RICERCA DI SOGGETTI DISPONIBILI A SUPPORTARE ATTIVITÀ

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RICERCA DI SOGGETTI DISPONIBILI A SUPPORTARE ATTIVITÀ
RICERCA DI SOGGETTI DISPONIBILI A SUPPORTARE ATTIVITÀ AZIENDALI
MEDIANTE CONTRATTI DI SPONSORIZZAZIONE O LIBERALITÀ
Bando di riferimento:
P16 deliberazione n. 1350 del 03/10/2013
Tipologia di riferimento:
P16-02 “Sponsorizzazione di manifestazioni pubbliche, attività promozionali e divulgative,
campagne informative”
Scheda di progetto P16-02-11
Data di emissione
Aprile 2016
“PMA:
QUALE
CONSAPEVOLEZZA
E
QUALE
Titolo
POSIZIONAMENTO DELLA POPOLAZIONE?”
Periodo riferimento Aprile 2016 / Aprile 2017
Struttura proponente USSD Psicologia Clinica e
USSD Fisiopatologia delle Riproduzione PMA
ASST Papa Giovanni XXIII di Bergamo
Responsabile
Dott.ssa Maria Simonetta Spada
progetto
Responsabile Unità di Psicologia Clinica
Tel. 035 2674482 / e-mail: [email protected]
Dott. Francesco Fusi
Responsabile Centro Fisiopatologia della Riproduzione
Tel. 035 2674471 / e-mail: [email protected]
Descrizione progetto È almeno dal XVIII secolo che la scienza si interessa e studia tecniche
per risolvere il problema della sterilità di coppia: casi documentati di
procreazione assistita si hanno fin dal XIX secolo, per “esplodere” poi,
letteralmente, durante la seconda guerra mondiale, allorquando molti
soldati americani al fronte inviarono il proprio sperma alla moglie allo
scopo di fecondarla artificialmente. Parallelamente alla diffusione
dell’attenzione a tali temi cominciarono le critiche, i processi, le
proposte di legge per porre un freno alla pratica. Il progresso, tuttavia,
correva più veloce delle polemiche e nel luglio 1978 nacque Louise
Brown, passata alla storia come la prima “bambina in provetta”, grazie
alla fecondazione in vitro.
Oggi la sterilità di coppia in Italia raggiunge cifre importanti: oltre una
coppia su cinque non è in grado di assicurarsi una discendenza, una
percentuale che tende ad aumentare di anno in anno. Stiamo, quindi,
parlando di un fenomeno di massa, che come tale deve essere
considerato e attorno al quale è importante sollevare interesse ed
investire energie.
Sui media si legge che la fecondazione artificiale è una libera scelta e,
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pertanto, uno stato laico non dovrebbe basarsi sulla morale di una parte
della sua popolazione per frapporre divieti ad una pratica volta, fino a
prova contraria, a superare i problemi di sterilità e di infertilità di una
coppia. Nell’attualità, pur rimanendo conservata la posizione ufficiale
della Chiesa Cattolica rispetto a quanto contenuto nella Donum Vitae del
1987, in attesa di input e sollecitazioni dalla società stessa, alcuni
teologi, specialmente gesuiti, hanno assunto un pensiero e un
posizionamento favorevole alla PMA e aperto alla novità scientifica. Ciò
anche se, in realtà, i credo religiosi, così come le tradizioni diffuse e
radicate entro la cultura, sembrano ancora oggi ricoprire, talvolta, un
ostacolo nel rendere realmente praticabile, oltre che ben accolta e
diffusa, tale pratica nella società. Con la stessa attenzione critica vanno
considerate le obiezioni secondo cui la fecondazione eterologa
minerebbe la stabilità della famiglia: statistiche e studi implementati
negli USA, infatti, mostrano dati che vanno nella direzione
diametralmente opposta, sia per quanto riguarda la solidità della coppia,
sia per ciò che concerne la cura nei confronti dei bambini. Sulle donne
sole e/o omosessuali intenzionate ad accedere alla procreazione
medicalmente assistita, alle quali una certa corrente di pensiero,
soprattutto cattolica, non vorrebbe concedere tale possibilità, si può
rilevare, inoltre, come, nella stragrande maggioranza dei casi, esse
potrebbero comunque raggiungere lo scopo anche attraverso una
rapporto eterosessuale tradizionale: dovrebbero, quindi, essere vietate
anche queste gravidanze? Dovremmo conseguentemente considerare
illecito il figlio di una ragazza madre? Un discorso valido, a maggior
ragione, per l’inseminazione post-mortem.
