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ISLAM, I PILASTRI DEL CONFORMISMO
“Siamo stati noi”
Primo netto j’accuse di un leader
religioso islamico contro al Qaida
E Sistani scomunica Qaradawi
ANNO IX NUMERO 283 - PAG I
IL FOGLIO QUOTIDIANO
MERCOLEDÌ 13 OTTOBRE 2004
Roma. “Siamo stati noi musulmani a rubare il futuro dei giovani che hanno portato
a compimento gli attentati dell’11 settembre
e a peccare contro di loro. A causa della nostra visione nociva della religione, dei nostri
predicatori che incitano dai pulpiti, dei nostri media violenti, non siamo riusciti a dare valore e significato alla loro esistenza, li
abbiamo incitati a morire in nome di Allah,
non abbiamo insegnato loro a vivere in nome di Allah”. Abdel Hamid al Ansari, decano della facoltà della sharia all’Università
del Qatar, ha infranto ieri, per primo, la cappa di omertà che tutto il mondo musulmano
ha steso attorno ad al Qaida.
Ha attaccato la vulgata in voga nei paesi
arabi che attribuisce quegli attentati (come
i successivi) al Mossad; ha riconosciuto – clamoroso inedito – le radici coraniche dell’antisemitismo; ha preso le distanze dalla
teoria dei progressisti e di tanti intellettuali musulmani che vuole che il terrorismo
islamico nasca come reazione alle “malefatte dell’occidente” e l’ha iscritto, invece,
“nell’album di famiglia” della recente tradizione musulmana, assumendone con dolore la responsabilità indiretta. La presa di
posizione ha valore enorme perché a tutt’oggi non un dirigente religioso musulmano,
non uno, ha mai emesso una fatwa, vincolante per i fedeli, che proibisca l’affiliazione ad al Qaida, che critichi l’operato complessivo, la strategia dei bin Laden. I pochi,
pochissimi leader religiosi musulmani che
si sono espressi si sono limitati a condannare i singoli atti, le singole iniziative – a partire dall’11 settembre – ma mai si sono esposti contro la visione del mondo fondamentalista, che crea il retroterra del terrorismo
islamico e fonda la sua popolarità. Al Ansari ha avuto questo coraggio ed è partito nel
suo ragionamento dal punto critico: la tendenza di tutto il mondo arabo a dare la colpa di ogni cosa, anche del proprio terrorismo, agli ebrei e a Israele. Nelle stesse ore
in cui alla televisione egiziana, come su tutti i media carioti, “intellettuali” e “analisti”
di regime (tutti a libro paga del “moderato”
Hosni Mubarak) sostengono che gli attentati di Taba sono opera del Mossad e che non
è vero che vi sono morti israeliani, al Ansari questo scrive sul quotidiano del Qatar al
Raya, a proposito dell’11 settembre: “Nonostante la chiara evidenza, le indagini e le
confessioni, gli arabi sono poco propensi ad
accettare che dietro ciò che è successo c’è
un gruppo proveniente da noi, perché non
vogliamo ammettere che questi giovani erano i figli di una cultura che è ostile verso il
mondo, non degli idioti o dei pazzi. Nessuno
ha irretito questi attentatori suicidi che hanno agito perché erano convinti che quello
era Jihad e martirio. E loro erano i nostri figli. Erano nostra responsabilità”.
