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direzione editoriale:
Calogero Garlisi
redazione e comunicazione:
Gabriele Dadati
grafica e interni:
Daniele Ceccherini
utili consigli:
Giulio Mozzi
Collana Europe
un progetto di:
Michele Monina
realizzazione grafica e editoriale:
Dario Rossi
Laurana Editore è un marchio Novecento media s.r.l.
Copyright © 2012 Novecento media s.r.l.
via Carlo Tenca, 7 – 20124 Milano
www.laurana.it – [email protected]
ISBN 978-88-96999-22-6
Atene, Londra, Parigi, Berlino, ma anche Lisbona,
Praga, Budapest. E le altre. 12 città per 12 libri,
uno al mese, per raccontare il viaggio lungo un anno che Michele Monina fa da giugno 2012 a maggio 2013 attraverso l’Europa. Perché di Europa parliamo sempre. Ma come sia l’Europa di oggi non lo
sappiamo per niente.
Un viaggio straordinario, una maratona di scrittura senza precedenti.
Michele Monina ci propone vere e proprie guide
con tutte le informazioni che si possono desiderare. Ma allo stesso tempo si tratta di libri sentimentali e appassionati, pieni di storie. Utilissimi per il
viaggiatore, avvincenti per chiunque.
Michele Monina (Ancona, 1969) ha dedicato libri a
personaggi che vanno da Vasco Rossi a Lady Gaga,
da Zlatan Ibrahimovic a Valentino Rossi, da Bruce Springsteen a tanti altri ancora. Ha lavorato per
MTV. Ha tradotto libri di Lou Reed ed Eminem, Palahniuk e Nick Cave. Ha scritto su “GenteViaggi”,
“Rolling Stone” e “GQ”.
Laurana Editore ha pubblicato il suo 10 modi per
diventare un mito (e fare un sacco di soldi), prefazione di Gianni Biondillo.
michele monina
e’ un orologio
LONDRA
Londra è un orologio
Quarantaquattro. Ecco, la faccenda dei libri e degli anni,
con questo è archiviata, almeno per ora. Quarantaquattro
e io ho quarantatré anni. Sia come sia, anche questo
quarantaquattresimo libro è per Marina, mia moglie,
e per i miei figli, Lucia, Tommaso, Francesco e Lucia.
Occhio, che quando passiamo noi, a Abbey Road, tocca
usare il grandangolo…
Ognuno di noi ha sette sosia in giro per il mondo. Sette
persone in tutto e per tutto identiche a noi. Così vuole una
leggenda metropolitana. Così leggiamo tutte le estati su
quegli stupidi articoli che occupano le pagine dei giornali
in attesa che succeda qualcosa di davvero interessante
o semplicemente per non raccontare le notizie davvero
interessanti che è meglio non far circolare d’estate, ché la
gente è in vacanza e magari è la volta buona che si riesce
a far passare quella leggina utile alla casta.
Ognuno di noi ha sette sosia in giro per il mondo,
quindi.
Bene, i miei sette sosia, ne sono convinto, devono tutti
abitare a Londra. O almeno sei di questi sette sosia, dal
momento che uno di questi, Kim Thayil, storico chitarrista dei Soundgarden, vive a Seattle.
Dico questo (non di Thayil, degli altri sei) perché in
nessuna città al mondo come a Londra mi capita di girare per strada e incontrare gli sguardi familiari delle persone che incrocio. Come se anche io fossi residente in questa immensa megalopoli, ne fossi parte integrante tanto
quanto gli altri sette milioni e mezzo di londinesi, e forse
anche di più.
Londra, del resto, è la città in cui sono stato più volte
in vita mia, dopo Ancona, che è il posto dove son nato,
e Milano, che è quello dove purtroppo vivo (pago l’imu,
posso quindi ben permettermi di esprimere un giudizio
negativo sul capoluogo lombardo, no?). Di più, Londra è,
insieme a New York e Los Angeles, la sola altra città al
mondo dove mi è capitato di andare per la prima volta,
anni e anni fa, e sentirmi già di casa, capace di orientarmi a occhio, consapevole che tale strada mi avrebbe
portato in tale posto, e che volgendo lo sguardo in una
tale direzione, avrei visto questo o quel monumento, o
addirittura questo o quello store.
