delle legislazioni faciliterebbero la cooperazione fra le autorità, come pure la tutela giudiziaria dei 4 Le finalità generali ed interlocutorie vengono ribadite: “L'intento principale dell'azione dell'Unione in questo settore per i prossimi anni è "portare avanti l'Europa dei cittadini" dando loro i mezzi per esercitare i diritti e trarre pieno beneficio dall'integrazione europea. La libertà, la sicurezza e la giustizia sono settori che interessano la vita di tutti i giorni, in cui per l'appunto i cittadini pretendono di più dai responsabili delle politiche. Uomini e donne in Europa si aspettano giustamente di vivere in un'Unione di prosperità e pace, nella certezza che i propri diritti vengano pienamente rispettati e la sicurezza sia garantita. Uno spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia dev'essere uno spazio in cui tutti, anche i cittadini dei paesi terzi, possono contare sul rispetto effettivo dei diritti fondamentali sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Obiettivo del presente piano d'azione è realizzare queste priorità a livello europeo e globale, garantendo ai cittadini i vantaggi che derivano dai progressi compiuti nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, in modo che l'Unione possa guardare al futuro e dare una risposta chiara e adeguata alle sfide europee e globali”. 5 Si precisa altresì che “i cittadini dell'Unione hanno il diritto di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, il diritto di voto e di eleggibilità alle elezioni del Parlamento europeo e alle elezioni comunali negli Stati membri in cui risiedono, il diritto alla tutela da parte delle autorità diplomatiche e consolari di altri Stati membri ecc. Nell'esercizio dei loro diritti ai cittadini è garantita la parità di trattamento con i cittadini degli Stati membri alle condizioni stabilite dal diritto dell'Unione. L'efficace applicazione della pertinente legislazione europea rappresenta pertanto una priorità” (punto 2.2). 14 diritti dei singoli e che il principio del riconoscimento reciproco dovrebbe diventare il fondamento della cooperazione giudiziaria tanto in materia civile quanto in materia penale. Tale principio è ora sancito dal trattato”. Si precisa altresì che “nel programma dell'Aia, adottato nel 2004, il Consiglio europeo ha osservato che, per rendere effettivo il principio di riconoscimento reciproco, è necessario rafforzare la fiducia reciproca sviluppando gradualmente una cultura giudiziaria europea basata sulla diversità degli ordinamenti giuridici e l'unità attraverso la legge europea. I sistemi giudiziari degli Stati membri dovrebbero poter funzionare insieme, in modo coerente ed efficace, nel rispetto delle tradizioni giuridiche nazionali. L'UE dovrebbe continuare a rafforzare la fiducia reciproca negli ordinamenti giuridici degli Stati membri stabilendo diritti minimi nella misura necessaria alla diffusione del principio di riconoscimento reciproco e fissando norme minime per la definizione dei reati e delle sanzioni secondo quanto definito dal trattato. Lo spazio giudiziario europeo deve inoltre consentire ai cittadini di far valere i propri diritti ovunque nell’Unione, rendendoli più consapevoli al riguardo e facilitando il loro accesso alla giustizia” (punto 3). Dal punto di vista organizzativo, è da registrare che l’ampiezza e l’articolazione delle aree materiali di intervento rientranti nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia ha determinato l’attivazione – rispetto alla Direzione Generale (D.G.) unica già esistente in precedenza - di due nuove strutture amministrative ad hoc, la D.G. Affari interni e la D.G. Giustizia, la prima competente in tema di sicurezza ed immigrazione6 e la seconda direttamente preposta alla tutela e alla promozione dei diritti e al potenziamento della cooperazione giudiziaria europea7. 6 Dal relativo sito (per ora solo in inglese) si ricava una descrizione analitica delle competenze: “The policies managed by the Directorate-General aim at ensuring that all activities necessary and beneficial to the economic, cultural and social growth of the EU may develop in a stable, lawful and secure environment. The ultimate goal is to create an area without internal borders where EU citizens and third-country nationals may enter, move, live and work, bringing with them new ideas, capital and knowledge or filling gaps in the labour market, in line with the Europe 2020 strategy. All of this should be possible without being threatened by, for example, the activities of organised crime, or terrorist attacks. The Directorate-General thus focuses on two main priorities. On one side, it is ensuring European security and on the other, putting solidarity at the heart of the European migration policy. The Stockholm Action Plan constitutes the roadmap to implement these priorities. 15 In order to ensure the security of Europe, we need to intensify our efforts to fight terrorism and organised crime. Several proposals critical to this area include stricter rules against illicit trafficking of firearms, as well as the revision of the present legislation on fighting against trafficking in human beings and on combating child sexual abuse, sexual exploitation and child pornography. The fight against terrorism and the Internal Security Strategy, strictly linked to the broader European Security Strategy, will continue to be cornerstones of our efforts to make Europe more secure by strengthening cooperation in law enforcement, border management, civil protection, and disaster management. In the domain of migration, our focus will be to ensure a balanced migration policy that addresses the irregular migration problems and, as it is foreseen in EU 2020, clears the way for legal migration to the EU, an asset for a sustainable economic recovery. A priority will therefore be the consolidation of a genuine common immigration and asylum policy that will include actions such as developing new and flexible admission systems for economic immigration; initiatives to support smooth integration of immigrants into our societies; and the proposal of a common European Migration and Asylum system based on solidarity and respect of human rights. The requests on all sides for greater and more tangible solidarity among Member States are growing, and not only in migration and asylum as in the past, but, with the Lisbon Treaty, also in case of natural and home-made disasters. All Home affairs policies have two dimensions, an internal and an external one. That is why the Directorate-General will continue and enhance dialogue and cooperation with third countries. This will strengthen position of the Union as a reliable, active and pragmatic global player while ensuring that our policies are effective. Finally, to cater for EU interests, whether concerning migration management or security, financial instruments must be at the level of the Union's ambitions. Sound and effective management of these instruments is an essential component of the Home Affairs policy”. 7 Dal sito: “In today's Europe, millions of citizens are involved in cross-border situations - either in their private lives, through their work or studies, or as consumers. The creation of the Directorate-General Justice reflects the new opportunities the Lisbon Treaty gives us to improve the everyday lives of EU citizens. We offer practical solutions to cross-border problems, so that citizens feel at ease about living, travelling and working in another Member State and trust that their rights are protected no matter where in the European Union they happen to be […] The Directorate-General consists of four directorates – Civil Justice, Criminal Justice, Fundamental Rights and Union Citizenship and, since January 2011, the directorate for Equality. To this end, the Directorate General seeks to: Promote and enforce the Charter of Fundamental Rights of the European Union: such as personal data protection, the rights of the child, the rights laid down in Chapter VI of the Charter, like the right to an effective remedy and to a fair trial, as well as the rights of persons belonging to minorities.- Coordinate and promote policy developments to combat discrimination 16 2. Rispetto a tali finalità generali, il Programma di Stoccolma ribadisce in particolare “l'importanza orizzontale della giustizia elettronica, la quale non è limitata a determinati settori del diritto ma dovrebbe essere inglobata in tutti i settori del diritto civile, penale e amministrativo al fine di assicurare un migliore accesso alla giustizia e una cooperazione rafforzata tra le autorità amministrative e giudiziarie”. Già nel 2008 era stato adottato un piano d'azione in materia di giustizia elettronica europea8 che, attraverso il portale europeo della giustizia elettronica9, si propone di on grounds of sex, racial or ethnic origin, religion or belief, disability, age or sexual orientation. Promote awareness on gender equality and non-discrimination. Coordinate policy developments in respect of the Roma.- Enhance citizenship by promoting and protecting citizens' rights in their daily lives, ensuring they fully benefit from European integration, in particular from the right of free movement within the European Union.- Develop the European area of justice, based on mutual recognition of judicial decisions, mutual trust between justice authorities achieved through common rules and by building on the legal traditions of the EU Member States.Ensure legal certainty and a level-playing field for citizens, consumers and businesses (especially small and medium-sized businesses) in enforcing their rights within, and across, national borders, and developing citizen's access to justice through e-justice.Strengthen the single market for cross-border transactions by a better harmonisation of consumer, contract and marketing laws, by developing an EU contract law and by reducing procedural obstacles.- Develop a coherent criminal policy for the EU based on mutual recognition of judicial decisions, approximating substantive and procedural criminal law, enhancing mutual trust between criminal justice authorities, and strengthening Eurojust and combating fraud against the financial interests of the Union by means of criminal law.- Develop a global, coherent and balanced drugs policy.- Engage in a close dialogue with the EU institutions and national Parliaments on the development of sound justice policies”. 8 Rinviamo al testo del Programma per l’indicazione di ulteriori aree nelle quali fare affidamento sulla giustizia informatica per il consolidamento dello spazio giudiziario europeo. A titolo informativo richiamiamo alcune indicazioni in tal senso: “Occorre sfruttare meglio la videoconferenza, ad esempio per risparmiare alle vittime inutili spostamenti e lo stress di assistere al processo. Nel rispetto della normativa sulla protezione dei dati, alcuni registri nazionali verranno progressivamente interconnessi (ad es. registri d’insolvenza, interpreti, traduttori e testamenti). Alcune basi dati esistenti potrebbero anche essere parzialmente integrate nel portale (ed es. il Registro europeo delle imprese e il Servizio europeo di informazione territoriale). A medio termine alcuni procedimenti transfrontalieri europei e nazionali (come l'ingiunzione di pagamento europea, il procedimento europeo per le controversie di modesta entità e 17 agevolare i cittadini quanto alla semplificazione delle informazioni necessarie per la tutela dei propri diritti e per l’accesso alla giustizia negli ordinamenti dei singoli Stati membri. La predisposizione tecnica di tale portale si è rivelata ben più complessa del previsto e l’avvio effettivo del portale stesso è stato via via più volte rimandato e si è concretizzato solo nel mese di agosto del 2010. Il Portale è essenzialmente una fonte informativa, che mette a disposizione dei cittadini una moltitudine di dati sul diritto in generale, sul diritto dell’Unione e degli Stati membri – compreso l’accesso diretto a banche dati giuridiche -, sull’organizzazione giudiziaria e i fondamenti del processo civile e penale degli Stati membri, allo scopo di fornire ai cittadini (e ai professionisti che li assistono) una sorta di prima assistenza legale di base, in vista di un loro eventuale coinvolgimento in una controversia giudiziaria al di fuori dell’ordinamento giuridico e giudiziario del proprio Stato. Si tratta, dunque, di uno strumento che si rivolge potenzialmente ad ogni cittadino, sia uti singulus, sia come impresa, sia in quanto professionista e impegnato in attività lavorative di ogni genere, il quale, in tutte le parti del territorio dell'Unione in cui si trovi, deve essere posto in grado di agire per la più efficace tutela dei propri interessi ed altresì di poter esercitare la propria professione o attività imprenditoriale nei confronti di controparti che possono essere anch’esse collocate in qualsiasi parte del territorio dell'Unione. Il Portale, pertanto, non è che un primo passo rispetto ad un percorso che richiede altri e ben più sofisticati elementi di sostegno, ma un primo passo comunque significativo anche in considerazione del fatto che rispetto alle finalità generali – la mediazione) potrebbero essere espletati on-line. Nell'ambito del progetto sulla giustizia elettronica andrebbe inoltre promosso l'uso delle firme elettroniche. Il Consiglio europeo invita il Consiglio, la Commissione e gli Stati membri a creare condizioni idonee a consentire alle parti di comunicare con gli organi giurisdizionali attraverso mezzi elettronici nell'ambito di procedimenti giudiziari. Occorre a tal fine mettere a disposizione moduli dinamici attraverso il portale della giustizia elettronica per quanto riguarda taluni procedimenti europei quali il procedimento europeo d'ingiunzione di pagamento e quello per le controversie di modesta entità. In tale fase, andrebbe nettamente migliorata la comunicazione elettronica tra le autorità giudiziarie nel settore dell'applicazione della giustizia elettronica” (punto 3.4.1). 9 Cfr. il sito https://e-justice.europa.eu/home.do?lang=it&action=home 18 intimamente connaturate al rispetto dei diritti e degli interessi di varia natura dei cittadini e del tutto conforme al principio di legalità e di tutela giurisdizionale – si è posto in essere, in realtà, accanto ed oltre al Portale stesso, tutto un apparato organizzativo e funzionale articolato, il quale si fonda sull’attivazione di reti giudiziarie di collaborazione, sia in forma istituzionale sia attraverso strumenti di natura procedurale e include altresì, pertanto, grazie al Portale, anche l’agevolazione tecnologica per un efficace accesso alla giustizia. In realtà, il Portale potrebbe anche essere un’iniziativa dotata di una visibilità relativamente marcata e di immediato impatto psicologico sulla generalità dei cittadini utile a distogliere l’attenzione sulle diffuse criticità dell’attuazione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia: non solo da esso, infatti, e dalla stessa applicabilità della Carta dei diritti fondamentali alcuni Stati membri (Danimarca, Irlanda, Polonia, Regno Unito e Repubblica Ceca) – a vario titolo e pur con differenziazioni - si sono chiamati fuori ma occorre ricordare anche che lo sviluppo delle più significative iniziative di integrazione giudiziaria è destinato ad essere attivato, almeno in una prima fase, attraverso le forme della cooperazione rafforzata fra un numero ristretto di Stati membri. Si prospetta, pertanto, come del resto già avviene in rilevanti comparti di intervento pubblico comunitario10, la tendenza verso una configurazione, almeno (e forse solo) iniziale, di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia asimmetrico dal punto di vista della partecipazione dello degli Stati membri11. 3. La riflessione sin qui svolta, per quanto sommaria ed introduttiva e pur con tutte le cautele suggerite dalla riluttanza di alcuni Stati membri ad accettare incisivi interventi comunitari su una delle attribuzioni più importanti della sovranità quale l’esercizio della potestà punitiva e della competenza normativa in materia (sostanziale e processuale) penale12, sembra idonea, nondimeno, a porre 10 Cfr. infatti G. Di Paolo, La circolazione dei dati personali nello spazio giudiziario europeo dopo Prüm, in Cassazione penale, 2010, 1969 ss. 11 Cfr. in proposito S. Carrera y F. Geyer, El tratado de Lisboa y un Espacio de libertad, seguridad y justicia: Excepcionalismo y fragmentación en la Unión Europea, in Revista de Derecho Comunitario Europeo, 2008, 133 ss. 12 Per un’interessante ricognizione di tali problemi cfr. G. Di Paolo, Il processo penale nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia dell’UE tra cooperazione giudiziaria e orizzonti sovranazionali, in Cassazione penale, 2009, 4488 ss. 19 in evidenza come lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia – quale configurato dal TUE entrato in vigore nel 2009 ed ulteriormente qualificato dalla futura adesione dell’Unione Europea al sistema di tutela dei diritti fondamentali offerto dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) e garantito dalla Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo (CtEDU)13 – venga a rappresentare una significativa prospettiva di sviluppo del processo di integrazione giuridica e giudiziaria europea, in un settore, come quello giuridico, che si conferma essenziale e strutturalmente funzionale rispetto all’evoluzione di ogni altro contesto materiale. E’ agevole rilevare, di conseguenza, che la piena realizzazione di questa prospettiva non può non richiedere un corrispondente ed adeguato impegno nella formazione, sia in termini di aggiornamento professionale degli operatori già in servizio del mondo forense e della giustizia, da intendersi in senso lato e comprensivo delle forze dell’ordine, sia per quanto concerne la formazione di base delle future generazioni. Il diritto è un fenomeno sociale e culturale che deve sempre essere posto in grado di esprimere la propria vitalità intrinseca e di corrispondere alle innovazioni del contesto che lo circonda, lo determina e ne sollecita l’intervento. Nel quadro europeo attuale, il diritto sta vivendo una parziale de-statualizzazione delle fonti normative e giurisprudenziali ovvero sta articolando modi innovativi attraverso i quali nuovi soggetti istituzionali, impiegando nuovi procedimenti, sono in grado di determinare la statualizzazione di fonti normative e giurisprudenziali di origine extrastatuale. La stessa circostanza di attribuire pari rilevanza alla fonte giurisprudenziale rispetto alla fonte normativa di origine legislativa costituisce un fattore innovativo qualora inserito nel contesto giuridico di diritto codificato dell’Europa continentale e nel prevalente quadro culturale dell’attuale insegnamento del diritto, ancora troppo condizionato dal positivismo giuridico statocentrico (e, talvolta, statolatra e nazionalista) che ha caratterizzato per ampia parte il pensiero giuridico del Novecento. 13 Come prescritto dall’art. 6.2° TUE: “L'Unione aderisce alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Tale adesione non modifica le competenze dell'Unione definite nei trattati”. 20 In tal senso, il Portale della giustizia elettronica dell’UE rappresenta – di certo al di là delle intenzioni di chi lo ha ideato – un monumento emblematico del diritto europeo odierno, un totem bicefalo, riproduttivo, da unlato, dei ventisette sistemi giuridici e giudiziari degli Stati membri e, dall’altro, della ratio della loro integrazione nel sistema giuridico e giudiziario dell’UE, secondo quanto richiesto dallo Zeitgeist della nostra epoca. L’innovazione dell’integrazione giuridica e giudiziaria europea, presente e dell’imminente futuro, richiede dunque una adeguata innovazione didattica del diritto, europea nei contenuti ma, possibilmente, anche nelle modalità di contesto (ad esempio, valorizzando la mobilità interuniversitaria di studenti e docenti). In questa direzione si è orientato, del resto, il Programma di Stoccolma che, facendosi carico dell’esigenza di gestione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia quale realtà operativa nell’immediato, sembra porre l’accento più sulla formazione professionale in servizio che sulla formazione di base delle giovani generazioni: “per promuovere un'autentica cultura europea in materia giudiziaria e di applicazione delle legge è essenziale intensificare la formazione relativa alle tematiche connesse all'UE e renderla sistematicamente accessibile per tutte le professioni coinvolte nell'attuazione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, tra cui sono da annoverare giudici, pubblici ministeri, personale giudiziario, agenti doganali e guardie di frontiera. Occorrerebbe porsi come obiettivo regimi di formazione europea sistematica, offerti a tutti i soggetti coinvolti, con l'ambizione seguente per l'Unione e gli Stati membri: partecipazione, entro il 2015, di un numero significativo di professionisti, ovvero scambio con un altro Stato membro che potrebbe rientrare in regimi di formazione già utilizzati. A tal fine si dovrebbe in particolare ricorrere agli istituti di formazione esistenti. Al riguardo sono responsabili in primo luogo gli Stati membri; l'Unione deve però offrire loro supporto e sostegno finanziario e disporre inoltre di meccanismi propri per integrare gli sforzi nazionali. Il Consiglio europeo ritiene che gli aspetti della cooperazione UE e internazionale debbano rientrare nei programmi di formazione nazionali. Nella formazione di giudici, pubblici ministeri e personale giudiziario è importante salvaguardare l'indipendenza del potere giudiziario, ponendo nel contempo l'accento sulla dimensione europea per i professionisti che si servono frequentemente degli strumenti europei. CEPOL e FRONTEX dovrebbero svolgere 21 un ruolo chiave nella formazione del personale preposto all'azione di contrasto e delle guardie di frontiera al fine di garantire una dimensione europea all'attività formativa. La formazione delle guardie di frontiera e degli agenti doganali riveste una rilevanza particolare nell'ottica di promuovere un approccio comune alla gestione integrata delle frontiere. Si dovrebbero ricercare soluzioni a livello europeo per potenziare i regimi di formazione europea. Si devono inoltre sviluppare programmi di teledidattica per formare i professionisti riguardo ai meccanismi europei” (punto 1.2.6)14. In realtà, la formazione svolge un ruolo cruciale in questo contesto anche in vista del conseguimento di un risultato di primaria importanza, nel breve come nel lungo periodo, quale è la creazione di un fondamento di fiducia reciproca fra gli operatori del diritto e della giustizia15. 14 Il Consiglio europeo invita la Commissione a: proporre un piano d'azione per innalzare sistematicamente, in misura sostanziale, il livello dei regimi di formazione e scambio nell'Unione. Il piano dovrebbe prospettare come garantire che a un terzo di tutte le forze di polizia coinvolte nella cooperazione europea di polizia e alla metà dei giudici, pubblici ministeri e altro personale giudiziario coinvolti nella cooperazione europea giudiziaria, nonché alla metà di altri professionisti coinvolti nella cooperazione europea possano essere offerti regimi di formazione europea; considerare ciò che può definirsi un regime di formazione europea e proporre, nel piano d'azione, soluzioni per sviluppare questo concetto nella prospettiva di conferirgli una dimensione europea; istituire specifici programmi di scambio (tipo Erasmus) che potrebbero coinvolgere Stati non appartenenti all'UE e, in particolare, Stati candidati e paesi con i quali l'Unione ha concluso accordi di partenariato e di cooperazione; far sì che la partecipazione ai corsi, alle esercitazioni e ai programmi di scambio comuni sia decisa in funzione delle attribuzioni e non dipenda da criteri settoriali” (1.2.6). Osserviamo in proposito che l’instaurazione di un contesto di fiducia (in questo caso) accademica è stata del resto una condizione indispensabile – e, a posteriori, una preziosa acquisizione - per il consolidamento della mobilità universitaria degli studenti nell’ambito del Programma ERASMUS. 15 Sulla stretta connessione in parola (“Dans le domaine de la justice, un des objectifs généraux était la pleine utilisation de la reconnaissance mutuelle et, plus spécifiquement, l’instauration de la confiance mutuelle: La coopération judiciaire dans les matières tant pénales que civiles pourrait être encore développée en renforçant la confiance mutuelle et en faisant émerger progressivement une culture judiciaire européenne fondée sur la diversité des systems juridiques des États membres et sur l'unité par le droit européen (…). Les principes de reconnaissance mutuelle des décisions et de confiance mutuelle sont en fait liés entre eux, le premier ne pouvant pas subsister sans le deuxième. L'élimination pure et simple de tout contrôle du juge de l'État requis sur la décision étrangère ne peut fonctionner de manière effective que si le juge du pays 22 In tal senso, si legge nel Programma di Stoccolma che “il Consiglio europeo sottolinea la necessità di rafforzare la fiducia reciproca tra tutti i professionisti del settore a livello nazionale e dell'UE. Un'autentica cultura europea in materia di applicazione della legge dovrebbe svilupparsi grazie allo scambio di esperienze e buone pratiche, nonché mediante l'organizzazione di corsi di formazione e di esercitazioni comuni […]”; pertanto, “il Consiglio europeo esorta gli Stati membri a ideare meccanismi di incentivo per i professionisti che assumono funzioni attinenti alla cooperazione transfrontaliera, favorendo in tal modo una risposta a tutti i livelli su scala europea” (punto 4.2.1). Ed ancora: “il riconoscimento reciproco ha come conseguenza che le decisioni pronunciate a livello nazionale producono effetti, in particolare, sull'ordinamento giuridico degli altri Stati membri. Per poter sfruttare appieno queste realizzazioni, sono pertanto necessarie misure volte ad accrescere la fiducia reciproca. L'Unione è chiamata a sostenere gli sforzi degli Stati membri volti a migliorare l'efficacia dei sistemi giudiziari nazionali, favorendo lo scambio di migliori prassi e lo sviluppo di progetti innovatori relativi alla modernizzazione della giustizia (punto 3.2); e “la formazione dei giudici (compresi i giudici amministrativi), dei pubblici ministeri e di altro personale giudiziario è fondamentale per rafforzare la fiducia reciproca. L'Unione dovrebbe continuare a sostenere e rafforzare le misure intese ad aumentare la formazione, in linea con gli articoli 81 e 82 del trattato FUE” (punto 3.2.1). Ne consegue che, in conseguenza ed altresì in vista del consolidamento dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, la formazione del giurista deve acquisire una propria dimensione europea come formazione di base e la formazione avanzata degli operatori della giustizia – ricordando, fra l’altro, che ogni giudice nazionale è requis fait confiance à son collègue de l'État membre d'origine”, 11, corsivi originali) rinviamo anche allo studio di P. Goldschmidt, C. Botelho e N. Long, Renforcement de la formation judiciaire dans l’Union Européenne, pubblicato dal Parlamento Europeo, PE 419.591, D. G. Politiques internes de l’Union, Luxembourg, 2009. 23 anche giudice comunitario - deve in via fisiologica riflettere la realtà dello spazio giuridico europeo16. Anche in questa prospettiva – in tanto in quanto rappresentativo della individualità di ciascun sistema giuridico e giudiziario degli Stati membri, accanto a quello dell’UE ed altresì quale strumento iniziale di informazione circa la realtà plurale rappresentata - il Portale viene a svolgere un ruolo indiretto di catalizzatore di una dinamica che dovrebbe condurre dall’isolamento (dei sistemi giuridici e giudiziari) all’integrazione europea, dall’informazione alla formazione, dalla diffidenza causata dalla non conoscenza alla fiducia reciproca fondata sulla conoscenza delle diversità e sulla consapevolezza circa la loro suscettibilità di partecipare e di contribuire all’integrazione europea. 16 L’estensione della formazione necessaria agli operatori della giustizia è stata ritenuta dover includere: “ Connaissance d’une ou plusieurs langues de l'Union européenne autres que la langue maternelle de la personne concernée.- Connaissance du droit primaire de l’UE et des principes généraux du droit communautaire et du droit de l’Union.- Connaissance du droit dérivé de l’UE, l'accent étant mis sur les instruments juridiques de l’UE, qu'ils aient été adoptés dans le cadre du premier ou du troisième pilier, et sur les instruments appliquant le principe de reconnaissance mutuelle.- Connaissance du rôle du juge national en tant que juge communautaire. Ceci inclut une formation pratique sur la façon dont les magistrats nationaux peuvent obtenir une aide dans leur interprétation et leur application de la législation de l'UE par le biais par exemple des décisions ou procédures de la Cour de justice des Communautés européennes. Les juges nationaux ont besoin en particulier d'une formation pratique sur la procédure préjudicielle (par exemple quand et comment soumettre des questions à la CJCE) comme garantie d'une interprétation commune des divers instruments juridiques communautaires – ou d’une decision commune sur leur validité.- Formations de droit comparé afin de mieux connaître les systèmes juridiques des autres États membres. Ceci est particulièrement important lorsque le droit de l’Union permet aux magistrats d'appliquer le droit de leurs homologues (par exemple dans les questions de droit civil) ou lorsque ceux-ci doivent comprendre pourquoi une décision spécifique a été prise dans un autre État membre en appliquant un instrument de l'UE (par exemple, dans le cadre de la coopération en matière pénale, une décision relative au mandat d'arrêt européen), in P. Goldschmidt, C. Botelho e N. Long, Renforcement de la formation judiciaire dans l’Union Européenne, cit., 36 s. 24 Si tratta, evidentemente, di un processo, peraltro già avviato - come ben testimoniato da oltre un decennio di azione comunitaria, di collaborazione giudiziaria, di esperienza di reti interattive di magistrati -, ma che in questa fase, anche in virtù dell’effetto promozionale prodotto dall’entrata in vigore del nuovo TUE (dopo la frustrazione causata dalla débacle del c.d. trattato costituzionale), appare destinatario di una forte accelerazione, come indicato dalla connotazione di priorità che il Consiglio Europeo nel Programma di Stoccolma ha conferito all’attuazione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia e come confermato altresì dalla impressionante lunga lista di ”cose da fare” contenuta nel citato Piano d’azione della Commissione. Il Portale corrisponde dunque, come abbiamo posto in evidenza, ad un’applicazione puntuale e concreta, nel senso della facilitazione nell’acquisizione di informazioni essenziali, nel contesto delle vaste potenzialità offerte dalla giustizia elettronica e, dunque, della valorizzazione della tecnologia informatica al servizio della giustizia: non a caso si parla oggi, in proposito, della “scrivania virtuale del magistrato”. Senza l'informatica applicata al diritto, le importanti e delicate dinamiche di garanzia del cittadino – giacché di questo si tratta - delle quali si è sin qui discorso non sarebbero possibili. Da questo punto di vista, emergono con tutta evidenza ancora una volta sia l'importanza della familiarità del giurista con gli strumenti informatici sia l’utilità della consuetudine dell’informatico con il diritto: solo dalla combinazione intelligente di questi due saperi professionali è dato assecondare ed assicurare ulteriori sviluppi in un settore così delicato. Nondimeno, proprio con riguardo alla predisposizione del Portale, occorre anche rilevare che, se da un lato l’utilizzazione e la valorizzazione delle tecnologie informatiche si sono confermate funzionali al perseguimento di questo obiettivo di facilitazione, dall’altro si sono trovate a dover gestire, fra gli altri, un problema strutturale dell’ordinamento comunitario quale il fattore linguistico: in un'Unione Europea con ventitré lingue ufficiali si richiede che ogni cittadino, proprio per esercitare fino in fondo la sua libertà fondamentale di circolazione sul territorio dell'Unione, venga posto in grado - nella concretezza di una controversia giudiziaria e nell’effettività della tutela giurisdizionale - di esercitare i propri diritti superando anche la barriera linguistica. 25 L'informatica al servizio della tutela degli interessi del cittadino è pertanto un'informatica che deve anche agevolare la traduzione dei termini tecnici, dei termini giuridici sostanziali e dei termini processuali e, come ben sanno tutti coloro che si occupano di comparazione giuridica, una traduzione letterale non è necessariamente una buona traduzione giuridica perché il diritto va tradotto per concetti e non per parole17. Anche queste ultime osservazioni contribuiscono in modo particolare a porre in evidenza come la trattazione di questi temi richieda il concorso di una pluralità di saperi professionali e di prospettive scientifiche e disciplinari18. Il tema della eJustice quale componente essenziale del processo di integrazione europea e di consolidamento dell’Unione Europea e del suo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, in altre parole, si presta a dare un contributo significativo ed emblematico alla diffusa comprensione delle crescenti esigenze di una formazione europea del giurista che si ponga l’obiettivo, fra l’altro, di far acquisire il possesso di saperi professionali trasversali. 17 Cfr. in argomento R. Toniatti Il diritto tradotto e comparato, in D. Londei e M. Callari Galli (cur.), Traduire les savoirs, Peter Lang, Fribourg, 2011. 18 Per un approfondimento in materia cfr. S. Cavagnoli, Traduire le droit, 249 ss. e E. Ioriatti Ferrari, Le project Transjus: un modèle de collaboration entre juristes et linguistes, 297 ss., in D. Londei e M. Callari Galli (cur.), Traduire les savoirs, cit.; S. Cavagnoli e E. Ioriatti Ferrari (a cura di), Tradurre il diritto. Nozioni di diritto e di linguistica giuridica, Cedam, Padova, 2009; nonché, per la rilevazione circa “il fatto che l’esperienza comunitaria dia luogo ad un’elaborazione linguistica nuova, una «meta-lingua giuridica» a carattere specialistico, la cui originalità semantica è funzionale agli scopi che l’Unione persegue attraverso il diritto comunitario”, E. Ioriatti Ferrari, Linguismo euruniònico e redazione della norma comunitaria scritta. Prime riflessioni in J. Visconti (a cura di), Lingua e diritto. Livelli di analisi, Edizioni Universitarie di Lettere Economia Diritto, Milano, 2010, 284. 26 Floretta Rolleri Magistrato Gruppo di lavoro del Consiglio di Europa “e-Justice” I PROGETTI DI INFORMATIZZAZIONE DELLA GIUSTIZIA NEL CONTESTO ITALIANO ED EUROPEO: TAPPE EVOLUTIVE Sono particolarmente grata di avere la possibilità di partecipare a questo incontro, dal momento che, com'è già stato sottolineato dal collega, non mi risulta che in Italia finora ci siano state iniziative dirette a diffondere la conoscenza dello sviluppo nei Paesi europei delle pluralità di iniziative ricomprese sotto la denominazione eJustice, riguardanti cioè il “dominio” della . giustizia elettronica. Sono ancor più felice del fatto di essere presente a questo evento poiché il momento attuale rappresenta per me la conclusione di un lungo percorso. In effetti sono riuscita a vedere gli albori del progetto e vorrei condividerli in parte con voi perché è significativo il ruolo avuto dall'Italia. Negli anni ‘70 l'Italia era all'avanguardia in Europa per ciò che riguardava le banche dati documentali e la ricerca semantica. La banca dati della Corte di Cassazione, e il sistema di information retrieval Italgiure Find costituivano un unicum in Europa. La banca dati era l'unica banca dati giuridica europea che riuniva legislazione, giurisprudenza e dottrina giuridica. Il nostro comune "maestro", il magistrato professor Renato Borruso, aveva coniato uno slogan, “il dato giuridico globale”, sostenendo a ragione che non si può affrontare un fatto sotto il profilo giuridico se non si ha la compiuta conoscenza su quello specifico problema del dettato del legislatore, dell’interpretazione della giurisprudenza e dell'opinione della dottrina. Ben presto, sempre negli anni ’70, la banca dati del costituito Centro Elettronico di Documentazione (CED) della Cassazione si arricchì della banca dati, ancora molto tradizionale dal punto di vista informatico e soprattutto semantico, della legislazione 27 europea, la banca dati CELEX, sottolineando così la necessità da parte degli operatori giuridici della conoscenza del diritto europeo A posteriori si può dire che in realtà noi italiani siamo molto bravi nell’avere idee e anche iniziative estremamente rilevanti, ma spesso non siamo in grado di portare a frutto quello che abbiamo fatto . A scusante bisogna dire che molte nostre iniziative non sono sufficientemente apprezzate in quanto non sono sufficientemente conosciute e ciò anche perché la lingua italiana è una lingua quasi discriminante. Io credo che se si fosse affrontato subito il programma del plurilinguismo (o quanto meno dell’uso delle lingue “veicolari”), la banca dati del CED probabilmente avrebbe avuto una risonanza che non ha avuto, tanto più che, fin dalla fine degli anni ‘80, per facilitare l’accesso all’informazione da parte di utenti non esperti, era stata creata un’interfaccia amichevole, c.d. “easyfind”, anticipando l’evoluzione che si sarebbe avuta solo negli anni successivi da parte di altre banche dati giuridiche documentali. Però, e certo non dipende dal problema linguistico o tecnologico, il fatto che a tutt’oggi l’accesso alla banca dati della Corte di Cassazione, anche per il settore, il c.d. Archivio legislativo, sia a pagamento per i cittadini ( sono escluse solo le magistrature e gli uffici pubblici), ci pone in una situazione di inferiorità rispetto agli altri paesi europei, dove il problema è stato risolto nel senso della gratuità della consultazione on line della legislazione. Infatti la consultazione gratuita della Gazzetta Ufficiale è limitata agli ultimi tre mesi. Dal punto di vista tecnologico, invece, il sistema di information retrieval della Corte di Cassazione italiana è ancora all’avanguardia, essendosi evoluto con l’utilizzo di tutte le potenzialità del web. Tornando all’Europa, comunque, con la partecipazione attiva dei magistrati del CED, negli anni ‘80 nasce il gruppo per lo studio della documentazione giuridica. Dal momento che la lingua ufficiale delle istituzioni giudiziarie europee, in particolare della Corte di Giustizia, era il francese, a differenza di altri gruppi di lavoro, l’iniziativa ad origine fu targata come informatique juridique. Il compito era proprio quello di creare una base dati documentale, comune, europea riguardante la legislazione, e il recepimento delle direttive nonché la giurisprudenza applicativa del diritto europeo da parte dei singoli Stati. Nasce così EUR-Lex che si pone proprio quest’obiettivo con i vari settori e nasce anche la banca dati della Corte di Giustizia. A questo punto si pose come ineludibile il problema linguistico tant'è che fu creato ed è ancora a mio giudizio uno strumento valido - il thesaurus lessicale in materia giuridica Eurovoc che, peraltro, la banca dati della Corte di Cassazione ha recepito, 28 per consentire una forma di approccio con la traduzione automatica che non fosse quella che troviamo su Google. Si tratta infatti di un thesaurus specifico di termini giuridici. Un limite ovviamente deriva, a livello nazionale, dal fatto che, come sanno benissimo tutti coloro che seguono l'evoluzione normativa, il legislatore italiano persegue la brutta abitudine di non chiamare mai lo stesso istituto con lo stesso nome. Basti un esempio, la “firma elettronica”.. Quando - e anche qui noi eravamo all'avanguardia nel 1997 (D.P.R. 513) si è iniziato a parlare di firma elettronica, il primo Paese europeo a legiferare in materia è stata l'Italia. Peccato che l’affermazione legislativa è una cosa e l'applicazione pratica è un'altra, tant’è che in Italia ancor oggi la diffusione nelle pubbliche amministrazioni dell’utilizzo della firma elettronica è estremamente limitato (meglio in alcune categorie di professionisti). Abbiamo, con il D.P.R. 445/2000 recepito la direttiva europea del 1999 e distinto tra “firma elettronica” e “firma elettronica avanzata”e infine abbiamo sviluppato legislativamente, con il Codice dell’Amministrazione digitale (CAD) introdotto con D.lgs.82 del 2005 ben tre categorie di “firme elettroniche”: la firma elettronica c.d. semplice, la firma elettronica”qualificata”, la firma”digitale”, con diversi livelli di sicurezza. Non basta. Sta per esser reintrodotto, sotto la spinta del Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione, con il “nuovo CAD” il termine firma elettronica “avanzata” che però non è quella del 2000, ma una firma “qualificata” con meno protezione. A chi giova? Certo non ai cittadini ed alla diffusione del nuovo sistema. Viene il dubbio che queste fluttuazioni legislative siano legate a problematiche di mercato. E ancora è stata introdotta accanto alla “posta elettronica certificata” (la c.d. PEC) la “comunicazione elettronica certificata”(la c.d. CECPAC), per favorire il rapporto tra cittadini e la P.A. Tutti i cittadini che lo richiederanno avranno gratis una casella di posta elettronica per ricevere le comunicazioni che li riguardano dalle pubbliche amministrazioni. Nel frattempo occorrerà che tutte le P.A. centrali e locali si attrezzino per avere una casella elettronica collegata al protocollo informatico per ricevere le c comunicazioni dei cittadini. Vedremo se l’iniziativa avrà il successo che merita. A proposito di PEC, ahimè, occorre dire che finora anche gli avvocati sono restii ad utilizzare la casella di posta certificata per l’interazione con gli uffici giudiziari, malgrado che una legge dello stato renda obbligatoria la acquisizione e la comunicazione al Consiglio dell’Ordine di appartenenza della PEC, quale nuova forma di domicilio legale. Ma tant’è, esiste l’obbligo non la sanzione. Si dovrà 29 attendere un’altra legge ? Eppure i vantaggi ed in particolare le conseguenze sulla durata dei processi, se si pensa a quanti processi vengono rinviati per “omessa notifica” e quanto beneficio può venire dalla diffusione del processo telematico, sono di tutta evidenza. Non solo. La grande scommessa all’efficienza della giustizia derivante dall’uso delle nuove tecnologie rimane un obiettivo ma non ancora una realtà, mentre alcuni paesi europei (basti pensare all’Austria) sono ormai a regime. Sicuramente a livello europeo la situazione è migliore, su questo fronte, perché nella maggior parte dei paesi si punta ad una maggiore semplificazione. A mio parere eJustice si muove in questa direzione e quindi avrà un futuro positivo. Del resto e-Justice nasce proprio da questa esigenza. Nel gruppo di informatica giuridica, alla fine degli anni ‘90 , incomincia a prender corpo la consapevolezza che non si poteva affrontare solo il problema dell'accesso alla legislazione e alla giurisprudenza, con la creazione delle banche dati documentali, ma si doveva studiare come le applicazioni informatiche applicate alla giustizia, quindi la giustizia elettronica, potessero rendere migliore il rapporto con gli utenti, i cittadini e le imprese.. In questo contesto si svilupparono animate discussioni e si ebbero anche alcuni esempi virtuosi che venivano portati avanti da altri paesi. In particolare devo ricordare la Germania e l'Austria che furono molto propositive nel sostenere che ormai era inevitabile occuparsi di amministrazione della giustizia e non solo di documentazione giuridica. Nel frattempo fu anche dato l'avvio a iniziative europee che riguardavano settori particolari dell’attività giudiziaria, come il mandato europeo di pagamento. Quando il Trattato di Lisbona affermò il principio della giustizia elettronica, come motore dello spazio di legalità europeo, principio ricordato dal professor Toniatti, già serpeggiavano in Europa iniziative in questo senso. Quindi il terreno era molto fertile. Basti pensare alla rete giudiziaria europea in materia civile e penale. Non vorrei essere fraintesa: queste iniziative non sono nate come reti telematiche, ma reti di soggetti che man mano si sono valse sempre di più degli strumenti informatiche. E’ però bene ricordare, in questo contesto, la nascita di Eurojust. Come istituto, Eurojust nasce dall'esigenza di un coordinamento e uno scambio di informazioni in materia di particolari reati fra i vari stati dell'Unione europea. Come progetto informatico nasce sulla base di un progetto italiano. L'Italia, che si è aggiudicata la realizzazione del sistema per l'informatizzazione e la creazione dei collegamenti e della banca dati di Eurojust, ha seguito, nella sostanza, il modello realizzato per la 30 banca dati della Direzione Nazionale Antimafia e dei rapporti fra la DNA e le Direzioni Distrettuali Antimafia. Per chi di voi non è a conoscenza del progetto, ricordo che il sistema vede la titolarità del processo rimanere al singolo magistrato, della singola procura distrettuale, ma consente la condivisione dei dati di interesse a livello di Direzione Nazionale Antimafia, per poter verificare se ci siano altri magistrati, che procedono in ordine allo stesso fenomeno criminoso, consentendo così di mettere a fattor comune il frutto delle indagini. Questo principio, il rispetto delle competenze che la legge attribuisce ai singoli uffici giudiziari ma anche la conoscibilità delle informazioni utili per evitare duplicazione di interventi, ha portato alla creazione della banca dati di Eurojust. Ripeto che è un merito che va ascritto all’Italia, anche se spesso non viene riconosciuto. Un altro problema che nel frattempo è stato studiato e portato all’attenzione dell’Unione Europea , questa volta per iniziativa del Belgio e della Francia, è stata la necessità di mettere a fattor comune le informazioni riguardanti i casellari penali dei diversi paesi. Come è noto il casellario contiene le informazioni relative alle condanne passate in giudicato. In realtà la prospettiva italiana è più ampia, poiché la base dati, non ancora perfettamente realizzata, dovrebbe contenere anche le informazioni riguardanti i cosiddetti “carichi pendenti”, cioè le iscrizioni processuali che nascono quando un soggetto viene rinviato a giudizio. L'Italia ha partecipato a questo progetto europeo, ed ha usufruito anche dei contributi economici, con la realizzazione del sistema informatico di interscambio dei dati. E’ il caso di sottolineare, vista l’importanza della componente linguistica, lo sforzo congiunto di creare un thesaurus riguardante la materia specifica della criminalità, cosicché, ad esempio, il concetto di estorsione in Italia possa essere ritenuto equivalente alla stessa tipologia di reato in un altro Paese europeo, anche se con una denominazione diversa. Il progetto testimonia l’importanza di un lessico giuridico comune ai diversi paesi dell’Unione. Dopo il Trattato di Lisbona, dunque, accanto al termine informatique juridique incomincia a comparire il termine e-Justice. Devo dire che il Consiglio d'Europa si è fatto promotore di una forte pressione sia sul Parlamento europeo sia sulla Commissione perché quest'idea venisse codificata in risoluzioni. Si arriva così nel 2008, a un'indicazione sufficientemente precisa di che cosa si deve intendere per eJustice. Devo anche sottolineare, e mi riferisco a quanto detto dal professor Toniatti, che il concetto di e-Justice, è molto più ampio di quello di giustizia elettronica come la 31 intendiamo noi in Italia, perché comprende anche settori che non sono più o non sono mai stati settori attinenti la giustizia. Per esempio, il registro delle imprese che ormai da più di 10 anni o forse 15 non viene più tenuto dai tribunali; il registro dei falliti su cui i tribunali emettono le sentenze ma sono le Camere di Commercio a gestire i dati; il registro del catasto che non è mai appartenuto al mondo della giustizia a diversità di molti paesi europei. E ancora. Una delle grandi problematiche che nascono nel momento in cui si deve puntare a una giustizia europea è quello delle anagrafi. Noi, in realtà, non abbiamo come Amministrazione il potere di intervenire sull'anagrafe, gestita in Italia dai singoli comuni. Così si verifica l'assurdo che, come Ministero della giustizia partecipiamo a progetti europei riguardanti l'aggiornamento delle anagrafi relative agli italiani all'estero, ma non abbiamo alcuna competenza relativa all'aggiornamento delle anagrafi degli italiani in patria, che sono disseminati in oltre 8.100 comuni di cui solo una parte è informatizzata, per cui non è possibile controllare l'effettivo aggiornamento. Voi capite l’importanza di tale fatto per l’amministrazione giudiziaria, dal momento che, per esempio, il problema delle notifiche è legato a un'anagrafe efficiente. Si può imporre l’uso della posta elettronica certificata, della PEC, ma certamente se non si ha il dato certo sarà una PEC che va a vuoto come va a vuoto ora la notifica tradizionale tramite ufficiale giudiziario. Non sono una pessimista ma realista, perché di lavoro da fare ce n’è tanto e l'Unione europea ovviamente non è la panacea di tutti i mali, neanche in materia di giustizia elettronica. Un altro terreno che ci vede in difficoltà nel facilitare l’accesso del cittadino europeo alla giustizia è la mancanza in Italia di una banca dati ufficiale degli interpreti e dei traduttori. Non solo presso ciascun tribunale vi è un registro, ma ogni singolo giudice può decidere di rivolgersi, così come per i periti, anche a un interprete o a un traduttore esterno al registro. Voi capite l'importanza di tale situazione, soprattutto in una società multietnica come quella in cui viviamo sempre di più, poiché non è detto che al momento della necessità si possa avere sotto mano l'interprete che parla ad esempio urdu, una delle diciotto lingue ufficiali indiane. Anzi è pressoché impossibile. Ma a livello europeo ci sarà pur qualcuno che parla urdu, e ciò dovrebbe permettere al giudice italiano di contattare il traduttore o interprete che sta a Berlino. È un aspetto un po' particolare che si lega a quello della videoconferenza che viene vista non solo come strumento per facilitare i rapporti tra le varie autorità giudiziarie che si devono scambiare informazioni - per esempio, Eurojust usa già pesantemente 32 la videoconferenza per colloquiare con i punti di contatto nei diversi paesi- ma proprio nell'ottica della la possibilità da parte del cittadino di partecipare ad un processo a distanza. In ogni caso il Portale di e-Justice è andato avanti sempre con grande entusiasmo anche se con notevoli difficoltà per la diversità degli ordinamenti giuridici. Si è giunti così all’affermazione di un principio che è l'unico che può consentire effettivamente di portare a buon fine il progetto, quello di assicurare che i singoli Stati non venissero lesi nella loro autonomia. Quindi il portale deve basarsi non solo su una forte interconnessione tecnologica tra le varie reti esistenti nei diversi Stati, ma anche sul fatto di utilizzare standard tali da consentire lo scambio di dati e informazioni, mantenendo ciascuno la propria struttura informatica e giudiziaria. Il piano d’azione è stato approvato, la Commissione che era stata incaricata della direzione dei lavori aveva scelto una determinata società che seguisse quello che noi chiamiamo “studio di fattibilità operativo” e si era data anche un termine estremamente ambizioso: fine 2009. Disgraziatamente non è stato possibile rispettare questo termine. Il piano è stato ribadito anche nel 2010. Comunque la realizzazione del progetto è prevista nel piano d'azione 2009-2013, quindi siamo ancora nei tempi. Certo, la situazione si sta configurando in una maniera più realista perché, passato il momento dell'entusiasmo, si è incominciato a pensare che bisognava: valorizzare quelle che erano le esperienze già esistenti a livello nazionale,( e sicuramente Borsari parlerà del decreto ingiuntivo telematico); valorizzare le esperienze dell'Unione europea come il progetto dei Casellari che già costituisce una base comune; avere stretti contatti con le reti giudiziarie in materia civile e penale; potenziare la collaborazione tra i vari partner dal momento che, nel frattempo, si erano organizzati anche gruppi di lavoro sulla materia, come quello comprendente tutte le Supreme Corti europee. Si è capito che l'esperienza di Eurojust poteva essere messa a fattor comune proprio perché tutelava da un lato il decentramento e dall'altro la condivisione.. Quindi, ed era inevitabile dal momento che si è avuto l'ingresso in Europa di nuovi Paesi, ormai il principio affermato per la nascita del Portale costituisce una strada obbligata senza possibilità di ritorno, un'esigenza per i cittadini e per le imprese e noi dobbiamo assolutamente fare la nostra parte. Una cosa molto positiva in Italia in realtà è già stata realizzata: e cioè la creazione di una rete (il c.d. Sistema Pubblico di Connettività) che assicura l’interoperabilità di 33 tutte le amministrazioni centrali ed aperta anche alle amministrazioni locali, con un elevato livello di affidabilità e sicurezza Un altro aspetto importante che si è affrontato in Italia nell’ottica di e-Justice è quello e, quindi, dell’obbligo per tutte le Pubbliche Amministrazioni di dotarsi di una casella di posta elettronica certificata collegata al protocollo informatico, pubblicata sul proprio dito web per facilitare il rapporto con i cittadini. Questo può essere veramente un aspetto innovativo e foriero di efficienza per la giustizia,. Le perplessità avanzate in materia di sicurezza non costituiscono un problema diverso dalla situazione tradizionale , se pensiamo a tutta la tematica dei falsi che hanno occupato volumi sulla base di articoli del codice, ecc.; quindi, i problemi sono sempre gli stessi. È chiaro che se la criminalità organizzata affronta il suo business utilizzando i mezzi elettronici, corre l'obbligo da parte della giustizia e prima ancora delle forze dell'ordine di contrastarli. Per esempio, uno dei progetti i che è stato finanziato dall’Europa estremamente interessante , è quello che riguarda la sicura identificazione dei carcerati sulla base dei template delle impronte digitali. Questo è uno degli aspetti che sicuramente dovrebbe essere valorizzato, anche perché diventa indispensabile, tanto più in considerazione di una società multietnica in cui non sappiamo esattamente come si scrivono i nomi. Devo dire che nel periodo in cui ero alla Direzione generale dei sistemi informativi mi sono battuta che si partisse proprio dai magistrati e dai funzionari della giustizia perché il tesserino di identificazione personale ( il tesserino AT) contenesse anche il template dell'impronta digitale. La sicura identificazione di un soggetto non deve essere discriminatoria e deve essere, invece, un progresso di civiltà. Peraltro la normativa in materia è ancora bloccata perché sono intervenuti fenomeni da un lato di tipo politico, poiché si voleva attuare il sistema identificativo solo per una categoria (gli immigrati) dall'altro il problema tecnologico. Allora, perché non abbiamo ancora la carta d'identità elettronica? Perché ci sono forti contrasti più che sulla sicurezza direi sulla tecnologia, poiché la scelta comporta notevoli riflessi economici. Su questo l’Unione europea potrebbe fare chiarezza, e dovrebbe esser stimolata dai singoli Stati. E non bisogna retrocedere. Ad esempio il CAD (codice dell'amministrazione digitale) contiene un’affermazione bellissima, sancisce un diritto dei cittadini, il “Diritto all'uso delle tecnologie per i cittadini e le imprese” ( art. 3). Diritto vuol dire che può essere tutelato davanti al giudice ordinario. Un anno dopo, però, una riforma legislativa 34 precisa che ci sarà solo una tutela davanti all'organo amministrativo, quindi si fa un passo indietro, di fatto riducendo un diritto a interesse legittimo.. Quello che io credo possiamo fare per contribuire allo sviluppo di e-Justice, oltreché portare il nostro contributo perché, ripeto, siamo molto bravi quando ci poniamo come propositori sia a livello legislativo sia a livello tecnologico, è quello di recepire dall'Europa una maggiore semplificazione ed un maggior realismo. Il problema economico, come tutti sanno, oggi è il vero problema. Quello che fa risparmiare lo Stato è sicuramente un bene da perseguire, ma una giustizia efficiente è un bene superiore. A mio giudizio e-Justice si muove in questa direzione e quindi dobbiamo fare del nostro meglio per farlo diventare una realtà operativa. Grazie. 