Lo sceicco “sostiene il terrorismo in Iraq”
Al Ansari non si limita all’attacco ai predicatori che dalle moschee e dalle tv arabe
diffondono incitazioni alla morte. Per la prima volta da un pulpito di prestigio islamico,
affronta di petto il tema più scabroso per la
cultura musulmana: le origini coraniche
dell’antisemitismo. Ricorda che vi è negli
“Hadith” e nella tradizione coranica che costituisce il corpo della Sunna la figura chiave di un ebreo convertito all’Islam, Abdallah ibn Saba, che avrebbe ordito, all’interno
della umma, i grandi tradimenti, le grandi
lacerazioni che hanno distrutto la potenza
dei musulmani. Al Ansari, con straordinaria
onestà intellettuale, ricorda e ammette che
la teoria del “complotto giudaico” ha una sola origine: la vicenda coranica. Là dove i cristiani perseguitavano gli ebrei in quanto
deicidi, i musulmani li perseguitavano nel
ripercorrere la “politica” formalizzata da
una Sunna che vede Maometto uccidere a
freddo nel 627 dopo Cristo, quinto anno dell’Egira, i 600 ebrei Banu Quraiza, ragazzi inclusi, con l’accusa di avere “violato il patto”
con la comunità musulmana. E’ un’affermazione di capitale importanza, sempre occultata dai tanti cultori del “dialogo interreligioso” che si è sviluppato dopo il Concilio
vaticano II, sempre ignorata, per incultura,
soprattutto da un’intellighenzia europea che
non ha mai voluto comprendere che dietro
il “rifiuto arabo di Israele” non c’era solo
una questione nazionale, di terra, ma anche
e soprattutto un “a priori” teologico e antiebraico, fondato sulla tradizione musulmana.
Coerentemente, al Ansari chiude il ragionamento toccando un altro argomento scabroso e ignorato dalla cultura europea: il credito che nel mondo arabo e musulmano hanno
i “Protocolli dei Savi Anziani di Sion”, che
modernizzano e attualizzano la teologia musulmana del complotto ebraico e la rendono
planetaria: “La nazione arabo-islamica è l’unica che crede ancora che i ‘Protocolli’ siano
veri, malgrado sia stato provato che sono
opera dell’Okhrana zarista. Invece di dare loro credito, dobbiamo interrogarci per trovare il modo di estirpare le radici dell’odio tra
musulmani ed ebrei, così da capire e afferrare meglio e più approfonditamente ciò che
è successo e sta succedendo nel nostro mondo complesso”. Al Ansari è il contraltare
perfetto di un altro punto di riferimento islamico che opera in Qatar, lo sceicco al Qaradawi, gran frequentatore di meeting sul dialogo interreligioso, gran dispensatore di proclami su al Jazeera e grande equilibrista capace di ammaliare i cultori del politically
correct, ma non certo al Sistani. Ieri il grande ayatollah sciita iracheno, per bocca del
suo portavoce in Kuwait, Muhammad Baqir
al Hamdi, ha scomunicato Qaradawi perché
“sostiene il terrorismo in Iraq” ed emette
fatwe “terroriste”. E’ la pesante parola fine
detta dal grande ayatollah anche sulla credibilità che ambienti diplomatici francesi e
italiani hanno dato ad al Qaradawi in occasione della crisi degli ostaggi.
Carlo Panella
Un Dio, una famiglia, un Libro. Il teologo Ellul non ci sta
a circa una decina d’anni, gli intelletD
on siamo teologi. Non siamo professotuali francesi sono presi da un amore
N
ri. Eppure pubblichiamo “lezioni di
smodato per l’islam. Non facciamo che legteologia”. Perché? Perché il terrorismo
gere elogi dell’islam a tutti i livelli. Religione dell’ultimo assoluto, ricca di civiltà,
umanesimo profondo, devozione spirituale; tutto questo, ben inteso, viene messo in
contrappunto col volgare materialismo
della nostra barbara civiltà, la nostra sete
di denaro, la nostra passione per il lavoro,
la nostra tecnicizzazione disumanizzante.
Varie volte, mi è capitato di leggere che la
“vittoria” di Poitiers nel 732, quando vennero schiacciati i “saraceni”, fu un disastro
per la civiltà, che gli arabi erano mille volte più civili dei barbari francesi di Carlo
Martello, e se i vincitori fossero stati gli
arabi avremmo potuto beneficiare di una
civiltà, d’una cultura, d’una organizzazione
sociale di gran lunga superiori alla nostra.
