Parentalità sterile e tecniche di procreazione medica assistita. Quali

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Parentalità sterile e tecniche di procreazione medica assistita. Quali
Parentalità sterile e tecniche di procreazione medica assistita.
Quali ricadute sulla filiazione simbolica?
Intervista a François Ansermet a cura di
CHIARA ROSSO
«I progressi in campo biotecnologico relativi alla riproduzione umana non sono più
appannaggio esclusivo degli specialisti in materia. Le speranze e gli sforzi di milioni di coppie che
ricorrono alle tecniche di PMA (procreazione medica assistita) hanno trasformato il tema della
“fecondazione in vitro” (FIV). La PMA è oggi divenuta una pratica sociale complessa. Essa tocca
alle origini dell’uomo, risvegliando fantasmi e desideri sepolti nella psiche umana». Così recitano le
righe introduttive del libro dal titolo: Parentalité stérile et procréation médicalement assistée. Le
dégel du devenir di F. Ansermet, C.M. Quijano, M. Germond, del 2006 (Parentalità sterile e
procreazione medico assistita. Il disgelo del divenire), oggetto di questa intervista, di cui il celebre
Jacques Testart, molto noto in questo campo, ha curato la prefazione.
Nella pratica psicoanalitica siamo confrontati, in modo crescente, con la sofferenza legata
alle difficoltà procreative dei nostri pazienti. Talvolta accompagniamo gli «aspiranti genitori» lungo
i meandri emotivi evocati dalle difficoltà che costellano il percorso della fecondazione assistita.
Condividiamo gioia e sgomento per i loro successi ed insuccessi (questi ultimi purtroppo frequenti).
Ma nel caso di riuscita della tecnica di PMA, che cosa succede dopo? Che cosa si dipana nella
relazione tra genitori e figli e quali sono le ripercussioni sulla filiazione simbolica? Questo ed altri
interrogativi giustificano la mia intervista a François Ansermet, uno degli autori di questo libro.
L’opera dà voce in modo originale a più interlocutori sul tema ed è stata per me una scoperta felice
e casuale, in occasione di un congresso parigino. Per esigenze di spazio, limito la mia attenzione
alla parte psicoanalitica del libro, segnalando tuttavia l’interesse del contributo offerto dagli altri
due autori. La semiologa Quijano ripercorre sapientemente le tracce linguistiche del trauma, insite
nei discorsi delle coppie interpellate e il ginecologo Germond ci familiarizza con gli aspetti più
scientifici di queste nuove frontiere tecniche.
1 INTERVISTA
D.: Professor Ansermet, lei è psichiatra, neuropsichiatra infantile e psicoanalista; assieme al
Dottor Marc Germond, ginecologo e responsabile del Servizio di PMA di Losanna e alla
Professoressa Claudia Quijano, linguista e semiologa, ha scritto questo lavoro, frutto di una lunga
ricerca clinica, il cui scopo è quello di comprendere i movimenti inconsci che sottendono la pratica
simbolica della filiazione. La vostra riflessione congiunta si focalizza sulla rappresentazione e
quindi sulla relazione inconscia che hanno i genitori con il loro embrione congelato. Le coppie di
volontari (23) che si sono sottoposte a questo studio avevano almeno due figli, di cui uno nato con
la crioconservazione. Dalla raccolta delle interviste, emerge il disagio dei genitori nell’informare i
parenti di questa scelta, profilandosi un conflitto tra il pensiero e l’azione. L’insieme delle tecniche
della PMA sembra così diventare l’oggetto di un massiccio diniego. Nell’immaginario dei genitori,
come voi sottolineate, viene maggiormente investita la fecondazione piuttosto che la gestazione e
passa in sordina il coinvolgimento attivo dei genitori attraverso il prelevamento di ovuli per la
donna e la masturbazione dell’uomo, come se prevalesse ciò che il futuro genitore subisce piuttosto
che ciò che fa. Tra fecondazione e gestazione vi è dunque un «differenziale sessuale» a cui si
aggiunge, con la congelazione dell’embrione e la possibilità di scegliere quando impiantarlo, un
«differenziale temporale». Si realizza allora uno scarto tra il divenire dell’embrione e la
parentalità; la perdita del legame di filiazione, legame già compromesso dalla FIV, ha un effetto di
discontinuità sul lignaggio, innescandosi così un’onda d’urto che investe anche la generazione dei
nonni. Nella vostra ricerca, infine, non mancate di interrogarvi sulle dimensioni psichiche assunte
dalla ferita della sterilità. A chiusura di questo mio breve colpo d’occhio vorrei chiederle
innanzitutto: Quali sono le ragioni e le circostanze che l’hanno condotta a scrivere questo libro
assieme ai suoi colleghi?