35 Giulio Borsari Esperto informatico Ministero della Giustizia Direzione Generale Sistemi Informativi Automatizzati Referente tecnico progetti europei “e-Justice” IL PROGETTO DI e-JUSTICE DELL’UNIONE EUROPEA: ASPETTI TECNICI E OPERATIVI Sono un esperto informatico del Ministero e siamo stati assunti proprio sotto la direzione della dottoressa Rolleri che è stata il nostro capo per molti anni e che ha fondato l’ufficio del Ministero che si occupa di informatica. È presente anche il collega che sovrintende tutta l'informatica di questo distretto, il collega Nuzzaci, che ringrazio e saluto. Noi siamo dislocati sul territorio e tipicamente ci occupiamo di far funzionare la giustizia anche insieme alle società esterne, in quanto non siamo numericamente sufficienti per operare autonomamente. In particolare, io mi occupo dell'informatizzazione dei progetti dell'area civile; forse qualcuno ha sentito parlare del processo civile telematico e dopo aver informatizzato i registri abbiamo colto la sfida di collegare gli utenti esterni con gli utenti interni attraverso la telematizzazione, cominciando con la consultazione dei dati (che già si fa attraverso il sistema chiamato “PolisWeb”), ma anche di iniziare a depositare telematicamente gli atti in formato elettronico e ricevere le comunicazioni telematiche direttamente alla casella di posta elettronica certificata. Questo lo dico non tanto per fare pubblicità a me o al Ministero ma perché, come accennava prima la dottoressa Rolleri, queste iniziative ci collocano all'avanguardia a livello europeo; abbiamo infatti dovuto recepire tutte le questioni tecnologiche sottese, mi riferisco alla firma digitale, alla cifratura degli atti, alla strutturazione in formato .xml per quanto riguarda il formato dei dati, alla smart card con cui ci sia autentica, quindi un’autenticazione di tipo forte, tutte fattispecie che sono abbastanza complesse, articolate e sofisticate che qui in Italia, come ama dire la dottoressa, sono ipergarantiste, mentre in Europa sono molto più easy nel senso che 37 si accontentano di una normale e-mail piuttosto che di un sito Web dove uno entra utilizzando una password e deposita l'atto. Qui in Italia non si può praticare, nel senso che se l'atto non è firmato digitalmente, l'autenticità e l'integrità non è garantita, se non c'è la smart card con l'autenticazione, si ritiene che la sicurezza e la riservatezza non siano garantite. Insomma, siamo un po' esagerati, lo dico sia in riferimento ai magistrati sia agli avvocati, tuttavia, perlomeno, portiamo a livello europeo una grande esperienza che ci viene riconosciuta da anni con molto interesse da parte delle istituzioni centrali. Un altro aspetto che tratterò nella mia relazione è quello del trasporto. Noi adottiamo un sistema di posta elettronica certificata che è unico in Europa. Anche questo è forse un po' esagerato, tuttavia è stato l'antesignano di quello che ora è lo standard europeo, denominato REM (Registered E-Mail), che sarà adottato dai vari Stati membri con cui abbiamo a che fare nei progetti a cui partecipiamo e che accennerò. Forse proprio perché siamo così ipergarantisti siamo sempre stati un passo avanti. Accenno brevemente al fatto che esiste un working party, un gruppo di lavoro in seno al Consigliodell’Unione Europea, dove tutti i 27 Stati membri si riuniscono con il Segretariato del Consiglio; inizialmente si chiamava informatique juridique ma da qualche anno si occupa anche di e-Justice. Abbiamo approvato nel novembre 2008 l’action plan che è un po' la nostra bibbia: è stato fatto durante il semestre di presidenza francese, che ci ha tenuto molto soprattutto all'orientamento nei confronti dei cittadini. Per quanto riguarda l'Italia, devo dire che è una novità: noi nell'informatizzazione siamo sempre stati concentrati sui professionisti, sugli addetti ai lavori, invece a livello europeo c'è molta più attenzione verso i cittadini, attenzione che ovviamente stiamo percependo iniziando a recepire anche noi in Italia. Dopodiché la parte esecutiva la cura la Commissione, e noi come Stati membri abbiamo costituito un tavolo di esperti dove seguiamo i lavori più tecnici; in particolare, proprio sulla realizzazione del portale inteso come software e anche hardware per la realizzazione fisica non ci sono necessariamente esperti informatici, ma anche esperti giuridici, di semantica, di linguistica, ecc. Esiste una prima versione del portale, che non è ancora pronta perché è in ritardo, dove sostanzialmente c'è una serie di informazioni su varie questioni (legislazione, difensori, informazioni sui procedimenti civili, trasparenza dei costi, ecc.). Tra l'altro esiste già qualcosa che è stato rivisto, le procedure che sono già figlie di direttive europee come gli small claims, l'ordine di pagamento europeo, traduttori e interpreti, il registro delle insolvenze, ecc., però trattasi per la maggior parte di 38 informazioni statiche o link a sistemi esistenti come i land registers, quindi i catasti, i commercial registers (ossia i registri delle imprese), ecc. Anche per la videoconferenza non esiste un sistema, bensì una serie di informazioni: al riguardo è stato creato un booklet, una sorta di piccolo manuale o di vademecum. Come ha detto la dottoressa, non tutte le materie sono gestite dai ministeri nei singoli stati membri: io ne ho già segnalate due; è una questione non soltanto italiana perché esiste una varietà di situazioni in tutti gli Stati membri. La realizzazione del portale, di cui si occupa la Commissione con il contributo di questi Stati membri e di questi esperti tecnici anche con un sottogruppo ulteriore di tester e di valutatori, è stato affidato al general contractor della Commissione, guidato da Unisys Belgio. Ogni Stato dell’Unione ha dovuto lavorare molto nell’estate del 2009 per fornire i contenuti del portale nella propria lingua; le pagine sono poi state tutte tradotte nelle altre 22 lingue comunitarie. Nonostante questo, il fornitore del software non ha rilasciato il sistema entro i termini previsti (dicembre 2009). Consoliamoci, quindi: noi italiani ci lamentiamo che non riusciamo a portare avanti i progetti e a non rispettare i tempi, ma questo accade anche a livello comunitario. Si è deciso di procedere con una linea di sviluppo alternativo, affidato ad un'altra azienda dello stesso raggruppamento temporaneo di imprese, chiamata Bibliomatica, spagnola, ma nonostante questo non riescono ancora a fissare una data di rilascio; si parlava di luglio ma a questo punto anche a livello politico se ne dovrà parlare. Devo dire che noi siamo stati anche abbastanza duri a dire che questa situazione è spiacevole, però conosciamo bene e abbiamo a che fare con le persone della Commissione, e non è colpa loro se il progetto è stato gestito piuttosto male da parte del fornitore. Quello che mi interessava dirvi è che questo portale, in questa prima versione, come detto non ultimata, è un sito informativo di contenuti statici e di link a sistemi e siti esistenti, quindi è abbastanza normale semplice e statico; invece quello su cui si vuole fare è andare oltre ad un sito informativo e di link, puntando ad un portale che consenta di fae parlare le applicazioni. Le applicazioni sono necessariamente decentrate: ogni Stato membro ha le sue, quindi l'obiettivo è che un utente di un altro Stato membro possa utilizzare le applicazioni di un altro Paese. Lo scenario è dunque il seguente: uno Stato membro con il suo utente o la sua applicazione vuole utilizzare un'applicazione o un servizio di un altro Stato membro. Questo come dovrebbe funzionare? Innanzitutto il portale dovrebbe contenere una breve directory, quindi un indice, un elenco di link, di istruzioni, di requisiti, di modelli, di template; dipende dall'applicazione perché si può passare da un'applicazione 39 semplice come la consultazione di un registro a una cosa molto più complessa come un deposito di un ricorso per decreto ingiuntivo presso un altro Stato membro, oppure un ordine di pagamento europeo. L'utente dello Stato membro si fa autenticare dal suo portale nazionale che ha la responsabilità di dire che lui è quel soggetto e gli attribuisce il relativo ruolo; per collegarsi all'applicazione dell'altro Stato membro i due portali parlano tra di loro e ovviamente il portale dello Stato membro dove c'è l'applicazione si fida dell'autenticazione che ha fatto il portale nazionale dell'altro Stato membro (è quello che in inglese si chiama trust, fiducia). Quindi, il portale italiano darà fiducia al portale di tutti gli altri Stati membri, cioè non si deve preoccupare di autenticare il singolo utente perché si deve fidare non soltanto dell'identificazione ma anche del ruolo che gli viene attribuito. Se ad esempio per una determinata applicazione mi serve sapere se l’utente è un avvocato, perché io consento l’accesso unicamente all’l'avvocato, in quel caso mi devo fidare anche del fatto che c'è un'attribuzione di ruolo (avvocato) per quell'utente specifico che vuole accedere. Facciamo un esempio concreto. Un ordine di pagamento di un utente tedesco verso un foro italiano: l'utente sa che deve avere a che fare con il sistema italiano e per farlo va sul portale dell'Unione, vede quali sono i requisiti, legge le istruzioni, eventualmente scarica i modelli e compila il suo atto. Dai requisiti del portale europeo rispetto al sistema italiano sa che deve apporre la firma digitale, deve cifrare l’atto, perché magari deve conoscerlo soltanto il tribunale adito, e deve utilizzare la posta elettronica certificata. Una volta che ha fatto questo, è autonomo a procedere, si fa autenticare e identificare dal portale tedesco che veicola il suo atto attribuendo l'ID univoco del soggetto e il suo ruolo, perché in questo caso l'applicazione richiede che sia un avvocato abilitato a inviare. A questo punto il sistema italiano si fida dell'identificazione, lo autorizza a entrare, elabora la sua busta e alla fine gli manda l'esito finale del deposito telematico. Questo è a regime una tipica applicazione di trasmissione dati che peraltro noi in Italia abbiamo già realizzato ed è già operativa, ovvero il cosiddetto “processo telematico”, che consente già ad alcuni uffici il deposito telematico degli atti di parte, in particolare il ricorso per decreto ingiuntivo. Un altro esempio, ancora più semplice, è quello dell'utente italiano che accede in consultazione ad un registro in Austria. L'utente italiano sa che deve andare a consultare il registro austriaco, chiede informazioni su come deve fare al portale europeo, dopodiché si fa autenticare dal portale italiano, se è necessario, perché se trattasi di un accesso pubblico non ne ha bisogno (anche qui l’autenticazione dipende dal tipo di applicazione). Nell'accesso al registro austriaco il sistema veicola 40 in maniera completamente automatica l’identificativo univoco e a questo punto è possibile fare la consultazione del registro. Per riepilogare, vedete che ci sono dei profili tecnici fondamentali da risolvere: l’identificazione che non è semplice ma che comunque viene lasciata ad ogni singolo Stato membro, secondo il principio che ognuno si fida dell'altro; l’autorizzazione, che è basata su ruoli e diritti; la firma digitale, di cui esiste una direttiva europea che conoscete meglio di me, ma, per esempio, in questo momento le firme digitali non sono interoperabili. Esistono delle realizzazioni fatte da altri, ad esempio i notai hanno organizzato un sistema dove chiedono al singolo Stato membro di dare la certificazione della firma digitale perché ogni Stato membro si comporta in modo diverso, quindi devono fare in modo che questo sistema sappia come si comporta ogni singolo Stato membro. Per l'Italia c'è il discorso della certification authority accreditata e solo quella può dire che quel certificato è valido, ma non è così in ogni singolo Stato membro. Questa è l'interoperabilità, un problema molto importante su cui ci si confronterà nei prossimi tempi. Un altro è il problema del trasporto; ho già citato lo standard REM (Registered EMail). Devo dire in tutta onestà che questa REM è abbastanza sconosciuta a livello europeo anche dai signori della Commissione con cui abbiamo a che fare, perché esistono degli altri progetti trasversali fatti dalla Direzione generale che si occupa dell'informatica nella Commissione, la quale però ha adottato degli altri sistemi per la trasmissione di documenti, tutti validi comunque. Quello della REM è un sistema asincrono, come le mail, non ha bisogno di punti di accesso, di essere autenticato e mi è stato detto proprio dal CNIPA, dall'ingegner Giovanni Manca che è stato il nostro guru sulla sicurezza, che l’80% della PEC, la posta elettronica certificata italiana, è già aderente alla REM. La REM è uno standard ETSI (European Telecommunications Standards Institute). C'è poi il problema dei formati e della semantica. Il problema dei formati è un problema tecnico quindi si risolve; la semantica è molto più complessa e qui il gruppo di lavoro ha a che fare con SEMIC.EU, un'entità a livello europeo che si occupa proprio di semantica. C’è anche un problema di pagamenti telematici perché, magari, lo stesso servizio in alcuni Stati membri è gratis mentre in un altro Stato membro si deve pagare. Vi sono comunque degli ambiti dove esperienze nazionali hanno dimostrato l’impraticabilità di telematizzare. I rappresentanti del Regno Unito ci fecero vedere il loro sistema di mediazione, e fu interessante scoprire che per loro funzionava la 41 mediazione telefonica, nel senso che c'è un help desk con una quarantina di mediatori che riuscivano a risolvere queste dispute telefonicamente. A noi sembra impossibile, comunque stiamo cominciando a recepire questo sistema. Hanno provato on-line ma non ha avuto successo. Riguardo alla sicurezza, c’è da considerare che tutti i portali nazionali e internazionali hanno il problema degli attacchi, soprattutto quelli che si chiamano DOS (Denial Of Service), cioè lo attacco ripetutamente in modo tale che vada in sovraccarico e non riesca più a fornire accesso: sono importanti e sono da scongiurare. Le tecnologie aiutano, ma c'è un salto di qualità nell'approccio alla sicurezza che va fatto. Devo dire che il CNIPA (ora DigitPA) l'ha fatto fin dalla sua impostazione con SPC, quindi tutti i portali, soprattutto quelli recenti, vengono sottoposti a test di vulnerabilità molto sofisticati con metodologie note, standard e credo assolutamente che queste vadano adottate anche a livello europeo. In seno all'Unione europea farò mia questa esperienza in materia di sicurezza, perché in effetti non è stato così tanto affrontato. Per ora è ritenuto essere un argomento di carattere molto tecnico, ma è meglio non darlo troppo per scontato perché, in effetti, uno che viola questi sistemi riesce potrebbe essere in grado di impersonificare altri soggetti. Ritengo peraltro che questo ipergarantismo che noi in Italia abbiamo perseguito fin dall'inizio e ci ha fatto ritardare la diffusione di sistemi (perché bisogna dotarsi di smart card che però poi scade, così come la firma digitale, ecc.), sia la strada giusta per determinati ambiti dove c'è bisogno di identificare chiaramente una persona, dove in sostanza c'è bisogno di riconoscerla con certezza. Sono tutti discorsi che iniziano ad essere considerati a livello europeo e forse su questo terreno siamo quelli che più hanno sperimentato. Con il processo telematico, per ora sulla giustizia civile ma che verranno estesi alla giustizia penale, già pretendiamo che gli avvocati utilizzino la smart card per l'autenticazione forte prima di entrare a consultare i registri civili e ricordiamoci che su questi registri ci sono sicuramente informazioni meno delicate rispetto ai registri penali, per quanto alcune siano comunque delicate (ad esempio se uno riesce a capire nella fase prefallimentare che quel debitore sta fallendo evidentemente può essere attaccato dagli “avvoltoi”, quindi è un'informazione delicatissima, quasi penale, se vogliamo chiamarla così). In sostanza, esistono dei profili di riservatezza elevati anche lì. Noi abbiamo sempre voluto e preteso che ci fosse un‘autenticazione forte e credo che questa scelta abbia pagato: ha retto perché in Italia sono circa 30.000 gli avvocati che in giro per tutti i tribunali consultano i registri civili, sono 14.000 quelli che sono 42 dotati di indirizzi elettronici a cui noi mandiamo le comunicazioni telematiche e non abbiamo avuto problemi di quel tipo. Siamo lenti nella diffusione però perlomeno quest'ipergarantismo ha pagato dal punto di vista della sicurezza che sicuramente è un tema presidiato in Italia attentamente anche grazie a queste strutture nazionali. Noi stiamo costruendo il portale dei servizi telematici italiano, quello che consentirà a tutti cittadini di accedere alla giustizia in Italia, agli avvocati che non si dotano di un punto d'accesso e quant'altro; stiamo creando un portale delle vendite dove verrà reso disponibile un motore di ricerca sugli avvisi di vendita dei beni all'asta; lavoreremo infine per le aste on-line. Tutte queste nuove iniziative, tra l'altro già normate, sono comunque soggette a dei pericoli di sicurezza sempre maggiori. Tornando a livello europeo, dove si sta andando visto che supponiamo che a settembre-ottobre arriverà questa prima versione statica del portale ? La Commissione ha bandito, nell'ambito del programma CIP ICT PSP, un bando relativo all'informatica, un pilota di tipo A, che significa che si costruisce sulle iniziative degli Stati membri, “building on initiatives in member States”, quindi si lavora su cose già esistenti, non si inventa niente. La scadenza è il 1 giugno e ci saranno 36 mesi per realizzarlo, per questo si parlava del 2013. Gli obiettivi quali sono? Innanzitutto la piena aderenza all'action plan dell’e-Justice; l’interoperabilità tra i sistemi nazionali esistenti; affrontare e risolvere le tematiche trasversali (reti sicure, identificazioni, firma digitale, trasporto); adottare specifiche comuni assicurandole alle caratteristiche tipiche dei sistemi informatici, quali modularità, flessibilità, replicabilità, scalabilità, usabilità e affidabilità; soprattutto usabilità visto che deve servire anche il cittadino; deve inoltre confrontarsi con altri progetti pilota, appunto perché non si deve reinventare nulla. Noi stiamo partecipando a un consorzio guidato dalla Germania, stiamo preparando ora la proposta e ci sono parecchi Stati membri; il bando prevede almeno sei Ministeri di Stati membri e noi abbiamo già raggiunto il numero. Per ora è l'unico consorzio, quindi probabilmente lo vinceremo noi; il budget è di 7 milioni di euro cofinanziato, quindi vuol dire che è di 14 milioni di cui la Commissione ne finanzia 7. Ci cimenteremo con un consorzio italiano fatto di identità pubbliche e private. È importante il collegamento con altri pilota, cioè altre iniziative analoghe non sull’eJustice ma in generale che già trattano e magari risolvono problematiche tecniche: PEPPOL, ad esempio, parla di e-signature e di trasporto con un sistema, il BUSDOX, diverso dalla REM; SPOCS parla di trasmissioni, di scambi sicuri e certificati; STORK parla di autenticazione ma senza ruoli, trasmissioni elettroniche e e-delivery. La Commissione ha bisogno di fare ordine perché vedete che ci sono già molte 43 sovrapposizioni tra questi che sono pilota in corso, quindi con grossi consorzi che se ne occupano; manca il discorso REM e pertanto dobbiamo cercare di fare parecchio ordine; questa è la sfida del pilota A, di questo consorzio che si sta sviluppando dove noi siamo una parte piuttosto importante e ci stiamo proponendo con un ruolo molto attivo proprio perché crediamo nel know-how che abbiamo maturato in seno alle nostre applicazioni e che ci è già riconosciuto. In generale i progetti sono realizzati dagli Stati membri con le loro aziende, ma sono comunque portati avanti sotto l’egida della Commissione che ha la sua direzione generale dell'informatica ed è questa direzione che si occupa di questi temi trasversali, tecnologici e che, quindi, ci invita anche come giustizia a considerare questi progetti pilota. Pilota significa che uno realizza qualcosa e deve farla funzionare. L'e-procurement - lo banalizzo perché non sono un giurista - riguarda gare, aste, appalti pubblici on-line e cross border; sicuramente toccano in maniera forte la sicurezza, le reti, le connessioni sicure, ecc., quindi sono aspetti presidiati dalla Commissione e da questi organi che comunque stanno affrontando praticamente questi problemi. Non esiste un centro come il CNIPA in Europa, però sostanzialmente sono loro. Questo è il sito del processo telematico (www.processotelematico.giustizia.it) e l'email a cui potete scrivere per chiedere informazioni ([email protected]), in realtà più sul processo telematico italiano, perché in effetti non esiste un portale italiano di e-Justice a livello europeo; esisterà quello europeo in cui ci sarà la lingua italiana che spiegherà le cose. Se avete bisogno, questi sono i nostri riferimenti. Grazie. 44 Andrea Di Nicola Ricercatore in Criminologia Facoltà di Giurisprudenza Università degli Studi di Trento GIUSTIZIA ELETTRONICA E PORTALE DELLA GIUSTIZIA ELETTRONICA NELL’UNIONE EUROPEA. UN’ANALISI CRIMINOLOGICA Quando il professor Toniatti mi ha chiesto di partecipare a questo seminario come relatore, mi sono subito domandato: in che termini alla criminologia possono interessare la giustizia elettronica e il portale della giustizia elettronica nell’Unione europea? Cosa c’entra la criminologia con l’e-giustizia? In altre parole: cosa ci fa qui oggi un criminologo? Vorrei provare a rispondere a questi interrogativi. Premessa. Criminologia e scienza dell’informazione Ai nostri giorni la criminologia, come ogni disciplina scientifica, entra inevitabilmente in contatto con la scienza dell'informazione e della comunicazione. Partiamo da due esempi. Primo. Le società e le nostre città stanno diventando sempre più “smart”, raccolgono informazioni su tutto e noi ne siamo quasi all’oscuro. Ai fini criminologici questa grandissima mole di informazioni può diventare rilevante per prevenire la criminalità e per allocare risorse di polizia. Si possono studiare, cioè, risposte criminologiche basate sull’analisi del patrimonio informativo che i tecnici riescono a recuperare dalle città, dai nostri movimenti, dalle notizie sui trasporti urbani, dai parcheggi, dai dati sui luoghi in cui avviene la criminalità. 45 Secondo. Molti di noi lasciano post in Internet; molti di noi online parlano di insicurezza: “Mi sento insicuro”, “La nostra sta diventando una città sempre più insicura”, “Ho paura ad andare in giro la notte”. Queste notizie disparate, che pure esistono, si perdono nella rete, non sono utilizzate; potrebbero invece essere classificate, organizzate e comprese per indirizzare decisioni in ambito di sicurezza. Già questi due esempi permettono di intuire come mai la criminologia, per natura interdisciplinare, è interessata all’incontro con l'ICT e mi danno la possibilità di avvicinarmi all’oggetto di questo intervento, ovvero al portale della giustizia elettronica e alla e-giustizia nell’Unione europea. La definizione di criminologia e gli obiettivi di questa relazione Di cosa si occupa la criminologia? Studia la devianza e la criminalità, le vittime o gli autori di devianza e di criminalità, ma anche la risposta sociale ai comportamenti devianti e criminali. Il portale della giustizia europea e in generale la e-giustizia rappresentano anche una nuova risposta sociale, politica, normativa a forme di devianza e in questo breve intervento vorrei riuscire a dimostrarlo. Proprio partendo dagli elementi costitutivi della definizione di criminologia vorrei organizzare, quindi, il mio discorso, che seguirà questo ordine: - giustizia elettronica e autori (imputati) e vittime di reati; - giustizia elettronica e risposta penale ed extrapenale; - giustizia elettronica e devianza e criminalità (per ragioni di logicità espositiva tratterò questo elemento al termine). Prima di entrare nel vivo, è necessario però ricapitolare: cosa è la e-giustizia e cosa prevede il portale della e-giustizia che può essere di interesse per uno studio criminologico? La giustizia elettronica nell’Unione europea: lo stato dell’arte L' e-giustizia può essere definita come il ricorso alle tecnologie informatiche e di comunicazione per migliorare l’accesso dei cittadini alla giustizia e l’efficacia dell’azione giudiziaria intesa come attività di ogni genere per risolvere una controversia o sanzionare penalmente un comportamento. Il portale della egiustizia dell’Unione europea prevede: 46 • informazioni sul processo per le vittime di atti criminali, sul processo penale, sui diritti degli imputati, su sistemi di giustizia civile e commerciale dei vari Paesi membri; • accesso semplificato ad ogni tipo di informazione di giustizia, accesso a documentazione legale; • atlanti (penale e civile) per riuscire a semplificare e velocizzare l'azione giudiziaria e di polizia, direttive, aiuti online per ricercare contatti; • pagamenti online delle spese processuali; • accesso ai casellari giudiziari e facilitazione nel recuperare i relativi dati; • European Business Register (EBR); • EU Land Information Service (EULIS); • registro dei marchi (OHMI); • registro dei brevetti (Epoline); • motore di ricerca per la ricerca delle insolvenze; • Solvit, rete online per risolvere dispute che sorgono quando pubbliche amministrazioni di Stati membri non applicano correttamente le regole del mercato unico europeo. Se uno Stato non si comporta come dovrebbe con un cittadino europeo di un altro Stato, quest’ultimo può rivolgersi a questa mediazione online. La mediazione, che di solito prende forma dal vivo e tra persone fisiche (imputato-vittima), qui viene spostata su un altro piano, online, e riguarda il rapporto tra uno Stato e una persona; • alternative dispute resolution, modalità di mediazione e risoluzione alternativa dei conflitti online (in ambito civile); • servizi di traduzione giuridica. A questo il piano d'azione per la giustizia elettronica dell’Unione europea aggiunge obiettivi ambiziosi: • continuare l'interconnessione dei casellari giudiziari; • creare una rete di scambi sicuri per condividere informazione tra gli uffici giudiziari degli Stati membri; • facilitare l'utilizzo della videoconferenza. La giustizia elettronica dell’Unione europea non riguarderà solo repositories, insieme di dati e informazioni già esistenti, ma anche l'interconnessione e lo scambio di informazioni tra magistrature, forze di polizia. Quindi, scambi sicuri per condividere informazioni e facilitare la cooperazione di polizia giudiziaria. L'interconnessione fra i casellari giudiziari dovrebbe semplificare l'azione della magistratura; l'utilizzo della videoconferenza, soprattutto nei processi di 47 criminalità organizzata transnazionale, dovrebbe permettere di ottenere risultati rilevanti. Ora, come anticipavo nell’introduzione, si seguirà questo ordine: • giustizia elettronica e autori (imputati) e vittime di reati; • giustizia elettronica e risposta penale ed extrapenale; • giustizia elettronica e devianza e criminalità. Giustizia elettronica: autori (imputati) e vittime Cosa significa la giustizia elettronica per gli imputati? In estrema sintesi, un esercizio più pieno del loro diritto di difesa in un contesto allargato come quello dell'Unione europea, in cui anche solo conoscere le discipline normative dei molti Stati membri è complicato: più informazioni di qualità su sistemi normativi differenti, più velocità di accesso alle informazioni. Si stanno anche studiando soluzioni per l'"online procedure for obtaining legal aid". è palese, quindi, che la egiustizia offra nuove opportunità di difesa. Un imputato in un processo transnazionale in uno Stato che non è il suo, tramite il suo avvocato, avrà accesso a notizie che sono di difficile consultazione, difficile ottenimento. Anche leggendo il bando di appalto europeo che si è concluso da poco in merito ai legal aid, si nota come l’online permetterà di agevolare gli imputati in processi transnazionali: da chi posso ricevere consulenza legale in un altro Stato? Come posso avere accesso alla difesa d'ufficio in uno Paese membro diverso dal mio? Sono tutti temi che riguardano la gestione della giustizia e il diritto di difesa. E per le vittime, cosa significa giustizia elettronica? Per decenni la vittima è stata poco considerata in tutti i procedimenti penali in molti Stati dell'Unione europea. Si è cominciato a intuire che le vittime sono importanti sul finire degli anni '70 quando anche i criminologi e il diritto penale hanno iniziato a occuparsi dello studio della vittima, della vittimologia. Così si è compreso che la vittima può fornire informazioni preziose sulla criminalità, ma anche che la vittima è una persona che subisce un forte danno non solo come conseguenza del reato ma anche del processo, se tramite questo non si sente “restituire” qualcosa. Se dare soddisfazione alla vittima è complicato in un giudizio che interessa un solo Stato, lo è certamente ancora di più in procedimenti penali che interessano più Paesi. Quando le regole del giudizio che coinvolgono una vittima come parte offesa sono regole di un altro Stato dell'Unione europea, la vittima può sentirsi 48 frastornata. Ecco che quindi spiegare, offrire notizie accessibili, rendere partecipi le persone offese è importante in un'ottica di giustizia europea. Va poi aggiunto che si stanno sperimentando forme di mediazione dei conflitti online, che potrebbero essere integrate in futuro nel portale. Si provi a pensare alla mediazione nel caso di SOLVIT, anche se non si tratta di conflitti penali. è probabile che per alcuni casi minori di conflitti penali si possa arrivare a forme di giustizia online da inserire nel portale. Esiste già una letteratura su come la mediazione tra vittima e autore si può trasferire in un ambiente virtuale: si discute, seppure in modo embrionale, sulla possibilità di un processo penale online. Una mediazione online per piccoli reati, quando il conflitto nasce tra cittadini di Stati diversi, potrebbe forse essere praticabile. Giustizia elettronica: risposte alla criminalità La criminologia si occupa della risposta alla criminalità. Nell’ambito della giustizia elettronica e del portale della e-giustizia si possono trovare molte risposte alla criminalità, sia dirette, interventi di diritto penale, sia indirette, interventi extrapenali. Rimanendo in ambito penale, gli interventi previsti, ad una prima valutazione, vanno tutti nella direzione di rendere più efficiente il contrasto dei fenomeni di criminalità transnazionale. È priorità dell'Unione accrescere l’efficacia della cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri nella lotta a forme gravi di criminalità organizzata internazionale, quali traffico di stupefacenti, reti di immigrazione clandestina, traffico di veicoli rubati, tratta di esseri umani, compresa la pornografia infantile, contraffazione di denaro e altri mezzi di pagamento, traffico di sostanze radioattive e nucleari, terrorismo, frode. D'altro canto i criminali transnazionali si avvantaggiano delle asimmetrie tra legislazioni, della difficoltà e lentezza di collaborazione tra autorità giudiziarie e di polizia e si possono muovere veloci, non limitati da barriere nazionali e agevolati dalle opportunità offerte da una società sempre più globalizzata. Se un investigatore o un magistrato possono capire rapidamente quali sono le controparti a cui rivolgersi in un altro Stato, se posso trasferire documenti velocemente con un click, se, in estrema sintesi, la cooperazione di giustizia e il processo sono resi più rapidi dalle reti informatiche, è indiscutibile che per tutti i cittadini europei ne derivi un beneficio in termini di risposta penale. 49 Si rifletta poi su come il procedimento penale può essere supportato dalla videoconferenza. Nei processi di criminalità organizzata in molti Stati europei si adotta questo strumento per proteggere un testimone o un collaboratore di giustizia. Così in un processo contro gruppi criminali transnazionali che vede la partecipazione di un collaboratore o un testimone di un'altro Stato membro rispetto a quello degli imputati, la videoconferenza può garantire l'incolumità del collaboratore o del testimone riducendo al contempo le spese connesse all’amministrazione della giustizia. Nell’ambito delle previsioni dell’Unione in materia di giustizia elettronica si ritrovano poi molti altri spunti che un criminologo può leggere in ottica di prevenzione della criminalità, sempre di carattere non penale. Partiamo dall’interconnessione telematica tra registri penali nazionali nell’Unione europea. Può diventare un forte mezzo di prevenzione della criminalità. La criminalità, infatti, può essere impedita anche intervenendo sui contesti fisici, virtuali, normativi che influenzano le occasioni di reato, dall'illuminazione che manca in una piazza a una norma troppo burocratica che può favorire comportamenti devianti perché difficile da seguire. Pensiamo ad un criminale organizzato italiano condannato per corruzione e associazione a delinquere di stampo mafioso, amministratore di un’azienda, capitalizzata da questa persona con denaro sporco, che vuole partecipare ad un appalto pubblico in Belgio. è possibile che a questa persona a Bruxelles venga richiesto di autocertificare il fatto di non essere né un mafioso, né un corrotto perché da quello Stato non si può guardare nel casellario giudiziario italiano. Anche se nella banca dati italiana risultasse una condanna di questa persona a 15 anni di reclusione, un autorità appaltante straniera, di un altro Paese dell’Unione, potrebbe non riuscire a valutare il background criminale del cittadino europeo in questione. Se un frodatore seriale usa aziende decotte, non fallite ma insolventi o sull’orlo del fallimento, per frodare controparti in altri Stati dell’Unione attraverso quelle aziende, e per motivi tecnici è complicato consultare dall’estero il registro nazionale di quelle imprese e controllare se quelle aziende con cui si entra in rapporti commerciali sono insolventi e/o hanno problemi seri, le attività di quel frodatore sono sicuramente facilitate. L’occasione criminale è fornita dal fatto che i registri di cui si discute non sono ben interconnessi tra Stati. Quindi interconnessione e rapidità di acceso ai registri dei beni immobiliari, delle imprese, dei fallimenti, del casellario giudiziario sono metodi per rendere meno 50 vulnerabili i mercati europei ad alcune forme di criminalità organizzata o comunque di criminalità economica o, più in generale, ai rischi di insolvenza. È ovvio che non bastano gli strumenti informatici, ma che servono pure regole comuni. Se, così, le regole di accesso al casellario giudiziario di Stati differenti sono diverse, le asimmetrie che ne deriveranno potranno essere deleterie dal punto di vista della circolazione delle informazioni utili. Nel 2000, assieme ad altri colleghi, ci occupammo di uno studio il cui obiettivo era valutare l’utilità di un registro penale comune nell’Unione europea: lo studio si intitolava “L'uso dei criminal records quindi dei registri penali - come mezzo per prevenire la criminalità organizzata”. Ormai sono trascorsi circa 10 anni e oggi si sta andando ad aggiungere anche la variabile telematica. Criminalità e devianza nel mondo della giustizia elettronica: scenari possibili A fronte di tutti i benefici appena esposti (razionalizzazione della giustizia, accesso più efficace ed efficiente alla giustizia, maggiore efficienza della risposta penale, maggior attenzione alle vittime e agli imputati, maggiore capacità preventiva nel mercato unico europeo), non ci sono costi? Ogni uso delle tecnologie o in genere ogni innovazione porta con sé anche rischi criminali. Quali sono, quindi, i possibili rischi criminali delle operazioni che stiamo esaminando? Nei documenti europei non c'è molta attenzione a questo aspetto, che pure non dovrebbe essere considerato come marginale. Siamo sostanzialmente di fronte a ipotesi di cybercrime. Vediamo alcuni possibili scenari. Scenario 1. Defacement del portale della e-giustizia. Un gruppo di attivisti politici per protestare contro la decisione di centralizzare i vari casellari giudiziari nel portale e-Justice effettua il defacement del sito stesso. Inoltre, ne causa la paralisi con ripetuti attacchi portando al DoS - Denial of Service. Si tratta di danno reputazionale e di immagine di dimensioni molto rilevanti per l'Unione europea. Scenario 2. Accesso abusivo a sistema informatico, a seguito di furto di identità, per ottenere dati sensibili. Dopo aver rubato l'identità telematica di un soggetto che può accedere legalmente alle reti informative relative ai casellari giudiziari o allo scambio di informazioni sicure tra polizie e magistrature, un criminale informatico carpisce illegalmente/ruba informazioni riservate contenute nel casellario 51 giudiziario, in fascicoli giudiziari o in atti processuali. Scenario 3. Furto di identità per ottenere dati sensibili, attraverso attacco informatico. Bucando la rete informatica relativa ai casellari giudiziari o allo scambio telematico di informazioni sicure tra polizie e magistrature, un cracker carpisce illegalmente/ruba informazioni riservate contenute nel casellario giudiziario, in fascicoli giudiziari o in atti processuali. Scenario 4. Cyber-estorsione. Un criminale informatico, dopo aver sottratto illegalmente notizie sul passato criminale di una persona oppure informazioni contenute in fascicoli giudiziari che, secondo il diritto dello Stato in questione, dovrebbero essere assolutamente riservate, ricatta online la persona in questione, minacciando di divulgarle se non riceverà un compenso non dovuto. Scenario 5. Frode informatica. Un pirata informatico, conoscendo la possibilità di effettuare il pagamento delle spese processuali sul sito e-Justice, si intromette nel sistema, modifica i dati bancari di uno o più beneficiari trasferendo così i pagamenti di dispute legali su un conto cifrato in un paradiso fiscale a lui riconducibile. Come si intuisce, si tratta di casi di scuola, ma non del tutto improbabili. Questi rischi criminali, come altri, sono però sicuramente mitigabili con gli standard vigenti di sicurezza informatica. Quanto esposto non vuol dire, dunque, che non si debba proseguire in maniera determinata verso la giustizia elettronica. Significa soltanto che a fronte di molti benefici esistono anche dei rischi che vanno tenuti in debita considerazione e tanto più devono essere considerati quanto più numerosi sono gli attori di questa rete che può diventare tutta vulnerabile se è debole anche uno solo dei sui anelli. Spero che questi cenni siano serviti a chiarire il perché la criminologia dovrebbe essere interessata alla e-giustizia e al portale della giustizia elettronica. Grazie per la vostra attenzione. 52 Elena Ioriatti Ferrari Ricercatrice in Diritto Privato Comparato Responsabile del Programma TransJus (traduzione e comparazione giuridica) Facoltà di Giurisprudenza Università degli Studi di Trento LA TRADUZIONE GIURIDICA NEL PROGETTO SULLA GIUSTIZIA ELETTRONICA Come è noto la traduzione è un procedimento con il quale un termine viene trasposto da un testo fonte a un testo di arrivo1. Questo procedimento implica la verifica di due diversi contesti; il contesto relativo alla lingua di partenza, innanzitutto, nel quale il termine si colloca, e successivamente la verifica del contesto di arrivo. Esso deve concludersi con un'equivalenza: ad esempio, la traduzione di un termine dal tedesco all’italiano a mezzo di un termine della lingua italiana utilizzato nell’Ottocento costituisce un errore nella scelta del contesto. Una delle ragioni per le quali la traduzione della lingua giuridica2 implica difficoltà maggiori rispetto alla traduzione della lingua ordinaria è dovuta quindi alla scelta del contesto. Con riferimento alla traduzione del dato giuridico3, il contesto è innanzitutto un “ordinamento giuridico”, inteso come l’insieme di norme e 1 U. ECO, G. COSENZA, Traduzione, in Dizionario di filosofia di Nicola Abbagnano, terza edizione aggiornata e ampliata da Giovanni Fornero, Torino, 2000. Sulla traduzione in generale, in letteratura ha gradualmente riscosso il consenso generale il lavoro di Umberto Eco, Dire quasi la stessa cosa, esperienze di traduzione, Bompiani, 2003. Il testo è di carattere divulgativo. Medesime considerazioni valgono per l’opera La ricerca della lingua perfetta nella cultura europea, Laterza, 1993, dello stesso autore. 2 Sul concetto e sulla storia della lingua giuridica si veda il testo classico (tecnico, ma non privo di carattere divulgativo) di D. MELLINKHOFF, The language of the law, Boston Toronto, 1963. 3 Il riferimento è naturalmente R. SACCO, voce “Traduzione giuridica”, Digesto IV, sez. Aggiornamento, Utet, 2000, p. 741. 53 procedure dirette a disciplinare le relazioni di un determinato gruppo sociale. Un contesto quindi di carattere culturale. A differenza di quanto accade nell’ambito di scienze diverse da quella giuridica, i concetti attraverso i quali si esprimono i concetti tecnici si riferiscono a realtà materiali. In medicina, ad esempio, è possibile trasporre in tutte le lingue il concetto medico “cuore” semplicemente attraverso una traduzione linguisticoletterale - heart, herz, coeur, corazón - in quanto esiste nelle diverse lingue un referente materiale di comune comprensione. Diversamente, in ambito giuridico i concetti che esprimo i dati giuridici non hanno un referente comune4 riconducibile ad una realtà materiale, in quanto costituiscono elementi di diverse realtà culturali. La traduzione letterale del concetto “contratto” con la parola inglese contract può avere nel contesto d'arrivo un significato molto diverso, in quanto gli effetti giuridici riconducibili alla parola “contract” sono diversi rispetto a quelli che l’ordinamento giuridico italiano assegna alla parola “contratto”5 In secondo luogo, ogni ordinamento giuridico si esprime attraverso una propria, specifica lingua giuridica. Ordinamenti bilingue o multilingue conoscano quindi piu’ di una lingua giuridica6, con la conseguenza che all'interno di una lingua possono esistere diversi linguaggi giuridici: la lingua tedesca comprende, per esempio, il linguaggio giuridico dell'Austria, della Svizzera tedesca, della Germania. 4 Non mancano in letteratura proposte stimolanti ed innovative sulla ricerca di possibili referenti, anche culturali, per le parole del diritto: “La norma ha una sua componente muta. Questa componente ha un fonte nel reale umano – biologico, psicologico, culturale - comune agli umani di quella data cultura. Quando il giurista si esprime, può avvenire che la sua parola, significante, sia in qualche correlazione con un referente, presente in quel reale umano”: R. SACCO, Antropologia giuridica, Il Mulino, 2007, p. 205. 5 Naturalmente l’attività di traduzione giuridica può presentare diversi gradi di difficoltà: la tassonomia del diritto civile, ad esempio, è composta da numerosi concetti astratti, di valenza categoriale; ne consegue che la traduzione di questi termini presenta maggiori difficoltà tecniche rispetto, ad esempio, alla traduzione della terminologia processualistica, composta da concetti con una valenza piu’ materiale che si riferiscono spesso a procedimenti. Per limitarsi ad un esempio, nonostante le indubbie diversità tra le norme processuali dei diversi ordinamenti, la traduzione del concetto “processo di esecuzione” è meno problematica rispetto a concetti privatistici tali consideration o contract. 6 Si pensi all’esempio del Québec, caratterizzato dalla presenza della lingua giuridica francese e di quella inglese o alla Svizzera, ordinamento multilingue. 54 Il problema della traduzione giuridica si amplifica quindi a livello europeo, ordinamento multilingue e multijure 7. Quella dell’Unione europea è un’esperienza giuridica che nella redazione del testo multilingue non ha fruito di un lessico giuridico preesistente al testo medesimo, quale risultato dell’elaborazione di una cultura giuridica unica e capace di trasmettere nelle ventitre lingue dell’Unione gli stessi concetti giuridici. In modo del tutto originale, l'Unione europea formula il proprio linguaggio giorno per giorno: la creazione di un istituto giuridico, nella maggior parte dei casi, viene accompagnata dalla formulazione del termine giuridico destinato a veicolare quell'istituto in tutte le lingue dell'Unione. Ciò avviene principalmente attraverso l’uso dei neologismi. La terminologia europea è così il risultato di un particolare meccanismo di creazione lessicale, il quale consiste principalmente nella “risemantizzazione” (o mutamento di significato) dei lessici; il significato di un singolo termine, già presente in una lingua, viene adattato al diritto comunitario. Secondo questa modalità è stata creata, ad esempio, la nota “direttiva comunitaria” (oggi direttiva europea); in quell’occasione l'Unione europea ha fatto ricorso ad un termine di uso corrente nella lingua comune, la direttiva - modalità con la quale si dà un'indicazione a una persona su quale comportamento seguire – il quale è stato poi risemantizzato in tutte le lingue8. L'Unione europea crea così una propria terminologia, un proprio linguaggio, spesso semplicemente attraverso la consolidazione dei termini. Per limitarsi ad un esempio, il termine “Libro bianco” (o “Libro verde”) è nato semplicemente dal colore della copertina del volume nel quale erano contenute inizialmente le comunicazioni della Commissione. E’ questa la ragione per la quale alcuni concetti giuridici oggi contenuti negli atti dell’Unione europea, e che in futuro si troveranno altresì nel portale della giustizia elettronica, sembrano non aver alcun significato giuridico per il giurista nazionale, in quanto non si riconducono ad alcuno dei “riferimenti e referenti” riconoscibili da parte della comunità giuridica che si serve di tale linguaggio9. Si pensi al termine europeo "residenza abituale", che non coincide con il concetto “residenza” di cui 7 Regolamento n. 1 del 15 aprile 1958, sul regime multilingue comunitario. D. COSMAI, Tradurre per l’Unione Europea. Prassi, problemi e prospettive del multilinguismo comunitario dopo l’ampliamento ad est, Hoepli, 2007. 9 Sul punto G. AJANI, P. ROSSI, Coerenza del diritto privato europeo e multilinguismo, in V.JACOMETTI, B. POZZO (a cura di), Le politiche linguistiche delle Istituzioni comunitarie dopo l’allargamento, Giuffrè, 2006, p. 132. 8 55 all’art. 43 del codice civile. La terminologia europea è infatti autonoma e non è riconducibile ad alcuna terminologia nazionale10. Entrando nel merito del progetto sulla giustizia elettronica, rileviamo come la comunicazione del 200811 faccia frequente riferimento alla traduzione giuridica, la quale appare più uno strumento che la realtà strutturale che interessa tutta l'attività dell’Unione europea. La traduzione del diritto europeo costituisce infatti la principale ricaduta concreta del principio del multilinguismo, scelto, fin dal Trattato di Roma quale regime linguistico dell’Unione12 e che, come tale, permea il funzionamento dell’intera costruzione istituzionale europea13. 10 In linguistica si segnala un pressoché accordo tra gli studiosi che si sono occupati di linguaggi specialistici sulla natura non gergale del linguaggio comunitario (Riferimenti in COSMAI, Tradurre per l’Unione europea, cit., p. 28). In ambito giuridico è un dato acquisito il fatto che la terminologia europea dà luogo ad un’elaborazione linguistica nuova, una “meta-lingua giuridica” a carattere specialistico la cui originalità semantica è funzionale al diritto dell’Unione europea: M.R. FERRARESE, Interpretazione e traduzione: da una cultura giuridica “introversa” ad una cultura giuridica “estroversa”, in E. IORIATTI FERRARI, Interpretazione e traduzione del diritto, Cedam, 2008, cit., p. 13 ss. E’ diversamente discusso il grado di indipendenza della terminologia europea rispetto a quella nazionale nell’ambito del procedimento interpretativo da parte del giudice nazionale. A parere di Comba, l’attribuzione ai termini giuridici europei di significati indipendenti dai quelli di origine costituisce solo una tendenza e non la conseguenza di un’imposizione normativa che separerebbe il linguaggio comunitario da quello degli Stati Membri e che sarebbe causa loro un eccessivo distacco dai significati nazionali dei termini: M. E. Comba, Divergenze nei testi giuridici multilingue dell’Unione europea, in R. RAUS, Multilinguismo e terminologia nell’Unione europea, Hoepli, 2010, p. 37. 11 Comunicazione della Commissione del 30 maggio 2008 «Verso una strategia europea in materia di giustizia elettronica» COM(2008) 329 (GU C 10 del 15.1.2009). 12 Nel corso del tempo, questo principio ha acquisito grande importanza nel quadro istituzionale europeo, così da rendere riduttiva ogni sua definizione unicamente in termini di disciplina della lingua: da soluzione pragmatica di un’organizzazione internazionale che ha dovuto decidere il proprio regime linguistico, il multilinguismo è assunto oggi a principio costituzionale di importanza fondamentale: B. DE WITTE, Language Law of the European Union: Protecting or Eroding Linguistic Diversity, in R. CRAUFURD SMITH (ed.), in Culture and the European Union Law, 2004, p. 221. 13 Sia concesso il rinvio al mio scritto: E. IORIATTI FERRARI, Linguismo euruniònico e redazione della norma comunitaria scritta. Prime riflessioni, in J. VISCONTI (ed), Lingua e diritto: livelli di analisi, Led, 2010. 56 In particolare, la Comunicazione sulla giustizia elettronica fa riferimento alla traduzione giuridica in tre contesti. 1) In primo luogo, la Commissione si propone di creare un programma di formazione alla traduzione giuridica ed al linguaggi giuridico. Si tratta di un’iniziativa positiva e necessaria, in particolare con riferimento alla formazione dei magistrati. Una decisione del Consiglio di Stato risalente all’anno 2002 dimostra che, almeno fino ad una data relativamente recente, la peculiarità del linguaggio giuridico dell’Unione europea non era ancora “metabolizzata” nel patrimonio culturale delle corti italiane; con riferimento all’interpretazione della lingua giuridica europea, la massima della sentenza stabilisce infatti come “…è necessario abbandonare la terminologia della direttiva ed utilizzare concetti appartenenti al sistema giuridico nazionale”14. Nel corso del tempo, la classe forense ha acquisito maggior consapevolezza della peculiarità del linguaggio giuridico europeo15. Rimane comunque il fatto che per l’interprete nazionale la lingua normativa europea è una lingua “delocalizzata”, che per certi aspetti lo costringe ad un salto nel vuoto, mancando il contesto di riferimento per l’interpretazione dei termini: non sempre infatti le coordinate dei linguaggi giuridici nazionali nei quali gli istituti europei sono destinati a produrre effetti giuridici consentono al giudice di attribuire ai concetti europei un significato uniforme. Ciò vale naturalmente anche per i termini relativi al progetto di giustizia elettronica, quale quello di “mandato di pagamento europeo” o “mandato di arresto europeo”16. In questo contesto, una formazione adeguata è certamente necessaria. La conoscenza delle modalità di formulazione dell’atto europeo, così come la struttura dell’atto, il suo contenuto, il linguaggio consolidato dell’Unione può fornire all’interprete indicazioni utili ad orientare il processo interpretativo. Può essere utile comprendere che un termine è intenzionalmente vago perché la terminologia comunitaria è spesso il frutto di un compromesso tra i vari rappresentanti dei diversi Stati membri ed è una terminologia che ha un aspetto 14 Consiglio di Stato, 2002, n. 2636. Prova ne sono i seminari sull’inglese giuridico e sul linguaggio europeo previsti dal programma formativo del Consiglio Nazionale Forense http://appinter.csm.it/internat/elenco_corsi.php?lingua=1 16 Su quest’ultimo termine, recentemente: RAUS, Multilinguismo e terminologia nell’Unione europea, cit. 15 57 fortemente diplomatico17. Allo stesso modo, un termine può essere compreso con il supporto delle definizioni, alle quali è dedicato specificatamente l'art. 2 delle direttive. Le definizioni hanno infatti l’effetto di aumentare la coesione del testo18 e di definire il contenuto dei termini utilizzati in modo diverso rispetto al lessico nazionale che definisce aree semantiche simili19. Trattasi quindi di definizioni di valore normativo vincolante al momento dell’interpretazione, in quanto la definizione è come incorporata in tutte le disposizioni che si rapportano al suo oggetto20 e facilita così al giudice la comprensione dell’articolato normativo. Un terzo esempio: i “considerando” delle direttive o dei regolamenti non sono scritti per l'interprete e non contengono quindi enunciati normativi. Ciò non esclude che nella maggior parte dei casi l’interprete potrà trarre dal testo informazioni ermeneutiche indirette, costituendo i considerando una sorta di giustificazione del contenuto del dettato normativo. Questi ed altri aspetti possono essere utili se inseriti in un programma di formazione, così come il programma di giustizia elettronica correttamente prevede. 2) Il secondo elemento al quale fa riferimento il programma di giustizia elettronica è la traduzione automatica; essa viene proposta come “uno strumento che verrà utilizzato molto frequentemente nell'ambito del progetto di giustizia 17 La produzione normativa europea è condizionata da logiche tipiche dell’ordinamento internazionale (L. SICO, Il diritto dell’Unione europea nei rapporti con il diritto internazionale in P. FOIS, R. CLERICI, I caratteri del diritto dell’Unione Europea, Cedam, 2007, p. 61). Infatti, come in ambito internazionale, anche nel contesto europeo i delegati degli Stati membri percepiscono il proprio ruolo come una funzione diplomatica, piuttosto che legislativa: T. GALLAS, EC-law between Social Message and Record of Agreement. How the Theory of Legislation can Contribute to the Understanding Practical Problems of Negotiated Law, in L. WINTGENS, P. THION, M. CARLY (EDS.), The theory and practice of legislation: essays in legisprudence, Aldershot, Hants, England, 2005. L’obiettivo dei delegati/redattori della norma non è il contenuto giuridico/operativo del testo normativo, bensì la conclusione del negoziato, inteso come accordo politico sulle frasi e sulle parole, che per questa ragione a volte sono volutamente vaghe. 18 R. CATERINA, P. ROSSI, L’Italiano giuridico, in B. POZZO, M. TIMOTEO (a cura di), Europa e linguaggi giuridici, Giuffrè, 2008, p. 199. 19 Si porta l’esempio del termine “professionista” il quale identifica un soggetto diverso rispetto al libero professionista di cui all’art. 2229 del codice civile. 20 G. CORNU, Linguistique Juridique, Ed. Montchrestien, Paris, 2005, p. 297. 58 elettronica per tradurre in modo molto veloce sentenze che poi verranno messe a disposizione dei magistrati di altri ordinamenti giuridici”; allo sesso modo saranno tradotti “documenti e notizie molto sintetiche relative al contenuto dei fascicoli, in modo che un magistrato appartenente a un ordinamento giuridico diverso possa avere già da subito un'idea del contenuto di un determinato fascicolo”. Gli attuali strumenti di traduzione automatica a disposizione dell’Unione europea21 consentono certamente di tradurre con un certo grado di affidabilità le informazioni di base di un fascicolo, quali “procedimento civile”, “responsabilità extracontrattuale”, “attore soccombente”, “spese compensate”, ecc. Maggior cautela deve essere diversamente riservata alla traduzione automatica delle sentenze. E’ vero che l’Unione europea conosce sistemi di traduzione semi-automatica nella traduzione delle sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione europea22. È anche vero, però, che le decisioni dell'Unione europea sono scritte in vista della traduzione23, diversamente dalla decisione nazionale, addirittura caratterizzata da uno stile molto legato alla realtà interna24. La sentenza inglese, ad esempio, è difficile da massimare per un giurista italiano, in quanto perché è caratterizzata da un rapporto molto complesso fra le sue due componenti ratio decidendi e obiter dicta. Lo stile della sentenza francese è proprio di una realtà, quella del periodo dell'esegesi francese, nella quale il ruolo creativo del giudice doveva essere occultato per tutta una serie di motivi politici e culturali legati a quell’ordinamento. 21 L'Unione europea utilizza ad esempio il programma Systran in grado di tradurre testi abbastanza semplici nel contenuto con una velocità di 2.000 pagine l'ora; circa in un quarto d'ora il traduttore comunitario che trasmette un testo di alcune pagine può avere un risultato abbastanza apprezzabile, sul quale, però, è necessario compiere un'attività di post-editing, nel senso che l'attività umana è comunque necessaria per correggere e rendere perfetto il testo per la divulgazione. 22 Sul punto M. FEDERICO, La traduzione automatica, sviluppi recenti e prospettive, in E. IORIATTI FERRARI, La traduzione del diritto comunitario ed europeo: riflessioni metodologiche, Quaderni del Dipartimento di Scienze Giuridiche, Trento, 2007, p. 235. 23 L. MULDERS, Translation at the Court of Justice of the European Communities, in S. PRECHAL B. VAN ROERMUND (ed.), The Coherence of EU Law, The Search for Unity in Divergent Concepts, Oxford studies in European law, 2008. 24 Per un’esemplificazione si vedano in materiali contenuti nel volume V. VARANO, B. BARSOTTI, La tradizione giuridica occidentale, Vol. II, Giappichelli, 2009, Cap. V, Lo stile delle sentenze, a cura di S. Sonelli. 59 Ne è derivato uno stile di sentenza molto breve e molto asciutta – il c.d. arrêt - dalla quale è difficile a volte estrarre la massima giudiziaria. Queste difficoltà sono particolarmente sentite in ambito penale, in quanto la traduzione della norma penale comporta sono solo la trasposizione di termini tecnici, ma altresì di valori, i quali, se trasferiti in un ordinamento giuridico diverso dal proprio possono essere percepiti in modo diverso. E’ probabilmente questa la ragione per la quale il Garante europeo della protezione dei dati in un parere del 2009 con riferimento al programma sulla giustizia elettronica segnala come sia necessario “definire e circoscrivere precisamente l'uso della traduzione automatica, al fine di favorire la reciproca comprensione dei vari reati penali senza rischiare di compromettere la qualità delle informazioni trasmesse”25. 3) Per concludere, il progetto di giustizia elettronica prevede la creazione di un vocabolario multilingue comparato. Ho appreso in occasione di questo seminario l’esistenza di banche dati che contengono termini processual-penalistici e processual-civilistici e che potranno essere utilizzati nella creazione di detto vocabolario. In quest’ambito, l’esperienza maturata nell’area del diritto europeo dei contratti può costituire un utile punto di riferimento nell’elaborazione di questo linguaggio. L'Unione europea sta creando il cosiddetto “Quadro comune di riferimento” (QCR) ossia uno strumento di diritto privato composto da definizioni, norme modello e principi comuni. Fra le sue diverse funzioni, il QCR costituirà un tentativo di creare un sistema di riferimenti concettuali e categoriali stabile, il cui obiettivo sarà quello di garantire chiarezza e coerenza nella terminologia privatistica dell’Unione europea. Una delle ragioni per la quale la Commissione ha deciso di intraprendere questo progetto è la mancanza di un contesto di riferimento concettuale del diritto privato europeo. La contestuale, progressiva creazione di termini nuovi da parte del legislatore europeo ha reso sempre piu’ difficile l’interpretazione uniforme degli atti europei nei diversi contesti nazionali. In questo contesto il QCR riecheggia il “sistema”, quale insieme di concetti e categorie organizzate con 25 Parere del garante europeo della protezione dei dati (GEPD) sulla comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale europeo dal titolo «Verso una strategia europea in materia di giustizia elettronica» (2009/C 128/02). 60 funzione unificante e risponde quindi a quel bisogno di ricondurre il pensiero giuridico a categorie intese come criteri di classificazione26. Il programma di giustizia elettronica si sta muovendo nella stessa direzione. La creazione di termini processuali europei comporta l’affermarsi di una nuova terminologia processual-civilistica e processual-penalistica ed è quindi importante essere consapevoli del fatto che un giorno potrà emergere l’esigenza di un contesto di riferimento generale. Forse un giorno saranno create una procedura civile europea e una procedura penale europea. 26 N. LIPARI, Prologomnei ad uno studio sulle categorie del diritto civile, in Riv. Dir. Civ., 2009, p. 515. 61 Ena-Marlis Bajons Prof. ordinario (a tempo determinato) di diritto processuale civile Università degli Studi di Trento, già Prof. nell’Università di Vienna RIFLESSIONI SULLA DIDATTICA DI DIRITTO COMPARATO, EUROPEO E TRANSNAZIONALE (IN SPECIE: IN TEMA DI DIRITTO PROCESSUALE CIVILE) Negli ultimi dieci anni, il diritto comunitario ha inciso profondamente sul modo d’essere del diritto processuale civile nazionale: questo progressivo – e peraltro non prevedibile – cambiamento richiede oggi un imprescindibile ripensamento del programma di studi (e di didattica) dell’area di diritto processuale civile. A dimostrazione di tale esigenza, è sufficiente richiamare alcuni significativi momenti storici e dati normativi che hanno interessato lo sviluppo del diritto processuale civile in ambito europeo. All’inizio, nel campo del diritto processuale civile, esisteva soltanto una “classica” convenzione multilaterale di diritto internazionale, la Convenzione di Bruxelles del 1968. Questa si occupava solo di alcuni aspetti del diritto processuale civile internazionale, ovvero della competenza giurisdizionale e del riconoscimento e dell'esecuzione di sentenze straniere. Ma con i Trattati di Amsterdam del 1997 e di Nizza del 2001, i cambiamenti nel campo del diritto processuale civile sono stati enormi, anche se subito non così visibili. Perché con questi trattati la Comunità Europea ha ottenuto la competenza legislativa nel campo della cooperazione giudiziaria in materia civile e ha così avviato la comunitarizzazione del diritto processuale civile. 63 Da quel momento, nel giro di pochi anni, la Comunità europea ha emanato ben nove regolamenti e due direttive. E il processo di comunitarizzazione non è ancora finito: Ante portas vi sono altri due regolamenti che, senza esagerare, stravolgeranno ancora una volta i sistemi di tutela giuridica nazionali. Tre sono i profili su cui ha inciso questa comunitarizzazione e che richiedono e giustificano una rivisitazione di contenuti e metodo di insegnamento del diritto processuale civile. 1. In primo luogo, tutti questi regolamenti non hanno avuto soltanto lo scopo di introdurre nuove disposizioni (uguali per tutti gli Stati membri) che devono essere applicate in ogni sistema nazionale dell’Unione europea; ma anche lo scopo di creare un unico spazio giudiziario europeo (o, come si dice negli ultimi atti comunitari: un unico spazio di giustizia). Il raggiungimento di questo secondo scopo ha portato (nel campo del diritto processuale civile) ad una vera rivoluzione. Infatti, con questi regolamenti, per la prima volta, atti giudiziari rilasciati in un altro Stato membro sono considerati del tutto equivalenti a quelli emessi nel proprio territorio nazionale. Il diritto processuale civile tende in questo modo a trasformarsi da un diritto internazionale a un diritto infraordinamentale. Si è assistito così ad una progressiva caduta dei confini tra sovranità nazionali. Tre gli esempi più evidenti di questo fenomeno, cha hanno già trovato piena attuazione: a) le notificazioni di atti giudiziali di un altro Stato membro possono essere eseguite direttamente in Italia, senza “intervento” di organi italiani; b) i giudici di un altro Stato membro possono assumere direttamente prove in Italia, dietro mero consenso dello Stato italiano; c) le sentenze di un altro Stato membro possono essere eseguite in Italia senza necessità di una procedura intermedia e, quindi, con esclusione di qualsiasi controllo della sentenza straniera da parte del giudice italiano, che pertanto non può rifiutare l’esecuzione nemmeno per violazione dell'ordine pubblico. A giustificazione di questa progressiva ingerenza nella sovranità nazionale si è richiamato il principio della reciproca fiducia degli Stati membri nei rispettivi 64 sistemi di giustizia: perché questa fiducia sia fondata e non soltanto una petizione di principio è necessaria però una reale ed approfondita conoscenza dei sistemi di giustizia dei vari Stati membri e, quindi, degli istituti giuridici che li caratterizzano. Solo in questo modo, infatti, è possibile avere piena contezza di significato e ripercussioni della creazione del summenzionato spazio giudiziario europeo unico. Di qui, l’immediata rilevanza dello studio comparato ai fini di una corretta applicazione del diritto. 2. Secondo effetto provocato dalla comunitarizzazione è stato il crescente ampliamento dell’autonomia privata, via via riconosciuta anche in materie sino ad oggi escluse dal potere dispositivo delle parti, in quanto finora soggette ad una disciplina imperativa inderogabile: si pensi ad esempio al diritto di famiglia e delle successioni. I regolamenti già in vigore e ante portas ammettono un’ampia possibilità per le parti di determinare autonomamente la legge applicabile alle loro relazioni familiari o questioni successorie, peraltro non solo consensualmente ma anche per il tramite di meri comportamenti di fatto. Il motivo per cui questo fenomeno interessa il processualcivilista è che esso è stato raggiunto dal legislatore comunitario per mezzo del diritto processuale civile, in particolare mediante un’identica individuazione dei criteri di collegamento nelle norme attributive della competenza giurisdizionale e in quelle di conflitto tra discipline sostanziali. Solo un esempio: il prossimo regolamento in materia successoria stabilisce che il giudice competente in una causa successoria transfrontaliera sia di regola quello dell’ultima residenza abituale del defunto. Questo criterio di collegamento è stato scelto anche per determinare la legge applicabile: anche questa sarà quella dell’ultima residenza abituale del de cuius. Si arriva così al risultato che il defunto può scegliere autonomamente, tramite un mero comportamento di fatto (id est, il cambiamento della residenza abituale), come sarà disciplinata la sua successione. 3. La terza conseguenza determinata dalla comunitarizzazione è la crescente regressione dello Stato nell’esercizio della tutela giurisdizionale. La tendenza dell’Unione europea, infatti, è nettamente per la promozione di meccanismi alternativi di risoluzione stragiudiziale delle controversie, mediante organismi non statali. 65 a) Ne consegue una progressiva erosione del diritto sostanziale: da un lato, perché gli organismi non statali non sono obbligati ad applicare il diritto; dall’altro, perché anche ove tali organismi applichino il diritto, non creano mai una giurisprudenza. Ma proprio la giurisprudenza è una delle garanzie fondamentali di un ordinamento giuridico sicuro ed efficiente. b) Quest’ultimo effetto viene rafforzato anche dal fatto che la scelta di un mezzo di tutela stragiudiziale pregiudica l’accesso alle corti statali. Questo accade sia nell’arbitrato che nella mediazione: nell’arbitrato, oramai da lungo tempo, da un lato, perché si assiste ad una progressiva limitazione dei motivi di impugnazione del lodo davanti al giudice statale (oggi, ad es., non è più ammesso un controllo da parte del giudice statale sulla violazione o meno nel lodo del diritto sostanziale); dall’altro, perché, più recentemente, viene esclusa la possibilità di un controllo della validità della clausola arbitrale da parte del giudice statale che sarebbe competente a decidere nel merito (questo è quanto prevede la recentissima proposta di modifica del regolamento n. 44 /2001); nella mediazione, sanzionando la parte che non accetti la proposta di conciliazione da parte del mediatore nel caso in cui il provvedimento che finisce il giudizio successivo corrisponda interamente al contenuto della proposta (id est, escludendo che la parte vincitrice ottenga la ripetizione delle spese processuali e condannandola eventualmente al rimborso di quelle sostenute dalla controparte: v. art. 13, 1° co., decreto legislativo n. 28/2010). L’idea del diritto d’azione per la realizzazione del diritto sostanziale viene via via perduta. Tutti i cambiamenti descritti giustificano, quindi, una diversa organizzazione dell’insegnamento del diritto processuale civile. Più precisamente, a voler procedere per punti fondamentali, tale riorganizzazione dovrebbe comportare, dal punto di vista del contenuto d’insegnamento: a) una rimodulazione dei contenuti del corso principale di diritto processuale civile: tale corso dovrebbe offrire una trattazione maggiormente integrata del diritto interno e comunitario, posto che quest’ultimo oramai molto spesso si sovrappone al diritto processuale civile domestico; 66 b) una comparazione dei concetti-base di quegli istituti giuridici dei vari Stati membri che sono presupposto necessario per l’applicazione del diritto comunitario; c) la predisposizione di lezioni speciali (e di esercitazioni) in tema di arbitrato e in materia di altre vie di risoluzione stragiudiziale delle controversie, in primis della mediazione. Quanto al metodo d’insegnamento, bisognerebbe dare maggior attenzione alla giurisprudenza della Corte di Giustizia, chiamata, su sollecitazione dei rinvii pregiudiziali nazionali, ad interpretare questioni controverse di diritto comunitario. Grazie ad un tale metodo, gli studenti potrebbero peraltro contare su un’educazione che, allenandoli alla trattazione e soluzione di casi concreti, li preparerebbe con maggiore completezza allo svolgimento delle loro future professioni di giudice o avvocato. 67 Parte II^ LE RETI GIUDIZIARIE EUROPEE: LE ESPERIENZE, IL POTENZIALE, LE CONSEGUENZE PER LA FUNZIONE GIURISDIZIONALE Mattia Magrassi Borsista di ricerca in diritto pubblico comparato Docente a contratto di Diritto dell'Unione Europea Dipartimento di Scienze Giuridiche Università degli Studi di Trento L’UNIONE EUROPEA COME SPAZIO DI LIBERTÀ, SICUREZZA E GIUSTIZIA: ALCUNE NOTE INTRODUTTIVE Una delle principali novità introdotte dal Trattato di Lisbona, in vigore da pochi mesi, riguarda lo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia dell’Unione europea. Tale area esce dal pilastro intergovernativo ove gli Stati l'avevano collocata a salvaguardia delle proprie prerogative, e viene inserita nell'ambito di competenza concorrente fra Unione e Stati membri1. Di conseguenza, dal punto di vista decisionale l'azione politica dell'Unione in tale ambito dovrà confrontarsi con il metodo di voto a maggioranza qualificata da parte del Consiglio, con il ruolo di co-decisore del Parlamento europeo, con le nuove funzioni di vigilanza sul rispetto del principio di sussidiarietà affidate ai Parlamenti nazionali. Dal punto di vista delle garanzie, essa dovrà poi confrontarsi con la contestuale entrata in vigore della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e con la prospettiva dell’accesso dell’UE alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, con il conseguente assoggettamento della stessa Corte di Giustizia di Lussemburgo alla giurisdizione della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo. Gli Stati membri, con il compromesso di Lisbona, hanno abbandonato l'apparato simbolico “costituzionale” e optato per un'evoluzione più “di basso profilo”. 