Si mette in risalto l’alta qualità del regno
di Granada, sia per l’arte sia per la letteratura, e purtroppo, ancora una volta sono i
barbari del nord a essere riusciti a scon-
Intellettuali europei pervasi da
un amore smodato per l’islam
tanto da riscrivere la storia:
Poitiers è stato un disastro
figgere una così bella creazione. Mi è pure
capitato di leggere che dovremmo essere
noi ad andare a scuola di saggezza e spiritualità musulmane, troveremmo così una
risposta oltreché un compenso all’intollerabile insignificanza del nostro occidente.
Alcuni hanno cominciato a combattere
coraggiosamente le “leggende” inventate
dagli occidentali sui massacri che gli arabi e i turchi avrebbero perpetrato durante
le loro conquiste. Altri hanno cercato di dimostrare che sono stati gli europei ad aver
cercato, da sempre, di attaccar briga coi
paesi arabi, e per dirla tutta, mi è anche
capitato di leggere che a fare scorrerie per
il Mediterraneo saccheggiandone le coste
non erano i pirati barbareschi, ma gli europei; del resto, argomento sorprendente,
uno dei gran capi di quei “pirati”, il Barbarossa, era un europeo! E un noto intellettuale amico mio ha proclamato davanti
a me che il Corano era “il più grandioso e
più perfetto di tutti i poemi del mondo”.
Potrei continuare l’elenco di testimonianze del fervore e dell’ammirazione verso l’islam da parte di molti intellettuali francesi. Per non sembrare da meno, anch’io mi
sono tuffato nel Corano, in una piccola raccolta degli Hadiths, nei libri sull’islam e,
alla fine, nulla ho trovato di quel che mi
avevano promesso. So bene però che è
completamente inutile discutere di passioni intellettuali di quest’ordine, e procedere alla triangolazione “Corano-società
musulmane-conquiste” era un’impresa
smisurata, dato che studiare i fatti della
conquista e la condizione dei vinti andava
oltre la mia competenza, come lo era pure
del resto mettersi a studiare seriamente il
Corano, che va letto in arabo, se si vogliono evitare controsensi banali. Dunque per
me restava aperta una questione irrisolvibile: come avevano potuto sbagliarsi così
radicalmente sull’islam tutte quelle generazioni di arabisti, che ne l’avevano descritto all’insegna del terrore e della minaccia? Come s’era potuta formare un’unanimità di opinioni a proposito delle conquiste islamiche (fondandosi, oggi si dice,
su fatti inesatti)? E come hanno potuto vivere nel terrore di pirati barbareschi intere generazioni di popoli che s’affacciavano
sui bordi del Mediterraneo? C’è un mistero, in tutti questi interrogativi, che non ho
mai visto spiegare e nemmeno affrontare;
un mistero che riguarda la creazione di
un’opinione pubblica perdurante, anche
se oggi viene considerata del tutto falsa.
Certo oggi la situazione è “cambiata”, la
verità è stata “ristabilita”. Il Corano è un libro di preghiere, altamente mistico (è noto
che, in maniera pressoché unanime, ci
spiegano che il jihad, la guerra santa, non
è affatto una guerra contro dei nemici, ma
una battaglia spirituale che va combattuta
dentro di sé). Le “conquiste” musulmane
sono del tutte pacifiche e in genere si preferisce restare nel vago (tanto che l’Encyclopedia Universalis scrive: “Dal VIII al XI
secolo l’islam si è espanso…”, ma evita accuratamente di dire in che modo. Si è
Un’immigrazione imponente
nei confronti della quale si teorizza
il dovere dell’accoglienza, ma pure
quello della gratitudine
“espanso” da solo, con un’operazione magica o spirituale…). Quanto ai massacri, alle oppressioni dei popoli cristiani eccetera sono tutte leggende, diffuse in occidente per giustificare le nostre conquiste. Perché in tutta questa storia, i colpevoli siamo
noi, gli europei. E se ci dilunghiamo sulle
crociate, scopriamo l’orribile intervento
degli europei sul vicino oriente pacifico
(trascurando di citare le conquiste arabe
nell’impero bizantino!). Dunque, siamo in
presenza di una riscrittura del passato e
della storia, completamente a favore dei
popoli musulmani, di una reinterpretazione del Corano, e della volontà di apertura
a tutte le correnti intellettuali o spirituali
dell’islam.
