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La terapia cognitiva in psicosomatica: una proposta di intervento per la sindrome fibromialgica Benedetta Vicino*, Rita Bianca Ardito*, Annunziata Romeo*,**, Riccardo Torta**,***, Lorys Castelli*,** La mente esiste per il corpo: è impegnata nel raccontare la storia dei molteplici eventi che interessano il corpo, e si serve di quella storia per ottimizzare la vita dell’organismo nel suo complesso. [...] La mente del cervello – alimentata dal corpo e al corpo attenta – è utile al corpo nel suo complesso. Antonio Damasio, Alla ricerca di Spinoza, p. 247 Introduzione La psicosomatica (Porcelli, 2009; Grandi et al., 2011), intesa come studio dell’interazione mente-corpo, è un campo affascinante e complesso che spinge tutti noi, anche all’interno della pratica clinica, a confrontarci con i limiti dei paradigmi consolidati e invita a uno sforzo integrativo e costruttivo in continuo divenire. La ricerca scientifica sull’interazione biologia-psicologia fornisce risultati sorprendenti che hanno ricadute importantissime nella pratica clinica evidenziando come «la linea di demarcazione tra fattori biologici e fattori psicologici appartenga più alla nostra limitata possibilità di comprendere i fenomeni complessi con le macro-categorie dualistiche di mente e corpo che alla realtà dei fenomeni stessi» (Porcelli, 2012, p. 370). Per quanto riguarda l’efficacia delle psicoterapie in psicosomatica, la maggior parte delle revisioni sistematiche (Kroenke e Swindle, 2000; Henningsen et al., 2007) degli studi controllati randomizzati riguarda la terapia cognitiva e cognitivo-comportamentale (CBT): esse risultano “efficaci” o “probabilmente efficaci” nel trattamento dei sintomi somatici legati a molte sindromi riconducibili ai “Medically Unexplained Symptoms” (sintomi somatici cronici in assenza di cause organiche note in grado di spiegarli: per es. sindrome dell’intestino irritabile, sindrome da fatica cronica, * Centro di Scienza Cognitiva, Dipartimento di Psicologia, Università di Torino, rita.ardito @unito.it ** Struttura di Psicologia Clinica e Oncologica, Città della Salute e della Scienza, Torino. *** Dipartimento di Neuroscienze “Rita Levi Montalcini”, Università di Torino. Quaderni di Psicoterapia Cognitiva, n. 38/2016 16 La terapia cognitiva in psicosomatica: una proposta di intervento per la sindrome fibromialgica cefalea tensiva, dolore lombare e fibromialgia), mentre l’efficacia sul versante psicologico e funzionale di queste sindromi (ansia e depressione) è limitata ad alcune di esse (Kroenke e Swindle, 2000). In un lavoro di sintesi dei risultati di review sistematiche e metanalisi sono riportate evidenze “forti” della CBT per la sindrome da fatica cronica, cefalea tensiva, dolore cronico lombare e “moderate” per fibromialgia e sindrome dell’intestino irritabile (Henningsen et al., 2007). L’efficacia della terapia cognitivo-comportamentale nel trattamento della fibromialgia è sostenuta da recenti review su studi controllati randomizzati (Bernardy et al., 2010, 2013); tuttavia non mancano pareri più cauti che sottolineano alcune limitazioni (van Koulil et al., 2007). Linee guida nazionali e internazionali sul trattamento della fibromialgia raccomandano fortemente la terapia cognitivo-comportamentale, soprattutto se combinata con l’esercizio aerobico (Köllner et al., 2012; Ablin et al., 2013). L’obiettivo del nostro lavoro è presentare alcune indicazioni operative che possono essere usate dal terapeuta cognitivo per orientarsi rispetto al trattamento psicoterapeutico breve di pazienti affetti da fibromialgia, una patologia reumatologica caratterizzata da dolore cronico e da una costellazione di sintomi addizionali in assenza di alterazioni organiche in grado di spiegare tali sintomi. La cornice teorico-epistemologica di riferimento è quella del cognitivismo costruttivista (Guidano, 1988, 1992; Bara, 2005) integrato con