MoCa (re)Press- Gennaio 2017
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MoCa (re)Press- Gennaio 2017
Contattaci [email protected] s s e r P a MoC Gennaio 20 17 (re) Visita il nostro sito internet www.mocapress.org La post-verità, Orwell e la nostra ignoranza Per il prestigioso Oxford Dictionary la parola dell’anno, per il 2016, è stata “posttruth” (“post-verità”). E non promette nulla di buono per il 2017. Perché questo sarà l’anno in cui dovremo farci i conti un po’ tutti, visto il pesante effetto nelle nostre vite quotidiane. La falsità dei contenuti, la plausibilità e soprattutto la diffusione virale sono tre elementi che caratterizzano quelle che frettolosamente abbiamo etichettato come “bufale”. Ma il problema è più profondo, perché il nuovo corso ci porta in dono un capovolgimento del pensiero: l’obiettività o la veridicità dei fatti è diventata molto meno rilevante (o anche totalmente irrilevante) rispetto alla solleticazione delle emozioni e delle convinzioni personali di chi ascolta. E dunque scopriamo che molti “brexiters” nel Regno Unito, dopo aver votato per il “Leave” in base ad emozioni e credenze personali, corrano su Google a cercare di capire cosa sia l’Unione Europea. Stessa dinamica per gli allarmi alimentari infondati che corrono sui social o qualsiasi altra notizia che possa solleticare i nostri istinti primordiali. Ma questa è solo la deflagrazione più spettacolare di un fenomeno che esiste da tempo. Non sono solo webeti o leoni da tastiera a guidarlo. Si è scoperchiato un vaso di Pandora, che non permette a larga parte delle persone di capire più cosa sia il vero e il falso. L’orwelliano “bispensiero” per cui il vero e il falso si annullavano, intrecciandosi in maniera assurda ma reale è dietro l’angolo. Molti si erano aggrappati alla Rete prima e ai social poi come baluardi intelligenza collettiva e consapevolezza diffusa, che dovevano aiutarci a districarci nel mondo. E invece sono dei collettori di stupidità collettiva e catalizzatori della post-verità. Facebook, ad esempio, per motivi princi- palmente commerciali, permette alle persone di modellare quello che leggono in base ai loro gusti, rinchiudendolo in “camere d’eco”, in cui si rinforzano le narrazioni e i pregiudizi che già si posseggono, ignorando il resto. Che sia vero o falso, dunque, non importa. Il risultato è che, oltre alla sparizione dei luoghi fisici di confronto, rischiano di scomparire pure quelli virtuali in cui praticare un autentico confronto basato sul ricorso a parametri razionali e non emotivi. Ognuno vive nella sua bolla tribale, covando odio e rancore per le bolle altrui. L’unica risposta sensata a questo impazzimento generale, resta, probabilmente, la formazione delle persone. Una impresa di lungo respiro e da far tremare le vene ai polsi. Da parte nostra tenteremo, nel nostro piccolo, di tenere diritta la barra, rimanendo aperti, lucidi, inclusivi e senza rinunciare al confronto, critico ma leale con chiunque abbia voglia di partecipare. Sarà difficile, ma dobbiamo provarci. E questo è decisamente un gran buon proposito per l’anno che comincia. La Redazione [email protected] Sommario Una serie al giorno.. 2 Amarcord 2 Grazie Maria! 3 La fine del... 3 Da Nusco alle Ande 4 Classifica Libri 4 Nihil sub sole... 5 La Meningite, il... 5 Leggi direttamente dal tuo smartphone le ultime notizie del nostro sito, attraverso questo codice QR Pagina 2 MoCa (re)Press Gennaio 2017 Una serie al giorno … Sono sempre stata una patita di serie tv, sin dai tempi de“La casa nella prateria” e de “I Jefferson” (stereotipi americani a gogo!) che mi hanno accompagnato durante l’infanzia, per poi passare a “Twin Peaks” ed ad “Ally McBeal”! Da appassionata sono rimasta felicemente sorpresa dell’evoluzione delle serie, che oggi sono scritte, dirette ed interpretate come dei piccoli capolavori cinematografici. Quest’anno mi aveva già molto colpito “The young Pope”, diretta da Sorrentino, ma era solo l’inizio di una ricca stagione, che non riguarda solo la programmazione di Sky, ma anche quella di Fox Life (ahimè, niente RAI o Mediaset) e che spazia