Ciononostante, dobbiamo domandarci a
cosa mai può essere dovuto un simile cambiamento, così profondo e spettacolare?
Una sola causa per una “conversione” del
genere non basta. Bisogna andare a cercare nell’intreccio di fattori diversi.
Un primo fattore, evidente e massiccio,
è la presenza d’un elevatissimo numero di
maghrebini, apparentemente cinque milioni (1991), in Francia. Questi popoli dun-
non è un “fastidioso” fenomeno criminale,
come sostiene John Kerry, da sradicare o
contenere con azioni di polizia. E’ invece
una tecnica odiosa, ma storicamente spiegabile, a cui ricorre una parte consistente
del mondo islamico, l’islamismo radicale o
fondamentalista o politico, che si candida
in nome di una religione e della sua guerra santa alla guida della umma, la comunità dei musulmani, nell’attacco all’occidente, qualunque cosa questa parola signi-
fichi. Per noi quella parola vuol dire: noi, il
nostro modo di vivere diverso e libero, laico e confessionale, cristiano crociato ebraico e financo buddista. Abbiamo cominciato nei giorni scorsi con le sei puntate di un
bel saggio di Alain Besançon sulle differenze tra l’islam e il mondo giudaico-cristiano. Continuiamo da oggi con le tre puntate di un saggio del teologo (e molte altre
cose) Jacques Ellul, protestante, allievo di
Karl Barth. E’ un testo di dieci anni fa, anno della morte di Ellul, un testamento.
Spiega le differenze teologiche da
cui tutto muove.
que non li possiamo più considerare lontani e stranieri (perciò senza relazioni). Siamo costretti ad avere rapporti con loro. Ora,
la prima cosa che si continua a ripetere, è
che essi sono indispensabili all’economia
francese. Si arriva quasi a sostenere che
l’intera economia è fondata sul loro lavoro.
Se non ci fossero i maghrebini, crollerebbe
tutto, essendo evidentemente i francesi incapaci di lavorare. Di conseguenza, lungi
dall’essere noi francesi a fare un favore a
loro (la Francia terra di asilo, pronta ad accogliere i disgraziati, siano essi perseguitati politici o provenienti da paesi troppo poveri per mantenere tutta quella popolazione) sono gli stranieri a fare a noi un favore
impagabile, e siamo noi a dover essere riconoscenti nei loro confronti. Per di più,
spesso questi stranieri svolgono mestieri
che i francesi non vorrebbero più fare, assolvendo ai bisogni più penosi o ripugnanti, tant’è vero che sono “poveri” (anche se,
come sappiamo perfettamento, hanno danaro a sufficienza per mandarne alle famiglie rimaste nei paesi d’origine). Sono i poveri della nostra società opulenta (ancorché, bisogna osservare, fra i “clochards”
non se ne trovino). Il buon cuore, dunque,
specialmente quello dei cristiani, si commuove sui loro casi, aprendosi a tutte le lo-
re, di riflesso; sicché oggi sono attratti da
un aspetto che trent’anni fa sembrava trascurabile (solo gli specialisti s’interessavano all’islam) e che invece ora si impone. Il
che assume un impatto tanto più forte
quanto più noi continuamo ad avere verso
i popoli del Terzo Mondo una cattiva coscienza, da tutti i punti di vista. Cattiva coscienza di essere stati dei conquistatori (dei
“colonizzatori”) che giustificavano se stessi
sostenendo di portare la civiltà, quando invece distruggevamo le culture vive. Cattiva
coscienza di essere stati degli sfruttaturi in
quanto colonizzatori. Certo è un’esagerazione sostenere che la molla economica
dell’Europa stesse unicamente nello sfruttamento delle ricchezze di cui il Terzo Mondo veniva spogliato, ma è comunque esatta
l’affermazione secondo la quale in alcuni
settori, le materie prime del Terzo Mondo,
acquistate a prezzi stracciati, sono state poste a servizio dello “sviluppo” occidentale.