1 Per una prima sintetica disamina generale sull'argomento v. R. Toniatti, Approvato il programma di Stoccolma. Lo Spazio di libertà, sicurezza e giustizia dopo Lisbona, in AffarInternazionali, Rivista online di politica, strategia ed economia, disponibile all’indirizzo http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=1356 71 Quest’ultima soluzione conferma, peraltro, come l’Unione non può astenersi dall’agire su materie che rappresentano il contesto per l’esercizio delle “quattro libertà fondamentali” dell’Unione, a tra esse, in particolare, della libertà di circolazione delle persone, nonché la premessa dell’integrazione economica e del mercato unico, quali i diritti fondamentali, la cittadinanza, l’immigrazione, l’asilo politico, la tratta di esseri umani, l’accesso alla giustizia, le garanzie giurisdizionali, le capacità d’investigazione2. Dal punto di vista istituzionale, i Trattati ora prevedono l'avvio di cooperazioni rafforzate che riguardano esplicitamente Eurojust, ossia il nucleo giudiziario da tempo operativo con il compito di sostenere e potenziare il coordinamento e la cooperazione tra le autorità nazionali responsabili delle indagini e dell'azione penale contro la criminalità grave che interessa due o più Stati membri o che richiede un'azione penale su basi comuni (art. 85 TFUE); e indicano la prospettiva dell’istituzione, “a partire da Eurojust”, di una Procura dell’UE che abbia il compito di individuare, perseguire e rinviare a giudizio gli autori di reati che ledono gli interessi finanziari dell'Unione, esercitando l'azione penale dinanzi agli organi giurisdizionali competenti degli Stati membri (art. 86 TFUE). A quanto pare, quindi, l'ulteriore approfondimento dell'integrazione non sarà affidato alla logica funzionalistica delle origini, propria del c.d. “metodo comunitario”, bensì alle cooperazioni rafforzate, con il rischio, tuttavia, che l'avanzamento diventi più difficile, in quanto i costi di negoziazione politica e di adeguamento amministrativo, in un'Europa a più velocità, sono elevati3. Nel dicembre del 2009 il Consiglio europeo ha conferito una forte priorità alla materia, adottando, come richiesto dall'art. 68 TFUE, il c.d. “Programma di Stoccolma”, ovvero il progetto strategico dello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia dell’Unione europea sino al 20144. Il Programma di Stoccolma dà conto innanzitutto di quanto già realizzato, tracciando un quadro articolato e a chiaroscuri. Vi è da considerare, infatti, che l'abbattimento delle frontiere interne, certamente prodromico alla creazione di 2 In questo senso v. R. Toniatti, Approvato il programma di Stoccolma, cit. In questo senso v. M. Savino, Trattato di Lisbona. La Pesc e lo Spazio di Libertà, Sicurezza e Giustizia, in Giornale di diritto amministrativo, 3, 2010, p. 226-231. 4 V. GU C 115 del 4.5.2010, pagg. 1–38. Di seguito, a sua volta, la Commissione ha presentato il proprio piano attuativo, con COM(2010) 171. Sull’argomento, v. anche F. Spiezia, Il coordinamento giudiziario sovranazionale: problemi e prospettive alla luce della nuova decisione 2009/426/GAI che rafforza i poteri di Eurojust, in Rivista della Corte dei Conti, 1, 2010, pp. 14 ss. 3 72 uno “Spazio” unitario di libertà, sicurezza e giustizia, è peraltro avvenuto più in risposta ad una prospettiva funzionalistica ispirata ad esigenze di carattere economico, quali la diminuzione dei costi transattivi e la facilitazione della libera circolazione. Nel Programma viene valorizzata l'idea di un Global Approach to Migration, ma le recenti tensioni tra Stati membri (es. Italia e Malta) sul problema degli sbarchi di migranti irregolari, o le censure mosse dalla Commissione nei confronti delle politiche dei respingimenti attuate da alcuni Stati membri (ancora Italia) sottolineano il deficit di una vera politica comunitaria nei confronti dell'immigrazione. Il Programma dà conto delle azioni ed istituzioni, come Europol, la già citata Eurojust, l'Agenzia dei diritti fondamentali, Frontex, che compongono un articolato sistema di governance in cui operano shareholders e stakeholders del settore di policy della giustizia e della tutela dei diritti. Dal punto di vista istituzionale, vale la pena di sottolineare che tale evoluzione ha suscitato il dibattito sulla necessità di una “cabina di regia” comunitaria in materia di giustizia, che ha infine condotto all’istituzione di una direzione generale Giustizia in seno alla Commissione5. Il sistema descritto si caratterizza così per un approccio spiccatamente amministrativo al problema dei diritti, e continua a mancare una risposta sotto il profilo giudiziario, poiché il momento della giurisdizione è ancora affidato ai singoli Stati. Inoltre, il Programma di Stoccolma lascia trasparire un approccio prudente anche nell'indicazione degli strumenti per la propria realizzazione. L'azione dello Spazio di Libertà, Sicurezza e giustizia continuerà ad ispirarsi al principio fondamentale della fiducia reciproca tra ordinamenti nazionali, che continueranno infatti a costituire il fondamento del sistema della giustizia dell’Unione. La “battaglia” per l'integrazione e l'efficacia del sistema giustizia europeo va quindi combattuta all'interno dei singoli ordinamenti degli Stati membri. Secondo le indicazioni contenute nel Programma, l'attuazione delle nuove prospettive dovrà essere perseguita, per quanto possibile, utilizzando gli strumenti 5 La direzione generale Giustizia è stata infine creata in data 1 luglio 2010. Sull’argomento, v. The Case of a DG Justice at the European Commission, briefing paper del Conseil des barreaux européens – Council of Bars and Law Societies of Europe, disponibile all’indirizzo http:// www.ccbe.eu / fileadmin / user_upload / NTCdocument / The_case_for_a_DG_Ju1_1231414454.pdf 73 istituzionali esistenti, favorendo l'analisi e la circolazione delle best practices. L'intervento normativo dell’Unione avverrà solo previa verifica del rispetto dei principi di sussidiarietà e proporzionalità, e della compatibilità con i principi del mercato interno. Si postula altresì la necessità di una maggiore coerenza nell'attività delle varie agenzie, ma la soluzione proposta per perseguire tali obiettivi è un maggior controllo politico del Consiglio – e quindi degli Stati membri. E sotto il profilo della valutazione delle politiche e degli strumenti giuridici adottati nello Spazio di libertà, sicurezza e giustizia, al fine di evitare “doppioni” si programma di approfondire la sinergia, cooperazione e partecipazione attiva dell’Unione alle attività degli organi di controllo del Consiglio d'Europa, che non potrà che beneficiare dall’adesione formale dell’Unione alla CEDU. Per quanto riguarda, infine, la formazione delle figure professionali del “sistemagiustizia” europeo (giudici, procuratori, cancellieri, polizia, guardie di frontiera) il Programma indica la definizione di uno schema di formazione europea che coinvolga un numero importante di soggetti entro il 2015, valorizzando l'impiego delle istituzioni già esistenti e di un programma tipo “Erasmus” per gli operatori giudiziari e di polizia. In questo modo il Programma affronta il tema della formazione degli operatori del sistema giustizia – in particolare dei magistrati – argomento di importanza centrale per l’Unione Europea, in cui un ruolo fondamentale ha l’integrazione tramite il diritto. Del resto, autorevole dottrina ha insegnato che la professionalità del giudice è fattore decisivo per la sua indipendenza e condizione della legittimazione democratica dell'attività giurisdizionale6. La professionalità della magistratura deve sussistere a “livello diffuso”, poiché, a differenza di quanto avviene per i difensori o per altri professionisti della giustizia, il cittadino non ha la possibilità di “scegliersi” il magistrato competente. Anzi tale possibilità gli è espressamente preclusa dal principio costituzionale della precostituzione del giudice per legge. Pertanto, ogni cittadino ha diritto di ottenere dallo Stato la garanzia della professionalità del magistrato che andrà a giudicarlo, qualunque esso sia7. 6 In questo senso v. A. Pizzorusso, Principio democratico e principio di legalità, in Questione giustizia, 2, 2003, pp. 345 ss.; A. Proto Pisani, Controriforma dell’ordinamento giudiziario: ultimo atto?, in Foro it., 2004, V, p. 109 ss. 7 In questo senso v. R. Romboli, La professione del magistrato tra legislazione attuale e possibili riforme, in I magistrati e la sfida della professionalità, Milano, 2003, p. 9 ss. 74 Ebbene, accanto all’obbligo degli Stati membri di fornire tale garanzia di professionalità – e ciò con riferimento tanto al diritto interno quanto al diritto dell’Unione, attesa la sempre più stretta integrazione tra gli ordinamenti – si pone sempre più analogo obbligo ed interesse proprio dell’Unione stessa, che il Programma di Stoccolma intende declinare a livello sovranazionale, non essendo sufficiente ed opportuno delegare ai soli Stati membri la formazione “europea” dei magistrati. Le “reti”. Introduzione del problema Sinora si è tracciato il contesto di sistema in cui va a collocarsi uno studio sulle “reti giudiziarie europee”. Un secondo elemento che va aggiunto al presente percorso introduttivo è la descrizione del concetto di “rete”, al fine di indagarne poi l’applicabilità alla cooperazione tra ordinamenti nel contesto europeo. Il concetto di “rete” è oggi correntemente utilizzato quale metafora descrittiva – ma in effetti non solo descrittiva – delle organizzazioni del potere pubblico. Si tratta di una delle tante immagini che, nel corso del tempo, sono state accostate alla pubblica amministrazione e alla sua azione, al fine di coglierne tratti distintivi e tendenze evolutive8. Difatti, se non altro per le comuni origini, il funzionamento della pubblica amministrazione è stato innanzitutto accostato all’immagine dell’esercito, volta a sottolineare in particolare alcuni tratti degli apparati burocratici, ritenuti caratterizzanti: la disciplina e la gerarchia (pilastri anche del modello burocratico weberiano); la subordinazione ed obbedienza al potere politico; la natura meramente esecutiva delle funzioni svolte; l’esistenza di valori, codici e riti interni capaci di rafforzare il senso d’appartenenza e l’orgoglio corporativo. Ancor oggi profondamente radicata è inoltre l’immagine della pubblica amministrazione come macchina, che sottolinea l’alta formalizzazione dell’operato degli apparati amministrativi pubblici, volta a conferire ripetitività, prevedibilità e neutralità alla loro azione, ma che per altro verso ne diminuisce la propensione a correggere gli errori e ad interagire con l’ambiente esterno, dalle cui ingerenze intendono anzi essere protetti. Una variante particolare in termini analoghi è l’immagine del castello, utilizzata in riferimento alle imprese ma che, per certi versi, ben si attaglia anche alle amministrazioni pubbliche. 8 Sull’argomento v. F. Campomori e F. Toth, L’amministrazione a rete: retorica o realtà?, in Stato e mercato, n. 1, aprile 2007, pp. 107 ss. e la bibliografia ivi richiamata. 75 La prospettiva della pubblica amministrazione quale apparato unitario e cooperativo, strumentale agli indirizzi del vertice politico viene completamente ribaltata, invece, dall’immagine dell’arena politica, fondata sul rilievo che le burocrazie pubbliche, in realtà, sono sistemi altamente frammentati e conflittuali, in cui le diverse componenti organizzative, in quanto portatrici di valori ed interessi contrapposti, tendono a competere più che a cooperare tra loro e con il potere politico per acquisire maggiori risorse, visibilità ed autonomia. Viene così sfatato il mito della neutralità del burocrate, il quale è tutt’altro che privo di interessi e valori propri – non necessariamente illegittimi interessi privati, ma anche legittimi “interessi istituzionali” di tutela delle prerogative dell'amministrazione di appartenenza – e non rinuncia ad utilizzare la propria posizione per tutelarli. In risposta ad alcuni limiti e disfunzioni sottolineati in maniera più o meno implicita nelle rappresentazioni metaforiche precedenti, alcuni autori hanno inteso ribadire quanto sia importante che l’operato delle pubbliche amministrazioni si ispiri ai principi di onestà, imparzialità e trasparenza. A tale riguardo, intende porre l’accento sulla necessità di ristabilire l’etica pubblica la metafora dell’amministrazione come ordine religioso, che in risposta a piaghe quali la corruzione o l’abuso di ufficio, pone l’enfasi sull’integrità morale e sulla forte motivazione dei dipendenti pubblici, cui è richiesto di agire nell'interesse generale con imparzialità, sobrietà, e neutralità nei confronti dei vertici politici. Con l’affermarsi della dottrina amministrativa denominata New Public Management, ha poi raccolto numerosi consensi negli ultimi quindici-venti anni la figura retorica della pubblica amministrazione come impresa. Le performances degli apparati burocratici sono spesso deludenti a causa di logiche autoreferenziali e procedure farraginose, che determinano scarsa produttività, spreco di risorse pubbliche, insensibilità verso le esigenze dei cittadini, riluttanza alle innovazioni tecnologiche. Da qui l’idea di adottare anche nel settore pubblico logiche e strumenti gestionali mutuati dalle imprese private. Ciò implica inevitabilmente un radicale riorientamento culturale dell’agire amministrativo, attento più ai risultati che alle procedure, e fondato sull’autonomia dei dirigenti, cui spetta stimolare forme di concorrenza interna, contenere i costi, adottare criteri più meritocratici di gestione del personale, incrementare la qualità dei servizi erogati. La metafora dell'amministrazione come impresa costituisce per molti versi l’attuale paradigma di riferimento degli studi dell’organizzazione amministrativa, pur non essendo immune da critiche e perplessità per l’eccessiva disinvoltura con cui, a 76 volte, le organizzazioni pubbliche – e soprattutto le loro finalità – vengono paragonate all’azione delle organizzazioni private. Solo un’altra metafora insidia tale egemonia ed esercita attualmente una suggestione altrettanto forte: si tratta dell’immagine della pubblica amministrazione come rete, utilizzata come nozione sintetica per richiamare istintivamente l’idea del sistema aperto, flessibile, propenso alla comunicazione continua e trasversale, e per tali motivi più efficace. La metafora della rete viene oggi ritenuta più adatta a cogliere la natura delle organizzazioni (sia pubbliche che private) e dei rapporti di scambio che – anche su scala globale – intercorrono tra di esse (“reti di organizzazioni”). Negli ultimi anni i contributi scientifici in tema di reti, di networks sono cresciuti in modo esponenziale, in una molteplicità di settori disciplinari, al punto che – proprio per sottolineare la capillare diffusione del modello reticolare – si è definita quella attuale una network society9. Continua a mancare, tuttavia, una definizione condivisa del concetto di rete, al punto che esso rischia di essere relegato allo status di metafora evocativa applicata però in maniera così generalizzata da essere, in effetti, eccessivamente generica e quindi priva di un preciso significato scientifico. Ma vi è un modo efficace per definire il concetto di rete, ed è ragionando a contrario. In questo senso si può affermare che la rete è una forma di organizzazione sociale e di coordinamento alternativa tanto al mercato quanto alla gerarchia10. Per un verso, infatti, il mercato è caratterizzato da scambi spesso istantanei, da rapporti di tipo competitivo, ed utilizza il meccanismo del prezzo come modalità comunicativa fondamentale; le reti, al contrario, si fondano su relazioni continuative e durevoli, sono caratterizzate da rapporti principalmente cooperativi, ed adottano una modalità comunicativa di tipo «relazionale». Per altro verso, la forma gerarchica si fonda su un sistema formalizzato di regole ed autorità, nonché su flussi comunicativi prevalentemente verticali, mentre nella rete si sviluppano intense relazioni orizzontali e il coordinamento avviene sulla base dell’adattamento reciproco, della fiducia interpersonale e dei valori condivisi11. 9 Per una rassegna bibliografica, v. sempre F. Campomori e F. Toth, L’amministrazione a rete: retorica o realtà?, cit.. 10 Seguendo Powell, W.W. (1990), Neither Market nor Hierarchy: Network Forms of Organization, in Research in Organizational Behavior, vol. 12, pp. 295-336, cit. in F. Campomori e F. Toth, L’amministrazione a rete: retorica o realtà?, cit., p. 113. 11 Nohria, N., Eccles, R.G. (1992), a cura di, Networks and Organizations. Structure, Form, and Action, Boston: Harvard Business Scholl Press., cit. in F. Campomori e F. Toth, 77 Le “reti giudiziarie europee” Tracciato il contesto dell'analisi, e dopo averne tentato una ricostruzione per quanto essenziale, ciò che si propone è verificare, quindi, l'applicabilità del concetto di rete all'organizzazione giudiziaria, al fine di verificarne l'idoneità descrittiva e prescrittiva nel contesto sovranazionale dell’Unione Europea, traendo però utili spunti di indagine dalle dinamiche operanti nei singoli ordinamenti nazionali, attesa la sempre più stretta integrazione tra ordinamenti che induce inevitabili reciproche interferenze e ripercussioni delle rispettive soluzioni organizzative. A livello nazionale, il caso italiano può essere, a suo modo, emblematico. Esso ha registrato un totale distacco dalla visione pre-repubblicana e anche pre-fascista di una magistratura strutturata in maniera sovrapponibile alla pubblica amministrazione, composta da giudici-funzionari, organizzata all’interno in modo gerarchico, con una carriera per gradi percorribili attraverso concorsi finalizzati alla selezione dei soggetti tecnicamente più preparati, e scarse garanzie di autonomia e di indipendenza, esterna ed interna. Un sistema organizzativo, in sostanza, coerente con la concezione del giudice-funzionario meccanico applicatore della legge, tipico della tradizione europea continentale. La progressiva attuazione dei principi costituzionali, in particolare dell’autonomia dell'ordine giudiziario e dell’indipendenza della magistratura, ed il ruolo del Consiglio superiore della magistratura, hanno contribuito all'evoluzione di un sistema incardinato non solo sull'indipendenza esterna dei giudici, specie nei rapporti con il potere politico, ma anche sull'indipendenza interna, garantita dalla progressione di carriera c.d. a ruoli aperti, dal sistema tabellare di organizzazione del lavoro, dall'applicazione del principio di pre-costituzione del giudice. Nonché da un pubblico ministero garantito al pari del giudice quanto ad indipendenza esterna e dal principio costituzionale dell'obbligatorietà dell'azione penale12. Alcuni di questi cardini, peraltro, sono stati nel mirino degli interventi legislativi degli ultimi anni, volti ad introdurre elementi di gerarchizzazione interna, a limitare il potere interpretativo dei magistrati, e a mettere in discussione l'indipendenza esterna soprattutto del pubblico ministero. L’amministrazione a rete: retorica o realtà?, cit., p. 113. 12 R. Romboli, Il ruolo del giudice in rapporto all’evoluzione del sistema delle fonti ed alla disciplina dell’ordinamento giudiziario, in Quaderni dell’Associazione per gli studi e le ricerche parlamentari, Seminario 2005, Torino, Giappichelli. 78 La dialettica che ne è scaturita, anche veemente, tra magistratura (organizzata nell'Anm) e politica trae la sua origine soprattutto dal fatto che una visione gerarchizzata e piramidale della magistratura non solo non è più applicabile in via di fatto, ma costituirebbe una violazione dei principi fondamentali che governano il ruolo del giudice nel contesto dell'ordinamento. Principi che vanno necessariamente ricostruiti in via integrata tenendo conto non solo dell’ordinamento costituzionale nazionale ma anche dell’ordinamento europeo sovranazionale (UE) oltre che internazionale (Consiglio d'Europa). Il giudice – ogni giudice – è giudice della legalità dell'ordinamento, ma anche e sempre di più, giudice dei diritti; è, in Italia così come in altri ordinamenti degli Stati membri, il “portiere” della Corte costituzionale, in quanto titolare della prerogativa di sollevare la questione di legittimità costituzionale; prima, però, deve tentare di superare eventuali dubbi di costituzionalità della legge facendo ricorso ai propri poteri interpretativi (c.d. interpretazione conforme) e, se ne ricorrono le condizioni, può risolvere il caso applicando direttamente la Costituzione; deve perseguire un'interpretazione adeguatrice della normativa nazionale al diritto dell’Unione e, quando necessario, proporre la questione interpretativa alla Corte di giustizia di Lussemburgo nonché, anche sulla base della risposta di quest'ultima, procedere alla disapplicazione (o meglio, non applicazione) del diritto nazionale ritenuto in contrasto con il diritto dell’Unione. In questo senso, il concetto di “rete” si propone all'attenzione come metafora non solo illustrativa di tutti questi meccanismi di cooperazione tra giudici (giudici e Corte costituzionale, giudici e Corte di Lussemburgo), ma anche prescrittiva della funzione giudiziaria nel contesto europeo. Difatti, le norme che governano questi meccanismi di cooperazione non solo propongono ma in certi casi impongono la funzione giurisdizionale come un'impresa “collettiva”, e quindi “a rete”. Nel contesto sovranazionale si rinvengono sia reti giuridiche, ovvero reti di cooperazione tra organi giudicanti – come quella instaurata dal meccanismo del rinvio pregiudiziale; sia reti giudiziarie, ovvero le reti per l'amministrazione della giustizia e quelle costituite per la formazione e lo scambio scientifico tra magistrati, al fine di assicurarne il valore centrale della professionalità. Queste ultime, in alcuni casi, sono istituzionalizzate, in quanto espressamente previste da specifici strumenti normativi. In altri casi sono auto-organizzate, ma la loro matrice di fatto privatistica e in certa misura “lobbistica” viene eclissata dalla indubbia rilevanza pubblica, sicché l’associazionismo sovranazionale tra magistrati pare, in tali casi, proporsi quale espressione di una dinamica di sussidiarietà orizzontale. 79 Tutte queste reti, formalmente o di fatto, compongono a creare, nell'ambito dell'Unione Europea, uno “Spazio” di Libertà, Sicurezza e Giustizia. Quest’ultimo non è la mera sommatoria dei territori dei singoli Stati membri, ma ha una dimensione più dinamica, relazionale, “a rete”, in quanto investe le interdipendenze tra ordinamenti ed i rapporti, anche dialettici se non conflittuali, che ne scaturiscono, ed è considerato un banco di prova di una vera e propria “risignificazione” della nozione giuridica di territorio quale elemento essenziale dello Stato13. Al tempo stesso, tuttavia, non va dimenticato che è sempre lo Stato, nel vincolo di solidarietà con gli altri Stati membri dell'Unione, a rimanere il “regista” del processo di integrazione europea, in virtù di una ratio di sussidiarietà nella delega di competenze a organismi sovranazionali ispirata soprattutto ad una concezione di efficienza14; e ciò, vero in linea generale, è tanto più vero nell'ambito delle competenze dell’Unione in materia di giustizia, in quanto è agli ordinamenti nazionali, come detto, che continua ad essere affidato il momento della giurisdizione15. Tali ultime notazioni dimostrano come sul tema delle reti giudiziarie non vi siano e non vi possano essere certezze. In effetti, si tratta di un campo ancora tutto da indagare. Per ora è possibile solo indicare una prospettiva di studio della governance giudiziaria europea, che partendo dalle esperienze sin qui realizzate, individui il potenziale, ovvero i possibili passi successivi, nonché le ricadute delle dinamiche illustrate sulla funzione giurisdizionale. 13 Alessandra Di Martino, Il territorio: dallo Stato-nazione alla globalizzazione. Sfide e prospettive dello Stato costituzionale aperto, Giuffrè, Milano, 2010, passim. 14 In questo senso v. R. Toniatti, La razionalizzazione del ruolo dello Stato: spunti e appunti per uno studio sistematico sull’ordinamento composto, in A. Reposo, L. Pegoraro, R. Scarciglia, M. Gobbo, S. Gerotto (a cura di), Federalismo, decentramento e revisione costituzionale negli ordinamenti policentrici - Liber Amicorum per Nino Olivetti Rason, PADOVA: CLEUP, 2010, (IL DIRITTO DELLA REGIONE), p. 266. 15 Ciò non costituisce tanto un’applicazione del principio di “sussidiarietà”, quanto piuttosto una risposta all’esigenza di garantire il rispetto, negli ordinamenti interni, delle sentenze emesse in applicazione del diritto comunitario. In questo senso v. D. F. Waelbroeck, Liability: Convergence or Divergence?, in D. Curtin, T. Heukels (cur.), Institutional Dynamics of European Integration, Essays in Honour of Henry G. Schermers, II, Dordrecht, 1994, p. 468. 80 Parte II^ LE ESPERIENZE Andrea Di Nicola Ricercatore in Criminologia Facoltà di Giurisprudenza Università degli Studi di Trento PREMESSA Buongiorno a tutti e grazie di essere intervenuti. Nell’aprire questa prima sessione del nostro Convegno sulle reti giudiziarie europee nella quale ci occuperemo delle esperienze, ovvero delle reti giudiziarie come sono “vissute” dai loro operatori, prima di introdurre i nostri primi relatori e ospiti, permettete un breve commento. Sono un criminologo e quando sento parlare di reti mi vengono innanzitutto in mente le reti criminali. Una parte della criminologia infatti analizza come i criminali collaborano tra di loro, come entrano in connessione. Stiamo parlando di network analysis. Queste ricerche hanno il merito di aiutare a capire le organizzazioni criminali, le connessioni tra i loro membri e i nodi principali, ovvero le figure più rilevanti, e di supportare le investigazioni. Però la criminologia non si è occupata, né si sta occupando approfonditamente, di esaminare come prendono forma nella prassi applicativa le reti giudiziarie, sia quelle formalizzate che non. Al di là delle regole scritte o dentro le regole scritte, come gli operatori delle reti giudiziarie entrano concretamente in rapporto tra loro, quali sono i punti di forza e di debolezza di queste reti? La network analysis potrebbe dunque essere proficuamente usata anche per la comprensione delle risposte alla criminalità complessa che avvengono in rete. Sono certo che molto di quello che sentiremo dai relatori di questa prima sessione, che partiranno proprio dalla loro esperienza di operatori, ci permetterà di gettare uno sguardo sulle reti giudiziarie “in azione”, con la speranza che anche le nostre discipline scientifiche si interessino di più a questi temi. Le persone sedute a questo tavolo sono esperti di cooperazione giudiziaria. Abbiamo il dottor Filippo Spiezia, che è stato a lungo magistrato presso la Direzione Distrettuale Antimafia di Salerno e da qualche anno è vice membro 83 italiano presso EuroJust. Spiezia si occupa di cooperazione giudiziaria penale in ambito europeo, di facilitare le indagini contro la criminalità organizzata transnazionale tra Stati membri. Alla mia destra c’è il dottor Venegoni, che è stato sostituto procuratore a Genova e che oggi lavora all’OLAF, l’ufficio della Commissione europea per la lotta antifrode. L’OLAF svolge tutte le funzioni investigative attribuite alla Commissione in ambito di lotta contro le frodi, la corruzione e qualsiasi altra attività illegale che danneggi gli interessi finanziari ed economici della Comunità europea e, nel farlo, coopera necessariamente con gli Stati membri. Luca Perilli, giudice presso il Tribunale di Rovereto, magistrato nella nostra comunità, ha lavorato e lavora in progetti e missioni di formazione, di assistenza tecnica in contesti internazionali, sia in Paesi da poco entrati a far parte dell'Unione europea sia in Paesi che potranno entrarvi o, più in generale, che necessitano supporto. Ci parlerà di come un magistrato si può trovare a collaborare con colleghi stranieri, portando esperienza e formazione in un ambito di cooperazione più informale. Questi sono i nostri ospiti di oggi. Passo dunque volentieri la parola al dottor Filippo Spiezia di EuroJust. 84 Filippo Spiezia EuroJust, L’Aja EUROJUST: RUOLO ED ESPERIENZE Ringrazio il professor Toniatti e tutti gli organizzatori per l’invito, particolarmente apprezzato, a partecipare a questo interessante convegno sulle Reti giudiziarie europee. Colgo l’occasione per salutare i colleghi presenti e gli amici dell’Università degli studi di Trento, con i quali vi è già una consuetudine di rapporti per comuni riflessioni su tematiche afferenti il diritto sovranazionale. Vorrei partire dalle indicazioni che sono state già date dal primo relatore, in sede di introduzione di questo convegno, sul concetto di rete perché, a mio avviso, esso esprime bene, in sintesi, il significato ed anche del senso di questa iniziativa. È stato sottolineato l’uso metaforico della parola rete che bene esprime, innanzitutto, le relazioni tra giurisdizioni e, ancora prima, tra i diversi livelli di produzione normativa. In quest’ultimo senso, la relazione a rete tra fonti, secondo il concetto di un pluralismo ordinato contrassegnato da una reciproca integrazione tra ordinamento statuale, sovranazionale ed internazionale, rappresenta il superamento del tradizionale assetto di rapporti tra fonti del diritto inteso come relazioni organizzate secondo una graduazione di tipo gerarchico. La rete come metafora vale anche ad indicare le relazioni tra autorità impegnate in rapporti di cooperazione giudiziaria; infine, la rete può valere per indicare la relazione tra i soggetti impegnati nell'attività di formazione nelle esperienze dei diversi paesi. Ho riflettuto molto su questo spunto iniziale, che del resto è in linea con le indicazioni che abbiamo ricevuto in via preliminare sui temi di questo convegno e ciò mi consente di formulare una prima conclusione che anticipo qui, all'inizio del mio intervento. A mio giudizio, alla luce del Trattato di Lisbona e con specifico riferimento ai rapporti di cooperazione giudiziaria vissuti da quell’angolo visuale rappresentato da EuroJust, il concetto di rete è già in parte superato. Essa resta indubbiamente fondamentale, perché contrassegna quell'insieme di connessioni 85 e di collegamenti esistenti tra organi e giurisdizioni, tra organismi della formazione e, ancor prima, tra sistemi di produzione normativa. Tuttavia il dato che si ricava dall 'esperienza vissuta sul campo in quest’ultimi anni – e a noi oggi si richiede proprio un contributo che parta da essa - dimostra che, a fronte delle forme di manifestazione di criminalità di tipo transnazionale, con le quali quotidianamente ci rapportiamo nell’attività di assistenza alle autorità nazionali, non solo appare insufficiente la reazione isolata degli Stati, fondata sul concetto di sovranità statuale, ma lo è anche la risposta della Rete. Sotto questo profilo EuroJust rappresenta il primo serio tentativo, a livello dell'Unione europea, di introdurre, nell'ambito delle relazioni di cooperazione giudiziaria una prima forma di verticalizzazione, che noi definiamo leggera, nei rapporti tra le diverse autorità giudiziarie dei paesi membri, che supera il concetto della rete. I caratteri della moderna criminalità, grave e organizzata, sempre più connotata da dimensioni transnazionali, hanno posto i sistemi penali nazionali sotto forte tensione, rendendo evidente l’inadeguatezza della reazione isolata. Le diverse modalità di tempo e di luogo che caratterizzano l’attività criminale transnazionale, determinano difficoltà investigative e pongono l’esigenza del coordinamento, anche sopranazionale, delle indagini penali nazionali, oltre che problemi di individuazione della giurisdizione. In questo contesto, il terrorismo internazionale è solo una delle priorità, accanto ad altri fenomeni criminali (traffico internazionale di stupefacenti, traffico di esseri umani, etc.), che ha richiesto il rafforzamento della cooperazione interstatuale, sempre più attuata nel quadro di una integrazione tra le autorità giudiziarie coinvolte nei relativi procedimenti. Queste, pur appartenendo a diversi ordinamenti, operano con collegamenti diretti in un quadro di crescente reciproca fiducia, pur permanendo, in alcuni casi, resistenze statuali riconducibili alla paura della “perdita di sovranità”. L’organizzazione e l’internazionalizzazione del crimine ha richiesto, dunque, l’adozione di un modello che pone al centro l’idea del coordinamento, divenuto concetto chiave nel campo della lotta al crimine organizzato transnazionale. Eurojust nasce come facilitatore ed interface necessario delle diverse autorità giudiziarie nazionali. L’obiettivo di agevolare «il buon coordinamento tra le autorità nazionali responsabili dell’azione penale, anche sulla base delle analisi di Europol», si traduce in un’azione volta al superamento delle asimmetrie informative e strategiche dei soggetti attivi nell’azione di contrasto. Questi vengono posti in condizione di dialogare e confrontarsi nel corso di appropriate riunioni di coordinamento, nel corso delle quali vengono affrontati e spesso 86 superati problemi derivanti dalle perduranti differenze dei sistemi penali e processuali nazionali, modellati su criteri di competenza territoriale frammentati e non ancora sufficientemente armonizzati. Per comprendere la differenza funzionale tra Eurojust e la Rete credo che un esempio valga a chiarire meglio il senso delle mie affermazioni. Nei giorni scorsi abbiamo tenuto una riunione organizzata dal desk italiano di Eurojust, su impulso dell'autorità giudiziaria di Salerno, in una vicenda che credo sia nota a tutti, quella dell’omicidio di Elisa Claps. Nell’ambito delle relative indagini, l’autorità giudiziaria di Salerno ha emesso ed inviato un mandato di arresto europeo alla competente autorità del Regno Unito ai fini dell’esecuzione. Quest’ultima è preceduta, secondo la normativa interna di quel paese, da una certificazione che compete al Soca (l’agenzia nazionale che si occupa di crimine organizzato), allo scopo di ottenere l’accesso alla fase esecutiva. Tra l'altro, si è trattato di una fase esecutiva particolarmente problematica nel caso concreto, perché, come è noto, il soggetto colpito dal mandato, di recente è stato arrestato proprio dall'autorità britannica, dovendo rispondere di un gravissimo fatto omicidiario anche in quel contesto nazionale. Noi abbiamo promosso una riunione perché l'autorità giudiziaria italiana aveva l’esigenza di acquisire un campione del Dna, per confrontarlo con le tracce biologiche che sono state rinvenute sul luogo di ritrovamento del cadavere di Elisa Claps, a distanza di molti anni dalla scomparsa e dalla morte della donna. Vi erano delle difficoltà, segnalate dai colleghi italiani, nell’ottenere tale campione, tenuto conto di alcuni requisiti formali propri della legislazione del Regno Unito in materia di tutela della privacy e della conservazione di campioni biologici nelle relative banche dati; tra l'altro, tali problemi scaturivano anche dall'esistenza di un procedimento investigativo pendente nel Regno Unito per fatti connessi. A fronte di queste difficoltà abbiamo organizzato ad Eurojust una riunione di coordinamento ottenendo, all’esito, un risultato che credo importante, che ha consentito uno sviluppo delle indagini condotte nei rispettivi ordinamenti. Infatti le autorità inquirenti del Regno Unito hanno potuto ricevere una serie di informazioni che hanno potuto ulteriormente sviluppare nel contesto della loro indagine nazionale, mentre l'autorità giudiziaria italiana ha potuto ottenere l’esecuzione della rogatoria attraverso un atto di perquisizione finalizzata alla raccolta di materiale da cui estrarre tracce biologiche. 87 Ciò che è stato fatto, in questo caso, è aver agevolato un rapporto di cooperazione finalizzato all’esecuzione di una rogatoria giudiziaria internazionale, per la quale vi erano difficoltà nella fase esecutiva. Tuttavia la missione essenziale di Eurojust non è questa. Se noi esaminiamo la decisione istitutiva del 2002 – i cui contenuti sono stati ripresi ed ampliati nel Trattato di Lisbona, in particolare nelle previsioni degli articoli 85 e 86 – la funzione di Eurojust è quella di agevolare il coordinamento tra le autorità giudiziarie responsabili dell'azione penale. Sottolineo dunque il concetto: "agevolare il coordinamento". Esso rinvia, sul piano strutturale, ad un'organizzazione diversa rispetto a quella della Rete. Il confronto pù immediato è alla Rete dei punti di contatto di cui all’Azione comune del 1998. In quel caso abbiamo una serie di punti di contatto, che in Italia, come è noto, sono costituiti dai punti di contatto istituiti presso le 26 Procure generali, le Corti d'appello il Ministro della giustizia e la Procura nazionale antimafia. Esistono poi punti di contatto negli altri Paesi. La dimensione finalistica della Rete dei punti di contatto è quella di agevolare i rapporti di cooperazione tra le autorità giudiziarie dei diversi paesi membri. Nell'ambito di questa dimensione, tuttavia, ciascuna autorità rimane all'interno del proprio ordinamento, con le proprie prospettive investigative, con le proprie necessità procedimentali di acquisizioni probatorie, che prescindono dalla definizione di una possibile e condivisa comune strategia. Perché vi è il bisogno di accrescere il livello delle relazioni, ossia di passare da concetto di rete a quello, diverso, del coordinamento? Dal punto di vista strutturale è noto che il concetto di coordinamento esprime un modulo funzionale ed organizzativo mutuato dal diritto amministrativo e rinvia all'esistenza di un organismo in posizione non gerarchicamente superiore, ma comunque differenziata rispetto ai soggetti da coordinare, in vista del perseguimento di una funzione unitaria. Sul piano processuale interno, il modello di coordinamento di tipo investigativo che conosciamo è quello della procura nazionale antimafia, di cui all'articolo 371-bis del codice di diritto. L'esistenza di una prospettiva di coordinamento è tanto più necessaria nella misura in cui ci troviamo a fronteggiare fattispecie delittuose a carattere transnazionale. È l'unitarietà dei fenomeni criminali – pensiamo all'ipotesi di traffico internazionale di sostanze stupefacenti, del traffico internazionale di persone ( traffico di esseri umani) – che esige un minimo di centralizzazione ai fin del coordinamento delle indagini, ovvero l'esistenza di un soggetto in grado di 88 fornire indicazioni più o meno vincolanti nei confronti delle autorità giudiziarie competenti, al fine di esprimere una visione strategica unitaria per un efficace azione di contrasto al fenomeno criminale transnazionale. Nell'esempio ho fatto prima, dell’omicidio Claps in Italia e dell’omicidio Barrett nel Regno Unito, abbiamo due fatti criminosi distinti, rispetto ai quali abbiamo due autorità giudiziarie che sviluppano autonomamente le loro investigazioni anche se, a un certo punto, hanno bisogno di cooperare, cioè di aiutarsi l'un l'altra per ottenere lo scambio di informazioni, per finalità latu sensu probatorie. Quindi la cooperazione rinvia a questo concetto del lavorare insieme per migliorare l'efficacia del risultato complessivo, ma ciascuno rimanendo nel proprio ordinamento, senza la condivisione di una strategia comune. Il concetto di coordinamento invece richiede l'esistenza, dal punto di vista organico, di un organismo unitario, capace di sottendere ed esprimere una diversa visione. Questa differenza funzionale si riflette dunque sul piano strutturale. A differenza della Rete dei punti di contatto e dei magistrati di collegamento, che sono localizzati nei diversi paesi dell'Unione europea, EuroJust è composta da 27 rappresentanti dei Paesi membri che siedono tutti insieme, all'interno di un'unica struttura con sede all’’Aja, cui compete questa innovativa funzione. Il 2009 è stato un anno molto importante per Eurojust: esso è stato contrassegnato dall'incremento dell'operatività dell'organismo che ha registrato complessivamente 1372 casi nuovi, con una progressione ed un aumento del 10% rispetto al trend registrato nel 20008, già a sua volta crescente rispetto alle statistiche registrate negli anni precedenti. Anche dal punto di vista qualitativo l'azione dell'organismo è migliorata, per il tipo di feedback ricevuto in proposito dalle autorità giudiziarie nazionale, ossia dagli utenti finali del servizio erogato da Eurojust. Il 2009 è stato un anno importante anche per il contesto giuridico ordinamentale nel quale si inserisce l'azione di EuroJust. Si ricordava infatti, all'inizio del convegno, l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona e l'adozione del programma di Stoccolma. Cosa significherà tutto questo per l’organismo? L'articolo 82 del TFUE si apre con la riaffermazione di un principio importante in materia di cooperazione giudiziaria. Parlo di riaffermazione perché è noto che sin dal 1999, con le conclusioni del Consiglio di Tampere, il principio del mutuo riconoscimento è stato già indicato a chiare lettere come la pietra angolare della cooperazione giudiziaria nell’UE. Ebbene, l'articolo 82 ribadisce questo principio e riconferma 89 anche la scelta verso l'armonizzazione normativa, in chiave funzionale, cioè come misura che agevola la migliore attuazione del principio di mutuo riconoscimento. Ciò che occorre chiedersi, sul piano della prassi e dell’applicazione degli strumenti, è in che misura i rapporti di cooperazione giudiziaria e l’ azione di coordinamento promossa da Eurojust sono in linea con i principi sanciti nel Trattato, secondo cui la cooperazione giudiziaria si basa sul principio del mutuo riconoscimento. Parlo qui ad esperti e quindi non devo spiegarne il significato dal punto di vista tecnico giuridico. Devo però una risposta sul piano della pratica, ossia del concreto sviluppo dei rapporti tra gli Stati membri: per questo posso riferire che il 90% delle azioni di cooperazione che si sviluppano tra le autorità giudiziarie degli Stati membri non si fondano, nella prassi, sul principio del mutuo riconoscimento delle decisioni giudiziarie. A parte l'esperienza del mandato d'arresto europeo, che può essere indicata come una storia crescente di successi, per l’efficacia rivelatasi nelle relative procedure che hanno sostituito i tradizionali meccanismi estradizionali, per il resto, quando le nostre autorità giudiziarie devono acquisire elementi di prova o devono sviluppare le indagini nel territorio degli altri Stati membri, ricorrono allo strumento rogatoriale, che rinvia ad una tradizionale concezione dei rapporti di cooperazione, secondo una dimensione di tipo orizzontale, fondata su relazioni intergovernative. Quali le cause di tutto questo? Innanzitutto, a parre di chi vi parla, la mancata ratifica di una serie di strumenti e di decisioni quadro molto importanti basate sul principio del mutuo riconoscimento. Basti pensare alle decisioni quadro in materia di congelamento, sequestro e confisca dei proventi di reato (2003, 2005 e 2006), al mancato esercizio della delega legislativa conferita dal Parlamento al governo con la legge comunitaria per il 2007 e per il 2008. Dunque, gli strumenti si elaborano a livello comunitario, vengono adottati dopo faticosi negoziati, ma spesso non si traspongono a livello nazionale. In secondo luogo rileva, quale causa di insuccesso della formula del mutuo riconoscimento, la cattiva qualità di alcuni strumenti: si pensi al mandato europeo di ricerca della prova adottato dal Consiglio nel dicembre 2008. Si è partiti da una prospettiva ambiziosa, ma il risultato finale è piuttosto scadente. Il numero e la qualità dei dati probatori acquisibili con il MER è decisamente esigua rispetto alle previsioni iniziali. Direi, infine, che c'è anche un problema di armonizzazione complessiva tra gli ordinamenti e su questo credo che il collega Perilli potrà darvi la sua testimonianza 90 nella sua opera di relazioni e rapporti con gli altri Paesi che hanno avuto accesso all'Unione europea. Un problema di armonizzazione che è tuttora perdurante. Al riguardo ho avuto modo di apprezzare un lavoro fatto proprio da un ricercatore di questa università, il dottor Calderoni, che ha condotto una ricerca molto interessante sullo stato di attuazione e di armonizzazione delle normative sovranazionali in materia di associazione criminale. Il risultato di questa ricerca è stato il riconoscimento di uno scarso grado di armonizzazione con riferimento a quella tipologia delittuosa. Anche questo rappresenta un serio ostacolo all'attuazione del principio del mutuo riconoscimento in quanto non vi è dubbio che la presenza di sistemi armonizzati influenza il livello di reciproca fiducia, precondizione per la piena operatività del medesimo. Quali le vie di uscita? Da operatori del diritto ci tocca indicare i problemi, ma anche indicare possibili soluzioni: allo stato della mia esperienza direi che la prospettiva dello scambio di informazioni, prevista dai più recenti atti pattizi internazionali – già previsto per la cooperazione di polizia ed elevato al rango di strumento adoperabile nelle relazioni tra autorità giudiziarie e l’agevolazione del coordinamento sovranazionale, possono costituire valide alternative . Infatti, nel corso delle riunioni di coordinamento promosse da Eurojust alla quale partecipano le autorità giudiziarie responsabili dell'azione penale, di fatto si riescono spesso ad individuare soluzioni, di volta in volta elaborate nel quadro del legal framework internazionale, che possono far fronte alle carenze sopra individuate. Attraverso l’incontro ed il confronto delle autorità giudiziarie, con il supporto di Eurojust, vengono elaborati protocolli operativi finalizzati, ad esempio, alla prevenzione di conflitti di giurisdizione, alla elaborazione dei comuni strategie investigative, alla prevenzione di situazioni che possono rappresentare potenziali violazione del principio del bis in idem, ecc.. Concludo il mio intervento dicendo che la prospettiva resta molto stimolante e interessante. Si pensi alla nuova decisione su Eurojust, numero 426 del 2009, che dovrà essere attuata nell’ordinamento nazionale entro il mese di giugno 2011. L’attività di trasposizione porrà una serie di difficoltà, specie laddove è previsto un incremento delle attribuzioni del membro nazionale, con espresso conferimento di poteri giudiziari ( artt. 9 a- 9e). Ancora lontana appare la prospettiva della possibile istituzione del Procuratore europeo, anzi, dell'ufficio del Procuratore europeo. Ci sono state forti spinte, specialmente durante l'esperienza della 91 presidenza di turno spagnola, verso la realizzazione di passi concreti per la realizzazione di questo nuovo organismo. L'idea spagnola peraltro richiama molto da vicino quel concetto di rete, cioè questa volta riferita a relazioni fra Procuratori generali. Sul punto, l’idea che si ricava dalla lettura del Trattato, confermata anche dal programma di Stoccolma, è quella di arrivare alla costituzione di questo organismo attraverso una politica step by step, cioè di approccio graduale. Si tratterà, dunque, prima di attuare l'articolo 85 del TFUE con l’attribuzione ad Eurojust del potere di decidere l’apertura di un procedimento investigativo e, solo nella fase finale, di procedere alla costituzione di organismo titolare dell’esercizio dell'azione penale, secondo le previsioni di cui all’art. 86 del TFUE, a partire dai reati che ledono gli interessi finanziari dell’UE. Io credo che per quanto riguarda la magistratura italiana, ma non solo (penso anche al ruolo dell’accademia e dell'avvocatura), sia oggi molto importante essere presenti nel nuovo cantiere dell’UE, che si riapre a partire da Lisbona con inediti scenari. Poter far sentire la propria voce significherà poter portare la nostra sensibilità ed il nostro approccio culturale, fondato sulla cultura del diritto e dei diritti e poter condividere, anche nella logica della rete, la nostra lunga esperienza in una aperta e costruttiva prospettiva di confronto con le altre culture e tradizioni giuridiche. Vi ringrazio per l’attenzione. 92 Andrea Venegoni OLAF, Bruxelles L’UFFICIO EUROPEO PER LA LOTTA ANTIFRODE (OLAF): FUNZIONI ED ORGANIZZAZIONE Anch’io prima di tutto vorrei cominciare con i ringraziamenti agli organizzatori per aver pensato ad un convegno di questo tipo, perché secondo me è sempre utile diffondere la circolazione di informazioni su questo argomento, soprattutto oggi, quando siamo in una fase di transizione, di passaggio, verso la piena creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Quindi è molto importante che se ne parli, è molto importante avere conoscenza degli strumenti che esistono già oggi. Sono d'accordo con Filippo Spiezia quando dice che parlare del concetto di rete oggi, nel senso di collegamento tra autorità giudiziarie di Stati membri indipendenti, a proposito della cooperazione giudiziaria penale internazionale, probabilmente vuol dire parlare di un concetto già superato. Se noi guardiamo a determinate normative specifiche, quella sull’EuroJust ma anche quella dell’OLAF di cui ora vi parlerò molto in breve, in realtà siamo già molto oltre un concetto di rete in questo senso. Addirittura, cosa che può sembrare incredibile, per quello che riguarda l’OLAF siamo già oltre il concetto di rete dal 1999, cioè già da 10 anni, da quando esiste questo organismo. Il motivo è che l’OLAF non è un organismo di collegamento, ma di investigazione ed ha il potere di compiere indagini sovranazionali di carattere europeo. Quindi esiste già dal 1999 un organismo investigativo che e’ in grado di mandare investigatori in tutti i Paesi, non solo europei ma, a certe condizioni, addirittura anche extra UE ed extraeuropei, senza i limiti delle frontiere nazionali. Ovviamente stiamo parlando di indagini amministrative e voi potreste dirmi che non sto parlando di procedimenti penali, ma per normativa comunitaria di ex primo pilastro, quindi regolamenti applicabili immediatamente nello Stato membro, gli esiti delle indagini amministrative OLAF nei quali gli investigatori, come ripeto, 93 non hanno limiti territoriali, sono trasmissibili, possono passare nel procedimento penale. Quindi oggi, ma, ribadisco, già da 10 anni a questa parte - circostanza forse non nota a molti - esiste già la possibilità di condurre delle indagini senza limiti di barriere nazionali, i cui risultati possono confluire in un procedimento penale. Questa non è solo teoria, ma di questo abbiamo esperienza concreta. La riflessione che vorrei fare, in aggiunta a quanto detto prima, è quindi che il concetto di rete in un certo senso è già superato, siamo addirittura già all’indagine sovranazionale. Il fatto è che molto spesso ho l'impressione che queste possibilità, che pure esistono, non siano del tutto conosciute, anche e soprattutto a livello della pratica. Ovviamente l'attività dell’OLAF è circoscritta in limiti ben precisi, nel senso che non si occupa di indagini di qualunque tipo, non si occupa di droga, di terrorismo, di traffico di esseri umani, ma solo di una particolare materia che è la protezione degli interessi finanziari dell’Unione europea. Si occupa quindi di tutte quelle condotte che in qualche modo possono incidere sul bilancio comunitario; per esempio, per quanto attiene alle spese, l’uso dei cosiddetti fondi strutturali, il settore dei contributi in agricoltura; vi sono poi le somme erogate nel settore della ricerca scientifica, nell’ambito dei cd “programma quadro”: tutte le condotte che in qualche modo possano costituire o delle irregolarità o anche delle frodi - e quando si parla di frodi c'è il collegamento con l'indagine penale -nell’utilizzo di tali fondi di provenienza europea rientrano nell'ambito di competenza dell'OLAF. Per quanto riguarda le entrate, poiche’ le entrate del bilancio comunitario sono essenzialmente diritti doganali, rientrano nelle competenze dell’OLAF tutte le fattispecie di contrabbando, tutte quelle fattispecie che tendono all’evasione dei diritti doganali, inclusi, per esempio, i dazi anti-dumping; al riguardo c'è tutta una casistica di ipotesi di frodi che trattiamo quotidianamente. Analizziamo quindi in che modo l'azione concreta dell’OLAF può favorire la cooperazione tra Stati. Può favorirla nel senso che quando l’OLAF apre un'indagine, ovviamente apre un'indagine amministrativa. Nell'ambito di questa indagine può compiere determinate attività investigative proprie. Esiste una normativa comunitaria, cioè un regolamento, il 1073 del 1999, direttamente applicabile negli Stati Membri in quanto regolamento di ex primo pilastro, che disciplina tutta l'attività dell'ufficio. Aperta l'indagine, l’OLAF per esempio può andare a fare dei veri propri controlli sul posto, presso gli operatori economici che si ritiene abbiano commesso l’irregolarità o la frode. Quindi materialmente questo vuol dire che gli investigatori dell'OLAF da Bruxelles partono e vanno nei vari Paesi 94 europei senza dover richiedere nessun tipo di autorizzazione allo Stato membro. Questo è già implicito nel potere dell’OLAF. Gli Stati membri, aderendo all'Unione europea, aderiscono all'attività investigativa dell'OLAF. Vanno presso questi operatori economici, possono sequestrare documenti anche su supporto informatico, possono interrogare persone e dopodiché redigono un rapporto in cui danno conto di questa attività, allegando i documenti. Se da questa attività emergono gli estremi di un reato, questo rapporto può essere trasferito all'autorità giudiziaria nazionale. Lo stesso regolamento 1073/99 afferma espressamente che questo rapporto amministrativo ha lo stesso valore dei rapporti redatti dalle autorità amministrative degli Stati membri. Ha lo stesso valore che potrebbe avere il verbale di una verifica tributaria fatta per esempio dalla Guardia di Finanza. La conseguenza di questo è che, parlando per esempio di documenti, se l’OLAF è andato ad acquisire dei documenti – poniamo - in Romania e li ha trasmessi all'autorità giudiziaria italiana perché si sta indagando su un'ipotesi di frode che riguarda Italia e Romania, tali documenti, in quanto allegati ad un rapporto amministrativo, dovrebbero potersi produrre anche nel procedimento penale, dovrebbero poter essere presentati come elemento di prova dal pubblico ministero al giudice penale. Ovviamente per le testimonianze e le dichiarazioni il discorso potrebbe essere un po' diverso, anche se l’OLAF agisce cercando di rispettare le garanzie della difesa: la persona ha diritto di essere assistita da una persona di fiducia, che sia un avvocato o meno, ma sul valore nel procedimento penale delle deposizioni assunte in sede amministrativa si potrebbe discutere; per quanto riguarda i documenti, invece, si puo’ sostenere che possano essere trasferiti nel procedimento penale in un modo che li renda utilizzabili, in virtu’ di normativa comunitaria direttamente applicabile negli Stati Membri senza bisogno di attuazione da parte della normativa nazionale. A volte quindi la questione è di conoscere e saper utilizzare gli strumenti che già ci sono, anche se con questo non voglio dire che l’OLAF sia il miracolo che risolve tutti i problemi di lotta alla criminalità finanziaria, organizzata o meno. Ovviamente quanto detto sopra avviene a certe condizioni, seguendo determinate procedure, ma allo stesso tempo devo dire anche che noi, nella nostra esperienza pratica, abbiamo vissuto dei casi concreti di questo tipo. Casi che poi, nei procedimenti penali, hanno portato a dei sequestri per milioni di euro. Sapete che parallelamente c'è tutta una normativa nazionale che ha attuato 95 normative comunitarie, per esempio in materia di confisca per equivalente, uno strumento che oggi è diventato efficacissimo nella lotta a questo tipo di reati. Combinando tutte queste fonti normative, secondo me si possono ottenere risultati anche oggi. Spesso è un problema di conoscenza di queste possibilità. Anche per l’OLAF si pongono i problemi degli scenari futuri, che sono tutti da definire, nel senso che nel trattato di Lisbona l’OLAF non viene citato, a differenza di EuroJust. Probabilmente questo per un motivo molto pratico che, a mio parere, potrebbe essere semplicemente perché l’OLAF e’ un servizio della Commissione Europea - non è un'agenzia, non è un organismo distinto dalla Commissione - e quindi il Trattato cita la struttura complessiva e non le sue singole componenti. Penso comunque che l'esperienza dell'OLAF, in un modo o nell'altro, potrà essere utile nel dibattito sul procuratore europeo, perché se il procuratore europeo, in una prospettiva futura, dovesse mai arrivare a configurare un organismo che può fare indagini sovranazionali, questo oggi lo fa l’OLAF, è l'unico organismo oggi abilitato a fare questo tipo di indagini. Credo quindi che nel dibattito sul procuratore europeo dovrà entrare anche l’OLAF. Certamente, oggi dal punto di vista della composizione e della struttura, OLAF ed EuroJust sono due organismi abbastanza diversi. Per esempio l’OLAF non è un organismo di magistrati, ma è un organismo "anche" di magistrati. I magistrati rappresentano una minima parte del personale dell’OLAF. L’OLAF è essenzialmente un organismo di funzionari comunitari con funzioni amministrative e investigative; il personale investigativo italiano proviene in genere dalla Guardia di Finanza, dai Carabinieri e dalle Dogane; per gli altri Stati Membri, dai rispettivi servizi di polizia o dalle Dogane. I magistrati sono solamente componenti di un’unità specifica, un'unità con competenza orizzontale interna, che dà consigli giuridici e legali agli investigatori nello svolgimento delle indagini e poi tiene i rapporti con le autorità giudiziarie degli Stati membri, oppure sono capi di alcune unita’ investigative. Però non direi, se si dovesse usare una formula per identificarlo sinteticamente, che l’OLAF sia un organismo di magistrati. Peraltro, e in questo vi potrebbero essere analogie con la possibile futura istituzione della Procura Europea, il personale dell’OLAF lavora nell'interesse dell'istituzione comunitaria. Io stesso sono un magistrato italiano che è stato distaccato per lavorare presso l’OLAF e, nel momento in cui sono entrato a farne parte, ho prestato e presto il mio servizio nell’interesse della istituzione comunitaria. Noi prima di tutto ci occupiamo di proteggere il bilancio comunitario 96 nell’interesse della istituzione: chiaramente, per motivi linguistici e di conoscenza del sistema giudiziario, ogni magistrato tende principalmente a seguire le questioni attinenti al proprio Paese di origine, ma questo in quanto agente OLAF che all'interno di questo organismo, per tutelare gli interessi comunitari, si occupa dei rapporti con un particolare Stato membro. La situazione amministrativa dei due organismi, ad oggi, mi sembra quindi diversa, distinta. Se poi vogliamo discutere di quali potrebbero essere gli scenari futuri e il futuro dell’OLAF in particolare, allora si apre un altro discorso, che probabilmente porterebbe via molto tempo. Lo scenario comunque è aperto ed è in movimento. Ritengo che il futuro, da questo punto di vista, sarà molto interessante. Oltretutto sul procuratore europeo mi risulta che la Commissione Europea abbia già cominciato a fare i primissimi passi preliminari: non è probabilmente una entita’ che rimarrà sulla carta del trattato di Lisbona, ma già nei prossimi anni si potrebbe incominciare a vedere qualcosa a proposito del procuratore europeo. Questo è il contributo che volevo darvi, molto sintetico. Se ci fossero domande ovviamente sono a disposizione. Grazie. 97 Luca Perilli Magistrato Rovereto - Trento Il RUOLO DEI MAGISTRATI NEI PROGRAMMI INTERNAZIONALI DI ASSISTENZA PER LA RIFORMA DELL’ORDINAMENTO GIUDIZIARIO Buon pomeriggio. Premetto che la mia attività di esperto internazionale nel settore giudiziario di cui sono chiamato a riferire è, per un verso, più complessa e, per altro verso, più “formalizzata” di come è stata presentata dal presidente di questa sessione. In vista di questo incontro mi volto sono a guardare indietro per ripercorrere gli ultimi sei anni di vita professionale, nei quali ho attraversato, nella mia veste di giudice esperto di sistemi giudiziari, Paesi assai diversi, dai nordici Paesi baltici, ai Balcani occidentali, fino al Caucaso ed all'Africa settentrionale. Gli eventi più frequenti cui ho preso parte sono stati conferenze o seminari di formazione per giudici e pubblici ministeri, ossia luoghi di scambio di esperienze e conoscenze. Oltre che nell’attività di formazione giudiziale, sono stato, in certi periodi anche lungamente, impegnato in missioni di assistenza tecnica nel settore giudiziario. A tale riguardo devo ringraziare il Consiglio Superiore della Magistratura che mi ha dato fiducia, assegnandomi il ruolo di esperto chiave nei due progetti di gemellaggio, condotti in Albania nel 2007 e 2008 ed in Romania quest’anno, di assistenza ai Consigli Superiori della Magistratura, albanese e rumeno, per la realizzazione delle riforme necessarie per l’adeguamento del sistema giudiziario ai cosiddetti standards europei. Il riferimento agli standards mi consente di menzionare, inoltre, la mia attività di esperto internazionale per conto della Commissione Europea, DG Giustizia ed Allargamento, nell’ambito della valutazione dei sistemi giudiziari dei Paesi candidati all'accesso all'Unione europea. 99 SI tratta, come dicevo in apertura di questo intervento, di un’attività “formalizzata”, perché le missioni organizzate dalla Commissione Europea hanno una collocazione specifica nell’ambito del percorso delle negoziazioni condotte dai Paesi candidati, con gli Stati Membri per il tramite della Commissione Europea, per l’accesso dei primi all’Unione Europea. Tale cammino verso l’ accesso all’Unione si apre e si chiude con la stipula di Trattati: dal Trattato di Associazione e Stabilizzazione al Trattato di Adesione. Lungo il guado di questo percorso, il Paese candidato deve dimostrare di essersi allineato all’ acquis communautaire e quindi di essersi adeguato agli standards europei con riferimento a ben 35 settori, chiamati capitoli, dell’ordinamento europeo. Nel percorso di negoziazione i capitoli vengono aperti e chiusi. La chiusura di tutti i capitoli segna il passaggio al Trattato di Adesione. Il capitolo numero 23, nel quale mi trovo ad operare come esperto, riguarda appunto l’ordinamento giudiziario ed i diritti umani ed è uno dei più complessi, sia perché coinvolge l’essenza dei principi costituzionali del Paese candidato sia perché gli standards internazionali in materia di Giustizia non sono così raffinati come possono esserlo, ad esempio, regole tecniche in materia di politica agricola oppure i regolamenti e le linee guida emessi dalle Istituzioni comunitarie in materia di antitrust. Ed è proprio per queste peculiarità dell’ acquis communautaire nel settore dell’ordinamento giudiziario che, nonostante la “formalizzazione” del percorso di negoziazioni per l’accesso, dietro all’apparente freddezza del concetto di standard pulsano diritti vitali e fondamentali. Per esemplificare, consentitemi di richiamare alcuni episodi accaduti nello svolgimento della mia attività internazionale. Nel 2008, quando fu organizzata la prima missione di peer assessment review per la valutazione della Turchia, la Commissione Europea fu positivamente sorpresa dal fatto che il governo turco consentisse che il pool di tre esperti di cui io facevo parte potesse accedere all’area della Turchia sud-orientale, altrimenti conosciuta, fuori dalla Turchia, come Kurdistan turco. Andammo in città di cui non conoscevo l’esistenza: Diyarbakir, abitata da quasi un milione di curdi e circondata da possenti mura romane; Mardin, città antica, posta ad oltre 1000 metri d'altezza, ed avvolta intorno ad una enorme roccia, dalla cui sommità si domina la piana della Mesopotamia siriana. Ricordo che, nella pausa tra i diversi incontri ufficiali organizzati dalle autorità turche, avemmo modo di pranzare, fuori programma, 100 con avvocati delle organizzazioni umanitarie in difesa dei diritti dei curdi, i quali chiedevano di essere ascoltati e volevano comunicarci, in quella manciata di minuti che il programma ci consentiva, fatti e nomi di persone, in particolare di bambini e di ragazzi che erano, stati, secondo loro ingiustamente, arrestati e processati insieme ad imputati adulti, per il solo fatto di avere partecipato a manifestazioni di protesta organizzate dal PKK, un movimento politico clandestino noto come Partito dei Lavoratori del Kurdistan. Oppure, ricordo che, nel corso di una missione in Croazia, a Rjieka (la Fiume italiana) incontrai i giudici che si occupavano di crimini di guerra ed operavano in condizioni difficilissime. Raccontavano della straordinaria difficoltà di mantenere l’equilibrio, che è sempre richiesto ad un giudice, in processi che si celebravano laddove gli imputati, spesso serbi o serbo-bosniaci e pressoché sempre contumaci, erano accusati di avere commesso crimini di guerra. I giudici giudicavano sotto lo sguardo di quella stessa comunità, nella quale i presunti criminali di guerra erano accusati di avere inferto ferite ancora aperte. O ancora ricordo i seminari sull’indipendenza dei giudici, ed in particolare sui sistemi disciplinari e di valutazione della professionalità dei giudici albanesi, organizzati per conto del Consiglio Superiore della Magistratura Italiano in diverse città dell’Albania; ricordo, in particolare, le difficoltà logistiche che spesso i giudici dei albanesi dovevano affrontare per essere presenti; ad esempio per raggiungere in inverno Scutari, città nel passato mobilissima, i giudici dei tribunali vicini dovevano superare valichi innevati e percorrere strade impervie per molte ore di viaggio. Ebbene qual è il comune denominatore di queste attività? Noi oggi stiamo parlando di reti. Si possono individuare delle reti dietro le diverse esperienze professionali che ho citato? Cosa lega tra loro gli esperti internazionali, giudici nei loro Paesi, che incontrano giudici od avvocati, o giuristi, o esponenti di organizzazione umanitarie di Paesi che la storia ha allontanato per molti anni dal cuore dell’Europa? ll legante, che è espressione di un comune sentire tra i giuristi di diverse tradizioni giuridiche ed appartenenti a Paesi con storie politiche assai diverse e spesso dolorose, è rappresentato dal bisogno di tutela dei diritti umani e fondamentali. Proprio sui diritti fondamentali è costruita gran parte dell’architettura riformatrice dei sistemi costituzionali e di ordinamento giudiziario dei Paesi che aspirano all’accesso all’Unione Europea, intesa come una “comunità di diritti”. 