dalla commedia agro-dolce familiare, alla serie sentimentale, a quella dal taglio poliziescogiudiziario. Impossibile recensirle tutte (ce n’è più di una al giorno!), ma almeno tre mi sento di consigliarle, a partire da quella che si è appena conclusa, ma che andrà in replica in versione maratona a breve, “The night of”. Miniserie di otto episodi, prodotta dalla Hbo, è stata creata, scritta e diretta dallo sceneggiatore di Schindler’s List Steve Zaillan e pensata, in realtà, per James Gandolfini (scomparso, purtroppo, nel 2013). La storia è quella giudiziaria di un giovane pakistano, accusato di omicidio e costretto a fare i conti col sistema penitenziario e con la Giustizia americana, difeso da un problematico e contraddittorio avvocato, impersonato in maniera sublime da John Turturro. Taglio da documentario, ambientazioni oscure e realistiche, fanno di questa serie l’avanguardia del poliziesco, in cui non è più la soluzione del caso l’apice della storia, ma il dubbio che si innesca nello spettatore e che lo lascia irrisolto e pensieroso. Di tutt’altro genere, finto familiare direi, This is us, in onda su Fox Life dopo oltre 20 milioni di visualizzazioni del trailer sui social! Vite che si intrecciano, con un minimo comun denominatore costituito dalla data di nascita dei protagonisti (la stessa) ed un sovrapporsi di emozioni, positive e negative, che ti coinvolgono e rilassano per tutto l’episodio, seppur con un leggero magone che nelle saghe familiari non guasta mai (come in quei meravigliosi film di Natale, dove famiglie assurde si riuniscono, all’insegna di chi ha il segreto più grosso da nascondere!). E poi, per ora, sto seguendo “Divorce”, che dopo 12 anni porta sul piccolo schermo Sara Jessica Parker (protagonista di un’altra serie culto) nei panni di una donna che nella separazione dal marito trova una motivazione per reinventarsi (o forse autodistruggersi … non l’ho ancora capito!). 8-10, al massimo 13, episodi per raccontare delle storie credibili, con un’ottima fotografia, delle interessanti colonne sonore, degli attori non scontati ed efficaci ed una regia spesso realista. Questi gli ingredienti di successo delle nuove serie tv, che consolano quelli come me che sempre più spesso devono rinunciare alle prime visioni cinematografiche! Giuseppina Volpe [email protected] Amarcord La vita viaggia ad una velocità impressionante e a volte neanche ce ne rendiamo conto. Come in una sorta di amarcord, in alcune circostanze, ti ritrovi a calcolare quanti anni sono passati da un dato evento attraverso una canzone e capisci che ne è passato davvero tanto perché l’ascoltavi col Walkman (attrezzo ormai andato in disuso) quando andavi al liceo. Oppure improvvisamente arriva un profumo che non aspetti e ti ricordi che lo metteva tutte le mattine la tua coinquilina e che in quei giorni ne eri quasi nauseata, e oggi, invece, ripensi a quei tempi e vorresti tanto abbracciarla perché non la vedi proprio da tanto. E la dimensione del tempo che passa è data anche da particolari apparentemente insignificanti, ma è necessario fermarsi un attimo. Improvvisamente arrivano, come in un vortice, una serie di piccoli particolari. Per allargare ulteriormente il campo dei ricordi basta farsi una chiacchierata con qualcuno, ed ecco subito servite peculiarità dimenticate, accompagnate da risate ma a volte anche da tanti pianti. Ho la fortuna, nonostante l’epoca social, di parlare ancora tanto con le persone. E quando lo faccio con quelle care mi piace scoprire anche le loro emozioni. A volte mi ritrovo a ridere come una pazza, ma tante volte mi ritrovo anche a commuovermi. Ecco, questo mi piace della mia socialità ancora reale. Sarò anche anacronistica, sarò anche desueta, ma non baratterò mai un abbraccio, una stretta di mano, una pacca sulla spalla o anche solo un semplice sguardo per niente. Come non potrei mai sbagliarmi su quel profumo di quella mia coinquilina, lo riconoscerei tra un milione, perché è suo, è nostro! Laura Bonavitacola [email protected] Pagina 3 MoCa (re)Press Gennaio 2017 Grazie Maria! Fatta la legge (passibile di notevoli miglioramenti, ma