Dunque, cattiva coscienza, avvertita soprattutto dagli intellettuali (e comunque,
bisogna aggiungere, anche da un certo numero di cristiani) che adesso produce un
sentimento di simpatia per tutto ciò che è
africano, magrebino eccetera.
Non posso fare a meno di aggiungere un
tocco di perfidia: questa cattiva coscienza,
ro richieste. Inoltre si tratta di stranieri
(“Tratterai lo straniero come uno dei tuoi”
ricordano i cristiani), ai quali dunque bisogna offrire maggior aiuto che agli altri.
Sì, ma tutto questo cosa c’entra, si dirà,
con la nostra mutata comprensione, con la
nostra apertura verso l’islam? Il più delle
volte questi immigrati sono musulmani solo di nome, solo formalmente. Così come il
50 per cento dei francesi sono “cattolici”, e
del cattolicesimo conservano riti, feste,
giorni feriali… e nient’altro. Per capire la
realtà, bisogna tener conto del fenomeno,
da me studiato altrove, della “rimanenza
del religioso” – vale a dire del fatto che uno
che di nome, tradizione, famiglia appartiene a una religone, è sempre suscettibile di
ridiventare un fervente religioso e addirittura settario se si produce uno “choc”, una
persecuzione, un risveglio che emana da un
piccolo gruppo mistico, l’ingiustizia in un
paese che pratica un’altra religione eccetera. I riti che sono stati conservati rendono l’uomo aperto e ricettivo a una rinascita
religiosa. Ed è questo il caso in cui ci troviamo oggi, perlomeno in Francia. Da un lato c’è il tuffo in una società laica (inconcepibile per un uomo cresciuto in un mondo
islamico), dall’altro lato, sappiamo che un
po’ da per tutto si sta producendo un risveglio islamico. E questo, contrabbandato,
diffuso dai media, assume proporzioni che
forse non ha nemmeno nella realtà (il Fis
in Algeria per esempio è un’infima minoranza, temperata dalle autorità, ma per gli
ambienti algerini in Francia è una minoranza assai influente). Sono questi i fattori
che contribuiscono a ravvivare la religione
musulmana nei maghrebini in Francia.
Di conseguenza, noi qui abbiamo un insieme di fattori che convergono per imporre il fatto musulmano ai media, agli intellettuali e alle popolazioni che vivono a contatto con gruppi maghrebini. Ora, questo è
un fatto nuovo che assume importanza in
quanto tale. Un gruppo ebreo o protestante
non pone problemi, rappresenta una situazione nota e consolidata. Non presenta novità, e nemmeno sorprese, dunque non attira l’attenzione sul suo credo o sul suo modo di vivere la fede. L’attenzione invece viene a essere calamitata dal credo musulmano, che i nostri intellettuali non possono
che cercare di conoscere e di comprende-
in ogni caso, è nata a partire dal momento
in cui noi siamo stati vinti. Finché eravamo
i più forti, abbiamo continuato ad avere la
buona coscienza del “civilizzatore”. Per
esempio, l’interesse verso i popoli maghrebini, è suscitato dalla loro vittoria, dalla loro potenza militare, così come l’interessse
verso i popoli del medio oriente coincide
con la potenza petrolifera e la crisi del
1973-1974. Altro esempio, la guerra dell’Iraq, in realtà per il mondo arabo è stata un
pieno successo, perché per vincerla s’è dovuta mobilitare l’intera potenza americana.
Dunque rispetto, grandissimo rispetto: noi
non siamo più i più forti. Così tutto fa brodo: la buona volontà verso i maghrebini
semplice manodopera sfruttata, la cattiva
coscienza occidentale, a causa del passato,
il rispetto per la nuova potenza, per concentrare l’attenzione sul fenomeno arabo e
suscitare interesse. Un interesse che si sofferma su ogni aspetto, e ben inteso su una
religone, che, al tempo stesso rinasce nella
sua intransigenza fra gli stessi arabi. E’
questo dunque il fatto globale, il fatto più
particolare, la tendenza verso un’adesione
a questa religione.
