OmniNews 5 - ic libetta peschici

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OmniNews 5 - ic libetta peschici
Periodico
degli studenti
dell’Omnicomprensivo
Libetta di Pèschici
- Anno XI - Numero - 5- Marzo 2016 -
Quale significato
ha il Progetto
Saperi … Sapori dell’Istiuto
Omnicomprensivo Libetta ?
Una proposta
per il paese
Per informare in maniera completa i cittadini su Saperi … Sapori, i
docenti responsabili del Progetto
hanno pensato a 2 momenti:
 un numero speciale di Omninews e
 un Convegno di presentazione,
che si svolgerà il 20 Aprile.
Nel giornale troverete, perciò,
tutte le fasi ed i contenuti della manifestazione, il Convegno, invece,
farà da prologo, presentando alcu(Continua a pagina 3)
Premiazione per
il nuovo logo
dell’Omnicomprensivo
A pagina 15
22 Aprile: riscopriamo insieme le nostre radici
Un passo indietro,
per guardare avanti
Il 22 aprile si svolgerà una manifestazione riguardante i
vecchi mestieri in particolare e le nostre
tradizioni in generale,
nell’ambito del Progetto Saperi-Sapori.
La giornata incomincerà alle 16.00 con
una calorosa accoglienza da parte del
Gruppo
Bandistico
Collotorto, dei ragazzi
dell'l.T.T. e gli Angeli
Rossi.
Dopo questa prima
fase di intrattenimento si passerà alle esibizioni.
Si incomincerà alle
17.30 a Piazza del Popolo con il percorso
svolto dalle Prime
classi della Primaria
sulla pesca e sui canti popolari.
In seguito a Piazza Castello, le
classi Quinte della Primaria mette(Continua in ultima pagina)
Intervista al Dott. Paolo Labombarda sulle proposte di un alfabeto per il dialetto peschiciano
La necessità di avere regole
Quale sarà il suo intervento durante il Convegno?
Penso di dire due parole sulle modalità di
scrittura del dialetto peschiciano; anzi su una
modalità definita. Mi è infatti capitato di scrivere, insieme a Rocco Tedeschi, peschiciano
doc, e a Patrizia Ugolotti, anglofona consigliere di “Italia Nostra”, “‘A grammàtëca
pëschëciànë” e “Paràulë dë Peschëcë”, una
raccolta di circa 5.000 termini peschiciani con
traduzioni in italiano e in inglese.
Cosa l'ha spinta a dedicarsi a un'opera riguardante il nostro dialetto?
Beh, qualche tempo fa, nel 2009, ho dato vita a
“Venti di grecale”, un romanzo il cui sottotitolo
è “Peschici anni ‘40”. Il romanzo racconta la
vita di Bianca, non peschiciana, a Peschici dal
1940 al 1946.
(Continua a pag. 2)
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Continuazione da pagina 1
La necessità di avere regole
Lo scritto, permeato di percezioni, di ricordi della
mia prima infanzia, di racconti successivi, delinea, sullo
sfondo della storia di Bianca, le realtà di un paese arroccato sulle ultime vestigia del Medioevo, realtà descritte con episodi, con immagini, con odori, con suoni,
con suoni di voci …
Sì, con suoni di voci, anche con frasi, con dialoghi in
dialetto, con intercalari dialettali. Ho voluto scrivere
frasi in dialetto peschiciano, io, che trovo già piuttosto
intricato scrivere in Italiano figuriamoci in peschiciano.
Ho cercato naturalmente di documentarmi: ho letto
scritti in dialetto (non ne ho trovati moltissimi, ma quelli che ho letto - di Angela Campanile, di Michel’Antonio
Piemontese, di altri - piacevolissimi); ho dipanato studi
di dialettologi regionali (Clemente Merlo, Giacomo e
Michele Melillo), oltre che di Michel’Antonio, la memoria sacra del dialetto peschiciano; ho attivato discussioni con i locali attraverso “New Punto di Stella”, il giornale on line diretto da Piero Giannini.
E ha trovato qualcuno … qualcosa che potesse venire in suo aiuto?
Non sono riuscito a trovare regole definite di scrittura del dialetto peschiciano.
Il dialetto, si sa, si tramanda essenzialmente per
tradizione orale. E, di quei pochi che scrivono, ognuno
scrive a modo suo: tanto scrivono per i peschiciani, che
il peschiciano lo sanno leggere, in qualunque modo lo
trovino scritto.
M’è venuta allora l’idea di provare a definire regole
di scrittura del dialetto. E ho avuto la fortuna di incrociare due baldi amici, Rocco e Patrizia, che l’idea hanno
voluto condividerla.
Sono così nate “‘A grammàtëchë” e “Paràulë”.
Dev’essere un lavoro complicato, lungo.
Un lavoro del genere è tutt’altro che banale, va
affrontato in 4 passi:
- analisi dei suoni del dialetto (la fonetica, l’identificazione dei “fonemi”, i suoni elementari),
- definizione di un sistema di scrittura del dialetto
(l’ortografia, l’identificazione dei “grafemi”, i simboli
grafici),
- messa a punto di regole grammaticali,
- verifica dell’applicabilità del tutto nei contesti correnti: parole, modi di dire, …
Il sistema di scrittura proposto è mantenuto per
quanto possibile prossimo al sistema di scrittura della
lingua italiana: l’alfabeto è composto di 25 lettere, le
21 dell’alfabeto italiano classico, più la vocale muta ‘ë’,
diffusissima nei dialetti del meridione, le due semiconsonanti ‘j’ e ‘w’, anche loro molto frequenti, la consonante ‘š’ (pronunciata come il digramma ‘sc’ della parola italiana ‘scena’), necessaria per la rappresentazione di accoppiamenti consonantici (esempio: vùšchere
lucertola).
I grafemi ‘ë’ e ‘š’, piuttosto comuni tra i dialettologi,
sono presenti nei sistemi di
scrittura delle genti slave adiacenti, cugine dei peschiciani
(esempi: Shqipëria Albania,
Priština Pristina).
E adesso il peschiciano
ha una sua propria modalità
di scrittura …
Noi ne abbiano proposta
una. E l’abbiamo verificata in
vari contesti.
Riterrei comunque opportuno sottolineare che la
modalità di scrittura da noi
proposta non è certamente
l’unica pensabile, è presumibilmente (ma non necessariamente) suscettibile di modifiche (il modificare risulta
comunque meno arduo del creare), potrebbe ambire a
divenire “ufficiale”, qualora l’“intellighenzia” e/o i giovani del paese l’adottassero, la ritenessero propria, la
gestissero (come fa l’“Accademia della Crusca” con la
nostra bella lingua, la lingua italiana).
Il dialetto, a suo parere, è segno di "ignoranza " (o
come più spesso viene definita, maleducazione) o un
patrimonio da preservare?
Il dialetto o la lingua, entra in noi insieme con il latte
di mammina: vive in noi, fa parte di noi, ci modella, ci
forma.
Di lingue, di altri dialetti, se ne possono imparare,
se ne imparano. Ma, quando siamo in intimità con noi
stessi, quando parliamo solo con noi stessi, e non abbiamo bisogno di maschere … o quando usciamo di senno, e le maschere s’infrangono … allora, come ci esprimiamo?
L’ignorare il nostro dialetto, sì! può far pensare a
“ignoranza”! “ignoranza” di una parte di noi stessi!
Potrebbe dirci qualche parola in dialetto poco usata o molto diversa dalla sua traduzione in italiano?