l’approccio mindfulness della “terza onda” della psicoterapia cognitiva (Segal et al., 2013; Harris, 2014). Inoltre abbiamo utilizzato come riferimento un modello di trattamento cognitivo appositamente studiato per il trattamento delle somatizzazioni e della fibromialgia (Allen e Woolfolk, 2006; Woolfolk et al., 2012). Che cos’è la fibromialgia? La fibromialgia è una sindrome somatica funzionale caratterizzata da dolore muscolo-scheletrico diffuso, rigidità muscolare, disturbi del sonno, affaticabilità; non è rara la comorbilità con disturbi d’ansia e dell’umore (Mease, 2005). Sono stati documentati anche una serie di disturbi neuropsicologici riguardanti memoria, attenzione e funzioni esecutive (Tesio et al., 2015). Il decorso della malattia tende a essere cronico (Baumgartner et al., 2002). La prevalenza di questa patologia è di circa il 3-6% della popolazione (WHO, 2008) con un’elevata predominanza nel sesso femminile. Per quanto riguarda il trattamento della fibromialgia sono disponibili una serie di terapie farmacologiche (anche farmaci psicoattivi, in particolare 17 Benedetta Vicino et al. antidepressivi) e non farmacologiche (esercizio fisico, psicoterapia); queste ultime sembrano fornire risultati incoraggianti, specialmente se combinate all’interno di un programma multidisciplinare individualizzato (Casale et al., 2008). Benché l’eziologia sia ancora poco chiara, s’ipotizza che possano essere implicati diversi fattori di origine biologica, psicologica e ambientale. In particolare, eventi traumatici ripetuti potrebbero influire sulla vulnerabilità del soggetto e modulare la sintomatologia andando ad alterare la funzionalità del sistema di risposta allo stress (Imbierowicz e Egle, 2003). Nelle storie evolutive dei pazienti fibromialgici, infatti, similmente a quanto riscontrato nei pazienti con disturbo da dolore somatoforme, troviamo con più frequenza esperienze traumatiche rispetto a quelle rilevate in un gruppo di controllo con dolore organico (Imbierowicz e Egle, 2003). Non solo abusi fisici e sessuali, ma anche relazioni con i genitori povere dal punto di vista affettivo e dipendenza da sostanze nella madre (Imbierowicz e Egle, 2003). L’ipotesi di un disturbo traumatico dello sviluppo (Van der Kolk, 2005) o di disturbo da stress post-traumatico complesso (PTSD complesso) (Herman, 1992) sembra dunque plausibile almeno per un consistente sottogruppo di pazienti fibromialgici. Un altro aspetto che suggerisce un legame tra disturbo da stress posttraumatico complesso e fibromialgia è la possibile presenza, in questi pazienti, della sintomatologia tipica legata al PTSD complesso (tra cui ritroviamo somatizzazione, disregolazione affettiva e dissociazione). La ricerca sulla disregolazione affettiva nella fibromialgia si sta concentrando infatti sul costrutto di alessitimia (Castelli et al., 2012): l’alta prevalenza di alessitimia nei pazienti fibromialgici (20-25%) (Di Tella e Castelli, 2013; Di Tella et al., 2015) e l’ipotesi che lega tale deficit di regolazione affettiva con i disturbi psicosomatici (Kano e Fukudo, 2013) suggeriscono che essa possa avere un ruolo importante nella comprensione di questa patologia. La relazione tra fibromialgia e dissociazione è stata invece indagata da alcune recenti ricerche (Leavitt e Katz, 2003; Naring et al., 2007). In particolare Leavitt e Katz (2003) rilevano che in circa il 30% dei pazienti fibromialgici la dimensione dissociativa (misurata con la Dissociative Experiences Scale) risulta significativamente presente. Recentemente è cresciuta inoltre l’attenzione sulla relazione tra dolore cronico e attaccamento (Leithner-Dziubas et al., 2010; Schroeter et al., 2015). Non siamo invece a conoscenza di studi che hanno indagato lo stato della mente rispetto all’attaccamento in pazienti fibromialgici attraverso la Adult Attachment Interview (George et al., 1985). Il modello proposto da Van Houdenhove e Egle (2004) concettualizza