Prendiamo i francesi, la maggioranza sono tutti laici e liberi pensatori: finché la laicità è stata un’idea per la quale battersi, ha
dato un senso alla vita di quanti combattevano la Chiesa cattolica (principalmente).
Ma da quando la laicità, la repubblica, l’agnosticismo hanno perso piede, non destaJACQUES ELLUL (1912-1994), storico,
sociologo, teologo, pioniere dell’ecologia
politica nel solco del personalismo di Mounier, critico del moderno, della civiltà dell’immagine, delle illusioni postcristiane,
questo Heidegger francese confessava:
“Descrivo un mondo senza scampo, con la
convinzione che Dio accompagni l’uomo in
tutta la sua storia”. Fra le sue opere, una
sessantina che ne fanno un incatalogabile:
la “Storia delle istituzioni” (Mursia), la
“Storia della propaganda” (Esi 1983),
“Anarchia e cristianesimo” (Eleuthera
1993), “Métamorphose du bourgeois”
(1967), “Autopsie de la Révolution” (1969).
“Trahison de l’Occident” (1975), “La subversion du christianisme” 1984.
no più molto interesse! Ora, questo è fatto
che nella nostra contraddittoria società accompagna altri fatti rilevanti: l’assenza della morale (nel senso ampio di un dover essere, e non solo di un conformismo), il fatto
che non si creda più in alcun valore, gli ultimi come il patriottismo o il socialismo sono completamente esauriti. No crediamo
più in niente. Non troviamo più un senso
nobile alla vita, guadagnare soldi o essere
ossessionati dalla velocità non bastano più
a darle un significato. Il lettore però non mi
fraintenda: personalmente non attribuisco
alcun valore alle ideologie (so fino a che
punto possono essere pericolose – nazismo,
comunismo); mi limito solo a constatare che
nessuna società riesce a vivere senza un insieme di convinzioni comuni e senza un’ideologia che offra una ragione per stare insieme. E all’improvviso arriva per miracolo
una fede forte, con tutto il corpus di dottrina che le dà un senso: verità proclamata, riti, morale specifica, comportamenti assoluti, intransigenza… Come non essere attratti
La forza di una religione in
risveglio e la stanchezza di una
cultura che non crede più in nulla
ed è ormai incapace di battersi
da questo pieno di ricchezza che viene a
colmare il nostro vuoto? Certo, gli integralisti fanno paura; ma adesso intorno a noi ci
sono tanti musulmani devoti e piacevoli negozietti – dopo tutto perché no? Gli intellettuali vi trovano una rinnovata possibilità di
un senso e di una verità (pur spogliando
questa verità del suo carattere religioso; ma
vi è tanta ricchezza nei filosofi musulmani,
hanno già portato tanti di quei lumi che noi
ignoravamao – al Kindi, al Farabi, Avicenna, Averroé… Cose da farci uscire dalla
monotona polemica hegeliana…!)