Tutti voi di parole di questo genere ne conoscete
certamente più di me: come, per esempio, culàcë tarallo, jalë spiaggia, jubìzzë violetta, murìtëchë ombra, salambàchё ramarro, scazëcavàzzë cavalletta, scёsciàrchё pigna secca, sciùcchё gonna, sciùšchё frusta, sessë
sorella, smurìcëchë ginepro, stingë lentischio, tacchёrё
legnetto, totërë pannocchia, vùšchere lucertola, …
Le conoscete, vero? Molte di esse - lo sapete - hanno radice slava.
Gianluca Marino, IV A Liceo
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Anteprima di
Saperi … Sapori
Una proposta per il paese
ni aspetti, inerenti soprattutto le tradizioni ed il dialetto peschiciani.
Dopo il saluto delle autorità, il Dirigente Scolastico,
Prof. Valentino Di Stolfo illustrerà il Progetto.
Seguirà una scenetta popolare, messa in scena dai
bambini delle classi terze della Scuola Primaria.
Alla maestra Lina
Biscotti toccherà il
compito di illustrare il
valore dei racconti
nell’infanzia dei bambini peschiciani di
qualche anno fa.
Ed a proposito di
fiabe, il Prof. Piemontese presenterà il Racconto dell’Orco di
Giambattista
Basile
tradotto nel nostro
dialetto, quasi a riecheggiare le fiabe che
si raccontavano prima
dell’avvento dei grandi
mezzi di comunicazione di massa.
E proprio sul dialetto sarà incentrata la
relazione del Dott.
Paolo
Labombarda,
che illustrerà le sue
proposte di una grammatica del peschiciano.
In chiusura ancora
protagonisti il dialetto
e gli alunni del nostro
Istituto:
 i ragazzi dell’ITT si esibiranno in una scenetta incentrata su un dialogo fra comari,
 mentre quelli del Liceo canteranno Verde oliva,
un testo popolare proveniente dalla Basilicata, la
cui musica ha radici forse zigane.
A fare gli onori di casa sarà la Prof.ssa Lucrezia D’Errico, che fa parte del gruppo di progetto, insieme alle
maestre Imelda Palazzo, Vita De Nittis e Lucia Martino.
Un supporto al Progetto lo ha dato anche il Circolo
Culturale Pesclizo - di cui è Presidente Lina Biscotti ed
al quale appartengono anche i docenti Lucrezia D’Errico ed Angelo Piemontese -, che da tempo opera per il
recupero del nostro patrimonio culturale.
Perché l’Omnicomprensivo Libetta si è fatto promotore di un così articolato Progetto?
Innanzitutto con Saperi … Sapori ha voluto far scoprire ai meno giovani le nostre radici, parlando di mestieri
scomparsi, di cucina e delle tradizioni peschiciane, che
rischiano di scomparire per sempre in una società che
insegue altri valori,
molto effimeri.
In questo modo si è
voluto far conoscere
tanti aspetti della vita
di mezzo secolo fa, che
possedeva una grande
ricchezza umana.
Ma il recupero del
nostro patrimonio culturale vuole offrire anche un’occasione in più
all’industria turistica.
Non volendo andare
troppo lontano, bisogna ricordare che il
Salento ha fatto delle
tradizioni popolari, del
la cucina e dei prodotti
locali un punto di forza
della sua offerta turistica.
Su questo aspetto
devono riflettere molto i nostri imprenditori,
i quali devono comprendere che oggi il
turista è sempre più …
affamato di cultura.
Ed in tal senso è
stato importante anche il Progetto sulle Torri, delle terze classi delle superiori, che ha avuto il riconoscimento
del F.A.I. (Fondo per l’Ambiente Italiano), che ha puntato
l’obiettivo sulla Torre di Sfinale.
Ecco, sulla valorizzazione dei beni storici Peschici ed il
Gargano sono rimasti un po’ indietro.
Dobbiamo imparare che, per progredire, dobbiamo
guardarci indietro e valorizzare le nostri radici, anche
per onorare coloro che non ci sono più, ma che ci hanno
lasciato in eredità un patrimonio storico e ambientale
invidiabile.
Lo dobbiamo riscoprire e valorizzare insieme: questo
il senso di Saperi … Sapori!
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Una fiaba di Giambattista Basile tradotta nel nostro dialetto da Michel’Antonio Piemontese
Un Orco in peschiciano
All’interno del Convegno del 20 Aprile si parlerà
anche di dialetto peschiciano.
Assieme alle proposte di Paolo Labombarda e della
rivisitazione di Verde Oliva, ci sarà posto anche per la
fiaba di Giambattista Basile Lo Cunto dell’Uerco, tradotto nel nostro dialetto da Micel’Antonio Piemontese
nel 2011, con testo napoletano e italiano a fronte.
La fiaba è la prima
della celebre opera dello
scrittore
napoletano,
intitolata Lo Cunto de li
cunti o Pentamerone.
Perché questo titolo?
Esso deriva dalla
struttura stessa dell’opera, che si presenta formato da 50 racconti
all’interno di una Cornice.
Narra, infatti, la storia
di Zoza, figlia di un re, che subisce la maledizione di
una vecchia: non avrà pace fin quando non potrà sposare il Principe di Camporotondo, il quale è addormentato per un incantesimo, che potrà essere sciolto solo
quando lei riempirà un’anfora di lacrime.
Quando l’ha quasi riempita, stanca, Zoza si addormenta.
Una schiava, che ha visto tutto,
con facilità finisce di riempire
l’anfora e viene sposata dal
Principe, che la crede sua salvatrice.
3 fate aiutano Zoza, disperata, regalandole 3 oggetti magici,
l’ultimo dei quali è una bambola, la quale, venuta in possesso
della schiava, le fa venire una
voglia incontenibile di ascoltare racconti.
Per soddisfare tale voglia, il Principe fa venire 10
vecchie, che per 5 giorni raccontano un cunto a testa.
Alla fine dell’ultimo giorno, Zoza prende il posto di
una vecchia e racconta la sua storia, svelando al Principe l’inganno della schiava.
Il Principe fa giustiziare
la moglie e sposa Zoza.
Lo Cunto de li cunti,
pubblicato nel 1634, contiene molti racconti famosissimi, fra cui Cenerentola
e Raperonzolo.
Per tale motivo e grazie alla traduzione in italiano
di Benedetto Croce, è un libro che si legge ancora oggi.
Un canto della tradizione
Riscopriamo Verde oliva
Proposto da Coro e balletto degli alunni del Liceo
In queste settimane, gli alunni dell’Omnicomprensivo Libetta si sono adoperati per mettere in scena un
piccolo spettacolo di folklore peschiciano nell’ambito
del Progetto scolastico Saperi e sapori e tradizioni del
mio paese, che si terrà il 22 Aprile.
La scenetta proposta vedrà coinvolti un gruppo di
alunni facenti parte del coro e del corpo di ballo.
Ispirata al canto tradizionale Verde oliva - su cui trovate informazioni nelle pagine successive -, la storia,
che hanno voluto raccontare, è basata su fatti accaduti,
tipici della Peschici antica: un matrimonio non accettato, una ragazza tradita dal suo prossimo marito e tanta
tarantella.
Gli alunni coinvolti nella parte musicale sono: Domiziana Mongelluzzi, Maria Langianese, Rosy Gala, Anna
Lamonica, Roberta Gallo (VA Liceo), Valentina De Nittis
(IV A), Nicole Flaminio, Pietro Gala (III A, chitarre), Alessia Travaglini (III A), Maria Antonietta Mazzone, Gaia
Ottaviano, Martina Ottaviano, Maria Antonietta Gusso
(I A), Antonella Mascolo, Celeste Soldano e Maria Biscotti (esterni).