R.: Ho cominciato la mia carriera lavorativa in ambito perinatale a contatto con la dimensione
traumatica connessa alla prematurità. I pediatri neonatologi con cui mi relazionavo non mancavano
di sottolineare i grandi progressi realizzati nel campo del trattamento dei prematuri; nascevano
infatti neonati con prognosi sempre più favorevole malgrado un peso corporeo al limite della
sopravvivenza. Tuttavia ci chiedevamo, una volta scongiurata la problematica vitale, quali traumi
psichici avrebbero dovuto affrontare in seguito questi bambini prematuri e i loro genitori? Nel corso
di un’intensa attività clinica e di ricerca ci è stato possibile dimostrare come il vissuto traumatico
dei genitori rappresentasse un elemento predittivo importante nell’influenzare lo sviluppo del
bambino prematuro, al di là del grado del suo grado di prematurità ed in assenza di lesioni cerebrali.
In qualità di psichiatra e di psicoanalista questi risultati mi hanno sorpreso, sono rimasto colpito da
quanto il trauma dei genitori potesse influenzare l’avvenire del figlio! Negli anni seguenti,
all’interno di una équipe composta da chirurghi pediatrici, neonatologi, medici genetisti,
neuropsichiatri infantili, ginecologi ostetrici ed esperti in PMA, si è molto riflettuto sulle numerose
problematiche connesse alla prematurità e alla diagnostica prenatale. Abbiamo dovuto prendere
decisioni difficili nel caso di malformazioni fetali e siamo stati confrontati a situazioni delicate
nell’ambito della PMA. Quando la PMA era agli esordi, si verificavano spesso gravidanze multiple.
Coll’approfondirsi della ricerca si è deciso di ridurre questo inconveniente considerandolo
maggiormente rischioso rispetto all’affrontare più di un tentativo di PMA. Il lavoro congiunto in
2 seno all’équipe suddetta ci ha permesso di inaugurare una nuova area d’intervento; quella del
«campo perinatale» in cui viene sancita la continuità tra medicina riproduttiva, ginecologia
ostetrica, diagnostica prenatale e pediatria. 1
Di formazione lacaniana, ho vissuto in un’epoca in cui la psicoanalisi era considerata il riferimento
principale nell’ambito della psichiatria infantile. Del resto è difficile orientarsi in questo campo
senza conoscenze psicoanalitiche. Già allora, tuttavia, sorgevano le prime resistenze alla
psicoanalisi nell’area della psichiatria adulta e in quelle dell’assistenza sociale e della
neuropsichiatria infantile. Nel tempo, ho potuto constatare quanto fosse importante affrontare il
«campo perinatale» con strumenti psicoanalitici che mettessero in luce il tema del desidero
inconscio, del trauma e dell’effrazione di ciò che viene considerato impensabile. Sempre più
immerso in questo campo, ho avuto occasione di rivisitare i concetti psicoanalitici classici
ribadendone l’utilità e adattandoli alla nuova dimensione. La clinica perinatale si pone dunque ai
confini della pensabilità ed investe la dimensione simbolica del linguaggio portando nuova linfa alla
pratica psicoanalitica. Ho ripercorso la mia storia personale, seppur viziata da una ricostruzione in
aprés coup, del resto soffriamo tutti di amnesia infantile e la questione delle origini investe
maggiormente il «reale irrappresentabile» rispetto alla dimensione dell’«originario». Non sappiamo
da dove veniamo, perché siamo noi e non altri, dove eravamo prima di nascere e via dicendo. Ci
confrontiamo di continuo con la dimensione irrappresentabile della morte, come Freud la descrive
nelle Considerazioni attuali sulla guerra e sulla morte, del 1915, oppure ancora in Al di là del
principio del piacere, del 1920.
