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Il patto marciano, i rapporti controversi con il divieto del patto commissorio e le figure negoziali potenzialmente a rischio, tra diritto “tradizionale” e novità legislative (vendita con riserva della proprietà, sale and lease back, fino al rent to buy) di Valentina Pappa Monteforte Sommario: 1. Introduzione – 2. Divieto del patto commissorio: ratio ed ambito applicativo – 3. Clausola marciana: tentativo della giurisprudenza di ricondurre a legittimità possibili patti commissori. Criticità – 4. Nuove prospettive in tema di: vendita con riserva della proprietà; sale and lease back e rent to buy. Brevi cenni. 1. Introduzione – Non è nuova l’affermazione per cui l’art. 1322, II comma, c.c. sancisce un’apertura dell’ordinamento all’ autonomia contrattuale dei privati, limitata del perseguimento di interessi cd. meritevoli di tutela. Molteplici le ricostruzioni interpretative in ordine al concetto di “meritevolezza”1, volutamente inespresso dal legislatore e – dunque – idoneo a “colorarsi” degli aspetti che la società ed il tempo storico di riferimento intendono, di volta in volta, attribuirgli. L’astrattezza di tali ultimi concetti necessita di essere calata in una dimensione pratica, attraverso la disamina delle soluzioni operative che la recente giurisprudenza di legittimità ha offerto per ricondurre a liceità contratti potenzialmente lesivi degli aspetti tutelati dal divieto di cui all’art. 2744 c.c. e – dunque – da ritenersi “immeritevoli”. 2. Divieto del patto commissorio 2 : ratio ed ambito applicativo – L’art. 2744 c.c. – rubricato “Divieto del patto commissorio” – sanziona con la nullità l’accordo delle parti avente per oggetto il trasferimento della proprietà dal debitore al creditore del bene oggetto di pegno o ipoteca, nel caso di mancato adempimento del debito3. La norma precisa, altresì, che non rileva che l’ipoteca ovvero il pegno siano costituiti successivamente. La disciplina in commento trova collocazione nelle disposizioni generali alla trattazione delle cause legittime di prelazione e contiene in sé una disposizione letteralmente applicabile ai soli casi della cessione di beni concessi in pegno o ipoteca, nonché al solo contratto con il quale le parti prevedano La questione in merito alla corretta interpretazione del limite di cui all’art. 1322, II comma, c.c. rappresenta un ever – green del dibattito dottrinale. Ad avviso di taluni vi sarebbe identità tra giudizio di meritevolezza e di non contrarietà del negozio alle norme imperative, all’ordine pubblico e al buon costume (GAZZONI, Atipicità del contratto, giuridicità del vincolo e funzionalizzazione degli interessi, in Riv. dir. civ., 1978, I, 52 ss.); altri, meno di recente, affermano una sovrapposizione della meritevolezza con l’utilità sociale (BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, in Tratt. Dir. civ., diretto da Vassalli, XV, Torino, 1960, 399 ss.) Conclude in questi termini anche la Relazione al codice civile (n. 603) che, dopo aver sottolineato l’impossibilità per l’ordinamento di apprestare tutela “[…] al mero capriccio individuale […]” evidenzia la necessità che i negozi conclusi perseguano “[…] funzioni utili che abbiano rilevanza sociale”. 2 E’ da sottolinearsi come di forte impatto sul divieto in parola sia il D.lgs. attuativo della direttiva 2014/1/UE – in materia di contratti di credito ai consumatori per l’acquisto di immobili residenziali – attualmente in approvazione alla Commissione Finanze della Camera. Il decreto prevede, infatti, che nel caso di mancato pagamento di 18 rate del mutuo, la Banca possa appropriarsi (direttamente) dell’immobile concesso in ipoteca, ove ciò sia stato previsto nel contratto di finanziamento (verosimilmente si tratterà di una clausola standard, imposta per ottenere il credito). Inoltre, si prevede che al consumatore vada corrisposta l’eccedenza tra importo delle somme mutuate ed effettivo valore del bene, sulla base di una perizia di stima che dovrà essere effettuata da un terzo imparziale, al tempo dell’inadempimento, in armonia con il meccanismo caratterizzante il cd. patto marciano. 3 Nonostante il silenzio della legge, è evidente che l’ipotesi tradizionale è quella del trasferimento intervenuto tra il debitore ed il creditore. Quaestio juris per il caso di alienazione, ovvero di promessa di cessione, effettuata da un terzo (diverso dalla parte debitrice) in favore del creditore, in adempimento di un debito altrui. Per la soluzione positiva Cass. 1998 n. n. 8624, in www.italgiure.giustizia.it e BARBIERA, Responsabilità patrimoniale. Disposizioni generali, in Comm. cod. civ., diretto da Schlesinger, Artt. 2740 – 2744, Milano, 1991, 324 ss.; in senso contrario, Cass. 12 febbraio 1993 n. 1787, in www.italgiure.giustizia.it. 1 1 che il trasferimento della proprietà4 si verifichi al tempo dell’inadempimento. Ad una sua prima lettura, sensibile al solo tenore letterale della norma, potrebbe seguire – ma il condizionale è d’obbligo – un’interpretazione della stessa nel senso di escluderne l’operatività nelle seguenti ipotesi: - trasferimento della proprietà del bene, ancorché non oggetto di pegno o ipoteca, condizionato risolutivamente all’adempimento del debitore alienante5 ; - contratto preliminare di compravendita concluso tra debitore/promittente alienante e creditore/promissario acquirente, subordinato alla condizione sospensiva o risolutiva, rispettivamente dell’adempimento ovvero inadempimento di un debito pregresso6; Una siffatta ricostruzione, avallata dalla giurisprudenza fino all’inizio degli anni ‘80 7 , è stata, successivamente abbandonata dai Giudici di Piazza Cavour8, sino ad arrivare alla nota sentenza 4 Il legislatore fa riferimento ai soli casi di trasferimento del diritto di proprietà e, pertanto, vi sarebbe da chiedersi se il divieto operi anche nel caso in cui il debitore costituisca in favore del creditore un diritto reale minore, in funzione di garanzia. La dottrina non si occupa specificamente del tema, ma afferma l’estensione del divieto anche all’ipotesi in cui oggetto di ipoteca sia un diritto reale diverso da quello di proprietà, con ciò risultando possibile sostenere che la lettera della norma non impedisca una lettura estensiva del divieto, anche in merito al contenuto del diritto concretamente trasferito al creditore. Sul punto, ANDRIOLI, Il divieto del patto commissorio, in Comm. cod. civ., diretto da ScialojaBranca, Artt. 2740 – 2744, Bologna –Roma, 1966, 52 ss. 5 In tal caso la proprietà “passerebbe” fin da subito al creditore, sotto condizione risolutiva. Dall’inadempimento non deriverebbe alcun trasferimento, ma una mera cristallizzazione