In anteprima la scenetta sarà presentata il 20 Aprile
durante il Convegno sull’intero Progetto.
Maria Langianese, V A Liceo
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I canti popolari peschiciani
L’origine ed il significato Nu journe jett a cacc’ e Verd’ vuleiv,
i due brani interpretati dai ragazzi del Liceo
Una cosa ha sempre contraddistinto un popolo da
un altro: la cultura.
Agli albori della civiltà garganica,
come forte simbolo culturale c’è sempre stata la musica. E questo progetto, ovviamente, tratta anche di un
segno distintivo così forte per la nostra civiltà; ecco perché, oggetto di
quest’articolo, sono i canti popolari.
Ma cos’è un canto popolare? È un
segno di riconoscimento di un popolo, una parte essenziale della propria vita, l’espressione
del cuore e dell’animo, che sia felice o triste.
Il canto popolare è una sorta di archivio, in cui vengono immagazzinati usi, credenze e mentalità del tempo in cui viene composto. In particolare, i canti peschiciani rispecchiano le caratteristiche di questa popolazione, poiché al centro spesso c’è l’amore ed il sentimento: vissuti in più ambiti, non solo in quello gioioso,
ma anche come sofferenza, specialmente per quanto
riguarda l’amore.
I canti amorosi si presentano come serenate e
trattano di argomenti vari. Sentimentali, maliziosi, colmi di affanni, dolori, sospiri, ma anche di abbandono e
gelosia. Ci sono canti sulla bellezza e sul matrimonio,
quelli che parlano di stati d’animo ed emozioni, espressi tramite storie verosimili.
Tanti di questi componimenti in sé contengono anche dei precetti morali, ovviamente basati sulle problematiche del tempo, anche se molti di essi sono ancora
attuali.
Oltre a questi canti, spesso, in occasioni speciali come il Carnevale, o nei giochi,
venivano recitate e cantate filastrocche e
storielle, che avevano un valore di puro
divertimento.
Le ninna-nanne, invece, venivano cantate ai bambini, per trastullarli.
Altre tematiche di questi canti riguardavano la vita di tutti i giorni: la sveglia all’alba, il duro
lavoro in campagna, ed il ritorno a casa al tramonto
(tipico canto: ‘’u vasilicoije’’).
Alcune brevi filastrocche, invece, venivano usate per
schernire alcune persone con qualche difetto fisico;
altre per chi non accettava gli schiamazzi e per gli avari,
che si rifiutavano di offrire qualcosa.
Altri canti racchiudevano i desideri di avere un mari-
to o gli sfoghi personali, le condizioni sociali o le situazioni legate all’emigrazione ed
alle invocazioni religiose.
I canti religiosi veri e propri erano legati alle feste
principali: Natale, Settimana
Santa e Feste Patronali, dove
i peschiciani, con toni pacati,
esprimevano le semplici credenze popolane.
Durante la raccolta delle
olive le valli echeggiavano anche di stornelli, che hanno avuto una funzione importante nella comunicazione. Caratterizzati da doppi sensi e metafore, servivano
per raccontare fatti e pettegolezzi o per offendere.
Per esempio, gli stornelli d’amore o quelli di botta e
risposta tra suocera e nuora spesso venivano usati
come dialoghi tra donne.
Invece, gli stornelli con alla base i fiori avevano contenuto amoroso e iniziavano con un’invocazione a un
fiore.
I sentimenti amorosi venivano espressi con le serenate: gruppi di giovani, accompagnavano l’innamorato con strumenti vari, presso l’abitazione della ragazza
amata. Questa tradizione, vive ancora oggi nella nostra cittadina: infatti, molti ragazzi, la notte prima del
matrimonio, con amici e musicisti, si recano sotto casa
della propria amata, per cantarle una serenata.
Ma oltre ai cenni storici, cosa sappiamo della tradizione musicale peschiciana?
Per informarci ed informarvi meglio, abbiamo intervistato due cittadini di Peschici, che per passione, o
per lavoro, hanno grandi informazioni sulle tradizioni peschiciane: Michele Antonio Piemontese e la professoressa Lucrezia D’Errico.
I due esperti, attraverso ricordi di
famiglia, immagini, suoni e voci impresse nella mente, che li riportano all’infanzia, hanno
contribuito a far sì che tutta la popolazione, che ignora
queste tradizioni, imparasse a conoscere ancora un
altro pezzo di storia del nostro paese e della sua identità.
Due saranno le canzoni popolari protagoniste
(Continua alla pagina successiva)
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I canti popolari peschiciani
dell'esibizione del 20 e del 22 Aprile
prossimi: Nu journe jett a cacc’ e Verd’
vuleiv, canzoni di cui non si conosce
neppure il significato, né la nascita, né
la loro storia. Abbiamo così deciso di
andare alla ricerca di testimonianze e
documenti, per raccontarvi ciò che si
nasconde dietro questi semplici canti.
Per quanto riguarda la prima canzone, è stata la Professoressa Lucrezia D'Errico ad aiutarci ed a rispondere
alle nostre domande.
In che modo ci è pervenuta questa canzone?
Padre Remigio De Cristofaro, un etnomusicologo di
Ischitella, ha registrato questo canto popolare negli
Anni Cinquanta a Peschici. La voce che canta questo
stornello è Giulio D'errico, mio nonno.
Questo sonetto è depositato, insieme ad altri
quattro canti, che fanno parte della "Raccolta 104" di
canti popolari, nel Museo di Etnomusicologia popolare
a Roma.
Come si è accorta che era suo nonno l’autore della
canzone?
Ne sono venuta a conoscenza grazie a Salvatore Villani, direttore dell'“Associazione di canti e tradizioni
popolari”, che ci ha fatto dono della registrazione del
canto. Ascoltandolo, mi sono accorta non solo che la
voce era quella di mio nonno, perché registrato come
anonimo, ma anche il contenuto è molto simile ai racconti che lui mi faceva da bambina, alle scenette di vita
quotidiana a cui assistevo.
Saprebbe spiegarci il significato di questo canto?
Il suo contenuto riproduce fedelmente quello che era
uno dei battibecchi quotidiani tra mia nonna e lui, che
era un patito della caccia. Uccideva in particolar modo
beccacce, tordi ecc... e li portava a casa, perché desiderava che sua moglie glieli cucinasse. Ma mia nonna,
stufa di questa situazione, invitava il marito a spennarli, pulirli, cucinarli e mangiarli...solo !!
Per quel che riguarda Verde Oliva, il secondo canto
popolare che i ragazzi dell'Omnicomprensivo interpreteranno, bisogna sapere che racconta la storia di una
donna, quella del titolo, data in sposa al Conte Marco,
attraverso un matrimonio combinato portato avanti
dal padre.
Verde Oliva lo sposa, pur essendo innamorata del Conte Eugenio. La prima
notte di nozze, ella spiega a Marco di aver
fatto un voto di verginità alla Madonna;
allora il marito, come recita la canzone:
"l'ha date quatte uasce e jè addirmòute" (gli ha dato quattro baci e si è addormentato).
Verde Oliva, una volta che il Conte è caduto nel sonno, si reca con una mula dal suo innamorato, Conte
Eugenio, chiedendogli di aprirle le porte. Svegliandosi,
durante la notte, il conte Marco s'accorge che Verde
Oliva è sparita.
Mentre aumenta il ritmo del canto, iniziano le imprecazioni della madre verso la figlia. Marco si dirige
verso le porte di casa del Conte Eugenio e richiede a
Verde Oliva ciò che le aveva donato: "Verd’ Vulèive
damme chi quatte uasce, che a me mi còstine trentaquatte ducate! Guarda Vulèiv damme chi quatte nelle,
che a me mi còstine trentaquatte castelle!" ( Verde Oliva dammi quei quattro baci, che a me son costati trentaquattro ducati! Verde Oliva dammi quei quattro anelli, che a me son costati trentaquattro castelli).