Ma per tornare alla sua domanda, ho incontrato Marc Germond nel 1993 e ho lavorato con la sua
équipe della PMA a Losanna. Di recente erano state scoperte nuove tecniche tra cui la ICSI
(iniezione intracitoplasmatica di spermatozoi), realizzata per la prima volta a New York
dall’italiano Palermo. Come si è spesso potuto constatare, gli specialisti della medicina riproduttiva
si confrontano a domande senza risposta nella loro attività clinica. Mi ricordo, agli albori della
PMA, del caso di una paziente che dopo sei anni di trattamento per la sterilità – una durata ottimale
visto la tecnica ancor giovane – era finalmente rimasta incinta con la fecondazione autologa (quella
eterologa pone altre problematiche ancora riguardo alla filiazione). Dopo i primi mesi di gestazione
questa paziente richiese una interruzione di gravidanza. Per l’équipe fu un episodio traumatico ed
incomprensibile e questo evento rappresentò un vero e proprio «momento di vertigine» per tutti noi!
In quella precisa occasione la psicoanalisi venne convocata «in urgenza» nel «campo perinatale»,
campo in cui lo psicoanalista non è uno specialista in più bensì la figura giusta, deputata ad
affrontare temi esistenziali fondamentali e delicati, talvolta traumatici che afferiscono alle origini
dell’uomo. Mentre la psichiatria mostrava crescenti resistenze alla psicoanalisi, ho potuto incontrare
medici e operatori biologi delle biotecnologie di avanguardia, felici di trovare un punto d’incontro
con gli psicoanalisti attorno al tema dell’impensabile e dell’irrappresentabile. Ciò avviene quando
gli psicoanalisti stessi non si trincerino dietro la roccaforte del loro sapere, sentendosi sotto accusa
per essere antiquati e fuori dal tempo e comunque non all’altezza dei bisogni attuali di una scienza
soggetta allo statuto della prova.
1
La «Collection La vie de l’enfant», curata da Sylvain Missioner (ed. érès), raccoglie pubblicazioni su questi argomenti.
Tale Collezione viene fondata nel 1959 da Michel Soulé.
3 Nel corso della mia collaborazione con Marc Germond ho approfondito la questione della sterilità e
della procreazione medica assistita tramite numerosi studi clinici, indagando il vissuto dei soggetti
coinvolti. La ricerca clinica in psicoanalisi è molto importante, la clinica rappresenta l’esperienza
che si esprime attraverso le varie «singolarità». È auspicabile trovare nuovi punti di riferimento a
questa giovane frontiera clinica della PMA. A tal proposito sono ricorso all’aiuto di una semiologa
e linguista di impronta «de Saussuriana». Il linguista Ferdinand de Saussure2 sosteneva che nel
particolare si trovasse l’universale. Il caso clinico contiene di per sé un insegnamento: se lo
analizziamo dettagliatamente, ritroviamo in esso, pur nella sua specificità, costanti universali.
Allora, piuttosto che paragonare dei casi ordinandoli secondo un asse soggettivo non confrontabile,
perché non analizzare la stessa serie clinica secondo l’ottica delle loro peculiarità specifiche?
Seguendo questo orientamento, il libro è frutto di una riflessione clinica corale alla luce della
medicina riproduttiva, del pensiero semiologico e di quello psicoanalitico.
D.: Il suo testo è di gradevole leggibilità e presenta uno stile unitario malgrado la scrittura a più
mani. Contrariamente all’opinione comune che ci ricorda quanto talvolta siano poco
«psicoanalitici» certi professionisti della salute, mi colpisce il taglio «psicologico» del suo libro. Si
percepisce un profondo filo conduttore che lega insieme, voi tre Autori. A questo proposito
partendo proprio dal titolo, vorrei chiederle due cose: cosa può dirmi sul concetto di «parentalità
sterile» che lei indica come un ossimoro ed in secondo luogo, quale tipo di trauma evoca la
sterilità?