degli effetti già prodottisi. Peraltro, in forza della retroattività della condizione – ex art. 1360 c.c. – essi retroagirebbero al tempo della conclusione del contratto e non dell’inadempimento. Così, Cass. 6 marzo 1978 n. 1104, in Giust. civ., 1979, I, 885, secondo cui “Deve ritenersi valida perché non contrastante con il divieto del patto commissorio – la vendita a scopo di garanzia nella quale le parti convengano che la proprietà dell’immobile passi senz’altro, a scopo di garanzia, al compratore-creditore, salvo a ritornare al venditore se questi estingua il debito nel termine stabilito”; Cass., 29 ottobre 1963 n. 2880, in Mass. Giur. it., 1963, 986, secondo la quale “La vendita con patto di riscatto a scopo di garanzia, importando l’effettivo ed immediato trasferimento al compratore della proprietà di cose immobili, salvo il successivo ri-trasferimento al venditore, in caso di tempestiva restituzione della somma mutuata, è valida, non urtando con il divieto di cui all’art. 2744 c.c., il quale si riferisce alla sola ipotesi in cui l’accordo delle parti mira a porre in essere una situazione giuridica corrispondente a quella determinata da una condizione sospensiva, nel senso che il creditore diverrà proprietario della cosa se nel termine fissato il debitore non avrà versato la somma dovuta”; Cass. 14 dicembre 1978 n. 5961, in Riv. Notariato, 1979, 228; Cass. 26 gennaio 1980 n. 642, in Arch. civ., 1980, 681; Cass. S.U. 1 luglio 1947, in Giur. it., 1947, I, 461, con nota di Minoli. Si segnala un passaggio della Cass. 21 gennaio 2016 n. 1075, in www.italgiure.giustizia.it, che sembra conformarsi a questo orientamento quando afferma che “[…] va esclusa la violazione del divieto del patto commissorio […] quando la titolarità del bene passi all’acquirente con l’obbligo di ri-trasferimento al venditore se costui provvederà all’esatto adempimento”. In dottrina, RUBINO, La Compravendita, in Tratt. Dir. civ. e comm., diretto da Cicu-Messineo, Milano, 1971, XVI, 1025 ss.; GRECO-COTTINO, Della vendita, in Comm. cod. civ., diretto da Scialoja-Branca, Torino, 1980, 331. 6 La proprietà non passerebbe al creditore con effetti immediati, stante l’efficacia meramente obbligatoria del contratto preliminare. Tuttavia, in giurisprudenza, sull’estensione del divieto ex art. 2744 c.c. anche al contratto preliminare, Cass. 21 maggio 2013 n. 12462; Cass. 10 febbraio 1997 n. 1233; Cass. 4 marzo 1996 n. 1657, tutte in www.italgiure.giustizia.it. Precisamente, secondo Cass. 21 maggio 2013 n. 12462, cit. “ […] in linea di principio, anche un contratto preliminare di compravendita può incorrere nella sanzione dell’art. 2744 c.c., ove risulti l’intento primario delle parti di costituire con il bene promesso in vendita una garanzia reale in funzione dell’adempimento delle obbligazioni contratte dal promittente venditore con altro negozio collegato, sì da stabilire un collegamento negoziale e strumentale tra i due negozi. E’ evidente, peraltro, che, allorché lo strumento negoziale adoperato dalle parti in funzione di garanzia sia rappresentato da un contratto preliminare, in tanto può configurarsi un illecito patto commissorio, in quanto i contraenti abbiano predisposto un meccanismo (quale la previsione di una condizione) diretto a far sì che l’effetto definitivo ed irrevocabile del trasferimento si realizzi solo a seguito dell’inadempimento del debitore-promittente venditore, rimanendo, in caso contrario, il bene nella titolarità di quest’ultimo. In tal caso, infatti, il contratto preliminare viene impiegato per conseguire l’illecita coartazione del debitore a sottostare alla volontà del creditore, per cui non sussiste la causa di scambio, tipica di ogni contratto di compravendita, ma il preliminare costituisce il mezzo per raggiungere il risultato vietato dalla legge”. 7 Vedi nota 4. 2 delle Sezioni Unite del 1989, che ha definitivamente sancito l’approdo ad un nuovo modus interpretandi del divieto in esame9. La Suprema Corte, in tale fondamentale pronuncia, afferma che l’art. 2744 c.c. è volto a ad evitare: - una coazione morale illecita del creditore sul debitore10; - l’elusione del principio della par condicio creditorum11; Ai fini che qui rilevano, si segnala un passo essenziale della sentenza, secondo il quale “[…]Sia che il bene rimanga nelle mani del debitore-venditore a titolo di locazione o a titolo precario, sia che il trasferimento sia effettivo, ogni differenza di ipotesi diviene irrilevante qualora si consideri che il negozio è un mezzo in rapporto allo scopo perseguito. Il negozio mezzo, pur non mancante di requisiti formali, deve essere necessariamente riguardato da causa illecita, in quanto permette di raggiungere lo stesso risultato del negozio vietato, anzi viene realizzato proprio il negozio proibito. In situazioni di tal genere naturalmente la sproporzione tra il valore del bene dato in garanzia e l’importo del debito assume scarso rilievo in quanto il divieto prescinde da tale circostanza”. E’ evidente che una coazione morale del debitore è sicuramente lapalissiana ove sussista una notevole sproporzione tra il valore del debito e quello del bene trasferito al creditore, ma è – parimenti – vero che secondo la lettura delle S.U. non è solo tale profilo a giustificare la nullità del divieto del patto commissorio. Pertanto, alla luce del riformato approccio giurisprudenziale, sicuramente da accantonarsi risultano quelle letture legate alla sola lettera del precetto. L’estensione del divieto anche ad ipotesi non espressamente contemplate dalla legge12 costituisce un monito per gli interpreti, chiamati – di volta 8 Il primo segnale di rottura con la tradizione interpretativa precedente è stato fornito dalla Cass. 3 giugno 1983 n. 3800, in Foto it.,1984, I, 213,. con nota di Macario; in Giust. civ., 1984, I, 1899, con nota di Amato, Ancora sul patto commissorio e sulla vendita a scopo di garanzia; in Nuova giur. comm., 1985, I, 97, con nota di Roppo, secondo cui “la vendita con patto di riscatto o di retrovendita è nulla per violazione del divieto del patto commissorio, quando risulti stipulata dalle parti con il comune intento di garantire un credito dell’acquirente, essendo irrilevante che l’effetto traslativo venga previsto come immediato o invece differito al momento dell’inadempimento; Cass. 6 dicembre 1983 n. 7271, in Quadrimestre, 1984, 347, con nota di Oberto, Vendita con patto di riscatto, divieto del patto commissorio e contratto di sale and lease back; Cass. 6 dicembre 1986 n. 7260, in Riv. giur. edilizia, 1987, I, 380; Cass. 11 gennaio 1988 n. 46, in Vita notarile, 1988, 754. Tuttavia, un passo indietro è condotto con la Cass. 12 dicembre 1986 n. 7835, in Riv. dir. civ., 1987, II, 117, con nota critica di Bianca, Il divieto del patto commissorio: un passo indietro della Cassazione. 