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Sergio Bevilacqua
Gynandromakia
LIBRO PRIMO
L’amore di Mairéad
IBUC 2011
Cap9 continuazione
Arrivò fino a toccargli la gamba con il piede, sotto il tavolo, scusandosi immediatamente.
Ma il musetto arrossì, ed efelidi e luce degli occhi verde erba fecero il resto…
Bruce pensò che era probabilmente una donna dolcissima e che aveva davvero bisogno di un
uomo che l’amasse e che le donasse protezione. Il cervello aveva così trovato la giustificazione per
il contatto fisico. E anche un bel capogiro…
La strategia spontanea di Mairéad aveva ormai avuto successo.
Così, pagato il conto velocemente e usciti dal ristorante col buio, fu al primo angolo di
strada che lui la abbracciò e la baciò profondamente sulla bocca.
Lei lo tenne a sé e si abbandonò un poco nelle sue braccia forti.
Avvolti in un’ebbrezza che solo l’amore umano può produrre, abbracciati, alternarono passi
incerti a soste fatte di baci appassionati, fino ad arrivare a casa di lei.
Lui fu sorpreso dal calore di quell’appartamento, di come Mairéad l’aveva personalizzato, in
modo così chic… Ma molto, molto più sorpreso fu dall’accoglienza che lei gli diede: un corpo
femminile purissimo e di forme meravigliose…
Le mani di Bruce scorrevano su quella pelle che si scopriva per la prima volta a un uomo e
che scopriva per la prima volta l’erotismo umano. Mairéad sentiva il suo stesso corpo muoversi da
solo e un piacere intensissimo nascere a contatto con lui, scagliarsi nel cervello, esplodere e
scaricarsi nei sospiri, e ripetersi ripetersi ripetersi…
Era amore!
Per lei.
E per lui una sbandata incontenibile, un trasporto che mai aveva provato. Ma lasciò che
avvenisse, rischiando molto. Quella miscela esplosiva di nome Mairéad Sweeney, intellettuale di
successo con il piacere di figurare sempre adolescente, donna bella fresca e giovane ma matura
dentro, vergine con l’uomo, era per lui irresistibile.
Mentre Bruce Raphael, benché travolto, aveva dubbi e sospetti, Mairéad ne era
tranquillamente innamorata. Ciò nonostante, la rossa continuava il suo menage con Sylvia Silvester,
nascondendole tutto: continuava il suo pendolarismo settimanale tra Sydney e New York,
continuava a fare con Sylvia tutto ciò che era divenuto consueto nella loro relazione da quando
aveva lasciato New York.
Mairéad capiva che Bruce, contrastato, stava cercando nella loro storia d’amore qualcosa di
certo o almeno di rassicurante. Lei vedeva la mente di lui lavorare sul loro amore da settimane in
modo ossessivo finché, pressato da pensieri che confliggevano coi sentimenti, l’uomo decise
comunque di esporre il suo teorema.
Era il 10 gennaio 2203. Iniziò a parlarle durante una cena nello stesso ristorante Jackie’s
XXIII, di cui erano divenuti habitué per l’ottima cucina, per l’ambiente allegro e ben frequentato e
la vicinanza a casa di Mairéad, proprio solo due passi.
Quando Mairéad intuì la serietà del discorso, cioè prima ancora che Bruce lo cominciasse, si
predispose a uno dei momenti di più intenso piacere femminile della sua esistenza: sapeva che nelle
parole di lui avrebbe letto tutto il suo amore, i conflitti e i problemi che gli comportava, l’entità
dello sforzo per averla…
E dire che nessuno gliel’aveva mai insegnato, e dire che era la prima volta che le
succedeva… Capì che era la sua natura umana, e che ciò che stava vivendo la rendeva regina…
Quanto le piaceva!
E da grande femmina riuscì lo stesso in un atteggiamento di distacco, pur mandando a Bruce
educati segnali d’attenzione.