R.: La nostra ricerca si centra sulla procreazione medica assistita autologa, ciò significa che la
filiazione biologica, che oggi occupa un posto centrale nelle nostre rappresentazioni culturali, è
conservata. Ripenso a quelle coppie che per le ragioni più svariate vivono situazioni difficili coi
loro bambini e che si rivolgono a me con la seguente frase: «Noi siamo dei genitori sterili». Ecco
allora che ci troviamo di fronte ad un paradosso, abbiamo dei genitori sterili che hanno avuto
bisogno di una procreazione assistita ma che poi hanno un figlio nato da loro! Ma in fondo, quante
forme di assistenza alla procreazione conosciamo? C’è il desiderio, l’amore, la sessualità, l’Hotel,
un periodo di vacanza, una panne di elettricità e, perché no, anche un’assistenza medica. La
questione è che questi genitori non riescono a conciliare la loro fertilità, che è stata assistita, con la
loro genitorialità. Parlare di «genitori sterili» significa trovarsi di fronte ad un «ossimoro», perché
sì, si trattava di genitori sterili che in seguito sono divenuti non sterili grazie alla fecondazione
assistita.
Da un lato la clinica della PMA mette in rilievo il legame tra l’origine, la sessualità, la procreazione,
la gravidanza e la nascita e dall’altro sottolinea l’eterogeneità di questi elementi. Dal punto di vista
della mentalità biologica vi è senz’altro una continuità tra gli elementi suddetti mentre da quello
psicologico le cose cambiano; siamo di fronte a passaggi di difficile raffigurazione come per
esempio quello tra sessualità e procreazione. I bambini e più tardi gli adulti vivono il diniego della
2
F. de Saussure, svizzero, noto per il suo celebre Corso di linguistica generale, del 1915, sviluppò la linguistica
strutturale a cui si ispirò Lacan nella sua interpretazione dell’opera freudiana, introducendo l’uso del concetto di
«significante». Il figlio Raymond, brillante psicoanalista è uno dei fondatori della Società psicoanalitica di Parigi, nel
1926, assieme a Charles Odier.
4 sessualità dei genitori, la sessualità non è rappresentabile, essa deve rimanere misteriosa e quasi
scomparire. Se dunque sul piano della logica il legame tra sessualità e procreazione è chiaro, non
avviene la stessa cosa sul piano soggettivo. Secondo la mia opinione, il problema insito nelle
tecniche di PMA è, paradossalmente, proprio quello di porre l’accento sul ruolo della sessualità
nella sua (esclusiva) dimensione procreativa, ciò avviene nella misura in cui la sessualità stessa
viene aggirata. Questo aspetto sostanzia il dibattito etico, politico e religioso attorno la PMA.
Ripensando alle teorie sessuali infantili, notiamo come nella dimensione procreativa, esse
presentino la caratteristica di evitare il sesso. Nella immaginazione infantile, il «bambino» esce
dalla bocca oppure dall’ombelico oppure ancora dall’ano ma in ogni caso tutto accade da solo. Mi
capita di affermare in modo scherzosamente provocatorio che, alla fine, siamo tutti figli della PMA!