9 Cass. 28 gennaio 2015 n. 1625; Cass. 9 maggio 2013 n. 1273; Cass. 2 febbraio 2006 n. 2285; Cass. 19 luglio 1997 n. 6663; ; Cass. 16 ottobre 1995 n. 10805, tutte in www.italgiure.giustizia.it.; Cass. S.U. 3 aprile 1989 n. 1611, in Riv. dir. civ., 1990, II, 615 ss., con nota di Cubeddu, Patto commissorio e vendita con patto di riscatto; la risposta delle sezioni unite; in Corr. Giur, 1982, 522, con nota di Mariconda, Le Sezioni Unite dichiarano la nullità delle alienazioni in garanzia; in Foro it., 1989, I, 1428; 10 In dottrina, secondo RUBINO, La Compravendita, cit., 1025 ss, la ratio del divieto risiederebbe esclusivamente nell’esigenza di tutelare il debitore contro un’abusiva pressione creditoria. Tuttavia, contro questa ricostruzione si potrebbe opinare che la sanzione della nullità appare eccessiva, poiché il debitore potrebbe dirsi sufficientemente tutelato attraverso l’esperimento dell’azione di rescissione ex art. 1448 c.c., che darebbe luogo alla mera inefficacia del negozio, piuttosto che alla sua nullità. 11 Per la Corte, ragionare diversamente significherebbe riconoscere “[…] un vantaggio non giustificato a favore dei creditori più avveduti, per la possibilità loro offerta di preferire il ricorso alla vendita con patto di riscatto o di retrovendita[…]”. In dottrina, BARBIERA, Responsabilità patrimoniale. Disposizioni generali, cit., 315 ss.; CARNELUTTI, Mutuo pignoratizio e vendita con clausola di riscatto, in Riv. dir. proc. civ., 1946, II, 160 ss., secondo i quali, la tutela del ceto creditorio, contro un soddisfacimento preferenziale del credito oltre le cause legittime di prelazione, sarebbe la vera finalità garantita dalla norma. E’ da segnalarsi l’orientamento, ancora diverso, secondo cui la ratio del divieto risiederebbe nella volontà di evitare il danno sociale derivante dalla diffusione del patto commissorio, quale clausola di stile, sostitutiva rispetto alle garanzie legali tipiche, sostenuto da BIANCA, Patto commissorio, in Nov. Dig, it., Torino, 1965, XII, 717; ROPPO, Il divieto del patto commissorio, in Tratt. Dir. priv., diretto da Rescigno, Torino, 1985, XIX, 437; 12 Cass. 21 gennaio 2016 n. 1075, cit.: “[…] il divieto del patto commissorio, sancito dall’art. 2744 c.c., si estende a qualsiasi negozio, ancorché astrattamente lecito, che venga impiegato per conseguire il concreto risultato, vietato dall’ordinamento, di assoggettare il debitore all’illecita coercizione da parte del creditore, sottostando alla volontà del medesimo di conseguire il trasferimento della proprietà di un suo bene, quale conseguenza della mancata estinzione del 3 in volta – alla comparazione della causa tipica del negozio utilizzato dalle parti, rispetto alla causa concreta13 da esse perseguita, nel tentativo di comprendere se esistano o meno profili elusivi, e dunque, il rischio della sanzione della nullità per frode alla legge, ex art. 1344 c.c.14 Più facile a dirsi che a farsi, considerando che il pratico – di fatto – non è, sempre, nella disponibilità di strumenti idonei ad indagare (fino in fondo) la volontà dei contraenti, salvo casi macroscopici e, tendenzialmente, di scuola15. Da qui, sentita è la necessità di individuare almeno gli indici sintomatici della frode, che facciano emergere il carattere in concreto “anomalo” dell’operazione e possano guidare la condotta dell’operatore pratico. Da una disamina complessiva del panorama tracciato dalla dottrina e dalla giurisprudenza essi potrebbero essere così riassunti: 1) l’esistenza di una situazione di credito/debito tra le parti, pregressa ovvero contestuale al trasferimento16; 2) le difficoltà economiche della parte debitrice17; 3) la sproporzione tra il valore (reale) del bene trasferito ed il corrispettivo versato dall’acquirente-creditore18; debito”; Cfr. Cass. 12 gennaio 2009 n.437; Cass. 11 giugno 2007 n. 13621; Cass. 19 maggio 2004 n. 9466; Cass. 20 luglio 1999 n. 7740, tutte in www.italgiure.giustizia.it; 13 Per una recente definizione del concetto di causa in concreto, Cass. 20 marzo 2012 n. 4372, in www.italgiure.giustizia.it: “ […] La causa del contratto […] non può essere intesa, in senso del tutto astratto, come funzione economico sociale del negozio, svincolata tout court dalla singola fattispecie contrattuale, bensì come funzione economico individuale del singolo, specifico negozio, da valutarsi in tali termini sotto il profilo tanto genetico, quanto funzionale; onde la obbiettivazione di un motivo di cui la controparte sia resa espressamente partecipe è destinata ad integrare l’elemento causale della convenzione negoziale nella misura in cui esso risulta determinante della formazione del consenso”. Cfr Cass. 24 luglio 2007 n. 16315, Cass. 14 febbraio 2006 n. 10490, tutte in www.italgiure.giustizia.it. 14 Il mero rinvio al concetto della nullità ex art. 1344 c.c. non è sufficiente ad inquadrare compiutamente il problema, considerando che affatto pacifico è il concreto ambito applicativo della figura. Per la tesi cd. oggettiva della rilevanza della frode alla legge, in giurisprudenza, tra tante, Cass. 2 marzo 2015 n. 4162; Cass. S.U. 1993 n. 10603, tutte in www.italgiure.giustizia.it; in dottrina BETTI, Teoria generale del negozio giuridico, cit., 388 ss.; SCOGNAMIGLIO, Contratti in generale, in Tratt. Dir. civ., diretto da Grosso e Santoro Passarelli, IV, Milano, 1977, 174 ss.; C.M. BIANCA, Diritto Civile, 3, Il contratto, Milano, 1984, 587. Per la tesi cd. soggettiva, sensibile ai “motivi” che concretamente animano le parti, CALVOSA, La frode alla legge nei negozi giuridici, in Dir. e giur., 1949, 322 ss.; CARRARO, Il negozio in frode alla legge, Padova, 1943, 11 ss.; OPPO, In tema di negozio in frode alla legge, in Scritti giuridici, III, Padova, 1942, 342 ss. 15 Si pensi al ruolo del notaio richiesto di riceve un atto di compravendita, relativamente al quale le parti chiedano l’apposizione di un patto di riscatto ex art. 1500 c.c.. In tale ipotesi, il pubblico ufficiale rogante, salvo il caso in cui il debitore sia stato protestato, ovvero in presenza di sequestri, pignoramenti, procedure esecutive o ricorsi di fallimento, non potrebbe fare di più che chiedere ai contraenti informazioni in ordine alla pendenza di rapporti di credito/debito, in adempimento all’obbligo prescritto dall’art. 47, II comma, della l. 16 febbraio 1913, n. 89, e – nel caso di risposta negativa – neanche avrebbe materialmente a disposizione gli strumenti per addure una prova contraria a quanto dichiarato dalle parti. Pertanto, ai sensi dell’art. 27, I comma, egli