la 18 La terapia cognitiva in psicosomatica: una proposta di intervento per la sindrome fibromialgica fibromialgia come un disturbo da stress in ottica biopsicosociale integrando i risultati di numerose ricerche psicologiche e neurofisiologiche. Gli autori prendono in considerazione una serie di fattori predisponenti (suscettibilità genetica allo stress, trascuratezza emotiva/abuso nell’infanzia, attaccamento, caratteristiche di personalità), precipitanti (eventi critici di vita, infezioni/lesioni) e di mantenimento (depressione, ansia, fattori cognitivi e comportamento di malattia) che può essere un valido riferimento per un approccio terapeutico individualizzato. Il concetto di stress rappresenta inoltre una spiegazione non stigmatizzante e accettabile da condividere con il paziente (Van Houdenhove e Egle, 2004). Una proposta di intervento per la sindrome fibromialgica L’esigenza di un modello di psicoterapia breve per pazienti con fibromialgia nasce all’interno dell’ospedale Molinette di Torino, dove nel 2012 è stato inaugurato il primo servizio piemontese dedicato a questa patologia. Dalla collaborazione tra i reparti di Reumatologia e quello di Psicologia Clinica e Oncologica è nata la possibilità, per i pazienti, di ricevere una valutazione, una diagnosi e un percorso terapeutico che coniuga psicofarmacoterapia, psicoterapia e terapia reumatologica. L’intervento descritto è il frutto di un lavoro di esplorazione e sperimentazione che, a partire dalle linee guida e dalle revisioni presenti in letteratura, ha permesso di adattare al contesto di lavoro in cui operiamo il trattamento e l’approccio utilizzati. Il percorso terapeutico breve, delineato in questo paragrafo, ha lo scopo di fornire alcune traiettorie di massima del lavoro con pazienti fibromialgici. Non si tratta di un protocollo da riprodurre ma di una traccia che fornisce un riferimento: i contenuti e le modalità dovranno essere adattati e pensati in base alle caratteristiche personali del paziente e al peso dei fattori psicologici implicati (personalità, aspettative, risorse). Il percorso che verrà descritto si snoda in tre fasi per una durata complessiva di 16 sedute: generalmente la prima e la terza fase sono più brevi (circa 4 sedute ognuna) mentre quella centrale ne richiede circa 8. In generale, per quanto riguarda la strategia terapeutica un aspetto di fondamentale importanza riguarda la modulazione della relazione terapeutapaziente: a questo riguardo può risultare utile il modello sui Sistemi Motivazioni Interpersonali di Giovanni Liotti (Liotti, 2005). L’attivazione del Sistema Motivazionale Cooperativo all’interno della relazione terapeutica è funzionale ad un aumento delle capacità metacognitive (Liotti e Gilbert, 2011), più controversi sono invece i pareri riguardanti l’attivazione 19 Benedetta Vicino et al. del Sistema Attaccamento-Accudimento all’interno della relazione terapeutica. A questo riguardo ci sono alcune considerazioni importanti: trattandosi di pazienti che hanno spesso una storia di abuso è necessario essere molto cauti poiché l’attivazione del sistema dell’attaccamento potrebbe essere di per sé fonte di dissociazione per la persona (Liotti e Farina, 2011). D’altra parte la struttura stessa della terapia porta con sé una certa “dose” di attaccamento-accudimento: il paziente, bisognoso di aiuto, si rivolge a un esperto nella speranza che possa fornirglielo. Crediamo che un’attenta e dosata attivazione del sistema di Attaccamento non sia necessariamente da evitare, anche perché può essere strategicamente utilizzata dal terapeuta per favorire un’esperienza relazionale correttiva (Semerari, 2006), tanto più necessaria in quei pazienti che hanno avuto storie traumatiche. Una relazione terapeutica che fa sentire il paziente accolto, riconosciuto e rispettato diventa una “base sicura” da cui partire per esplorare in assetto collaborativo ciò che fa paura, che fa soffrire: l’inesplorato o inesplorabile mondo emotivo. All’interno della relazione anche il terapeuta entra in gioco con la propria soggettività, i propri schemi cognitivi e affettivi (Ardito e Rabellino, 2011). L’esperienza di tutti i pazienti risuona in noi, toccando corde talvolta inaspettate. Essere consapevoli del nostro atteggiamento nei confronti del dolore è un buon punto di partenza quando ci accingiamo a lavorare con i pazienti fibromialgici. Possiamo dunque domandarci, soprattutto quando il paziente manifesta una forma severa di fibromialgia: “Quali emozioni provo di fronte a una persona che sembra condannata a vivere in compagnia del dolore per il resto dei suoi giorni?”. Fase 1: costruzione dell’alleanza terapeutica La prima fase della terapia (indicativamente le prime 4-5 sedute) sono dedicate a porre le basi per la costruzione di un’alleanza terapeutica: si cerca quindi di presentare al paziente una lettura in termini biopsicosociali della fibromialgia e arrivare a una condivisione di obiettivi e modalità di lavoro. Nel fare questo è fondamentale validare le difficoltà e il dolore del paziente per evitare qualunque interpretazione che riduca “psicologico” a “immaginario”, come accade che questi pazienti si sentano dire da persone esterne. È importante condividere e stimolare nel paziente fin dall’inizio un’attenzione non giudicante e di curiosa apertura verso se stesso e il proprio sentire. Ecco un esempio che aiuta a capire la fondamentale importanza del non giudizio. Una paziente di 60 anni, durante la 5^ seduta, racconta di un episodio del passato in cui era stata trattata male dal marito; commenta dicen20 La terapia cognitiva in psicosomatica: una proposta di intervento per la sindrome fibromialgica do “che stupida sono stata a farmi trattare così!”. La terapeuta fa notare il giudizio negativo e invita a “sospendere il giudizio” e tornare sull’episodio dal punto di vista emotivo. Emerge allora lo stato d’animo provato dalla donna in quel momento: il sentirsi umiliata. La sospensione del giudizio ha dunque reso possibile l’accesso allo stato emotivo e quindi la successiva analisi ed elaborazione avvenuta in seduta. Alcuni concetti di base dell’atteggiamento mindfulness possono essere introdotti già in questa fase: in particolare discutere la differenza tra dolore e sofferenza può essere particolarmente utile per porre l’attenzione sulle modalità cognitive ed emotive con cui il paziente fibromialgico risponde alle sensazioni di dolore fisico e porre le basi per un avvicinamento al mondo emotivo. «L’uomo ordinario quando viene toccato da una sensazione dolorosa soffre, si affligge, si lamenta, piange battendosi il petto, entra in uno stato di grande confusione. Egli sperimenta due tipi di sensazione: una corporea e una mentale. È come se [...] un uomo fosse colpito da una freccia e subito dopo fosse colpito da un’altra freccia, così che egli [...] percepirebbe i dolori di due frecce… Percependo quella sensazione dolorosa, quell’uomo prova avversione verso di essa. Provando avversione nei confronti della sensazione dolorosa, in lui la tendenza latente all’avversione nei confronti della sensazione dolorosa si accresce» (Buddha, Discorso della Freccia). Il dolore e la sofferenza rappresentano due distinte frecce che colpiscono e fanno soffrire: la prima è legata al dolore “in sé”, la seconda alle valutazioni e i significati di cui rivestiamo l’esperienza di dolore. Se nei confronti della prima possiamo fare poco, nei confronti della seconda abbiamo ampio margine di azione. In questa fase è anche importante fornire e discutere con il paziente alcuni aspetti psicoeducativi riguardanti l’igiene del sonno, la gestione delle pause e del riposo e alcune strategie comportamentali che possono essere di aiuto (per esempio l’attività fisica leggera). Fase 2: avvicinamento al mondo emotivo Questa fase rappresenta il cuore dell’intervento psicoterapeutico. L’obiettivo