Infatti è molto difficile ammettere che la sessualità abbia avuto un ruolo determinante nella nostra
nascita. Ricordiamoci di come Freud abbia insistito sulla sessualità nello sviluppo infantile dei
bambini e di come Jung stesso gli abbia rimproverato il suo pansessualismo. La PMA è «scomoda»
perché sottolinea il posto occupato dalla sessualità nella procreazione; condizione ineludibile e a cui
non possiamo sottrarci, ce lo dimostra il fatto di averla aggirata. I genitori sterili che si rivolgono
alla PMA soffrono di un eccesso di «significatività sessuale» che incombe sull’origine dei loro
bambini, mentre gli altri genitori dimenticano questo aspetto. I genitori che si rivolgono alla PMA
hanno avuto difficoltà procreative e hanno fatto sesso a richiesta fino alla nausea. In questa
particolare pratica clinica la questione sessuale si rivela essere fondamentale. Qui non si tratta solo
di affrontare il problema dell’evitamento della sessualità quanto quello di porsi più domande
rispetto ad altre condizioni cliniche della perinatalità. Per quanto concerne la PMA, dovremmo
imboccare la strada della rimozione. Quando cominciamo a dire: «Il mio bambino è nato con…»
ecco che l’enigma del sessuale si presentifica. L’amore o il bambino suppliscono alla impossibilità
di pensare il rapporto sessuale.
D.: Nel vostro libro ipotizzate la presenza di un trauma identitario per le persone coinvolte dalla
PMA. È un trauma che destabilizza le fondamenta dell’ identità del soggetto nella misura in cui
tocca le origini. Esso va al di là delle difficoltà procreative e delle ripercussioni sulla filiazione.
Anche in base alla mia esperienza di confronto con colleghi o in ambito seminariale concordo con
gli aspetti che lei descrive e ho notato inoltre l’emergere di intensi sentimenti di rabbia. Quale è la
sua opinione in proposito e quali sono le sue riflessioni rispetto al vissuto dei genitori?
R.: Sul piano identitario notiamo come spesso, a monte degli aspetti propriamente «traumatici»
della PMA, siano in gioco le teorie sessuali infantili rimosse; si rischia dunque di fare confusione
tra la causa e l’effetto. Nel caso estremo della interruzione di gravidanza di cui parlavo, si è visto
che il rifiuto della gravidanza da parte della paziente era legato alle fantasie sulla procreazione e ai
suoi aspetti traumatici. È importante valutare come venga vissuta soggettivamente la sterilità; si
tratta di una castrazione, di uno stato di impotenza? Che cosa è esattamente la sterilità? La sterilità
rappresenta l’interdetto di procreare come ricorda il mito di Edipo. Inizialmente, nel mito, Laio
suscita l’ira degli dei per la sua relazione sentimentale con l’adolescente Crisippo e viene punito
con l’interdizione a procreare. Il mito narra che Laio non si curi di questo interdetto e che un giorno,
ubriaco, ingravidi la sterile Giocasta. Un grande ellenista, Jean Bollack, sottolinea nel mito edipico
l’aspetto fondamentale dell’interdizione a procreare. La trasgressione dell’interdetto attacca la
5 filiazione provocando l’estinzione della discendenza. Con questo voglio dire che probabilmente,
coloro che si rivolgono alla PMA vivono la sterilità come un «interdetto» alla procreazione;
potremmo anche chiederci se la procreazione non inneschi un movimento atto a contrastare questo
interdetto. Per quanto concerne poi il vissuto genitoriale trovo interessante il modo in cui i padri
parlano della PMA. Ho notato in loro una ripetuta tendenza a fare confusione tra l’ICSI (iniezione
intracitoplasmatica di spermatozoi) e la IAD (iniezione artificiale di donatore). Dunque i padri, per
il solo fatto di essere separati dai propri spermatozoi li confondono con gli spermatozoi di un terzo
come se si sentissero defraudati del loro sperma. Alcuni padri dicono: «Avremmo potuto scegliere
un altro spermatozoo». In questa situazione, al posto del caso spunta l’idea reificata di poter
«scegliere»; la biologa ha scelto quello spermatozoo piuttosto che quest’altro; è l’equipe di terzi,
dei tecnici PMA, che ha scelto lo spermatozoo che darà origine a quel bambino e non ad un altro. Si
potrà allora attribuire la paternità o la «colpa» all’équipe. Tutte queste situazioni sono accomunate
dal fatto che il padre tende ad auto squalificarsi. Sul piano tecnico, l’ICSI consente l’assoluta la
certezza di paternità, sempre che l’équipe sia, beninteso, ispirata ad una corretta deontologia
medica. Ovviamente si spera che non si realizzi ciò che Milan Kundera descrive nel suo romanzo Il
valzer degli addii3 dove il protagonista, ginecologo, utilizza il proprio sperma per la IAD! Nella
PMA il padre deve ristabilire «l’incertezza» per esercitare la sua funzione paterna che è pur sempre
connessa al fatto di non esser mai certa. Ed è paradossale l’idea di reintrodurre l’incertezza paterna
nel cuore della certezza «tecnica» dell’ICSI! Eppure il padre affronta la sua elaborazione personale
tramite la costruzione di uno scenario fittizio perché, mai come in questo caso, la genitorialità è una
finzione.