sarebbe obbligato a prestare il proprio ministero. Tuttavia, ove l’intento delle parti fosse (concretamente) elusivo del divieto di cui all’art. 2744 c.c., integrando gli estremi della frode alla legge ex art. 1344 c.c., bisogna chiedersi se possa trovare applicazione la disciplina dettata dall’art. 28, I comma n.1) che, per converso, vieta al notaio di ricevere atti espressamente proibiti dalla legge o manifestamente contrari al buon costume o all’ordine pubblico, pur non negandosi la circostanza che, nel caso in parola, di espresso e manifesto, forse, vi sarebbe ben poco. Sul tema, ampiamente CASU – SICCHIERO, La legge notarile commentata, Torino, 2010, 149 ss. 16 Una lettura estensiva della norma, come voluta dalla Cassazione, dovrebbe indurre – altresì – ad affermare che la situazione debitoria tra le parti potrebbe anche sopraggiungere al trasferimento e conferma di ciò si avrebbe dal II comma dell’art. 2744 c.c. 17 Secondo Cass. 14 marzo 2006 n. 5438, in www.italgiure.giustizia.it, il sopravvenuto fallimento del debitore non è indice una difficoltà economica dello stesso, ove al tempo della conclusione del contratto non sussistevano protesti, pignoramenti, sequestri, procedure esecutive o ricorsi di fallimento. 18 Qui è da segnalarsi che, salvi a casi di sproporzione macroscopica, non è detto che ad ogni trasferimento della proprietà si accompagni una valutazione periziale del bene oggetto del contratto, tale da dimostrare l’esistenza della difformità dei valori. 4 Diversamente, andrebbe esclusa la violazione del divieto quando: 1) manca la prova della circostanza che il prezzo, quale corrispettivo del trasferimento, integri di fatto un’elargizione effettuata a titolo di mutuo19; 2) il trasferimento avviene per l’adempimento di un debito oramai scaduto20; 3) la coercizione non integra i caratteri della illiceità, individuati nella accettazione ad opera del debitore del rischio di perdere la proprietà del bene nel caso di mancata estinzione del debito contratto21; Non è necessaria la co-esistenza di tali elementi, essendo sufficiente che rilevi la presenza di almeno uno di essi. 3. Clausola marciana: tentativo della giurisprudenza di ricondurre a legittimità possibili patti commissori. Criticità – Da una lettura attenta della sentenza a S.U. sopra – ricordata si evince, a chiare lettere, che la sproporzione dei valori, tra debito e bene attribuito alla parte creditrice “assume scarso rilievo”, poiché l’art. 2744 c.c. prescinde da una tale circostanza22. Eppure, i Supremi Giudici - a più riprese - si muovono, con sempre più convinzione, nel senso di “salvare” dalla possibile elusione un trasferimento potenzialmente contrario ai dicta dell’art. 2744 c.c. mediante la previsione di una clausola marciana, in virtù della quale al termine del rapporto di debito si procede alla stima del bene ed il creditore, al fine di acquisire la proprietà dello stesso, è tenuto al pagamento dell’eccedenza, tra il valore stimato e l’entità del credito vantato23. Più precisamente, tale filone interpretativo afferma che tale pattuizione24 è in grado di superare i profili d’illiceità del contratto avente causa (concreta) di garanzia, in quanto il ricorso ad una stima imparziale del valore del bene ad opera di un terzo e l’obbligo del creditore di restituirne l’eccedenza assumono il compito di escludere l’abuso e, con esso, l’illiceità del patto commissorio vietato. Tale affermazione si allontana dalle conclusioni cui è approdata la Cassazione a Sezioni Unite del 1989, poiché – se è innegabile che la previsione di un patto marciano consenta di superare la prima obiezione di illiceità del contratto (quanto al profilo della coazione morale del debitore), è altresì evidente che l’aspetto volto alla tutela della par condicio creditorum si vedrebbe, comunque, frustrato. Pertanto, delle due l’una: 1) o si giunge a ritenere che il divieto tuteli esclusivamente 19 Cass. 15 marzo 2005 n. 5635, in www.italgiure.giustizia.it; Cass. 21 gennaio 2016 n. 1075, cit. Cass. 6 ottobre 2004 n. 19950, Cass. 12 giugno 2001 n. 7885, in www.italgiure.giustizia.it; Cass. 21 gennaio 2016 n. 1075, cit. 21 Cass. 27 maggio 2003 n. 8411, in www.italgiure.giustizia.it; Cass. 21 gennaio 2016 n. 1075, cit. Tale ultima affermazione va circostanziata, collocandola all’interno di quell’orientamento che, allontanandosi dalle conclusioni fatte proprie dalla sentenza a S.U. del 1989, riduce la ratio del divieto alla sola tutela della parte debitrice. Invero, ove si estendesse il campo anche alla tutela della parità di condizioni del ceto creditorio, probabilmente questa sorta di “assunzione del rischio” ex parte debitoris non avrebbe alcun effetto sulla possibile integrazione del divieto. 22 In dottrina, RESCIGNO, Manuale di diritto privato italiano, Napoli, 1977, 611, per il quale, pur mancando la sproporzione tra i valori, il contratto dovrebbe comunque dirsi affetto da nullità; MINNITI, Patto marciano e irragionevolezza del disporre in funzione della garanzia, in Riv. dir. comm., 1997, I, 29 ss. 23 Cass. 28 gennaio 2015 n. 1625, cit., secondo cui “Il patto marciano – clausola contrattuale con la quale si mira ad impedire che il concedente, in caso di inadempimento, si appropri di un valore superiore all’ammontare del suo credito, pattuendosi che, al termine del rapporto, si proceda alla stima del bene e il creditore sia tenuto al pagamento in favore del venditore dell’importo eccedente l’entità del credito, esclude l’illiceità della causa del negozio, la quale non sussiste pur in presenza di costituzione di garanzia che presuppongano un trasferimento della proprietà, qualora queste risultino integrate entro schemi negoziali che tale abuso escludono in radice, come nel caso del pegno irregolare, del riporto finanziario e del cd. patto marciano […] Si ritiene, dunque, che il cd. patto marciano sia strumento idoneo a scongiurare l’illiceità, permettendo l’uso di un contratto finanziario, come il lease back, ritenuto vantaggioso dagli utilizzatori[…]; Cass. 9 maggio 2013 n. 10986, Cass. 21 gennaio 2005 n. 1273, tutte in www. italgiure.giustizia.it 24 Il meccanismo del cd. patto marciano trova indirettamente disciplina in seno agli artt.: 1851, in materia di anticipazione bancaria –1963, in merito all’anticresi – 1982, in tema di cessione dei beni ai creditori e 2803, riguardante il pegno irregolare. 