per ora ci accontentiamo almeno della sua esistenza!) sulle unioni civili, bisogna educare gli italiani. Sono in due a provarci, con risultati molto diversi: da un lato la regina dei troni, Maria De Filippi, dall’altro Raitre con il programma “Stato civile –L’amore è uguale per tutti”. Grande successo per la prima; attacchi, polemiche e insulti per il secondo. È la distanza incolmabile tra l’ideale e il reale, tra la favola e la quotidianità, tra il personaggio e la persona a generare una reazione diversa nel pubblico. Insomma la Maria nazionale crea un quadretto amoroso idilliaco, fatto di incontri, di sguardi, di qualche litigio ben congeniato, con protagonisti belli, aitanti, muscolosi. Il pubblico si lascia coinvolgere emotivamente e si auspica il lieto fine. E le preferenze sessuali non contano più, non vengono prese in considerazione, perché tanto è solo una favola, un mondo perfetto, ma inconsistente. “Stato civile” (andato in onda prima in seconda serata, e poi in replica durante le ultime festività subito dopo “Blob”, intorno alle 20:15) ha raccontato storie d’amore lunghe 10, 20, addirittura 52 anni, di coppie che hanno vissuto la loro quotidianità, nonostante i pregiudizi, l’assoluta mancanza di diritti, l’ottusità culturale che le ha circondate. Storie vere di gente comune che è riuscita a trovare la forza nel sentimento. Ma proprio perché hanno raccontato, senza recriminazione e risentimento, ma con dolcezza e leggerezza, il loro amore, ecco che una parte del pubblico sovrano ha pensato bene di lasciarsi andare a commenti per così dire poco educati sul programma. Così la TV pubblica, che finalmente fa qualcosa di pubblico, viene accusata di produrre spazzatura grazie all’estorsione del canone, e la De Filippi, che irretisce e inganna con le sue perfette e finte favole d’amore, ottiene tanto di plauso per la funzione civile che riesce a svolgere. Non ci resta che ringraziare Maria perché possiamo continuare a vivere nelle favole e rimanere lontani dalla realtà Marialuisa Giannone La fine del maggioritario Ormai è trascorso un mese da quando si è svolto il referendum costituzionale, che si è concluso in modo chiaro: una riforma pessima che è stata bocciata seccamente. Il dibattito si è immediatamente spostato sulla legge elettorale. Dando per scontato che l' “Italicum” verrà in buona parte dichiarato incostituzionale e visto che ormai nemmeno i redattori di questa legge elettorale se lo filano più, occorrerà riscriverne un’altra. E qui ricomincia un’epopea, quella delle leggi elettorali con componente maggioritaria più o meno marcata (“Mattarellum” o “Porcellum”). Facendo una panoramica all'estero, tra i paesi da cui abbiamo in passato preso spunto per le nostre leggi elettorali, emerge che molti paesi storicamente bipartitici, laddove ha avuto in passato senso una legge elettorale maggioritaria, ormai non sono più tali: sono emersi terzi (o persino più) poli che hanno spazzato via l'antecedente dualismo tra Conservatori e Progressisti. L'Italia, che tradizionalmente non è bipartitica, ha provato la strada del bipolarismo con un esito: due schieramenti con accozzaglie di partiti nel segno di un leader unificatore candidato premier. Ne sono scaturiti governi indecenti, comunque ricattabili da partiti minori, che hanno prodotto solo disastri. Ma il punto che occorre segnalare maggiormente è che si è sacrificata la “rappresentatività” (ovvero il diritto di ogni cittadino ad essere rappresentato da un parlamentare scelto con una preferenza) in nome della “governabilità” (ovvero garantire l'esistenza di un esecutivo ad ogni costo, al netto degli Scilipoti, dei Razzi, dei Verdini, degli Alfano etc.). Il dogma della “governabilità”, legata a doppio filo con le leggi elettorali di stampo maggioritario, ha prodotto deficit democratici: per garantirla si è ricorso a leggi elettorali che premiano in modo drastico il partito/coalizione che prende anche un solo voto in più; ma questo, nello scenario attuale, implica che con il 30% o meno dei voti si governi, grazie a dei bonus abnormi. Se volessimo attenerci cieca- [email