La donna restituisce a Marco tutto ciò che gli apparteneva, augurandogli di "vinnenne ntrone, ntrone!"
É curioso sapere che lo stesso ritmo di Verde Oliva
lo si ritrova in Train de vie (Un treno per vivere), un film
del 1998 diretto da Radu Mihăileanu, che tratta in maniera ironica la Shoah. Alla fine del film, si ritrovano
Ebrei e Zingari, in un confronto musicale: protagonista
della proposta degli Zingari è proprio Verde Oliva.
Sicuramente questo testo non appartiene al nostro
territorio: è infatti considerato il canto narrativo lucano per eccellenza. Durante una campagna di ricerca del
1952 ne sono stati documentati alcuni frammenti.
É stato però il lavoro di Giovanni Battista Bronzini a
dimostrarne la peculiarità in territorio lucano: questi
riteneva, infatti, che la Basilicata potesse essere considerata il centro di irradiazione del canto di Verde Oliva.
Ma del resto ogni cantastorie adattava la canzone al
suo territorio.
Giorgia Bonsanto e Federica Vescia, IV e V A Liceo
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Ricordiamone insieme alcuni
Gli antichi mestieri di Peschici scomparsi
A Peschici, con il passare degli anni, sono scomparsi molti mestieri, ma continuano a vivere nella memoria di molti anziani.
La tessitrice era il mestiere più diffuso in quei tempi
in cui veniva prodotto di tutto: lenzuola,
asciugamani, camicie e vestiario. Ogni famiglia possedeva una macchina per tessere .
Le ragazze imparavano a filare da bambine . Per filare venivano usati: lana, cotone,
canapa e lino, una volta filati la tessitrice li
sistemava su uno strumento che serviva
per avvolgere il filo del gomitolo (detto u
vneil) poi con un altro mezzo si formavano
i cannell, piccoli gomitoli a forma di sigaretta , inseriti nella navetta e fatto passare il filo da un
lato all’ altro.
Un altro mestiere scomparso è quello dello stagnaro, era colui che costruiva tutto: secchi, zinchi per l’olio
l’imbuto (u mutill) …
Gli oggetti costavano tanto e si impiegava tempo
per costruirli ma duravano tanti anni e venivano lasciati in eredità.
Un altro mestiere era l’ombrellaio. Gli ombrelli di
allora erano molto grandi perchè dovevano riparare
dalla pioggia molte persone e animali. L’ombrellaio a
Peschici raramente veniva ,solo nei periodi invernali.
Un altro mestiere molto richiesto era “u sana piatt”
che riparava pignate , piatti e tutto ciò che era in ceramica ,esso veniva a Peschici dal nord Italia.
Il calzolaio era un vero artigiano, molto abile a costruire ogni tipo di scarpa ,tre modelli in particolare
erano molto richiesti: uno resistente per gli uomini,
Gli alunni della 5^ Primaria
parlano della loro esperienza
uno delicato per le donne e un altro per chi lavorava in
campagna. Le scarpe costavano tanto e i poveri andavano scalzi o con scarpe consumate . Quando si ordinavano scarpe per bambini il calzolaio le doveva farle di
due o tre misure più grandi perché i piedi crescevano velocemente .Alle scarpe si applicavano dei pezzi di ferro, in torno alla scarpa
delle borchie sempre si mettevano per evitare
che si consumassero velocemente.
Poi c’ era il banditore, era colui che girava
per tutto il paese urlando di tutto: avvisi comunali, sanitari, ecc. Questo era l’unico mezzo per tenere informati i Peschiciani che essendo analfabeti era inutile usare i manifesti .
Il cantastorie era anche lui forestiero veniva a Peschici una o due volte all’ anno e raccontava
storie agli abitanti ,portava sempre dietro un tabellone
dove venivano raffigurate le scene più importanti.
L‘acquaiolo portava l‘acqua ai malati, con il suo asino andava ai pozzi, riempiva i barili e li portava in paese.
U vardar era un artigiano che costruiva selle,usava
legno vecchio , la paglia.
Tanti erano i carrettieri ,era un lavoro faticoso perché viaggiavano di notte e trasportavano di tutto.
Costoro si incontravano tutti alla cantina, vestivano
di scuro ,una fascia rossa in vita e al collo un fazzoletto.
Poi c’era il venditore di fortuna, che portava con sè
un pappagallo che con il becco estraeva il futuro. Poco
considerato d ai peschiciani e poco pagato, ma regalava alle ragazze innamorate dolci speranze.
Giuseppe Pupillo, VB Primaria
Fra paure e speranze
Riguardo al Progetto Saperi sapori e tradizioni del
mio paese, noi bambini della 5^ A siamo molto preoccupati di poter sbagliare, ma come si dice: tutto è bene quel che finisce bene.
Abbiamo preparato dialoghi tra donne indaffarate
nei lavori di un tempo e un gruppo di anziani che parlano dei giovani di oggi.
Tra una scena e l'altra cantiamo: Oi ma che pass u
zeit , u vaslcauj e a srnat pschcian.
Ci siamo impegnati moltissimo. All' inizio siamo stati aiutati da un esperto, ma con il passare del tempo
ce la siamo cavata da soli. Ognuna dovrà portare uncinetto, ferri... insomma utensili usati dalle donne di una
volta. Mentre i maschi saranno impegnati nella lavorazione di oggetti in legno e cestini.
Ormai siamo quasi arrivati, ci restano poche prove:
speriamo di fare bella figura.
Volevo anche dire grazie alle maestre, per averci
permesso di divertirci, imparando tutto questo.
Sento che sarà un esperienza magnifica.
Maria Delli Guanti
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Dagli alberi al frantoio
La raccolta delle olive
La raccolta delle olive era una delle principali attività
di sostentamento economico per le famiglie contadine,
praticata nella stagione autunnale, a stasciaunё dё i vulìvё. I cafoni, contadini di sesso maschile e
femminile, si occupavano di questo lavoro e lo svolgevano durante
le ore diurne, dall’alba fino al tramonto, seguendo il ciclo solare.
Essi si recavano in campagna
portandosi, come pranzo, del pane e, a volte, un po’ di vino. Una
volta arrivati sul luogo di lavoro, c’era il Caporale, che
controllava e scandiva le fasi della raccolta: le donne
raccoglievano le olive da terra e le ponevano dentro un
contenitore chiamato u rrucugghjturё, mentre alcuni
operai erano disposti sui rami degli alberi per far cadere le drupe con una pertica. Altri operai si posizionavano insieme alle raccoglitrici intorno all’albero, lavorando accompagnandosi con stornelli e canti popolari.
C’erano due categorie di lavoratrici: quelle più svelte erano posizionate dove le olive erano più abbondanti, mentre le altre cucivano i canaponi, che servivano a
formare un grande telo, a rachёna, su cui si facevano
cadere le olive battute dagli uomini. Le olive raccolte
venivano messe nei sacchi di canapa, i quali, erano trasportati al frantoio , trappìtё, del
proprietario del podere.
Qui, i sacchi venivano svuotati in
camini, in attesa della molitura, che
avveniva tramite un asino o un mulo, legato all’asse di una grande macina di pietra, la quale riduceva le
olive in un impasto scuro e untuoso.
In seguito, esso era sistemato su dei
fiscoli sovrapposti l’uno sull’altro e
pressati da un torchio, manovrato a mano.