è quello di avvicinare la persona al proprio mondo emotivo, promuovendo un atteggiamento curioso di autosservazione e di accettazione dei propri stati interni. Per fare questo è utile proporre alcune tecniche di autosservazione e guidare il paziente nel loro utilizzo in seduta e poi all’e21 Benedetta Vicino et al. sterno. La classica tecnica cognitiva ABC o la più sofisticata Moviola di Vittorio Guidano (1988, 1992) permettono di esplorare e connettere pensieri, emozioni, sensazioni corporee e comportamenti legati al disagio e allo stress del paziente. In questo modo è possibile sviluppare le abilità di identificare e discriminare gli stati interni in modo tale da favorire la consapevolezza e l’integrazione necessarie a regolarli in modo maggiormente funzionale. Con ogni emozione si lavora cercando di favorire l’integrazione tra emotions (componente biologica dell’emozione, che si manifesta nella scena del corpo) e feelings (componente psicologica, che si manifesta nella scena della mente), per attribuire ad esse senso e significato (Damasio, 2003; Porcelli, 2012). Dal punto di vista pratico può essere utile usare il disegno e il colore, strumenti molto utili da affiancare alle parole lavorando sulla consapevolezza emotiva e corporea. È auspicabile, quando possibile, che in questa fase il paziente possa incontrare e accogliere le parti fragili, deboli, bisognose di sé, iniziando a prendersene cura invece di negarle, rifiutarle, criticarle. Fase 3: verso il benessere personale Nella fase finale della terapia è necessario volgere lo sguardo al futuro e alle ricadute concrete che il percorso terapeutico può avere nella vita del paziente. Per questo motivo è necessario favorire l’assunzione di un ruolo attivo che sia orientato alla mobilitazione attiva delle proprie risorse da parte del paziente. Quali sono le risorse personali che non sono state riconosciute e valorizzate? Quali sono i valori importanti per il paziente? Quali azione concrete e orientate rispetto ai valori personali è possibile mettere in pratica nella quotidianità in modo da promuovere autoefficacia e benessere? In questa fase si può utilizzare la scheda “La bussola della vita” proposta da Harris in Fare ACT (2014) che permette di fare un’analisi dettagliata dei valori significativi per la persona e di eventuali discrepanze tra valori e azioni concrete. La chiusura della terapia è generalmente delicata: i pazienti riportano spesso la difficoltà nell’interrompere un percorso che vivono come proficuo. In questi casi è bene restituire loro il valore del percorso, seppur breve, che è stato portato a termine e la possibilità di continuare a lavorare su di sé utilizzando le competenze maturate. Nel prossimo paragrafo, per esemplificare il trattamento proposto e il suo dispiegarsi attraverso le tre fasi delineate in precedenza, viene presen22 La terapia cognitiva in psicosomatica: una proposta di intervento per la sindrome fibromialgica tato un breve caso clinico seguito in psicoterapia da uno degli autori del presente articolo (BV). Caso clinico: Anna Anna è una signora di 70 anni, in pensione, che mi dà subito l’impressione di racchiudere forza e determinazione in un corpo dolorante e affaticato. È nata nel Sud Italia, ed è cresciuta in un contesto familiare che sembra caotico, povero dal punto di vista economico e trascurante dal punto di vista affettivo. A 3 anni si trasferisce in Piemonte con mamma e papà; dopo la nascita del fratello arriva un altro trasferimento e l’inizio della scuola in un collegio. In questo periodo i genitori lavorano uno di giorno e l’altro di notte come operai, cercando di sbarcare il lunario. A 13 anni la mamma comunica ad Anna che suo padre non è il padre biologico e che quest’ultimo è in carcere per omicidio nel suo paese d’origine. Dopo questo episodio non si parlerà più in casa di questo. Nello stesso periodo Anna e il fratello si trasferiscono con la mamma in una casa