protected] mente al dogma potremmo pensare persino di eliminare le libere elezioni e instaurare una dittatura, forma di governo stabilissima, de gustibus... È dunque d'obbligo chiedersi quanta “rappresentatività” siamo disposti a sacrificare in nome della “governabilità”, e quale legge elettorale dovremmo scrivere per il futuro del paese. Il sottoscritto, analizzando gli accadimenti politici dell'ultimo ventennio, auspica una legge elettorale con fortissima componente proporzionale e minima componente maggioritaria, che sacrifichi il minimo indispensabile di “rappresentatività” e conceda premi di maggioranza solo in caso di forte distacco di voti tra il partito/coalizione più votato e gli altri schieramenti. Il sostanziale ritorno al proporzionale, che qui propongo, potrà sembrare obsoleto, ma è quanto di più congeniale al quadro politico italiano e non solo, e mi sembra oggettivamente meglio del perseverare nell'attuale stato di cose per continuare a vedere i palazzi del potere completamente in mano a forze politiche che rappresentano a stento un terzo dei votanti, storpiando il volere del popolo, che può essere anche quello di non dare il mandato di governare a nessuno: è accaduto in altre nazioni senza che si siano abbattute piaghe bibliche su di esse. Adamo Gambone Pagina 4 MoCa (re)Press Gennaio 2017 La Narrativa… a cura di Luigi Capone Da Nusco alle Ande, Ciriaco sei grande Garibaldi l’eroe dei due mondi, Che Guevara il rivoluzionario comunista. Ciriaco De Mita il profeta della dottrina cattolica adattata al capitalismo sulle orme di Don Sturzo. Il pericolo comunista era in agguato in tutto l’occidente non ancora conquistato dal Patto Atlantico. La sua diffusione era così capillare che la voce arrivò persino in ogni singolo paese e frazione dell’entroterra dell’Italia meridionale, lì dove negli anni ’50 la lotta dipinta da Guareschi tra il sindaco comunista Peppone e il parroco democristiano Don Camillo era ridotta però a un’egemonia incontrastata del secondo. Secondo una famosa canzone di Gaber “Qualcuno era comunista perché era nato in Emilia”, invece da quelle parti “nessuno era comunista perché era nato in Irpinia”. Era l’epoca in cui veniva sconfitto Fiorentino Sullo e saliva al trono Ciriaco De Mita, e con lui Biagio Agnes diventava direttore della RAI, la P2 era viva e vegeta come non mai. Era l’epoca del divino Giulio, Belzebù, delle stragi e dei posti fissi. La spettacolare prima repubblica. Era un’altra era, era tutto più semplice e anche la gente era più vera. Si votava in maniera molto semplice, quasi automatica, “croce sopra a croce” e non ci pensavi più. Era l’epoca dei “comunisti drogati che facevano le orge” e qualcuno di loro aggiungeva “magari!”, perché da che mondo è mondo il comunista lavora tanto e tromba tanto poco (lo ricordava anche il grande Carlo Monni in una sua poesia). Era l’epoca in cui l’Italia era come il mio quartiere, dove la Democrazia Cristiana prendeva il 96% e il Partito Comunista il 4%, i tempi d’oro dell’Italia, anzi degli italiani che hanno vissuto in quegli anni. Era l’epoca dei comunisti che erano gli unici a rimanere disoccupati e qualcuno di loro di conseguenza finiva per entrare nella cerchia dei cosiddetti pazzi del paese, chiamati anche i “Mao Mao”, una tribù terrorista filo-cinese. Il Paese in questione era diviso in due parti come Berlino, la parte ovest, corrispondente con la cattedrale e le rovine del castello, era frequentata dai democristiani con passeggino, gelatino e maglioncino sulle spalle, abituati a giocare a carte davanti alla sezione della Democrazia Cristiana, poi del PPI, poi della Margherita, oggi del Pd (ma è vuota, la catena si è interrotta con il Pd). La parte est era invece piena zeppa di comunisti, iniziava con la sezione della sinistra giovanile che era uno stanzino buio di 10 metri quadrati e terminava con i giardinetti pubblici dove i filosovietici erano soliti fumare erba. Inutile aggiungere che anch’io stavo nei giardinetti (e che forse non ero nemmeno comunista ma tale mi ritenevano i democristiani e viceversa; nel dubbio stavo coi comunisti). Non fate come