Sarà che viviamo in un villaggio globale, mi son detto
le prime volte, sentendomi per qualche istante cittadino
del mondo prima di sentirmi precipitare, o meglio sprofondare, nel più bieco provincialismo non appena il mio
sguardo si è posato su un punk con la cresta o su una maestra di scuola elementare con scolaresca appresso dotata di vistoso piercing su una guancia e capelli viola.
Sarà che anche se sono italiano per anagrafe, anche
se sono provinciale per nascita, la mia cultura, almeno
quella che mi son dato da solo, fuori dai banchi di scuola,
è totalmente anglosassone e anglofona, cresciuto a pane
e rock’n’roll, con giusto qualche concessione al pop.
Sarà che, come dicono nelle pubblicità delle auto di
lusso o in telefilm come Touch, uno certi posti se li trova
iscritti nel dna senza neanche saperlo, finché non si trova a passeggiare per le sue strade con quel senso di déjà
vu che fa tanto scena del gatto nero di Matrix, senza però dover star lì a temere che a breve arrivino i cattivi,
capitanati dall’inossidabile Mr Smith.
Londra, per farla breve, è casa mia.
Non ci ho mai abitato.
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Non ci ho mai lavorato.
Non ci ho mai studiato.
Ma è casa mia. La conosco come le mie tasche. Riesco
a muovermici senza consultare una mappa. Se un amico
sta per andarci mi sento in diritto, forse addirittura in
dovere, di dargli dritte su dove mangiare, su dove andare
a farsi una birra, su cosa vedere e cosa evitare. Un po’
come faccio con questo libro.
Ho anche già scritto un altro libro su Londra, inutile
tenerlo segreto, e in quel caso ne raccontavo una singola
porzione, quella intorno al Tamigi, per di più a partire da
una condizione particolare, l’essere in città in sella a una
bici con mio figlio Tommaso a fianco.
Stavolta, però, è diverso. Stavolta sono in città in un
momento particolare per Londra, per l’Italia, e anche per
me. Siamo nel 2012, a maggio, e Londra si sta preparando a due eventi mica da ridere. Il primo, tutto inglese,
è il Giubileo di Diamante della Regina Elisabetta ii, il
secondo, mondiale, le Olimpiadi.
Il Giubileo di Diamante, quindi. Partiamo da qui, visto che da qualche parte bisogna pur cominciare a muovere i primi passi.
Chiunque, come me, sia cresciuto a pane e rock, al solo sentire parlare di Giubileo, o per dirla all’inglese, di
Jubilee, ha la pelle d’oca. Non può essere altrimenti, visto che proprio a questo particolare evento è legato uno
dei momenti più importanti della storia del genere in
quattro quarti. Tra il 2 e il 5 giugno 2012 si terranno i
festeggiamenti per il sessantennale dell’ascesa al trono
della Regina Elisabetta ii d’Inghilterra, unica reggente
britannica, a parte la Regina Vittoria, ad aver raggiunto
questo impressionante traguardo. Sessant’anni da Regina, come ben sa il Principe Carlo, perennemente in pro13
cinto di diventare qualcosa che, ormai, con ogni probabilità non diventerà mai.
Coi suoi cappellini costantemente appoggiati sui capelli cotonati, negli anni sempre più incanutiti, coi suoi
vestiti dai colori improbabili, Elisabetta ii è un simbolo
di Londra e dell’Inghilterra a metà strada tra la Storia
e il Pop. Buona sia per finire nei libri scolastici che nelle tazze-ricordo da comprare nei negozi di souvenir che
costeggiano le vie del centro, quelle intorno a Piccadilly
Circus o a Oxford Street.
Ma il Giubileo è importante per la storia di Londra e
della Londra rock, quella che bruciava nelle canzoni dei
Clash, per un evento entrato nella storia della cultura
popolare e legato all’altra band che del punk è stata incarnazione, i Sex Pistols. Sì, la band ideata da quel genio
totale di Malcolm McLaren con l’ausilio della stylist più
provocatoria e provocante di tutti i tempi, la sua compagna dell’epoca Vivienne Westwood, la band che più di
ogni altra ha segnato gli anni Settanta grazie al ghigno
marcio di Johnny Rotten, al secolo John Lydon, irlandese di Londra, e agli occhi cerchiati di nero di Sid Vicious,
che con la sua morte ha segnato la morte dell’innocenza proprio della Swinging London, ecco, quella band è
legata a doppio filo a Sua Maestà la Regina Elisabetta
ii d’Inghilterra. Nell’iconografia elisabettiana, infatti,
che proprio in questo periodo è visibile nella mostra The
Queen: Art & Image, dal 17 maggio al 21 ottobre presso la National Portrait of London, campeggia la copertina di un singolo dei Sex Pistols dal più che esplicativo
titolo di God Save the Queen.