popolare, senza il padre poiché la relazione tra i due finisce. Anna inizia a lavorare come operaia e si sposa a 19 anni con un uomo da cui ha avuto due figli. La separazione avviene dopo oltre 20 anni di matrimonio, per volere di lui, che da tempo aveva relazioni extraconiugali di cui Anna era al corrente. È stata in terapia psicoanalitica per diversi anni, prima della separazione dal marito: di questo percorso racconta l’utilità nel comprendere che il marito non fosse l’uomo giusto per lei. Soffre di dolori alla schiena da quando aveva 13 anni. Negli ultimi 3-4 anni i dolori sono così forti, che in alcuni periodi Anna non riesce a camminare. Fase 1 Anna manifesta subito il bisogno di fare chiarezza nella sua storia, che spesso la tormenta con quelle che lei chiama “paturnie”, un rimuginio dal quale fa fatica a uscire e che sfocia in frustrazione, impotenza, rabbia. Decido di rispondere a questa richiesta, seguendola nel racconto di alcuni episodi significativi, con l’obiettivo di co-costruire una narrativa che dia maggiormente senso e significato alla sua storia, connettendola con la sua identità e il suo malessere. 23 Benedetta Vicino et al. Emerge il vissuto di abbandono e il desiderio di fare luce, ritrovare il padre biologico e ritrovarsi: da ragazzina immaginava la sua comparsa dalla porta; da adulta pianifica una ricerca che poi non riesce a mettere in pratica. Nell’avvicinarsi all’esperienza di Anna bambina cerco di dare voce e cuore alla parte emotiva, scarsamente riconosciuta nel contesto di attaccamento-accudimento in cui è cresciuta, pur evitando di esplorare le memorie traumatiche. Durante la quarta seduta mi racconta di essere stata nella chiesa del collegio in cui è stata da bambina. La visita ha suscitato in lei commozione e liberazione. Emerge il desiderio di essere felice e l’impossibilità di rivolgere verso se stessa quella tenerezza che probabilmente non ha ricevuto da bambina: “devo essere dura!” ripete spesso Anna. Lavoriamo quindi sulla sua autocritica, cercando di ammorbidirla e favorire gradualmente un prendersi cura di sé e delle proprie parti fragili. Fase 2 Nelle sedute successive diamo spazio alle emozioni faticose della quotidianità di Anna, spesso legate ai lutti e alle perdite che ha dovuto affrontare negli anni. Anna fa fatica a mettere in sequenza alcuni episodi importanti della sua vita e quindi costruiamo una linea del tempo su cui piazzare gli eventi e analizzare le relazioni temporali. Parallelamente creiamo una linea del dolore, per ricostruire l’andamento del suo malessere fisico e cercare di metterlo in relazione con gli eventi di vita. Nel fare questo la porto a notare che l’inizio del dolore alla schiena (13 anni) sembra coincidere con il periodo in cui la mamma le comunica che il suo padre biologico non è l’uomo con cui ha vissuto fino a quel momento, ma è in carcere per omicidio. All’età di 65 anni, in concomitanza con la morte della madre e di altri familiari, c’è un periodo in cui il dolore aumenta molto raggiungendo il livello più alto mai sperimentato. Esploriamo inoltre le relazioni attuali di Anna con i figli e i nipoti, relazioni nelle quali si sente sola, abbandonata, arrabbiata. Per favorire il contatto con l’emozione della rabbia e l’esplorazione delle sensazioni collegate propongo di disegnare la rabbia nel corpo rappresentandola sul foglio all’interno di una sagoma stilizzata. Per la prima volta Anna si permette di piangere (dodicesima seduta). 