A conclusione del lavoro, se il proprietario terriero
era soddisfatto della raccolta, ntràtё, della produzione
dell’olio, offriva ai suoi cafoni un lauto pranzo, capё
canariiё , tra canti e balli.
La religiosità arrivava al punto che anche i poveri
lasciavano, per la Festa patronale, la decima parte
dell’olio prodotto. Questo era venduto e con il ricavato
si organizzava la commemorazione del Santo Patrono.
Carlo Guerra, IV B Primaria
Era lui che dettava i tempi per arrivare al prodotto finito
Col pane nasce la figura del fornaio
Nella nostra cultura, ma in quasi tutto il mondo, il
pane è il cibo più importante. Infatti esso è presente
anche nella preghiera che Gesù ci ha insegnato: ”dacci
oggi il nostro pane quotidiano…”.
Con il pane nasce la figura del
fornaio: la persona che cuoce il pane nel suo forno. Il pane cambia da
regione a regione, noi abbiamo il
famoso” PUGLIESE.” Fino agli anni
sessanta, il pane a Peschici lo impastava la massaia e il fornaio aveva il
compito di cuocere il pane. I forni
erano tutti a legna e, al tempo delle
mie nonne, erano circa tre.
Il fornaio cuoceva il pane e regolava le sfornate per
evitare la confusione e lo scambio delle pagnotte. Ogni
volta che le famiglie facevano il pane, lasciavano una
pagnotta al forno per consentire al fornaio di venderla
a chi non poteva impastare il pane in casa.
Dopo gli Anni Sessanta, con
l’elettricità e l’avvento del turismo, a Peschici la figura del fornaio è cambiata: il forno è diventato un vero e proprio “negozio”
con tanti tipi e forme di pane,
panini, pizze e biscotti e il fornaio, pur alzandosi sempre di
notte, non deve più andare in
giro per le strade del paese ad
urlare: “Duniè, timbr….”
Antonietta, Tavaglione
IV A PRIMARIA
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9
Il pane si preparava in casa: a lui il compito di cuocerlo
Il fornaio del passato: un mestiere redditizio
Al tempo dei nostri nonni, il mestiere del fornaio
era abbastanza redditizio,
ma allo stesso tempo aveva
anche molte spese. Ciascun
fornaio possedeva un mulo,
che affidava ad un operaio,
e che serviva per andare a
raccogliere le frasche e la
legna per accendere il forno.
Per raccogliere la legna
senza che la guardia forestale lo multasse, doveva pagare una tassa al comune di Peschici.
Il fornaio si svegliava nel cuore della notte e, intanto
che il forno si riscaldava, lo ripuliva dalla cenere con
degli strofinacci bagnati e ritagliati attaccati ad un bastone (tipo il nostro mocio di oggi). Le infornate previste erano due: una dalle 2 alle 4 (u prim furn) e l’altra
dalle 7 alle 10 (u second furn)….
Dall’avviso notturno
alle donne
fino alla cottura del pane
Allo sfornare del pane, il
fornaio distingueva le pagnotte
di ciascuna famiglia, perché
contrassegnate da un simbolo,
e lo consegnava in cambio del
prezzo al Kg da pagare, conservando per la vendita “ i panett
di Sant’ Elii”, il cui corrispettivo
veniva conservato e consegnato in chiesa per i festeggiamenti o per aiutare qualche famiglia più disagiata.
Il fornaio impastava e cuoceva il pane solo su ordinazione solitamente dei “Don”, ossia persone benestanti.
A Peschici c’erano pochi forni, perché le licenze
erano rilasciate in base al numero degli abitanti ed
erano costose.
Irene Caroprese, Lara Tripoli, IV A PRIMARIA
La lunga giornata del fornaio
Il fornaio, cioè il gestore del forno, era addetto alla
cottura del pane e spesso diventava anche un confidente delle massaie, riuscendo a condividere le fatiche
e gli affanni per procurarsi il
cibo. La cottura del pane era
preceduta da varie altre operazioni, scandite dallo scorrere del tempo.
Era ancora buio quando il
fornaio, o il suo garzone, facevano il giro del paese vecchio
chiamando le massaie con
una trombetta, perché si prenotassero per la cottura dei
pani.
Le donne si affacciavano sull’uscio di casa e rispondevano comunicando i pezzi di pane da mandare al
forno. In casa tutto era predisposto per impastare,
mentre i rintocchi delle campane annunciavano il far
del giorno.
Preparato l’impasto, la massaia, dopo aver tracciato
un segno di croce, lo ricopriva perché “crescesse”. Di
solito questi gesti erano accompagnati da una preghiera rituale: “cresci massa, cresci massa come crebbe Gesù nelle fasce”.
Quando ritornava il fornaio per
prelevare le pagnotte, spesso le donne lo seguivano al forno per assistere personalmente all’infornata o ci
mandavano una persona di fiducia:
un figlio, un parente, un amico. Tutti
ambivano a sistemare i loro pani al
centro del forno, dove il calore giungeva in maniera più uniforme.
Quando il fornaio infornava, dopo
aver bruciato moltissime “fascine” secche per rendere
bollente il forno, segnava sul pane un marchio o le
iniziali del cliente, perché, una volta cotto, non si confondesse con quello degli altri.
Luigi Pio Fasanella, IV A PRIMARIA
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Situate in campagne, erano funzionali e preziose
La casa contadina
A case du cafaune era costituita, per lo più, da un
solo vano a piano terra. La porta d’ingresso e la finestra, collocata nella parte più alta della costruzione,
difficilmente accessibile dall’esterno, risultavano le
uniche vie d’aerazione e di luce.
Accanto alla porta, c’era la cisterna,
finalizzata alla raccolta della acque meteoriche, che scorrevano attraverso un
canale grondaia in zinco o in pietra.
Possedere una cisterna in campagna
era un bene prezioso, perché si assicurava l’acqua a tutta la famiglia e agli
animali. Le cisterne, in genere, venivano scavate nella roccia, in modo da raccogliere meglio
l’acqua piovana.
Qualche abitazione aveva anche u juselle, una specie di piccolo ripostiglio, utilizzato per la chiusura delle
galline.
Ad un angolo c’era il focolare, posto ad un gradino
più alto dell’impiantito della casa, per riporre la legna,
utilizzata per cuocere il cibo e per riscaldarsi. Adiacente alla cucina c’era un solo vano, usato da tutta la famiglia.
In primavera era usanza della massaia tinteggiare i
muri di casa con la calce viva e rifare u saccaune, il ma-
terasso di paglia.
Le case semi-interrate arano anch’esse locali per lo
più a un vano a cui si poteva accedere anche dall’interno dell’abitazione tramite u catarattele (una botola del
pavimento). In entrambi i tipi di casa
erano ospitati gli animali domestici o da
lavoro, per timore che li rubassero, ma
anche per riscaldare l’ambiente.
Le abitazioni semi-sotterranee erano
vere e proprie grotte, inospitali e malsane, basse, umide e sporche. Il pavimento dell’abitazione era lastreche (lastre di
pietra).
Non c’era stanza che non avesse un altarino: S. Antonio messo nelle stalle a proteggere le bestie, magari
in compagnia di qualche corno, ferro di cavallo o fiocchetto rosso contro il malocchio, il quadro di Gesù dappertutto, come il Patrono ed alcune Madonne. Su un
comodino o su un altarino si ponevano le fotografie
della famiglia: quella del matrimonio, del figlio soldato,
i luttini ed anche i “santini”.
La casa contadina era grande giusto quanto bastava
per abitarci.
Tanta attenzione ed esperienza per un prodotto genuino
L’arte del maestro casaro
Ricavare il formaggio dal latte, pur essendo semplice, necessita di alcuni accorgimenti, che non devono
essere trascurati per una buona riuscita del prodotto.