20 5 aspetti privatistici e, dunque, pienamente disponibili per le parti, tali da consentire di superamento degli effetti vietati mediante l’introduzione di una tale clausola; 2) sensibilmente alle considerazioni della S.C. nella sentenza dell’89’ – si dovrebbe arrivare ad affermare l’insufficienza di un tale correttivo per scongiurare il rischio della frode alla legge. Di ciò ne è perfettamente consapevole la Corte di legittimità nei suoi ultimi arresti, la quale –infatti – afferma che25: “[…]Fondamento dell’effetto salvifico è, da un lato, l’idoneità della clausola a ristabilire l’equilibrio sinallagmatico tra le prestazioni del contratto (requisito svalutato da chi reputa che l’art. 2744 c.c. non esiga alcuna sproporzione dei valori, ma dovendosi invece ribadire che l’ordimento presume detto sproporzione nel meccanismo vietato), e, dall’altro lato, la sua capacità di scongiurare che l’attuazione coattiva del credito avvenga senza alcun controllo dei valori patrimoniali in gioco”. Pertanto, errata risulta l’affermazione secondo la quale la recente opinione espressa dai Giudici di Piazza Cavour si assesti sulla posizione fatta propria dalle citate Sezioni Unite. Se così fosse, non potrebbe ammettersi alcun tipo di effetto salvifico, almeno attraverso il meccanismo marciano. E’ evidente che – premessa la scelta di fondo in merito alla individuazione della ratio perseguita dall’art. 2744 c.c. – la condivisione dell’assunto fatto proprio dal più recente orientamento dei Suprema Corte rende più facile il superamento di eventuali profili di illiceità del negozio, attraverso l’inserimento di detta clausola. 4. Nuove prospettive in tema di: vendita con riserva della proprietà, sale and lease back, rent to buy. Brevi cenni – In virtù delle considerazioni espresse fino ad ora, incontrovertibile è il dato per cui l’art. 2744 c.c. esprima un divieto di risultato, potenzialmente perseguibile da qualsivoglia negozio, ancorché tipico. Se fino a questo momento storico, dunque, il ricorso a schemi negoziali tipici poteva – almeno astrattamente – garantire la rispondenza della volontà manifestata dalle parti ad interessi, a monte, selezionati dalla legge come meritevoli, oggi questa affermazione non ha più lo stesso pregio. Pertanto, anche le fattispecie specificamente tipizzate dall’ordinamento potrebbero prestare il fianco ad intenti elusivi, rendendo – dunque – necessaria una disamina delle stesse in un’ottica critica. Qui di seguito, si tenterà di analizzare talune delle figure maggiormente a rischio. A) Vendita con riserva della proprietà26 – La disciplina dettata dagli artt. 1523 e ss. c.c. trova la propria collocazione nella sezione dedicata alla vendita di cose mobili, ma non si dubita della possibilità di estenderne l’applicazione ai beni immobili27. 25 Cass. 28 gennaio 2015 n. 1625, cit.; Così Cass. 9 maggio 2013 n. 10986, cit., secondo la quale il divieto rappresenterebbe manifestazione della volontà del Legislatore di sanzionare la parte creditrice che pretenda una garanzia eccedente l’entità del credito 26 Quanto alla definizione della natura giuridica della figura in esame, per alcuni si tratterebbe di un trasferimento sottoposto alla condizione sospensiva dell’integrale pagamento del prezzo (GIORDANO, Obbligazione delle parti nella vendita con riserva della proprietà, in Giur. compl. cass. civ., 1945, I, 198 ss.; DE MARTINI, Vendita reale, vendita obbligatoria e promessa di vendita, in Giur. compl. cass. civ., 1947, III, 452 ss.; RESCIGNO, Condizione (voce), in Enc. dir., Milano, 1961, VIII, 784 ss..); per altri di una alienazione risolutivamente condizionata al mancato pagamento del prezzo (PELOSI, La proprietà risolubile nella teoria del negozio condizionato, Milano, 1975, 189 ss.); in termini parzialmente diversi vi è chi attribuisce all’acquirente l’immediato acquisto del diritto di proprietà riconoscendo al venditore un mero diritto di garanzia (BIANCA, La vendita e la permuta, in Tratt. dir. civ., diretto da Vassalli, Torino, 1972, 526 ss.); infine – in termini prevalenti – vi è chi riconduce la fattispecie al vaglio alla categoria delle cd. vendite obbligatorie, con effetti traslativi differiti al tempo dell’integrale corresponsione del prezzo (In dottrina, RUBINO, La compravendita, cit., 428; GRECO – COTTINO, Della vendita, cit., 432 ss.; MIRABELLI, Dei singoli contratti, in Comm. cod. civ., diretto da Vassalli, Torino, 1968, IV, 164 ss.; per la giurisprudenza, ex multis, Cass. 3 aprile 1980 n. 2167, in RN, 1980, II, 1288. 27 Sul punto, Cass. 2010 n. 23818 in www.italgiure.giustizia.it; Cass. 3 aprile 1980 n. 2167, cit.; Cass. 8 aprile 1999 n. 3415, in Notariato, 2001, 473 ss.. Precisamente, Cass. 1999 n. 3415, cit., afferma che anche la compravendita immobiliare sottoposta alla condizione del pagamento del prezzo dovrebbe essere inquadrata nella fattispecie in esame, 6 L’art. 1523 c.c. recita che “Nella vendita con riserva della proprietà il compratore acquista la proprietà della cosa col pagamento dell’ultima rata di prezzo28, ma assume i rischi dal tempo della consegna”. L’ipotesi (fisiologica) è quella in cui Tizio, debitore di Caio per una determinata somma, trasferisca al proprio creditore il bene x, riservandosene la proprietà fino al pagamento dell’ultima rata di prezzo, rapportato – almeno – al valore di mercato del bene. In questo caso, infatti, pur sussistendo un rapporto di debito/credito tra le parti, la vendita non è “distratta” dalla causa di trasferimento che la contraddistingue. Relazionando la fattispecie al vaglio al tema del possibile tentativo delle parti di aggirare il divieto, appare necessario effettuare alcune precisazioni, considerando tanto il caso in cui già penda un rapporto di credito/debito, quanto l’ipotesi in cui esso nasca in occasione della conclusione dell’atto di trasferimento. 1) Conclusione del contratto in pendenza di pregressi rapporti di credito/debito – La preesistenza di un rapporto di debito/credito, rispettivamente tra parte alienante ed acquirente, anteriore alla conclusione del contratto, potrebbe condurre alla estinzione – del tutto legittima – del debito pregresso per compensazione (tra l’importo del debito anteriore ed il prezzo del trasferimento), ai sensi degli artt. 1241 e ss. e precisamente, per effetto dell’art. 1243 c.c.. Ed, effettivamente, ove le parti intendessero così strutturare l’operazione non si registrerebbe alcun profilo elusivo, poiché il contratto di trasferimento, avrebbe vera e propria causa di vendita (e non di garanzia), considerando l’estinzione del debito attraverso l’appena descritto meccanismo compensativo. Eppure, la situazione (reale) potrebbe essere diversa, nel caso in cui: - la vendita avvenisse ad un prezzo inferiore a quello di mercato e il bene ceduto avesse un valore effettivo maggiore del debito; - le parti convenissero che l’intero corrispettivo debba pagarsi non oltre il termine previsto per l’adempimento l’obbligazione già pendente tra le stesse. In questo