In altri termini, l’arrivo in forze del mondo musulmano in occidente sembra più
una possibilità di reviviscenza della nostra
cultura che un pericolo. Una volta passato
in rassegna questo breve panorama, resta
da dire una parola sui cristiani. Anche i cristiani avvertono l’attrazione, provocata dalla presenza a noi prossima, dalla serietà,
dall’esistenza stessa di questa religione, e
da tante (apparenti) prossimità. Le occasioni di dialogo tra musulamani e cristiani si
moltiplicano. E questi ultimi, per quanto ne
abbia potuto vedere io, sono assai restii
nelle loro affermazioni. Siamo ben lontani
dal trovarci di fronte a un cristianesimo duro e puro che si afferma in quanto tale. Durante uno di questi convegni ho avuto modo di ascoltare un famoso teologo cattolico
dire che dialogava sul tema di “Dio” con un
teologo musulmano, senza manifestare alcuna riserva sul Dio in questione. Ed è persino riuscito ad arrivare alla fine del convegno senza nemmeno pronunciare il nome
di Gesu Cristo. Il fatto è che, al di là di tutte le suaccennate ragioni, i cristiani sono
comunque attratti da una religione intransigente e senza pecca, d’un estremo rigore
logico, anche se piena di mistici illustri. I
cristiani avvertono benissimo la fiacchezza
del loro credo comune, il generale disinteresse per il cristianesimo (anche se constatano il grande bisogno di fede, di un senso
religioso che c’è nella nostra società). Le
chiese si svuotano. Non c’è più uno sforzo
di evangelizzazione, i gruppi legati alla
chiesa scompaiono uno per volta… Vari
metodi sono stati tentati, ma i giovani ormai
vengono attratti da cento altre cose. Si sono
volute rinnovare le liturgie, senza riflettere
sul fatto semplicissimo che ormai solo i seguaci del culto e i fedeli della messa sono
in grado di sapere che la nuova liturgia è
più accessibile, più viva, della vecchia. Chi
ne resta estraneo continua a non esserne
attratto, e a non sentirsene coinvolto. E in
mezzo a loro…. un popolo completamente
religioso (perché i cristiani continuano a
dare un valore generico al “religioso”, essendo ormai il “cristianesimo” una religione come le altre). Ho già dimostrato l’opposizione totale tra la religione e la Rivelazione biblica, per riproporla qui. Dunque,
islam, cristianesimo, una religione vale l’altra. Certo, questi cristiani non sono pronti
a rinnegare Gesù Cristo, lungi da me il sospetto! Escluso questo, però (e ci sono già
state tante altre interpretazioni della specificità del cristianesimo), non possiamo
Anche i cristiani, che avvertono
la fiacchezza del loro credo, si
sentono attratti da una religione
intransigente e senza pecca
trovare un terreno d’intesa? O perlomeno
di dialogo? Da lì abbiamo iniziato, e bisogna ammettere che l’impresa ha avuto abbastanza successo. Basta sfumare alcune
particolarità, togliere lo sguardo dal giudizio (immutato) che i musulmani hanno di
ebrei e i cristiani. E poi, ormai da qualche
anno abbiamo cominciato, (da parte cristiana) a cercare gli elementi di una parentela. Il che in fondo è stato abbastanza facile. Primo aspetto indiscutibile, si tratta di
religioni monoteiste. Secondo, sono religioni del “Libro”: un libro santo da qualsiasi
parte lo si guardi, che meraviglia, che bella base comune! Alla fine, abbiamo cominciato a ricordare che gli arabi discendono
da Ismaele, e di conseguenza tutti noi siamo discendenti di Abramo.
Se ho deciso di scrivere questo opuscoletto, è proprio a causa del successo di questi tre argomenti che attestano la parentela
dell’islam e del cristianesimo. Sono i tre
principi che intendo esaminare, sperando
di dimostrare che si tratta di parole al vento, prive di significato.
(1. continua)
Jacques Ellul
(traduzione di Marina Valensise)
Terroristi islamici
Civiltà cattolica dice quello che
le gerarchie cattoliche non dicono,
ma insistono perché sia scritto
Roma. Ogni quindici giorni il direttore di
Civiltà cattolica si reca alla Segreteria di
Stato vaticana e lascia le bozze del numero
in preparazione. Si visionano, eventualmente si correggono, si riconsegnano. E se
la rivista dei gesuiti va in stampa, come nel
numero del 2 ottobre, con un editoriale non
firmato (“Tre anni di lotta al terrorismo”) in
cui si parla di “terrorismo di matrice islamica”, significa che qualcosa si muove sopra il pelo dell’acqua delle cautele di Santa Romana Chiesa. E che il messaggio a chi
ha orecchie per intendere è stato mandato.
Il vaticanista dell’Espresso, Sandro Magister, dice al Foglio che “Civiltà cattolica è la
rivista cui le più alte gerarchie affidano il
compito di dire quello che non si può dire”.