In definitiva, da queste e da altre riflessione, sembra emergere come sia
sempre più importante considerare la fecondazione assistita un nuovo
metodo riproduttivo, alternativo a quello tradizionale, ma con il
medesimo valore e la medesima possibilità di realizzazione: visto sotto
quest’ottica, non è altro che una possibilità in più per raggiungere lo
scopo a cui si aspira.
Ma in realtà, alcuni giorni dopo l’approvazione della Legge 40, entrata
in vigore in Italia nel 2004 per definire la materia, sulle testate di
carattere internazionale iniziarono ad apparire le prime considerazioni
critiche e contrastanti: il quotidiano francese Le Monde, per citare un
esempio, la definì «una legge burqa». Le controversie attorno a tale
norma sono state, infatti, presto portate alla luce dai casi di cronaca. In
linea con ciò, si cita come, con una sentenza del maggio 2004, il
Tribunale di Catania respinse la richiesta di una coppia di coniugi,
portatori sani di betatalassemia, di impiantare solo embrioni sani:
secondo il giudice «gli ovuli fecondati vanno impiantati, anche se c’è il
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rischio che possano essere portatori di malattie genetiche». Un’altra
coppia preferì quindi recarsi a Istanbul per permettere alla madre di
essere fecondata con gli embrioni “sani”, in grado di salvare il figlio
talassemico. Le coppie che si rivolgono ai centri italiani sono
drasticamente calate di numero, mentre sono letteralmente esplosi i
cosiddetti “viaggi della speranza”, pressoché quadruplicati. Il dilemma
tra salute della donna e tutela dei “diritti dell’embrione” è sempre
rimasto al centro dei successivi sviluppi e delle proposte di legge che
miravano a delineare i confini di un tema così complesso ed eterogeneo.
Il 18 novembre 2005 si era nel frattempo registrato un ulteriore
sviluppo, con la formulazione, non unanime, da parte del Comitato
Nazionale di Bioetica, di un parere sull’adozione degli embrioni
criocongelati.
E, nell’attualità, quale risulta essere il panorama previsto dalle più
recenti normative in Italia?
Il nuovo testo (“Linee guida del 2015 contenenti le indicazioni delle
procedure e delle tecniche di procreazione medicalmente assistita”
riferite all’art. 7 della Legge 40 del 2004), che aggiorna le linee guida
del 2008, è stato rivisto in rapporto all’evoluzione tecnico-scientifica del
settore e all’evoluzione normativa dello stesso, in particolare, ai decreti
legislativi 191/2007 e 16/2010 e all’Accordo Stato Regioni del 15 marzo
2012 (che applica alla PMA le normative europee su qualità e sicurezza
di cellule umane), oltre che alle sentenze della Corte Costituzionale
n.151/2009, e n.162/2014, le quali hanno eliminato, rispettivamente, il
numero massimo di tre embrioni da creare e trasferire in un unico e
contemporaneo impianto, e il divieto di fecondazione eterologa.
Con la caduta di queste restrizioni, la fecondazione assistita, omologa o
eterologa che sia, entra a pieno diritto nei nuovi LEA, le prestazioni
garantite nell’ambito del SSN. Tra le principali novità, l’accesso alle
tecniche di fecondazione eterologa; l’accesso generale alle tecniche
aperto anche a coppie “sierodiscordanti”, cioè in cui uno dei due partner
è portatore di malattie virali sessualmente trasmissibili come HIV o
epatiti B e C (nella linee guida 2008 l’accesso era previsto solo per
l’uomo portatore e non anche per la donna portatrice, come invece è
stato approvato successivamente); l’indicazione per cui la cartella
clinica deve contenere un maggior dettaglio sui trattamenti rispetto a
quanto avvenuto fino al 2015, considerato che gli operatori possono
avviare percorsi più differenziati di quanto fatto prima delle sentenze;
infine, la richiesta di riportare le motivazioni in base alle quali si
determina il numero di embrioni strettamente necessario da generare ed
eventualmente quelle relative agli embrioni non trasferiti da
crioconservare. Il divieto, tuttavia, resta per ogni forma di eugenetica: le
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coppie che accedono all’eterologa non possono scegliere le
caratteristiche fenotipiche del donatore.
E all’estero quale risulta essere, ad oggi, il panorama? In Francia la
fecondazione assistita è ammessa, e riservata a coppie sposate o
conviventi. Vietate invece la locazione dell’utero e la fecondazione sia
eterologa che post-mortem. In modo simile, in Germania la
fecondazione assistita è ammessa, e riservata solo alle coppie sposate.