Un bicchiere di cabernet sauvignon delle colline dell’entroterra, vinificato in modo molto
accattivante, accompagnò l’inizio del discorso di Bruce. Guardandola negli occhi verde erba, le
parlò cautamente: “Credo d’avere capito quello che succede tra noi. Credo d’aver capito anche
perché non hai mai voluto dare spiegazioni. Tra di noi c’è sentimento, questo è sicuro… Ma c’è
pure dell’altro: tu sai che il futuro dello Stato delle Donne è fuori dell’umanità, che il tuo partito, il
Rispetto Organico al governo ha fatto il suo tempo e non riuscirà a invertire la rotta. Tu senti che in
Gynekia le cose cambieranno: il Mondo Nuovo delle lesbiche avrà il sopravvento e anche per voi
del governo si farà dura. Inoltre c’è qualcosa di personale nel tuo rapporto con la Sylvester: forse ne
vedi decadere il potere e il fascino…”
Se Mairéad fosse stata navigata, di fronte a tali affermazioni avrebbe finto d’essere offesa,
come ogni donna esperta: come si permetteva, quell’uomo, di attribuire utilità materiali,
opportunismo, ai suoi schietti comportamenti amorosi? Ma Mairéad non era navigata e considerò
onestamente dentro di sé la correttezza di quanto Bruce aveva detto: lei lo amava, pensò, ma in
effetti anche il mondo gynekiano era a un bivio...
Così, ingenuamente, proseguì a osservarlo, non parlò e non diede segnali particolari, ma
dentro di lei scorreva miele: il suo cervello acuto apprezzava la qualità d’analisi di quell’uomo. Era
così sexy la sua intelligenza! Lui stava dando un senso (e azzeccato!) anche a cose cui lei non aveva
ancora pensato a fondo.
Bruce, da parte sua, prese come una sfida il suo silenzio e si dilungò in considerazioni più
profonde. Nello stesso tempo, pensava davvero di non avere nulla da insegnarle: Mairéad era stata
capace di convincerlo che ogni efelide sul suo viso era come una galassia di conoscenze e di senso
di realtà.
Lei era l’unica spettatrice della coraggiosa danza della mente di Bruce: lo vide volteggiare
vigorosamente coi pensieri di qua e di là, componendo nell’aria figure audaci, come solo un
grandissimo danzatore avrebbe potuto.
Era molto affascinata, davvero. Ma non era sorpresa.
E più lui volteggiava, più lei gli allargava il palcoscenico. Salti potenti, il rallentare
struggente, offrirsi e ritrarsi… Distendersi, svenire risalire ed esplodere. Che gioco meraviglioso!
Quanto le piaceva il sudore di quell’uomo… Sottrargli Strawinsky di sotto e obbligarlo a Brahms…
Sedotto ma consapevole, Bruce continuò a sparare fuochi d’artificio sempre più abbaglianti,
per tutta la cena. Li vedeva riflessi nelle pupille verde erba di Mairéad, mentre degustava gamberi
brasati nel latte di cocco, annaffiati d’un ottimo Sancerre.
Lui pagò il conto, lei gli stette vicino.
Uscirono dal locale senza farsi notare.
Mairéad continuò ad ammirare il fine cesello di pensieri di Bruce per strada, mentre lui la
accompagnava a casa. Da parte sua, lei non contemplava più soltanto, cesellava anche lei sguardi
eloquenti, ora di sentimento, ora di passione, ora di condivisione, ora di partecipazione.
Finché arrivarono alla porta della sua abitazione.
Lo fece entrare.
Mairéad aveva già mostrato a Bruce l’alba sull’oceano, dalle finestre del suo appartamento.
Gli aveva già donato anche il sole del mezzogiorno, il tramonto rilassante.
Gli aveva dato il suo corpo mezzo alieno, prima impenetrabile all’amore del maschio. Lui
l’aveva visto sciogliersi e gradire quell’imperfezione del creato.
Ogni volta che tornava dalla Grande Mela, Mairéad era sempre più desiderosa di rovesciarsi
come un guanto, per nettarsi fin dentro le viscere. Così rivoltata, s’immergeva con semplicità
originaria nel liquido amniotico dell’umanità: lui, Bruce, era la sua placenta, si spalmava su di lei
come vernice caseosa, ogni amplesso era per lei un parto accompagnato dall’urlo della nascita, il
primo vero vagito della sua femminilità.
E così Mairéad, bambina cresciuta, aveva capito.
Non aveva bisogno di molto altro.
Ma voleva che anche lui capisse.