24 La terapia cognitiva in psicosomatica: una proposta di intervento per la sindrome fibromialgica Fase 3 Ci rivediamo dopo un mese a causa della pausa estiva: la nuova terapia farmacologica (antidepressivo e ansiolitico) sta andando bene e, nonostante le tensioni in famiglia, Anna si è dedicata di più a se stessa, ascoltando i suoi desideri e bisogni e dedicandosi ad attività piacevoli. Riesce anche a parlare con la figlia, comunicandole il suo sentirsi abbandonata, senza aggredirla, con “il cuore che si apriva” e un senso di libertà. Nella fase finale della terapia Anna manifesta insofferenza per la chiusura, che vede come “forzata”, e la paura di “tornare come prima”. Cerco di restituirle pienamente il valore e la ricchezza del lavoro fatto insieme: le propongo di riempire un trolley con tutto quello che si porta via. Fig. 1 – Ciò che Anna si porta via dopo aver concluso la terapia Durante l’ultima seduta mi trovo a gestire una situazione relazionale difficile, Anna si sente abbandonata da me. Cerco di offrirle un contenimento che renda gestibile la separazione: ci accordiamo sul fatto che verrà inserita nuovamente in lista d’attesa e che potrà cercarmi telefonicamente se e quando lo riterrà opportuno. Questo la tranquillizza un po’ e la fa sentire “meno abbandonata”. Il suo saluto è un abbraccio che arriva senza che io possa riflettere sulla reazione più opportuna. 25 Benedetta Vicino et al. Discussione e conclusioni Il percorso di terapia cognitiva breve descritto rappresenta un’opportunità di avvicinamento alla psicoterapia, applicabile nel servizio pubblico e estendibile a quei pazienti che difficilmente avrebbero accesso (dal punto di vista economico e culturale) a questa possibilità. Esso permette di individuare e intervenire su alcuni dei fattori psicologici che risultano essere rilevanti per lo specifico paziente, con l’obiettivo di migliorare il funzionamento globale e la qualità della vita della persona. Il problema infatti non è capire la causa della fibromialgia, «né se tale patologia è da considerarsi psicosomatica o meno [...]; il vero problema è il peso relativo dei fattori implicati, da cui deriva anche la possibilità di intervenire in modo differenziato e individualizzato» (Porcelli, 2012, p. 363). Le tre fasi dell’intervento permettono di lavorare sui principali aspetti emotivi e relazionali che risultano cruciali all’interno della cornice epistemologica e eziopatogenetica presa in considerazione: la costruzione e il mantenimento di una buona alleanza terapeutica, il lavoro sulle emozioni e le sensazioni corporee con l’obiettivo di favorire la regolazione emotiva, il lavoro sul dolore per migliorarne la gestione e infine lo sviluppo delle risorse personali. L’intervento proposto presenta tuttavia alcuni limiti. In primo luogo è necessario ricordare che, alla luce delle considerazioni eziopatogenetiche e cliniche precedenti, un trattamento psicoterapeutico breve non sia sufficiente per elaborare le esperienze traumatiche e che solo un percorso di lunga durata e phase-oriented permetta di lavorare in modo efficace sull’integrazione (Liotti e Farina, 2011; Van der Hart et al., 2011). Particolare cautela va posta nei confronti delle memorie traumatiche che possono emergere durante i colloqui: per evitare una ri-traumatizzazione è necessario, all’interno di un percorso breve come questo, non “entrare” nelle memorie traumatiche ma, con delicatezza, accompagnare il paziente verso l’analisi dei meccanismi attuali implicati nel disturbo. In secondo luogo sarà necessario verificare l’efficacia dell’intervento adottando misure standardizzate in un congruo numero di pazienti: auspichiamo che questo possa essere uno degli sviluppi futuri. Infine, considerando le ampie sovrapposizioni e affinità esistenti tra fibromialgia e altre sindromi funzionali come la sindrome da fatica cronica e quella dell’intestino irritabile (Van Houdenhove e Egle, 2004) ci auguriamo che il presente lavoro possa rappresentare la base da cui partire per sviluppare un modello di trattamento ampliabile ad altre aree della psicosomatica. 