La fecondazione eterologa in vitro è vietata, come pure l’inseminazione
post-mortem, la maternità surrogata e la locazione dell’utero. Nel Regno
Unito ammessa, e riservata a coppie sposate o conviventi e a donne
singole. Ammesse anche la locazione dell’utero e la fecondazione sia
eterologa che post-mortem. In Spagna è ammessa, e riservata a coppie
sposate o conviventi e a donne singole. Ammesse anche la donazione di
ovuli e la fecondazione sia eterologa che post-mortem. Infine, in USA si
assiste a significative differenze tra stato e stato. Generalmente, però, è
ammessa sia la fecondazione omologa che l’eterologa. Diffusa anche la
maternità surrogata. La locazione dell’utero è possibile in California e in
qualche altro stato.
Tutto ciò per riflettere su come, quando la fisiologia del concepimento e
della riproduzione incontra ostacoli, l’intervento dell’uomo rimetta in
discussione a più livelli il tradizionale modo, secondo il senso comune,
di procreare. In particolare, laddove l’intervento specialistico diventa coprotagonista della coppia nel desiderio di genitorialità, non possono che
sorgere interrogativi e dubbi circa gli elementi di cui tenere conto, insiti
nella presa in carico dei futuri genitori, oltre che in relazione ai necessari
approfondimenti e valutazioni, atti ad offrire tutte le opportunità affinché
il loro progetto possa realizzarsi, ponendo, tuttavia, una particolare
attenzione a distinguere e confinare i casi che nascono da una situazione
di malattia, dove la PMA diventa cura elettiva, rispetto a quelle che
rappresentano, invece, una condizione specifica della donna o della
coppia.
Quanto premesso pare utile nel sostenere come, al giorno d’oggi,
frequentemente, capiti di assistere ed essere coinvolti in discorsi e
dibattiti relativi al tema della procreazione medicalmente assistita, entro
un posizionamento individuale così diverso e variegato, talvolta
sostenuto dalla consapevolezza, talvolta poco supportato da
informazioni, sempre fortemente legato ed intriso di elementi culturali,
religiosi, sociali e strettamente personali, tutti intrecciati nel concorrere a
definire l’opinione di ognuno.
Ma la popolazione, a partire dai giovani che si accostano alle prime
esperienze entro la sfera sessuale, è a conoscenza delle specifiche
possibilità legate alla procreazione medicalmente assistita? Quali
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informazioni ha a disposizione? Quali sono le fonti principali
intercettate e disponibili per implementare un punto di vista
consapevole? Quali pensieri circa il delicato tema dell’intervento
dell’uomo entro un processo che “dovrebbe” essere naturale? Ma cosa
è “naturale” e cosa significa procreare “naturalmente”? Quali
consapevolezze relative al ruolo dei comportamenti soggettivi legati a
future maggiori difficoltà di concepire? Infine, quali interrogativi e
quali assunti legati all’essere un buon genitore e all’allestire per i
propri figli un ambiente sufficientemente buono?
Alcuni fra questi, ma anche atri interrogativi, sembrano essere alla base
anche del più ampio panorama entro cui si colloca il recente dilemma
attorno al tema del ddl Cirinnà. Non c’è salotto o dibattito televisivo
dove, oggi, non siano evocati i temi di questa novità culturale e del suo
impatto sul singolo e sulla cultura locale. “Le convivenze tra persone
dello stesso sesso disciplinate nel codice civile con diritti assai simili a
quelli derivanti dal matrimonio”. Ecco in sintesi cosa prevede il disegno
di legge Cirinnà all’esame del Senato. Il testo disciplina le unioni civili
per le coppie omosessuali e la convivenza in genere. In sostanza crea un
nuovo istituto per coppie dello stesso sesso, “avvicina” le unioni gay al
matrimonio introducendole direttamente nel codice civile. Il testo
Cirinnà estende alle unioni civili la cosiddetta stepchild adoption, ossia
l’adozione del bambino che vive in una coppia dello stesso sesso, ma
che è figlio biologico di uno solo dei due, prevista dall’articolo 44 della
legge sulle adozioni. Nessuna modifica al testo sulla fecondazione
assistita.