Non lo conoscete?
Be’, forse è il caso che vi fermiate un attimo nella lettura di queste pagine e corriate a comprarlo su un por14
tale di vendita di musica online (negozi di dischi, ormai,
non ne esistono quasi più, neanche qui a Londra) o, se
siete tra quanti sostengono a viva forza la pirateria digitale, andiate su Torrentz e lo mettiate a scaricare, perché
muoversi per la Londra giubilare senza aver ascoltato almeno una volta questo brano è davvero fuori luogo, se
non addirittura contro natura.
E visto che la musica digitale non è accompagnata, almeno non sempre, dalle copertine, come i vecchi vinili o
i cd, sappiate che la copertina del singolo God Save the
Queen è quell’immagine famosissima che ritrae la Regina in questione su uno sfondo fatto con la Union Jack,
la bandiera inglese, con occhi e bocca coperti dalle scritte
composte da ritagli di giornali che presentano il titolo
del disco e il nome della band. In realtà, l’immagine era
in precedenza ancora più cruda, a opera dell’artista punk
Jamie Reid, vicino ai Pistols per attitudine e amicizia.
C’era la Regina con la bocca chiusa da una spilla a balia, simbolo del punk, quest’ultimo, al pari delle creste
tenute su con lacca e colla, degli anfibi Dr Martens e del
chiodo, il tradizionale giubbotto di pelle nera. Un’immagine sacrilega, oscena, devastante. Un’immagine che
fece scandalo, al punto che molti negozi di dischi (allora, negli anni Settanta, ancora c’erano) decisero di non
esporre sugli scaffali, men che meno in vetrina, il disco
in questione, già osceno nel titolo God Save the Queen
(motto inglese assurto a inno nazionale, qui rovesciato
con intenti anarchici). Fatto, questo della copertina di
God Save the Queen, uscito il 27 maggio del 1977, durante il Giubileo d’Argento della Regina, che però fa il
paio con l’altro evento che ha visto protagonisti i Sex Pistols, la Regina Elisabetta ii d’Inghilterra e il Giubileo.
Pochi giorni dopo l’uscita del singolo, infatti, il 10 giugno,
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la band capitanata da Johnny Rotten cercò di eseguire
live il brano a bordo di una barca sul Tamigi, proprio di
fronte a Westminster, dove nel mentre si celebravano i
festeggiamenti della Regina. In realtà l’operazione non
riuscì, perché i Sex Pistols vennero bloccati dalle forze
dell’ordine e, in seguito a una mega-rissa scoppiata tra i
tutori della legge e l’entourage della band, rissa che vide
protagonista Jah Wabble, in seguito al fianco di Rotten
nella band new wave dei Public Image Ltd, la barca venne fatta attraccare e dieci dei giovani a bordo vennero
arrestati. Il fatto però proietterà il singolo in vetta alle
classifiche inglesi, anche se per questioni di buon senso
God Save the Queen risulterà fisso al secondo posto per
alcune settimane, e i Sex Pistols diventeranno nel giro
di pochi giorni la band di cattivi ragazzi più famosa del
Regno Unito e presto del resto del mondo.
La Regina Elisabetta ii, quella che non è riuscita a
piangere al funerale di sua nuora Diana Spencer, per tutti sempre e soltanto Lady D, e un gruppo di ragazzotti
sporchi e dannati vestiti di t-shirt fatte nel retro di un
negozietto di King’s Road, il Sex di un’allora giovanissima Vivienne Westwood e del geniale Malcolm McLaren,
anche lui prematuramente scomparso l’8 aprile 2010.
La storia della nostra camminata per Londra, a ridosso del Giubileo di Diamante, non può che partire da qui,
tra monumenti imperiosi e chitarre distorte, cultura alta
e bassa. Londra chiama, per dirla con i giornalisti della
bbc e poi con i Clash: London calling.
E se Londra chiama, noi non possiamo che rispondere.
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