caso, infatti, per effetto della vendita con riserva della proprietà, stante anche il dato della sproporzione dei valori di riferimento (debito pregresso; valore reale del bene; prezzo dell’alienazione), verificatosi l’inadempimento del debitore/alienante, il creditore/acquirente attraverso la corresponsione dell’ultima rata del corrispettivo (sproporzionato) fissato “a monte” nel contratto, diverrebbe proprietario di un bene avente valore maggiore rispetto al debito insoddisfatto, in termini non dissimili da quello che si sarebbe verificato ove, in luogo di un contratto ex art. 1523 c.c., si fosse prevista un’alienazione condizionata sospensivamente all’inadempimento della parte venditrice29. Da qui l’esistenza di entrambi i presupposti vietati dall’art. 2744 c.c.: a) la coazione morale del debitore (potenziata), desumibile dal rischio di perdere la proprietà di un bene avente valore maggiore, tanto rispetto al debito pregresso, quanto rispetto al corrispettivo previsto per il trasferimento; b) la violazione del principio della par condicio creditorum, tenendo conto che il creditore/acquirente sottrarrebbe alla garanzia patrimoniale generica degli altri creditori – ex e pertanto il trasferimento del diritto di proprietà si verificherebbe con il pagamento dell’ultima rata del prezzo e non retroagirebbe al momento della conclusione del contratto. 28 Estende l’applicazione della norma anche all’ipotesi di vendita con pagamento del prezzo dilazionato, Cass. 22 marzo 2006 n. 6322, in www.italgiure.giustizia.it, secondo cui la conclusione si giustificherebbe in ragione dell’identità di ratio tra le due ipotesi di pagamento differito. 29 Considerando, però, che nella vendita con riserva il compratore acquista fin da subito la disponibilità materiale del bene con ogni conseguenza da ciò discendente in materia di assunzione dei relativi dei rischi, e che ove la causa del trasferimento fosse esclusivamente di garanzia, il creditore (verosimilmente) non avrebbe alcun interesse ad accollarsi oneri di gestione, verosimile è che la parti – in deroga a quanto previsto dalla legge – convengano che la disponibilità materiale della res resti in capo alla parte venditrice, fino al pagamento dell’ultima rata. 7 art. 2740 c.c. – un bene avente un valore reale maggiore rispetto al debito rimasto insoddisfatto. Pertanto, ove si aderisse all’orientamento con intenti “legalizzanti” 30 tracciato dalla recente giurisprudenza di legittimità, più volte citata, si potrebbe consigliare alle parti l’inserimento di una clausola marciana, dal contenuto sopra evidenziato, così da scongiurare – almeno – il rischio della notevole sproporzione dei valori31. 2) Nascita del debito per effetto del trasferimento – Potrebbe verificarsi, anche, il caso il cui le parti convengano il trasferimento al solo fine del finanziamento dell’alienante. Si immagini l’ipotesi in cui, Tizio – proprietario del bene x – al fine di acquisire liquidità immediata, trasferisca – con riserva della proprietà – detto bene a Caio, che – al tempo della conclusione dell’atto – corrisponda la somma dovuta a titolo (formale) di prezzo quasi per intero, convenendosi che la parte residua debba corrispondersi entro e non oltre il medesimo termine concordato per il rimborso delle somme già elargite (concretamente) a titolo di mutuo. In tal caso, dette parti potrebbero anche convenire che il trasferimento effettivo della proprietà del bene venduto passi all’acquirente (creditore) solo al tempo dell’integrale pagamento del “prezzo”32. La fattispecie in esame è emblematica per sottolineare le difficoltà pratiche discendenti dal tentativo di individuare la concreta ratio del divieto di cui all’art. 2744 c.c., considerando che – nell’ipotesi in commento – addirittura potrebbe sostenersi l’inesistenza di qualsivoglia profilo elusivo. Invero, in questa situazione, probabilmente sarebbe più arduo ravvisare il carattere della sproporzione tra il valore del debito e quello (reale) del bene, tenendo conto che l’alienante/debitore – ricorrendo una concreta causa di finanziamento – difficilmente procederebbe all’alienazione del bene per un “corrispettivo” inferiore al valore di mercato. In questo caso, infatti, ove si giungesse alla conclusione fatta propria della recente giurisprudenza, secondo cui l’art. 2744 c.c. tutela esclusivamente la posizione debitoria dalle indebite coazioni creditorie, effettivamente potrebbe non sussistere alcuna violazione della norma, sottolineandosi la proporzionalità dei valori.33 Viceversa, se si ritenesse di avallare l’opinione, più severa della Cass. S.U. del 1989, il negozio in esame comunque potrebbe presentare profili elusivi, restando privo di tutela l’aspetto della par condicio creditorum34. 30 Di effetto legalizzante della clausola marciana parla espressamente Cass. 28 gennaio 2015 n. 1625, cit. Affinché si possa produrre l’effetto “sanante” derivante dall’introduzione del cd. patto marciano occorre che si preveda che la stima vada effettuata al momento dell’inadempimento ossia quando si attuerà la pretesa creditoria, così espressamente Cass. 28 gennaio 2015 n. 1625, cit. Una situazione come quella ipotizzata potrebbe anche consentire di affermare che il debitore/alienante, in questa ipotesi sarebbe perfettamente consapevole del rischio di perdere la proprietà del bene, con la conseguenza di non potersi individuare la cd. illecita coercizione, da qui potendosi escludere – a monte – la sussistenza degli elementi integranti il divieto, sul presupposto, però, di considerare che la ratio della norma sia orientata alla tutela della sola parte debitrice. Sul punto Cass. 21 gennaio 2016 n. 1075, cit 32 Si ripropongono le medesime considerazioni espresse nella nt. 29. 33 Si rinvia a quanto sottolineato nel paragrafo 1. e precisamente nella parte corrispondente alla nt. 22. 34 Un caso simile è venuto all’attenzione di Cass., 21 gennaio 2016 n. 1075, cit., che – tuttavia – riguardava una vendita con patto di riscatto ex artt. 1500 e ss. c.c. La vicenda si è conclusa con il rigetto del ricorso, sulla base di ragioni prevalentemente processuali, proposto dalla parte che chiedeva la pronuncia della nullità della vendita, per violazione dell’art. 2744 c.c.,. Ed invero, la S.C., dopo aver sottolineato la compatibilità di ogni schema negoziale con i fini elusivi del divieto del patto commissorio, precisa che l’accertamento della elusione è fondato su apprezzamenti in fatto, che sono integralmente rimessi al sindacato del giudice del merito, sottraendosi alle competenze dei Supremi Giudici. Pertanto, ai fini della vicenda in esame, ciò che più importa è indagare le considerazioni effettuate dalla Corte di Appello di Roma, con la sentenza del 25 febbraio 2010, che ha ritenuto non provata la esistenza di un collegamento tra la causa di garanzia ed il trasferimento della proprietà, nonché – ancora – la sproporzione tra il valore di mercato del bene alienato ed il prezzo pattuito. 