All’interno della vasta e confusa discussione sul ddl Cirinnà e le unioni
civili, negli ultimi giorni si è rinvigorita proprio quella sulla stepchild
adoption. Il ddl Cirinnà prevede un’estensione della stepchild adoption,
già prevista per le coppie eterosessuali, anche alle coppie omosessuali e
questo sembra portare l’opinione pubblica a discutere dei presunti
problemi causati alla crescita dei bambini dal vivere con due genitori
dello stesso sesso. Tra mercoledì 3 e giovedì 4 febbraio 2016, diverse
testate giornalistiche italiane si sono occupate del fatto: Repubblica, per
esempio, ha parlato di “Esperti divisi” e il Giornale, riprendendo una
vaga dichiarazione del presidente della Società italiana di Pediatria, ha
titolato “Adozioni gay, i pediatri «possibili danni ai figli»”.
Che posizione assumono gli esperti, nel mondo, relativamente alla
possibilità di crescere un figlio in una famiglia omosessuale? Ma,
soprattutto, come si posiziona la popolazione relativamente a tale tema,
così discusso e delicato, ma anche così attuale e punto di partenza per
la costruzione di nuove traiettorie culturali? Quali punti di vista
personali, sottesi ai valori, ai principi e ai credo religiosi, quali
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posizionamenti previsti dal ruolo, quale influenza della cultura familiare
e sociale, infine, quale livello di disponibilità, soprattutto per le “nuove
generazioni”, ad accogliere tale cambiamento culturale in atto?
Ma cosa dicono gli studi scientifici sui figli delle coppie omosessuali?
La New Yorker Columbia University ha analizzato lo sviluppo dei figli
nelle famiglie omosessuali: su settantasette studi accademici
internazionali considerati in base a specifici criteri, effettuati tra il 1980
e il 2015, settantatré hanno concluso che i figli di coppie omosessuali
non si sviluppano in maniera diversa dai bambini cresciuti in famiglie
eterosessuali. I quattro studi rimanenti non risulterebbero attendibili in
quanto, fondati su casi di bambini di genitori separati, introdurrebbero,
tra le variabili un elemento non secondario e non trascurabile. Nel
presentare il proprio resoconto sulle ricerche la New Yorker Columbia
University scrive dunque che «nel loro insieme» queste ricerche
formano «un consenso accademico schiacciante sul fatto che avere un
genitore gay o una genitrice lesbica non danneggi i bambini».
Una delle ricerche considerate è stata condotta, in particolare, in Italia da
Roberto Baiocco, il quale ha preso in considerazione quaranta famiglie
composte da genitori dello stesso sesso e quaranta composte da genitori
eterosessuali nel contesto italiano. A partire da tale lavoro di ricerca e
analisi conclude: «La letteratura sottolinea che le famiglie costituite da
genitori omosessuali sono simili a quelle composte da genitori
eterosessuali, per quanto riguarda il funzionamento della famiglia, la
soddisfazione diadica (che valuta il grado di felicità o infelicità
percepito) e lo sviluppo del bambino. I dati raccolti in questo studio
hanno dimostrato che i bambini cresciuti da genitori omosessuali hanno
mostrato un livello di regolazione delle emozioni e di benessere
psicologico simile a quello dei bambini cresciuti da genitori
eterosessuali. In Italia, tuttavia, persistono e sono largamente diffusi
atteggiamenti negativi nei confronti delle famiglie dello stesso sesso e
dovrebbero essere sviluppati programmi educativi per decostruire gli
stereotipi riguardanti gay e lesbiche».
Nel resoconto della New Yorker Columbia University è stata inserita
anche una vasta ricerca australiana del 2014 secondo la quale i figli e le
figlie di genitori dello stesso sesso hanno un maggior stato di salute e
benessere rispetto alla media dei loro coetanei. Lo studio è stato
condotto a partire dal 2012 su trecentoquindici genitori e su cinquecento
bambini tra zero e diciassette anni, con l’obiettivo di misurare il loro
stato di salute, ossia il loro benessere fisico, mentale e sociale. Lo studio
si basa sulla definizione di “salute” proposta dall’Organizzazione
Mondiale della Sanità, intesa non semplicemente come “assenza di
malattia o infermità” e si basa sui risultati delle relazioni fornite
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volontariamente da alcuni genitori. Gli indicatori utilizzati per i
questionari avevano a che fare con i costrutti di autostima, emotività,
tempo trascorso con i genitori, stato di salute e coesione familiare. In
particolare i risultati mostrano che i bambini cresciuti in una “same-sex
family” ottengono i punteggi più alti per quanto riguarda la salute e la
coesione familiare. Questo sembra avvenire soprattutto perché i genitori
dello stesso sesso sfuggono ai cosiddetti ruoli di genere, per cui
tradizionalmente la donna resta a casa a prendersi cura dei bambini e il
padre esce per lavorare e mantenere la famiglia. In una coppia dello
stesso sesso, infatti, sembrerebbe esserci, dice la ricerca, più libertà
rispetto gli stereotipi di genere, entro ruoli che si adattano maggiormente
ai desideri e alla propensione dei singoli, maschi o femmine che siano.