Nell’editoriale si afferma che “tre anni di
lotta al terrorismo islamico hanno conseguito scarsi risultati”, ma anche che il fanatismo ha ampiamente superato “un senso,
sia pur minimo, di umanità”. Magister osserva che una presa di posizione così netta
è inusuale, ricordando che nemmeno nel
terzo anniversario dell’11 settembre il Papa
ha pronunciato l’aggettivo “islamico” e che
l’Osservatore Romano registra ogni giorno
“attentati e sequestri, senza mai dire che sono opera di terroristi”. “Ho fatto una ricerca – dice il giornalista – e negli ultimi 40
giorni solo in un caso l’Osservatore ha usato il termine ‘islamico’. E’ stato per riferirlo
a un attacco a una chiesa indonesiana”.
Padre Khalil Samir Khalil, gesuita islamologo molto ascoltato nei Sacri palazzi, dice che “parlare di ‘terrorismo islamico’ è
esatto” perché questa “è la realtà dei fatti”.
A riprova della bontà dell’espressione, Samir cita gli articoli in cui, gli stessi commentatori musulmani, soprattutto dopo Beslan, hanno accostato i due termini. “E’ in
atto – dice al Foglio – un processo di chiarificazione, lento ma continuo, tra i cattolici,
con buona pace dei benpensanti per cui
‘islam uguale pace’. Ma ‘islam’, non è ‘salaam’”. Il direttore del Cesnur, Massimo Introvigne, si dice convinto che “è un messaggio agli ambienti della Chiesa che fino a oggi hanno dialogato con i neofondamentalisti
che condannano gli attentati, ma non se
questi sono legati a casi nazionali”. Semplificando, quei musulmani per cui: 11 settembre non lecito, 11 marzo non lecito, attentati in Cecenia, in Palestina, contro gli Usa in
Iraq, leciti. Fra le righe, insomma, è “un altolà ai cattolici dialoganti, penso a Sant’Egidio”. Eppure Civiltà cattolica, prima dell’invasione, trattava diversamente la questione irachena. Ancora Magister: “La linea
editoriale da filofrancese s’è fatta più filoamericana dopo il termine del conflitto”. E’
diminuita l’influenza del vicedirettore, Michele Simone, uomo dalle simpatie uliviste,
mentre è cresciuto il peso di Giuseppe De
Rosa “che, certissimamente, è l’autore del
commento anonimo”. Già il 18 ottobre di un
anno fa, il senior editor De Rosa firmò sulla rivista un editoriale secondo cui “in tutta
la sua storia l’islam ha mostrato un volto
guerriero e conquistatore”. Poi Civiltà cattolica ha oscillato fra le due posizioni “ma,
con il cambio al vertice Tauran-Lajolo e dopo l’attacco ai carabinieri di Nassiriyah, la
svolta è stata netta”.
Un manifesto di buone intenzioni
Nella seconda parte dell’editoriale di Civiltà cattolica si fa riferimento al “Manifesto per la vita” pubblicato il 2 settembre sul
Corriere della Sera, apprezzato anche dal
ministro Giuseppe Pisanu. Scrive la rivista:
“Se è indubbio il suo valore morale e culturale, il suo valore politico è modesto” perché “mancano le firme dei dirigenti dei
gruppi islamici che veramente contano in
Italia: per esempio il presidente dell’Ucoii”,
che, tra l’altro, continua a mantenere “i suoi
legami con i Fratelli musulmani e critica
aspramente la politica statunitense e israeliana, che per molti islamici presenti in Italia giustifica in notevole misura il terrorismo islamico”. Fine del dialogo interreligioso? Se Introvigne vede un’alternativa
praticabile “nell’islam ‘centrista’ che rifiuta la modernità teologica ma non quella politica”, Samir azzarda un’altra via: “quando
il Papa disse ‘Non c’è pace senza giustizia’,
molti intellettuali musulmani concordarono. Ma quando il Papa aggiunse ‘Non c’è
giustizia senza perdono’, quegli stessi si sbalordirono, come in presenza di categorie
spirituali sconosciute”. Allora dire “terrorismo ‘islamico’ non è una forzatura, è la
realtà” perché “non c’è dialogo senza verità
nella carità, cioè saper dire cose difficili in
modo che l’altro possa accettarle”. (eb)
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