Ritornando al tema del rapporto tra genitorialità e sessualità potremmo dire che da circa una ventina
d’anni la «genitorialità» è un concetto di successo, da quando cioè il bambino occupa un posto di
importanza crescente nella nostra società. Ma più si mette l’accento sulla genitorialità, meno lo si
mette sulla sessualità. Come neuropsichiatri infantili di ispirazione psicoanalitica abbiamo
approfondito i concetti di genitorialità e di maternità a contatto con l’infanzia abbandonata e le
madri depresse. La nostra professione del resto si è sviluppata per affrontare un deficit di
parentalità. La mia opinione è che la questione della sessualità maschile e femminile andrebbe
ripresa all’interno della PMA poiché il concetto di genitorialità è insufficiente. Va ritrovata la
necessaria separatezza tra l’uomo/padre e la donna/madre. E se la madre coltiva il suo esser donna è
forse grazie alle cure del marito/padre. Ma capita che questa separazione tra la figura della madre e
quella della donna venga ostacolata da un’ideale schiacciante di maternità e che la stessa cosa
accada per l’uomo. Vi sarà allora «troppa» madre e «troppo» padre, e i genitori, fortemente
impregnati dal loro ruolo parentale, appesantiscono il bambino.
Qualcuno della mia famiglia che aveva partorito da poco mi mandò il messaggio seguente: «Sono
dal parrucchiere, faccio rinascere la donna dalla madre!». Ecco un esempio della separatezza di cui
parlavo prima. Nella PMA l’ideale di genitorialità è ingombrante e, a seconda dell’ottica dei
professionisti che vi lavorano, possono sorgere difficoltà allorquando il legame sessuale tra l’uomo
e la donna viene messo in secondo piano. Del resto a troppo volere si uccide il desiderio! La clinica
della PMA ci invita a rivisitare in senso psicoanalitico le categorie del volere e del desiderare. Il
3
M. Kundera (2004). Il valzer degli addii. Milano, Adelphi (trad.it. Serena Vitale).
6 desiderio è inconscio, va e viene come un furetto. E quando qualcuno mi dice: «È stato un bambino
desiderato», credo che sia sicuramente un bene avere figli desiderati rispetto a quelle situazioni in
cui i bambini sono maltrattati e rifiutati, tuttavia mi sembra necessario che le origini rimangano
avvolte da un alone enigmatico e misterioso.
D.: Le sue parole mi fanno venire in mente un detto che suona più o meno così: «È impossibile
cogliere l’attimo in cui l’erba cresce, bisogna distogliere lo sguardo e costatarne, solo dopo,
l’avvenuta crescita». In altre parole anche i bambini per crescere, così come l’erba, dovrebbero
essere talvolta dimenticati e tenuti al riparo da uno sguardo di «abbagliante» premura, così carico
di aspettative…
R.: Sono d’accordo, questi bambini devono soddisfare delle attese, in caso contrario sorgono
problemi. Un altro scoglio presentato dall’aspetto della sterilità e da come viene trattato all’interno
della PMA è quello di rinviare continuamente il bambino alle sue origini. Una espressione classica
di certe madri è la seguente: «Vieni qui, piccolo findus!», dove la madre sottolinea il legame tra il
figlio e le sue condizioni di procreazione. Anche i tecnici della PMA e gli psicoanalisti corrono
questo rischio adottando un atteggiamento conservatore.