Lo studio ha poi analizzato la “salute” di questi bambini in relazione alle
discriminazioni a cui sono sottoposti durante lo sviluppo, che vanno dai
commenti alle prese in giro, dal bullismo all’omofobia, fino al rifiuto.
Più è forte la stigmatizzazione più, naturalmente, questa influisce
negativamente su quei dati di salute e benessere, ma, ad ogni modo, non
influisce abbastanza da modificare il risultato finale sul confronto con la
popolazione in generale. Secondo il report pubblicato durante lo studio,
a causa della situazione in cui si trovano, questi bambini, infatti,
esplicitano un maggior desiderio di comunicare e affrontare con i loro
genitori quello che subiscono. E il modo in cui le discriminazioni
vengono affrontate in famiglia ha su di loro effetti positivi: favorisce,
infatti, la loro apertura mentale, rafforza il loro carattere e consolida il
legame con i genitori.
Un altro studio è stato condotto dal Research Institute of Child
Development and Education dell’Università di Amsterdam in
collaborazione con il Williams Institute dell’Università della California e
si è focalizzato sui figli e le figlie adolescenti delle coppie lesbiche
olandesi, sostenendo, in sintesi, che i loro eventuali problemi in età
adolescenziale non sono dovuti alla tipologia della famiglia in cui sono
cresciuti e cresciute, ma alla stigmatizzazione sociale della loro
condizione. I parametri considerati avevano a che fare con problemi di
interiorizzazione e problemi comportamentali esternalizzati: per
esempio è stato chiesto agli adolescenti e alle loro madri di assegnare un
punteggio ad affermazioni quali “preferisco stare da solo piuttosto che
con gli altri” o “mi sento in colpa” accanto a frasi quali “urlano molto”,
“infrangono le regole a casa, a scuola, o altrove”, “hanno molti
conflitti”. I risultati contestano una serie di stereotipi legati alla crescita,
alla salute e al benessere dei bambini cresciuti in famiglie omosessuali, e
cioè la paura che lo sviluppo dell’identità sessuale dei bambini sia
danneggiato dall’avere genitori omosessuali, la paura riguardo lo
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sviluppo della personalità in generale con maggiore fragilità psichica, il
timore di maggiori difficoltà di stringere relazioni. I dati mostrano,
invece, che disturbi comportamentali, psicologici e di scarsa
integrazione sociale sarebbero presenti in entrambe le tipologie di
famiglia, senza differenze significative statisticamente. I maggiori
problemi comportamentali di adolescenti figli di coppie omosessuali
risulterebbero, invece, dal rapporto con ambienti sociali inospitali: «la
stigmatizzazione omofoba è l’attitudine negativa che individui, gruppi o
comunità hanno nei confronti dell’identità o del comportamento non
eterosessuale e la discriminazione che accompagna questa attitudine».
Sarebbero le stigmatizzazioni, e non l’orientamento sessuale dei
genitori, ad aver influito in modo negativo, ma non abbastanza almeno
nel contesto olandese, da modificare il risultato finale sul confronto con
le cosiddette famiglie tradizionali. Risultato che indica che la soluzione
è nel proseguimento della crescita e dell’adeguamento culturale delle
comunità a questo genere di famiglie.
Infine, sembra importante riportare che, nel 2013, la Prima Sezione della
Corte di Cassazione italiana aveva emesso una sentenza (la 601/2013)
rilevante rispetto a tale tema: non aveva accolto il ricorso presentato da
un padre, di religione musulmana, contro la sentenza con cui la Corte
d’appello di Brescia aveva stabilito l’affidamento esclusivo del figlio
minore alla madre, una ex tossicodipendente, che successivamente era
andata a convivere con una delle educatrici che aveva conosciuto in una
comunità di recupero. Nella sentenza si legge che «alla base della
doglianza del ricorrente non sono poste certezze scientifiche o dati di
esperienza, bensì il mero pre-giudizio che sia dannoso per l’equilibrato
sviluppo del bambino il fatto di vivere in una famiglia incentrata su una
coppia omosessuale (…). In tal modo si dà per scontato ciò che invece è
da dimostrare, ossia la dannosità di quel contesto familiare per il
bambino». Ciò in linea con l’assunto che contro l’omosessualità del
genitore non c’è alcuna «certezza scientifica» ma solo «il pregiudizio».