me! Votate DC sin dall’inizio che troverete lavoro nei dintorni del vostro quartiere senza dover emigrare. In quell’epoca si diceva anche che la marijuana fosse satanica, nel senso che potesse modificare l’animo umano facendolo tendere al maligno. Anche a bere, nei bar bevevano solo i comunisti. I democristiani invece, con il loro stipendio ricco, ogni sabato sera andavano nei night club sulla litoranea a bruciare soldi appresso a quattro ballerine che non gliela davano neanche, lasciando le mogli a casa davanti alla tv. Commoventi le militanze di intellettuali ingombranti in tutti i sensi come Giuliano Ferrara con Lotta Continua e di Giovanni Lindo Ferretti punk comunista leader dei CCCP – Fedeli alla linea armato sulle barricate durante la rivoluzione portoghese, entrambi poi fonda- tori della lista conservatrice cattolica “Aborto No Grazie”. Oggi il primo scrive sul Foglio, il secondo sull’Avvenire. Tanti sono quelli che ricordiamo che hanno cambiato casacca e identità ma nessuno si ricorda di Paolo Gentiloni, un comunista anonimo di cui mai nessuno aveva sentito parlare fino a quando non è diventato fiorellino e centrista, quindi ministro e quindi Presidente del Consiglio dei Ministri dopo le finte dimissioni di Matteo Renzi, il boy scout di Licio Gelli. Nessuno si ricordava nemmeno della militanza comunista di Vincenzo De Luca, messo in quarta fila nelle poche foto in bianco e nero dell’epoca reperibili su internet, uno che ha meritato l’appellativo di “sceriffo”, eternamente indagato, saldamente ancorato a quella scrivania dalla quale parla, appare composto sulla sua emittente privata locale scatenando la fantasia dei telespettatori, per cui è facile paragonarlo a un personaggio immaginario a metà strada tra Il Padrino e Totò della Banda degli onesti. I fascisti invece, semplicemente non c’erano (quelli sono venuti prima e dopo) oppure si nascondevano bene. Almeno in Paese, bastava nominare le teorie centriste popolariste di Don Sturzo per eliminare comunisti e fascisti in un colpo solo. O forse i fascisti sono questi che abbiamo nominato finora ma ci hanno preso per il culo talmente bene che non ce ne siamo accorti. Sì, perché, in tutti questi anni, ci hanno convinti del fatto che la dittatura possa essere solo di estrema destra o di estrema sinistra, mai di estremo centro. [email protected] Classifica Libri 1.La paranza dei bambini di Roberto Saviano € 18.50 2.L’arte di essere fragili di Alessandro D’Avenia € 19.00 3.Il labirinto degli Spiriti di Carlos Ruiz Zafon € 23.00 4.La ragazza del treno di Paula Hawkins € 19.50 5.Harry Potter e le maledizioni dell’erede di J. K. Rowling € 19.80 6.La dieta della longevità di Valter Longo € 15.90 7.Diario di una Schiappa di Jeff Kinney € 13.00 8.Pane di Maurizio De Giovanni € 19.00 9.Miss Peregrine la casa dei ragazzi speciali di Ransom Riggs € 18.00 10.L'amica geniale di Elena Ferrante € 18.00 Fonte: http://www.lafeltrinelli.it/fcom/it/home/pages/catalogo/libri/classifica-libri.html “La presente pubblicazione non rappresenta una testata giornalistica in quanto viene pubblicata senza alcuna periodicità. Non può pertanto considerarsi un prodotto editoriale ai sensi della legge n°62 del 7-3-2001” MoCa (re)Press Gennaio 2017 Pagina 5 Nihil sub sole novum! “I giornali e i tg sono i primi fabbricatori di notizie false nel Paese con lo scopo di far mantenere il potere a chi lo detiene. Sono le loro notizie che devono essere controllate. Propongo non un tribunale governativo, ma una giuria popolare che determini la veridicità delle notizie pubblicate dai media. Cittadini scelti a sorte a cui vengono sottoposti gli articoli dei giornali e i servizi dei telegiornali. Se una notizia viene dichiarata falsa il direttore della testata, a capo chino, deve fare pubbliche scuse e riportare la versione corretta dandole la massima evidenza in apertura del telegiornale o in prima pagina se cartaceo”. È l'ultima geniale trovata di Beppe Grillo, la prima di questo nuovo anno, (giusto per ricordare ai più ottimisti che a cambiare sono solo i calendari!), che “tuona” direttamente dalle colonne del suo