D.: A proposito della simbolizzazione, vi è un capitolo del suo libro – L’Edipo o il sopravissuto – in
cui lei mette in luce le caratteristiche «eccezionali» di questi bambini, così come vengono dipinti
dall’immaginazione dei genitori. Sono dei bambini «speciali» sopravvissuti alle tecniche di
congelamento-scongelamento. Mi ha colpito l’esempio di una madre che, fantasticando su liti tra
bambini, immagina che a suo figlio possa venir detto: «Taci tu che sei stato congelato!». Si direbbe
dunque che al di là del destino eroico del bambino o di una sua diversità che potrebbe costituire un
ostacolo evolutivo, la rappresentazione che di lui hanno i suoi genitori coincide con l’idea di «una
traccia incisa come un solco nella mente e nel corpo in cui si registrano nuove e immaginarie
coordinate relative al caldo e al freddo, facenti parte integrante dello schema corporeo».
R.: Nel rinviare mentalmente questi bambini al loro luogo d’origine si può correre il rischio di «ricongelarli». Non mi stanco mai di segnalare il problema legato ad un eccesso di conoscenza, al
proliferare di immagini e di connessioni del tipo causa-effetto. Nel campo delle PMA il
professionista può avere, in maniera più o meno grande, la responsabilità di indurre, provocare e
quasi di prescrivere un legame biunivoco e continuativo tra la PMA e il divenire del bambino. Il
professionista della prima infanzia che nel corso di una visita al piccolo paziente apprende le
circostanze della sua nascita, rischia di sviluppare una «proiezione retrospettiva». Ciò accade di
frequente da parte dei genitori, il problema è quando anche i curanti cedono a questa tentazione.
D.: Lei non crede che le persone implicate a diverso titolo nella PMA si difendano in qualche modo
dal trauma?
È molto probabile che si installi un meccanismo di difesa nei confronti del trauma poiché tutto ciò
che avviene in questo campo tocca profondamente ed in modo improvviso la soggettività di chi è
coinvolto, di noi professionisti e degli altri operatori. Del resto non è perché un bambino è stato
7 procreato alla tal ora, da tale équipe, che le sue origini diventino per questo spiegabili. Affinché il
«divenire» possa spiccare il volo bisognerà ristabilire l’enigma delle origini.
D.: Nel suo libro vi è un passaggio che ricorda il ruolo dell’amnesia nell’ambito delle PMA. Forse
si dovrebbe oscurare un pochino una tecnica così illuminata dai riflettori, in altre parole «velare»
le origini.
R.: Ottima immagine! Bisogna rimettere il «velo» alle origini, in fondo se la prospettiva
psicoanalitica è quella di svelare i meccanismi del trauma, questa pratica clinica della PMA ci
mostra, come lei ricorda, la funzione dell’amnesia e del velo, necessari per permetterci di
riappropriarsi della nostra soggettività.
D.: A questo proposito, ho apprezzato molto una sua frase verso la fine del libro: «L’amnesia può
forgiare una culla di libertà per questi genitori e i loro figli (…) sarà necessario conservare un
posto vacante per un cammino inedito e bisognerà prevedere, letteralmente, un futuro
imprevedibile!».
R.: Nel campo delle PMA è dunque importante limitare la nostra conoscenza rispetto alle origini,
non dovremmo in quanto psicoanalisti divenire specialisti nel predire il passato! Spesso ci può
capitare di trasformare l’ipotesi in una prescrizione. Uno dei miei primi casi, seguito in
collaborazione con l’équipe di Germond, era quello di un bambino nato con un rene policistico. Sia
il chirurgo che l’équipe avevano chiamato in causa il legame con la PMA ed in un periodo
successivo, la medicina riproduttiva venne aspramente criticata per questo fatto. Questo è un
esempio della trappola insita in un legame troppo deterministico, un legame che dobbiamo
contrastare perché ciascuno di noi possa sognare liberamente il proprio avvenire e diventare artefice
del suo destino. L’esperienza clinica e le conoscenze acquisite debbono aiutarci a non trasformare
in un «destino» la PMA. A questo proposito nel mio primo libro su questo argomento4 sottolineavo
il rischio di passare dallo spavento delle origini alla fascinazione per il destino.