Il latte dopo la mungitura dell’animale viene portato ad una temperatura tra i
35° e i 39°,dopo essere stato filtrato attraverso dei
canovacci di lino posizionati su pentoloni di rame ed
iniziare la lavorazione .
Quando il latte raggiunge i 100°, diventa pastorizzato e da qui inizia il primo passaggio per fare il formaggio.
Il passaggio successivo, consiste nell’attendere che
il latte si raffreddi fino a raggiungere una temperatura
di 30°questo punto viene aggiunto il caglio che serve
a trasformare il latte da liquido a solido che verrà
lasciato riposare per un quarto d’ora.
Se la cagliata ha raggiunto la giunta consistenza ,
poi si mescola, ed inizia la fase di raccoglimento
effettuata nel pastone immerso nel pentolone dove il
latte e già formaggio e non resta che metterlo negli
appositi contenitori chiamati “fascelle”.
I formaggi freschi pronti uno o due giorni, invece
quelli stagionati hanno bisogno di più tempo.
Franco Masella e Giuseppe Tavaglione, Classe III B Primaria
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La storia di un’arte molto antica
Il ricamo all’uncinetto
Le origini della lavorazione all'uncinetto sono antichissime e, come nel caso di altre arti tessili, difficili da
tracciare, ma sono stati trovati esempi primitivi in ogni
angolo del globo, in Estremo Oriente, in Africa, Europa,
America del Nord e del
Sud ed esempi se ne
ritrovano già nella cultura egizia.
Da documenti provenienti dal Sudamerica
risulta per esempio che
in alcune tribù primitive
venivano utilizzati capi
di abbigliamento o protezioni per il corpo all’uncinetto
in occasione dei riti di iniziazione alla pubertà. Mary
Thomas, una studiosa americana, ritiene che le tecniche dell’uncinetto provengano originariamente dalla
penisola araba, dalla quale si sarebbero diffuse verso
oriente in Tibet e verso occidente in Spagna. Grazie ai
mercanti e ai navigatori, tali tecniche si diffusero poi
anche in altre parti del mondo.
Dal XIII al XIX secolo il lavoro all’uncinetto era considerata un’occupazione tipica delle monache. Nei monasteri la biancheria per l’altare e per la casa veniva
munita di semplici bordure all’uncinetto, non solo a fini
decorativi, bensì essenzialmente per renderla più resistente. L’arte dell’uncinetto si iniziò ad apprezzare solo
molto tardi negli ambienti borghesi e nobili.
All’inizio questa tecnica di lavoro manuale non era
neppure considerata un genere di per sé, bensì come
un mezzo per imitare difficili punti del ricamo. Tramite
questa tecnica si lavoravano righe di punti catenella
fissate sulla stoffa che imitavano i punti catenella del
ricamo. Tali righe venivano lavorate fittamente le une
accanto alle altre secondo diversi motivi ed imitavano
in maniera sorprendente i ricami la cui realizzazione
richiedeva molto più tempo e lavoro.
In Europa la sua larga diffusione ha inizio, come già
detto, nel XVI secolo quando si cominciò ad abbellire
gli arredi delle chiese. La tecnica del lavoro all’uncinetto passò poi alle donne di casa che capirono la necessità di abbellire anche dentro le pareti domestiche,
non soltanto per creare tende o bordi di lenzuola per i
corredi o centrotavola ma anche per confezionare abiti, scialli, berretti sia con la lana che con il cotone che
con qualsiasi filato che lo permettesse.
Le produzioni all’uncinetto diventarono indispensabili per abbellire anche le stoffe più rudimentali…
In tempi non troppo lontani era usanza, preparare “il
corredo” alle figlie: un set completo di biancheria
(lenzuola, tovaglie, asciugamani, biancheria per la casa) da utilizzare dopo il matrimonio.
I preparativi dei matrimoni di una volta erano davvero ridotti all’osso, però non mancava niente: dai confetti agli orchestrali. La sposa, insieme alla mamma, la
nonna e la zia “nubile” (zitellona,si diceva!) che non
mancava mai in ogni famiglia, viveva molto intensamente il tempo precedente il fatidico giorno dedicandosi in modo particolare alla “biancheria”. Il corredo
era infatti anche nelle famiglie meno abbienti, la cosa
alla quale più si teneva.
Fino a qualche decennio fa era molto facile osservare
donne che, nelle lunghe sere invernali, sedute accanto
al camino acceso, con mani abili ed infinita pazienza,
cucivano e ricamavano lenzuola, coperte, teli da bagno
e canovacci.
D’estate le
donne erano
solite sedersi
sull’uscio
di
casa, tutte intente a lavorare una maglia
con i ferretti o
all’uncinetto,
un centrotavola a punto croce o bordure
diverse per lenzuola o asciugamani.
Oggi Il lavoro all'uncinetto è considerato uno dei
lavori più versatili e soddisfacenti e tutto quello che
occorre per realizzare articoli originali e creativi è un
uncinetto e un po' di filo. Permette di realizzare pizzi,
centrini, ecc. lavorando un unico capo filato continuo.
Tutte le DONNE di PESCHICI……. Sono abili lavoratrici
dell’uncinetto.
Realtà…. Peschiciane…..ieri…..
Vere gare tra le ricamatrici per produrre LE
«PUNTINE» più belle……A volte la discussione sulla
«BELLEZZA» dei prodotti sfociava in liti cruente….Lo
scambio tra i «disegni» avveniva poco volentieri….spesso si organizzavano incursioni nelle case….con
la complicità delle comari….per rubare le “puntine” per
poterle imitare!!!!
IMELDA MASTROMATTEO, Classe VA Scuola Primaria
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Fabbro, calzolaio
e le liscivie
Dove sono finiti?
Il fabbro
Il fabbro lavorava il ferro nella sua piccola bottega.
Con l’incudine, le pinze, le tenaglie, i martelli, modellava le barre di ferro incandescenti, rese tali dal carbone
ardente della fucina, che
diventavano zappe, vanghe,
mannaie, accette, falci e
picconi.
Il fabbro era anche maniscalco. Aveva già belli e pronti, appesi ai muri della sua
bottega, ferri di diversa misura che venivano fissati agli
zoccoli dei cavalli con chiodi dalla capocchia quadrata.
Il maniscalco con cura e attenzione svolgeva il suo delicato lavoro preoccupandosi di non provocare alcun
dolore al cavallo che veniva utilizzato nei lavori dei
campi, come bestie da soma e per gli spostamenti.
Il calzolaio
Il calzolaio, indossando un lungo grembiule di cuoio,
si avvicinava al bischetto, che era un tavolino quadrato,
con quattro piedi e due tiretti
dove venivano riposti gli utensili, si sedeva sopra una sedia
impagliata e sulle ginocchia posizionava un’incudine metallica
a forma di piede rovesciato utile per inchiodare, incollare o
riparare le scarpe.
Il suo lavoro consisteva principalmente nella riparazione delle scarpe: era meno costoso ripararle che
comprarle anche se a volte realizzava scarpe di tutte le
misure.
La sua bottega era impregnata di forti odori di colla,
pece, grasso, cromatina ed era considerata da molti
paesani un punto di ritrovo per scambiare due chiacchiere con il calzolaio che parlava senza distogliere lo
sguardo dal suo lavoro.