101 Basti guardare ai cosiddetti screening reports o ai progress reports elaborati dalla Commissione Europea al fine di tracciare il percorso delle riforme dei Paesi candidati o potenziali candidati all’accesso all’Unione Europea; essi assumono a proprio riferimento, per comparare lo stato delle riforme nel Paese soggetto a screening con gli standards europei, la Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà Fondamentali, la Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea, e la giurisprudenza delle due Corti, quella della Corte Europea dei diritti dell’Uomo e le sentenze della Corte di Giustizia, che richiamano la Convenzione o la Carta di Nizza. L’esistenza di questa rete di diritti fondamentali, saldata dalla giurisprudenza delle alte Corti e che attraversa tutti gli Stati europei, si percepisce in modo chiaro, anche guardando al versante nazionale. Basti considerare la giurisprudenza della Corte Costituzionale dal 2007 a oggi in tema di rilievo della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle decisioni della Corte di Strasburgo nell’ordinamento interno; dietro l’opera di classificazione operata dalla Corte Costituzionale per attribuire la giusta collocazione alla Convenzione Europea nell’ambito del sistema di fonti di diritto disegnato dalla Costituzione Italiana, il giudice delle leggi afferma principi assai importanti nell’ottica della costruzione una rete giudiziale sovranazionale. La Corte Costituzionale riconosce, infatti, al giudice nazionale il ruolo di giudice comune della Convenzione europea dei diritti dell'uomo e gli riconosce il potere e gli attribuisce il dovere di interpretare il diritto nazionale in modo conforme alla Convenzione ed alla giurisprudenza della Corte dei Diritti dell’Uomo; afferma che la Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo vive nella giurisprudenza della Corte europea; afferma che il giudice nazionale deve essere guidato dal diritto vivente e deve pertanto interpretare la Convenzione alla luce della giurisprudenza della Corte di Strasburgo. Un analogo percorso di rilevanza dei diritti umani può essere riscontrato anche negli altri Stati aderenti al Consiglio di Europa: in tal modo i diritti fondamentali, attraverso la giurisprudenza delle Corti europee, diventano diritto vivente per i cittadini di Paesi diversi e lontani, che riconoscono, nei diritti fondamentali, la loro radice costituzionale comune. Vi è quindi una “corrispondenza” e ed un dialogo tra Corti supreme e giudici nazionali, dei diversi Paesi, che finiscono per costruire una rete di diritti. Vi sono poi altre reti, che influiscono sulla trasformazione dei sistemi giudiziari dei Paesi che aspirano all’accesso all’unione Europea e che finiscono per trovare nella giurisprudenza delle Corti europee la loro legittimazione. 102 Mi riferisco alle reti di giudici o di giuristi che, sovente sotto l’egida del Consiglio d’Europa, si confrontano e confrontano i sistemi giudiziari cui appartengono, per elaborare pareri (come nel caso dei Consigli Consultivi dei Giudici Europei o della Commissione di Venezia del Consiglio d’Europa) o raccomandazioni e carte di diritti (come nel caso del European Charter on the Statute for Judges del Consiglio d’Europa), i quali sovente rappresentano un modello od un riferimento per le riforme nel campo dell’ordinamento giudiziario. Tali opinioni e carte sono talvolta richiamate dalle decisioni della Corte di Strasburgo che, in questo modo, attribuisce forza giuridica a precetti che sono certamente autorevoli ma non posseggono l’autorità delle fonti giuridiche perché sono il prodotto di reti “informali”. Ci accorgiamo, dunque, che da reti giurisprudenziali o da reti informali di giudici e pubblici ministeri nasce un autentico diritto comune ai Paesi del Consiglio d’Europa: un diritto mobile, un diritto vivente, fatto di circolarità, di rimandi che dalle decisioni dei giudici nazionali raggiungono quelle delle Corti Europee e che da queste ritornano per costituire, secondo quella che è la mia esperienza, il riferimento del percorso delle riforme in materia di giustizia. Si tratta di un fenomeno di reti, caratterizzato dalla circolarità dei diritti fondamentali, che si affermano negli ambiti nazionali secondo un processo di bilanciamento con i principi costituzionali. La chiave di volta dell’adattamento del “diritto comune” ai diversi contesti politici dei Paesi del Consiglio d’Europa è poi rappresentato dal principio di effettività, presente non solo nella Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo –il riferimento va all’art. 13 relativo al rimedio effettivo- ma pure costantemente richiamato dalla giurisprudenza della Corte di Strasburgo. I principi fondamentali in materia di giustizia si devono infatti adattare a situazioni nazionali assai diverse: come, per ritornare agli esempi sopra citati, al trattamento dei minori curdi nei processi per –presunto- terrorismo; al trattamento degli imputati in contumacia nei processi per crimini di guerra; oppure, nel contesto dei procedimenti disciplinari o di valutazione di professionalità, al regime di garanzie di indipendenza di giudici che operano in situazioni materiali e logistiche di grande difficoltà e povertà di mezzi In tutti questi casi, gli “standards” in materia di giustizia devono confrontarsi con il principio di effettività: i diritti fondamentali che vivono nella giurisprudenza delle Corti o nelle carte e nelle dichiarazioni delle reti di giudici e pubblici ministeri devono essere tradotti secondo gli equilibri specifici propri di ogni Paese e 103 debbono adattarsi al singolare contesto sociale e politico, senza che, al contempo, ne resti intaccata l’essenza e ne resti eluso il contenuto minimo di tutela. Il prof. Toniatti mi chiede se il percorso di avvicinamento agli standard europei che viene richiesto agli Stati in procinto di entrare nell'Unione europea non sia una sorta di normalizzazione culturale. Mi riesce difficile ragione in termini “normalizzazione culturale” in materia di Giustizia, essendo difficile stabilire cosa sia la normalità degli ordinamento giudiziari, dato che in Europa abbiamo modelli giudiziari diversissimi. Basti pensare ai sistemi del Regno Unito e dell’Irlanda, nei quali i giudici sono nominati tra gli avvocati esperti all’apice della loro carriera; mentre nell’Europa meridionale i giudici vengono reclutati tramite un concorso pubblico tra inesperti e giovanissimi laureati e l’intera carriera è considerata un percorso di approfondimento e miglioramento. E così ai giudici anglosassoni, a differenza di quelli continentali, sono sconosciuti valutazioni di professionalità e codici etici. Ci muoviamo dunque in contesti assai diversi, ma pur sempre di democrazie costituzionali e pur sempre di Paesi membri del Consiglio d'Europa, che hanno aderito quindi alla Convenzione europea dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà Fondamentali. Il compito dell'esperto internazionale nelle missioni, come quella che il Consiglio superiore della magistratura attualmente sta conducendo in Romania, ha prevalentemente una natura tecnica. L’esperto ha il compito di studiare, valutare, consigliare le istituzioni del Paese beneficiario, tenendo sempre come punto di riferimento i due pilastri dell’acquis communautaire in materia di giustizia, ossia il principio di indipendenza della magistratura e quello dell'effettività della tutela giudiziaria. Attorno a questi due pilastri si dipanano gli ambiti rilevanti dell’ordinamento giudiziario. Per quanto riguarda l'indipendenza, si vanno a considerare per esempio le modalità di accesso alla magistratura, le modalità di progressione in carriera, il sistema disciplinare, il sistema di valutazione della professionalità. Per quanto riguarda, invece, l'effettività dell’azione giudiziaria si valutano non soltanto la rapidità nelle decisioni ed il rispetto del principio della ragionevole durata del processo, ma si considera anche la qualità del processo stesso e la gestione delle risorse ed inoltre l 'accesso alla giustizia, la tutela delle parti deboli, i diritti dei minori, il diritto di difesa. Per tutti gli ambiti dell’indipendenza e dell’effettività dell’azione giudiziale, i riferimenti principali dell’attività dell’esperto si rinvengono, come dicevo, nella 104 giurisprudenza Corte Europea dei Diritti dell'Uomo oppure nelle raccomandazioni e pareri delle reti di giudici e pubblici ministeri che ho citato. L'aspetto delicato è trovare un equilibrio che sia adatto alla storia e alla cultura di un determinato Paese. Per tornare all'esempio della Turchia, il Paese, è stato, come noto, governato, fin dall’adozione della Costituzione nel 1924, da un potere di tipo secolare, con una presenza ingombrante delle autorità militare, ed ha visto storicamente una magistratura omogenea culturalmente con il potere dominante. Solo recentemente in Turchia, con l’avvento al potere del Partito per la Giustizia e Sviluppo, rappresentato dall’attuale primo ministro, si è creata una “frattura” tra magistratura e politica, dovuta alla incrinatura della citata omogeneità culturale ed è stata avvertita con maggiore forza l’esigenza della concreta attuazione del principio costituzionale dell’indipendenza dei giudici ed, allo stesso tempo, l’esigenza di una accountability dei giudici e quindi un controllo di fronte alla collettività della qualità del servizio reso da giudici e pubblici ministeri. Le profonde modifiche che hanno scosso la società e la politica turche negli ultimi anni hanno condotto al procedimento, tutt’ora in corso, della modifica della Costituzione, per garantire ai giudici ed al loro Consiglio Superiore una maggior indipendenza. Questo processo di riforme costituzionali è stato accompagnato dalla Commissione Europea attraverso missioni di esperti, pareri, osservazioni, rapporti, tutti molto attenti a rispettare, da un lato, l’equilibrio dell’assetto della giustizia stabilito dalla Costituzione turca ed ad assicurare dall’altro l’affermazione dei principi di indipendenza della magistratura e di effettività dell’azione giudiziaria. A tale riguardo il lavoro dell’esperto è, o almeno dovrebbe essere, un lavoro di tipo tecnico, immune da considerazioni di carattere politico, e che dovrebbe servire a proporre al Paese beneficiario soluzioni tecniche utili ad accompagnare il processo delle riforme. A comprova che si tratti di un lavoro tecnico mi piace evidenziare che, avendo partecipato a missioni con esperti di diversa nazionalità e provenienza culturale, raramente ho riscontrato divergenze di vedute sull’applicazione degli standards al sistema giudiziario del Paese beneficiario. Inoltre mi sembra importante evidenziare il ruolo dell’esperto ha natura completamente indipendente dalla politica e così da direttive “culturali” suggerite od imposte da orientamenti politici. Le missioni organizzate nel contesto dell’allargamento si chiamano peer assessmenti: si tratta cioè di un confronto tra pari su principi condivisi; dall'esito 105 del confronto nasce una conclusione o una raccomandazione, frutto, appunto, di un lavoro indipendente. Ad esempio, l'esito del rapporto del progetto in Romania che si chiuderà tra una settimana, sarà un concept paper sul sistema di qualità dell'ordinamento giudiziario rumeno: esso è il frutto di una collaborazione libera tra Consiglio Superiore della Magistratura italiana e Consiglio Superiore della Magistratura rumeno, senza nessuna influenza da parte dell'autorità politica. In questo rapporto si riprende un lavoro svolto da giudici danesi e olandesi alcuni anni fa; si crea una stratificazione di principi resi da soggetti indipendenti, nel contesto di reti di cui ho detto. La condizionalità, come la chiama il prof. Toniatti, o, se si vuole, la normalizzazione culturale, si sposta poi sul piano politico. Il lavoro degli esperti indipendenti è messo a disposizione di coloro che devono operare delle scelte politiche, e ciò sia sul versante nazionale del Paese beneficiario, ossia delle Istituzionali locali che sono libere di decidere se accettare o meno le raccomandazioni degli esperti, sia su quello Europeo, perché gli Stati membri, nel momento in cui decidono se consentire l'accesso ad un nuovo candidato, assumono decisioni politiche. Vi ringrazio per l'attenzione 106 Parte III^ IL POTENZIALE Sergio Bartole Professore Emerito di Diritto Costituzionale Facoltà di Giurisprudenza – Università degli Studi di Trieste PREMESSA Siamo arrivati alla conclusione e io vorrei fare qualche considerazione finale. Innanzitutto, il tema del nostro incontro: le reti. Una prima osservazione: ho la sensazione che molto spesso quando ragioniamo di reti, ci facciamo in qualche modo condizionare dal fatto che in pratica quando si parla di reti si parla di reti telematiche. In realtà, se voi partite dalla decisione del 1998, potete agevolmente constatare che sono due le reti di cui si parla, la rete istituzionale e la rete telematica. Questo va detto perché la distinzione ha delle ricadute molto importanti sul piano dell'acquisizione delle informazioni. Laddove abbiamo anzitutto a che fare con una rete istituzionale, viene in rilievo quello che osservavo al dottor Spiezia, al termine del suo intervento. Cioè, viene in rilievo la necessità di un procedimento disciplinato per cui si parte da una richiesta, si va alla valutazione di questa richiesta, alla decisione di soddisfarla, alla trasmissione dell'informazione e così via. Quando invece ci troviamo in presenza di una rete istituzionale sorretta da una rete telematica, allora sorge il problema dell'accesso diretto alla rete telematica. E questo allora spiega come, di conseguenza, ci siano stati interventi sulla tutela dei dati che la rete informatica fornisce. Mi pare che questo sia un chiarimento utile nel senso che noi dobbiamo tenere chiari davanti a noi i diversi livelli del discorso. Fra l'altro io ho colto o mi è sembrato di cogliere un atteggiamento non 109 dico di denigrazione ma di riduzione dell'importanza di questo fenomeno, nell'intervento del dottor Gerotto, quando diceva che quelle in oggetto sono tutte reti. Stiamo attenti, perché ci sono le reti casuali, quelle che chiunque di noi può impiantare semplicemente perché ha delle conoscenze, mentre altra cosa sono le reti istituzionali, in cui i soggetti che fanno parte della rete sono individuati in base ad una precisa finalità. Queste sono tutte reti istituzionali, non si può dire che sono paragonabili alle altre: proprio perché c'è un circuito ben limitato e circoscritto, non c’è una generalizzata distribuzione di password, certamente ne restano fuori quei soggetti che non fanno parte della rete. Questo è il primo punto sul quale volevo richiamare la vostra attenzione. Il secondo punto riguarda l'accesso diretto. Di accesso diretto parla in particolare, con molta enfasi, la decisione relativa al terrorismo, laddove si definisce addirittura l'accesso all'informazione come accesso diretto. Questo è un punto che forse meriterebbe qualche approfondimento. Questo accesso diretto significa veramente che premendo pochi tasti accedo direttamente alla rete informatica di questo o quello Stato nazionale? Io ho qualche perplessità, perché la decisione riguardante il terrorismo tocca alcuni aspetti estremamente delicati: il Dna, i rilievi dattiloscopici e altri dati personali. Mi sembra, tutto sommato, che qui prevale la logica delle politiche antiterrorismo degli inglesi, cioè l'esistenza del pericolo fa sì che si sormonti la preoccupazione della tutela dell'individuo singolo. E’ questo un punto che forse rientra nella logica del sistema complessivo, sicuramente però non si tratta di scelta conforme al nostro sistema. D'altro canto in queste decisioni c'è una cura abbastanza evidente nell'individuare il ruolo e la posizione dei privati. Ricordiamo una serie di elementi. Il privato può chiedere informazioni per sapere se è stato iscritto o no, se le informazioni che lo riguardano sono state iscritte; deve essere informato quando l'informazione è trasmessa; può chiedere correzioni e rettifiche; può addirittura esercitare un'azione di danni, ove questi ricorrano. C’è comunque una clausola generale che gli riconosce un potere di ricorso all'autorità giudiziaria. 110 Quelle ora accennate sono preoccupazioni che trovano ragione di essere anche nel caso dell'accesso diretto, oppure la disciplina dell'accesso diretto consente di scavalcarle? Lo so, si tratta di due cose diverse, una è la posizione dei privati, altra la posizione dell'autorità che ha l'accesso diretto. Però, mi chiedo, le regole che sono state dettate pensando a qualcosa di diverso dall'accesso diretto, valgono anche nel caso dell'accesso diretto oppure no? Questo è un punto importante perché alla fine, da tutti questi nostri discorsi, dalle stesse terminologie che abbiamo usato - collaborazione, cooperazione e coordinamento - risulta chiaro che in realtà questi sono spazi che gli Stati tendono ancora a riservare a sé stessi. Sono spazi rispetto ai quali il trasferimento di poteri ad altre autorità esterne, quindi l'assunzione da parte di queste autorità di determinate attribuzioni, sono viste dagli Stati con estrema preoccupazione. Mi chiedevo quali potessero essere le ripercussioni delle scelte che queste decisioni implicano. Forse qui c'è una epifania del principio di sovranità, e quindi della scarsa disposizione a rinunciare alla sovranità .E, però, forse entra in giuoco anche un elemento ulteriore: non dimenticate che nella nostra tradizione storica, c’è l'articolo 102 della Costituzione, c'è il principio dell'unità di giurisdizione. L'idea che in questi spazi vadano a operare autorità giurisdizionali diverse, probabilmente solleva tante preoccupazioni da non essere compensata dal fatto che nel funzionamento del sistema rientrano attività di formazione professionali ripetute e costanti. Certo, se ci sono preoccupazioni, si dice anche di volerle superare. A pagina 28, per esempio, del rapporto di Stoccolma si parla dell'introduzione di regole uniformi, però sono tutte regole che ancora sono di là da venire. C’è poi un altro problema: la loro interpretazione sarà di spettanza dei giudici interni oppure di quelli comunitari? L'unica apertura ad una realtà sovranazionale sembra essere ancora quella a favore della giurisdizione del Lussemburgo, la quale quindi avrà una funzione moderatrice. Forse andrà così, ma non siamo in grado di allargare le nostre previsioni, molto dipenderà dalla cultura dei giudici. dalla loro formazione e, quindi, dalla loro capacità di affrontare nuovi inusitati problemi. 111 Un ulteriore problema: il trasferimento e l’attribuzione di attribuzioni dall’EuroJust alle procure. Forse è possibile parlare di trasferimenti di compiti, non di funzioni. Non direi invece che ci sia trasferimento nel caso dell’Equis, perché è detto chiaramente che questa non è una Banca centrale. Si tratta ancora una volta di una rete in cui ogni Stato mantiene la sua banca di casellario penale. Vorrei fare una riflessione: se andiamo a vedere complessivamente il tipo di attività di cui abbiamo parlato, quando si parla di una giurisdizione europea si fanno delle affermazioni di facciata, a volte, forse, per impressionare gli interessati ma perdendo in precisione. In realtà siamo in presenza – in gran parte - di attività amministrative che sono serventi per la giurisdizione, che dovrebbero favorire in via incrementale l'esercizio della giurisdizione all'interno dei singoli Stati. Badate bene che nella misura in cui queste informazioni riguardano la raccolta, la colletta di dati che riguardano le persone, allora a quel punto l'attività non ha più soltanto un rilievo interno all'organizzazione, ma ha un rilievo che tocca il singolo. E qui può scattare il principio di legalità. Ecco allora che ci si domanda: chi è che decide all'ultimo momento sull'interpretazione della normativa rilevante? Sono autorità giurisdizionali, perché nel nostro sistema l'ultima decisione in fatto di limitazione della libertà è quella che spetta al giudice. Ecco allora che c'è un grosso compito ( per quanto riguarda queste realizzazioni ) dei nostri giudici, i quali vedono allargate le loro attribuzioni. Ha ragione però il dottor Spiezia: perché questo allargamento si possa avere, è necessario che il legislatore si attivi, che il legislatore faccia quello che ci si attende da lui in uno Stato di diritto. Un'ultima rapidissima riflessione a proposito dello statuto personale dei componenti della procura europea e, in genere, delle procure, oltre che sull'indipendenza del giudiziario. Io vengo da una delle più belle esperienze della mia vita di professore universitario, che già di per sé comporta che si facciano mille mestieri alternando lezioni, ricerca, relazioni a convegni, consulenza. Alludo al fatto io ho fatto parte e faccio ancora parte della Commissione per la democrazia attraverso il diritto del Consiglio d'Europa. 112 Molte volte abbiamo avuto occasione di occuparci di progetti e di disegni di legge sull'ordinamento giudiziario delle nuove democrazie dell’Europa centro – orientale. Abbiamo dato dei pareri, traendo ispirazione dai nostri paradigmi costituzionali, guardando a documenti di organizzazioni parallele al Consiglio d'Europa ovvero a deliberazioni dello stesso Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa. Però sino ad oggi non avevamo un nostro documento di sintesi in materia. Negli ultimi mesi invece è stato adottato un documento sull'indipendenza del giudiziario, che è estremamente interessante perché noi alla fine siamo stati costretti a riconoscere che, in fatto di indipendenza del giudiziario, nei confronti delle nuove democrazie siamo molto esigenti, forse più di quanto il Consiglio d’Europa lo sia stato nei confronti dei suoi soci fondatori. Diciamo ai primi altri che bisogna istituire il Consiglio superiore, che questo deve essere un organo costituzionale, che a sua volta deve essere indipendente ed autonomo a garanzia dello statuto dei giudici, ma quando si pongono problemi in rapporto alle vecchie democrazie, partiamo dal presupposto che non sorgono interrogativi sulla osservanza degli standard europei né, ad esempio, in Inghilterra, dove si può prendere un avvocato e farlo diventare giudice, rafforzando – come diceva Laski – il peso sociale dell’establishment né in Germania dove le decisioni sulla carriera dei giudici vengono prese dall'esecutivo, seppure sulla base dei pareri dati da organi giudiziari e con possibilità di ricorso nei confronti delle decisioni dell'esecutivo. Ci sono tanti modelli di indipendenza del giudiziario e questo fa sì che alla fine noi siamo costretti, in qualche modo, a enunciare principi molto belli e poi, in certi casi, a non applicarli perché ci sono queste realtà molto differenti fra loro. E’ stata ricordata la riforma francese, ma per arrivare a costringere quel governo a cambiare l’iniziale proposta di consegnare ai membri laici la maggioranza in Consiglio superiore è stato fatto anche in sede europea ( si pensi alla rete europea dei Consigli giudiziari ) uno sforzo da poco. Noi della Commissione di Venezia nello scrivere il nostro documento ci siamo dovuti limitare ad affermare che in Consiglio superiore i componenti togati debbono essere la maggioranza senza aggiungere altro. Del resto, se pensiamo all’esperienza italiana probabilmente addirittura il 113 riparto in ragione di due terzi e un terzo favorisce troppo i magistrati. In psicologia si dice che quando si mettono in una stanza tante persone con gli stessi interessi e le stesse preoccupazioni, le loro posizioni vengono radicalizzate a danno del peso della parte minoritaria. Non so se all'interno del Consiglio superiore succeda questo, ma sicuramente è un elemento di riflessione. Siamo invece ancora fermi per quanto riguarda il documento sulle procure. Qui la disparità fra i Paesi è ancor più notevole. Badate bene però che in Commissione c'è un elemento che ci accomuna, ovvero la diffidenza che abbiamo tutti, francesi, italiani, inglesi, spagnoli eccetera, nei confronti dei tentativi che alcuni Stati dell'Est europeo, in particolare quelli più vicini alla Russia, fanno per recuperare le antiche prokurature. Due profili vengono ad emergenza in queste preoccupazioni: da un lato, si teme il ritorno delle prokurature come autorità investite di compiti di sovrintendenza del rispetto della legalità aldilà di possibili ricadute processuali. E, dall’altro lato, si nutrono timori per l’esercizio di poteri di persecuzione penale da parte di organi che si vogliono indipendenti e autonomi dalla stessa magistratura giudicante. Potrebbe essere argomento di fruttuosa discussione – anche ai fini di questo nostro discorso – il ruolo di un ordine separato dei procuratori quale quello di cui qualcuno va discorrendo con un suo distinto consiglio superiore. Non vi è il rischio di un ordine siffatto di funzionari si trasformi – aldilà delle apparenze – in una sorta di prokuratura. Se l’ipotesi risultasse credibile,ne risulterebbe confermata la bontà della soluzione italiana che include giudici e procuratori in uno stesso consiglio superiore e realizza un equilibrio fra gli uni e gli altri. Mi spaventa, in effetti, la prospettiva di un consiglio superiore separato dei procuratori, ossessionato dall’idea della persecuzione dei reati. Meglio far convivere nello stesso organo magistratura requirente e magistratura giudicante accumunate dalla eguale subordinazione alla legge e ispirate dalla comune cultura della giurisdizione. Solo una magistratura così organizzata ed attrezzata può dare garanzie di confrontarsi adeguatamente ed efficacemente con il variegato mondo delle procure in Europa cui spetta di portare avanti il disegno di cui qui si è parlato. 114 Testo non corretto dall’autore Fabio Roia Consigliere del Consiglio Superiore della Magistratura LA RETE EUROPEA DEI CONSIGLI DI GIUSTIZIA Vorrei parlarvi di un nuovo fenomeno che stiamo vivendo, cioè di una rete vera e propria che si è creata e si sta creando dal 2004 ad oggi: la rete dei Consigli di giustizia nel panorama europeo. Qui siamo ad una forma di rete vera e propria, nel senso che siamo in una fase molto embrionale, che però si sta sviluppando nel corso di questi anni. Per correttezza devo dirvi che citerò, nello studio che è stato fatto sulla diversa composizione dei Consigli di giustizia nel panorama europeo, un saggio del professor Volpi che con me in questi quattro anni si è occupato del lavoro di partecipazione ai convegni della rete, e che ha svolto uno studio comparato sulle diverse composizioni dei Consigli. Devo dire che dopo questi quattro anni la prima cosa che mi sento di dire è che, parlando della magistratura italiana e anche dei componenti del Consiglio, l'interesse per l'”internazionalità” e l'”internazionalizzazione”, passatemi questi due brutti termini, è piuttosto scarso. Non a caso noi stiamo investendo molto nella formazione dei magistrati italiani sotto il profilo della conoscenza delle istituzioni europee, degli organismi di collaborazione e della giurisprudenza delle corti europee. Continuiamo a fare seminari di formazione sia in sede centrale che in sede decentrata perché, credo, siamo ancora troppo provinciali rispetto al panorama europeo. Si parla di giudice europeo, di statuto del giudice europeo, ma evidentemente noi, in quanto magistrati italiani, dobbiamo puntare molto sulla conoscenza e sulla formazione per rompere questo provincialismo che ci caratterizza e ci deprime. Ci deprime a livello 115 internazionale, partendo per esempio dalla conoscenza delle lingue. Molte volte siamo in difficoltà nelle partecipazioni ad incontri internazionali perché non abbiamo una conoscenza linguistica adeguata a quella degli altri colleghi che operano con noi in Europa. Probabilmente questo è un problema di formazione universitaria. Tralascio la parte storica sulla formazione dei Consigli di giustizia, che sono organismi che hanno il ruolo di garantire l'autonomia e l'indipendenza della magistratura nei Paesi europei. I Consigli di giustizia hanno avuto il primo modello costituzionalizzato con la Costituzione francese del 1946, il primo modello di Consiglio è quello. Saprete certamente che oggi il Consiglio superiore francese è oggetto di revisione costituzionale, è stata approvata una legge di modifica costituzionale della composizione per cui si è ritornati a una maggioranza di componenti non togati nel Consiglio superiore francese. Per questo motivo, in attesa che la legge diventi definitiva – deve essere sottoposta a referendum – il Consiglio attualmente in carica è stato prorogato di un anno e mezzo. in Francia, si è ritornati quindi sostanzialmente al 1946. L'”esplosione” della creazione dei Consigli di giustizia deriva dai primi anni ’90, allorché nell'ambito del Consiglio d'Europa, a seguito del processo di democratizzazione che coinvolge tutti gli Stati ex comunisti dell'Europa centro-orientale, abbiamo la creazione in numerosi Paesi di organismi indipendenti. Oggi hanno un Consiglio di giustizia in quest'area l'Albania, l'Armenia, la Bosnia, la Bulgaria, la Croazia, la Georgia, la Lituania, la Macedonia, il Montenegro, la Moldavia, la Polonia, la Moldavia, la Romania, la Slovacchia, la Slovenia, l'Ucraina, e l'Ungheria. Vedremo brevemente che questi ordinamenti presentano tratti molto simili nella creazione di organismi che possiamo denominare Consigli di giustizia e che sono diversi rispetto al modello di Consigli di giustizia che possiamo denominare “del Nord Europa” - a eccezione del Belgio - che hanno una concezione molto diversa. Su questo punto voglio soltanto sottolineare che uno studioso olandese ha tentato di distinguere i Consigli di giustizia del Nord Europa - che sono sostanzialmente delle administration court, cioè degli organismi che godono di autonomia e gestiscono la finanza della giustizia, compito 116 che in Italia è riservato per Costituzione al Ministro della giustizia, quindi attraverso delle finanze date allo Stato hanno la possibilità di gestire concretamente l'operatività dei servizi - rispetto a modelli che vengono definiti, da questo studioso olandese, del Sud Europa, ovvero quelli che si rinvengono in Italia, Spagna e Francia. Tutti i Paesi dell'ex area comunista hanno in qualche modo adottato il modello di Consiglio giudiziario del Sud Europa, che non amministra le finanze per il funzionamento della giustizia ma ha competenza sulle decisioni che riguardano la carriera, latu sensu, dei magistrati, ovvero i provvedimenti disciplinari, le valutazioni di professionalità, la nomina dei dirigenti, e a volte, dove non esiste una scuola come in Francia e in Spagna, anche la formazione. Tutto questo grande movimento di costituzione dei Consigli, ha la finalità di garantire un'indipendenza sostanziale della magistratura. Il Consiglio superiore italiano, all'estero è molto apprezzato. Vi è una sorta di esportazione del “made in Italy”, che “tira” molto, come modello, ovvero il Consiglio superiore italiano all'estero gode di moltissima fama, un po' meno in Italia. Il problema della salvaguardia dell'autonomia è internazionale, cioè c'è una classe politica transnazionale, uniforme, globalizzata, che tende sempre, sotto il profilo dei progetti di riforma, a comprimere l'autonomia della magistratura. Questo è un dato culturale comune a tutti i Paesi. Proprio grazie a questa esportazione del “made in Italy” del Consiglio superiore, nel 2004, in seno al Consiglio superiore precedente - devo citare il professor Luigi Berlinguer che ne è stato l'artefice - venne l'idea di creare una rete europea di Consigli di giustizia, detta anche, con un acronimo, ENCI in inglese, ORECY in francese, proprio sull'impulso del Consiglio superiore italiano. Cito l'articolo 1 dello statuto: "La rete comprende qualunque istituzione nazionale degli Stati membri dell'Unione europea, indipendente dal potere esecutivo e legislativo, ovvero autonoma, responsabile del supporto al funzionamento del potere giudiziario". In questa definizione, “qualunque istituzione nazionale”, sono compresi anche quei soggetti, come le court service o le court administration, a cui ho fatto riferimento prima, cioè quel modello del 117 Nord Europa che ha una competenza nella gestione finanziaria del servizio giustizia ma non ha competenze sullo statuto dei giudici. D'altro canto uno dei punti fondamentali, per molti organismi aderenti alla rete, è proprio la possibilità di disporre di un budget in funzione dell'amministrazione della giustizia. Si dice: "Ma come può essere indipendente e autonoma una magistratura, rispetto al potere politico, se non si ha la disponibilità di risorse da investire se, cioè, sostanzialmente, il potere politico, attraverso una riduzione dei fondi da destinare alla giustizia, può incidere sulla funzionalità e quindi sull'indipendenza?". E' un tema molto avvertito nei paesi del Nord Europa, dove esiste questo modello delle court service. Invece è meno avvertito in un Paese come il nostro dove, per dettato costituzionale, tutta l'organizzazione dei servizi è demandata al Ministro della giustizia. Della rete fanno parte attualmente 18 istituzioni nazionali, su 17 Stati membri dell'Unione europea. Sono presenti Belgio, Bulgaria, Danimarca, Inghilterra e Galles, Francia, Irlanda, Italia, Lituania, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Romania, Scozia, Slovacchia, Slovenia, Spagna e Ungheria. I Paesi che pure fanno parte dell'Unione europea ma che non hanno un Consiglio di giustizia o, meglio, secondo l'articolo 1 dello statuto, un'istituzione nazionale che assicuri indipendenza del potere esecutivo e legislativo, come la Germania, hanno lo status di osservatori. Quindi abbiamo Paesi ad alta importanza nell'ambito dell'Unione europea che non fanno parte della rete, perché il loro ordinamento non è dotato di questa istituzione in grado di garantire l'autonomia della magistratura. Ad esempio hanno lo status di osservatori il ministro della giustizia di Austria, Repubblica Ceca, Cipro, Croazia, Estonia, Finlandia, Germania, Lettonia, Lussemburgo, Svezia e Turchia. Per quanto riguarda la Turchia, siccome questa deve formalmente entrare nell'Unione europea, è in atto un forte processo di revisione dell'ordinamento perché attualmente il Consiglio superiore turco è stato completamente riformulato con una legge di revisione costituzionale che deve ancora essere approvata. Il Consiglio superiore turco aveva una composizione che comprendeva i membri dell'Alta corte di Ankara e la partecipazione obbligatoria del ministro o del 118 sottosegretario alla giustizia, la cui presenza costituiva una sorta di collegio perfetto, per cui in assenza del Ministro il Consiglio superiore turco non poteva deliberare. Questo ovviamente è stato ritenuto inaccettabile dall'Unione Europea e si è proceduto a una modifica della composizione del Consiglio superiore turco. Questa rete ha avuto riconoscimento di personalità giuridica nel 2007 e si è dotata di un ufficio permanente a Bruxelles. Gode di un finanziamento importante da parte della Commissione europea, di € 250.000 all'anno. Ovviamente gli organi che fanno parte di questa rete partecipano con una quota, nel caso del CSM italiano di € 20.000 all'anno, per finanziare tutte le attività della rete. Cos'è esattamente questa rete e cosa può divenire? Ha una strutturazione interna: ovviamente c'è un'assemblea generale e c'è un comitato direttivo più ristretto. Al momento del presente intervento abbiamo la presidenza dei Consigli, anzi, delle corti, d'Inghilterra e Galles, più rappresentanti di otto membri, Belgio, Danimarca, Francia, Olanda, Polonia, Spagna, Ungheria e Italia. Nell'ambito del comitato direttivo, nominato dall'assemblea generale, si cerca sempre di garantire rappresentatività ai vari “tipi” di membri. Come vedete abbiamo dei paesi del Nord Europa, il Belgio (anche se ha una strutturazione del Consiglio simile a quella del Sud Europa), ma anche l'Olanda, poi l'Est Europa, con Polonia e Ungheria, poi i Paesi “tradizionali” che sono Italia, Spagna e Francia. Avremo un'assemblea generale il 2-4 giugno 2010 a Londra che rinnoverà tutte le cariche. La prima presidenza è stata italiana, poi abbiamo avuto una presidenza belga e attualmente abbiamo la presidenza dell'Inghilterra e del Galles. Alla prossima presidenza è candidato uno spagnolo. Cosa fa questa rete e cosa potrebbe fare nell'ambito delle istituzioni europee? La rete innanzitutto è nata come luogo di scambio reciproco di conoscenze e opera con gruppi di lavoro. I gruppi di lavoro hanno temi molto diversi. Farò qualche esempio più che altro per destare la vostra curiosità, su alcuni temi e sulla diversità di comprensione su taluni temi. Questi gruppi di lavoro, che normalmente sono coordinati da un organo che fa parte della rete, si occupano di determinate tematiche. Recentemente, a un comitato direttivo di Siviglia del 12 119 febbraio 2010, la rete ha tentato di fare un passo in avanti, cioè sta tentando di trasformarsi da una sorta di forum scientifico in un soggetto politico nell'ambito dell'istituzione europea. Un soggetto politico, passatemi il termine, che, secondo quanto deliberato dall'ultimo comitato direttivo, ha l'obiettivo di diventare l'unico corpo rappresentativo, nei confronti delle istituzioni europee, di tutte le problematiche dei Consigli aderenti che riguardano l'indipendenza e l'autonomia della magistratura; ha come obiettivo di diventare il centro per una discussione di tutti i problemi che riguardano la giustizia nei Paesi europei; che ha come ulteriore obiettivo quello di ottimizzare sia l'intervento e l’effettività della giustizia, sia di uniformare la deontologia dei magistrati. Attraverso la lettura di questi obiettivi stiamo capendo che questo soggetto, che gode di un forte credito, anche economico, da parte della Commissione europea, sta tentando di rappresentare e di unificare linguaggi che sono completamente e profondamente diversi, per cercare di rappresentare, attraverso lo studio, la progettualità, la riflessione, tutti i problemi della giurisdizione ma soprattutto l'autonomia e l'indipendenza della magistratura rispetto al potere esecutivo. Ovviamente chi ha esperienza di rapporti internazionali certamente capirà quello che intendo dire: è molto difficile dire a un giudice inglese che, poiché non è dotato di un organismo simile al Consiglio superiore italiano, non è indipendente rispetto al potere politico, perché ovviamente il suo ordinamento ha una tradizione di indipendenza che deriva da diversi fattori: la cultura, la tradizione, il controllo dei media, le modalità di carriera del magistrato. Per esempio per i Paesi del Nord Europa è invece assolutamente fondamentale il controllo delle finanze, cosa che noi in Italia non vorremmo mai e che tutto sommato preferiamo lasciare all'esecutivo. Per farvi un esempio della difficoltà e anche del fascino di dialogare su certi temi, vorrei rappresentarvi alcuni lavori che sono stati fatti in questi quattro anni, lavori molto intensi, per esempio in materia di terrorismo e di imparzialità dell'investigazione. Vedremo poi lo statuto del giudice, la deontologia e la fiducia. 120 Sul terrorismo abbiamo lavorato con il metodo del questionario, quindi abbiamo individuato dei temi, mandati a tutti i Paesi, abbiamo analizzato le risposte, abbiamo cercato di trovare una sintesi di queste risposte e di elaborare un documento che fosse politico. Per esempio sul terrorismo tutti i Paesi non ricorrono a leggi speciali, ritengono che per fronteggiare il fenomeno il ricorso a strumenti speciali sia assolutamente da evitare e quindi tutti auspicano che la lotta al terrorismo venga attuata attraverso una necessaria osmosi di conoscenze, uno scambio di dati, un raccordo tra le autorità di investigazione, sia di polizia sia di inquirenti, e debbano pervenire a un'efficace azione di contrasto in assenza di legislazioni speciali. Ricordo però l'ultimo incontro di Roma al quale noi invitammo dei nostri esperti, il dottor Spataro e il dottor Borraccetti, che tra l'altro coordinano la rete delle DDA italiane che si occupano di terrorismo, che misero fortemente in imbarazzo la rappresentanza inglese citando una serie di norme che in Inghilterra prevedono delle leggi speciali in materia di terrorismo. In Inghilterra, forse non tutti lo sanno, ma in materia di terrorismo, siccome il profilo della sicurezza per loro prevale rispetto ad altri diritti per noi fondamentali e costituzionalmente protetti, abbiamo per esempio un fermo di polizia in assenza di garanzie di difesa e di controllo del giudice che era di 8 giorni e adesso è stato ridotto a 4; per i processi di terrorismo in Inghilterra abbiamo il ricorso alle prove anonime, quindi testimonianze che possono essere anonime; l'utilizzo di fonti riservate di intelligence; abbiamo addirittura un elenco di difensori speciali che possono fare solo ed esclusivamente reati di terrorismo. Capite dunque che, fatta l'enunciazione generica, se poi in concreto si va a verificare la legislazione nazionale, si abbia a volte, dal punto di vista culturale, una grossa difficoltà. Da un lato abbiamo delle enunciazioni di principio e dall'altro dobbiamo ancora confrontarci, nell'ambito della creazione di un corpo e di una rete che vogliano superare il localismo, delle grosse protezioni che derivano dal rispetto della propria sovranità nazionale e delle leggi nazionali. Cioè c'è la difficoltà, in una proiezione comune di intervento giudiziario, a superare quella che viene ritenuta una buona normativa interna. Per esempio è difficile far capire agli Inglesi che il concetto di sicurezza 121 deve cedere rispetto ad altri diritti fondamentali e questo ovviamente deriva da una sensibilità, da una storia, da una tradizione, da un'architettura costituzionale e ordinamentale assolutamente diversa. Un altro esempio in tal senso si è avuto sulla nozione di terrorismo internazionale. La decisione adottata dal Consiglio europeo il 13 giugno 2002 sulla lotta contro il terrorismo, la 2002 numero 475, è stata adottata nella legislazione interna soltanto dai Paesi Bassi e dall'Italia, mentre gli altri Paesi che pure fanno parte di questa rete, hanno preferito definire internamente cosa significa terrorismo internazionale. Capita allora che in assenza di una fattispecie comune derivano tutte quelle difficoltà nell'ambito della collaborazione che nella prima sessione ci rappresentavano il dottor Spiezia da un lato e gli altri colleghi dall'altro. Un altro piccolo esempio su un tema che ha posto l'Italia, l'imparzialità dell'investigazione; quando io ho parlato agli inglesi dell'imparzialità dell'investigazione non capivano a cosa mi riferissi. Il mio inglese non è ottimo, anzi, devo dire che è pessimo, però attraverso la presenza di una pluralità di interpreti non capivano comunque a cosa mi riferissi. L'idea che un'investigazione possa essere "inquinata" da una pressione politica esterna di un soggetto forte economicamente, è qualcosa che sfugge alla loro cultura. Porre sul tappeto, per ragionare, per studiare ed eventualmente arrivare a una soluzione, un tema così fondamentale, comporta la rappresentazione di una difficoltà sociale di un Paese che a volte si scontra con culture differenti. Ovviamente alla fine tutti concordano con il fatto che deve assolutamente essere fondamentale l'imparzialità nello svolgimento delle indagini, pur nella diversità dei diversi sistemi. Sempre per quanto riguarda il “made in Italy” esportato, l'Italia è stata invitata a far parte, come Consiglio leader, di un progetto di costruzione dei sistemi giudiziari nei Paesi dell'ex area balcanica. È stata creata una rete internazionale permanente, con un atto costitutivo di cui l'Italia è stata attrice, dove si citano tutti i problemi dell'indipendenza e dell'autonomia della magistratura. Voglio anche dire che noi abbiamo stipulato due accordi bilaterali con la Romania e con la Turchia. Con la Romania è successo questo: 122 ricorderete quell'omicidio efferato della signora a Roma, dopo lo stupro. La Romania ha creato un Consiglio superiore molto simile al nostro, ha studiato due modelli, quello francese e quello spagnolo – lo spagnolo che riguarda solo i magistrati giudicanti perché quello fiscal è separato – e alla fine ha scelto un modello molto simile al nostro. Il presidente del Consiglio superiore rumeno venne in Italia per farci formalmente le scuse in relazione a quell'omicidio commesso da un cittadino rumeno ed è lì che si avviò un dialogo che fu rapportato alla stipula di questo accordo bilaterale che ha consentito concretamente di sviluppare una serie di relazioni. Per esempio noi non avevamo magistrati di collegamento in Romania, attraverso questo accordo bilaterale abbiamo sensibilizzato il Ministro della giustizia che ha chiesto e ottenuto che ci fossero due magistrati di collegamento a Roma per la Romania e due magistrati italiani in Romania. Ci hanno chiesto di controllare molto bene l'espulsione dei cittadini rumeni, perché prima della recente riforma la competenza era affidata a un giudice onorario e adesso, essendo la Romania Paese comunitario, è affidata al giudice professionale. Da qui è nata tutta una serie di iniziative che ci portano a collaborare con questi Paesi. Sostanzialmente la rete secondo me deve diventare un forum politico, dove si parli anche di politica giudiziaria di alto livello. Abbiamo varato nell'ultima assemblea un documento molto importante sulla tutela della vittima del reato, che deve rappresentare alle istituzioni comunitarie tutti quei problemi – e sono molti – anche di riforma ordinamentale, che possano incidere sull'autonomia e l'indipendenza della magistratura. E ciò sia a livello di modifiche di Consigli di giustizia, che possano e debbano tutelare lo statuto del magistrato, sia a livello di riforme sotterranee e più “insidiose”, che possono aggredire una sfera di autonomia della giurisdizione nell'ambito di un panorama che deve sempre essere più europeo Vi è da dire, peraltro, che attualmente il network dei Consigli di giustizia dialoga unicamente con la Commissione europea. In prospettiva, però, è importante l'acquisizione di un peso politico proprio nella realtà europea, anche in una prospettiva di dialogo con le altre istituzioni, con il Parlamento e l'opinione pubblica europei. 123 L'obiettivo del network è proprio produrre dei documenti e addirittura arrivare a intervenire laddove nei singoli Paesi aderenti al network vi siano iniziative legislative che tendano a minare l'autonomia e l'indipendenza della magistratura, con un giudizio unanimemente riconosciuto da parte del network. Questo ovviamente sia in termini di denuncia che di analisi. Se questa rete, che è molto giovane – nata nel 2004, come ho detto ha avuto personalità giuridica solo nel 2007 – acquisisce una credibilità e un peso politico, in effetti può avere un'importanza anche sotto il profilo della denuncia. Ad esempio all'inizio dei Comitati direttivi il rappresentante di ogni singolo membro nazionale rappresenta le cosiddette news, ovvero cosa sta accadendo nel proprio Paese. Quando la Francia rappresenta che è in atto una riforma costituzionale per cui viene ristabilita la maggioranza dei componenti non togati in seno al Consiglio, o rappresenta l'abolizione del giudice istruttore francese e la sua sostituzione con un pubblico ministero che dipende dall'esecutivo, capite che si pone un serio problema, almeno sulla carta, di indipendenza della magistratura. In prospettiva, se questo network acquisirà, come io credo e spero, una credibilità a livello di istituzione europea, potrebbe fare questo tipo di denuncia e se la Commissione in prima battuta, ma ovviamente anche il Parlamento, decidesse di condividere questa preoccupazione, potrebbe anche fare un atto che verrebbe ripreso non solo dall'opinione pubblica francese ma anche da quella europea. Questa potrebbe essere una forma di intervento europeo molto importante. 124 Clara Tracogna Avvocato – Università degli Studi di Udine LE GARANZIE DI IMPUTATI E INDAGATI IN PROCEDIMENTI PENALI NELLA PROSPETTIVA DELL’ARMONIZZAZIONE TRA GLI STATI MEMBRI DELL’UNIONE EUROPEA 1. Dal Libro verde del 2003 alla risoluzione del Consiglio del 30 novembre 2009 Mentre gli esponenti della magistratura possono vantare esperienze concrete per disegnare l’ampio panorama nel quale utilizzano gli strumenti della cooperazione e adoperano le potenzialità delle reti giudiziarie, comprese quelle dedicate alla formazione, lo stesso non può dirsi per un'altra figura fondamentale del processo, cioè il difensore: infatti, salvo alcuni progetti pilota, mancano effettive reti di contatto istituzionalizzate tra professionisti. Inoltre, tutto quanto riguarda gli organismi rappresentativi dei difensori a livello europeo nasce spontaneamente, su base volontaria e in assenza di un'azione unitaria. Dal punto di vista del difensore, dunque, se è pur vero che esiste il cappello della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, così come interpretata dalla Corte di Strasburgo, è però da dire che le iniziative europee sono ancora sostanzialmente ferme al Libro verde della Commissione in materia di «Garanzie procedurali a favore di indagati e imputati in procedimenti penali nel territorio dell’Unione europea» del 20031. 1 Il Libro Verde in materia di «Garanzie procedurali a favore di indagati e imputati in procedimenti penali nel territorio dell’Unione europea», pubblicato il 12 febbraio 125 È anzi proprio la risoluzione del Consiglio del 30 novembre 2009, «relativa a una tabella di marcia per il rafforzamento dei diritti procedurali degli indagati e imputati in procedimenti penali», a ispirarsi al contenuto del Libro verde del 2003: fino ad oggi, infatti, non è stato adottato alcun provvedimento in vista dell'armonizzazione dei diritti di imputati e indagati coinvolti in procedimenti penali2. Siamo quindi ancora lontani dalla creazione di una figura eventuale di Difensore europeo, che forse potrebbe fungere da contraltare alla creazione del Pubblico ministero europeo. Nella prospettiva del diritto di difesa, quando si parla di potenziale, viene allora da pensare che ci troviamo di fronte a una prateria da percorrere per arrivare a un'armonizzazione delle garanzie nei diversi Stati membri. Prima di analizzare alcuni dei punti principali individuati dal Consiglio nella sua risoluzione del 30 novembre 2009, è opportuno rilevare un’importante differenza rispetto a quanto precedentemente prevedeva il Libro verde: infatti, mentre dal Libro verde del 2003 era scaturita una proposta di decisione quadro, poi definitivamente abbandonata nel 20073, avente carattere onnicomprensivo e nella quale erano enucleati alcuni diritti procedurali, la risoluzione del Consiglio fa una scelta diversa, cioè quella di individuare una serie di tappe dedicandosi di volta in volta ai singoli diritti in materia processuale. A ciascuna tappa corrisponderà uno strumento normativo autonomo: in particolare, una direttiva. Questo perché si 2003, è reperibile in http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/site/it/com/2003/com2003_0075it01.pdf. Il documento si concentrava sulle seguenti aree: a) comunicazione dei diritti; b) tutela dei gruppi vulnerabili; c) specifici diritti nel processo /procedimento (diritto all’assistenza di un difensore, diritto all’assistenza di un interprete, diritto a comunicare con il Consolato). 2 Vedila in G.U.U.E., C 295 del 4 dicembre 2009, p. 1 ss. 3 Si tratta della Proposta di decisione quadro in materia di determinati diritti processuali in procedimenti penali nel territorio dell’Unione europea, doc. COM(2004) 328, del 28 aprile 2004, reperibile al seguente indirizzo web: http://eurlex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2004:0328:FIN:IT:PDF. La proposta è decaduta soprattutto perché alcuni Stati hanno ritenuto che il problema delle garanzie processuali è un affare interno; che per la tutela dei diritti ivi indicati era sufficiente l’adesione di tutti i Paesi alla Convenzione europea dei diritti dell’Uomo; che l’approvazione della Proposta avrebbe comportato spese eccessive per gli Stati. 126 ritiene che un documento onnicomprensivo rischia, in ragione degli inevitabili compromessi ai quali gli Stati si adeguano nell’iter di approvazione, di annacquare i diritti stessi e di risolversi in mere enunciazioni di principio. 2. Contenuto e prime attuazioni della risoluzione del Consiglio del 30 novembre 2009 Il primo punto su cui si sofferma la risoluzione è dedicato al diritto all'interpretariato e alla traduzione degli atti processuali. Il problema della barriera linguistica è fortemente sentito: infatti, a partire dal 1998, la Commissione finanzia progetti per studiare le tematiche del diritto all’interpretariato. Quello della mancata o cattiva conoscenza della lingua nella quale si celebra il processo è effettivamente un ostacolo che può compromettere la partecipazione consapevole di indagati e imputati nel procedimento. In relazione a questo primo settore individuato dal Consiglio, sono state presentate due proposte di direttiva: la prima proviene dagli Stati (16 dicembre 2009), mentre la seconda, gemella, presentata dalla Commissione (9 marzo 2010)4. Uno dei punti fondamentali di queste proposte di direttiva è che si individua il diritto all'interpretariato come distinto dal diritto alla traduzione scritta dei documenti e degli atti processuali. È vero che queste sono garanzie indicate e presenti nell’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, tuttavia, la giurisprudenza della Corte europea ha ritenuto sufficiente la presenza dell’interprete, che non si risolve solo nella fase delle dichiarazioni in udienza, poiché questi deve assistere l'indagato e l'imputato in tutte le fasi del procedimento. In ogni caso, si riteneva non necessaria una traduzione 4 Nelle more della pubblicazione degli atti del convegno, il Parlamento ha definitivamente approvato, il 16 giugno 2010, la direttiva in materia di interpretariato. Si attende ora l’ultima approvazione da parte del Consiglio. Per i lavori di Parlamento e Consiglio, si v. http://www.europarl.europa.eu/oeil/file.jsp?id=5840482¬iceType=null&language =en. 127 scritta degli atti processuali5. Ora, invece, il diritto alla traduzione entrerà nella direttiva. Come passo ulteriore, bisognerà chiedersi quali atti dovranno essere necessariamente tradotti. La proposta di direttiva fa un elenco, che però non è tassativo, indicando l’ordine di carcerazione, il capo di imputazione, le prove documentali fondamentali, la sentenza, il mandato di arresto europeo. Tuttavia, sia imputato che difensore potranno presentare una richiesta motivata per ottenere la traduzione di altri atti e documenti che ritengono fondamentali e, nel caso di rigetto, è previsto un procedimento di impugnazione. Alcuni problemi però rimangono sul versante interno. Uno di questi riguarda la formazione e la scelta di interpreti e traduttori da parte degli uffici giudiziari. Innanzitutto, manca un albo nazionale per interpreti e traduttori. I criteri per la scelta e la nomina di questi professionisti divergono non solo tra diversi distretti di corte d'appello, ma anche all'interno dei tribunali dello stesso distretto. Nel 2008 è stato presentato in Parlamento un disegno di legge che propone la creazione di un albo nazionale, il quale vuole essere anche presidio per garantire la professionalità degli stessi. Tuttavia, il d.d.l. non è ancora approdato alla discussione in aula. Mancano inoltre percorsi specifici, anche a livello universitario, e in particolare nel settore della traduzione forense. Nell'ultimo documento che ha fornito lo spunto per la proposta di direttiva, il cosiddetto «Status quaestionis», che è una pubblicazione conclusiva del progetto finanziato dalla Commissione che prende il nome di Agis II, un altro aspetto che in Italia senz'altro dovrà essere preso in considerazione è quello dei compensi corrisposti a interpreti e traduttori che lavorano per la giustizia. In questo studio si dice che “in Italy pays are the worst part". Interpreti e traduttori ricevono infatti un 5 Cfr. CEDU, Hermi c. Italia, 18 ottobre 2006, n. 18114/02, nella quale la Corte afferma che «il diritto all’assistenza di un interprete non riguarda solo le dichiarazioni in udienza, ma anche gli atti scritti e la fase istruttoria: tuttavia, l’art. 6, par 3 lett. e della Convenzione non richiede una traduzione scritta di ogni atto ufficiale e fa riferimento a un interprete e non a un traduttore». La Corte ha quindi accertato la non violazione dell’art. 6 della Convenzione. 128 compenso di € 5,70 l’ora. Lo stesso documento ricorda come questa sia la ragione principale per cui i migliori interpreti e traduttori semplicemente non accettano incarichi dagli uffici giudiziari italiani6. Un ulteriore punto preso in considerazione dalla risoluzione del Consiglio è quello relativo all'informazione del fatto contestato e dei diritti che spettano all'accusato. La proposta di decisione quadro 2004, che scaturiva dal Libro verde del 2003, prevedeva un allegato nel quale erano indicate le informazioni che si dovrebbero comunicare all'indagato nel momento in cui questo entra per la prima volta in contatto con gli organi di giustizia o con la polizia giudiziaria. Addirittura si pensava di creare una sorta di libriccino, in formato elettronico o cartaceo, disponibile in tutte le lingue parlate nell'Unione europea. A ciò si aggiungeva la necessaria redazione di un verbale che attestasse l’avvenuta comunicazione. Tuttavia, rimane un interrogativo: cioè quale potrebbe essere lo status di questa consegna e quale la conseguenza, sul piano processuale, nel caso in cui queste informazioni non vengano date? Si può parlare di nullità o di inutilizzabilità delle dichiarazioni? La proposta non dava tuttavia una risposta al quesito. Dal punto di vista delle esperienze italiane, sembrano interessanti, in vista della comunicazione del fatto contestato e dei diritti che spettano a indagati e imputati, le cosiddette «Guide per i detenuti», che vengono consegnate al detenuto quando questo entra in carcere. Le guide per i detenuti sono state elaborate sulla base di iniziative di alcuni direttori di case circondariali. Sono state tradotte in moltissime lingue e sono disponibili anche nelle lingue minoritarie7. Questi esempi potrebbero essere utilizzati come spunto in vista della comunicazione del fatto contestato e dei diritti che spettano all’indagato e all’imputato. Un altro aspetto interessante è quello che riguarda il diritto all'assistenza legale e alla difesa. La sentenza CEDU del 13 maggio 1980, nel caso Artico c. Italia, definisce il contenuto del diritto, in 6 Cfr. il doc. SEC(2009) 916, presentato a Bruxelles l’8 luglio 2009. Le guide per i detenuti sono rinvenibili in www.ristretti.it. Elaborate su iniziativa dei direttori delle Case circondariali, sono state tradotte in diverse lingue (italiano, albanese, arabo, francese, inglese, serbo, croato, spagnolo, arabo, rumeno). 7 129 particolare in relazione alla difesa d’ufficio8. Il Libro Verde del 2003 e la Proposta di decisione quadro del 2004 assicuravano il diritto all’assistenza legale nonché l’obbligo per lo Stato di fornire l’assistenza legale gratuita (gratuito patrocinio). Lo stesso Libro verde del 2003, soffermandosi sul difensore d'ufficio, ricordava che, in alcuni Paesi, la difesa d'ufficio viene fornita pro bono, in caso d'arresto, da tirocinanti e da studenti. Naturalmente ciò comporta il rischio che la professionalità non sia adeguatamente garantita. A questo proposito, è da ricordare la sentenza della Corte costituzionale italiana numero 106 del 2010, che ha dichiarato l'incostituzionalità delle norme in materia di ordinamento forense che consentivano anche ai praticanti di iscriversi nelle liste dei difensori d’ufficio. È vero che non è mancato chi ha criticato questa pronuncia, perché numerosi nomi saranno depennati dalla liste e quindi si ridurrà il numero dei difensori d’ufficio disponibili, tuttavia la decisione assicura un livello minimo di professionalità, soprattutto nel contesto di una nomina d’ufficio, che quindi prescinde dal rapporto di fiducia. Per quanto riguarda la presenza del difensore nel corso del procedimento, è da segnalare che, in tema di mandato di arresto europeo, le Camere penali, nel mese di febbraio del 2009, hanno inviato alla Commissione un documento nel quale si chiede di introdurre nel formulario allegato alla decisione quadro che ha 8 La Corte ricorda che «lo scopo della Convenzione consiste nel tutelare diritti non teorici e illusori, ma concreti ed effettivi; l'osservazione vale specialmente per quelli della difesa tenuto conto del ruolo eminente che il diritto ad un processo equo, dal quale essi derivano, riveste in una società democratica (sentenza Airey del 9 ottobre 1979, serie A n. 32, par. 24). L'art. 6, par. 1c, i delegati della Commissione l'hanno sottolineato con cognizione di causa, allude a «assistenza» e non a «nomina». Orbene, la seconda non assicura, da sola, l'effettività della prima perché l'avvocato d'ufficio può morire, ammalarsi gravemente, avere un impedimento permanente o sottrarsi ai suoi doveri. Se ne sono informate, le autorità devono sostituirlo o indurlo ad adempiere al mandato. Adottare l'interpretazione restrittiva sostenuta dal Governo italiano condurrebbe a risultati illogici, incompatibili con la formulazione dell'alinea c nonché con l'economia dell'art. 6 considerato complessivamente; il gratuito patrocinio rischierebbe di rivelarsi, in più di un'occasione, un'espressione vuota di significato». Cfr., nel c.p.p. italiano: art. 105 c.p.p. e art. 30 n. att. c.p.p., rispettivamente per la responsabilità disciplinare e penale dell’avvocato per i casi di abbandono e rifiuto della difesa e per la nomina di un sostituto del difensore d’ufficio nominato. 