Quest’ultimo, seppur comunemente considerato dannoso per una libera
costruzione di costrutti e punti di vista soggettivi, sembra, talvolta,
essere il punto di partenza dal quale, non solo gli adulti, ma anche i
giovani, muovono per esprimere i propri pensieri e collocarsi nei
dibattiti più attuali e controversi. Anche quest’ultima trasformazione
culturale, in linea con ciò, sembra proprio faticare a trovare un terreno
entro cui porre le proprie radici, proprio a causa dei numerosi pregiudizi
e stereotipi, legati principalmente a una non adeguata istruzione e
informazione, oltre che a un retaggio storico culturale difficilmente
pronto ad accogliere il nuovo. La letteratura (Lai, 2006; Roffman, 2001;
Solomon, 2004; Woody, 2002) dimostra come insegnare l’apertura e
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l’accoglienza di qualunque orientamento sessuale ed investire
sull’educazione al tema della sessualità e dei comportamenti di salute ad
essa connessi, anche qualora veicolati dalla tecnologia e dalle recenti
pratiche mediche, dovrebbe far parte dei programmi scolastici fin dai
primissimi anni di vita dei bambini. Obiettivo di tale focus d’interesse
dovrebbe essere quello di aiutare gli studenti a conoscere il rispetto, la
diversità e le differenze entro la società, dissipando disinformazione,
confusione e stereotipi, muovendo verso una migliore comprensione
delle diverse culture di omosessuali (Milton, 2003; Roffman, 2001).
Proprio a scuola “avviene una parte rilevante di quella trasmissione di
nozioni, principi e atteggiamenti che sono necessari alla formazione
dell’identità privata e pubblica degli esseri umani […]. La scuola è una
“palestra” di vita: proprio perché il fine dell’educazione è la proiezione
degli individui nel contesto sociale allargato, essa rappresenta una
simulazione di società che permette un esercizio del vivere sociale
attraverso una progressiva transizionalità” (Caporale, 1996). Nel campo
della politica è stata proposta la legge n. 3423/15 per introdurre proprio
l’insegnamento dell’educazione emotivo-sentimentale nei programmi
scolatici. In quest’ottica, l’OMS ha diffuso un documento relativo alle
linee guida per l’educazione sessuale e affettiva nelle scuole. Esse,
peraltro, non dimenticano il tema della formazione degli insegnanti e
nemmeno la stretta collaborazione con i genitori e la comunità allargata,
che vanno coinvolti nell’educazione sessuale scolastica e resi parte di un
contenitore emotivo più ampio ed articolato, che ponga al centro il
giovane e i suoi bisogni. Se è vero, infatti, che la scuola deve avere un
ruolo nell’educazione dei bambini e dei giovani, è altresì vero che molto
di quel che i bambini prima, e i ragazzi poi, imparano rispetto alla
sessualità e alle relazioni viene appreso vivendo in prima persona ciò
che vedono in famiglia, attraverso l’emulazione. Ecco, quindi, che il
ruolo dei genitori, sia nel rispondere attivamente a curiosità e domande,
sia nel porsi come rappresentanti nel quotidiano delle idee che a parole
insegnano, diventa sempre più centrale. L’obiettivo del documento OMS
è dunque quello di colmare le lacune nell’ambito dei programmi di
educazione sessuale attualmente esistenti nei vari Stati europei, non solo
nel nostro, dove l’educazione sessuale integrata nei programmi scolastici
rappresenta un’utopia, a favore, invece, del suo restare relegata entro i
POF, scelti discrezionalmente dalle singole scuole sulla base
dell’interesse e della soggettiva sensibilità al tema. Fornire un modello
completo di come questa materia dovrebbe essere sviluppata al fine di
promuovere la “salute sessuale” sembra rappresentare l’obiettivo ultimo
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, attivamente impegnata a
diffondere la cultura della salute, anche sessuale, a partire dal contesto
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Obiettivi
progetto
privilegiato della scuola. Ma cos’è la “salute sessuale” per l’OMS? “È
uno stato di benessere fisico, emotivo, mentale e sociale relativo alla
sessualità; non consiste nella semplice assenza di malattie, disfunzioni o
infermità, ma richiede un approccio positivo e rispettoso alla sessualità e
alle relazioni sessuali, come pure la possibilità di fare esperienze