A luscij da zeit
A luscij da zeit era considerata l’inizio dei festeggiamenti e durava alcuni giorni. Veniva organizzata dalla
mamma della sposa
che dopo aver posizionato “ tin, tinell e
strukulatur”
sulla
strada adiacente alla
propria abitazione,
invitava vicine di casa
e parenti al lavaggio
della dote. Oltre al
sapone, veniva usata anche la cenere utile per eliminare le macchie , ma soprattutto le tracce dei disegni che
servivano da guida per il ricamo delle lenzuola. Il bucato veniva poi steso al sole e infine stirato con il ferro a
carbone. Tutto avveniva in allegria tra canzoni e stornelli.
Gli alunni della III A Primaria
Così abbiamo scoperto la Peschici di ieri
Ci siamo quasi... sta arrivando il momento conclusivo del progetto "SAPERI, SAPORI E TRADIZIONI DEL
MIO PAESE".
Non vediamo l'ora di poterci esibire davanti ai nostri genitori e alle persone che verranno a vedere cosa
abbiamo preparato.
Siamo un po' emozionati perché anche l'organizzazione più perfetta può riservare delle sorprese...
Comunque, alla fine, quello che conta è il percorso
didattico che c' ha permesso di imparare tante cose.
Per noi alunni di 5a è stato un susseguirsi di esperienze formative e divertenti.
Grazie all'impegno delle nostre maestre, dei nostri
genitori e degli esperti abbiamo esplorato il mondo
delle nostre tradizioni.
Quante storie interessanti, quanta saggezza, quanto
ingegno hanno avuto i nostri nonni...
Noi siamo rimasti veramente stupiti per la loro tenacia, le loro capacità creative e soprattutto per il loro
modo di vivere, così semplice e solidale, così diverso
da quello di oggi.
Attraverso molteplici attività abbiamo scoperto Peschici di ieri: le abitudini, le usanze, la vita di ogni giorno, mestieri ormai scomparsi e la profonda religiosità
di un popolo, che su uno scoglio, proteso sul mare, in
piccole case bianche, giorno dopo giorno, affrontava la
fatica di una vita dura e difficile dove si gioiva anche di
piccole cose.
Abbiamo imparato tanto e tanto c'è da scoprire per
apprezzare la bellezza del nostro territorio e diventare
cittadini consapevoli delle nostre radici culturali.
Classe 5A, Scuola Primaria
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Una figura oscurata dai mezzi di comunicazione moderni
Il civico banditore
Una
delle
figure
più
fruttivendolo, come anche l 'arrivo dell'arrotino o del
'pittoresche che un tempo anivenditore di vestiti.
mavano la vita delle nostre coSpesso il banditore assumeva un portamento marmunità, uno dei mestieri ormai
ziale: si piantava a gambe divaricate in mezzo al crocescomparsi è senza dubbio quello
via e dopo i classici squilli della sua trombetta aspettadel civico banditore.
va che la gente spalancasse usci e finestre e si radunasUn tempo per le vie del paese, si poteva ascoltare il
se tutt'intorno a lui.
richiamo degli ambulanti, che propagandavano merci
Per quanto concerne il bando eseguito per conto
sia in acquisto che in vendita: chi ha uova da vendere,
dell'Amministrazione comunale, il banditore era pagachi ha da vendere olive, chi vuole ritirare capelli caduti
to dal Comune, nel secondo caso dal commerciante
in sede di pettinatura oppure stracci di stoffa, in camche aveva commissionato il bando. Quando il banditobio di aghi, o pettini, o spagnolette di cotone.
re esercitava il suo compito per qualche mercante il
Non era infrequente in passato imbattersi per strada
compenso a volte consisteva in una sorta di baratto; il
nel banditore.
banditore esercitava la sua arte e il venditore lo pagava
Fino alla fine degli Anni '50 le Amministrazioni coin natura, cioè con la sua merce: frutta, verdura, pesce
munali si servivano di un banditore per comunicare ai
ed altri generi che egli stesso aveva pubblicizzato.
cittadini eventi, ordinanze e
Spesso, richiamati dal
notizie riguardanti la vita del
suono della trombetta o del
Comune o alcune scadenze o
tamburo, intorno al bandiadempimenti.
tore si radunava una flotta
Esistevano diverse tipolodi ragazzi che, con il loro
..."u tembe"
gie di bandi. I più importanti
assordante vocio, riuscivaMaletembe a mundagn, pigghie a zapp e va a
erano quelli delle istituzioni e
no ad annullare la sonorità
guadagn . Maletembe a mareine pigghie a tejelle
si davano per alcune sere,
delle parole del banditore.
e va a kuceine.
all’imbrunire, quando già la
Essi erano prontamente
Traduzione: cattivo tempo verso la montagna ,
popolazione era raccolta in
richiamati dalle mamme,
prendi la zappa e va a guadagnare. Cattivo tempo
casa.
desiderose di ascoltare le
verso la marina, prendi il tegame e va a cucinare.
L'annuncio poteva riguardare
novità annunciate nel bansia
una
comunicazione
do.
Poure nu llorge rutt dauje volt o journe segn
dell'autorità, sindaco o podeI banditori decantavano
l'aura giuste.traduzione.
stà che fosse, sia una comunicon cantilene musicali il
Traduzione: anche un orologio rotto due volte
cazione commerciale.
prodotto, creando un'atmoal giorno segna l'ora giusta. (Anche uno sciocco
Solo alla fine venivano i
sfera particolare. La voce
può dire per sbaglio una cosa giusta).
cosiddetti "consigli per gli
del banditore echeggiava
acquisti", annunci pubblicitari
nei vicoletti con i toni alti e
Loune a levande mare mangande. Loune a puriguardanti carne fresca di
bassi della voce. Decantare
nende mare Kressende.
bassa macelleria, frutta, vino
la merce era un mestiere
Traduzione: luna a levante marea bassa . luna
novello o vecchio al dettaglio:
che spesso si tramandava
a ponente marea alta.
"Se volete acquistare un litro
da padre in figlio. Quando si
di buon vino dovete andare
percepiva la voce del bandiKraje jè sembe u jurne ke ce tene kkjù ke ffa
alla cantina di....E' arrivato in
tore le donne aprivano le
jind'a settemane.
piazza un commerciante di
finestre o i balconi o uscivaTraduzione: domani è sempre il giorno più imstoffe, di pesce, di carbono sull'uscio di casa.
pegnativo della settimana.
ni....affrettatevi perché non
Famosi banditori peschiporta con sé un gran quanticiani: Carlin Tarall, Giuann
tativo di merce".
Fallicch e Colantoniì.
Il banditore del paese al mattino annunciava l'arrivo
al mercato coperto del paese del pescivendolo, del
Domenico Vecere, IV B PRIMARIA
Il tempo in qualche proverbio
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Dal pane alla pasta ed all’olio extravergine d’oliva: gusto e genuinità
La cucina ed i dolci tipici del Gargano
Guardare una tavola imbandita con piatti e prodotti
del Gargano è un piacere che coinvolge tutti i sensi.
Si resta subito affascinati dalla varietà dei colori della frutta, piatti di carne e di pesce come quelli della
cucina delle Isole Tremiti, verdure, formaggi e minestre. I colori ed i profumi sono rafforzati dalla presenza
costante del prezzemolo, del basilico, dell'aglio, dei
capperi, dell'origano, della rucola selvatica.
La cucina tradizionale garganica è spesso frugale.
Il pane confezionato in grandi panette, la pasta fresca, l'olio extra vergine di
oliva, gli ortaggi, le verdure
selvatiche, il pesce , i crostacei, i molluschi, e la carne
caprina costituiscono gli elementi nell'elaborazione dei
piatti.
Gustare le pietanze, assaporare le ricette e le combinazioni di cibo non è l'ultimo
atto del viaggio attraverso la cucina del Gargano.