130 introdotto il mandato d’arresto europeo un apposito spazio per l'indicazione del nome del difensore del procedimento a quo, quello su cui si fonda cioè il mandato di arresto europeo, perché sono state registrate delle difficoltà anche solo nell’individuazione dell’avvocato che opera nello Stato richiesto di consegnare il ricercato9. Una problematica simile riguarda l'accesso agli atti del processo a quo, perché la decisione quadro, come anche la nostra legge di recepimento, prevede che l'acquisizione degli atti attualmente sia possibile solo su richiesta dell’organo giurisdizionale e non invece anche su input del difensore: perciò, le Camere penali chiedono di estendere tale prerogativa anche all’avvocato e al suo assistito10. La risoluzione del Consiglio prevede altre tre tappe. Innanzitutto, la comunicazione con familiari, datori di lavoro e autorità consolari: l'indagato o l'imputato sottoposto a privazione della libertà deve essere sollecitamente informato del diritto di comunicare ad almeno una persona, ad esempio un familiare o datore di lavoro, il suo stato di privazione della libertà, restando inteso che ciò dovrebbe lasciare impregiudicato il normale svolgimento del procedimento penale. Inoltre, l'indagato o l'imputato sottoposto a privazione della libertà in uno Stato di cui non è cittadino è informato del diritto di comunicare alle autorità consolari competenti tale privazione. Si prevede anche l’adozione di garanzie speciali per indagati o imputati vulnerabili: al fine di assicurare l'equità del procedimento, è importante rivolgere particolare attenzione agli indagati o imputati che non sono in grado di capire o di seguire il contenuto o il significato del procedimento per ragioni ad esempio di età o di condizioni mentali o fisiche. Infine, si procederà alla pubblicazione di un Libro verde sulla detenzione preventiva: il tempo che una persona può trascorrere in stato di detenzione prima di essere sottoposta a giudizio e durante il procedimento giudiziario varia infatti considerevolmente da uno Stato membro all'altro. Periodi di detenzione preventiva eccessivamente lunghi sono dannosi per le persone, possono pregiudicare la 9 Cfr. il testo del documento delle Camere penali http://media.camerepenali.it/201001/5213.pdf?ver=1. 10 V. il documento in http://media.camerepenali.it/201001/5212.pdf?ver=1. 131 reperibile in cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri e non corrispondono ai valori dei quali l'Unione europea è portatrice11. 3. Garanzie della difesa e conflitti di giurisdizione Oltre al contenuto della risoluzione del Consiglio, è interessante verificare anche il ruolo, del tutto recessivo, che ricopre il difensore nelle procedure per la prevenzione e la risoluzione dei casi di 11 Il tema della disciplina disomogenea delle misure cautelari tra gli Stati membri è stato già oggetto di analisi in Cass., sez. un., 30 gennaio 2007, Vllaznim, in Diritto&Giustizi@, 6 febbraio 2007, relativa all'interpretazione dell'ipotesi di rifiuto della consegna obbligatoria in tema di mandato d'arresto europeo: il riferimento è all'art. 18, lettera e della legge 69 del 2005, che ha recepito la decisione quadro sul mandato d’arresto europeo. Quella disposizione prevede un’ipotesi di rifiuto obbligatorio della consegna nel caso in cui lo Stato richiedente non conosca termini massimi della custodia cautelare in carcere, riproducendo letteralmente l'articolo 13 della nostra Costituzione. Le Sezioni unite hanno offerto un'interpretazione convenzionalmente orientata, piuttosto che costituzionalmente orientata, facendo salva la norma e al contempo dando luogo alla consegna anche verso uno Stato che non conosce termini massimi di custodia cautelare. Nei Paesi europei esistono due modelli di disciplina: uno che prevede termini rigidi per la durata delle misure cautelari e uno che invece preferisce predisporre le cosiddette continuous reviews, in base alle quali a determinate scadenze il giudice competente andrà a verificare che persistono i presupposti e le esigenze cautelari per il mantenimento della misura. Le Sezioni unite hanno fatto tesoro di alcune pronunce della Corte europea dei diritti dell'uomo, la quale non ha mai manifestato una preferenza per l’uno o l’altro modello. Tuttavia, è vero che la nostra Costituzione prevede dei termini massimi, e che quella previsione era stata fedelmente riprodotta nella legge 69 del 2005: quindi si è in fondo scavalcato un dispositivo presente in Costituzione per favorire la cooperazione. In questo caso la posizione del ricercato potrebbe essere però deterrente, nel senso che la consegna potrebbe appunto avvenire verso uno Stato che non conosce limiti massimi di carcerazione preventiva, pur imponendo il meccanismo delle continuous reviews. Il tema è di incandescente attualità e recentemente un gruppo di studio dell'Università di Tillburg ha pubblicato, su finanziamento della Commissione europea, un ampio studio sulle misure cautelari, proprio perché si avverte la necessità di arrivare a una serie minima di disposizioni e garanzie comuni. Lo studio è reperibile all’indirizzo: http://ec.europa.eu/justice/doc_centre/criminal/procedural/doc_criminal_procedural _en.htm. 132 litispendenza e di conflitti di giurisdizione tra Stati. L’Unione si è dotata di una decisione quadro ad hoc, approvata il 30 novembre 2009, cioè in limine all'entrata in vigore del trattato di Lisbona. Lo stesso Parlamento aveva richiesto un rinvio della discussione, che però avrebbe portato alla decadenza della proposta e richiesto l’avvio di un nuovo iter normativo12. Nel corso della procedura di approvazione, la decisione quadro ha subito una sorta di “dieta dimagrante”: in ogni passaggio, spariva qualcosa dall’articolato e i consideranda, oltre a superare in numero gli articoli, dicono quasi più del testo normativo stesso. Questa decisione appare insomma annacquata e finisce per scontentare un po' tutti. Più nel dettaglio, essa introduce la necessità, per l'autorità di uno Stato che abbia fondato motivo di ritenere che anche in un altro Stato si stia procedendo per i medesimi fatti nei confronti della stessa persona, di avviare un procedimento di scambio di informazioni e di consultazioni con l'autorità dell’altro Stato al fine di individuare quale sia l’autorità mieux placée per procedere. Tuttavia, tra le critiche si possono muovere, si deve ricordare che è sparito il concetto di significant link, che serve a individuare quando effettivamente ci sia un collegamento significativo tra fatto di reato e Stato tale da giustificare l'inizio di una procedura di consultazione; inoltre, la durata della procedura di consultazione non è più scandita. Il deficit più grave è dato dalla mancanza di criteri per l’individuazione dello Stato al quale spetterà la giurisdizione. Peraltro, anche i criteri indicativi contenuti nel considerando n. 9 e il rinvio a quelli utilizzati da Eurojust non paiono soddisfacenti: questi stessi criteri sono generici, orientativi, non vincolanti. Inoltre, non sono redatti secondo un criterio gerarchico. Lo stesso ruolo di Eurojust si sposta in secondo piano, perché coinvolta solo nel caso in cui gli Stati autonomamente non riescano a trovare un accordo, mentre nella proposta di decisione quadro lo Stato poteva chiederne l'intervento per coordinare l'individuazione dell'autorità competente in qualsiasi momento. L'Italia dovrà recepire la decisione quadro in questione entro il 15 giugno 2012: il recepimento potrebbe porre delle questioni di 12 Si tratta delle decisione quadro 2009/948/GAI del 30 novembre 2009, in G.U.U.E., L 328, del 15 dicembre 2009, p. 42 ss. 133 compatibilità con i nostri principi costituzionali almeno sotto tre profili. Prima di tutto l'articolo 24 Cost., in materia di diritto di difesa, perché né l’imputato né il difensore sono coinvolti nel procedimento di consultazione per l'individuazione dello Stato competente. In secondo luogo, l’art. 25 Cost. con il principio del giudice naturale precostituito per legge, che rischia a sua volta di essere compromesso: anche se è vero che la Corte costituzionale ha ritenuto che il concetto di naturalità del giudice si esaurisce a livello interno, ciononostante è pur vero che il principio di territorialità nella distribuzione della giurisdizione viene utilizzato nelle normative di settore13. Tuttavia, nella decisione quadro sulla prevenzione e risoluzione dei conflitti, è lampante proprio il fatto che manchino dei criteri per l’individuazione dell’autorità competente a procedere nel caso concreto: si finisce così per scavalcare il principio della precostituzione del giudice, che è garanzia riconosciuta anche dall’art. 6, § 1, della Convenzione europea dei diritti dell’uomo. In questo modo il giudice che andrà a decidere sarà scelto nella “stanza dei bottoni”, con la totale estromissione del difensore e dell'imputato, che nulla potranno dire. Il fenomeno è quello che viene comunemente chiamato forum shopping, nel senso che saranno le autorità giudiziarie a scegliere quale sia quella mieux placée per procedere. L’ultimo punto di frizione è quello con il principio dell’obbligatorietà dell'azione penale: nel nostro ordinamento, una volta esercitata l'azione penale, per i caratteri della irretrattabilità della stessa, si deve arrivare a una sentenza. In che modo quindi coordinarsi con uno Stato nel quale pende un procedimento, quando da noi è già stata esercitata l'azione penale? È da dire però che esistono già dei casi in cui l’Italia declina la propria giurisdizione in favore di uno Stato terzo, ma ciò avviene sulla base di precise disposizioni che indicano anche i 13 Si pensi all’art. 9 della decisione quadro 2002/475/GAI sulla lotta contro il terrorismo, in G.U.U.E., L 164 del 22 giugno 2002, p. 3 ss. nonché all’art. 10 della decisione quadro 2005/2227GAI relativa agli attacchi contro i sistemi di informazione, in G.U.U.E., L 69 del 16 marzo 2005, p. 67 ss. Per le pronunce della Corte cost., v. sent. 27 giugno 1973, n. 96 nonché sent. 26 settembre 1990, n. 446. 134 criteri per individuare lo Stato competente14, mentre attualmente tali criteri mancano del tutto. 4. Le reti di contatto tra professionisti: l’esperienza di Penalnet Da ultimo, riguardo alle reti di professionisti, si deve dire che qualche passo è stato compiuto. In questo ambito, è fondamentale il ruolo che il Consiglio delle avvocature europee sta svolgendo in vista della creazione del Portale europeo e di Penalnet, rispettivamente piattaforme virtuali dedicate al mondo della giustizia in Europea e alla predisposizione di contatti tra i difensori di diversi Stati membri. Il 31 maggio 2010 si è conclusa la raccolta delle informazioni relative alle garanzie della difesa nel processo penale all'interno di ciascun Paese. Il Consiglio delle avvocature europee ha inviato ai vari Consigli nazionali un formulario che, su base spontanea, verrà compilato dai vari avvocati, con l'indicazione delle garanzie al momento dell'introduzione del processo penale, di quelli relativi all’accesso all’assistenza e consulenza di un difensore, delle garanzie nel corso delle indagini preliminari, durante il processo e al termine dello stesso, oltre ad una serie di informazioni riguardanti le infrazioni in materia di circolazione stradale. Entro il 16 agosto 2010 il Consiglio delle avvocature europee aveva fissato la data per l’invio alla Commissione di tutti questi documenti tradotti. Per ciascun Paese vi è quindi un modulo unitario, proprio per contribuire alla creazione del portale europeo, in modo che questo costituisca anche una piattaforma per il contatto tra i diversi avvocati. 14 Cfr. l’art. 8 della l. 5 ottobre 2001, n. 367, di ratifica dell’Accordo bilaterale con la Svizzera del 10 settembre 1998 in materia di assistenza giudiziaria, laddove è previsto che il giudice italiano, a richiesta di parte e sentito il p.m., dispone con ordinanza la sospensione del procedimento penale, ed ogni sei mesi dalla pronuncia di tale ordinanza, o anche prima laddove opportuno, verifica lo stato del procedimento penale in corso all’estero. Un’ipotesi di trasferimento del procedimento penale è stata inoltre introdotta dagli artt. 3 e 4 della l. 2 agosto 2002, n. 181, in materia di cooperazione con il Tribunale internazionale per i crimini commessi in Ruanda e nei vicini Stati. 135 Tra gli esperimenti già operativi, va ricordato il progetto pilota Penalnet, che è stato finanziato nel 2007 ed è stato lanciato nella primavera del 2009, poi presentato pubblicamente a Madrid il 24 settembre 2009. Aderiscono a Penalnet i cinque Consigli nazionali forensi di Spagna, Francia, Ungheria, Romania e Italia. Un insieme di trecento “avvocati collaudatori” per Stato, selezionati sulla base della propria iscrizione all'albo, della conoscenza linguistica e dell'esperienza in diritto penale, hanno dato avvio al progetto. In seguito all’adesione a Penalnet, gli “avvocati collaudatori” ricevono un kit con una sim card e un dispositivo per la lettura del microchip, in modo da assicurare un accesso al sito con un'identità elettronica, che consente uno scambio sicuro con l'avvocato collega dell'altro Stato. Tutti i documenti che vengono scambiati sono assimilati allo scambio di raccomandate, quindi potranno essere prodotti in giudizio. Infine, il sito web Penalnet è collegato anche all’Epractice.eu, ovvero il sito che si occupa dello scambio delle best practices nei servizi professionali in Europa. 136 Sergio Gerotto Ricercatore di Istituzioni di Diritto Pubblico Dipartimento di Diritto Comparato – Università degli Studi di Padova Facoltà di Scienze Politiche – Università degli Studi di Trieste LE “RETI GIUDIZIARIE” NEL DIRITTO COMPARATO Il tema del convegno è di quelli che intimoriscono lo studioso, o almeno che dovrebbero intimorirlo. Il termine “rete” cela infatti molto più di ciò che svela. Il concetto che ad esso è collegato – ma sarebbe meglio parlare al plurale, di concetti –, è molto più sfuggente di quello che siamo soliti attribuirgli. Succede spesso con i termini che per qualche ragione diventano di uso comune di perdere la profondità dei concetti loro collegati. L’uso comune erode i concetti, o, da altra prospettiva, che può sembrare antitetica, l’uso comune arricchisce il termine di ulteriori concetti, da cui l’apparente erosione di quello originario. Personalmente mi sento intimorito anche dal fatto che, a differenza di tutti gli altri partecipanti al convegno, non sono stato invitato in virtù, o in funzione, di una determinata competenza in materia, ma per una sorta di sfida nei confronti di tema nuovo agli studiosi, e in particolare ai comparatisti. Dopo l’affermazione del World Wide Web, il termine “rete” evoca soprattutto un concetto: la condivisione di informazioni. Ad esso fanno da corollario due requisiti fondamentali: da un lato la libertà di accesso alle informazioni stesse, dall’altro la libertà di contribuire alla loro formazione e diffusione. Questa accezione del termine “rete”, ma soprattutto delle implicazioni che essa comporta con riferimento al mondo delle informazioni, si è affermata in tempi piuttosto recenti. È ovvio che qualsiasi fra i molti concetti collegati ad un termine non può non variare in relazione al contesto in cui quest’ultimo viene utilizzato. Nulla quaestio che una rete giudiziaria, per la tipologia di informazioni che si trova a veicolare, non può essere caratterizzata dalla libertà di accesso ad esse, né, tantomeno, dalla libertà di contribuire a formarle ed a diffonderle. È dunque necessario specificare meglio il termine in funzione dell’uso che se ne deve fare. Dirò forse una banalità, 137 ma la “rete giudiziaria” è, allora, una struttura atta a collegare operatori della giustizia in modo da consentire l’interscambio di informazioni per facilitare lo svolgimento delle loro (peculiari) funzioni. Su questa definizione c’è sicuramente ancora molto da dire, ma in prima approssimazione ci è sufficiente per muovere qualche passo nella direzione di una analisi di tipo comparato. Nonostante questo tipo di approccio sia, per formazione, quello più congeniale al sottoscritto, devo ripetere che il tema mi ha intimorito, e mi intimorisce tutt’ora. Ho trovato qualche difficoltà ad approfondirlo dalla prospettiva del comparatista, per delle ragioni di cui dirò. Ci sono almeno due possibilità per il comparatista di affrontare il tema delle reti giudiziarie. Una è quella di esaminare come la struttura reticolare1 prevista prima dall’Azione Comune 98/428/GAI del 29 giugno 1998, poi dalla Decisione del Consiglio 2008/976/GAI del 16 dicembre 2008, che abroga la prima2, sia stata implementata nei vari stati dell’UE. Una analisi di questo tipo è però difficile da portare a termine perché richiede informazioni cui l’accesso non è libero. Ad esempio, sarebbe interessante verificare la struttura del sistema di punti di contatto nazionali, ma a questa informazione si può accedere, attraverso il sito della rete europea di giustizia in materia penale, mediante un password che viene rilasciata ai soli “addetti ai lavori”3. Ho comunque reperito alcune informazioni in proposito, che però sono solo di seconda mano. La struttura è molto variegata. L'Italia, ad esempio, ha un numero molto alto di punti di contatto, mentre in altri Stati ne esiste solo uno. È ovvio che questo dato dovrebbe essere contestualizzato. La presenza di più o meno punti di contatto può dipendere infatti da molti fattori (scarsa volontà politica di crearli; sistema giudiziario di un certo tipo piuttosto che altro; dimensione più o meno estesa dello Stato). L’informazione è però utile per 1 Uso volutamente il binomio “struttura reticolare” in luogo del termine rete, che ritengo troppo riduttivo. Ritengo anche più confacente il binomio “sistema reticolare” per le ragioni che spiegherò nelle pagine che seguono. 2 Esiste altresì una rete giudiziaria in materia civile e commerciale istituita con una decisione del Consiglio del 28 maggio 2001, sul modello della rete in materia penale. 3 Uso le virgolette perché in realtà dal sito non si ricava questa limitazione. La password dovrebbe essere fornita, secondo quanto specificato proprio nel sito, a chi la richieda specificando il motivo per cui desidera accedere alle informazioni. Avendola richiesta, senza poi ottenerla, devo dedurne che i motivi di studio e ricerca, da me specificati, non sono ritenuti sufficienti a consentire l’accesso alle informazioni non pubbliche contenute nel sito. 138 capire che si tratta di una rete disomogenea, e questo ha di sicuro delle conseguenze sul piano della sua funzionalità. Un’altra prospettiva possibile per il comparatista è quella di interrogarsi sull'esistenza in altri contesti di sistemi di cooperazione assimilabili ad una rete giudiziaria. Ci si aspetterebbe di trovare strutture simili in contesti di tipo decentralizzato, cioè in ordinamenti che attuano la decentralizzazione come sistema di organizzazione dei poteri statali, e in particolare quello giudiziario. In realtà sorprende notare come non esistano strutture di tipo reticolare, ma piuttosto strutture spontanee di tipo associazionistico, le quali hanno come scopo di mettere in contatto, ma non in rete, corti e giudici appartenenti allo stesso sistema o in sistemi diversi. Ne cito solo due a titolo di esempio. La prima è il National Centre for State Courts4 (NCSC) negli Stati Uniti. Si tratta di una organizzazione indipendente senza scopo di lucro sorta nel 1971 su stimolo del Chief Justice della Corte Suprema Warren Burgen, le cui finalità sono principalmente di fungere in vario modo da ausilio nell’attività delle varie corti statali. Anche se queste finalità sono molto ambiziose – addirittura, afferma lo stesso NCSC attraverso il suo sito, rinforzare la rule of law e promuovere la collaborazione tra le corti nazionali e tra le associazioni di corti nazionali –, il NCSC non rappresenta una “rete” in senso tecnico perché non veicola informazioni di natura giudiziaria, fungendo semplicemente, se si può dire, come punto di contatto fra i giudici nazionali con il compito di facilitare uno scambio di idee fra di essi. Non voglio con questo sminuire l’importanza di questo centro, ma è un fatto che la sua natura è del tutto diversa dalla Rete giudiziaria europea in materia penale, come anche quella in materia civile, del resto. Un discorso analogo si può fare per l’Association des Cours Constitutionnelles ayant en Partage l'Usage du Français (ACCPUF)5. Anche in questo caso non si tratta di una vera e propria rete, ma di un'associazione, sempre su base volontaristica, di organi con funzione giudicante a livello costituzionale, organi cioè che hanno la funzione di pronunciarsi, in ultima istanza, su questioni di costituzionalità, interpretando la Costituzione al fine di risolvere i conflitti che insorgono fra questa e le norme ad essa sottoposte. Nel caso dell’ACCPUF si tratta ancor meno di una “rete” nel senso tecnico in cui l’ho descritta nelle pagine che precedono. Lo scambio di informazioni di natura giudiziaria non c’è e non può esserci per il semplice fatto che un’associazione spontanea ed indipendente non può varcare i confini della 4 5 http://www.ncsc.org/default.aspx. http://www.accpuf.org/. 139 sovranità statale. Fermo restando il valore dello strumento (non sono come quei maligni che hanno paragonato l’ACCPUF ad un Golf Club di natura giudiziaria), che comunque consente il confronto di esperienze diverse, anch’esso si trova su un piano assolutamente diverso da quello della Rete giudiziaria europea in materia penale (e civile). A questo punto vien da fare una considerazione. Se è vero che è difficile riscontrare nella realtà esempi di reti giudiziarie, intese in senso tecnico, è pur vero che il concetto di rete è, in fin dei conti, connaturato all'agire umano. Ognuno di noi agisce sulla base di una serie di contatti e di conoscenze, e sulla base di queste conoscenze crea una rete personale che può essere più o meno ampia. Se è vera la teoria dei sei gradi di separazione, in base alla quale con sei passaggi ciascuno di noi è in grado di trovare un collegamento con qualsiasi altra persona al mondo, ciascuno di noi ha in sé, potenzialmente, una rete mondiale. Ma anche se la teoria non è dimostrata, il grado di espansività della struttura reticolare in cui ciascuno di noi è inserito è amplissimo. Guardando alla storia recente ci si può rendere conto di come questa dimensione dell’agire umano possa avere un ruolo anche nell’ambito dei sistemi giudiziari. Nel corso degli anni ’90, in epoca dei processi Mani pulite, alcuni magistrati, italiani e stranieri, in collegamento tra loro, promossero un appello per la creazione di uno spazio giuridico europeo, il cosiddetto appello di Ginevra6, poi ripreso dai media con una certa eco anche in sede comunitaria. Più che lo stesso appello, è importante l’ambiente che ne ha creato le premesse. Questi magistrati si vedevano, si scambiavano informazioni sui rispettivi Paesi, come anche opinioni sul malfunzionamento di un Paese o di un sistema piuttosto che di un altro. Quasi sicuramente si scambiavano informazioni relative ai processi in corso. Si può dire che agissero in una struttura di tipo reticolare. Non certo in una rete vera e propria. Una rete informale, per così dire, che però ha avuto l'efficacia di creare uno spazio comune tra questi magistrati. L’esempio citato mi ha spinto ad alcune riflessioni. La prima: mi ripeto ma è importante, quei magistrati non hanno agito nell’ambito di una “rete”, ma non si può non riconoscere che si sono mossi nell’ambito di un “struttura reticolare”. È una distinzione che mi pare interessante. Sono due dimensioni distinte, ma che possono intrecciarsi e finanche sovrapporsi. Da una parte la “rete” intesa in senso 6 Questi magistrati erano Bernard Bertossa, Edmondo Bruti Liberati, Gherardo Colombo, Benoit Dejemeppe, Baltasar Garzon Real, Carlos Jimenez Villarejo, Renaud Van Ruymbeke. 140 tecnico come istituzione è quella, ad esempio, creata con determinate caratteristiche dall’UE con l’Azione Comune 98/428/GAI e la Decisione del Consiglio 2008/976/GAI. Dall’altra la “struttura reticolare” è l’ambito in cui concretamente si sono trovati ad agire i magistrati di cui ho detto. Una “rete”, dovutamente implementata e funzionante dà vita ad una “struttura reticolare”, mentre una “rete” che rimane sulla carta non dà vita a nulla. Seconda considerazione. Posta la distinzione tra “rete” intesa come istituzione e sistema reticolare come dimensione dell’agire umano, il modello europeo di “rete” sembra essere unico. Da un primo esame, sicuramente superficiale e lacunoso, sembra che le cose stiano in questi termini. È vero, l'Unione europea è una cosa a sé e quindi anche gli strumenti di armonizzazione e cooperazione che si utilizzano all'interno dell'Unione europea difficilmente possono essere trovati in altri contesti, visto che non ci sono contesti simili. Ma i motivi di questa diversità di cose dovrebbero essere ulteriormente indagati. A prima vista sembra strano che simili forme organizzative non si riscontrino in ordinamenti di tipo decentrato, come gli Stati federali, ma forse tutto può spiegarsi facilmente con il fatto che negli ordinamenti federali non c’è una vera e propria esigenza di mettere in rete la giustizia, visto che questa si colloca su due piani distinti: quello locale e quello federale. Ad ogni modo, ripeto, la questione andrebbe approfondita. Se mancano esempi di reti istituzionalizzate, non mancano, come ho detto quelli di associazioni, non istituzionalizzate, e sistemi reticolari, com’è il caso dei magistrati firmatari dell’appello di Ginevra nel 1996. Qui si inserisce una ulteriore distinzione tra un sistema reticolare ed una rete. Il primo, se non è istituzionalizzato, è assolutamente libero ed in quanto tale è anche incontrollabile. Essendo libero, infatti, è liberamente espandibile. Il magistrato che vuole parlare con un proprio collega, magari a cena, può scambiare informazioni di vario tipo, a volte anche confidenziali, e questo non è controllabile, a meno che, ovviamente, la cosa non sia nota e non abbia rilievo giuridico di qualche tipo, penale ad esempio. La rete europea di giustizia in materia penale è però una vera e propria rete istituzionalizzata, cioè creata con un atto formale allo scopo di adempiere ad uno scopo ben preciso rispettando regole definite. Il contesto in cui deve collocarsi questa rete giudiziaria è sicuramente quello della cooperazione. Si tratta infatti di un modo di implementare la cooperazione in ambito giudiziario. La rete è una forma della cooperazione, non certo l’unica. Una cooperazione, però, che in seguito all'entrata in vigore del trattato di Lisbona, ha come finalità quella di creare uno spazio di giustizia, libertà e sicurezza, quindi una cooperazione di tipo molto 141 particolare. Non è banale dire che la rete europea di giustizia si collochi in questo contesto, perché vi è una serie di conseguenze che ne derivano. Ad esempio, trattandosi di cooperazione, si applica anche a questo settore il principio della leale cooperazione, previsto dai trattati. Ci sono sentenze che (anche) sulla base del principio di leale cooperazione, ricavano l'obbligo di interpretazione conforme degli atti del terzo pilastro. Il caso Pupino rientra in questo filone giurisprudenziale7. La decisione ha dato vita ad un acceso dibattito per la sua capacità di produrre effetti su un procedimento penale in corso all’interno di uno Stato membro (nel caso di specie l’Italia stessa, poiché il caso riguardava una maestra accusata di maltrattamenti nei confronti di minori). Secondo la Corte di Giustizia le decisioni quadro di cui al terzo pilastro sono soggette ad interpretazione conforme. La legge nazionale, cioè, deve essere interpretata in senso conforme alla decisione quadro. Ne discende anche la diretta applicabilità delle decisioni quadro. In altre parole, la creazione di uno spazio giuridico europeo si starebbe realizzando anche in via giurisprudenziale attraverso l’impiego di principi come quello di leale cooperazione. E soprattutto il valore degli atti in questione, fra i quali si annoverano anche quelli che hanno dato vita alla stessa rete giudiziaria in materia penale, ne esce in qualche modo rafforzato. Nell'ambito della cooperazione si colloca anche un altro importante principio del diritto comunitario, quello dell'indifferenza dell'Unione europea rispetto all'organizzazione territoriale degli Stati membri. L'Unione europea non dovrebbe, in teoria, agire in modo tale da alterare la struttura di organizzazione territoriale del potere, neanche attraverso lo strumento della rete. La questione andrebbe ulteriormente indagata, ma mi pare che vi siano delle potenzialità di interferenza della rete nella struttura interna degli Stati. Si tratta di un circolo vizioso. Per non interferire è necessario lasciare agli Stati membri ampia libertà nel processo di implementazione della rete, ma così facendo la struttura reticolare che viene a crearsi potrebbe essere (di fatto è) molto disomogenea, e questo non le permette di funzionare bene. È banale a dirsi, ma facendo un paragone con le reti informatiche è evidente che una rete mal assortita, composta ad esempio di computer vetusti insieme a computer super moderni, non può funzionare bene. La cooperazione, in seno all’Unione europea, è di tipo pluridirezionale. Essa fa infatti uso di strumenti ed attori che non sono quelli a cui siamo abituati negli ordinamenti di tipo statuale. La rete ne è un esempio. Ma per l'UE non è cosa nuova usare questo tipo di strumento. Essa l’ha impiegato anche in altri contesti, 7 CGCE, C – 105/03, noto come caso Pupino. 142 prima che nella cooperazione giudiziaria (ad esempio in materia commerciale), in due diversi modi. Quando la Commissione, o un’altra istituzione europea, ha delle competenze, può venir creata una rete, al di sopra della quale, verticisticamente, si pone la Commissione stessa come coordinatore. In questo caso c’è dunque sempre un coordinamento di tipo verticistico. In altri casi viene creata un’agenzia. Questo modello, noto come il sistema delle agenzie, funziona molto spesso come coordinamento a rete delle autorità statali competenti nella materia in cui l’UE intende coordinare. Questo secondo pattern mi sembra possa essere quello che potrebbe essere implementato rafforzando il ruolo di EuroJust attribuendogli dei poteri di tipo giudiziario-investigativo. Quali potrebbero essere le conseguenze o le influenze sulla funzione giurisdizionale derivanti dall'utilizzo dello strumento della rete in ambito europeo? Il dottor Spiezia sostiene che la rete è già uno strumento superato, se non ho interpretato male le sue parole, perché EuroJust ha già fatto qualcosa di più con un “coordinamento verticistico leggero”8. A mio parere la rete, o perlomeno quello che mi sembra possa fare la rete, dovrebbe aiutare la creazione di uno spazio di giustizia, libertà e sicurezza. Di per sé la rete non ha alcun valore se non in funzione del raggiungimento di questo obiettivo. Questo obiettivo, la creazione cioè di uno spazio di giustizia, libertà e sicurezza, o meglio, uno spazio di giustizia europea, è già in atto al di fuori ed al di là della presenza di uno strumento di tipo reticolare. Ne è prova certa giurisprudenza, come quella, per fare un solo esempio, che ricava la responsabilità dello Stato per la mancata attuazione degli obblighi comunitari, quando questa mancata attuazione derivi dall’azione, o anche dalle omissioni, di un organo di tipo giurisdizionale9. In sostanza mi pare che la creazione di uno spazio giuridico europeo sia già in atto, e che si tratti di una dinamica che in qualche modo prescinde dalla rete. Prescinde dalla rete ma può averne un ausilio, nel senso che tale dinamica può dipendere, e 8 Uso le sue stesse parole. CGCE, C-224/01, nota come caso Köbler. In tale sentenza viene appunto riconosciuto che lo Stato membro è responsabile per il mancato adempimento di un obbligo comunitario derivante da una decisione quadro (nella fattispecie la decisione che istituisce il mandato d’arresto europeo) anche quando esso derivi da un comportamento o da una omissione dell’autorità giudiziaria, fosse anche di un organo giudicante in ultima istanza. Con ciò si può dire, significativamente, che neppure il principio dell’intangibilità del giudicato sarebbe in grado di interrompere il nesso che lega lo Stato alla sua, e non di altri, responsabilità. 9 143 dipende, sia dalla strutturazione di particolari istituzioni – la trasformazione di EuroJust, ad esempio, o la creazione di un procuratore europeo –, o attraverso l’implementazione di una rete, anzi, per meglio dire, di un sistema reticolare. A voler fare un collegamento di concetti, in forma quasi sillogistica, si potrebbe dire che se il concetto di spazio lambisce quello di dialogo, questo lambisce quello di rete. Le istituzioni che dialogano cooperano e quando cooperano fanno nascere uno spazio comune. Se non cooperano non dialogano e non ne nasce nulla, tanto meno uno spazio comune. Il problema è che il dialogo in genere è inteso a due, ma quando le voci sono tante, come nelle reti, o nei sistemi reticolari, che per me restano concetti distinti, tutto diventa più difficile. Per illustrare meglio questo rozzo sillogismo posso rispondere al dottor Spiezia, che ritiene il coordinamento un modo per superare la cooperazione. Secondo il dottor Spiezia EuroJust potrebbe diventare una istituzione in grado di coordinare i sistemi dei vari paesi europei. Ciò nell’assunto che il coordinamento sia un qualcosa che funzioni se diretto verticisticamente, seppure in “forma leggera”. Il professor Toniatti mi è parso perplesso circa questo modello di “coordinamento verticistico leggero”. Il coordinamento, dice Toniatti, o è alto coordinamento, o non è nulla. Premesso che posso essere io ad aver mal interpretato, devo dire di trovarmi un po’ in disaccordo con questa visione, in “disaccordo leggero” per rubare la battuta allo stesso Toniatti. Secondo me l'alto coordinamento è solo una delle forme di coordinamento, non l’unica. Ce ne possono essere, di forme di coordinamento intendo, che richiedono un ausilio (più o meno leggero) che viene dall'alto. Ora, ammesso e non concesso che ciò sia vero, si tratta di stabilire quale forma di coordinamento si intende implementare. Nella sua relazione il dottor Spiezia ha fatto riferimento alla creazione di un procuratore europeo, precisando che per crearlo bisogna partire dalla funzione che ad esso si intende far svolgere, e non da un particolare modello. Pienamente d’accordo sulla demarche, e farei la stessa cosa per il coordinamento inteso in senso lato: partiamo dalla funzione che vogliamo dare al coordinamento e decidiamo qual è il modello che andiamo a implementare. A riprova di quanto io sia d’accordo con questo approccio posso dire, in piena sintonia con il dottor Spiezia, che il coordinamento mi sembra possa addirittura superare la non ancora risolta antinomia, riferita all’ordinamento comunitario, tra modello federale e modello intergovernativo, vexata quaestio nel processo di integrazione europea. Dirò anche di più, il coordinamento può addirittura superare, potenzialmente, il modello federale. Spesso infatti i sistemi federali sono 144 scoordinati, proprio in conseguenza dell'autonomia che hanno gli enti territoriali. Il sottoscritto è stato giudicato in sede penale in Svizzera, da un giudice cantonale, per un'infrazione al codice della strada. Tutto è avvenuto a completa insaputa dell’imputato, che ha avuto comunicazione del dispositivo solo a giudizio avvenuto. Ma com’è possibile che ciò sia avvenuto, visto che la Svizzera è firmataria della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, che ha peraltro anche ratificato? L'articolo 6, giusto processo, della CEDU non dice che l'imputato deve essere adeguatamente informato? La risposta l’ho capita col tempo. Mancanza di coordinamento. I cantoni fanno quello che credono perché non c’è coordinamento fra di essi e fra di essi e lo Stato centrale. E lasciatemi dire che un sistema scoordinato è anche un sistema inefficiente. Nel caso di specie la polizia stradale commina una sanzione di 750 CHF; interviene poi un procedimento penale che stabilisce che la sanzione era semplicemente di 20 CHF; scatta l’obbligo alla restituzione di 730 CHF. Il tutto condito da una traduzione ufficiale per comunicare gli atti all’imputato, scomodando anche la procura di Venezia con una rogatoria internazionale. Quanto è costato al sistema tutto questo, per una sanzione di 20 CHF, all’epoca dei fatti non più di 15 €? Non è un sistema tanto coordinato, né tanto efficiente, e direi anche un po' stupido. Su un punto mi trovo invece in pieno accordo con il professor Toniatti. Più vicino è un sistema reticolare alla funzione giurisdizionale, massima è la ricaduta che esso può avere all'interno degli stessi ordinamenti. Cito un'altra volta la Svizzera. Proprio in virtù (alcuni svizzeri direbbero a causa di) della vicinanza alla funzione giurisdizionale della Corte europea dei diritti dell'uomo, la Svizzera si è risolta a introdurre in via giurisprudenziale un controllo di costituzionalità delle leggi federali, che fino a poco tempo fa non aveva. Il Tribunale federale si è ad un certo punto avveduto di non poter fare quello che invece era consentito alla Corte di Strasburgo. Questo perché i diritti stabiliti dalla CEDU coincidono con quelli riconosciuti dalla stessa Costituzione svizzera. Se la Corte europea dei diritti dell'uomo può dire che una legge federale viola i diritti della Convenzione europea dei diritti dell'uomo, è come se dicesse che è incostituzionale, perché viola i diritti sanciti in costituzione. A questo punto è meglio che lo faccia il Tribunale federale. Ne è nato il cosiddetto “controllo di convenzionalità”. E questa è una ricaduta di massimo grado nell’ordinamento interno. 145 Parte III^ LE CONSEGUENZE PER LA FUNZIONE GIURISDIZIONALE Daniela Bifulco Professore Associato di Istituzioni di Diritto Pubblico Università degli Studi di Napoli II PREMESSA Buongiorno a tutti. Non voglio dimenticare di ringraziare l'Università di Trento e la Provincia, per questa splendida accoglienza, e il professor Toniatti per aver pensato a queste giornate di studi. Introdurrò brevemente l'argomento del giorno, anche grazie a quello di cui si è parlato ieri. Oggi si parlerà delle conseguenze della funzione giurisdizionale nel sistema delle reti e vorrei comunicare qualche impressione che ho maturato, anche ascoltando gli interventi di ieri. Dopo aver letto dei saggi sull'argomento che stiamo trattando si è rafforzata una sensazione in merito al tema delle reti, e cioè che occorra affrontare questo tema evitando il rischio di una certa retorica che accompagna questo discorso. Una retorica, forse un'ipocrisia del pensiero, anche inconsapevole, che certamente non è appannaggio del giurista in quanto tale ma che appartiene, come avrebbe detto il sociologo Bourdieu, a qualsiasi campo culturale, giuridico o non giuridico. Un campo culturale che crede nelle proprie forme, nelle proprie categorie e tenta di obliterarne di volta in volta il carattere spesso arbitrario. Criticando il “giuridicismo” Bourdieu si riferiva a quel tipo di pensiero riscontrabile nei più svariati ambiti di ricerca, non soltanto giuridico,che pretende di rendere conto delle pratiche enunciando le regole a partire dalle quali si suppone che le pratiche stesse siano prodotte. Con questo intendo dire che, nella maggior parte delle cose che ho letto sul tema, si converge su un medesimo punto: la creazione degli strumenti di cooperazione è presentata come una tappa logica, evidente. Spesso, non a caso, alcuni ricorrono alla logica neo-funzionalista, tipica di un nutrito filone di studi sull'integrazione europea. 149 Forzando non poco il dato normativo. Il rafforzamento della cooperazione viene presentato spesso come risultato naturale, il prodotto ineluttabile di un'evoluzione, di un progresso.La sovranità, poi, è puntualmente evocata come elemento che spiega le resistenze. Molti lavori insistono, a monte, sull'idea di un nuovo spazio penale europeo, in base al quale assumere le regole comuni, sempre in tema di diritto penale, di procedura penale. Si insiste anche molto sull'idea di pubblico ministero europeo. I problemi non sono pochi, come ieri è stato chiarito. Ascoltando ieri il discorso sul pubblico ministero, ho ricordato delle belle pagine in cui Michel Foucault ragionava sulla nascita della procura in Francia. Chiedendosi il perché della nascita dei procuratori, l’Autore chiariva che le procure nacquero nel momento in cui i sovrani si resero conto di non poter gestire più da soli i propri interessi ed ebbero quindi bisogno di delegare a terzi, i procuratori, appunto, la cura degli stessi. Tornando a noi: anche la procura europea mi sembra soffrire di questo schema. Quali sarebbero i reati da perseguire secondo il procuratore europeo? Quali gli interessi da proteggere? Innanzitutto, è chiaro, gli interessi finanziari della Comunità europea. Non a caso, ieri la necessità della procura è stata invocata proprio a partire dall’OLAF, che protegge, appunto, gli interessi finanziari della comunità. Ma quali sono gli altri interessi? Come si scelgono e chi li sceglie? Quali interessi e quali reati andare a perseguire? Il problema, a monte, è quello delle fattispecie penali comuni, che mancano. La mia pietra d'inciampo è questa: manca tutto il diritto penale comune, non esiste; se ne parla, se ne scrive, ma dov’è la norma comune? Non c'è, manca ancora. Molto spesso sono trascurati i punti relativi agli attori in gioco, le loro rappresentazioni, le loro narrazioni. Molto spesso si trascura il fatto che la cooperazione penale europea è stata caratterizzata da logiche informali di cooperazione. Ciò detto, mi sembra che la dimensione normativa non sia ancora al cuore della preoccupazione degli attori istituzionali, di coloro che decidono. Contrariamente all'immagine di una progressiva formalizzazione e armonizzazione di tutto ciò che attiene alla cooperazione penale europea, questo ambito sembra piuttosto essere caratterizzato da logiche informali di cooperazione, da lotte istituzionali, dai soggetti burocratici, di cui ci parlava ieri Mattia Magrassi, il quale diceva giustamente che il soggetto burocratico è tutt'altro che neutrale, essendo invece portatore di interessi molto parziali, non comuni a tutti. Per quanto mi riguarda dunque starei attenta a un discorso un po' retorico che accompagna sempre questi studi sul tema, perché la retorica che accompagna la 150 cooperazione è sempre la stessa: l'apertura delle frontiere ha generato più scambi incontrollati e le rogatorie hanno tempi troppo lunghi; le differenze di procedura penale tra gli Stati fanno gioco a favore delle organizzazioni criminali che, come si sa, non conoscono frontiere; la realizzazione della cooperazione giudiziaria è il naturale complemento di quelle di polizia (ricordiamo che la cooperazione di polizia è nata ben prima, negli anni ’70). Si afferma spesso che la naturale evoluzione della cooperazione delle forze di polizia è stata la cooperazione giudiziaria. Dopo l'11 settembre, a maggior ragione, l'incombenza della minaccia terroristica rende vieppiù questo discorso urgente e condivisibile. L'intervento del dottor Roia in merito alle posizioni inglesi circa la sicurezza e la lotta contro la criminalità mi è sembrato molto significativo. Anche il discorso sulla sicurezza, che naturalmente alimenta il discorso sulle reti e sulla cooperazione, non deve essere considerato dagli studiosi, dai giuristi, come un dato obiettivo, ma come il risultato di credenze, di rappresentazioni, di narrazioni definite dai giochi istituzionali, politici e sociali. Narrazioni molto spesso definite male dal diritto. Il diritto è in affanno rispetto a queste definizioni. Dov’è la regola, dov’è il diritto, rispetto, ad esempio, alla definizione di terrorismo internazionale? Quali che siano le scelte politiche, queste ultime prendono sempre forma attorno a una certa narrazione, allo scopo di rendere intelligibili fenomeni estremamente complessi, allo scopo di semplificarli e stabilizzare le narrazioni a partire dalle quali quelle decisioni politiche saranno poi assunte. Vorrei dire altre cose sulla funzione giurisdizionale, ma a questo punto mi fermo e mi riservo di ascoltare prima i nostri relatori ed eventualmente di intervenire in un secondo momento. Darei la parola ora a Pasquale Profiti, magistrato a Trento. 151 Pasquale Profiti Magistrato Trento UN CASO DI STUDIO: IL PROGRAMMA DEL CONSIGLIO D’EUROPA A SUPPORTO DELL’ISTITUZIONE DELLA SCUOLA DELLA MAGISTRATURA ALBANESE Grazie a tutti gli organizzatori per l'invito. Ritengo doveroso rubarvi non più di un minuto per spiegare le ragioni per le quali, ritengo, gli organizzatori abbiano pensato ad un mio intervento. Sono pubblico ministero a Trento, ho sempre fatto il pubblico ministero e non ho mai voluto abbandonare questa mia attività. Per quale motivo dunque sono qui oggi a parlare di reti europee? Perché nel 2003, il Consiglio d'Europa rivolse al CSM italiano la richiesta di poter usufruire di un magistrato italiano per aiutare la scuola della magistratura albanese nelle sue prime tappe di sviluppo. Decisi, in maniera abbastanza estemporanea, di presentare la mia candidatura; altri colleghi fecero altrettanto. All'esito di una valutazione, il Consiglio superiore della magistratura, unitamente al Consiglio d'Europa, mi proposero la possibilità di fare questa esperienza in Albania, che durò un anno. Un anno in cui, sia pure non a tempo pieno, ho lavorato a Tirana, alla scuola della magistratura albanese. L’opzione del Consiglio d’Europa di chiedere un magistrato italiano derivava dal fatto che la cultura giuridica albanese era particolarmente devota alla cultura giuridica italiana. La richiesta d’inquadrava in un programma di sviluppo a favore dell’Albania finanziato dalla Commissione europea ed attuato dal Consiglio d'Europa. Si trattava di un supporto alla scuola della magistratura albanese che rientrava in un c.d. joint program: la Commissione europea metteva a disposizione risorse finanziarie al Consiglio d'Europa; quest’ultimo, avvalendosi della sua rete di esperti 153 internazionali, dava attuazione concreta all’assistenza a beneficio di paesi beneficiari di un supporto per il raggiungimento e mantenimento di standards europei riconosciuti. Da qui partì la mia esperienza, un anno alla scuola della magistratura. Non sono mai andato fuori ruolo, rimasi pubblico ministero con un parziale esonero dal lavoro. Da qui partì un successivo coinvolgimento in altri programmi di assistenza nel settore giudiziario, sempre del Consiglio d’Europa e/o della Commissione europea: Kosovo, Bosnia, Macedonia, Georgia. Vengo alla sostanza. La magistratura italiana tuttora non ha un’operativa scuola per la magistratura. Le competenze in materia di formazione dei magistrati sono per noi esercitate dal Consiglio superiore della magistratura. Come magistrati italiani, avevamo un bagaglio culturale che era quello dell'indipendenza della magistratura, che inglobava anche l'indipendenza della formazione e quindi portavamo questo postulato istituzionale. In secondo luogo avevamo un'esperienza all'interno del Consiglio della magistratura come formazione e quindi avevamo alcune chiavi didattiche da poter esportare. Ci mancava però, come italiani, la struttura della scuola. Qui veniamo al primo punto importante di queste esperienze internazionale di cui vi parlerò: non sono mai a senso unico, non c'è mai un canale di trasferimento unilaterale: il paese asseritamente più sviluppato che porta cultura, nozioni più progredite rispetto a un altro. Normalmente è uno scambio reciproco. Quando si parla di standards ed indicatori europei, di aquis communitaire, in realtà si parla di principi dotati di una certa genericità, che sicuramente devono stare alla base di ogni discorso ma che, allo stesso tempo sono spesso attuati in maniera frastagliata anche nei Paesi tradizionali dell'Unione europea. Non solo. Talora in alcuni dei Paesi scontano anche dei ritardi, anche in quei paesi che fin dall'origine hanno aderito all'Unione europea. Mi piacerebbe parlare, più che di integrazione, di un reciproco arricchimento. In effetti la scuola della magistratura albanese dal punto di vista dell'architettura istituzionale ha un congegno istituzionale di governante da cui imparare e possiamo tuttora farlo, nel momento in cui ci accingiamo a varare la nostra scuola della magistratura. La scuola della magistratura albanese ha un Consiglio di amministrazione che garantisce da un lato l'indipendenza, dall'altro 154 un'integrazione di apporti esterni da parte non solo del potere esecutivo ma anche dell'Università e degli stessi studenti, che arricchisce il programma di formazione. Al tempo stesso ha un ulteriore aspetto, estremamente importante, su cui sono sicuro che l'Italia dovrà confrontarsi a seguito di queste esperienze che stiamo facendo e che saranno utili se l'Italia le sfrutterà: il delicato rapporto che c’è tra la formazione e la valutazione di professionalità; tra la scuola della magistratura e, laddove esistano, i Consigli superiori della magistratura; tra coloro che si occupano della formazione dei magistrati e coloro che si occupano della carriera dei magistrati. È qualcosa di delicatissimo, perché di primo acchito si potrebbe dire che in fondo è giusto: la formazione è un elemento essenziale per valutare la professionalità di un magistrato e quindi anche la sua carriera. Sostanzialmente allora ci deve essere una subordinazione o comunque un collegamento, una dipendenza funzionale della scuola rispetto al Consiglio superiore della magistratura. Se noi andiamo a vedere invece ciò che ha scritto il Consiglio consultivo dei giudici europei del Consiglio d'Europa ed osserviamo come sono organizzate le nuove scuole dei nuovi paesi democratici, si vede che giustamente, sebbene vi sia un rapporto, un riferire, un comunicare i propri programmi formativi e, sebbene nei Consigli di amministrazione di queste scuole vi sia una presenza di membri del Consiglio superiore o un rappresentante del Consiglio superiore della magistratura, non è mai un rapporto di dipendenza funzionale ed è giusto che sia così, perché altrimenti vi sarebbe un asservimento delle finalità di sviluppo scientifiche, del bagaglio professionale in generale, a logiche di carriera. Nell'ambito di queste attività presso la scuola e, ancora una volta, dimostrando che il rapporto è di arricchimento reciproco più che di integrazione, si è svolta una precipua formazione sui nuovi codici di procedura penale che i colleghi di quei paesi dovevano maneggiare. Tutti questi Paesi di cui ho parlato, il Kosovo, l'Albania, la Macedonia, la Georgia e la Bosnia si sono dotati di nuovi codici di procedura penale. In questi Paesi è stata molto sentita l’importanza di avere dei nuovi codici di procedura penale ad impronta europea. Nel 2003 in Italia, sembra preistoria, la prospettiva europea nei giudici e nei magistrati italiani era assolutamente a livelli arcaici. Parlare nel 2003, sette anni fa, della giurisprudenza della Corte europea e utilizzare questa giurisprudenza per interpretare le nostre norme era pionieristico, sembrava di parlare di fantascienza. Mentre per questi Paesi, che avevano avuto la possibilità di 155 avere una formazione da parte di giudici che venivano da molti Paesi europei, questo era il postulato iniziale. Anche il codice albanese, che molti dicevano fosse una fotocopia di quello italiano, mostrava la formazione che i colleghi avevano ricevuto sui principi europei di procedura penale, che da questo punto di vista soverchiavano le conoscenze del magistrato medio italiano, di gran lunga. Un esempio: loro avevano acquisito la consapevolezza, che all'epoca noi non avevamo ancora, del problema delle dichiarazioni acquisite nella fase delle indagini preliminari, che potevano essere utilizzate nel dibattimento. Una qualcosa che all'epoca per noi italiani era scontata e anch'io, facendo il pubblico ministero, mi sfregavo le mani: i coimputati si avvalevano della facoltà di non rispondere; il P.M. produceva le dichiarazioni acquisite in sede di indagini preliminari senza contraddittorio. La prassi era già condannata da Strasburgo, ma la maggior parte della giurisprudenza non ne era a conoscenza, non se ne preoccupava. Invece per i colleghi albanesi, dove avevano copiato le nostre norme, questa era una preoccupazione che determinava un’interpretazione conforme alle giurisprudenza CEDU, attenuando il valore probatorio di quelle dichiarazioni. L'ignoranza, perché di questo si è trattato, delle magistratura anche di alto livello – perché questi meccanismi prima del 111 erano stati considerati costituzionali e quindi anche le giurisdizioni superiori avevano avallato queste disposizioni – ha portato non solo alla modifica del 111, ma anche a due norme del codice di procedura penale (197 e 197 bis c.p.p.) assolutamente ingestibili, la cui lettura è ermetica, a dir poco. Tutti noi navighiamo a vista. Questo per dire come questo rapporto reciproco è assolutamente essenziale anche per il Paese asseritamente più sviluppato. Ultimo dato: a cominciare dal 2007 in Italia il Consiglio superiore della magistratura ha avviato delle attività di cooperazione nell'ambito di progetti di cosiddetti di twining. So che ieri il collega Perilli vi ha accennato di cosa si tratta: è la presentazione di un'offerta progettuale nei vari settori del giudiziario per un bisogno di adeguamento a standards europei di taluni paesi beneficiari. Tale bisogno costituisce l’oggetto di un bando della Commissione europea. Una procedura competitiva. In tre casi il CSM è riuscito ad aggiudicarsi questi progetti europei: due in Albania e nell'ultimo caso la Romania. Parlo dell'ultima esperienza, quella della Romania, che porta a compimento i primi due passi fatti in Albania, per il Consiglio superiore albanese e per la procura generale albanese. 156 In Romania stiamo lavorando per il Consiglio superiore della magistratura rumena, Consiglio superiore che comprende sia pubblici ministeri che giudici, a differenza di quello albanese che riguarda i soli giudici. In questo caso secondo me tutti gli Stati europei si arricchiscono, più che reclamare un'integrazione degli altri nel proprio sistema. I rumeni, per migliorare il loro sistema di valutazione di professionalità dei magistrati e per migliorare il loro sistema di valutazione di efficienza ed equità del giudiziario (rispettivamente valutazione individuale e valutazione sistemica), hanno chiesto uno studio comparato. La Romania giustamente vorrebbe non buttare via il proprio sistema, ma prima avere un quadro di ciò che si muove in Europa, avendo la consapevolezza che in Europa il quadro non è unitario. Ci sono Paesi che hanno il Consiglio superiore e Paesi che non ce l'hanno, ci sono paesi in cui il Consiglio superiore è incentrato sulla carriera del magistrato, come in Italia ma anche la Spagna e un po' il Belgio e la Francia, mentre vi sono Paesi, come l'Olanda, dove invece il Consiglio superiore è incentrato sull'efficienza del sistema in generale. Lì la carriera del magistrato è in secondo piano. Il Consiglio superiore in Olanda ha come primo obiettivo quello di far fronte alla cosiddetta accountability, cioè rendere conto della propria efficienza. Hanno dunque questa consapevolezza e hanno chiesto uno studio comparativo. Una volta che lo studio comparativo è stato elaborato, vogliono sapere dagli esperti, in questo caso dagli italiani, ma qualcun altro avrebbe potuto vincere al nostro posto, che cosa, secondo questa valutazione comparata, è possibile utilizzare in chiave positiva nel loro sistema rumeno, per la valutazione di professionalità dei magistrati e per la valutazione di efficienza ed equità del sistema giudiziario. È un modo intelligente, perché andando a vedere cosa c'è in Europa si trovano veramente degli approcci completamente differenti. Laddove i Consigli superiori sono nati per la difesa dell'indipendenza, si è avuta una disattenzione storica all'efficienza del sistema giudiziario. Laddove invece i Consigli superiori sono nati non per difendere l'indipendenza ma per far fronte all’accountability, alla responsabilità, allora si è preferito incentrarsi sull'efficienza. Ora questi due sistemi stanno arrivando a una sintesi, che è quella che stiamo cercando di effettuare in Romania ma aggiornando dei materiali di studi comparativi che in realtà erano abbastanza datati, perché la rete dei Consigli di giustizia europea aveva prodotto gli ultimi materiali ufficiali di comparazione che ormai risalivano al 2005. Non più validi per l'Italia che ha riformato l'ordinamento giudiziario nel 2007, non validi 157 neanche per la Francia che ha avuto una riforma della Costituzione nel 2008, non validi nemmeno più per il Belgio che ha avuto un'evoluzione del sistema di organizzazione giudiziario. Dunque, grazie a questa richiesta intelligente del Consiglio superiore rumeno vi sarà la possibilità di avere del materiale di comparazione utile per tutti gli altri Paesi che porterà, come dicevo prima, non ad un'integrazione maggiore della Romania, ma ad un arricchimento della Romania e degli altri Paesi. Infine alcune brevi considerazioni su alcune osservazioni che riguardano il ruolo dei consigli di giustizia o consigli superiori della magistratura in Europa. L’esportazione del modello italiano nei paesi dell'Est, è vera per quanto concerne i giudici, per quello che posso saperne io. Tra l'altro è un'esportazione non del modello italiano in quanto tale, sarebbe narcisistico affermare questo, ma è la consapevolezza degli organismi europei della validità di questo modello. Vale per i giudici, non necessariamente per i pubblici ministeri. Però i Consigli di giustizia nascono da presupposti diversi. Come ho detto inizialmente, ci sono i Consigli inseriti nella Costituzione, che nascono per difendere l'indipendenza della magistratura e, progressivamente, hanno un sistema di valutazione della carriera dei magistrati che tradizionalmente è basata sullo sviluppo della carriera del singolo; ma negli ultimi tempi sono andati acquisendo sempre maggiore consapevolezza che in realtà la valutazione dei magistrati è funzionale all’esigenza e all’equità del sistema, sia come parametri di valutazione sia come organi valutatori, sia come partecipazione e consapevolezza del singolo magistrato alla propria autovalutazione. Ciò vale sia per l'Italia negli ultimi tempi, con esempi molto concreti sul punto, sia ad esempio per il Belgio. Il Consiglio di giustizia però esiste anche laddove inizialmente non era previsto per difendere l'indipendenza ed è nato in Olanda, secondo me con un esempio molto significativo: nasce nel 2002 e può addirittura ricevere direttive dal Ministro, ma in realtà il ministro utilizza un self restraint notevole. Le nomine degli uffici giudiziari dipendono dal governo, il quale però si attiene alle indicazioni del Consiglio. Il Consiglio olandese nasce proprio per l’accountability. Nel momento si prende atto che il giudiziario trova la sua legittimazione nella sovranità popolare, che non è quella della singola maggioranza che volta per volta si crea con le elezioni, ma deriva dalle Costituzioni, la sua indipendenza va garantita anche sotto l’aspetto finanziario. È vero dunque che non si possono utilizzare strumenti finanziari o impropri da parte dei governi per condizionare l'indipendenza dei magistrati. 158 Necessariamente quest'autogoverno dei giudici, che più o meno si sta instaurando ovunque, si è reso conto e ha la consapevolezza che sempre di più, più che alla valutazione ai fini della carriera del magistrato, deve porsi l’attenzione sulla responsabilità nei confronti della collettività. Oggi in Belgio, in Olanda, ma anche in Italia, il magistrato che viene valutato deve dimostrare anche di avere raggiunto degli obiettivi di efficienza del sistema. Addirittura in Belgio mentre si valuta il magistrato, il valutatore è scelto dall'assemblea dei magistrati dell'ufficio, come in Romania. La valutazione del collega belga parte dal singolo magistrato con un colloquio con il suo valutatore in cui si stabiliscono gli obiettivi che per i successivi tre anni quel magistrato deve raggiungere, in termini di maggiore funzionalità del proprio ufficio e del proprio ruolo, che non è solo smaltimento ma è anche rapporto con l'utenza, è il rispetto dei diritti umani, oltre alla possibilità di dimostrare di aver fatto dei miglioramenti nella parte informatica dell'ufficio oppure nella gestione dei protocolli organizzativi delle udienze. Da questo punto di vista se i Consigli di giustizia vengono utilizzati in maniera positiva vi è un recupero della democraticità. Il sistema giudiziario si sta rendendo conto che se vuole mantenere il proprio autogoverno nei termini in cui gli standard internazionali lo suggeriscono anche ai paesi dell'Est, deve rendere conto di come gestisce questo potere in maniera responsabile verso la collettività. La valutazione di professionalità si sta spostando da una classifica dei magistrati – tu sei al primo posto e vai a dirigere quell'ufficio – verso una valutazione dell'efficienza per mettere la persona giusta al posto giusto che non vuol dire un ruolo superiore, ma dargli il ruolo in cui nel giudiziario è più adatta e ha più spiccate attitudini. 159 Antonino Alì Professore Associato di Diritto Internazionale Facoltà di Giurisprudenza Dipartimento di Scienze Giuridiche Università degli Studi di Trento LE RETI GIUDIZIARIE EUROPEE E LA COMUINITARIZZAZIONE DEL DIRITTO INTERNAZIONALE PRIVATO E PROCESSUALE Il tema delle reti giudiziarie europee acquista un significato peculiare nella prospettiva del diritto internazionale privato e processuale, e in particolare, nel quadro del fenomeno della “comunitarizzazione” del diritto internazionale privato e processuale1. E’ noto che, a seguito dell’attribuzione di nuove competenze comunitarie con il Trattato di Amsterdam del 1997, la Comunità europea è intervenuta per mezzo di regolamenti2 in un settore in cui, fino a quel momento, le forme di azione erano intergovernative e, dunque, gli strumenti utilizzati per uniformare la disciplina del diritto 1 F. MOSCONI – P. CAMPIGLIO, Diritto internazionale privato e processuale, Parte generale e obbligazioni, Vol. I, Torino, 2010, p. 15 ss.; P. DE CESARI, Diritto internazionale privato e processuale comunitario, Milano 2004, p. 59 ss.; J. BASEDOW, The Communitarisation of the Conflict of Laws under the Treaty of Amsterdam, in Common Market Law Review, 2000, p. 687; A. FIORINI, The Evolution of European Private International Law, in International Comparative Law Quaterly, 2008, p. 969. V. P. FRANZINA, Il ruolo della rete giudiziaria europea nell’applicazione e nello sviluppo degli strumenti della cooperazione giudiziaria in materia civile, in N. Boschiero – P. Bertoli (a cura di), Verso un “ordine comunitario” del processo civile – Atti del Convegno interinale della Società italiana di diritto internazionale (Como, 23 novembre 2007), Napoli (Editoriale Scientifica), 2008, p. 185-199. 2 Più raramente con direttive. 161 internazionale privato (in senso ampio) tra gli Stati membri erano i trattati internazionali.3 All’indomani dell’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam l’1 maggio 1999 sono stati adottati, in un primo momento, regolamenti che hanno avuto per oggetto il diritto processuale civile internazionale e, in particolare, gli aspetti relativi alla competenza e al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni giudiziarie4; la cooperazione nel settore dell’assunzione di prove5, la notificazione e comunicazione degli atti giudiziari ed extragiudiziali6, l’istituzione di un titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati7; il procedimento europeo d’ingiunzione di pagamento8; il procedimento per le controversie di modesta entità9; i modi alternativi di risoluzione delle controversie (e in particolare la mediazione)10. Da ultimo, il regolamento relativo alla 3 Si allude, in particolare, alla Convenzione di Bruxelles del 1968 sulla competenza giurisdizionale e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale e alla Convenzione di Roma del 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali. 4 Regolamento CE n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (in GUCE L 12/1 del 16 gennaio 2001); Regolamento CE n. 2201/2003 del Consiglio, del 27 novembre 2003, relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, che abroga il regolamento (CE) n. 1347/2000 (in GUUE L 338/1 del 23 dicembre 2003); Regolamento CE n. 1346/2000 del Consiglio, del 29 maggio 2000, relativo alle procedure di insolvenza (in GU L 160/1 del 30 giugno 2000). 5 Regolamento CE n. 1206/2001 del Consiglio, del 28 maggio 2001 (in GU L 174/1 del 27 giugno 2001). 6 Regolamento CE n. 1393/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 13 novembre 2007 , relativo alla notificazione e alla comunicazione negli Stati membri degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile o commerciale ( notificazione o comunicazione degli atti) e che abroga il regolamento (CE) n. 1348/2000 del Consiglio (in GUUE n. L 324/79 del 10 dicembre 2007). 