blog. Un'entrata, l'ennesima, a gamba tesa sul sistema di informazione italiana, rea, a suo dire, di essere fabbricatrice consapevole di notizie false. Nihil sub sole novum! È un’accusa non giustificabile anche perché non giustificata. Difficile capire se Grillo la pensi davvero così, o sia solo l'ennesima becera provocazione, un “distrattore” retoricamente ben costruito, considerato il momento non proprio roseo del movimento di cui è capo indiscusso. Certo è invece che a pensarla così sul sistema di informazione è la maggior parte di chi frequenta il suo sito e probabilmente una fetta consistente dell'elettorato a cinque stelle. Rispondono un po' tutti, risponde, per esempio, Enrico Mentana, invitando Grillo a cercarsi un avvocato, minacciando dunque querela, salvo poi, dietro una correzione di tiro dello stesso Grillo, o chi per esso, far svanire la minaccia. Abbiamo scherzato insomma! E risponde Mario Calabresi, direttore di Repubblica, tramite editoriale: “Sarebbe sbagliato orchestrare una difesa d’ufficio del giornalismo italiano, senza dubbio non esente da pecche e peccati, ma nel dibattito sui falsi che circolano in rete non siamo noi i colpevoli. La prima responsabilità ricade infatti su chi da anni predica l’inutilità di esperienza e competenza, per cui chiunque può concionare su vaccini, scie chimiche, chemioterapia o cellule staminali con la pretesa di avere in tasca una verità popolare, da nulla suffragata se non da un sentimento di massa”. E così quello che poteva essere un vero, duro confronto sull’informazione italiana si riduce a una partita, con tifosi moderati e capi ultras, una vana contrapposizione utile solo a convincere i già-convinti propri sostenitori. Di altamente inquietante rimane comunque quel richiamo all'indistinto “tribunale del popolo”, immaginato come quella folla acclamante, esaltata, aizzata ad arte... che alla fine sceglie sempre Barabba. Angela Ziviello [email protected] La Meningite, il gioco di chi? Come tutti sappiamo, l’allarme meningite sta invadendo tutto lo stivale. Tra le regioni più “bombardate”, la Toscana dove i casi di meningite conosciuti non sono certo recenti, alcuni risalgono a un anno fa. Si è diffusa una psicosi generale che non lascia scampo. È da considerarsi un’epidemia? Oppure è solo un modo per “pubblicizzare” vaccini che mettano nelle tasche del paese nuovi soldi? È solo terrorismo psicologico o verità assoluta? I media sguazzano gioiosamente in questi mari battendosi tra l’allarmismo e le rassicurazioni. Poi ci sono gli articoli di chiarimento e quelli “pubblicitari”. Non per offendere, anzi; ma ho poco gradito la medaglia d’oro Bebe Vio e tutta la sua famiglia ritratti in foto mentre si tenevano l’ovatta sul braccio dopo aver fatto il vaccino. Da lì si passa alla strumentalizzazione dei partiti politici che fanno partite di ping pong fra chi sostiene i vaccini e chi punta il dito contro il presunto allarmismo. Ma si sa, tutto in Italia diventa politica. E così, tra un malato e l’altro, i media, insieme ai politici e ai mercenari della salute, ci mangiano su. Una gran delusione, come per tutte le malattie che da decenni spuntano abitualmente e poi, come per magia, scompaiono. E non si sa neppure come. Vaccinarsi o no? Epidemia o no? Questo il dilemma. Per qualcosa di così importante come la salute, i giochetti di politici/media/mercenari andrebbero tolti di mezzo. Il Ministero della Salute dovrebbe (che brutto usare il condizionale per questi argomenti) zittire qualunque voce e chiarire la situazione, in seguito definire un piano di intervento. Ma qui, in Italia, si pensa a fare i giochetti: trasmettere servizi al tg che terrorizzano (anche sull’influenza, non dimentichiamolo) seguiti da famiglie sorridenti che si vaccinano e, infine, da politici che rinnegano il vaccino dicendo che è tutto ingigantito. A chi credere? Continuo, anzi, continuiamo a farci domande. Ma risposte concrete fatte di piani di azione dello Stato non ne arrivano. Del resto, lo Stato è troppo impegnato a fare il gioco delle sedie, cosa gliene può interessare dell’allarme meningite? Rita Mola [email protected]