La tipicità delle pietanze è assicurata dall'uso di ingredienti frutto di una produzione locale che continua
a garantire continuità con il passato.
Il pane e la pasta casareccia costituiscono da sempre
i pilastri culinari su cui vengono costruite la stagrande
maggioranza delle preparazioni.
Con il pane insaporito dall'immancabile olio extra
vergine d'oliva e rinfrescato dai pomodori si prepara,
ad esempio, la bruschetta, il pancotto, la caponata.
C'è la storia di questa terra che inizia a parlare e raccontare delle invenzioni culinarie, a volte dettate dalla
ristrettezza di mezzi che hanno permesso combinazioni
tra cibi montanari e marini o lacustri, delle molte popolazioni che in Gargano sostarono e che ne contamina-
rono le tradizioni
alimentari.
Secondo racconti del passato
si narra di alcuni
pescatori che per
alimentarsi si portavano un fazzoletto nel quale era
avvolto del pane e delle cipolle e che per renderlo ancora più saporito e sostanzioso vi inserirono delle acciughe appena pescate: oggi in molte case si prepara la
famosa paposcia riempita con cipolla giovane
(sponsale) cotta insieme alla pasta di acciughe.
Tra le altre prelibatezze che fanno felice il
palato: agnelli, capretti,
anguille, soppressate,
insalate di arance e limoni, ostie ripiene,
cartellate, caciocavalli, fave e cotiche, zuppe di lumaca,
vincotto di uva o fichi, fichi d'india, maccheroni con il
ragù di capra o in versione marina i troccoli al sugo di
seppia alla peschiciana. Il viaggiatore non potrà non
innamorarsi del sapore particolarissimo dell'olio extra
vergine di oliva che il territorio del Gargano produce
generosamente con la DOP Dauno che si ottiene da
olive provenienti dalle pregiate varietà Peranzana, Coratina e Ogliarola e che può essere degustato lungo la
strada dell'olio della Provincia di Foggia, che viene divisa in tre itinerari: "Garganico-Provenzale, Il Tavoliere e
le saline, I Monti della Daunia.
Domenico Vecere, IV B PRIMARIA
I nostri sponsor
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Martedì 19 Aprile,
Atrio Scuola Primaria
Manifestazione a getto continuo nel nostro Istituto nell’ultima parte dell’anno scolastico.
Da segnalare, fra le altre, la
cerimonia di Premiazione Inventa un Logo.
Per valorizzare la storica
nascita dell’Omnicomprensivo,
qualche mese fa è stato bandito un concorso per la creazione
di un nuovo logo per il neonato
Istituto.
Molti alunni dei vari gradi
dell’Istituto hanno presentato
la loro proposta: un disegno
corredato da una relazione
esplicativa.
Con la tipica foga giovanile, i
vari partecipanti chiedevano
continuamente al Prof. Michelino Di Perna - incaricato di raccogliere i vari - informazioni sul
risultato, sentendosi rispondere che a breve avrebbero saputo.
Il Concorso ha coinvolto vari alunni dell’Omnicomprensivo
Premiazione di Inventa un logo
Il Manifesto ufficiale della cerimonia
Siamo così giunti al fatidico
momento della verità: il 19
Aprile, alle ore 18.00, nell’Atrio della Scuola Primaria, ci
sarà la premiazione del vincitore, a cui andrà la Borsa di
Studio Luigi D’Arenzo, e di tutti
coloro che hanno partecipato
al Concorso.
Dopo gli interventi di rito
del Prof. Valentino DI Stolfo,
Dirigente Scolastico, del Sindaco e di Matteo Elia Biscotti,
amico del compianto Luigi, ci
sarà un’esibizione dell’Orchestra Libetta.
Infine il pittore Matteo Fiorentino consegnerà i premi.
Chi è il vincitore? Nonostante le insistenze, neppure
ad Omni-News è stato fatto il
nome.
Per saperlo, quindi, bisogna
aspettare la serata di martedì
Venerdì 8 Aprile la nostra voce sul quotidiano pugliese più diffuso
Una pagina per fotografare la realtà locale
Da oltre 10 anni la
nostra Scuola - prima
come Liceo ed ora come
Omnicomprensivo, partecipa al NewspaperGame, insieme a tante
altre dell’Italia Centromeridio nale.
La pagina di quest’anno è stata pubblicata Venerdì 8 Aprile
all’interno della sezione
La Gazzetta di Capitanata.
Comprendeva 4 articoli: uno sulla vicenda di Rebecca
Losito; un secondo sul Progetto Saperi Sapori; il terzo sulle
difficoltà di raggiungere il Gargano, a causa della mancanza
di comunicazioni adeguate. L’ultimo articolo verteva
sulla splendida Orchestra Libetta, un fiore all’occhiello
del nostro Istituto.
La novità di quest’anno riguarda il fatto che si potrà
votare la pagina preferita tramite il WEB.
Gli articoli pubblicati sul cartaceo sono stati ripubblicati sul sito della Gazzetta del Mezzogiorno nella categoria NewspaperGame ed è possibile votare gli articoli.
La scuola che riceverà il maggior numero di apprezzamenti—i famosissimi “mi piace” - sarà eletta vincitrice.
Per votare basta registrarsi al sito della Gazzetta del
Mezzogiorno, cercare nella barra di ricerca Istituto Omnicomprensivo Libetta e cliccare a fine articolo sul pollice in alto.
PAG
32
Continuazione da pagina 1
Un passo indietro, per guardare avanti
ranno in scena alcune scenette e canti popolari, mentre alcuni bambini si cimenteranno con lavori di artigianato e ricamo.
All’Arco Zaffarano, gli alunni delle classi dell’Infanzia si esibiranno in canti popolari e mostreranno anch’essi dei lavori compiuti.
Successivamente a Via Le
Ripe le classi Quarte della Primaria faranno vedere una
delle più importanti tradizioni
peschiciane: come si lavora la
pasta e il pane, ma non solo…
anche loro si esibiranno in
danze e canti tradizionali.
Le classi Seconde della Primaria, sempre a Via Le
Ripe, mostreranno alcuni lavori tipici ortolani e contadini, con canti sui lavori
della terra.
Questa prima fase si concluderà, a Via Le Ripe , con
le classi Terze della Primaria che daranno vita a mostre di lavori contadini, lavandaie, eseguendo stornelli
e canti tradizionali peschiciani.
Alle ore 19.30 a Piazza del Popolo incomincerà
un’esibizione dell’Orchestra Libetta della Scuola Secondaria di I Grado e del Gruppo canoro del Liceo
Scientifico.
La straordinaria giornata si concluderà con una festa collettiva, con balli e danze libere insieme al DJ
Luciano, al gruppo folkloristico I Rascill di Mario Fasanella e alle palestre Athletic Club e Fitness Dance sempre in Piazza del Popolo, mentre ci saranno degustazioni di prodotti tipici locali offerti dai genitori presso
le varie postazioni.
Per la presentazione dell’intero Progetto, è stato
indetto un Convegno, che avrà luogo Mercoledì 20
Aprile 2016 presso l’Atrio delle Scuole Elementari, a
Il n. 5, Anno XI, di Omninews è stato stampato presso la sede del Liceo Scientifico di Pèschici
- Via Solferino n. 19 - il giorno 19 Aprile 2016.
Redazione
-
Alla realizzazione di questa Edizione
hanno contribuito:
Piracci Nicola
Marino Gianluca
Vescia Federica
Langianese Maria
Bonsanto Giorgia
Soldano Carmine
Ed i docenti:
Angelo Piemontese e Imelda Palazzo
Disegni originali: Nicola Pir acci
Impaginazione: Pr of. Angelo Piemontese