7 Regolamento CE n. 805/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004 (in GUUE L 143/15 del 30 aprile 2004). 8 Regolamento CE n. 1896/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006 (in GUUE L 399/1 del 30 dicembre 2006). 9 Regolamento CE n. 861/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’ 11 luglio 2007 (in GUUE L 199/1 del 31 luglio 2007). 10 Direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 maggio 2008 (in GUUE L 136/3 del 24 maggio 2008.) 162 competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari11. Negli anni successivi l’Unione ha adottato regolamenti relativi ad aspetti di diritto internazionale privato in senso stretto e cioè quelli sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali ed extracontrattuali12. Guardando agli strumenti adottati nel corso dell’ultimo decennio, può notarsi che, in alcuni casi, vi è stata una trasformazione, con naturali e opportuni aggiornamenti, degli strumenti internazionali in precedenza adottati; in altri casi, sono stati approvati provvedimenti “nuovi”: tappe fondamentali nella creazione di uno spazio giuridico europeo basato sul principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie. Come affermato dalla Commissione e dal Consiglio nel Programma di misure adottato nel dicembre 2000 per l’abolizione progressiva dell’exequatur in quattro settori, i provvedimenti adottati implicano un livello di fiducia sempre maggiore tra le autorità giudiziarie degli Stati europei.13 Una fiducia reciproca è nella logica stessa del diritto internazionale privato, che implica l’apertura a valori giuridici incorporati nella legge straniera e a decisioni rese da giudici stranieri. 14 11 Regolamento (CE) n. 4/2009 del Consiglio, del 18 dicembre 2008 , relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari (in GUUE L 7/1 del 10 gennaio 2009). 12 Il 20 dicembre 2010 sulla base della procedura di cooperazione rafforzata è stato adottato il regolamento sul divorzio n. 1259/2010 del Consiglio del 20 dicembre 2010 relativo all’attuazione di una cooperazione rafforzata nel settore della legge applicabile al divorzio e alla separazione personale (in GUUE L 343/10 del 29.12.2010). V. anche il futuro regolamento sulle successioni (proposta di regolamento concernente la competenza, la legge applicabile, e il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni e degli atti pubblici in materia di successioni e la creazione di un certificato successorio europeo, presentata dalla Commissione in data 14 ottobre 2009). 13 Sul punto, v. P. BERTOLI, Verso un diritto processuale civile comunitario uniforme: l’ ingiunzione europea di pagamento e le controversie di modesta entità, in Riv. Dir. Inter. Priv. e Proc., 2008, p. 396 ss. 14 Così, P. FRANZINA, L’azione dell’Unione europea nel settore del diritto internazionale privato e processuale, in Revista Direitos Fundamentais & Democracia, 2010, p. 8. 163 Questi provvedimenti nel loro complesso aumentano, per utilizzare una terminologia propria nel linguaggio informatico, le capacità di interconnessione tra organi giurisdizionali e, più in generale, degli operatori giuridici nell’Unione europea, non limitandosi al coordinamento tra ordinamenti statali, ma dando altresì “una precisa direzione a quel coordinamento, in quanto “ordinano” il pluralismo delle esperienze giuridiche statali in vista del soddisfacimento di precisi obiettivi e nel rispetto di precisi valori”.15 E’ sullo sfondo di questo quadro normativo sempre più ricco e prolifico che intendo svolgere la mia breve analisi sulle reti giudiziarie europee nel settore civile. E’ questo un tema che non è stato ancora esaminato nella sessione di oggi, focalizzata sugli aspetti della cooperazione giudiziaria penale. Come affermato dal Consiglio, l’obiettivo dello sviluppo di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia da parte dell’Unione europea e del buon funzionamento del mercato interno può essere raggiunto attraverso il miglioramento, della semplificazione e dell’accelerazione dell’effettiva cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri in materia civile e commerciale16. La cooperazione giudiziaria raggiunta mediante i citati regolamenti, e ancor prima attraverso accordi internazionali, ha generato forme di collegamento tra organi giurisdizionali. Già da diverso tempo si può registrare, infatti, l’esistenza di una rete informale, basata su collegamenti potenziali, tra tutti i giudici che si occupano della materia civile e commerciale. Oggetto di questa sintetica panoramica non è tanto il profilo relativo alla crescente fiducia tra gli organi giurisdizionali europei, quanto il tema degli strumenti adottati per facilitare da un punto di vista materiale la cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri dell’Unione europea nel settore civile e commerciale. 15 Sempre P. FRANZINA, cit., p. 9. V. il Regolamento CE n. 743/2002 del Consiglio del 25 aprile 2002, che istituisce un quadro generale comunitario di attività per agevolare la cooperazione giudiziaria in materia civile. 16 164 La rete giudiziaria europea trova il suo precedente immediato nel meccanismo previsto dall’Azione comune 97/277/GAI del 22 aprile 1996, «relativa ad un quadro di scambio di magistrati di collegamento diretto a migliorare la cooperazione giudiziaria fra gli Stati membri dell’Unione europea».17 In questo documento, dopo aver rilevato che «gli Stati membri ritengono di comune interesse l’adozione di misure tendenti a migliorare la cooperazione giudiziaria, sia penale che civile», si sottolineava che la funzione dei magistrati di collegamento era quella di facilitare e di accelerare «tutte le forme di cooperazione giudiziaria in campo penale e, se del caso civile». Con l’Azione comune 98/428/GAI del 29 giugno 199818 veniva istituita una Rete Giudiziaria Europea (RGE) per far fronte ai fenomeni della grande criminalità (in particolare quella organizzata), della corruzione, del traffico di droga e del terrorismo.19 A pochi mesi di distanza, nel Piano di Azione del 1998 del Consiglio e della Commissione per l’attuazione del Trattato di Amsterdam20 veniva sottolineata la necessità di un’estensione al settore della giustizia civile del meccanismo della RGE già previsto per il settore penale. Pertanto, il Consiglio il 28 maggio 2001 adottava la decisione 2001/470/CE, istituendo una rete giudiziaria europea in materia civile e commerciale (d’ora innanzi “RGE civile”, per distinguerla da quella penale, “RGE” 17 GUCE L 105/1 del 27 aprile 1996. L’azione comune prevedeva «un quadro di invio o scambio di magistrati o di funzionari particolarmente esperti nel campo delle procedure riguardanti la cooperazione giudiziaria […] fra gli Stati membri, in base ad accordi bilaterali o multilaterali». 18 GUCE L 191/4 del 7 luglio 1998. 19 La letteratura in materia è vasta; si rinvia a E. CALVANESE – G. DE AMICIS, La rete giudiziaria europea: natura, problemi e prospettive, in Cassazione Penale, 2001, p. 698; M. FLETCHER – R. LOOF – B. GILMORE, EU Criminal Law and Justice, Edward Elgar, 2008, p. 74 ss. 20 GUCE 19/1 del 23 gennaio 1999. 165 tout court)21: un «sistema di informazione per il grande pubblico», «una struttura di cooperazione organizzata in rete»22. Veniva, in altri termini, previsto un sistema che doveva meglio consentire il raggiungimento degli obiettivi della cooperazione giudiziaria e dell’accesso alla giustizia per le persone che affrontano controversie con aspetti transnazionali. La RGE civile interviene nel rispetto di altri meccanismi di cooperazione già presenti, ma si contraddistingue per il suo vasto campo di azione. Si tratta di un meccanismo di coordinamento a copertura generale e che è, dunque, previsto sia per agevolare la cooperazione nei settori coperti da normativa dell’Unione, sia in quelli ove non è applicato ancora alcuno strumento. La struttura della RGE in materia civile è fondata su una serie di punti di contatto, su organi centrali e autorità centrali previsti da atti comunitari e convenzioni internazionali e dai magistrati di collegamento previsti dall’azione comune 96/277/GAI e «da qualsiasi altra autorità giudiziaria o amministrativa competente per la cooperazione giudiziaria in materia civile e commerciale la cui appartenenza alla rete sia giudicata opportuna del rispettivo Stato membro». Gli obiettivi principali della RGE civile (cooperazione giudiziaria e accesso alla giustizia) sono raggiunti sia per mezzo di riunioni periodiche e contatti tra i partecipanti23, sia attraverso la predisposizione di un sistema di informazione per il grande pubblico e 21 GUUE L 174/25 del 27 giugno 2001. La Danimarca, a seguito della clausola di opting out alle regole del Titolo IV del TCE, non ha partecipato all’adozione della decisione e, dunque, non è vincolata. 22 V. Considerando n. 6 alla Decisione 2001/470/CE, e le Conclusioni del vertice straordinario di Tampere del 15-16 ottobre 1999. 23 Come si legge nella relazione alla proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio modificativa della decisione 2001/470/CE (Bruxelles, 23 giugno 2008, COM (2008 380 def.) 2008/0122 (COD)): «[a]ll’inizio del 2008 la rete contava 437 membri partiti in quattro categorie, vale a dire 102 punti di contatto, 140 autorità centrali, 12 magistrati di collegamento e 181 altre autorità giudiziarie competenti in materia di cooperazione giudiziaria […] Le riunioni dei punti di contatto hanno luogo almeno una volta a semestre: fra l’11 febbraio 2003 e il 31 gennaio 2008 se ne sono tenute diciannove, cioè in media quattro all’anno. I membri della rete si sono riuniti tutti assieme, dal 2002, ogni anno». 166 per gli specialisti. Gli obiettivi specifici della rete sono: «il corretto svolgimento dei procedimenti con risvolti transnazionali e agevolare le richieste di cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri»24; l’applicazione degli atti comunitari e delle convenzioni vigenti da due o più Stati membri; la creazione nella rete Internet del suddetto sistema di informazione della normativa comunitaria, internazionale e nazionale e schede informative sull’accesso alla giustizia negli Stati membri.25 La rete, inoltre, agevola i contatti tra le autorità degli Stati membri, stabilisce riunioni periodiche tra i punti di contatto (almeno una volta per semestre) e elabora e aggiorna le informazioni sulla cooperazione giudiziaria in materia civile e commerciale e sui sistemi giuridici degli Stati membri. Le riunioni periodiche consentono uno scambio di esperienze, di dati e di punti di vista e l’individuazione di prassi, di orientamenti e di iniziative specifiche per favorire la cooperazione giudiziaria. I punti di contatto si adoperano per risolvere i problemi che possono sorgere in occasione di richieste di cooperazione giudiziaria. Sono fatte salve le competenze delle autorità previste da altri atti comunitari o trattati internazionali e che sono integrate alla RGE civile. Con l’istituzione della RGE civile è stato previsto anche un meccanismo di monitoraggio e di valutazione periodica della Rete, al fine di meglio rispondere alle esigenze del pubblico. Nella relazione del 2006 sul funzionamento della rete (adottata secondo quanto previsto dall’art. 19 della decisione istitutiva) la Commissione, ponendo l’accento alcuni problemi emersi nel corso degli anni, ha proposto alcune modifiche della decisione con il fine di rafforzare il ruolo dei punti di contatto sia all’interno della rete, sia nei rapporti con i giudici e gli ordini professionali legali26. 24 Va notato che tale finalità vale anche quando non venga in rilievo alcun atto comunitario o trattato internazionale di cooperazione. 25 http://ec.europa.eu/civiljustice/ 26 V. anche Evaluation of the functioning of the European Judicial Network in civil and commercial matters, Final Report, DG JLS, June 20th 2005. 167 Inoltre, il programma «Giustizia civile»27, volto a mantenere e sviluppare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nell'Unione europea (UE), dal 1° gennaio 2007 al 31 dicembre 2013 ha confermato l’obiettivo di promozione della «cooperazione giudiziaria civile per creare uno spazio europeo basato sul riconoscimento e sulla fiducia reciproci»; dell’eliminazione degli «ostacoli al corretto funzionamento dei procedimenti civili fra Stati membri»; della facilitazione «dell’accesso alla giustizia agli individui e alle imprese»; del miglioramento «i contatti, lo scambio di informazioni e la creazione di reti tra le autorità giuridiche, giudiziarie e amministrative e le professioni giuridiche, anche mediante il sostegno della formazione giudiziaria, al fine di una migliore comprensione reciproca tra le autorità e i professionisti in questione»28. La decisione sulle reti giudiziarie europee “civili” è stata modificata con decisione n. 568/2009/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 giugno 2009. La decisione entrata in vigore l’1 gennaio 2011 ha ulteriormente rafforzato gli strumenti già previsti nella decisione del 2001 e, in particolare, il ruolo dei punti di contatto nella rete e in rapporto ai giudici e alle professioni legali. In particolare, gli ordini degli (non i singoli) operatori del settore giustizia (avvocati, notai, ufficiali giudiziari) possono partecipare alla rete. Con la novella della decisione del 2001 è stato anche previsto un maggiore contatto tra la RGE civile e le altre reti di cooperazione giudiziaria nel mondo29 e le organizzazioni internazionali che promuovono la cooperazione giudiziaria. 27 Decisione n. 1149/2007/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 settembre 2007, che istituisce il programma specifico Giustizia civile per il periodo 2007-2013 come parte del programma generale Diritti fondamentali e giustizia in GUUE 257/16 del 3 novembre 2007. 28 V. art. 2 e 3 della Decisione n. 1149/2007/CE. 29 La rete giudiziaria europea in materia penale, la rete europea di formazione giudiziaria (nata su iniziativa della Francia in GUCE C 18 del 19 gennaio 2001), la Rete dei centri europei dei consumatori (ECC-Net, istituita nel gennaio 2005 a seguito della la fusione delle reti di tutela dei consumatori: la rete per la risoluzione extragiudiziaria delle controversie in materia di consumo (Rete EJE) e la rete di Eurosportelli), nonché le reti di cooperazione giudiziaria istituite fra i paesi terzi e con le organizzazioni internazionali. V. anche la Risoluzione del Consiglio e dei rappresentanti dei governi 168 Vale per ultimo segnalare alcune novità di rilievo contenute nel Trattato di Lisbona, entrato in vigore l’1 dicembre del 2009, che ha ampliato ulteriormente le competenze dell’UE nel campo del diritto internazionale privato e processuale. Il primo comma dell’art. 81 TFUE (ex art. 65 del TCE) afferma che «[l]’Unione sviluppa una cooperazione giudiziaria nelle materie civili con implicazioni transnazionali, fondata sul principio di riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziali. Tale cooperazione può includere l’adozione di misure intese a ravvicinare le disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri». E’ di tutta evidenza, a tale riguardo, la particolare enfasi con cui viene evidenziato il fondamento stesso della cooperazione giudiziaria: il principio del riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie, vero e proprio cardine del sistema.30 Un principio quest’ultimo che, non solo è incorporato, sia pure con intensità diverse, nei regolamenti già adottati, ma che va ulteriormente rafforzato attraverso meccanismi che consentano un’applicazione effettiva e pratica di queste regole. In questo senso, la Rete giudiziaria si contraddistingue per essere uno strumento privilegiato per il conseguimento di tali obiettivi. degli Stati membri, riuniti in sede di Consiglio, sulla creazione di una rete di cooperazione legislativa dei ministeri della giustizia degli Stati membri dell'Unione europea in GUUE C 326/1 del 20 dicembre 2008. 30 Al secondo comma si afferma che: «Ai fini del paragrafo 1, il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, adottano, in particolare se necessario al buon funzionamento del mercato interno, misure volte a garantire: a) il riconoscimento reciproco tra gli Stati membri delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziali e la loro esecuzione; b) la notificazione e la comunicazione transnazionali degli atti giudiziari ed extragiudiziali; c) la compatibilità delle regole applicabili negli Stati membri ai conflitti di leggi e di giurisdizione; d) la cooperazione nell'assunzione dei mezzi di prova; e) un accesso effettivo alla giustizia; f) l'eliminazione degli ostacoli al corretto svolgimento dei procedimenti civili, se necessario promuovendo la compatibilità delle norme di procedura civile applicabili negli Stati membri; g) lo sviluppo di metodi alternativi per la risoluzione delle controversie; h) un sostegno alla formazione dei magistrati e degli operatori giudiziari». 169 Infine, cade la limitazione contenuta nell’art. 68 TCE – in passato fortemente criticata - in base alla quale il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia UE poteva essere richiesto solo da giudici di ultima istanza quando si trattasse di questioni di interpretazione o di validità di atti adottati sulla base del Titolo IV del Trattato CE e, quindi, anche del settore del diritto internazionale privato e processuale. Va da sé, che ai fini dell’applicazione della normativa comunitaria in questione, l’applicazione del regime normale di rinvio (ovvero senza alcuna limitazione quanto al giudice competente per il rinvio) potrà solo giovare a diffondere il meccanismo di rinvio pregiudiziale – e in particolare quello di interpretazione – nelle controversie di carattere transnazionale. 170 Maria Rosaria Ferrarese Professore Ordinario di Sociologia del Diritto Facoltà di Giurisprudenza Dipartimento di Diritto Pubblico e di Studi Sociali Università degli Studi di Cagliari Scuola Superiore della Pubblica Amministrazione – Roma RETI E CIRCUITO GIUDIZIARIO EUROPEO Come spesso capita a chi parla nelle ultime sessioni, molti riferimenti che avrei voluto fare sono già stati anticipati dagli interventi precedenti. Ciò mi dà la possibilità di passare più velocemente ad alcuni aspetti che ieri mi sembra siano rimasti in ombra, e che invece forse meritano un risalto maggiore. In primo luogo, il tema delle reti giudiziarie stesse, che dà il titolo al nostro convegno. Il tema delle reti, che è stato evocato questa mattina sia da Daniela Bifulco, sia nell’intervento che mi ha preceduta, merita di essere ripreso, perché non è un dato di fatto quasi banale, ed anzi rivela una vera e propria rivoluzione che è avvenuta nei nostri sistemi giuridici. Com’è noto, furono per primi Ost e van de Kerchove a prospettare un passaggio del diritto “dalle piramidi alle reti”, ossia da una struttura di carattere verticale, quale era quella organizzata sui territori statali in forma gerarchica, verso una struttura giuridica di tipo tendenzialmente orizzontale e interattiva. In questo passaggio avvengono significativi cambiamenti, che tuttavia spesso sono ancora in via di definizione. Non a caso, il tema della rete appare sospeso tra opposti significati. Ed è importante innanzitutto soffermarsi su due ambivalenze che caratterizzano questa metafora. In primo luogo, la rete può essere intesa sulla base di una connotazione che allude al carattere dell’apertura e della comunicazione, o invece al carattere della dipendenza e della chiusura. Oggi è prevalente la prima caratterizzazione: poiché le reti si nutrono essenzialmente di comunicazione, esse appaiono come delle strutture aperte e spontanee che, come tali, contengono una naturale propensione alla creatività e all’innovazione. Ma la rete può essere intesa anche come qualcosa che lega, che vincola, o come qualcosa in cui si può restare impigliati. E talora anche 171 questo secondo significato torna ad essere evidente. In secondo luogo, le reti possono avere una ossatura formale, ma su questa spesso si insedia anche una struttura informale. La disposizione in forma reticolare di alcune istituzioni, e, per quanto qui ci riguarda, delle istituzioni giudiziarie, solo in parte riposa su meccanismi formali: essa è infatti affidata anche e soprattutto a dinamiche spontanee, che non a caso si configurano spesso in forma diversa o addirittura in contrapposizione rispetto ai meccanismi e agli organigrammi formali. In questo convegno, parlando di “reti giudiziarie europee”, si è voluto probabilmente sottolineare soprattutto il circuito formale, che ha il suo fondamento nella specifica struttura dell’ordinamento sovranazionale europeo, del cui recente aggiornamente ci si occupa in questa convegno. Ma non si può trascurare il fatto che oggi sarebbe impossibile isolare il circuito europeo delle corti da una più ampia e generale riorganizzazione del giudiziario in forma reticolare: in tal senso il circuito giudiziario europeo può anzi essere visto come il corrispettivo europeo di una più generale ri-organizzazione del circuito giudiziario a livello transnazionale e globale; insomma, quanto avviene in Europa è inevitabilmente interconnesso con le trasformazioni che hanno luogo nel più vasto mondo globale. Per quanto più strutturato, il circuito giudiziario europeo, rispondente a criteri sovranazionali, non è dunque del tutto separabile da un circuito giudiziario più ampio, che presenta sia aspetti di natura formale, che aspetti di natura informale. Sul piano formale, si deve registrare innanzitutto la moltiplicazione di corti e organismi giudiziari e para-giudiziari nel mondo attuale. Siamo di fronte ad una saga che, per dirla con un’espressione che hanno usato due autori, corrisponde all’idea che “multiple courts are better that no courts at all”. La moltiplicazione di corti ed espressioni giudiziarie è sintomo di una profonda diversificazione del cosiddetto “formante giudiziario” rispetto al passato, nonché di un diverso e più rilevante ruolo svolto dal giudiziario nel mondo attuale. Nel mio ultimo libro ho parlato di un esteso fenomeno di governance giudiziaria, proprio per far riferimento a una sempre più rilevante attività svolta dalle corti per supplire ai vari bisogni del mondo attuale, con risposte giuridiche diverse dalle leggi, e più capaci di tenere conto della specificità dei contesti e dei soggetti coinvolti. In tal senso la governance giudiziaria segna un superamento dei tradizionali connotati che la funzione giudiziaria aveva all’interno degli stati. 172 Anche il criterio dell’indipendenza dai poteri politici ha subito rilevanti cambiamenti. Quel modello, beninteso, resta ineludibile all’interno degli stati, e ancor di più, per quei Paesi che oggi si affacciano ad una cultura democratica e al panorama istituzionale proprio degli Stati di diritto. Allo stesso tempo, quel modello, ispirato alla separazione dei poteri, per alcuni aspetti è superato, ad esempio a livello internazionale, dove i giudici conoscono non solo elevati livelli di indipendenza, ma anche una notevole capacità di creare essi stessi il diritto. Il termine “governance giudiziaria “ è stato utilizzato tra altri anche da Stone-Sweet, ed è interessante notare che egli, per caratterizzare l’aspetto più tipico della governance giudiziaria, insiste soprattutto sulla tendenza a far coincidere nello stesso spazio la funzione giudiziaria con la funzione di creazione delle regole, cosicché chi decide una controversia tra due parti, allo stesso tempo, pone in essere la struttura normativa per risolverla. Inoltre, Stone-Sweet analizzando l’esperienza del Conseil constitutionnel francese, mostrando come la logica giudiziaria è capace di un'autopropulsione che porta a innovare ed estendere le competenze. L’espansione giudiziaria ha trovato una efficace rappresentazione specialmente sul suolo europeo, dove il processo di integrazione sovranazionale ha enormemente cambiato e complicato il quadro giuridico preesistente, che era consegnato integralmente agli stati, ed ha introdotto nuovi elementi di tensione e di incertezza sotto il profilo delle gerarchie e delle priorità. Ancor più, è come se la moltiplicazione di corti corrispondesse ad una pari moltiplicazione dell’importanza del judge-made-law nel mondo attuale. Specie se si guarda all’Europa continentale, il dato di fondo è che i nostri sistemi giuridici erano basati su un’idea essenzialmente normativa del diritto. Contrariamente ai sistemi di common law, l’idea era che il diritto consistesse in (e non potesse che consistere in) norme, ossia che fosse un diritto scritto e deciso in forma legislativa, e che il giudiziario fosse un organo da intendere prevalentemente come di natura esecutiva, fatti salvi gli inevitabili spazi richiesti dall’attività interpretativa. Oggi questa distinzione è in buona parte stata compromessa, in una situazione in cui la struttura normativa del diritto affidata alla legislazione registra crescenti difficoltà di funzionamento anche nei paesi europei. Ancor più, a livello internazionale, l’assenza di leggi trova un compensazione non solo nella fitta tela degli accordi e dei trattati internazionali, ma anche in un corposo tessuto di decisioni di corti nazionali, internazionali, e di altra natura, che danno risposte a 173 molteplici problemi e conflitti, spesso supplendo a significative carenze sia normative sia carenze procedurali. Anche in Europa, come nei paesi di common law, ci troviamo dunque in presenza di un diritto che non ha più una struttura normativa affidata quasi esclusivamente alle leggi: esso non consiste più prevalentemente in norme poste ex ante e consegnate all’applicazione giudiziaria, ma piuttosto si sviluppa anche e soprattutto attraverso pronunce giudiziarie, a ridosso di specifiche occasioni di conflitto. Si tratta di una profonda rivoluzione, che ci immette in un universo giuridico che somiglia a quello di common law, in cui i “signori del diritto” sono i giudici e non più i legislatori. Ciò è particolarmente vero per alcuni settori, come ad esempio quello della comunicazione, in cui le decisioni giudiziarie sono l’ingrediente regolatorio per eccellenza. La trasformazione dello scenario giuridico, che vede il diritto giudiziario diventare protagonista, e contendere il ruolo di primadonna alla legislazione, non è solo un dato di sfondo: esso, oltre a chiamare in causa il ruolo delle corti e del loro rapporto con la legislazione, ci porta sul terreno di varo cambiamenti che riguardano la funzione giudiziaria stessa. Come il titolo del convegno adombra, infatti, le numerose e profonde trasformazioni che attraversano lo scenario giuridico non risparmiano la stessa funzione giurisdizionale, che a sua volta esce con un volto profondamente mutato, sia per quanto riguarda i suoi meccanismi di legittimazione ed il suo rapporto con i poteri politici, sia per quanto attiene al suo profilo professionale. Sul piano della legittimazione, ad esempio, mentre nel passato era il criterio dell’applicazione delle leggi che giustificava l’operato del giudice, oggi, specie nel contesto internazionale sprovvisto di leggi, le pronunce del giudice acquistano credibilità se sanno essere convincenti, cosicché vengono riprese e citate da altre corti. Si è parlato, com’è noto, da parte di Anne Marie Slaughter, di un criterio di prestigio, che si sostituisce al criterio dell’autorità. Ed è ovvio che il prestigio è consono ad una interazione di tipo orizzontale tra le varie corti,che non è regolato da criteri gerarchici. Per quanto attiene ai rapporti con i poteri politici, la straordinaria affermazione del giudiziario nel firmamento giuridico attuale è legata alla crescente influenza del costituzionalismo nel mondo globale. L’immagine del costituzionalismo, inteso come restrizione e controllo dei poteri, si è spostata sempre più dall’idea che quei limiti consistessero solo in leggi e costituzioni verso l’idea che essi consistano anche in diritti e garanzie riservate a individui, gruppi, minoranze e soggettività 174 varie. Ciò significa che le leggi e le decisioni giuridiche non possono più prescindere da questi criteri, intesi come criteri giustificativi. In altri termini, il costituzionalismo conduce verso la necessità di giustificare la decisione politica incarnata nella legge sulla base del rispetto dei diritti. Più in generale, è il principio del judicial review che dà al “giudice delle leggi”, ossia al giudice costituzionale, “l’ultima parola” sulle leggi. Ma la tendenza a giudicare le leggi e le decisioni politiche sulla base di requisiti costituzionali coinvolge un circuito più ampio rispetto alla sola giurisdizione costituzionale: un circuito che si estende sia verso il basso che verso l’alto. Sotto il primo profilo, basti pensare che nel nostro ordinamento, ad esempio, è il giudice comune cosiddetto a quo, che, nel corso di un processo, può individuare un sospetto di costituzionalità rispetto ad una legge e rinviare alla Corte Costituzionale. Altrettanto, come si dirà più avanti, vale per il rinvio pregiudiziale, quando questo tocca materie costituzionalmente sensibili. Sotto il secondo profilo, basti pensare al ruolo di natura costituzionale svolto in Europa sia dalla Corte di Lussemburgo, che da quella di Strasburgo, o al ruolo costituzionale che si può rinvenire persino negli organismi quasi-giudiziari della WTO. Insomma, la logica del costituzionalismo e la tecnica del judicial review riposano su un contesto di ampia diffusione di sensibilità costituzionale, rivolta specialmente a salvaguardare diritti e prerogative di vario genere in capo a soggetti, individuali e non. Ma è utile sottolineare che il judicial review è una istituzione che deriva esclusivamente da una dottrina giudiziaria: una dottrina concepita ed enunciata, com’è noto, nel corso di un famoso caso giudiziario (Marbury v. Madison) discusso di fronte alla Corte Suprema nel 1803. Quella enunciazione, che costituiva una evidente manifestazione di capacità autopropulsiva dell’istituzione giudiziaria, ebbe poi effetti di lunghissimo periodo e di larghissimo raggio , se è vero che dall’800 quegli effetti giungono fino al nostro presente e che dagli Stati Uniti si estendono anche all’Europa e ad altre parti del mondo. Oggi il judicial review è un istituto che è parte integrante della cultura globale del costituzionalismo, e che aggiunge nuove frecce all’arco del giudiziario, non solo sul territorio americano, ma anche in Europa e nel più vasto mondo. Se vi è perfetta coerenza tra lo sviluppo del costituzionalismo e l’ascesa del giudiziario nel firmamento giuridico, altrettanto vi è perfetta coerenza tra la crescente complessità dell’universo giuridico e la crescente importanza del giudiziario. Via via che si ristruttura l’intero universo delle relazioni giuridiche e 175 cresce la complessità giuridica, anche le espressioni giudiziarie si moltiplicano e si diversificano, poiché rispondono al bisogno di apprestare risposte efficaci e cangianti ai bisogni giuridici del mondo globale e nuove modalità e nuove procedure per dirimere la conflittualità che si produce lungo i suoi vari percorsi. Il dialogo tra corti e i cambiamenti relativi all’operato delle corti D’altra parte, le stesse risposte giudiziarie non possono più prodursi nelle forme consuete. Proprio lungo la moltiplicazione di sedi e di modalità giudiziarie, che interessa specialmente l’area dei rapporti internazionali, si sviluppano più ampi circuiti comunicativi intergiudiziari, che hanno carattere formale (come si è visto nel caso del rinvio pregiudiziale), ma ancor più spesso hanno carattere informale e spontaneo, come avviene attraverso il “dialogo tra corti”. Nel dibattito giuridico internazionale, si parla di “dialogo tra le corti” o di “dialogo costituzionale”, proprio per riferirsi ad una comunicazione giudiziaria estesa sul tema dei diritti, che si svolge sia nelle sedi giudiziarie, sia all’esterno delle stesse, ossia attraverso sentenze e giudicati, così come attraverso dibattiti e confronti culturali. Questo dialogo spesso prescinde significativamente da criteri di appartenenza formale delle corti ad uno stato o ad una cultura giuridica. Il criterio dell’appartenenza formale finisce per disperdersi ed attenuarsi in un circuito comunicativo più ampio. Le modalità e le implicazioni del dialogo intergiudiziario possono essere molto varie, ma, se con questa espressione intendiamo il disporsi delle corti e del loro operato in un circuito comunicativo di tipo reticolare, mi sembra che esso sveli l’emersione di una significativa ristrutturazione del modo di essere del giudiziario. Questa ristrutturazione dello scenario giuridico si appoggia anche sull’affermazione di una logica peer to peer, che prescinde da criteri gerarchici, per fare spazio ad altri criteri, e che paradossalmente coincide con un notevole rafforzamento dei soggetti giudiziari. Il cosiddetto “dialogo tra le corti”, che come si è detto è particolarmente sviluppato e fecondo anche in Europa, ci aiuta a capire meglio anche alcune concrete implicazioni che ne derivano per la funzione giudiziaria, in Europa, ma anche al di là dell’Europa. L’instaurazione di un dialogo tra corti nazionali e corti europee è un elemento particolarmente importante e qualificante della rete giudiziaria europea e ha contribuito significativamente all’integrazione giuridica. 176 I cambiamenti sono riconducibili ad una doppia dinamica che è in atto in campo giudiziario, e che si potrebbe identificare rispettivamente sotto l’etichetta delle “corti liberate” e sotto l’etichetta delle “corti aggiustatrici”. Se la prima etichetta allude al fatto che esse sono spesso padrone del campo, poiché spesso agiscono in un contesto di relativa libertà, con vincoli giuridici poco chiari, o non abbastanza stringenti, che si esprimono in principi, piuttosto che in norme, con la seconda si intende sottolineare che esse svolgono un ruolo importante e imprescindibile sullo scenario giuridico attuale, caratterizzato da frammentazione e dispersione. Le corti “liberate” La situazione delle corti “liberate” si esprime al meglio quando le risposte vengono cercate dai giudici in un dialogo con altre corti e con altri paesi e tradizioni giuridiche, ossia uscendo dall’esclusivo riferimento ai propri dati normativi. Il dialogo è favorito specialmente quando i dati normativi sono carenti o, al contrario, sono ridondanti, ma mancano di un asse gerarchico lungo il quale possano essere collocati, come spesso avviene in ambito internazionale. In tutti questi casi, il ruolo degli organismi giudiziari diventa cruciale, ma al contempo si inscrive lungo una catena di costruzione di un tessuto giurisprudenziale tendenzialmente convergente ma molteplice, in cui sarà il tempo a scegliere e convalidare una certa linea giurisprudenza invece di un'altra. Con l’espressione corti “liberate” si vuole fare riferimento al fatto che esse nella scena giuridica sono diventate attrici sempre più protagoniste, ma non sempre assoggettate a vincoli giuridici chiari e stringenti. Specialmente in ambito internazionale, o nel contesto sovranazionale e transnazionale, la pluralità di riferimenti normativi e di principi e criteri a cui è possibile riferirsi, apre inediti spazi di opzioni possibili per le corti. L’insediamento di corti internazionali di vario genere, di diversa composizione e competenza, e con diversa finalità, avviene in un contesto che è spesso privo di una infrastruttura giuridica completa, fatta di regole, di criteri procedurali, di criteri gerarchici ecc. Le corti appaiono dunque affrancate, almeno in parte, dai vari vincoli che tradizionalmente pesavano sul loro agire e che erano appunto vincoli di natura gerarchica, di competenza territoriale, di procedure ecc. Tuttavia l’espressione “corti liberate” non deve far pensare a una “terra di nessuno”, in cui mancano del tutto regole e principi: il diritto internazionale può contare non solo su una fitta rete di accordi e trattati e su una ricca elaborazione di 177 regole e principi consuetudinari, ma ormai anche su un fitto tessuto di organizzazioni internazionali, che a loro volta forniscono principi e criteri comportamentali. Specie il contesto europeo si presenta come maggiormente strutturato rispetto al contesto internazionale. Ma, anche qui, la presenza di due corti “europee”, e soprattutto della CGE, vera protagonista del processo di integrazione, ha alterato sensibilmente la scena rispetto al passato. Sia sotto il profilo gerarchico, sia sotto il profilo della sensibilità costituzionale, sono intervenuti significativi cambiamenti. Basti pensare al meccanismo del “rinvio pregiudiziale”, grazie al quale ogni giudice nazionale può rivolgersi alla CGE quando, nel corso di un processo, sorgano dei dubbi relativi all’interpretazione del diritto europeo. Questa procedura è disegnata in modo da risolvere le incertezze non già in base a criteri dettati dall’alto, ma in base a interrogativi sorti in sede giudiziaria, a ridosso di fatti specifici. Io mi aspettavo che il tema del rinvio pregiudiziale, che a me appare un grimaldello essenziale per la disposizione in forma reticolare del circuito giudiziario europeo, venisse evocato ripetutamente in queste giornate. Esso infatti sconvolge le logiche gerarchiche consuete, facendo partire dal basso, dalle corti comuni, il collegamento con la Corte europea di giustizia. Peraltro, questo meccanismo, mentre permette alle corti nazionali di esprimere diversi punti di vista, indicativi delle proprie tradizioni, contribuisce significativamente alla socializzazione di giudici e corti a una comune sensibilità giuridica e costituzionale, nonché alla costruzione di un comune linguaggio giuridico. E’ significativo che l’utilizzo dell’istituto del “rinvio pregiudiziale” si sia negli ultimi anni progressivamente esteso dal basso verso l’alto, coinvolgendo sempre più anche alcune corti costituzionali, come quella del Belgio, dell’Austria, e persino quella italiana, che a loro volta hanno mostrato la propensione a rivolgersi alla Corte di Lussemburgo con quesiti relativi al profilo europeo del diritto che si apprestano a utilizzare. Qui ci troviamo veramente di fronte ad un revirement delle logiche gerarchiche consuete. Che degli organismi giudiziari tradizionalmente ritenuti in posizione apicale, quali le corti costituzionali, comincino a utilizzare questo istituto, ricorrendo al rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia, costituisce una inedita manifestazione di disposizione dialogica, su un suolo dove il mito della sovranità era stato fondato. Non sorprende che alcuni osservatori mostrino un atteggiamento critico verso queste nuove manifestazioni di disposizione al dialogo, in quanto dispersive di risorse e di energia, e nel caso delle corti costituzionali, anche del loro patrimonio di autorità. 178 Altri sensibili cambiamenti si producono lungo il flusso dialogico che coinvolge le corti in Europa e non solo in Europa. In altri termini, la circolarità della comunicazione intergiudiziaria non impedisce, ed anzi suppone, che alcune corti possano conquistare un rilevante ruolo culturale: si produce così un effetto di “deferenza” verso le corti più autorevoli, che funziona come un succedaneo dell’elemento gerarchico. Si è già parlato di un ruolo crescente che svolge il criterio del prestigio nel disegnare le nuove gerarchie tra corti, che sono ovviamente informali e perciò instabili. Le corti sono spinte ad affermarsi sulla base della credibilità del proprio operato, ossia della propria capacità di apparire persuasive e giuste nelle proprie decisioni giudiziarie. Ciò implica uno spostamento in termini di legittimazione dal criterio dell’autorità, che era proprio degli organismi di diritto pubblico, verso il criterio dell’affidabilità professionale, che ha invece connotazioni di tipo privatistico. Non a caso, a questo spostamento conseguono anche innovazioni lessicali, che sono ugualmente indicative dei cambiamenti in atto. Le corti coinvolte nel “dialogo” puntano sulla capacità di conquistare un prestigio basato sull’autorevolezza delle proprie decisioni, cosicché queste, oltre ad essere efficaci soluzioni dei casi sotto esame, possano diventare anche dei “precedenti giudiziari” significativi, ossia dei punti di orientamento per future decisioni. E accade persino di sentire evocare il termine clients riferito alle corti, per indicare evidentemente la ricerca da parte di queste di un interlocutore, che è diverso dallo stato, e una sorta di rapporto di fiducia che si può instaurare con determinate tipologie di soggetti. Ugualmente accade di sentire evocare termini come loyalty o constituency, che sono tipici del linguaggio politico, per indicare l’avvicinamento delle corti a percorsi o dinamiche di tipo politico. Come si vede, gli scivolamenti lessicali denotano uno spostamento dell’istituzione giudiziaria in due opposte direzioni: verso un ruolo di tipo quasi professionale da una parte, e verso nuovi risvolti politici, dall’altra. Dunque, se non ci sono più sempre e solo i tradizionali criteri di natura territoriale o gerarchica, tipici dell’organizzazione statale, a presidiare la sfera di azione delle corti, altri criteri si aggiungono e si impongono, o addirittura prendono il loro posto, proponendo un’idea di azione giudiziaria che partecipa di caratteri propri dell’universo politico, così come di quelli propri dell’universo professionale. A spingere in direzione professionalizzante contribuisce molto la rilevanza del fattore “prestigio”, quale elemento di “competizione” tra le corti. A rafforzare la professionalità delle corti contribuiscono inoltre non poco anche la diffusa conoscenza e l’uso frequente del diritto comparato. Questo tipo di 179 competenza diventa anzi imprescindibile specie da parte di corti internazionali e sovranazionali, che si confrontano con diversi ordinamenti, diverse realtà sociali e diverse tradizioni giuridiche. La comparazione per i giudici funziona come un necessario strumento di allargamento della propria visione e come elemento essenziale per confrontarsi con la complessità del mondo. La conoscenza comparatistica infatti è indispensabile per affinare lo sguardo e per acuire la capacità di bilanciare diverse o opposte visioni o esigenze del mondo, così come per formulare giudizi equilibrati, che sappiano tenere conto della diversità dei contesti, mettendo insieme, per dirla nei termini di Delmas-Marty, “l’universale e il particolare”. Ovviamente la comparazione giuridica, che è una modalità assolutamente estranea al modello tradizionale di giurisdizione, svolge una funzione diversa da quella che svolge in sede accademica: essa diventa un attrezzo professionale necessario per misurarsi con questioni di internazionalità e di multiculturalità, così da poter formulare delle sentenze informate ed equilibrate, e dunque suscettibili di ricevere un seguito. Un altro aspetto che mi pare derivare dal dialogo, e che è relativo proprio all’agire delle corti, riguarda il modo in cui si sviluppa il ragionamento giudiziario stesso. Questo, infatti, tradizionalmente appariva come una sorta di black box: pur essendo sottoposto a un obbligo di svelamento, attraverso la motivazione, spesso appariva come il prodotto di un rapporto quasi solitario del giudice con i referenti normativi. Non a caso, nell’ambito delle teorie dell'interpretazione, che alimentavano molte indagini di teoria e di filosofia del diritto, si davano teorie come quella della “pre-comprensione” di Gadamer, che postulavano che i giudici tendessero a decidere indipendentemente da un rigoroso ragionamento giuridico, e che questo fosse piuttosto ricostruito ex post. Oggi, all'interno di un contesto “dialogico”, si dà un ambiente giudiziario in cui le decisioni tendono meno a derivare da ragionamenti solitari che l’interprete conduce sulla scorta delle norme e della dottrina. Come si è già detto, nel contesto internazionale, i giudici spesso si trovano non solo e non tanto a dover dare delle risposte scegliendo tra diversi possibili riferimenti normativi, quanto piuttosto a patire una situazione di carenza o addirittura di assenza di dati normativi certi. In tale situazione, è naturale che le loro decisioni si svolgano lungo un percorso di maggiore trasparenza e condivisione. Quella che appariva la black box del ragionamento giudiziario e del processo interpretativo delle norme, appare sempre più una scatola degli attrezzi che viene costruita e utilizzata in 180 maniera condivisa anche con altri. Basti pensare anche all’uso di Internet, che facilita la conoscenza e la lettura delle sentenze, a cui sono dediti appositi siti. Si può dire dunque che il dialogo tra corti configura anche un contesto di maggiore socializzazione del processo di decisione giudiziaria. A ciò corrisponde una ambigua situazione sotto il profilo dei controlli: la socializzazione del processo decisionale corrisponde ad un più intenso controllo di tipo culturale e “sociale” sull’operato del giudice. Al contempo, a questo controllo culturale e sociale, corrisponde spesso una attenuazione dei controlli propriamente giuridici e normativi. Basti pensare come, specialmente nel circuito giudiziario europeo, l’operato delle corti e specie della CGE sia sotto gli occhi attenti e interessati di una estesa platea internazionale, e di giuristi che hanno riferimenti giuridici e culture giuridiche di riferimento molto diverse. Tutto questo segna una crescente integrazione del sistema giudiziario. Ciò non vuol dire che tutto il dialogo, tutta la comunicazione giudiziaria, si svolgano all'insegna dell'armonia, della totale condivisione, senza che si profilino anche dissonanze, conflitti e scontri. Anzi, paradossalmente, l’assenza di stringenti vincoli giuridici genera spesso una maggiore conflittualità non solo tra diverse corti, ma persino all'interno di una stessa corte. Si possono infatti moltiplicare le differenze di visione e noi ne abbiamo testimonianza, per esempio anche attraverso alcune rilevanti decisioni della Corte suprema americana, che sono state prese a maggioranza, spesso dopo aspri dibattiti. Nella misura in cui su quella corte, o su altre corti, arriva una pressione internazionale molto più forte che nel passato, si possono creare varie tensioni, alcune delle quali tendono ad essere rappresentate nei termini di un conflitto fra i richiami alla ratio democratica, che indulgono alla specificità delle decisioni politiche e delle tradizioni culturali, e i richiami alla ratio del costituzionalismo, che indurrebbero a interpretare in chiave universalistica i diritti. La tensione diventa chiara ad esempio in materia di pena di morte, una materia che è rimessa alle decisioni politiche degli stati, ma su cui possono incidere in qualche modo non solo la cultura del costituzionalismo, ma anche i trattati internazionali, se non altro, per quanto attiene alle modalità di erogazione della stessa. Le corti “aggiustatrici” Le corti in funzione “aggiustatrice” a livello internazionale si configurano specie in due circostanze: in primo luogo, quando svolgono funzioni di tipo “diplomatico”; 181 in secondo luogo, quando operano in un contesto di carenza, o addirittura di assenza, di norme e procedure da utilizzare, e devono dunque operare in modo da predisporre esse stesse tali regole e procedure. Allard e Garapon, proprio in considerazione del dialogo tra le corti e dell’intensificazione degli scambi culturali che esso produce, hanno parlato di “un forum mondiale dei giudici”, segnalando una sorta di svolta diplomatica delle corti. In altri termini, il passaggio “dalla spada alle feluche” ha trovato un seguito nel passaggio che Cassese chiama “dalle feluche alle toghe”. E’ come se i giudici svolgessero funzioni simili a quelle degli ambasciatori sulla scena mondiale, in quanto disperdono, attutiscono o risolvono i contrasti, le tensioni e i conflitti tra le varie culture giudiziarie, per impedire la “corsa agli armamenti” giuridici. Questa analisi può essere applicata tanto più all’Europa, dove lo spazio dialogico tra le corti è anzi stato maggiormente organizzato in un assetto sovranazionale, e viene costantemente arricchito da nuove regole. Anzi il ruolo “diplomatico” svolto specie dalla Corte di giustizia meriterebbe forse maggiore attenzione e qualche analisi più approfondita. Ma il riferimento alla funzione diplomatica va inteso correttamente, ossia alla luce del ruolo nuovo che il diritto svolge nello spazio internazionale. Com’è noto, un ampio dibattito ha insistito, spesso con accenti critici, sulla valenza essenzialmente giuridica e istituzionale assunta specialmente dal processo di unificazione europea, a detrimento di una sostanza politica dello stesso. Sotto questo profilo, va marcata una differenza significativa dal ruolo diplomatico: la metafora diplomatica del judicial committee può contenere un equivoco se non si precisa che le feluche parlavano e parlano in nome della politica e per la politica, mentre il giudiziario spesso agisce anche in vece o addirittura in contrapposizione al politico, poiché è una voce del diritto e, come tale, punta sulla propria indipendenza dalla politica. Le corti svolgono funzioni “aggiustatrici” nel diritto internazionale, anche perché questo è diventato, molto più di quanto non lo fosse in passato, uno spazio aperto a nuovi soggetti e a nuove dinamiche. La nascita di numerosi organismi giudiziari, l’esistenza di migliaia di organizzazioni internazionali, spesso dotate di apparati giudiziari, creano continuamente problemi di interferenze tra ordinamenti nazionali e ordinamenti internazionali, di sovrapposizione tra regole e ordinamenti, di conflitti di competenza, di forum shopping, e di incertezza delle regole. Quanto questo contesto possa garantire l'uniformità della giurisprudenza è dubbio. Da una parte, il diritto giurisprudenziale non appare votato all’uniformità, 182 intesa come ai vecchi tempi, in cui i confini statali valevano a chiudere i circuiti della semantica giuridica. Tuttavia, in qualche modo, il motto europeo “Uniti nella diversità” tende a rivivere anche nella sfera del diritto giurisprudenziale, poiché vi è un’indubbia tendenza a condividere le stesse parole d'ordine e a confluire in una comune sensibilità giuridica e costituzionale. D’altra parte, vi è tuttavia una carenza di regole, sostanziale e procedurali, così come di coordinamento tra i vari livelli. Come ha sottolineato Cassese nel volumetto Le Corti di Babele, il lavoro di coordinamento tra diversi spezzoni di ordinamenti, di creazione dei pezzi mancanti e di regole di raccordo, non può essere fatto se non dalle corti. Mancano infatti nello scenario internazionale i soggetti legislatori: gli accordi e i trattati internazionali, che sembrano svolgere un ruolo di tipo normativo, essendo tipicamente rivolti ad uno scopo, non si occupano di problemi di raccordo o di regole di carattere generale. Come ha mostrato una significativa letteratura di diritto internazionale, penso soprattutto ad alcuni contributi di Y. Shany, c’è un ruolo significativo svolto dalle corti anche nel definire o nel ri-definire molti criteri procedurali del diritto internazionale. Si potrebbe dunque dire che è in atto una ristrutturazione dell’ordinamento giuridico internazionale, che è affidato in misura significativa proprio al lavoro delle corti. Questo lavoro di regolazione, di creazione di nuove procedure internazionali ha spesso effetti significativi anche all'interno degli Stati; d’altra parte, a loro volta, gli Stati non sono solo dei soggetti passivi, perché possono, attraverso vari meccanismi, avere qualche influenza sul piano internazionale. Il sistema è insomma molto mosso e i cambiamenti sono ben lungi dallo svolgersi in maniera unidirezionale. Una riprova significativa di questo movimento si può trovare nella decisione del caso Kadi, che ha portato la Corte europea di giustizia, nel 2005, a modificare un precedente giudizio del Tribunale di Prima Istanza, per ristabilire la priorità dei diritti individuali dei cittadini europei rispetto ad esigenze di lotta al terrorismo1. Al contempo, quella sentenza ha ristabilito dei confini tra ordinamento europeo e ordinamento internazionale, respingendo l’idea che l’ONU potesse stabilire misure di sicurezza lesive dei diritti fondamentali, ponendole al riparo dal sindacato giudiziario. _______________ 1 Il caso era stato portato davanti al giudice europeo dal sig. Kadi, che, in quanto sospettato di legami con gruppi terroristici e come tale inserito in una lista di persone sospette, aveva subito il sequestro dei propri beni, in ossequio a una delibera del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. 183 Pensavo che in questi giorni si sarebbe parlato molto di questa pronuncia, che non a caso ha dato luogo a un lungo dibattito. Si potrebbe dire che con quella sentenza la Corte europea di giustizia ha enunciato una sorta di teoria di controlimiti europei nei confronti del sistema di diritto internazionale. Essa può inoltre essere considerata anche al di là del merito di avere ribadito i termini dell'indipendenza e dell'autonomia del sistema giudiziario europeo: essa corrisponde infatti anche a un orgoglioso risveglio di sovranazionalità europea, forse uno dei più significativi degli ultimi tempi. In altri termini, con questa pronuncia, si definisce e si chiude una semantica giuridica propria dell’Europa, in materia di diritti, segnando al contempo una linea di continuità che deve esistere tra i paesi appartenenti all’Unione e una distinzione rispetto all’ordinamento internazionale. Al contempo, quella sentenza marca anche la capacità di innovazione che può derivare da decisioni giudiziarie inserite in un contesto dialogico e reticolare. La capacità di innovazione non significa solo capacità di innovare il diritto attraverso la fonte giurisprudenziale, ma significa anche capacità di innovare e potenziare la stessa fonte giurisprudenziale. Come si è già detto, non sempre il dialogo sancisce consonanze e accordi: esso può anche segnare dissensi e interruzioni della comunicazione. Le corti, dunque, possono operare anche per ristabilire una specifica grammatica giuridica, propria di alcune tradizioni costituzionali, o di un dato ordinamento, quando ritengono che essa sia stata oggetto di corrosioni o deformazioni arrecate dall’esterno. In tal caso, piuttosto che il dialogo, opera una sorta di interruzione della linea di continuità tra le varie corti: è come se si volesse riparare quella specie di “tetto” della casa giuridica che era il documento costituzionale, ridandogli nuovo smalto e nuove valenze. In Europa, il ruolo costituzionale svolto dalla Corte europea del Lussemburgo ha finito per erodere questi tetti statali, almeno in parte. In risposta a questo processo, specialmente alcune corti costituzionali europee, come quella tedesca e quella italiana, hanno mostrato maggiore capacità di resistenza. Si può qui tornare su quel doppio significato della rete, di cui si diceva all’inizio: la rete può essere intesa come coordinamento e comunicazione, ma anche come reciproca interdipendenza e come vincolo, fino a poter essere percepita come troppo stringente. In Europa, questa doppia connotazione della rete è particolarmente evidente. Da una parte, in un mondo in cui prevale la dispersione e la frammentazione, la rete giuridica europea implica una più accentuata 184 comunicazione ed una più coerente grammatica giuridica. Dall’altra, quando le maglie dell’interconnessione e del vincolo si stringono troppo, alcuni stati e alcuni attori istituzionali, come le corti costituzionali, spesso cercano di ristabilire il proprio punto di vista e la propria specifica cultura istituzionale. Proprio in questa doppia dialettica della rete si dibatte e si afferma lo spazio del diritto sovranazionale europeo, che è frutto al contempo di vincoli, ma anche di un esercizio di libertà comunicativa. L’immagine della conversazione è stata più volte evocata nella letteratura in tema di diritto europeo. L’estesa comunicazione giuridica che è in atto nel mondo globale trova nelle corti, e in particolare nelle due corti europee, delle “conversatrici” particolarmente attive e impegnate. E la conversazione, anche in campo giudiziario, sembra possedere quelle virtù al contempo di dolcezza e di forza che le attribuiva Montaigne, in quale nei Saggi, scriveva: è “la pratica più dolce di qualsiasi altra azione della nostra vita. E’ per questo che, se ora fossi costretto a scegliere, accetterei credo piuttosto di perdere la vista che l’udito o la parola”. Al contempo, egli aggiungeva: “Se converso con un animo forte o con un giostratore gagliardo, egli mi stringe ai fianchi, mi punge a sinistra e a destra; le sue idee danno slancio alle mie. La rivalità, la gloria, la contesa, mi spingono e m’innalzano al di sopra di me stesso”. 185 Carlo Guarnieri Professore Ordinario di Scienza Politica Università degli Studi di Bologna RETI GIUDIZIARIE EUROPEE E MODELLI DI ORDINAMENTO GIUDIZIARIO Il mio intervento parte dalle conclusioni dell'intervento di Maria Rosaria Ferrarese, che ha messo l’accento in maniera brillante ed esaustiva su un fenomeno abbastanza noto: la forte crescita della creatività giurisprudenziale nei nostri sistemi politici. Già quasi trent'anni fa Mauro Cappelletti fu fra i primi a segnalare questa novità, sottolineando anche il ruolo svolto in questo processo dalle dichiarazioni transnazionali dei diritti dell'uomo (Cappelletti 1984). Oggi però il fenomeno si è sviluppato in modo molto più esteso di quanto Cappelletti allora riteneva fosse possibile. Questo stato di accentuata creatività giurisprudenziale è quindi un dato di fatto, un necessario punto di partenza su cui va inserita la nostra riflessione sulle reti giudiziarie: che ruolo giocano le reti in questo processo? Naturalmente, per procedere correttamente, il concetto di rete giudiziaria ha bisogno innanzitutto di un chiarimento: che intendiamo con questa espressione? Credo sia opportuno partire con una definizione abbastanza ampia e, quindi, seguendo un suggerimento di Roberto Toniatti, parlare non tanto di rete, ma piuttosto di assetto reticolare, di sistema reticolare, inteso come insieme di relazioni più o meno strutturate fra attori che operano all'interno di sistemi giudiziari nazionali, eventualmente sostenuti o in relazione a loro volta con attori collocati a livello sopranazionale: in particolare, visto che parliamo di Europa, a livello di Unione europea e Consiglio d'Europa. Sono assetti che si differenziano da quello tradizionale, di tipo rigidamente piramidale, dei sistemi giudiziari nazionali. Infatti, negli assetti reticolari le relazioni avvengono, almeno potenzialmente, fra tutti i componenti della rete – e quindi del sistema giudiziario – in direzione anche 187 orizzontale e non solo verticale.1 Anzi, probabilmente l’inserimento in assetti piramidali di un assetto a rete non può non indebolire i primi, come sembra sia appunto avvenuto nei sistemi giudiziari nazionali in Europa, ad esempio grazie anche al rapporto che si è creato fra tutte le corti nazionali e le corti europee (Corte europea di giustizia e Corte europea dei diritti umani).2 La presenza di reti giudiziarie non può non avere un impatto sulla funzione giurisdizionale. Anzi, come ancora suggerito da Toniatti, l’importanza delle reti andrebbe valutata innanzitutto per la loro maggiore o minore vicinanza alla funzione giurisdizionale. Così, ad esempio, accanto alle relazioni tendenzialmente verticali dell’emergente sistema giudiziario “europeo”, abbiamo reti composte da organi giudiziari – di vario tipo: giudicante o requirente – reti di strutture di formazione giudiziaria, reti di strutture che contribuiscono all’elaborazione delle politiche giudiziarie o che svolgono compiti di governo del sistema giudiziario, come i Consigli superiori. Tutte esercitano influenza sulle modalità di esercizio della funzione giurisprudenziale sia direttamente – come nel caso delle reti composte da organi giudiziari – sia indirettamente, nel caso delle reti di formazione o di governo. Nel complesso, si tratta di un’influenza che tende ad allargare i margini della creatività giurisprudenziale, in quanto il quadro di riferimento del giudice ne esce comunque più variegato. In altre parole, le reti contribuiscono a rendere più complesso – e quindi di più difficile interpretazione – il sistema giuridico. Oggi, mi voglio concentrare su un insieme particolare di reti giudiziarie europee, quelle che contribuiscono a dare forma all'ordinamento giudiziario, cioè alle norme che presiedono alla scelta ed allo status del giudice. Le ragioni di questa scelta sono chiare: la crescita della creatività giurisprudenziale rende il ruolo del giudice ancora più rilevante di quanto non fosse un tempo. Se i margini di intervento interpretativo del giudice si allargano, diventa più importante conoscere i caratteri di questo giudice, per cercare di valutare il modo con cui egli cercherà di riempire questi margini. Inoltre, fatto di non secondaria importanza, l'aumento della creatività giurisprudenziale allunga il legame fra sovranità 1 Distingue reti verticali e reti orizzontali Slaughter (2004). Nei tradizionali sistemi giudiziari le relazioni sono però rigidamente verticali e gerarchiche, nel senso che vanno dagli organi giudiziari inferiori a quelli intermedi fino al vertice della piramide. Di regola, non sono ammessi “salti” o relazioni orizzontali fra organi giudiziari allo stesso livello. 2 Un’interessante analisi dei complessi rapporti fra corti nazionali e corti europee in Francia è stata di recente fornita da Lasser (2009) 188 popolare e decisione del giudice. Noi sappiamo benissimo che questo legame non deve essere inteso in senso unidirezionale, come un vettore che parte dalla sovranità popolare e va nella direzione del giudice, senza mediazioni, filtri, considerazioni della complessità dei valori presenti nei nostri sistemi giuridici. Non possiamo però dimenticare che i regimi politici in cui viviamo si reggono, almeno in parte, sul principio della sovranità popolare: tant’è vero che, come è noto, il principio della soggezione del giudice alla legge serve anche a giustificare la posizione di giudici indipendenti in un regime democratico. L’accentuato ruolo svolto dalla giurisdizione nei nostri sistemi politici viene giustificato in vari modi. Talvolta, con il semplice richiamo ai testi costituzionali, ad esempio laddove prevedono il controllo giudiziario di costituzionalità. Altre volte, in modo più compiuto, con riferimento alla natura costituzionale, limitata dei regimi democratici contemporanei che il potere politico vogliono appunto controllare, limitare. Resta che questa esigenza di “frenare” il potere va riferita anche al giudice. Come sopra richiamato, una delle giustificazioni di fondo della decisione del giudice sta nel suo rifarsi a norme giuridiche preesistenti, a sua volta espressione della volontà popolare e del sistema giuridico nel suo complesso così come interpretato dalla cultura giuridica. A seconda dei momenti storici, è prevalso uno o l’altro elemento: la fase che stiamo attraversando segna un prevalere del peso della cultura giuridica sulla volontà politica o, piuttosto, la tendenza a che il rapporto fra sovranità popolare e decisione del giudice sia mediato sempre più dalla cultura giuridica (e giudiziaria). In questo contesto, il crescente ruolo delle reti giudiziarie potrebbe essere interpretato come una delle strade attraverso cui si affermerebbe il “costituzionalismo globale” (Zagrebelsky 2008, p. 408), un’espressione che rende bene l'idea di una cultura cosmopolitica che, al di là delle barriere nazionali, si sviluppa fra i giuristi ed i giudici.3 Quindi, l’analisi che vorrei qui condurre intende considerare quanto le reti giudiziarie europee stanno proponendo in tema di ordinamento giudiziario, con quali possibili conseguenze per il ruolo del giudice: in altre parole, che tipo di giudice le reti tendono a favorire. Ovviamente si tratta di speculazioni, di ipotesi che dovranno essere verificate ed eventualmente corrette, ma che toccano un aspetto – il ruolo del giudice appunto – che abbiamo visto essere diventato di cruciale rilievo per le nostre società. Già da una prima analisi emerge come siano numerose le reti all'opera in questo campo. Ieri, ad esempio, abbiamo ascoltato l'intervento del Consigliere Roia che ci 3 Del resto, una prospettiva simile è anche quella adombrata da Slaughter (2004). 