E mentre la luna illuminava fuori e dentro di lei, dandole una mano, gli manifestò che sì,
certo, quanto lui aveva detto era tutto giusto: era vero questo, era vero quello, la politica, il futuro di
Gynekia… Ma era l’amore a guidarla, solo l’amore, ed era amore umano! Era esploso inaspettato
dentro di lei e lo sentiva talmente suo, quell’amore, da cancellarne ogni altro e ogni altra cosa...
Era lei che danzava, ora, non richiesta… Scelse quel modo dolcissimo per accondiscendere a
Bruce. Lo fece in silenzio, non parlando, finché, come una ballerina di Degas, si acquietò per terra,
corolla di fiore in cerca di raggi solari. Come segno di vita c’era il profumo di quel fiore, e il corpo
di Bruce si fuse col suo, viaggiando nel sogno e nel piacere, finché i loro sensi ritornarono alla
realtà.
Abbracciati, ben più di due esseri umani, cioè quasi uno soltanto, Mairéad e Bruce stavano
come il mare e gli scogli, il sole e il grano, complementari uno all’altra.
Momento d’oro per conoscersi ancora di più…
E Mairéad esordì, col respiro appena chetato, parlando a Bruce da sopra il suo torace:
“Meraviglioso…” sospirò, con gli occhi socchiusi e la gola partecipe.
Passò qualche attimo e, piano, con una vocetta tutta sua, gli disse: “Amormìo, Bruce, mi
sento come se mi conoscessi soltanto ora: questa Mairéad prima di te non s’era mai mostrata.
E dire che proprio non avevo dubbi…
L’uomo nella mia vita non era mai entrato: non mi ha generato, non mi ha educato, non mi
ha mai nemmeno toccato, né per una carezza né per possedermi.
Io, sono figlia di donne…
Mia madre, la rossa Sinéad Sweeney, che mi ha tenuto in grembo per nove mesi, ha lasciato
questo mondo orribile riversa sulle sculture del Parco Guell, a Barcellona, difendendo il Matriarcato
dagli assalti sanguinari dei maschi di Leo Hughes. E la mia madrina dagli occhi verde erba, di cui
porto altrettanti geni, non ha retto: ricordo i suoi pianti… Povera Martina! Avevo otto anni, ma la
ricordo come fosse ora, ero piccola e le dicevo no non piangere vedrai tornerà saremo nuovamente
insieme… Ma lei diceva no no è finita Maire non la vedremo più non la vedrò più, la sua bocca non
la vedrò più, i suoi occhi non li vedrò più il suo calore non lo sentirò più il nostro amore non ci sarà
più e piangeva a dirotto non ho più visto nessuna piangere così, anch’io piangevo e ora dove vai?
Scusa, diceva lei affranta, devo andare via, sono lontana dal mondo sai, devo andare e io: ma dove?
e io: mi lasci? ma lei: devo andare diceva e io nooooo non lasciarmi e mi aggrappavo a lei, ma lei
andava via e io gridavo, ma lei andava veloce, le gambe incerte correva verso una barca a
Cancale… in Bretagna c’era la bassa marea, erano tutte colorate appoggiate su un fianco di qua e di
là, lei correva a fatica nella melma, la mattina all’alba, non lasciarmi gridavo, ti ho già lasciato non
esisto senza di lei rispondeva e io mi arenavo, lei no raggiungeva un motoscafo più in là ancora,
saltava sopra, l’alba non perdonava, lei partiva, il motore scoppiettava il mio cuore scoppiettava ero
prona sul bagnasciuga piangevo disperata sentivo il motore, la sabbia negli occhi il salato
dell’acqua di mare nella bocca no erano lacrime, l’elica graffiava il fondo scoperto del mare
graffiava la mia carne viva, andava andava più forte più forte noooooo più forte più lontano più
lontano più lontano più lontano addio addio addio addiooooo…”
Mairéad scoppiò in un pianto dirotto sul torace di Bruce che la abbracciava piangendo anche
lui, come il mare gli scogli come il sole il grano.
“Si seppe…” riprese singhiozzando, avvinghiata a Bruce che la stringeva con amore, “…si
seppe che era andata con il motoscafo al largo verso l’altra sponda della Manica, la sponda già di
quei mostri… All’assalto con le mani nude e i denti sguainati, per svanire nel nulla. E svanirono per
sempre le sue mani nude e i suoi denti sguainati…”
S’abbandonò come svenuta.
Anche lui singhiozzava sulla sua testa di capelli rossi, che profumava di giacinti appena
colti…