26 La terapia cognitiva in psicosomatica: una proposta di intervento per la sindrome fibromialgica Si ringrazia il dott. Enrico Fusaro della Città della Salute e della Scienza di Torino (Reumatologia) per la sua preziosa collaborazione. Il lavoro si è avvalso dei fondi stanziati dall’Università di Torino (Ricerca scientifica finanziata dall’Università a Rita B. Ardito e Lorys Castelli per la Linea Generale e la Linea Giovani). Lorys Castelli ha inoltre usufruito dei fondi stanziati dalla Fondazione CRT. Riassunto La fibromialgia è una sindrome somatica funzionale caratterizzata da dolore muscoloscheletrico diffuso, rigidità muscolare, disturbi del sonno, affaticabilità; non è rara la comorbilità con disturbi d’ansia e dell’umore; il suo decorso tende a essere cronico. Benché l’eziologia sia ancora poco chiara, si ipotizza che possano essere implicati diversi fattori di origine biologica, psicologica e ambientale. Un intervento psicoterapeutico breve può permettere di individuare e intervenire su alcuni dei fattori psicologici che risultano essere rilevanti per lo specifico paziente, con l’obiettivo di migliorare il funzionamento globale e la qualità della vita della persona. L’obiettivo del nostro lavoro è presentare alcune indicazioni operative che possono essere usate dal terapeuta cognitivo per orientarsi rispetto alla presa in carico di questi pazienti. L’intervento psicoterapeutico che verrà descritto si snoda in tre fasi: la prima è dedicata alla costruzione dell’alleanza terapeutica, la seconda all’avvicinamento al mondo emotivo (autosservazione e regolazione emotiva), la terza permette di favorire l’assunzione di un ruolo attivo che sia orientato alla mobilitazione delle proprie risorse da parte del paziente. Infine verrà presentato il caso di Anna, una paziente di 70 anni che soffre di fibromialgia da quando aveva 13 anni. Parole chiave: fibromialgia, psicoterapia, intervento breve, sindrome somatica funzionale, dolore cronico. Abstract Cognitive therapy in the psychosomatic setting: a treatment’s proposal for fibromyalgia syndrome Fibromyalgia is a somatic functional syndrome characterized by widespread muscoloskeletal pain, stiffness, sleep distrubances, fatigue; there is often a comorbidity with anxiety and depressive disorders; the course of fibromyalgia is generally chronic. Although the etiology is still unclear, the hypothesis is that several factors may be involved (biological, psychological and socio-cultural factors). A brief psychotherapeutic intervention should identify and treat the psychological factors that are relevant for the specific patient, with the aim to improve global functioning and quality of life. This paper aims to be a guide for therapists approaching fibromyalgic patients. The proposed psychotherapeutic intervention is composed by three main steps: the first step is dedicated to build up a working alliance; the second one aims at approaching the affecti- 27 Benedetta Vicino et al. ve world (auto-observation and affective regulation); the third step aims at promoting an active role of patient, increasing his/her resources. Finally we introduce a clinical case, Anna’s case, a 60 years old woman who has been suffering from chronic pain since the age of 13. Key words: fibromyalgia, psychotherapy, brief intervention, somatic functional syndrome, chronic pain. BIBLIOGRAFIA Ablin J., Fitzcharles M., Buskila D., Shir Y., Sommer C., Häuser W. (2013). Treatment of fibromyalgia syndrome: recommendation of recent evidence-based interdisciplinary guidelines with special emphasis on complementary and alternative therapies. EvidenceBased Complementary and Alternative Medicine, 1-7. doi: 10.1155/2013/485272 Allen L.A., Woolfolk R.L. (2006). Affective cognitive behavioral therapy: a new treatment for somatization. Psicologia Conductual, 14: 549-566. Ardito R.B., Rabellino D. (2011). Therapeutic alliance and outcome of psychotherapy: Historical excursus, measurements, and prospects for research. Frontiers in Psychology, 2: 270. doi: 10.3389/fpsyg.2011.00270 Baumgartner E., Finckh A., Cedraschi C., Vischer T.L. (2002). A six-years prospective study of a cohort of patient with fibromyalgia. 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