D.: Il nostro colloquio sta per terminare e ringraziandola per la generosità e ricchezza del suo
contributo volevo, in ultima istanza, sottolineare il ruolo assegnato all’intervistatore nella sua
opera. L’intervistatore riflette sui risultati delle interviste ai genitori, in seno ad una équipe di
lavoro. È come se fossero necessari più livelli operativi per elaborare «in progress» gli aspetti
traumatici del materiale raccolto. La struttura stessa dell’intervista, composta da più domande
secondo una griglia stabilita, rappresenta forse la modalità più adatta per gestire un materiale così
«scottante»? E l’intervistatore, potrebbe assumere il ruolo di un «terzo»? A questo proposito mi
collego a quanto lei sottolinea circa la necessità di introdurre una triangolazione, pur sempre
instabile e a rischio di scomparsa. Nel capitolo dal titolo «Ouranos/Cronos o della riproduzione
speculare dell’onnipotenza» lei ci ricorda come il legame di filiazione si strutturi normalmente
4
F. Ansermet (1999). Clinique de l’origine. L’enfant entre la médecine et la psychanalyse. Lausanne, Payot.
(trad. ital) Clinica dell’origine. Il bambino tra medicina e psicoanalisi. Milano, FrancoAngeli, 2004.
8 sulla base di una relazione a tre, per un minimo di tre generazioni diverse che si sviluppano
secondo due linee genealogiche, una per ogni sesso. Senza il «terzo», dunque, il legame di
filiazione verrebbe risucchiato in una dimensione speculare tale da diventare solo una «Immagine
riflessa che si specchia negli occhi del genitore onnipotente». Della triade madre/padre/bambino
nell’immaginario parentale non resterebbe allora che la dualità: genitore onnipotente /bambino.
Quale è la sua opinione?
R.: È chiaro che attraverso il lavoro di équipe creiamo un altro scenario, un artifizio, come avviene
in psicoanalisi dove non è tanto il divano di per sé stesso che «fa» la psicoanalisi ma il divario che
esso contribuisce a creare tra analista e paziente costituendo così una parte del setting. Allo stesso
modo, più livelli di intervento creano un divario, articolano uno spazio. Tornando ad un tema che
mi è caro, mi piace pensare che le nostre riflessioni conducano soprattutto ad una elaborazione della
causalità. Come ho già sottolineato, noi psicoanalisti tendiamo a collegare la causa con l’effetto
anche se sappiamo che non sempre è il caso. In filosofia per esempio, vi è il paradosso del «futuro
contingente». Ad un momento X un certo avvenimento può o meno avere luogo. Ecco la
contingenza. Tale spermatozoo, tale ovulo. Una volta che l’incontro si è realizzato non è possibile
tornare indietro, il contingente dunque, diventa necessario. Per il clinico e per l’individuo si profila
un’insidia perché se il contingente che scaturisce dal caso è divenuto necessario, si potrà pensare in
modo analogo, che la stessa contingenza rientri già nella categoria del necessario.
D.: Come direbbe Aristotele: «Il passato è necessario e il futuro è possibile?»
R.: Assolutamente sì! A proposito di questo paradosso del «futuro contingente» sia i genitori che
noi professionisti cadiamo nella trappola di poter avere tutto sotto controllo allorquando non si può
far altro che trasformare qualcosa di contingente in qualcosa di necessario, come ho appena detto.
Una volta che il bambino arriva non si può tornare indietro ma è chiaro che quel bambino avrebbe
potuto non esserci. Tutto ciò rappresenta un momento di vertigine per l’essere umano, un momento
di cui noi, troppo esperti dei legami consecutivi e diretti, dovremmo tener conto. Sarebbe
importante adeguare la nostra scienza alle risposte del soggetto piuttosto che insistere sulle cause
determinanti. Riconsegnando le origini al mistero , iscriviamo nuovamente il futuro nel campo del
possibile.
9