189 ha ricordato l’importanza, all'interno dell'Unione europea, della rete dei Consigli di giustizia. Roia è stato anche molto esplicito: si tratta di una rete che ha un obiettivo politico, di mobilitazione ed acquisizione del consenso a favore di determinati assetti istituzionali e anche di influenza sui processi decisionali, ad esempio con l’obiettivo di sostenere l’istituzione di Consigli di giustizia. Ce ne sono poi molte altre, soprattutto a livello di Consiglio d'Europa, un’istituzione che non va sottovalutata perché, anche se di solito non produce norme direttamente applicabili, con le sue varie raccomandazioni e risoluzioni svolge un importante ruolo normativo indiretto ed esercita un'influenza culturale di rilievo, all'interno soprattutto dell'Unione europea.4 Per analizzare i caratteri del modello di ordinamento giudiziario che viene proposto dalle reti europee è necessario prima considerare brevemente in che modo è possibile classificare gli ordinamenti giudiziari. In generale, gli ordinamenti giudiziari dei paesi democratici possono essere distinti a seconda di due parametri: il tipo di indipendenza di cui i loro giudici godono e i rapporti fra i giudici e le altre professioni giuridiche. Ci sono così sostanzialmente quattro tipi di indipendenza giudiziaria, frutto di una tipologia molto semplice che si ottiene incrociando le due fondamentali dimensioni dell’indipendenza, quella esterna e quella interna (vedi Fig.1). Così, c'è il caso degli Stati Uniti, dove i giudici vengono eletti o nominati dal potere politico, ma che qui poco ci interessa. C'è poi il caso che abbiamo definito dell’“Influenza politica limitata”, con indipendenza interna molto bassa – dato che ai giudici di grado più elevato spetta valutare i giudici delle corti inferiori - e indipendenza esterna limitata, perché di solito il vertice giudiziario è nominato dal vertice politico: probabilmente è un assetto oggi ben esemplificato dalla Svezia, ma che un tempo era molto diffuso in Europa continentale, anche in Italia prima dell’istituzione del CSM nel 1959. Il terzo tipo – che abbiamo battezzato della Gerarchia – si ha in quegli assetti in cui il potere politico incontra crescenti limiti alla possibilità di scegliere i vertici giudiziari, fino ad arrivare a situazioni in cui essi, di fatto o di diritto, si cooptano. I giudici di grado elevato godono a loro volta di ampi poteri nei confronti degli altri giudici, almeno per quanto riguarda la loro carriera. Probabilmente, oggi sono la Repubblica federale tedesca o l’Inghilterra ad avvicinarsi molto a questo tipo. Vi è infine l'Autogoverno, con la presenza di Consigli giudiziari rappresentativi di tutto il corpo giudiziario e dotati di ampi 4 Infatti, il Consiglio d'Europa sembra avere più successo all'interno dei 27 paesi della UE che vi aderiscono, piuttosto che fra gli altri, dove sappiamo esserci anche paesi le cui credenziali democratiche sono abbastanza dubbie. 190 poteri: è naturalmente un assetto ben rappresentato dall’Italia, anche se oggi buona parte dell'Europa latina, compreso il Belgio, e parecchi paesi dell'Est Europa si stanno muovendo in questa direzione. La seconda dimensione è il rapporto con le altre professioni giuridiche. Qui la distinzione è più semplice: vi sono paesi dove i giudici vengono prevalentemente reclutati subito dopo gli studi, magari con un periodo più o meno lungo di tirocinio, come in gran parte dell’Europa continentale, e paesi, come quelli di common law, dove chi giudica è scelto fra coloro che hanno già una certa esperienza professionale, di solito nell'ambito dell'avvocatura o dell’università. Tenendo conto di questi due parametri - tipo di indipendenza e rapporto con le professioni giuridiche - qual è il modello che le reti giudiziarie europee sembrano proporre? Per rispondere a questa domanda ho dovuto naturalmente semplificare: ho, infatti, considerato solo alcuni documenti, anche se di sicuro rilievo. Il primo è il rapporto elaborato da un gruppo di specialisti in vista dell'emanazione di una raccomandazione in tema di indipendenza della magistratura da parte del Consiglio d'Europa: è un rapporto che attende di essere formalizzato in un documento ma che fornisce già utili indicazioni.5 Un altro documento è la relazione sull'indipendenza del sistema giudiziario che la Commissione di Venezia ha recentemente licenziato.6 Poi, ho considerato un impostante documento elaborato dal Consiglio consultivo dei giudici europei (CCJE) e dal Consiglio consultivo dei procuratori europei (CCPE).7 Infine, ho tenuto conto anche una risoluzione – la 1685 - dell'assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa del 30 settembre 2009. Anche se in questo caso non ci troviamo di fronte al prodotto di una rete giudiziaria, si tratta di un documento che riprende gran parte delle indicazioni contenute negli altri e che è di particolare rilievo per la sede in cui è stato elaborato ed approvato. Detto per sommi capi, l’assetto che esce raccomandato da tutti questi documenti, pur con qualche variazione, è quello caratterizzato dall'Autogoverno e dalla separazione fra le professioni legali. L’influenza degli assetti di common law – e anche dei paesi scandinavi – sembra essere stata molto limitata.8 È questo quindi il 5 Group of Specialists on the Judiciary, Draft Recommendation on the Independence, Efficiency and Responsibilities of Judges, Strasburg, 4 December 2009. 6 European Commission for Democracy Through Law, Report on the Independence of the Judicial System. Part I: The Independence of Judges, Venice, 12-13 March 2010. 7 Bordeaux Declaration: Judges and Prosecutors in a Democratic Society, 2009. 8 Anche se la commissione di Venezia sottolinea come la sua proposta non debba necessariamente applicarsi a paesi di democrazia consolidata, dove l’indipendenza del 191 modello che viene proposto, soprattutto agli Stati - dell'Est Europa o anche di altre aree – che stanno costruendo un regime democratico. Si tratta di un assetto adeguato alle sfide che il giudice oggi si trova di fronte in Europa? Personalmente ho qualche dubbio. Questo modello di ordinamento giudiziario presenta alcuni limiti. Il primo è quello dell'indipendenza interna. In quasi tutti questi documenti si sottolinea ripetutamente la necessità di garantire l’indipendenza interna, cancellando ogni forma di gerarchia. È un punto che va chiarito. Siamo tutti d’accordo sul fatto che il giudice nelle sue decisioni non possa essere gerarchicamente subordinato ad altri giudici: non è, infatti, un funzionario amministrativo. È però necessario che le garanzie di indipendenza del giudice arrivino ad escludere qualsiasi valutazione sulle sue decisioni? In Italia, almeno fino ad oggi, si è stabilito che solo in casi eccezionali il contenuto delle decisioni del giudice possa essere preso in considerazione, ad esempio per la valutazione della sua professionalità. È questa una scelta sempre giustificabile? Qualsiasi ne siano le conseguenze? Semplificando, il dilemma dell'indipendenza interna è questo: se l'indipendenza del giudice è limitata, emerge ovviamente un rischio per la sua immagine di imparzialità. Se il giudice sa che la sua decisione potrà avere conseguenze per la sua carriera - ad esempio perché i giudici della Corte di Cassazione non lo promuoveranno se non seguirà le loro indicazioni - la sua immagine di imparzialità viene intaccata. Peraltro, è questo un fatto che si è verificato nel passato. In un bel libro di Giorgio Freddi (1978) si analizzano le decisioni delle commissioni di concorso per le promozioni dei magistrati negli anni ’60 ed emerge chiaramente che le commissioni promuovevano i magistrati che seguivano le massime della Cassazione e bocciavano gli altri e la motivazione era molto semplice: i magistrati che seguivano la Cassazione erano buoni giuristi, perché conoscevano il diritto, gli altri erano ignoranti e quindi andavano bocciati. Se però l'indipendenza del giudice arriva a renderlo esente da qualunque considerazione sul modo con cui decide, anche in questo caso i rischi non mancano. Innanzitutto, possono soffrirne le sue qualificazioni professionali. È questo una situazione tanto più probabile quanto più precoce è il reclutamento, come avviene in molti paesi dell’Europa continentale: in questi casi è più difficile valutare le competenze professionali dei candidati, al contrario di dove la giudice è ben garantita già di fatto. Peraltro, va rilevato che la risoluzione dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa è stata proposta dal ministro della Giustizia della Germania federale. 192 selezione avviene invece fra candidati già esperti. Vi è poi il rischio non solo di decisioni abnormi – che si spera comunque essere rare - quanto di avere un sistema giudiziario con un basso livello di coerenza giurisprudenziale, con conseguenze negative per la certezza del diritto. Naturalmente, in nessun sistema giuridico vi è perfetta certezza. Di più, la coerenza giurisprudenziale non può essere considerata un valore assoluto: è necessario che il sistema giuridico muti, se non altro per adattarsi ai mutamenti dell’ambiente in cui opera, e non sempre questo mutamento può arrivare dal legislatore. Ma l’esigenza di una certezza almeno relativa non può essere trascurata, soprattutto in campo penale dove l'incertezza può implicare gravi lesioni ai diritti fondamentali dei cittadini. Del resto, proprio perché sappiamo che il giudice “bocca della legge” non esiste in natura, è necessario costruire assetti che ce ne garantiscano una buona approssimazione. Con un’indipendenza interna molto elevata il rischio invece di trovarsi in uno stato di incertezza diventa elevatissimo.9 Naturalmente, una risposta alla necessità di controllare l’incertezza senza ledere l’indipendenza sta nella formazione. Fare il giudice è un mestiere così importante per le nostre società da richiedere una formazione adeguata, che non può essere ristretta agli anni di università o poco più. Oltretutto, la formazione è importante anche perché influisce sul gruppo di riferimento, cioè sugli attori con cui, magari informalmente, il giudice dialoga e il cui giudizio tiene in debito conto quando decide. È questo un punto importante perché in questo modo è possibile ricondurre in modo flessibile il giudice all’interno della cultura giuridica. Il modello che però viene oggi presentato dalle reti poco o nulla dice circa l'integrazione fra le professioni giuridiche e la magistratura. Anzi, sembra voler riprodurre l’assetto caratteristico delle magistrature dell'Europa continentale, soprattutto nella versione latina, dove la separazione fra i percorsi professionali avviene molto presto, subito dopo l'università, e dove quindi le esigenze di integrazione tramite la formazione in realtà non sono veramente soddisfatte. A tutto ciò va aggiunta una considerazione sulla composizione dei Consigli giudiziari, la cui istituzione è una delle principali raccomandazioni delle proposte avanzate dalle reti. Di per sé, creare un Consiglio giudiziario non significa aver introdotto l’autogoverno. Un Consiglio giudiziario può anche essere lo strumento 9 I sistemi di impugnazione possono ovviare solo in parte a questa situazione. Come è noto, l’incertezza nelle decisioni giudiziarie è un fattore che tende a moltiplicare appelli e ricorsi, con il risultato di intasare le corti superiori e di allungare i tempi dei procedimenti, aumentando ulteriormente i costi per i cittadini. 193 attraverso cui il sistema politico, il governo esercita influenza sul corpo giudiziario. Ad esempio, anche la Spagna franchista aveva un Consiglio giudiziario, ma i suoi componenti erano tutti scelti dal ministro della Giustizia. Quindi, la composizione del Consiglio diventa cruciale. In tutti i documenti considerati si raccomanda l’istituzione di un Consiglio rappresentativo del corpo giudiziario. C'è solo qualche piccola sfumatura: la Commissione di Venezia afferma che il Consiglio deve avere una parte “sostanziale” di giudici eletti, senza proporre proporzioni precise; invece gli specialisti del Consiglio d'Europa richiedono che almeno il 50% dei componenti sia eletto direttamente dei giudici, percentuale raccomandata anche dalla sopra citata dichiarazione di Bordeaux; anche la risoluzione dell'assemblea del Consiglio d’Europa richiede che almeno il 50% dei componenti siano eletti dal corpo giudiziario.10 A questo punto la domanda fondamentale diventa: in che misura un Consiglio giudiziario con compiti di gestione della carriera - quindi non solo e non tanto con compiti di gestione organizzativa ma con compiti di valutazione delle capacità professionali - composto per almeno metà di giudici eletti dai propri colleghi è in grado di far penetrare il “costituzionalismo globale” di cui dicevamo prima in magistrature a forte densità organizzativa come quelle che abbiamo davanti oggi in Europa? Sottolineo che si tratta di magistrature a forte densità organizzativa perché selezionano i propri aderenti in giovane età, quasi subito dopo gli studi universitari, e li socializzano poi prevalentemente all’interno del corpo. Dalle proposte delle reti giudiziarie europee sembrano emergere delle magistrature caratterizzate da una crescente separazione dalle altre professioni giuridiche, con una tendenza a diventare così – mi si perdoni l’espressione un po’ datata – dei veri e propri “corpi separati”. È augurabile proseguire con questa tendenza, in un contesto europeo in cui già si è fatto molto per costruire le istituzioni statali, ma poco si è fatto, anche perché si tratta di impresa non facile, per costruire il senso di identità, la nazione? In altre parole, se le considerazioni che abbiamo fatto hanno un senso, bisogna tenere in considerazione la necessità di rafforzare non solo l’indipendenza delle magistrature europee, ma anche il loro legame con la società ed in particolare con il loro naturale ambiente professionale: 10 C'è anche chi afferma l’opportunità che l’autogoverno si estenda anche al pubblico ministero e chi no: in realtà, sulla posizione del pubblico ministero sembra esserci l’unica differenza di rilievo tra Nord e Sud Europa, con i rappresentanti di quest’ultima area favorevoli in generale a trattare giudici e pubblici ministeri in modo il più possibile simile. 194 l’avvocatura e l’università. Perciò, per concludere, se il ruolo delle reti giudiziarie nella costruzione degli ordinamenti giudiziari dei paesi europei è significativo e potenzialmente positivo, il contenuto delle proposte che fin qui sono emerse non può non essere messo in discussione. Riferimenti bibliografici Cappelletti, M. (1984), Giudici legislatori?, Milano, Giuffré. Ferrarese, M. R. (2010), La governance fra diritto e politica, Bologna, Il Mulino. Freddi, G. (1978), Tensioni e conflitto nella magistratura, Bari, Laterza. Lasser, M. (2009), Judicial Transformations. The Rights Revolution in the Courts of Europe, Oxford, Oxford UP. Slaughter, A.M. (2004), A New World Order, Princeton, Princeton UP. Zagrebelsky, V. (2008), La legge e la giustizia, Bologna, Il Mulino. Fig. 1 L’indipendenza giudiziaria: una tipologia Esterna Interna - Influenza Politica Limitata (Svezia) Gerarchia (RFT) + + Politicizzazione completa (USA) Autogoverno (Italia) 195 Roberto Toniatti Professore Ordinario di Diritto Costituzionale Comparato Dipartimento di Scienze Giuridiche – Università degli Studi di Trento Coordinatore del Progetto Prin 2007 MaGiE (Magistrature, giurisdizioni ed equilibrio istituzionale) IL SISTEMA DELLE RETI GIUDIZIARIE NEL CONTESTO DELLO SPAZIO DI LIBERTÀ, SICUREZZA E GIUSTIZIA (SLSG) DELL’UNIONE EUROPEA Sommario: 1. Introduzione: il principio di attribuzione quale ratio dell’equilibrio istituzionale del sistema UE - 2. Il percorso verso lo SLSG: la revisione dei trattati istitutivi - 3. Lo SLSG: il quadro circoscritto dell’attribuzione di competenze - 4. Lo SLSG e le reti giudiziarie - 5. La ricognizione delle figure di «rete» nel contesto dello SLSG - 6. Conclusioni: il significato sistematico delle reti giudiziarie quale fattore di equilibrio istituzionale nell’UE 1. Introduzione: il principio di attribuzione quale ratio dell’equilibrio istituzionale del sistema UE Lo spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia (SLSG) è la formula con cui si designa una finalità costitutiva e una funzione istituzionale dell’Unione Europea (UE)1 strutturata attraverso la previsione di uno specifico ambito di competenza. 1 Cfr. art. 3.2° del TUE: “L'Unione offre ai suoi cittadini uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne, in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone insieme a misure appropriate per quanto concerne i controlli alle frontiere esterne, l'asilo, l'immigrazione, la prevenzione della criminalità e la lotta contro quest'ultima”; cfr. anche art. 67.1° TFUE: “L'Unione realizza uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nel rispetto dei diritti fondamentali nonché dei diversi ordinamenti giuridici e delle diverse tradizioni giuridiche degli Stati membri” (il corsivo è aggiunto). 197 E’ agevole rilevare come e quanto tale conferimento funzionale rappresenti, anche sul piano simbolico, tanto una ulteriore erosione del tradizionale concetto di sovranità statuale – collegata alla rivendicazione della titolarità esclusiva di ogni potere in materia di diritti fondamentali dei cittadini, di protezione dell’ordine pubblico e della sicurezza, di esercizio della potestà punitiva e della giurisdizione in campo penale (contenuti idonei, fra l’altro, a concorrere alla definizione di forma di Stato)2 – quanto una contestuale espansione del campo d’azione dell’UE. In proposito, occorre osservare che, almeno allo stato attuale, i due processi qui indicati – ossia, l’erosione dell’esclusività statuale e l’espansione del ruolo comunitario – sono sì contestuali ma, in qualche misura, non del tutto corrispondenti, nel senso che il ruolo dello Stato non viene meccanicamente trasferito all’UE conservandone immutati gli stessi connotati di esclusività, semplicemente limitandosi, dunque, ad imputare questi ultimi ad una distinta istituzione: l’espansione del ruolo comunitario, infatti, non solo ha luogo a titolo derivato – l’originarietà della funzione rimanendo in capo agli Stati membri – e temperato dal principio di sussidiarietà ma risulta altresì strutturalmente condizionata dal principio compensativo, tipico dell’ordinamento sovranazionale (come di ogni ordinamento composto)3, in ragione del quale la sovranità dello 2 Ne deriva che il concetto di «forma di Stato» impiegato per definire la formula politicoistituzionale dell’ordinamento – ossia il rapporto, connotato da un’opzione ideologica, fra la forma conferita all’organizzazione del potere pubblico e il riconoscimento e la tutela degli interessi dei cittadini - possa essere applicato, pur in assenza della condizione della statualità, anche al sistema dell’UE, come ben precisato in F. Palermo, La forma di Stato dell’Unione europea. Per una teoria costituzionale dell'integrazione sovranazionale, Cedam, Padova, 2005. L’art. 13.1° TUE (“L'Unione dispone di un quadro istituzionale che mira a promuoverne i valori, perseguirne gli obiettivi, servire i suoi interessi, quelli dei suoi cittadini e quelli degli Stati membri, garantire la coerenza, l'efficacia e la continuità delle sue politiche e delle sue azioni”) stabilisce esplicitamente il collegamento fra valori, obiettivi ed interessi e il quadro istituzionale, equiparando gli interessi dei cittadini dell’UE e quelli degli Stati membri ed indicando i propri interessi in quanto distinti dalla mera somma dei primi, in conformità ad una formula che rievoca la duplice base costitutiva ma anche l’identità separata e terza di un assetto federale. 3 Per osservazioni generali in argomento cfr. R. Toniatti, La razionalizzazione del ruolo dello Stato: spunti e appunti per uno studio sistematico sull’ordinamento composto, in A. Reposo, L. Pegoraro, R. Scarciglia, M. Gobbo, S. Gerotto (a cura di), Federalismo, decentramento e revisione costituzionale negli ordinamento policentrici., CLEUP, Padova, 2010, 259 ss.. 198 Stato membro si traduce in istanze di partecipazione alla composizione degli organi ed alle procedure concertative e deliberative dell’UE4. La perdurante condizione di Stato sovrano, di conseguenza, da un lato, si trova a sperimentare la nuova «forma di Stato comunitario» nel cui contesto le modalità di esercizio individuale della potestà di governo risultano circoscritte ma, dall’altro, determina la natura composita e la struttura plurale costitutiva dell’ordinamento dell’UE, ne condiziona la forma (di Stato) politico-istituzionale quale ente sovranazionale (non federale) e ne determina i criteri di composizione degli organi e le principali modalità di funzionamento. Il principio di attribuzione, integrato dal principio di sussidiarietà e di proporzionalità5, dal principio di flessibilità (posto a fondamento delle cooperazione rinforzate)6, nonché dal principio di partecipazione al controllo da 4 Sul tema rinviamo a R. Toniatti, Le istituzioni nazionali nell’architettura europea: il caso dell’Italia, in G. Guzzetta (cur.), Questioni costituzionali del governo europeo, Padova, Cedam, 2003, 217 ss; e Idem, Forma di Stato comunitario, sovranità e principio di sopranazionalità: una difficile sintesi, in Diritto Pubblico Comparato ed Europeo, 2003-III, 1552 ss. 5 Cfr. in tal senso l’art. 4 TUE come norma di chiusura (“In conformità dell'articolo 5, qualsiasi competenza non attribuita all'Unione nei trattati appartiene agli Stati membri”) e soprattutto l’art. 5 TUE: “1. La delimitazione delle competenze dell'Unione si fonda sul principio di attribuzione. L'esercizio delle competenze dell'Unione si fonda sui principi di sussidiarietà e proporzionalità. 2. In virtù del principio di attribuzione, l'Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite dagli Stati membri nei trattati per realizzare gli obiettivi da questi stabiliti. Qualsiasi competenza non attribuita all'Unione nei trattati appartiene agli Stati membri. 3. In virtù del principio di sussidiarietà, nei settori che non sono di sua competenza esclusiva l'Unione interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale, ma possono, a motivo della portata o degli effetti dell'azione in questione, essere conseguiti meglio a livello di Unione. Le istituzioni dell'Unione applicano il principio di sussidiarietà conformemente al protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità. I parlamenti nazionali vigilano sul rispetto del principio di sussidiarietà secondo la procedura prevista in detto protocollo. 4. In virtù del principio di proporzionalità, il contenuto e la forma dell'azione dell'Unione si limitano a quanto necessario per il conseguimento degli obiettivi dei trattati. Le istituzioni dell'Unione applicano il principio di proporzionalità conformemente al protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità”. In argomento si veda anche il Protocollo n. 2 sull’applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità annesso al trattato di Lisbona. 6 Cfr. in tema Titolo IV, art. 20 TUE: “1. Gli Stati membri che intendono instaurare tra loro una cooperazione rafforzata nel quadro delle competenze non esclusive dell'Unione possono far 199 parte dei Parlamenti nazionali7 - viene a costituire il perno del complesso nucleo prescrittivo previsto dal trattato TUE (nel testo di Lisbona) posto a garanzia dell’equilibrio istituzionale polidirezionale con riguardo sia alle intergovernmental relations fra UE e Stati membri (e, ancorché in misura ridotta, eventuali rispettive articolazioni di governo regionale), sia al rapporto fra istituzioni dell’UE, sia, infine, alla ripartizione di funzioni fra organi esecutivi e legislativi dell’UE e degli Stati membri, nel contesto di un controllo giurisdizionale anch’esso articolato fra Corte di Giustizia, Corti supreme e costituzionali nonché giudici ordinari degli Stati membri – e, per ora solo indirettamente, Corte europea dei diritti dell’uomo – la cui interazione è stata espressa nei modi definiti di judicial dialogue. Questi rilievi preliminari sembrano sufficienti per delineare un quadro generale non privo di ambivalenze8: è come se gli Stati membri si pentissero subito dopo aver attribuito una competenza all’UE e si dessero da fare per circondarne l’esercizio di tanti «lacci e lacciuoli» consultivi, concertativi e procedurali quanti l’ingegneria istituzionale è in grado di escogitare su istigazione degli Stati membri stessi. Del resto, è proprio un assetto di tale natura a qualificare l’esperimento ricorso alle sue istituzioni ed esercitare tali competenze applicando le pertinenti disposizioni dei trattati […]”. Il principio di flessibilità – benché, in tale ipotesi convenga più parlare di principio di volontarietà - viene ritenuto comprensivo della facoltà di autoesclusione da determinate politiche ovvero di opting out implicitamente riconosciuta dai trattati agli Stati membri (come risulta da protocolli e dichiarazioni unilaterali o congiunte allegati) e, nella fattispecie specifica dello SLSG, esercitata – pur con differenziazioni individuali e con diversi effetti giuridici – da Danimarca, Irlanda, Polonia, Regno Unito e Repubblica Ceca. 7 Cfr. art. 12 TUE: ”I parlamenti nazionali contribuiscono attivamente al buon funzionamento dell'Unione: […] c) partecipando, nell'ambito dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, ai meccanismi di valutazione ai fini dell'attuazione delle politiche dell'Unione in tale settore, in conformità dell'articolo 70 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea, ed essendo associati al controllo politico di Europol e alla valutazione delle attività di Eurojust, in conformità degli articoli 88 e 85 di detto trattato […] (il corsivo è aggiunto). In argomento si veda anche il Protocollo n. 1 sul ruolo dei Parlamenti nazionali nell’Unione europea annesso al trattato di Lisbona. 8 Si è puntualmente osservato “quanto tuttora incompiuto se non contraddittorio sia il quadro politico e costituzionale in cui si collocano sovranità nazionali e volontà di proseguire verso un’ulteriore integrazione in ambito europeo”, in R. Calvano, Mandato d’arresto e problemi costituzionali in relazione alla giurisdizione della Corte di giustizia ai sensi dell’art. 35 TUE, in R. Calvano (a cura di) Legalità costituzionale e mandato d’arresto europeo, Jovene, Napoli, 2007, 24. 200 sovranazionale europeo quale modello innovativo ed originale9, distinto, in particolare, dal modello federale in ragione della dinamica centripeta ed unitaria inevitabilmente prevalente in ogni realizzazione storica sin qui nota di quest’ultimo10. Di tale ambivalenza, risultante da un orientamento di fondo di prudenza costituente che ha raggiunto il suo apice con la gestione cosmetica del passaggio dal c.d. trattato costituzionale (2004) al trattato di Lisbona (2007)11, lo spazio di 9 Nell’ampia dottrina in argomento, cfr. C. Pinelli, Forme di Stato e forme di governo, 2a ed., Jovene, Napoli, 2009, 250 ss.; sull’elaborazione dei profili sistematici del (nuovo) modello federativo, cfr. S. Ortino, Introduzione al diritto costituzionale federativo, Giappichelli, Torino, 1993, 35 ss. 10 Come argomentato, ad esempio, in R. Bifulco (a cura di), Ordinamenti federali comparati. I. Gli Stati federali ‘classici’, Giappichelli, Torino, 2010, 3 ss. 11 Il riferimento è al dettagliato mandato affidato alla Conferenza Intergovernativa quale sede negoziale per la conclusione di un accordo modificativo dei trattati istitutivi, allegato alle Conclusioni della Presidenza del Consiglio Europeo di Bruxelles del 21 e 22 giugno 2007. Nel documento (solo nella versione in lingua italiana, mentre nelle altre più diffuse si registra il riferimento alla nozione di concetto anziché di progetto) si legge, in particolare, che “il progetto costituzionale, che consisteva nell'abrogazione di tutti i trattati esistenti e nella loro sostituzione con un unico testo denominato "Costituzione", è abbandonato […] Il TUE e il trattato sul funzionamento dell'Unione non avranno carattere costituzionale. La terminologia utilizzata in tutto il testo dei trattati rispecchierà tale cambiamento: il termine "Costituzione" non sarà utilizzato, il "ministro degli affari esteri dell'Unione" sarà denominato Alto Rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e i termini "legge" e "legge quadro" saranno abbandonati mentre i termini attuali "regolamenti", "direttive" e "decisioni" saranno mantenuti. Parimenti, i trattati modificati non conterranno alcun articolo che faccia riferimento ai simboli dell'UE quali la bandiera, l'inno o il motto. Per quanto riguarda il primato del diritto dell'UE, la CIG adotterà una dichiarazione contenente un richiamo alla giurisprudenza della Corte di giustizia dell'UE [….] Benché l'articolo sul primato del diritto dell'Unione non figurerà nel TUE, la CIG adotterà la seguente dichiarazione: "La Conferenza ricorda che, per giurisprudenza costante della Corte di giustizia dell'UE, i trattati e il diritto adottato dall'Unione sulla base dei trattati prevalgono sul diritto degli Stati membri alle condizioni stabilite dalla summenzionata giurisprudenza". Inoltre, il parere del Servizio giuridico del Consiglio (doc. 580/07) sarà allegato all'atto finale della Conferenza”. Tale Parere recita: “Dalla giurisprudenza della Corte di giustizia si evince che la preminenza del diritto comunitario è un principio fondamentale del diritto comunitario stesso. Secondo la Corte, tale principio è insito nella natura specifica della Comunità europea. All'epoca della prima sentenza di questa giurisprudenza consolidata (Costa contro ENEL, 15 luglio 1964, causa 6/64 ) non esisteva alcuna menzione di preminenza nel trattato. La situazione è a tutt'oggi immutata. Il fatto che il principio della preminenza non sarà incluso nel futuro trattato non altera in alcun modo l'esistenza del principio stesso e la giurisprudenza esistente della Corte di giustizia". 201 libertà, sicurezza e giustizia è rappresentazione emblematica. E, come si vedrà, in tale contesto il ricorso al concetto di rete giudiziaria – qui inteso in senso latissimo di struttura di esercizio di funzioni dell’UE attraverso strutture plurali che a loro volta si configurano come esercizio partecipativo ed accentrato di funzioni degli Stati membri – si inserisce nel contesto di tale ambivalenza e della sua logica di prudente e ragionevole pragmatismo. 2. Il percorso verso lo SLSG: la revisione progressiva dei trattati istitutivi In primo luogo conviene richiamare, sia pure in modo sommario, l’evoluzione graduale, sperimentale ed incrementale dello SLSG, ricordando che l’assetto in vigore è già di per sé il punto di arrivo di un percorso tracciato dalle successive revisioni dei trattati istitutivi, osservando preliminarmente, in particolare, che se, in conseguenza dell’assetto funzionale per pilastri introdotto dal trattato di Maastricht, le singole aree materiali di azione erano state inizialmente collocate nell’ambito del pilastro della collaborazione intergovernativa, una prima significativa evoluzione si è registrata proprio con il trasferimento di singole aree – e poi di tutto lo SLSG – nel contesto del pilastro comunitario, divenuto l’unico con l’entrata in vigore del trattato di Lisbona. Ciononostante, a conferma dell’ambivalenza del contesto generale già indicata, questa evoluzione – virtualmente molto significativa - è stata però tempestivamente temperata e contenuta, come vedremo, da una serie di non marginali limitazioni. Il trattato di Maastricht (1992) aveva qualificato come area di interesse comune la giustizia e gli affari interni, fra i quali la cooperazione giudiziaria in materia penale e la cooperazione di polizia; e il trattato di Nizza (2001) non era andato oltre il consolidamento degli assetti della cooperazione giudiziaria e l’introduzione del riferimento normativo a Eurojust quale unità europea di cooperazione giudiziaria, investita del compito di contribuire al coordinamento delle autorità nazionali preposte alla promozione dell’azione penale. Ma è con il trattato di Amsterdam (1997) che, per la prima volta, si fa esplicito riferimento ad uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia quale cornice necessaria per realizzare il pieno esercizio della libertà di circolazione dei cittadini dell’Unione in un contesto caratterizzato dalla protezione della sicurezza pubblica, da un lato, 202 e assistito dalle garanzie di un sistema giudiziario adeguato alle esigenze dell’integrazione, dall’altro: nel dettaglio, la configurazione dello SLSG risulta dall’introduzione nel trattato che istituisce la Comunità Europea di un nuovo titolo IV ("Visti, asilo, immigrazione e altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone"); di conseguenza, il controllo delle frontiere esterne, l'asilo, l'immigrazione e la cooperazione giudiziaria in materia civile vengono fatti rientrare nel primo pilastro (quello comunitario) e sono disciplinate secondo il "metodo comunitario"12, mentre la cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale - cui il nuovo trattato aggiunge la prevenzione e la lotta contro il razzismo e la xenofobia - insieme alle disposizioni che disciplinano l'integrazione del sistema di Schengen nella cornice normativa dell'UE sono oggetto del nuovo Titolo VI del TUE e rimangono, pertanto, nell’ambito del terzo pilastro (intergovernativo). Inoltre, fra le innovazioni significative di interesse in questa sede sono da menzionare la previsione della «posizione comune», strumento che consente la manifestazione di un indirizzo politico condiviso dell’UE su un determinato problema e, in particolare, un nuovo sistema di fonti normative vincolanti, quale soprattutto la decisione-quadro che - come la direttiva, che rimane fonte tipica ed esclusiva del pilastro comunitario - vincola gli Stati membri per quanto riguarda il risultato da raggiungere lasciando nondimeno agli organi nazionali la competenza di decidere in merito alla forma e ai mezzi più adeguati e consente pertanto per tale via di conseguire comunque il ravvicinamento della legislazione degli Stati membri. Il trattato di Amsterdam determina altresì una più estesa giustiziabilità: in precedenza, infatti, la Corte di Giustizia non era competente nel campo della giustizia e degli affari interni, con l’eccezione di quelle materie disciplinate da accordi di diritto internazionale, conclusi fra gli Stati membri, che contenessero una clausola che attribuisse alla Corte stessa la relativa competenza. Il citato nuovo Titolo IV prevede invece, in particolare, che la Corte di giustizia sia competente anche sia a pronunciarsi sulla validità e sull'interpretazione delle decisioni quadro, sia nel caso in cui una giurisdizione nazionale di ultimo grado, al fine di risolvere una controversia, le chieda di pronunciarsi su una questione di interpretazione 12 Peraltro, si stabilisce che la comunitarizzazione si realizzerà progressivamente con l'adozione di decisioni del Consiglio dell'Unione europea, entro cinque anni dall'entrata in vigore del nuovo trattato. 203 delle disposizioni del Titolo IV, oppure sulla validità e sull'interpretazione degli atti comunitari fondati su di esse, ovvero quando il Consiglio, la Commissione o uno Stato membro le chiedano di pronunciarsi su una questione di interpretazione delle disposizioni del Titolo IV stesso o degli atti adottati sulla loro base13. Occorre menzionare altresì l’incorporazione dell’accordo di Schengen nel sistema UE e l’impulso alla collaborazione di polizia fra gli Stati membri attraverso Europol (Ufficio europeo di polizia) con il fine di agevolare, sostenere e coordinare operazioni investigative specifiche da parte delle autorità competenti degli Stati membri, di chiedere a queste ultime di svolgere indagini, nonché di sviluppare competenze specialistiche da mettere a disposizione degli Stati membri per assisterli nelle indagini sui casi di criminalità organizzata e di lavorare in stretta collaborazione con gli organi inquirenti (magistratura e polizie) specializzati nella lotta contro la criminalità organizzata. Come già indicato, il trattato di Lisbona rappresenta ora il punto di arrivo che, in linea di principio, pone tutte le aree materiali di intervento nel contesto istituzionale generale dell’UE, e dunque, in particolare, della competenza degli organi, della tipologia di atti, del quadro dei controlli. Il nuovo trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) dedica allo SLSG tutto il Titolo V (artt. 67-89). Il Titolo V a sua volta si articola in Capi dedicati, in successione, a “Disposizioni generali” (Capo 1), alle “Politiche relative ai controlli alle frontiere, all’asilo e all’immigrazione” (Capo 2), alla “Cooperazione giudiziaria in materia civile” (Capo 3), alla “Cooperazione giudiziaria in materia penale” (Capo 4) e alla “Cooperazione di polizia” (Capo 5). 13 Cfr. in tal senso l‘art. 35 del TUE, come modificato dall’art. K7 del trattato di Amsterdam. 204 In sintesi, si può descrivere il nuovo assetto14 ricordando che il trattato di Lisbona conferisce nuove competenze alla UE al fine di permettere una gestione comune delle frontiere esterne dell'Unione europea attraverso lo sviluppo di Frontex l'Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne -, anche al fine di porre in essere un sistema europeo comune di asilo, basato su uno status europeo uniforme e su procedure comuni per il riconoscimento e la revoca dell’asilo ed allo scopo altresì di stabilire le regole, le condizioni e i diritti in materia di immigrazione legale. In tema di cooperazione giudiziaria in materia civile, il nuovo assetto delle fonti prevede il conseguimento dell'attuazione del principio di riconoscimento reciproco: ogni sistema giudiziario nazionale deve riconoscere come valide e applicabili le decisioni adottate dai sistemi giudiziari degli altri Stati membri. Si promuove lo sviluppo di metodi alternativi per la risoluzione delle controversie. Si potenzia la formazione europea dei magistrati e, in generale, delle distinte categorie di operatori giudiziari e, attraverso un’importante applicazione della giustizia elettronica, si attiva un portale informativo per agevolare l’accesso alla giustizia da parte dei cittadini nell’esercizio della loro libertà di circolazione nel territorio dell’Unione. L’UE diviene titolare di una competenza legislativa in tema di giustizia civile e penale, nonché di cooperazione di polizia (Europol), come verrà analizzato poco oltre. La cooperazione giudiziaria in materia penale è destinata ad avvalersi della competenza legislativa al fine della produzione di norme volte alla definizione e alla sanzione dei reati penali più significativi nel contesto sovranazionale e volte altresì alla definizione di regole comuni per lo svolgimento dei procedimenti 14 Cfr. in generale l’art. 67 TFUE: “2°. [L’Unione] garantisce che non vi siano controlli sulle persone alle frontiere interne e sviluppa una politica comune in materia di asilo, immigrazione e controllo delle frontiere esterne, fondata sulla solidarietà tra Stati membri ed equa nei confronti dei cittadini dei paesi terzi. Ai fini del presente titolo gli apolidi sono equiparati ai cittadini dei paesi terzi. 3°. L'Unione si adopera per garantire un livello elevato di sicurezza attraverso misure di prevenzione e di lotta contro la criminalità, il razzismo e la xenofobia, attraverso misure di coordinamento e cooperazione tra forze di polizia e autorità giudiziarie e altre autorità competenti, nonché tramite il riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie penali e, se necessario, il ravvicinamento delle legislazioni penali. 4°.L'Unione facilita l'accesso alla giustizia, in particolare attraverso il principio di riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziali in materia civile”. 205 penali (ad esempio, per quanto concerne l'ammissibilità delle prove). Viene rafforzato, in prospettiva, il ruolo di Eurojust anche in vista dell’istituzione di una vera e propria procura europea, verosimilmente nel quadro di una cooperazione rafforzata. 3. Lo SLSG: il quadro circoscritto dell’attribuzione di competenze L’evidente evoluzione verso un consolidamento delle competenze dell’UE in tema di SLSG nell’unico contesto comunitario viene in qualche modo controbilanciata – come abbiamo già avuto modo di rilevare - da significative norme sostanziali e aggravamenti procedurali che introducono un’eco evidente – una nostalgia? - del pregresso assetto intergovernativo che inquadrava la materia. In tale prospettiva, infatti, occorre svolgere una succinta ricognizione delle fonti normative le quali, oltre a confermare e garantire le competenze individuali nel settore degli Stati membri, predispongono una disciplina procedurale di natura prevalentemente intergovernativa ovvero stabiliscono le condizioni e le forme finalizzate all’attribuzione di una competenza all’Unione ma attraverso la figura della cooperazione rinforzata. Quest’ultimo istituto, congiunto con i protocolli e le dichiarazioni di taluni Stati membri collegati al trattato di Lisbona e volti all’esercizio di un rispettivo e più o meno esteso opting out in proposito, fanno sì che la configurazione generale dello SLSG vada ricostruita nei termini di un assetto asimmetrico (o «a geometria variabile»). (i) Nel primo senso sopra indicato sono da inquadrare, ad esempio, alcune disposizioni ricognitive delle competenze originarie degli Stati membri e normative quanto al rispettivo rapporto con le competenze dell’UE, queste ultime circoscritte dal principio di attribuzione: così, a esempio, l’art. 4.2° TUE stabilisce che “L'Unione […] rispetta le funzioni essenziali dello Stato, in particolare le funzioni di salvaguardia dell'integrità territoriale, di mantenimento dell'ordine pubblico e di tutela della sicurezza nazionale. In particolare, la sicurezza nazionale resta di esclusiva competenza di ciascuno Stato membro”. Ed inoltre, l’art. 67.1° TFUE precisa che “L'Unione realizza uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nel rispetto dei diritti fondamentali nonché dei diversi ordinamenti giuridici e delle diverse tradizioni giuridiche degli Stati membri; e l’art. 72 TFUE conferma che “il presente titolo non osta all'esercizio delle responsabilità incombenti agli Stati 206 membri per il mantenimento dell'ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna”. L’art. 77.4° TFUE, nel contesto delle politiche relative ai controlli alle frontiere, all’asilo e all’immigrazione (Capo 2), precisa inoltre che “il presente articolo lascia impregiudicata la competenza degli Stati membri riguardo alla delimitazione geografica delle rispettive frontiere, conformemente al diritto internazionale”; anche l’art. 79.5 TFUE specifica che “il presente articolo non incide sul diritto degli Stati membri di determinare il volume di ingresso nel loro territorio dei cittadini di paesi terzi, provenienti da paesi terzi, allo scopo di cercarvi un lavoro dipendente o autonomo” mentre l’art. 82.2 TFUE stabilisce che “l'adozione delle norme minime di cui al presente paragrafo non impedisce agli Stati membri di mantenere o introdurre un livello più elevato di tutela delle persone”. Ancora, giova richiamare l’art. 69 TFUE, da qualificarsi come norma del tutto pleonastica in quanto ripetitiva del regime generale già disposto dall’art. 12.2° lett. c), secondo il quale “per quanto riguarda le proposte e le iniziative legislative presentate nel quadro dei capi 4 e 5, i parlamenti nazionali vigilano sul rispetto del principio di sussidiarietà conformemente al protocollo sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità”. (ii) Un’eco dell’assetto intergovernativo può individuarsi invece nel rafforzamento del ruolo del Consiglio Europeo, del Consiglio e degli Stati membri rispetto alla Commissione. Ricordiamo, ad esempio, che in tema di SLSG l’art. 68 TFUE attribuisce al Consiglio Europeo la potestà di definire “gli orientamenti strategici della programmazione legislativa e operativa nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia”: si tratta, dunque, di una sorta di riserva di indirizzo politico, attribuita all’organo collegiale di più alto rilievo politico-istituzionale dell’Unione e destinata ad orientare l’azione amministrativa nonché l’iniziativa legislativa della Commissione. Nondimeno, benché, da un lato, se ne ricavi un riconoscimento dell’importanza della materia, dall’altro si trae altresì una conferma del ruolo recessivo nel quale viene confinata la Commissione, cui non si attribuisce un formale ed esclusivo ruolo d’iniziativa e propositivo e il cui compito esecutivo consiste pertanto nell’elaborare ex post un Piano d’azione applicativo degli Orientamenti strategici, destinato ad essere adottato formalmente dal Consiglio, e nel dargli conseguente attuazione. 207 Fu vigente il tratto di Amsterdam che si tenne la prima riunione del Consiglio Europeo dedicata espressamente alle questioni della giustizia e degli affari interni e in quella sede si pervenne alla conseguente adozione del Programma di Tampere (1999), cui avrebbe fatto seguito il Programma de l’Aja (2004) e attualmente, quasi in coincidenza con l’entrata in vigore del trattato di Lisbona, è stato deliberato (dicembre 2009) il Programma di Stoccolma (2009-2014) in ordine al quale, successivamente (aprile 2010), la Commissione ha elaborato e proposto un Piano di azione per l’attuazione del Programma di Stoccolma intitolato “Creare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia per i cittadini europei15. La dimensione intergovernativa si conferma altresì nel suo potenziale di condizionamento sia per quanto riguarda “la promozione e il rafforzamento della cooperazione operativa in materia di sicurezza interna” attraverso l’istituzione di un comitato permanente ad hoc collocato presso il Consiglio16, sia sotto il profilo della verifica dell’attuazione delle politiche nell’ambito dello SLSG secondo modalità specifiche17. Inoltre, al Consiglio compete l’adozione di “misure al fine di 15 Le finalità generali ed interlocutorie vengono ribadite nel documento della Commissione: “L'intento principale dell'azione dell'Unione in questo settore per i prossimi anni è "portare avanti l'Europa dei cittadini" dando loro i mezzi per esercitare i diritti e trarre pieno beneficio dall'integrazione europea. La libertà, la sicurezza e la giustizia sono settori che interessano la vita di tutti i giorni, in cui per l'appunto i cittadini pretendono di più dai responsabili delle politiche. Uomini e donne in Europa si aspettano giustamente di vivere in un'Unione di prosperità e pace, nella certezza che i propri diritti vengano pienamente rispettati e la sicurezza sia garantita. Uno spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia dev'essere uno spazio in cui tutti, anche i cittadini dei paesi terzi, possono contare sul rispetto effettivo dei diritti fondamentali sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Obiettivo del presente piano d'azione è realizzare queste priorità a livello europeo e globale, garantendo ai cittadini i vantaggi che derivano dai progressi compiuti nello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, in modo che l'Unione possa guardare al futuro e dare una risposta chiara e adeguata alle sfide europee e globali”. 16 Art. 71 TFUE: “È istituito in seno al Consiglio un comitato permanente al fine di assicurare all'interno dell'Unione la promozione e il rafforzamento della cooperazione operativa in materia di sicurezza interna. Fatto salvo l'articolo 240, esso favorisce il coordinamento dell'azione delle autorità competenti degli Stati membri. I rappresentanti degli organi e organismi interessati dell'Unione possono essere associati ai lavori del comitato. Il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali sono tenuti informati dei lavori”. 17 Cfr. infatti l’art. 70 TFUE: “Fatti salvi gli articoli 258, 259 e 260, il Consiglio, su proposta della Commissione, può adottare misure che definiscono le modalità secondo le quali gli Stati membri, in collaborazione con la Commissione, procedono a una valutazione oggettiva e imparziale dell'attuazione, da parte delle autorità degli Stati membri, delle politiche dell'Unione di cui al presente titolo, in particolare al fine di favorire la piena applicazione del principio di 208 assicurare la cooperazione amministrativa tra i servizi competenti degli Stati membri nei settori di cui al presente titolo e fra tali servizi e la Commissione”18; e, sempre in tema di SLSG, l’art. 76 del TFUE stabilisce che determinati atti “che assicurano la cooperazione amministrativa” tra i servizi competenti degli Stati membri e fra tali servizi e la Commissione per quanto concerne sia la cooperazione giudiziaria in materia penale sia la cooperazione di polizia “sono adottati: a) su proposta della Commissione, oppure b) su iniziativa di un quarto degli Stati membri”. Al margine e ad indiretta integrazione delle competenze dell’UE, esercitate anche nella forma delle cooperazioni rafforzate, nonché della dimensione intergovernativa in senso proprio, il trattato esprime una norma di favore e di incoraggiamento all’interazione diretta – anche solo bilaterale - fra alcuni Stati membri in tanto in quanto prevede (art. 73 TFUE) che “gli Stati membri hanno la facoltà di organizzare tra di loro e sotto la loro responsabilità forme di cooperazione e di coordinamento nel modo che ritengono appropriato tra i dipartimenti competenti delle rispettive amministrazioni responsabili per la salvaguardia della sicurezza nazionale”19. Altrettanto può rilevarsi per quanto concerne l’esercizio della competenza legislativa dell’UE – “secondo una procedura legislativa speciale” in base alla quale (“Il Consiglio delibera all'unanimità previa consultazione del Parlamento europeo”) – volto a stabilire “le condizioni e i limiti entro i quali le autorità competenti degli Stati membri di cui agli articoli 82 e 87 [in tema, dunque, di cooperazione giudiziaria in materia penale e di cooperazione di polizia] possono operare nel territorio di un altro Stato membro in collegamento e d'intesa con le autorità di quest'ultimo” (art. 89 TFUE). Anche tali ultime prospettive20, per quanto contenute e addirittura marginali riconoscimento reciproco. Il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali sono informati dei contenuti e dei risultati di tale valutazione”. 18 L’art. 74 TFUE precisa che il Consiglio “delibera su proposta della Commissione, fatto salvo l'articolo 76, e previa consultazione del Parlamento europeo”. 19 Un esempio è offerto dal trattato di Prüm che prevede un’espressione della facoltà indicata nel testo su cui cfr. G. Di Paolo, La circolazione dei dati personali nello spazio giudiziario europeo dopo Prüm, in Cassazione penale, 2010. 20 E’ da ritenere che si tratti dell’applicazione di settore di un principio normativo di carattere generale, cui è dedicato l’intero Titolo XXIV (“Cooperazione amministrativa”) del TFUE comprensivo del solo art. 197, alla stregua del quale “1. L'attuazione effettiva del diritto dell'Unione da parte degli Stati membri, essenziale per il buon funzionamento dell'Unione, è considerata una questione di interesse comune.- 2. L'Unione può sostenere gli sforzi degli Stati 209 possano essere eventualmente destinate a rivelarsi alla luce della loro attuazione, confermano peraltro l’impianto sistematico a vocazione ancora prevalentemente intergovernativa e a tendenza asimmetrica dell’intero SLSG. (iii) Come già indicato, in materia di SLSG, l’UE è titolare di competenza legislativa concorrente (art. 4.2 lett. j TFUE), il cui esercizio, “nella definizione e nell'attuazione delle sue politiche e azioni” – beninteso, “conformandosi al principio di attribuzione delle competenze” benché con l’obbligo di assicurare “la coerenza tra le sue varie politiche e azioni, tenendo conto dell'insieme dei suoi obiettivi” come prescritto dall’art. 7 TFUE - è soggetto, fra l’altro, al rispetto di una serie di finalità e valori trasversali esplicitamente posti dalla fonte primaria, quale, ad esempio, l’obiettivo di “eliminare le ineguaglianze, nonché [di] promuovere la parità, tra uomini e donne” (art. 8 TFUE), ovvero il fine di “combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale (art. 10 TFUE) nonché, più in generale, i precetti e le norme programmatiche del titolo secondo della parte prima (“Disposizioni di applicazione generale”, artt. 7-17) e della parte seconda del TFUE (”Non discriminazione e cittadinanza dell’Unione”, artt. 18-25). Occorre peraltro precisare che se, in linea generale, l’esercizio della funzione legislativa anche nel contesto dello SLSG è soggetta alla procedura legislativa ordinaria, il trattato prescrive invece in alcune ipotesi materiali di evidente particolare rilievo un assetto derogatorio e differenziato, volto a recuperare una diversa volontà di una parte degli Stati membri: così si prevede l’obbligo di applicazione della procedura legislativa speciale, la quale richiede il voto unanime del Consiglio e ripristina pertanto il metodo intergovernativo, salvo prevedere una “valvola di sicurezza” identificata nel ricorso - che in tale contesto potremmo membri volti a migliorare la loro capacità amministrativa di attuare il diritto dell'Unione. Tale azione può consistere in particolare nel facilitare lo scambio di informazioni e di funzionari pubblici e nel sostenere programmi di formazione. Nessuno Stato membro è tenuto ad avvalersi di tale sostegno. Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando mediante regolamenti secondo la procedura legislativa ordinaria, stabiliscono le misure necessarie a tal fine, ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri.- 3. Il presente articolo non pregiudica l'obbligo degli Stati membri di attuare il diritto dell'Unione né le prerogative e i doveri della Commissione. Esso non pregiudica le altre disposizioni dei trattati che prevedono la cooperazione amministrativa fra gli Stati membri e fra questi ultimi e l'Unione”. 210 definire fisiologico delle concrete potenzialità attuative del trattato – alla figura della cooperazione rafforzata che consente comunque all’UE di intervenire sia pure con una configurazione asimmetrica variabile; e si prevede anche, benché in una sola ipotesi, un potere di veto esercitabile da parte anche di un solo Parlamento nazionale. Così, ad esempio, con riguardo alle politiche relative ai controlli alle frontiere, all’asilo e all’immigrazione, la procedura legislativa ordinaria è prevista per l’adozione di “misure riguardanti a) la politica comune dei visti e di altri titoli di soggiorno di breve durata; b) i controlli ai quali sono sottoposte le persone che attraversano le frontiere esterne; c) le condizioni alle quali i cittadini dei paesi terzi possono circolare liberamente nell'Unione per un breve periodo; d) qualsiasi misura necessaria per l'istituzione progressiva di un sistema integrato di gestione delle frontiere esterne; e) l'assenza di qualsiasi controllo sulle persone, a prescindere dalla nazionalità, all'atto dell'attraversamento delle frontiere interne” (art. 77.2 TFUE). Tuttavia, “se un'azione dell'Unione risulta necessaria per facilitare l'esercizio del diritto, di cui all'articolo 20, paragrafo 2, lettera a), e salvo che i trattati non abbiano previsto poteri di azione a tale scopo, il Consiglio, deliberando secondo una procedura legislativa speciale, può adottare disposizioni relative ai passaporti, alle carte d'identità, ai titoli di soggiorno o altro documento assimilato. Il Consiglio delibera all'unanimità previa consultazione del Parlamento europeo” (art. 77.3 TFUE). Nell’ambito della cooperazione giudiziaria in materia penale (Capo 4) – che risulta “fondata sul principio di riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie e include il ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri” in taluni settori (art. 82.1 TFUE) – è prescritta la procedura legislativa ordinaria21. 21 Si tratta delle disposizioni indispensabili al fine di “a) definire norme e procedure per assicurare il riconoscimento in tutta l'Unione di qualsiasi tipo di sentenza e di decisione giudiziaria; b) prevenire e risolvere i conflitti di giurisdizione tra gli Stati membri; c) sostenere la formazione dei magistrati e degli operatori giudiziari; d) facilitare la cooperazione tra le autorità giudiziarie o autorità omologhe degli Stati membri in relazione all'azione penale e all'esecuzione delle decisioni”. 211 Altri eventuali oggetti normativi22 possono essere disciplinati da “norme minime” necessarie “per facilitare il riconoscimento reciproco delle sentenze e delle decisioni giudiziarie e la cooperazione di polizia e giudiziaria nelle materie penali aventi dimensione transnazionale” che vengono adottate sempre secondo la procedura legislativa ordinaria ma con l’esplicita condizione di tener “conto delle differenze tra le tradizioni giuridiche e gli ordinamenti giuridici degli Stati membri”23. Tuttavia, “qualora un membro del Consiglio ritenga che un progetto di direttiva di cui al paragrafo 2 incida su aspetti fondamentali del proprio ordinamento giuridico penale, può chiedere che il Consiglio europeo sia investito della questione. In tal caso la procedura legislativa ordinaria è sospesa”. Si prevede, in altre parole, una pausa di riflessione attivabile da parte anche di uno solo degli Stati membri il quale viene a disporre pertanto di uno strumento che è stato definito un “freno d’emergenza”, cui consegue un duplice corso: una prima ipotesi di prosecuzione dell’iter formativo della direttiva prevede che “previa discussione e in caso di consenso, il Consiglio europeo, entro quattro mesi da tale sospensione, rinvia il progetto al Consiglio, ponendo fine alla sospensione della procedura legislativa ordinaria”; in alternativa, “entro il medesimo termine, in caso di disaccordo, e se almeno nove Stati membri desiderano instaurare una cooperazione rafforzata sulla base del progetto di direttiva in questione, essi ne informano il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione. In tal caso l'autorizzazione a procedere alla cooperazione rafforzata di cui all'articolo 20, paragrafo 2 del trattato sull'Unione europea e all'articolo 329, paragrafo 1 del presente trattato si considera concessa e si applicano le disposizioni sulla cooperazione rafforzata” (art. 82.3 TFUE). Lo stesso meccanismo è previsto anche in relazione all’esercizio della funzione legislativa, secondo la procedura legislativa ordinaria, per quanto concerne 22 Si tratta, segnatamente degli oggetti così individuati: “a) l'ammissibilità reciproca delle prove tra gli Stati membri; b) i diritti della persona nella procedura penale; c) i diritti delle vittime della criminalità; d) altri elementi specifici della procedura penale, individuati dal Consiglio in via preliminare mediante una decisione; per adottare tale decisione il Consiglio delibera all'unanimità previa approvazione del Parlamento europeo” (art- 82.2 TFUE). 23 E comunque, come già sopra indicato, “l'adozione delle norme minime di cui al presente paragrafo non impedisce agli Stati membri di mantenere o introdurre un livello più elevato di tutela delle persone” (art. 82.2 TFUE). 212 l’adozione di “norme minime” “relative alla definizione dei reati e delle sanzioni in sfere di criminalità particolarmente grave che presentano una dimensione transnazionale derivante dal carattere o dalle implicazioni di tali reati o da una particolare necessità di combatterli su basi comuni” quali “terrorismo, tratta degli esseri umani e sfruttamento sessuale delle donne e dei minori, traffico illecito di stupefacenti, traffico illecito di armi, riciclaggio di denaro, corruzione, contraffazione di mezzi di pagamento, criminalità informatica e criminalità organizzata” (art. 83.1 TFUE)24. Tali “norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni” che producano il “ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri in materia penale indispensabile per garantire l'attuazione efficace di una politica dell'Unione … in un settore che è stato oggetto di misure di armonizzazione … possono essere stabilite tramite direttive. Tali direttive sono adottate secondo la stessa procedura legislativa ordinaria o speciale utilizzata per l'adozione delle misure di armonizzazione in questione, fatto salvo l'articolo 76” (art. 83.2 TFUE). Ma, “qualora un membro del Consiglio ritenga che un progetto di direttiva di cui al paragrafo 1 o 2 incida su aspetti fondamentali del proprio ordinamento giuridico penale, può chiedere che il Consiglio europeo sia investito della questione. In tal caso la procedura legislativa ordinaria è sospesa”. Anche in tale evenienza, o “previa discussione e in caso di consenso, il Consiglio europeo, entro quattro mesi da tale sospensione, rinvia il progetto al Consiglio, ponendo fine alla sospensione della procedura legislativa ordinaria”, ovvero “entro il medesimo termine, in caso di disaccordo, e se almeno nove Stati membri desiderano instaurare una cooperazione rafforzata sulla base del progetto di direttiva in questione, essi ne informano il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione. In tal caso l'autorizzazione a procedere alla cooperazione rafforzata di cui all'articolo 20, paragrafo 2 del trattato sull'Unione europea e all'articolo 329, paragrafo 1 del presente trattato si considera concessa e si applicano le disposizioni sulla cooperazione rafforzata“(art. 83.3 TFUE). 24 Si tratta, peraltro, di un ambito materiale individuato in modo non tassativo in tanto in quanto si stabilisce altresì che “in funzione dell'evoluzione della criminalità, il Consiglio può adottare una decisione che individua altre sfere di criminalità che rispondono ai criteri di cui al presente paragrafo. Esso delibera all'unanimità previa approvazione del Parlamento europeo” (art. 83.1 TFUE). 213 Così, in tema di cooperazione giudiziaria in materia civile, una volta precisato che l’obiettivo dell’UE è quello di sviluppare “una cooperazione giudiziaria nelle materie civili con implicazioni transnazionali, fondata sul principio di riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziali” e che, di conseguenza, “tale cooperazione può includere l'adozione di misure intese a ravvicinare le disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri” (art. 81.1 TFUE), si stabilisce l’adozione della procedura legislativa ordinaria25. In tale settore, anche in ragione della pertinenza della materia all’originaria finalità comunitaria dell’integrazione economica - come suggerito dall’inciso “se necessario al buon funzionamento del mercato interno” che è dato leggere nella medesima disposizione -, non sono previsti il meccanismo del freno d’emergenza e il ricorso fisiologico alla figura della cooperazione rafforzata. Nondimeno, “in deroga al paragrafo 2, le misure relative al diritto di famiglia aventi implicazioni transnazionali sono stabilite dal Consiglio, che delibera secondo una procedura legislativa speciale. Il Consiglio delibera all'unanimità previa consultazione del Parlamento europeo. Il Consiglio, su proposta della Commissione, può adottare una decisione che determina gli aspetti del diritto di famiglia aventi implicazioni transnazionali e che potrebbero formare oggetto di atti adottati secondo la procedura legislativa ordinaria. Il Consiglio delibera all'unanimità previa consultazione del Parlamento europeo. I parlamenti nazionali sono informati della proposta di cui al secondo comma. Se un parlamento nazionale comunica la sua opposizione entro sei mesi dalla data di tale informazione, la decisione non è adottata. In mancanza di opposizione, il Consiglio può adottare la decisione” (art. 81.3 TFUE). 25 L’oggetto di tale competenza legislativa concerne più in particolare: a) il riconoscimento reciproco tra gli Stati membri delle decisioni giudiziarie ed extragiudiziali e la loro esecuzione; b) la notificazione e la comunicazione transnazionali degli atti giudiziari ed extragiudiziali; c) la compatibilità delle regole applicabili negli Stati membri ai conflitti di leggi e di giurisdizione; d) la cooperazione nell'assunzione dei mezzi di prova; e) un accesso effettivo alla giustizia; f) l'eliminazione degli ostacoli al corretto svolgimento dei procedimenti civili, se necessario promuovendo la compatibilità delle norme di procedura civile applicabili negli Stati membri; g) lo sviluppo di metodi alternativi per la risoluzione delle controversie; h) un sostegno alla formazione dei magistrati e degli operatori giudiziari” (art. 81.2 TFUE). 