sessuali piacevoli e sicure, libere da coercizione, discriminazione e
violenza. Per raggiungere e mantenere la salute sessuale, i diritti sessuali
di ogni essere umano devono essere rispettati, protetti e soddisfatti”. Gli
standard per l’educazione sessuale, elaborati dall’OMS (Sezione
Europa) e dal Centro Federale per l’Educazione alla Salute tedesco
(BZgA), prevedono che si debba iniziare ad affrontare l’argomento già
alla scuola dell’infanzia, con l’obiettivo di assicurare ai bambini, e poi ai
ragazzi, la possibilità di vivere la sessualità in modo informato,
responsabile ed appagante, ma anche per renderli consapevoli delle
principali problematiche legate alle malattie sessualmente trasmesse,
alla contraccezione, alla violenza e a tutti quei comportamenti quotidiani
devianti, quali fumo, abuso di alcool e di sostanze, che possono incidere
in modo significativo sul futuro di ragazze e ragazzi. Se è vero, infatti,
che una maggiore consapevolezza su queste tematiche è utile per
prevenire comportamenti sessuali pericolosi per la propria e altrui salute,
è altrettanto vero che insegnare fin da subito ai bambini che cosa la
sessualità rappresenti, non solo in termini fisici e biologici, ma anche in
termini relazionali ed emozionali, può contribuire ad imparare a viverla
in modo adulto e completo e nel pieno rispetto di sé e dell’altro.
Ma avviene proprio questo nelle scuole italiane? I suggerimenti degli
Istituti formali deputati alla prevenzione e promozione della salute
sessuale tra i giovani trovano concreta traduzione nelle pratiche diffuse
nelle scuole di diverso ordine e grado? I ragazzi sono realmente
informati, consapevoli e a conoscenza dell’impatto dei propri
comportamenti soggettivi sulla sfera della propria sessualità e della
procreazione, oltre che delle evoluzioni scientifiche a disposizione delle
coppie?
del OBIETTIVI:
1. Nonostante la letteratura in materia sottolinei come sia
imprescindibile rifarsi a posizioni scientifiche, piuttosto che
personali, religiose o culturali, il dibattito tra i professionisti di
differenti discipline sembra, ad oggi, ancora poco ancorato alla
scientificità di quanto dimostrato, facendo invece riferimento a
credenze personali o a rivendicazioni di ruolo, perpetrando l’ormai
datato e acceso conflitto tra specialisti. A ciò si aggiunge come le
nuove generazioni appaiano non pienamente pronte ad accogliere
una tale trasformazione culturale, oltre che possibilità da tempo
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diffuse attorno alle quali, ad ogni modo, permangono controversie,
rimanendo in retroguardia ed arroccandosi su posizioni orientate a
conservare le tradizioni apprese o vissute. Dai contesti virtuali e
mediatici frequentati dai giovani, si rintraccia, infatti, come questi,
apparentemente, assumano un posizionamento favorevole
all’apertura alla novità, ma come tale inclinazione non sia
assolutamente, il più delle volte, sostenuta, nell’attualità, da
conoscenza, consapevolezza, riflessione e confronto. Quanto la
famiglia, il retaggio culturale, gli insegnamenti previsti entro i
percorsi formativi permettono loro di costruirsi in autonomia un
posizionamento consapevole, sostenuto da informazione e riflessione
e quanto, invece, imbrigliano entro un punto di vista tradizionale,
poco avvezzo alla novità e a fare spazio ad agire la libertà personale?
Quale divario tra vecchie e nuove generazioni? Quale futuro per i
nuovi professionisti che, nel breve periodo, si troveranno a fare i
conti con domande di assistenza, di cura e di presa in carico della
complessità, che delineeranno un profilo tanto lontano da quello di
chi li ha preceduti? Per rispondere a tali attuali interrogativi, il
presente Progetto mira a mappare la cultura locale, indagando il
posizionamento personale e soggettivo di persone appartenenti a
fasce d’età differenti, con un’estrazione sociale diversa e un retaggio
culturale frutto della propria storia e della cultura d’appartenenza.
Ciò al fine di conoscere le sfaccettature e le specificità dell’opinione
pubblica in merito, offrendo un punto di partenza per le riflessioni
dei professionisti e per l’organizzazione dei Servizi che, già oggi ma
sempre di più in futuro, impatteranno con domande di presa in carico
nuove e sollecitanti.