31 8 B) Sale and lease back – Di più immediata percezione appare la possibile violazione del divieto del patto commissorio nel caso in cui le parti si orientassero alla conclusione di un contratto di sale and lease back, ove tra le stesse pendessero rapporti di debito/credito. La figura in commento si presenta quale variante bilaterale del leasing finanziario 35 e, più nel dettaglio, quale “[…] schema negoziale socialmente tipico […] contrassegnato da una specificità di struttura e di funzione con il quale un’impresa (o un lavoratore autonomo) vende un proprio bene (immobile o mobile), di natura strumentale per l’esercizio dell’attività, ad un’impresa di leasing, la quale lo concede contestualmente in leasing all’alienante, che corrisponde per l’utilizzazione del bene un canone ed ha la facoltà, alla scadenza, di riacquistar(ne) la proprietà esercitando un diritto di opzione, per un predeterminato prezzo”36. Il negozio in parola – ex se – è causalmente orientato alla conclusione di un contratto di leasing (cd. di ritorno) 37, ma – in virtù delle considerazioni sopra esposte – ciò non impedisce che la volontà dei privati possa “colorarsi” diversamente dando luogo a pattuizioni che, concretamente, si pongano in contrasto con ratio dell’art. 2744 c.c.38. Pertanto, si dia il caso in cui Tizio, imprenditore individuale, sia debitore della Alfa s.p.a., società di leasing, ed essi convengano la conclusione di un sale and lease back, mediante il quale: - Tizio (utilizzatore) trasferisca alla società di leasing (concedente) la proprietà di un determinato bene, ricevendo in corrispettivo della vendita liquidità immediata; Relativamente alla tipologia contrattuale del leasing, se fino al 2016, era presente nell’ordinamento la sola figura del leasing finanziario, nella duplicità delle forme di leasing di godimento e traslativo – come disciplinata dalla l. 14 luglio 1993 n. 259 – oggi si è aperto il varco anche al cd. al cd. leasing abitativo, introdotto dalla Legge di stabilità 2016 (art. 1, commi 76-84, l. 28 dicembre 2015 n. 208), Per approfondimenti sul tema si rinvia allo Studio del Consiglio Nazionale del Notariato, n. 38/2016 – C, Il leasing immobiliare abitativo: prime osservazioni. La giurisprudenza ha evidenziato una dicotomia tra “leasing di godimento” e “leasing traslativo” e - più precisamente “per la qualificazione della prima figura è necessario che il contratto venga pattuito con funzione di finanziamento rispetto a beni non idonei a conservare un apprezzabile valore residuale alla scadenza del rapporto e a fronte di canoni che configurano esclusivamente il corrispettivo dell’uso dei beni stessi, mentre, ai fini della qualificazione del leasing traslativo, è necessario che la pattuizione si riferisca a beni atti a conservare, a quella scadenza, un valore residuale alla scadenza del rapporto e a fronte di canoni che configurano esclusivamente il corrispettivo dell’uso dei beni stessi, mentre, ai fini della qualificazione del leasing traslativo, è necessario che la pattuizione si riferisca a beni atti a conservare, a quella scadenza, un valore residuo superiore all’importo convenuto per l’opzione e che i canoni abbiano avuto la funzione di scontare anche una quota del prezzo di previsione del successivo acquisto”, così in particolare, Cass. 27 marzo 2014 n. 7212, in Diritto e giustizia, 2014, 28 ottobre, con nota di Greco, Leasing di godimento vs leasing traslativo: chi la vince?; Cass. 30 settembre 2015 n. 19532, in Diritto e Giustizia, 2015, 1 ottobre, con nota di Greco, Al leasing traslativo si applicano le regole della vendita con riserva della proprietà; Cass. S.U. 7 gennaio 1993 n. 65, in Giur. it., 1993, 936, secondo cui la differenza si ravvisa “ […] nell’originaria previsione delle parti di quello che sarà, alla scadenza del contratto, il rapporto tra valore residuo del bene e prezzo di opzione: mentre la previsione di una apprezzabile eccedenza di valore può essere rivelatrice, sia pure a solo in via sintomatica e indiretta, dell’originaria volontà delle parti volta essenzialmente al trasferimento della proprietà del bene inizialmente concesso in godimento, l’opposta previsione può invece indurre alla individuazione di una volontà negoziale finalizzata alla sola concessione in godimento […] ”. 36 Cass. 16 ottobre 1995 n. 10805, in Riv. giur. sard., 1996, 357, con nota di Luminoso, La Corte di Cassazione si pronuncia per la validità del lease back; Cass. 28 gennaio 2015 n. 1625, cit.; Cass. 9 marzo 2011 n. 5583, in www.italgiure.giustizia.it; Cass. 21 luglio 2004 n. 13850, in Contratti, 2004, 1011 ss., con nota di Calice, Sale and lease back: la Suprema Corte ne riafferma la “tendenziale” liceità; Cass. 18 dicembre 2002 n. 18048, in Arch. civ., 2003, 1029 ss, con nota di Bonavitacola, Elusione di imposta e riqualificazione degli atti elusivi, con particolare riguardo al lease back (o leasing di ritorno; Cass. 1 agosto 2002 n. 11419, in Notariato, 2004, 492 ss, con nota di Branca, Il “sale and lease back” si fa largo nel nostro ordinamento; Cass. 16 ottobre 1995 n. 10805, in Riv. giur. sard., 1996, 357, con nota di Luminoso, La Corte di Cassazione si pronuncia per la validità del lease back. 37 Cass. 1 agosto 2002 n. 11419, cit., 492; Cass. 18 dicembre 2002 n. 18048 cit., 1029; Cass. 16 ottobre 1995 n. 10805, cit., 357 38 Cass. 28 gennaio 2015 n. 1625, cit., secondo cui “[…] la causa concreta del sale and lease back ben può essere piegata al fine illecito vietato dall’art. 2744 c.c., il quale costituisce una norma materiale, destinata a trovare applicazione non soltanto in relazione alle alienazioni a scopo di garanzia sospensivamente condizionate all’inadempimento del debitore, ma anche a quelle immediatamente traslative e risolutivamente condizionate all’adempimento del debitore, esprimendo un divieto di risultato” 35 9 - la società di leasing contestualmente conceda a Tizio in godimento il medesimo bene; l’utilizzatore sia tenuto al pagamento dei canoni di leasing, quale rimborso della liquidità immediatamente percepita dall’alienazione del bene ed abbia la possibilità di riscattarne la proprietà, mediante la corresponsione di una maxi-rata finale. - Il termine massimo convenuto per l’esercizio del diritto di riscatto coincida con quello previsto per la scadenza del debito. In tale ipotesi, effettivamente potrebbero ravvisarsi intenti fraudolenti delle parti, indipendentemente