214 E’ agevole dunque constatare che il diritto di famiglia, rispetto al quale l’esercizio della competenza legislativa dell’UE è sottoposto ad un potere di veto di anche uno solo degli Stati membri, espresso dal rispettivo Parlamento, rappresenta un’area nella quale si è precostituito un muro di separazione fra le dinamiche evolutive concretizzatesi nell’ordinamento di alcuni Stati membri – comprensive in particolare del superamento della discriminazione in base all’orientamento sessuale, prescritto peraltro in via generale dal diritto costituzionale dell’Unione – e le resistenze frapposte da parte di altri Stati membri. Per quanto riguarda, in particolare, la disciplina ordinaria di Eurojust – il cui compito è “di sostenere e potenziare il coordinamento e la cooperazione tra le autorità nazionali responsabili delle indagini e dell'azione penale contro la criminalità grave che interessa due o più Stati membri o che richiede un'azione penale su basi comuni, sulla scorta delle operazioni effettuate e delle informazioni fornite dalle autorità degli Stati membri e da Europol” (art. 85.1 TFUE) -, è prescritta la procedura legislativa ordinaria, da esercitarsi con l’emanazione di regolamenti che “determinano la struttura, il funzionamento, la sfera d'azione e i compiti di Eurojust”26. Il meccanismo del freno d’emergenza che apre la possibilità di una cooperazione rafforzata è previsto anche dall’art. 86 TFUE il quale disciplina l’iter che, partendo in questo caso, però, comunque dalla procedura legislativa speciale, può condurre all’istituzione della Procura europea27 partendo da Eurojust. Si prevede, infatti, che 26 L’art. 85.1 TFUE precisa che “tali compiti possono comprendere: a) l'avvio di indagini penali, nonché la proposta di avvio di azioni penali esercitate dalle autorità nazionali competenti, in particolare quelle relative a reati che ledono gli interessi finanziari dell'Unione; b) il coordinamento di indagini ed azioni penali di cui alla lettera a); c) il potenziamento della cooperazione giudiziaria, anche attraverso la composizione dei conflitti di competenza e tramite una stretta cooperazione con la Rete giudiziaria europea”. Inoltre, “tali regolamenti fissano inoltre le modalità per associare il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali alla valutazione delle attività di Eurojust”. In applicazione del principio di attribuzione, si prescrive che “Nel contesto delle azioni penali di cui al paragrafo 1, e fatto salvo l'articolo 86, gli atti ufficiali di procedura giudiziaria sono eseguiti dai funzionari nazionali competenti” (art. 85.2 TFUE). 27 Cfr. in proposito la disciplina “in divenire” posta dal trattato: “la Procura europea è competente per individuare, perseguire e rinviare a giudizio, eventualmente in collegamento con Europol, gli autori di reati che ledono gli interessi finanziari dell'Unione, quali definiti dal regolamento previsto nel paragrafo 1, e i loro complici. Essa esercita l'azione penale per tali reati dinanzi agli organi giurisdizionali competenti degli Stati membri” (l’art. 86.2 TFUE); “i regolamenti di cui al 215 “per combattere i reati che ledono gli interessi finanziari dell'Unione, il Consiglio, deliberando mediante regolamenti secondo una procedura legislativa speciale, può istituire una Procura europea a partire da Eurojust. Il Consiglio delibera all'unanimità, previa approvazione del Parlamento europeo”. Nondimeno, “in mancanza di unanimità, un gruppo di almeno nove Stati membri può chiedere che il Consiglio europeo sia investito del progetto di regolamento. In tal caso la procedura in sede di Consiglio è sospesa. Previa discussione e in caso di consenso, il Consiglio europeo, entro quattro mesi da tale sospensione, rinvia il progetto al Consiglio per adozione”. In alternativa, “entro il medesimo termine, in caso di disaccordo, e se almeno nove Stati membri desiderano instaurare una cooperazione rafforzata sulla base del progetto di regolamento in questione, essi ne informano il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione. In tal caso l'autorizzazione a procedere alla cooperazione rafforzata di cui all'articolo 20, paragrafo 2 del trattato sull'Unione europea e all'articolo 329, paragrafo 1 del presente trattato si considera concessa e si applicano le disposizioni sulla cooperazione rafforzata” (art. 86.1 TFUE). Da ultimo, occorre considerare la disciplina posta in tema di cooperazione operativa di polizia, anche, ma non necessariamente, attraverso l’istituzione dell’Europol. L’art. 87.1 TFUE stabilisce in via generale che “l'Unione sviluppa una cooperazione di polizia che associa tutte le autorità competenti degli Stati membri, compresi i servizi di polizia, i servizi delle dogane e altri servizi incaricati dell'applicazione della legge specializzati nel settore della prevenzione o dell'individuazione dei reati e delle relative indagini”. Anche in questa materia viene attribuita all’UE una competenza legislativa da esercitarsi secondo la procedura legislativa ordinaria in paragrafo 1 stabiliscono lo statuto della Procura europea, le condizioni di esercizio delle sue funzioni, le regole procedurali applicabili alle sue attività e all'ammissibilità delle prove e le regole applicabili al controllo giurisdizionale degli atti procedurali che adotta nell'esercizio delle sue funzioni” (art. 86.3 TFUE); “il Consiglio europeo può adottare, contemporaneamente o successivamente, una decisione che modifica il paragrafo 1 allo scopo di estendere le attribuzioni della Procura europea alla lotta contro la criminalità grave che presenta una dimensione transnazionale, e che modifica di conseguenza il paragrafo 2 per quanto riguarda gli autori di reati gravi con ripercussioni in più Stati membri e i loro complici. Il Consiglio europeo delibera all'unanimità previa approvazione del Parlamento europeo e previa consultazione della Commissione” (art. 86.4 TFUE). 216 relazione ad alcuni profili28, mentre la procedura legislativa speciale (“Il Consiglio delibera all'unanimità previa consultazione del Parlamento europeo“) è invece prevista in ordine all’adozione di “misure riguardanti la cooperazione operativa tra le autorità di cui al presente articolo). Secondo il meccanismo già indicato, è stabilito che “in mancanza di unanimità, un gruppo di almeno nove Stati membri può chiedere che il Consiglio europeo sia investito del progetto di misure. In tal caso la procedura in sede di Consiglio è sospesa. Previa discussione e in caso di consenso, il Consiglio europeo, entro quattro mesi da tale sospensione, rinvia il progetto al Consiglio per adozione”; e in questa materia è previsto che “entro il medesimo termine, in caso di disaccordo, e se almeno nove Stati membri desiderano instaurare una cooperazione rafforzata sulla base del progetto di misure in questione, essi ne informano il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione. In tal caso l'autorizzazione a procedere alla cooperazione rafforzata di cui all'articolo 20, paragrafo 2 del trattato sull'Unione europea e all'articolo 329, paragrafo 1 del presente trattato si considera concessa e si applicano le disposizioni sulla cooperazione rafforzata”. In tema di definizione legislativa di struttura, funzionamento, sfera d'azione e compiti di Europol – cui viene conferito “il compito di sostenere e potenziare l'azione delle autorità di polizia e degli altri servizi incaricati dell'applicazione della legge degli Stati membri e la reciproca collaborazione nella prevenzione e lotta contro la criminalità grave che interessa due o più Stati membri, il terrorismo e le forme di criminalità che ledono un interesse comune oggetto di una politica dell'Unione”, secondo quanto prescritto dall’art. 88.2 TFUE -, si prevede che Parlamento europeo e Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa 28 Tali profili sono : “a) la raccolta, l'archiviazione, il trattamento, l'analisi e lo scambio delle pertinenti informazioni; b) un sostegno alla formazione del personale e la cooperazione relativa allo scambio di personale, alle attrezzature e alla ricerca in campo criminologico; c) le tecniche investigative comuni ai fini dell'individuazione di forme gravi di criminalità organizzata” (art 87.2 TFUE). Cfr. infatti l’art. 88.2 TFUE, secondo il quale “tali compiti possono comprendere: a) la raccolta, l'archiviazione, il trattamento, l'analisi e lo scambio delle informazioni trasmesse, in particolare dalle autorità degli Stati membri o di paesi o organismi terzi; b) il coordinamento, l'organizzazione e lo svolgimento di indagini e di azioni operative, condotte congiuntamente con le autorità competenti degli Stati membri o nel quadro di squadre investigative comuni, eventualmente in collegamento con Eurojust”. E’ previsto altresì che i suddetti regolamenti “fissano inoltre le modalità di controllo delle attività di Europol da parte del Parlamento europeo, controllo cui sono associati i parlamenti nazionali”. 217 ordinaria, possano adottare regolamenti che incidano sulla stessa definizione dei compiti di Europol, integrandoli e ulteriormente specificandoli29. Il trattato si preoccupa anche di precisare la titolarità delle competenze in relazione alle modalità di intervento territoriale in materia penale: l’art. 88.8 prevede che “qualsiasi azione operativa di Europol deve essere condotta in collegamento e d'intesa con le autorità dello Stato membro o degli Stati membri di cui interessa il territorio. L'applicazione di misure coercitive è di competenza esclusiva delle pertinenti autorità nazionali”; mentre, per quanto concerne la cooperazione di polizia tout court, l’intervento delle autorità competenti degli Stati membri in relazione alla cooperazione giudiziaria in materia penale e alla cooperazione di polizia, si prevede che il Consiglio, deliberando all'unanimità previa consultazione del Parlamento europeo – dunque secondo una procedura legislativa speciale – possa stabilire le condizioni e i limiti entro i quali esse possano operare nel territorio di un altro Stato membro in collegamento e d'intesa con le autorità di quest'ultimo (art. 89 TFUE). 4. Lo SLSG e il sistema delle reti giudiziarie La ricostruzione sin qui svolta del percorso evolutivo graduale, sperimentale ed incrementale e delle principali aree di intervento nonché delle modalità di esercizio delle competenze che ne derivano - nel contesto ordinamentale dell’UE ben radicato nel principio di attribuzione - sembra idonea, per quanto succinta, a porre in evidenza come lo SLSG si possa qualificare in ragione di una vocazione ancora prevalentemente intergovernativa (nonostante il superamento formale dell’architettura a pilastri), di una configurazione tendenzialmente e variamente asimmetrica, di una caratterizzazione funzionale altamente specialistica e di un’esigenza molto forte di conferire all’innovazione che lo SLSG stesso 29 Cfr. in argomento l’art. 88.2 TFUE (“Tali compiti possono comprendere: a)la raccolta, l'archiviazione, il trattamento, l'analisi e lo scambio delle informazioni trasmesse, in particolare dalle autorità degli Stati membri o di paesi o organismi terzi; b)il coordinamento, l’organizzazione e lo svolgimento di indagini e di azioni operative, condotte congiuntamente con le autorità competenti degli Stati membri o nel quadro di squadre investigative comuni, eventualmente in collegamento con Eurojust”). 218 rappresenta una legittimazione ad hoc30, sia con lo scopo di interessare e coinvolgere direttamente i cittadini e, più in generale, l’opinione pubblica31, sia al fine di natura istituzionale di includere con immediatezza ed acquisire l’adesione attiva e collaborativa delle magistrature nazionali, delle forze dell’ordine nonché del mondo delle professioni forensi. Sia con riguardo ai cittadini sia nei confronti dei magistrati e delle altre categorie professionali una delle massime priorità dell’avvio dello SLSG è quella di colmare non solo una lacuna di informazione e di conoscenza ma anche una mancanza di fiducia reciproca che va ovviamente oltre la mera conoscenza ma che, senza quest’ultima, anche in virtù del tecnicismo giudiziario che la materia comporta, sarebbe impossibile suscitare, costruire e consolidare. Nel Programma di Stoccolma, il primo degli strumenti indicati ai fini dell’attuazione dello SLSG è proprio “la fiducia reciproca tra autorità e servizi nei vari Stati membri e tra decisori [che] è il presupposto di una cooperazione efficace in questo settore. Pertanto, una delle principali sfide future consisterà nel consolidare la fiducia e nel trovare nuove soluzioni che favoriscano un maggiore ricorso ai vari sistemi degli Stati membri e una migliore comprensione degli stessi” (punto 1.2.1)32. 30 Sì che appare del tutto contraddittorio circoscrivere l’area di giustiziabilità in materia, come risulta dall’inevitabile richiamo in proposito dell’art. 276 TFUE:” Nell'esercizio delle attribuzioni relative alle disposizioni dei capi 4 e 5 della parte terza, titolo V concernenti lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, la Corte di giustizia dell'Unione europea non è competente a esaminare la validità o la proporzionalità di operazioni condotte dalla polizia o da altri servizi incaricati dell'applicazione della legge di uno Stato membro o l'esercizio delle responsabilità incombenti agli Stati membri per il mantenimento dell'ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna”. 31 Si pensi solo al tema della facilitazione dell’accesso dei cittadini alla giustizia e allo strumento de portale della e-Justice: non a caso il titolo del Programma di Stoccolma è “Un'Europa aperta e sicura al servizio e a tutela dei cittadini”. 32 E’ evidente che la promozione della fiducia è un obiettivo che si pone già nell’immediato ma che, nel lungo periodo, almeno per quanto riguarda la conoscenza (ma già abbiamo osservato che la conoscenza di per sé rappresenta il primo ed indispensabile fattore ai fini della costruzione dello SLSG) insostituibile si rivela il contributo della formazione, come ben indicato nel Programma di Stoccolma (cfr. infatti il punto 1.2.6): “Per promuovere un'autentica cultura europea in materia giudiziaria e di applicazione delle legge è essenziale intensificare la formazione relativa alle tematiche connesse all'UE e renderla sistematicamente accessibile per tutte le professioni coinvolte nell'attuazione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, tra cui sono da annoverare giudici, pubblici ministeri, personale giudiziario, agenti doganali e guardie 219 A ragione si può dunque ritenere che, sulla base di tali premesse di fondo, la predisposizione di un apparato esecutivo destinato alla migliore attuazione funzionale dello SLSG, combinando efficienza operativa unitaria e centralizzata ma anche garanzie di compatibilità con la pluralità e le diversità degli Stati membri – anche per il riflesso che tali attività hanno sulla funzione giurisdizionale e sulla tutela dei diritti fondamentali – avvenisse in modo da non affidarne il funzionamento alla Commissione (pur direttamente coinvolta, peraltro, quanto all’organizzazione amministrativa) ma da privilegiare piuttosto un assetto operativo nuovo, ad hoc, per quanto possibile collegiale se non addirittura a base di frontiera. Occorrerebbe porsi come obiettivo regimi di formazione europea sistematica, offerti a tutti i soggetti coinvolti, con l'ambizione seguente per l'Unione e gli Stati membri: partecipazione, entro il 2015, di un numero significativo di professionisti, ovvero scambio con un altro Stato membro che potrebbe rientrare in regimi di formazione già utilizzati. A tal fine si dovrebbe in particolare ricorrere agli istituti di formazione esistenti. Al riguardo sono responsabili in primo luogo gli Stati membri; l'Unione deve però offrire loro supporto e sostegno finanziario e disporre inoltre di meccanismi propri per integrare gli sforzi nazionali. Il Consiglio europeo ritiene che gli aspetti della cooperazione UE e internazionale debbano rientrare nei programmi di formazione nazionali. Nella formazione di giudici, pubblici ministeri e personale giudiziario è importante salvaguardare l'indipendenza del potere giudiziario, ponendo nel contempo l'accento sulla dimensione europea per i professionisti che si servono frequentemente degli strumenti europei. CEPOL e FRONTEX dovrebbero svolgere un ruolo chiave nella formazione del personale preposto all'azione di contrasto e delle guardie di frontiera al fine di garantire una dimensione europea all'attività formativa. La formazione delle guardie di frontiera e degli agenti doganali riveste una rilevanza particolare nell'ottica di promuove un approccio comune alla gestione integrata delle frontiere. Si dovrebbero ricercare soluzioni a livello europeo per potenziare i regimi di formazione europea. Si devono inoltre sviluppare programmi di teledidattica per formare i professionisti riguardo ai meccanismi europei. Il Consiglio europeo invita la Commissione a: proporre un piano d'azione per innalzare sistematicamente, in misura sostanziale, il livello dei regimi di formazione e scambio nell'Unione. Il piano dovrebbe prospettare come garantire che a un terzo di tutte le forze di polizia coinvolte nella cooperazione europea di polizia e alla metà dei giudici, pubblici ministeri e altro personale giudiziario coinvolti nella cooperazione europea giudiziaria, nonché alla metà di altri professionisti coinvolti nella cooperazione europea possano essere offerti regimi di formazione europea; considerare ciò che può definirsi un regime di formazione europea e proporre, nel piano d'azione, soluzioni per sviluppare questo concetto nella prospettiva di conferirgli una dimensione europea; istituire specifici programmi di scambio (tipo Erasmus) che potrebbero coinvolgere Stati non appartenenti all'UE e, in particolare, Stati candidati e paesi con i quali l'Unione ha concluso accordi di partenariato e di cooperazione; far sì che la partecipazione ai corsi, alle esercitazioni e ai programmi di scambio comuni sia decisa in funzione delle attribuzioni e non dipenda da criteri settoriali”. 220 quasi associativa, intergovernativo e a forte componente professionale. Affidarsi unicamente e direttamente alla Commissione, peraltro ben connotata dal punto di vista sistematico quale organo che “promuove l’interesse generale dell’Unione” (art. 17 TUE) e in qualche modo interlocutore dialettico del Consiglio, avrebbe probabilmente rappresentato una eccessiva semplificazione mentre – anche alla luce delle resistenze espresse anche negli opting-out di alcuni Stati membri – collocare lo SLSG piuttosto nel baricentro strutturale offerto dal Consiglio e soprattutto in prima battuta dagli Stati membri avrebbe fornito garanzie più rassicuranti. È sulla base di questi requisiti che si innesta il ricorso, anche formale – ossia in virtù del dato letterale delle disposizioni normative - alla figura atipica delle «rete» europea. 5. La ricognizione delle figure di «rete» nel contesto dello SLSG Il concetto di rete non appartiene alle categorie consolidate del diritto pubblico33 ma, nondimeno, come testé precisato, in tanto in quanto esso corrisponde al lessico del diritto positivo comunitario oltre che del linguaggio istituzionale corrente, come ad esempio nel citato Programma di Stoccolma, occorre che il giurista si faccia carico - se e per quanto possibile - del compito di definirne il significato e la configurazione sistematica. Preliminare rispetto a tale compito, peraltro, sembra essere quello di svolgere una ricognizione analitica dei contesti nei quali quel lessico viene utilizzato in modo da impostare una riflessione sistematica sulla base di una mappatura del fenomeno. È dato osservare, di conseguenza, che il termine e il concetto di rete si rinvengono in una pluralità di accezioni che giova sottoporre a un tentativo di classificazione. 33 In proposito rinviamo a R. Toniatti, Il regionalismo relazionale e il governo delle reti: primi spunti ricostruttivi, in S. Gambino (a cura di), Il “nuovo” ordinamento regionale. Competenze e diritti, Milano, 2003. 221 (i) In primo luogo giova soffermarsi su quella che viene formalmente definita come Rete giudiziaria europea: il riferimento alle fonti vigenti34 va fatto alla Decisione 2008/976/GAI del Consiglio del 16 dicembre 200835 relativa alla Rete giudiziaria europea36. La Rete giudiziaria europea, in senso proprio - in tanto in quanto così denominata dal legislatore comunitario -, è costituita dalle autorità giudiziarie ovvero da altre autorità degli Stati membri competenti con responsabilità specifiche nell’ambito della cooperazione internazionale ma con una specifica destinazione a svolgere le funzioni di punto di contatto, ossia di corrispondente nazionale perla Rete giudiziaria europea. La potestà di nomina è determinata “tenuto conto delle norme costituzionali, delle tradizioni giuridiche e della struttura interna di ciascuno Stato membro, delle autorità centrali responsabili della cooperazione giudiziaria internazionale” (art. 2.1 della Decisione ult. cit.). Quanto ai requisiti soggettivi richiesti, è stabilito che “ciascuno Stato membro si adopera affinché i propri punti di contatto abbiano funzioni attinenti alla cooperazione giudiziaria in materia penale e una conoscenza sufficiente di una lingua dell’Unione europea diversa dalla lingua nazionale, tenuto conto della necessità di consentire la comunicazione con i punti di contatto degli altri Stati membri” (art. 2.5 della Decisione ult. cit.) . Il duplice requisito soggettivo prescritto - professionale (segnatamente la titolarità di “funzioni attinenti alla cooperazione giudiziaria in materia penale”) e linguistico consente di precisare le funzioni dei magistrati di contatto e contribuiscono inoltre, di per sé, a definire anche le funzioni della Rete, riconducibili soprattutto a finalità di collaborazione in ambito giudiziario fra gli Stati membri, attraverso 34 Ma la fonte originaria è da ricondurre all’Azione comune del 29 giugno 1998 adottata dal Consiglio sulla base dell’art. K.3 del trattato sull’Unione europea sull’istituzione di una Rete giudiziaria europea (98/428/GAI) in GUCE L/191/4 del 7 luglio 1998, la cui abrogazione è espressamente disposta dall’art. 14 della Decisione del 2008 su cui si veda oltre. Peraltro, la continuità istituzionale è del pari esplicitamente stabilita dall’art. 1 della Decisione (“La rete di punti di contatto giudiziari, in prosieguo denominata «Rete giudiziaria europea», istituita tra gli Stati membri in applicazione dell’azione comune 98/428/GAI, continua a operare conformemente al disposto della presente decisione”). 35 Cfr. Atti adottati a norma del Titolo VI del trattato UE in GUCE L 348/130 del 24.12.2008. 36 Cfr. in particolare http://www.ejn-crimjust.europa.eu/about-ejn.aspx 222 attività di reciproca informazione e di agevolazione37 – generale e specifica38 - allo scopo di prestabilire ulteriori occasioni di contatto e collaborazione39; si profilano altresì attività di formazione40. Anche le modalità decentrate, coordinate e convergenti di funzionamento contribuiscono a consolidare l’immagine di un sistema a rete, il quale è 37 Quanto al contenuto e all’aggiornamento delle informazioni diffuse nell’ambito della Rete giudiziaria europea cfr. l’art. 7 (“Il segretariato della Rete giudiziaria europea mette a disposizione dei punti di contatto e delle competenti autorità giudiziarie le seguenti informazioni: a) dati completi sui punti di contatto di ciascuno Stato membro compresa, se necessario, l’indicazione delle relative competenze a livello interno; b) uno strumento informatico in grado di consentire all’autorità richiedente o emittente di uno Stato membro di individuare l’autorità di un altro Stato membro competente a ricevere e dar corso alla sua richiesta di cooperazione giudiziaria, ed alle decisioni in merito, anche per quanto riguarda gli strumenti che applicano il principio del riconoscimento reciproco; c) informazioni giuridiche e pratiche concise sui sistemi giudiziari e procedurali degli Stati membri; d) testi degli strumenti giuridici pertinenti e, per quanto riguarda le convenzioni in vigore, testo delle dichiarazioni e riserve”.; e l’art.8 (“1. Le informazioni diffuse nell’ambito della Rete giudiziaria europea sono costantemente aggiornate. 2. Spetta a ciascuno Stato membro verificare l’esattezza delle informazioni contenute nel sistema e avvisare il segretariato della Rete giudiziaria europea non appena un dato che riguarda uno dei quattro punti di cui all’articolo 7 debba essere modificato”. 38 Rinviamo ancora all’art. 4: “4. In particolare, il corrispondente nazionale, oltre ai suoi compiti in qualità di punto di contatto di cui ai paragrafi da 1 a 3: a) è responsabile, nel proprio Stato membro, delle questioni relative al funzionamento interno della Rete, incluso il coordinamento delle richieste di informazioni e delle risposte fornite dalle autorità nazionali competenti; b) è il principale responsabile dei contatti con il segretariato della Rete giudiziaria europea, inclusa la partecipazione alle riunioni di cui all’articolo 6; c) su richiesta, formula un parere sulla designazione di nuovi punti di contatto”. 39 Cfr. infatti l’art. 4 della Decisione il quale prevede che: “1. I punti di contatto sono intermediari attivi che hanno il compito di agevolare la cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri, soprattutto nelle azioni contro le forme di criminalità grave. Essi sono a disposizione delle autorità giudiziarie locali e delle altre autorità competenti del loro Stato membro, nonché dei punti di contatto e delle autorità giudiziarie locali e altre autorità competenti degli altri Stati membri, per consentire loro di stabilire i contatti diretti più appropriati” […] 2. I punti di contatto forniscono alle autorità giudiziarie locali dei rispettivi Stati membri, nonché ai punti di contatto e alle autorità giudiziarie locali degli altri Stati membri le informazioni giuridiche e pratiche necessarie per consentire loro di approntare efficacemente le richieste di cooperazione giudiziaria ovvero per migliorare quest’ultima in generale”. 40 Così l’art. 4.3 della Decisione: “Al loro rispettivo livello, i punti di contatto partecipano a e promuovono l’organizzazione di sessioni di formazione sulla cooperazione giudiziaria destinate alle autorità competenti del proprio Stato membro, se del caso in cooperazione con la Rete europea di formazione giudiziaria. 223 preordinato ad operare normalmente a distanza, anche grazie alla previsione esplicita dell’impiego delle tecnologie della comunicazione e della nomina di un contatto ad hoc41, ed occasionalmente con riunioni personali42. Giova precisare che uno degli effetti strumentali particolarmente innovativi della Rete – ma, in effetti, di ciascun corrispondente nazionale - risulta essere anche quello di venire ad integrare ab externo l’apparato giurisdizionale anche degli altri Stati membri. Le “funzioni dei punti di contatto”, infatti, vengono prescritte (in realtà sembrano meramente descritte) come segue dall’art. 4: “1. I punti di 41 Infatti, “ciascuno Stato membro designa un corrispondente incaricato degli aspetti tecnici della Rete giudiziaria europea” (art. 2.4). E previsto, inoltre, che questa figura – unica ovvero distinta che sia – abbia comunque un ruolo determinante quale fonte attiva di informazione circa il proprio ordinamento (art. 4.5: Il corrispondente incaricato degli aspetti tecnici della Rete giudiziaria europea, che potrebbe anche essere il punto di contatto di cui ai paragrafi da 1 a 4, garantisce che le informazioni relative al proprio Stato membro e citate all’articolo 7 siano fornite e aggiornate conformemente all’articolo 8”. Sul sito web e sul sistema protetto di telecomunicazioni cfr. in particolare l’art. 9 della Decisione (“1. Il segretariato della Rete giudiziaria europea garantisce che le informazioni di cui all’articolo 7 siano rese disponibili su un sito web costantemente aggiornato. 2. La rete protetta di telecomunicazioni è istituita per le attività operative dei punti di contatto della Rete giudiziaria europea. L’istituzione della rete protetta di telecomunicazioni è a carico del bilancio generale dell’Unione europea. L’istituzione della connessione di telecomunicazioni protetta rende possibile la circolazione dei dati e delle richieste di cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri. 3. La rete protetta di telecomunicazioni di cui al paragrafo 2 può essere utilizzata per le loro attività operative anche dai corrispondenti nazionali dell’Eurojust, dai corrispondenti nazionali dell’Eurojust in materia di terrorismo, dai membri nazionali dell’Eurojust e dai magistrati di collegamento da essa designati. Può essere collegata al sistema automatico di gestione dei fascicoli dell’Eurojust di cui all’articolo 16 della decisione 2002/187/GAI. 4. Le disposizioni del presente articolo lasciano impregiudicati i contatti diretti tra autorità giudiziarie competenti previsti dagli strumenti di cooperazione giudiziaria, quali l’articolo 6 della convenzione relativa all’assistenza giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri dell’Unione europea”. 42 Così l’art. 3 della Decisione in tema di “Modalità di funzionamento della Rete”: “La Rete giudiziaria europea opera in particolare nei tre modi seguenti: a) facilita l’istituzione di adeguati contatti tra i punti di contatto dei vari Stati membri per assolvere i compiti di cui all’articolo 4; b) organizza riunioni periodiche tra i rappresentanti degli Stati membri secondo le modalità di cui agli articoli 5 e 6; c) fornisce costantemente alcune informazioni di base aggiornate in permanenza, in particolare attraverso un’adeguata rete di telecomunicazioni, secondo le modalità di cui agli articoli 7, 8 e 9” (come previsto anche dal testo dell’art. 4.1: “ Ove necessario e in base ad un accordo tra le amministrazioni interessate, essi possono spostarsi per incontrare i punti di contatto degli altri Stati membri”. Sulle riunioni dei corrispondenti e dei corrispondenti tecnici cfr. altresì gli artt. 5 e 6 della Decisione. 224 contatto sono intermediari attivi che hanno il compito di agevolare la cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri, soprattutto nelle azioni contro le forme di criminalità grave. Essi sono a disposizione delle autorità giudiziarie locali e delle altre autorità competenti del loro Stato membro, nonché dei punti di contatto e delle autorità giudiziarie locali e altre autorità competenti degli altri Stati membri, per consentire loro di stabilire i contatti diretti più appropriati. Ove necessario e in base ad un accordo tra le amministrazioni interessate, essi possono spostarsi per incontrare i punti di contatto degli altri Stati membri. 2. I punti di contatto forniscono alle autorità giudiziarie locali dei rispettivi Stati membri, nonché ai punti di contatto e alle autorità giudiziarie locali degli altri Stati membri le informazioni giuridiche e pratiche necessarie per consentire loro di approntare efficacemente le richieste di cooperazione giudiziaria ovvero per migliorare quest’ultima in generale. 3. Al loro rispettivo livello, i punti di contatto partecipano a e promuovono l’organizzazione di sessioni di formazione sulla cooperazione giudiziaria destinate alle autorità competenti del proprio Stato membro, se del caso in cooperazione con la Rete europea di formazione giudiziaria”. Destinataria delle disposizioni in materia non è solo la Rete ma anche i singoli magistrati di contatto quali suoi componenti. Si precisa ulteriormente, infatti, che ciascun corrispondente nazionale “a) è responsabile, nel proprio Stato membro, delle questioni relative al funzionamento interno della Rete, incluso il coordinamento delle richieste di informazioni e delle risposte fornite dalle autorità nazionali competenti; b) è il principale responsabile dei contatti con il segretariato della Rete giudiziaria europea, inclusa la partecipazione alle riunioni di cui all’articolo 6; c) su richiesta, formula un parere sulla designazione di nuovi punti di contatto” (art. 4.4). Si stabilisce un rapporto di collaborazione permanente fra la Rete e Eurojust: “la Rete giudiziaria europea e l’Eurojust intrattengono rapporti privilegiati tra di loro basati sulla concertazione e sulla complementarietà, in particolare tra i punti di contatto di uno Stato membro, il membro nazionale dell’Eurojust dello stesso Stato membro e i corrispondenti nazionali della Rete giudiziaria europea e dell’Eurojust. Al fine di garantire una cooperazione efficace, sono adottate le seguenti misure: a) la Rete giudiziaria europea mette a disposizione dell’Eurojust le informazioni centralizzate di cui all’articolo 7 e la rete protetta di telecomunicazioni istituita ai sensi dell’articolo 9; b) i punti di contatto della Rete 225 giudiziaria europea informano, caso per caso, i rispettivi membri nazionali di tutti i fascicoli che ritengono possano essere trattati più efficacemente dall’Eurojust; c) i membri nazionali dell’Eurojust possono partecipare alle riunioni della Rete giudiziaria europea su invito di quest’ultima” (art. 10)43. La Rete giudiziaria europea rappresenta, dunque, non un’istituzione dotata di per sé di una propria funzione unitaria ed organica quanto piuttosto uno strumento meramente operativo la cui funzione non è altro che la rappresentazione funzionale dell’attività dei suoi componenti a propria volta finalizzata, anche con spazi di intervento valutativo e propositivo, alla funzione – politica, legislativa, giurisdizionale, amministrativa - di altri organi dell’UE44, oltre che, come abbiamo visto, ad esprimere un ruolo complementare di supporto esterno a vantaggio degli apparati di settore degli Stati membri il quale, in tanto in quanto filtrato dall’intermediazione dell’UE, non acquisisce un significato di interferenza con l’attività istituzionale degli Stati membri di volta in volta coinvolti. (ii) In secondo luogo, occorre richiamare in questa sede la Rete giudiziaria europea in materia civile e commerciale45. Rispetto alla precedente, questa Rete presenta una composizione più varia ed eterogenea46, in corrispondenza del resto con la vastità della materia oggetto delle 43 Pertanto, “per consentire alla Rete giudiziaria europea di assolvere i propri compiti, il bilancio dell’Eurojust include una parte relativa alle attività del segretariato della Rete giudiziaria europea” (art. 11). 44 Rubricato “Valutazione del funzionamento della Rete giudiziaria Europea”, l’art. 13 prevede che: “1. Ogni due anni dal 24 dicembre 2008, la Rete giudiziaria europea riferisce al Parlamento europeo, al Consiglio e alla Commissione in merito alle sue attività e alla sua gestione. 2. Nella relazione di cui al paragrafo 1, la Rete giudiziaria europea può anche indicare problemi di politica anticrimine nell’Unione europea eventualmente venuti alla luce grazie all’attività della Rete giudiziaria europea e può inoltre formulare proposte intese a migliorare la cooperazione giudiziaria in materia penale. 3. La Rete giudiziaria europea può altresì fornire qualsiasi relazione o informazione sul proprio funzionamento eventualmente richiesta dal Consiglio. 4. Ogni quattro anni dal 24 dicembre 2008, il Consiglio procede alla valutazione del funzionamento della Rete giudiziaria europea sulla base di una relazione stabilita dalla Commissione in collaborazione con la rete stessa”. 45 Cfr. la Decisione del Consiglio, del 28 maggio 2001, relativa all'istituzione di una rete giudiziaria europea in materia civile e commerciale (2001/470/CE) in GUCE n. L 174 del 27/06/2001 pag. 0025 – 0031. Per ulteriori e più dettagliate informazioni cfr. il relativo sito in http://ec.europa.eu/civiljustice/index_en.htm 226 sue attività (art. 3): “1. La rete ha il compito di: a) agevolare la cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri in materia civile e commerciale, compresi l'ideazione, la progressiva predisposizione e l'aggiornamento di un sistema d'informazione destinato ai membri della rete; b) ideare, predisporre progressivamente e tenere aggiornato un sistema d'informazione accessibile al pubblico. 2. Fatti salvi gli altri atti comunitari o strumenti internazionali relativi alla cooperazione giudiziaria in materia civile e commerciale, la rete sviluppa le proprie attività in particolare con le finalità seguenti: a) assicurare il corretto svolgimento dei procedimenti con risvolti transnazionali e agevolare le richieste di cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri, in particolare ove non si applichi alcun atto comunitario o strumento internazionale; b) garantire un'applicazione effettiva e pratica degli atti comunitari o delle convenzioni vigenti tra due o più Stati membri; c) predisporre e alimentare un sistema d'informazione, destinato al 46 Cfr. infatti l’art. 2 in tema di composizione: “1. La rete giudiziaria si compone di: a) punti di contatto designati dagli Stati membri a norma del paragrafo 2; b) organi centrali ed autorità centrali previsti da atti comunitari, strumenti internazionali cui gli Stati membri partecipano o norme di diritto interno nella sfera della cooperazione giudiziaria in materia civile e commerciale; c) magistrati di collegamento previsti dall'azione comune 96/277/GAI del 22 aprile 1996, relativa ad un quadro di scambio di magistrati di collegamento diretto a migliorare la cooperazione giudiziaria fra gli Stati membri dell'Unione europea, con responsabilità nel campo della cooperazione in materia civile e commerciale; d) qualsiasi altra autorità giudiziaria o amministrativa competente per la cooperazione giudiziaria in materia civile e commerciale la cui appartenenza alla rete sia giudicata opportuna dal rispettivo Stato membro. 2. Ciascuno Stato membro designa un punto di contatto. Se lo reputa necessario, ciascuno Stato membro può tuttavia designare un numero limitato di altri punti di contatto, in funzione dell'esistenza di sistemi giuridici differenti, della ripartizione interna delle competenze, dei compiti affidati ai punti di contatto, o allo scopo di associare ai lavori dei punti di contatto direttamente organi giudiziari che trattino frequentemente controversie con risvolti transnazionali. Qualora uno Stato membro designi vari punti di contatto, fa in modo che tra essi funzionino meccanismi di coordinamento adeguati”. La disposizione con prescrive direttamente requisiti soggettivi (salvo prevedere che ciascuno Stato membro comunichi, insieme alla designazione individuale, anche “l'indicazione a) dei mezzi di comunicazione di cui esse dispongono; b) delle loro conoscenze linguistiche e c) ove opportuno, delle relative funzioni specifiche all'interno della rete”) ma le conoscenze linguistiche costituiscono in realtà una condizione per la designazione, come prescritto dall’art. 7 della Decisione (“Per agevolare il funzionamento della rete, ciascuno Stato membro provvede a che i suoi punti di contatto dispongano di una conoscenza sufficiente di una lingua ufficiale delle istituzioni della Comunità europea diversa dalla loro, tenuto conto del fatto che devono poter comunicare coi punti di contatto degli altri Stati membri. Gli Stati membri agevolano e favoriscono la formazione linguistica specializzata del personale dei punti di contatto e promuovono gli scambi tra i punti di contatto degli Stati membri”. 227 pubblico, sulla cooperazione giudiziaria in materia civile e commerciale all'interno dell'Unione europea, sugli strumenti comunitari e internazionali pertinenti, nonché sul diritto interno degli Stati membri, con particolare riferimento all'accesso alla giustizia”. I compiti della Rete sono svolti secondo modalità47 e attraverso le attività di informazione, agevolazione, collegamento dei singoli punti di contatto individuate in base alle finalità che si intende conseguire48. La Decisione, infatti, fa costante riferimento alle finalità generali e specifiche dello SLSG, come è dato rinvenire precisato nella formula preliminare dei considerando: atteso che “(1) l'Unione si è prefissa di mantenere e sviluppare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia al cui interno sia garantita la libertà di circolazione delle persone” e che “(2) l'istituzione progressiva di questo spazio, nonché il buon funzionamento del mercato interno, richiedono il miglioramento, la semplificazione e l'accelerazione 47 Cfr. in proposito l’art. 4: “La rete svolge i propri compiti in particolare secondo le modalità seguenti: 1) agevola gli opportuni contatti tra le autorità degli Stati membri di cui all'articolo 2, paragrafo 1, per realizzare i compiti previsti all'articolo 3; 2) organizza riunioni periodiche tra i punti di contatto e i suoi membri, ai sensi delle disposizioni previste dal titolo II; 3) elabora e mantiene aggiornate le informazioni relative alla cooperazione giudiziaria in materia civile e commerciale, nonché ai sistemi giuridici degli Stati membri di cui al titolo III, conformemente ai sensi delle disposizioni previste da tale titolo”. 48 Cfr.in proposito l’art. 5: “2. In particolare, i punti di contatto hanno il compito di: a) fornire qualsiasi informazione necessaria per la buona cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri, a norma dell'articolo 3, agli altri punti di contatto, alle autorità di cui all'articolo 2, paragrafo 1, lettere da b) a d), e alle autorità giudiziarie locali del rispettivo Stato membro, per consentire loro di presentare richieste di cooperazione giudiziaria attuabili e di stabilire i contatti diretti più appropriati; b) cercare soluzioni alle difficoltà che possono sorgere quando si presenta una richiesta di cooperazione giudiziaria, fatti salvi il paragrafo 4 del presente articolo e l'articolo 6; c) agevolare il coordinamento del trattamento delle richieste di cooperazione giudiziaria nello Stato membro interessato, in particolare ove varie richieste delle autorità giudiziarie di questo Stato debbano essere eseguite in un altro Stato membro; d) collaborare all'organizzazione delle riunioni di cui all'articolo 9 e parteciparvi; e) collaborare alla preparazione e all'aggiornamento delle informazioni di cui al titolo III, in particolare del sistema d'informazione destinato al pubblico, secondo le modalità previste da tale titolo. 3. Qualora un punto di contatto riceva una richiesta d'informazione da un altro membro della rete alla quale non è in grado di dare seguito, la trasmette al punto di contatto o al membro della rete più idoneo a provvedervi. Il punto di contatto si tiene a disposizione per fornire ogni possibile forma di assistenza utile per contatti successivi. 4. Nei settori in cui gli atti comunitari o gli strumenti internazionali prevedono già autorità incaricate di agevolare la cooperazione giudiziaria, i punti di contatto invitano i richiedenti a rivolgersi a tali autorità. 228 dell'effettiva cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri in materia civile e commerciale”, pertanto “(6) per migliorare, semplificare e accelerare l'effettiva cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri nelle materie civili e commerciali, è necessario creare a livello comunitario una struttura di cooperazione organizzata in rete, ovvero la rete giudiziaria europea in materia civile e commerciale”; e “(8) per garantire la realizzazione degli obiettivi della rete giudiziaria europea in materia civile e commerciale è opportuno che le disposizioni relative alla sua istituzione vengano fissate da uno strumento giuridico comunitario vincolante”. Nella medesima sede si precisa altresì che “(9) dato che gli obiettivi dell'azione proposta, vale a dire migliorare la cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri e consentire un accesso alla giustizia effettivo per le persone che devono far fronte a controversie con risvolti transnazionali, non possono essere sufficientemente realizzati dagli Stati membri e possono dunque, a motivo delle dimensioni e degli effetti dell'azione in questione, essere realizzati meglio a livello comunitario, la Comunità può adottare misure in base al principio di sussidiarietà di cui all'articolo 5 del trattato. Nel rispetto del principio di proporzionalità di cui a detto articolo, la presente decisione non va al di là di quanto necessario per il raggiungimento degli obiettivi in questione”; e la portata teleologica generale della fonte viene del resto espressamente specificata (“(10) la rete giudiziaria europea istituita dalla presente decisione mira ad agevolare la cooperazione giudiziaria tra gli Stati membri in materia civile e commerciale, sia nei settori contemplati dagli strumenti in vigore sia in quelli in cui non si applica alcuno strumento”. (iii) Occorre altresì osservare che, accanto alle due Reti qui sopra richiamate quali realtà concepite dalla volontà politico-istituzionale degli Stati membri e istituite con atto normativo dell’UE, è dato registrare l’esistenza di una pluralità di figure che portano la medesima denominazione di “rete” e che vengono a gravitare soprattutto in un’area materiale coincidente o almeno convergente con quella dello SLSG. Si tratta di iniziative operanti nel settore della formazione, dell’amministrazione giudiziaria (e, come il Consiglio superiore della magistratura italiano, in particolare della vita professionale dei giudici e della giurisdizione disciplinare), dell’informazione e dello scambio di opinioni ed esperienze in senso quanto mai 229 vasto generale e generico, quali – senza pretesa di essere esaustivi49 - la Rete europea di formazione giudiziaria50, la Rete europea dei Consigli di giustizia51, la Rete europea dei Presidenti delle Corti di Cassazione52, la Rete europea delle Procure generali53, l’Associazione dei Consigli di Stato e delle Corti supreme amministrative54. L’elemento comune fra queste reti, che possiamo definire “associative”, con le Reti dell’UE – le quali, senza essere di per sé “istituzioni”, possono ben dirsi, per distinguerle dalle prime,”istituzionali” – è di natura esclusivamente materiale ed è da individuare, dunque, nella convergenza delle rispettive distinte attività verso gli obiettivi dello SLSG, ciò che, conseguentemente, sta alla base di un sostegno anche economico, ancorché del tutto eventuale, delle reti associative da parte dell’UE. Ma la tipologia delle rispettive attività, pur distinguendosi le une dalle altre nel titolo (associativo nel primo caso e istituzionale nel secondo) e nel contesto giuridico (meramente di fatto le prime e formale-strumentale le seconde), non muta invece sostanzialmente in una prospettiva meramente descrittiva e ricostruttiva55. 49 In proposito, nel ricco contesto di iniziative, giova altresì richiamare le analoghe strutture attivate nell’ambito del Consiglio d’Europa, quali il CEPEJ (Commissione europea per l’efficienza della giustizia), il CCJE (Consultative Council of European Judges), il CCPE (Consultative Council of European Prosecutors). 50 Cfr. il sito http://www.ejtn.net/ 51 Cfr. il sito http://www.encj.eu/ 52 Cfr. il sito http://www.rpcsjue.org/ 53 Cfr. il sito http://www.euro-justice.com/ 54 Cfr. il sito http://www.juradmin.eu/ (da segnalare che di essa fa parte anche la stessa Corte di Giustizia dell’UE). 55 In argomento cfr. A. Canepa, La progressiva “retificazione” dell'Unione europea: il caso del settore giustizia, in Diritto pubblico comparato ed europeo, 2006-3, dove si osserva fra l’altro che “Le reti istituzionali del settore giustizia appaiono oggi come organismi sostanzialmente stabili in grado di offrire una certa continuità di azione nella realizzazione di politiche comuni settoriali a livello europeo: si potrebbe affermare che esse rappresentano quasi una nuova “forma di regolazione” che ha come obiettivo la risoluzione di problemi riguardanti il coordinamento e soprattutto lo sviluppo di politiche integrate a livello comunitario. Infatti, i networks di questo tipo assumono il ruolo di vere e proprie «istituzioni informali» in cui vengono meno il principio gerarchico e l'omogeneità dei soggetti pubblici componenti, viste le differenze fra gli ordinamenti, ma non la capacità di cooperare che anzi risulta accentuata dalla presenza di uno spazio costante di confronto”. 230 6. Conclusioni: il significato sistematico delle reti giudiziarie quale fattore di equilibrio istituzionale nell’UE Fra le finalità costitutive dell’UE, si è visto come l’art. 3.2° del vigente trattato istitutivo collochi la creazione di uno “uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne, in cui sia assicurata la libera circolazione delle persone insieme a misure appropriate per quanto concerne colloca i controlli alle frontiere esterne, l'asilo, l'immigrazione, la prevenzione della criminalità e la lotta contro quest'ultima” (SLSG). Una volta venuta meno la struttura per pilastri (comunitario e intergovernativo) e ricondotta la pluralità istituzionale all’unico contesto ordinamentale (comunitario) dell’UE, si è dovuto predisporre un quadro organizzativo e funzionale idoneo a dare attuazione a quella stessa finalità secondo profili che fossero in grado di non alterare affatto ovvero di alterare il meno possibile il quadro esistente delle competenze degli Stati membri in un’area sistematica - diritti fondamentali, ordine pubblico, funzione giurisdizionale - che incide, sia pur con intensità variabile, sul sistema nervoso stesso della sovranità. In altre parole, l’attuazione dello SLSG sembra aver dovuto rispondere all’esigenza prioritaria di assicurare l’equilibrio istituzionale fra UE e Stati membri, adeguando il requisito dell’efficienza dell’intervento dell’UE con l’accentuazione delle istanze di partecipazione degli Stati membri all’esercizio delle competenze. Sotto il profilo della funzione normativa, lo SLSG viene assegnato alla competenza legislativa concorrente dell’UE e degli Stati membri (art. 4.2 lett. j TFUE), in ordine alla quale occorre richiamare altresì il relativo Protocollo, nonché all’ambito delle materie nelle quali si accentua la partecipazione dei Parlamenti nazionali. Inoltre, nonostante l’elevazione del metodo deliberativo comunitario a regola generale dell’UE, la deliberazione sugli oggetti afferenti lo SLSG è inquadrata in misura prevalente nella procedura legislativa speciale – di per sé derogatoria – che in questo settore sembra venire essa stessa elevata a metodo generale. Da ultimo – per non soffermarsi in modo analitico sull’esercizio dell’opting out di singoli Stati membri – occorre ricordare il meccanismo del cosiddetto “freno d’emergenza” che scatta alla vigilia della deliberazione secondo la procedura ordinaria e obbliga o a procedere seguendo la procedura legislativa speciale (ossia l’unanimità del Consiglio) ovvero a fare ricorso alla figura della cooperazione rinforzata. 231 Sotto il profilo della funzione amministrativa, lo SLSG ha generato una parziale riorganizzazione della Commissione, espressa con l’attivazione di due Direzioni generali56. Per quanto riguarda, infine, la funzione giurisdizionale, la competenza della giurisdizione dell’UE si consolida con portata generale57, riducendosi l’area della sua esclusione in conseguenza di una deroga posta dall’art. 276 TFUE a garanzia della funzione degli Stati membri in tema di ordine pubblico e sicurezza interna58, in conformità del resto con la riserva di priorità già espressa in proposito dall’art. 4 del TUE59. Si è di fronte, dunque, a un’innovazione complessa, significativa e delicata, anche per la sua manifesta portata costituzionale: e non a caso per la massima parte i contenuti risultano quasi automaticamente recepiti dal testo del (dichiarato defunto ma in realtà assai operativo) trattato istitutivo di una Costituzione per l’Europa. Occorre peraltro osservare che lo SLSG, se da un lato si traduce oggettivamente in un rafforzamento funzionale dell’UE, dall’altro omette di dotare la funzione - così 56 Si tratta della DG Giustizia e della DG Affari interni per le quali rinviamo ai rispettivi siti http://ec.europa.eu/dgs/justice/index_en.htm e http://ec.europa.eu/dgs/home-affairs/index_en.htm 57 Sotto il profilo della acquisizione, da parte dell’UE in seguito alla modifica in tema di legittimazione processuale attiva degli individui introdotta dal trattato di Lisbona, di “tratti ormai maturi di un sistema giurisdizionale sempre più simile a quello degli Stati e ispirato al fondamentale principio della protezione giurisdizionale effettiva” cfr. B, Marchetti, L’impugnazione degli atti normativi da parte dei privati nell’art. 263 TFUE, in Rivista italiana di diritto pubblico comunitario, 2010, 171 ss. 58 Questo il testo della disposizione citata:” Nell'esercizio delle attribuzioni relative alle disposizioni dei capi 4 e 5 della parte terza, titolo V concernenti lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia, la Corte di giustizia dell'Unione europea non è competente a esaminare la validità o la proporzionalità di operazioni condotte dalla polizia o da altri servizi incaricati dell'applicazione della legge di uno Stato membro o l'esercizio delle responsabilità incombenti agli Stati membri per il mantenimento dell'ordine pubblico e la salvaguardia della sicurezza interna”. 59 Dispone l’art 4.2° TUE: “L'Unione rispetta l'uguaglianza degli Stati membri davanti ai trattati e la loro identità nazionale insita nella loro struttura fondamentale, politica e costituzionale, compreso il sistema delle autonomie locali e regionali. Rispetta le funzioni essenziali dello Stato, in particolare le funzioni di salvaguardia dell'integrità territoriale, di mantenimento dell'ordine pubblico e di tutela della sicurezza nazionale. In particolare, la sicurezza nazionale resta di esclusiva competenza di ciascuno Stato membro”. 232 come risulta configurata dall’innovazione complessiva introdotta - di un proprio apparato istituzionale corrispondente allo spessore della sua attuazione, obiettivo che si sarebbe potuto realizzare, in ipotesi, solo attraverso un adeguato potenziamento dell’organizzazione giudiziaria e di protezione dell’ordine pubblico dell’UE ed un correlato contenimento della partecipazione dell’organizzazione giudiziaria e delle forze dell’ordine degli Stati membri allo svolgimento della funzione di realizzazione dello SLSG e di garanzia dei beni giuridici primari interessati, secondo modelli tipici, però, di un assetto federale. Rispetto a quest’ultima ipotesi, verosimilmente sono mancate due condizioni oggettive: sia la volontà politica degli Stati membri (anche in ordine alla conseguente attribuzione di ulteriori funzioni all’UE), sia anche la disponibilità di un proprio personale professionalmente attrezzato all’esercizio della nuova funzione. Si spiega (anche) così, a nostro parere, il ricorso alla figura della “rete”, quale struttura a composizione intergovernativa ma in realtà su base quasi associativa fondata sulla professionalità (anche linguistica) dei suoi componenti, operativa in un contesto unitario per la cura di interessi condivisi fra UE e Stati membri. Nel concetto di rete possiamo individuare un contenuto strutturale minimo, generale e generico che consiste in un paradigma relazionale, ossia un elemento fisiologico in virtù del quale si realizza un’interazione complementare e sinergica fra una pluralità di soggetti istituzionali che condividono interessi materiali, funzioni di natura non necessariamente omogenea e saperi professionali coordinati e convergenti. L’inesistenza di una correlata e formale nozione giuridica fa sì che la rete si collochi nel contesto concettuale della governance, più che su quello – giuridicamente più impegnativo - del government; e pertanto in un ambito, informale, procedimentale, flessibile, in grado di adattarsi e autoinnovarsi piuttosto che, rispettivamente, formalizzato, istituzionale, rigido e stabile. Come abbiamo osservato con riguardo all’apparato testuale delle disposizioni, il contenuto prescrittivo delle norme si esprime nella descrizione anche minuziosa delle attività da svolgere, anche in ragione della relativa innovatività sia del tipo di struttura sia delle funzioni da disciplinare. Ci si trova, infatti, nel contesto di una funzione che si colloca in rapporto strumentale, servente, istruttorio, preparatorio rispetto all’esercizio della funzione giurisdizionale in senso proprio. Non si tratta di attività di per sé di natura giurisdizionale ma di attività che, negli ordinamenti statuali, sono normalmente e complessivamente svolte all’interno della funzione 233 giurisdizionale stessa, sicché sarebbe arduo classificarle quali attività di natura anche solo prevalentemente amministrativa nel contesto dell’ordinamento dell’UE60. In altre parole, si tratta di una funzione atipica rispetto alle esperienze statuali e connotativa dell’ordinamento sovranazionale. Occorre dunque sottolineare che né le Reti istituzionali né, a maggior ragione, le reti associative svolgono una funzione giurisdizionale ancorché rispetto a quest’ultima svolgano un’azione preparatoria, di agevolazione e facilitazione, di sostegno ed assistenza che ne spiega e ne valorizza l’esistenza ed il funzionamento (nonché, per quanto riguarda le reti associative, l’attenzione e il finanziamento da parte dell’UE)61. 60 Cfr. in argomento la sentenza n. 136 del 2011 della Corte costituzionale italiana, la quale, con riguardo ad Eurojust - che, per quanto ispirato alla collegialità interstatuale della composizione analoga ad una rete, è in realtà (come la Corte stessa del resto precisa, punto 6.1 del Considerato in diritto) “un organo dell’Unione dotato di personalità giuridica, istituito dalla decisione 2002/187/GAI del 28 febbraio 2002, secondo cui tale organo è composto da membri nazionali, distaccati da ciascuno Stato «in conformità del proprio ordinamento giuridico», aventi «titolo di magistrato del pubblico ministero, giudice o funzionario di polizia con pari prerogative» (art. 2, paragrafo 1)” – afferma che “poteri e funzioni [ad esso assegnati] non sono riconducibili a quelli giudiziari propri dei magistrati del pubblico ministero” (6.1.1), che “con riferimento alle richieste indirizzate alle competenti autorità nazionali, la loro natura non vincolante impedisce di riscontrare in esse i connotati propri dell’autonomo esercizio di funzioni giudiziarie requirenti, costituendo, invece, espressione di poteri strumentali all’esercizio di dette funzioni, che restano riservate, in via esclusiva, alle autorità giudiziarie nazionali”; e che “con riferimento alle indicate attività di «assistenza», «collaborazione», «sostegno» o «coordinamento» svolte dall’Eurojust nei confronti delle autorità nazionali in ordine alle indagini ed alle azioni penali, la genericità di tali formule linguistiche, nonché la carenza dei suddetti connotati delle funzioni giudiziarie requirenti inducono a qualificare tali attività come amministrative” (61.1). 61 Cfr. in proposito il Programma di Stoccolma (punto 3.2.2 “Sviluppare le reti”): “Il Consiglio europeo è del parere che i contatti tra alti funzionari degli Stati membri nei settori inerenti alla giustizia e affari interni siano preziosi e vadano promossi dall'Unione nella misura del possibile. Tali contatti potrebbero riguardare in funzione delle strutture nazionali, i capi della polizia ad alto livello o i capi procuratori, i responsabili degli istituti di formazione, i responsabili delle amministrazioni penitenziarie, i direttori generali delle amministrazioni doganali. Ove opportuno, tali reti dovrebbero anche essere informate circa il lavoro svolto dal comitato per la sicurezza interna, oppure poter partecipare allo sviluppo della valutazione dei rischi e la situazione in materia di criminalità organizzata e ad altri strumenti strategici dell'Unione. Le reti in questione dovrebbero riunirsi principalmente grazie alle strutture esistenti come Europol, Eurojust e Frontex oppure su invito della presidenza in qualità di paese ospitante. Dovrebbero continuare a beneficiare del sostegno dell'Unione anche altre reti di professionisti che già 234 Si tratta, in altre parole, di una manifestazione sui generis del principio di sussidiarietà - fra pubblico, privato e privato-pubblico - ma anche di una conseguenza indiretta e di una garanzia del principio di attribuzione: l’esigenza crea la funzione e, in un contesto di vuoto normativo ed istituzionale che l’ordinamento formale non ha provveduto a colmare con previsioni legislative, la funzione genera e modella una istituzione atipica ma – almeno in una fase di avvio - adeguata e sufficiente. Le Reti associative ancora più di quelle istituzionali contribuiscono a porre in evidenza l’esigenza di curare il rapporto di complementarietà fra giurisdizioni nazionali e giurisdizione dell’UE anche per quanto concerne la dimensione preliminare e quella collaterale della fase giurisdizionale in senso proprio. Ancora una volta, emerge il fattore sovranazionale caratterizzante l’UE: l’assetto a rete si risolve dunque in una modalità di esercizio di competenze proprie (dell’UE) in coordinamento, convergenza e sinergia con altri soggetti interessati al conseguimento del medesimo fine e titolari anch’essi di competenze proprie (gli Stati membri), ancorché eventualmente di diversa natura. Concetto e lessico di rete sono connessi e condividono le origini e lo sviluppo di una realtà istituzionale plurale, non gerarchica, priva di un rapporto di esercizio esclusivo o monopolistico di una determinata funzione, orientata a sperimentare un nuovo modo di esercitare una funzione pubblica definita con una formalizzazione minima e pragmaticamente identificata soprattutto in ragione del risultato da conseguire e forse orientata altresì ad anticipare in via di prassi (governance e soft law) una formalizzazione successiva. esistono nel settore. Tra queste figurano la rete europea dei Consigli di giustizia e la rete dei Presidenti delle Corti di Cassazione”. 235 COLLANA “QUADERNI DEL CDE” La collana raccoglie i contribiuti presentati dai relatori ai seminari organizzati dal Centro di documentazione Europea 1. La tutela delle minoranze etnico-linguistiche in relazione alla rappresentanza politica: un’analisi comparata 2. Le professioni turistiche nell’ottica comunitaria 3. Euro: una sfida per la pubblica amministrazione 4. L’accesso ai documenti amministrativi nella prospettiva comunitaria 5. Cooperative, associazioni e mutue nelle normative e nelle politiche della comunità europea 6. Accesso alle fonti informative comunitarie 7. Opportunità di cofinanziamento comunitario nel settore dell’ambiente 8. Documento elettronico e firma digitale 9. Gioventù - il programma Europeo per l’educazione non formale e la mobilità internazionale 10. La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea 11. Programma comunitario “Cultura 2000” 12. Disciplina comunitaria in materia di aiuti di Stato 13. Il sistema degli aiuti di Stato nella politica di concorrenza dell’Unione Europea 14. La produzione della normativa comunitaria 15. Il nuovo Programma Quadro dell’Unione Europea per la ricerca 16. La concorrenza nei servizi pubblici di trasporto 17. Il Libro Bianco sulla Governance Europea: nuove prospettive comunitarie dell’autonomia trentina 18. L’Unione Europea e la “questione regionale”. Quali orientamenti nella Convenzione per una Costituzione europea? 19. Le politiche europee in materia di cooperazione con i paesi terzi: processi, prospettive, opportunità 20. Il futuro dell’Unione europea dopo il V allargamento 21. Gli strumenti tematici all’interno delle politiche europee di cooperazione con i paesi terzi 22. Via Claudia Augusta. Sulle tracce degli imperatori 23. Gare d’appalto: come redigere un’offerta e gestire un contratto di finanziamento della Commissione europea 24. L’energia costa?... Risparmiare si può 25. La tutela del contraente debole nei rapporti tra imprese 26. Società pubblico-private e procedure di affidamento. L’in house alla prova delle regole comunitarie 27. Strumenti alternativi di partenariato pubblico – privato 28. Le regole della concorrenza e i principi comunitari nel recepimento delle Dir. 2004/18/CE e Dir. 2004/17/CE 29. Il risarcimento del danno da condotta anticoncorrenziale: Stati Uniti ed Europa a confronto 30. Le nuove competenze dell’Unione europea in materia di giustizia Le pubblicazioni sono disponibili su Internet al seguente indirizzo: http://www.cde.provincia.tn.it, oppure si possono richiedere a: Provincia autonoma di Trento, Centro di Documentazione Europea, via Romagnosi, 9 - 38122 Trento tel. 0461/495087-88, fax 0461/495095, mailto: [email protected]