2. A ciò si associa l’obiettivo, più ampio e generale, di intercettare le
giovani generazioni, a partire dall’età dell’adolescenza,
relativamente ai temi strettamente connessi alla sessualità e alla
fertilità, per coglierne il livello di consapevolezza e fotografarne il
posizionamento. In particolare, si ipotizza di prevedere focus di
attenzione su:
• La sterilità come malattia: come la si previene? Quali sono
gli strumenti di prevenzione disponibili? Quali sono i
comportamenti a rischio connessi? Quanto ragazze e ragazzi
conoscono e sono consapevoli dell’influenza dei propri
comportamenti e delle proprie pratiche di salute sulla fertilità
e sulla maggiore o minore facilità di concepire?
• La tematica del “figlio sano”: cosa significa e quale impatto
ha una diagnosi pre-impianto? Quali limiti e quali
opportunità per lo screening genetico? Quale livello di
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predittività e quale grado di fallacia possono avere le analisi
cliniche disponibili? Quale ruolo dell’etica?
• La sterilità come condizione: cosa si pensa e cosa si sa
relativamente all’inseminazione post-mortem? Con quali
tematiche si intreccia la richiesta di concepimento da parte di
due donne lesbiche? Quale impatto ha il desiderio di
procreazione di due uomini gay sulle altre persone coinvolte
nel processo, ovvero la donatrice dell’ovocita e colei che
porta avanti la gravidanza per procura?
Come dimostra la letteratura sopra riportata, i diffusi e consolidati
percorsi di “educazione all’affettività e alla sessualità” potrebbero,
infatti, essere sostenuti ed integrati da interventi di promozione della
salute, che, a partire dai punti di vista soggettivi, facciano leva
sull’informazione e l’implementazione della consapevolezza, basi
per buone prassi e per la costruzione di un posizionamento personale
autonomo. Da qui il focus sul concetto di “ownership”, ovvero sul
senso di titolarità costruito intorno al significato psicologico di
“essere proprietario”, che ha a che fare con un sentire personale
informato, profondo e radicato, e assume per il giovane il significato
di una piena presenza e di una piena titolarità nel proprio approccio
al tema della sessualità e della procreazione, oltre che relativamente
alle pratiche di salute ad esse connesse.
METODOLOGIA:
1. Il primo obiettivo del Progetto, relativo alla mappatura dei
posizionamenti della popolazione in merito al tema della
procreazione medicalmente assistita come occasione per le coppie
eterosessuali od omosessuali di procreare, verrà realizzato mediante
interviste semi-strutturate, proposte su base volontaria, che fungano
da stimolo per l’espressione di un punto di vista in merito. Obiettivo
ultimo consiste nel fornire una fotografia e una mappatura dei
posizionamenti personali entro la realtà locale, ponendo a confronto
il livello di informazione, di consapevolezza e di riflessione ad oggi
diffuso attorno al tema.
2. Il secondo obiettivo sarà perseguito, in stretta relazione con il
territorio di competenza e le strutture in esso deputate (in linea con i
dettami della Riforma della Sanità della Regione Lombardia),
attraverso interventi di informazione e promozione della salute nelle
scuole secondarie di primo e secondo grado. Essi saranno orientati a
raccogliere i posizionamenti dei giovani, coinvolgendoli
attivamente, e, da lì, a riflettere sui comportamenti e gli
atteggiamenti di salute legati alle pratiche sessuali, ampliando il loro
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bagaglio di conoscenze e, quindi, i loro gradi di libertà nella scelta,
nella direzione dell’intercettazione della coscienza individuale e di
come questa incontri il pensiero dell’altro e delle istituzioni per la
costituzione di una coscienza collettiva.
Criteri ed indicatori
per la verifica del Al termine del progetto verrà steso un report di rendicontazione, al fine
raggiungimento
di pubblicazione.
degli obiettivi
Fasi e tempi di
realizzazione stimati 1 anno dall’avvio del Progetto.
Collaborazioni con
altre
strutture
aziendali o altri
soggetti esterni
Risorse
Professionali
Strumentazione
Finanziamento
richiesto
Contropartita per i
finanziatori
Si auspica il coinvolgimento delle strutture di competenza territoriale,
specialmente alla luce della Riforma della Sanità della Regione
Lombardia nella direzione dell’integrazione tra Ospedale e territorio.
Si prevede, altresì, il coinvolgimento degli istituti scolastici.
Psicologi
Tracce di interviste semi-strutturate, software di analisi testuale.
Euro 10.000 / anno rinnovabile
Non prevista
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