dall’orientamento cui si ritenga di dover aderire per la ricostruzione dell’art. 2744 c.c. Infatti, potrebbero ricorrere tutte le condizioni ritenute (complessivamente) indicative della elusione della norma, e precisamente: - la coazione morale (potenziata) del debitore, potrebbe ravvisarsi nella circostanza di essere esposto al rischio di perdere definitivamente la proprietà del bene trasferito, recante un valore sproporzionato rispetto al debito inadempiuto39; - la violazione della par condicio creditorum si registrerebbe nella circostanza della sottrazione alla garanzia generica per i creditori ex art. 2740 c.c. della proprietà di un bene, per un valore eccedente il debito insoddisfatto. C) Rent to buy – L’art. 23 del D.L. 12 settembre 2014 n. 133 – convertito con legge 11 novembre 2014 n. 164 – ha introdotto la figura del rent to buy, la cui natura giuridica è controversa40. Si ritiene che il contratto in esame rappresenti una nuova fattispecie negoziale, apparendo, dunque, fuorviante cercarne l’assimilazione con altre figure espressamente disciplinate (locazione, preliminare, opzione ecc.)41. Affermano la possibilità di scongiurare il rischio “nullità” del sale and lease back, mediante la introduzione di una clausola marciana, Cass. 28 gennaio 2015 n. 1625, cit.; Cass. 21 gennaio 2005 n, 1273, cit. Specificamente Cass. 21 gennaio 2005 n. 1273, cit , ritiene che non possa concludersi per l’illiceità del contratto “[…] in presenza di costituzione di garanzie che presuppongono un trasferimento di proprietà, qualora queste risultino integrate entro schemi negoziali che tale abuso escludono in radice, come nel caso del pegno irregolare, del riporto finanziario e del cd. patto marciano – in virtù del quale, come è noto, al termine del rapporto si procede alla stima, ed il creditore, per acquisire il bene, è tenuto al pagamento dell’importo eccedente l’entità del credito” 40 Sul punto si veda, amplius, SANTISE, Coordinate ermeneutiche di diriitto civile, 2016, Giappichelli Editore, p. 573 ss. La figura, fino ad oggi, ha avuto scarsa applicazione, tenuto conto delle incertezze in materia di tassazione. Si segnala, al riguardo, la Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 4/E del 2015, Regime fiscale applicabile, ai fini delle imposte indirette, ai contratti di godimento in funzione di successiva alienazione di immobili – Articolo 23 del D.L. 12 settembre 2014, n. 133, Roma 19 febbraio 2015, secondo cui – ancorché trattasi di un nuovo tipo negoziale e non del frutto di una combinazione tra figure preesistenti – agli effetti delle imposte dirette ed indirette è necessario diversificare il trattamento fiscale da applicare al canone corrisposto dal conduttore in funzione del godimento (assimilabile alla disciplina prevista per le locazioni), rispetto alle somme versate a titolo di acconto prezzo (da ritenersi analoghe agli acconti sul prezzo della successiva vendita), nonché riguardo all’ipotesi di successivo di esercizio del diritto di acquisto dell’immobile (per il quale trova applicazione la normativa prevista, sia ai fini delle imposte dirette, che indirette, per i trasferimenti immobiliari). Non sembra possibile intravedere un futuro più roseo per la fattispecie in esame, considerando anche la recentissima introduzione del leasing abitativo, di cui ai commi 75-81 dell’art. 1 l. 28 dicembre 2015 n. 208. 41 Così, RIZZI, Il contratto di godimento in funzione della successiva alienazione, in www.federnotizie.it; CUFFARO, Oltre la locazione: il rent to buy, nuovo contratto per l’acquisto di immobili, in Corr. Giur., 2015, 5 ss; MALTONI, La nuova disciplina dei contratti di godimento in funzione della successiva alienazione di immobili, in Riv. not., 2014, 1069; IBERATI, Il nuovo contratto di godimento in funzione di successiva alienazione di immobili. Prime osservazioni, in Contratti, 2015, 189; PETRELLI, I contratti di godimento in funzione della successiva alienazione di immobili (rent to buy), in www.gaetanopetrelli.it. In giurisprudenza, Trib. Verona (ord.) 14 dicembre 2014 n. 95, in www.confedilizia.it, che – in materia fallimentare – ha dato il via libera alla conclusione di tale contratto per la liquidazione della massa immobiliare dell’azienda fallita, sottolineando l’impossibilità di applicare la disciplina del contratto di locazione, con particolare riferimento alla durata minima. Secondo i giudici, le parti possono determinarsi autonomamente nella fissazione della durata del contratto, che tuttavia non potrebbe mai superare i tempi della “ragionevole durata della procedura”, che viene fissata in tre anni. Più precisamente, per la pronuncia in esame “[…] il 39 10 Il contratto di godimento in funzione della successiva alienazione è figura tipica, che si articola in due fasi necessarie: 1) la concessione del godimento (per effetto della conclusione del contratto sorge per il proprietario l’obbligo di consegna del bene alla controparte. A carico di quest’ultimo sorge l’obbligo di pagare il canone pattuito, comprensivo tanto della remunerazione per il godimento, quanto della componente da imputare a prezzo di acquisto); 2) il trasferimento – eventuale - della proprietà (la norma prevede un ” […] diritto per il conduttore” di acquisto del bene entro un termine determinato)42. Stante la qualificazione della norma in commento (art. 2744 c.c.) in guisa di “divieto di risultato”, anche il negozio in esame potrebbe presentare il rischio di elusione. Tuttavia, sembra che tale preoccupazione possa rilevare solo dal punto di vista prettamente teorico, tenendo conto che, trattandosi di contratto che (inderogabilmente) prevede l’immissione nel godimento del bene da parte del conduttore, con ogni onere da ciò discendente, un creditore – interessato ad assicurarsi una garanzia per il proprio credito – sarebbe difficilmente disposto a sopportare pesi e responsabilità derivanti dall’amministrazione del bene. La rigidità imposta dal Legislatore rispetto alla definizione delle fasi essenziali del rent to buy mal si adatterebbe agli interessi concretamente perseguiti dalle parti nell’ottica della conclusione di un negozio con causa (concreta) di garanzia. contratto di rent to buy come disciplinato dall’art. 23 del dl 133/14 rappresenta un nuovo contratto non assimilabile al contratto di locazione”. 42 La figura autonoma del rent to buy – quanto alla componente traslativa – sembra più vicina allo schema del contratto preliminare unilaterale, con obbligo al trasferimento in capo alla sola parte concedente, tenendo conto che non vi è alcun riferimento in merito alla nascita di un obbligo reciproco in capo alle parti per la conclusione dell’atto di trasferimento. 11