Cibernetica e beni culturali: il problema della cornice

Transcript

Cibernetica e beni culturali: il problema della cornice
Cibernetica e beni culturali: il problema della cornice
Maurizio Forte
CNR-ITABC, Istituto per le Tecnologie Applicate ai Beni Culturali, Area della Ricerca di
Roma, Montelibretti
[email protected]
Ecologia del virtuale
Questo contributo si propone di discutere le relazioni fra
ecologia della mente, realtà virtuale e del significato cibernetico di
cornice nell’ambito dei beni culturali e della teoria dell’informazione.
L’epistemologia del virtuale suggerisce alcune riflessioni circa
lo scambio e la geometria di informazioni fra reale e virtuale, fra
soggetto e oggetto della fruizione culturale nell’ottica di una nuova
musealizzazione virtuale di dati ed informazioni culturali. In questo
senso il manifesto cibernetico a cui ci ispiriamo è quello di scuola
ecologica di Gregory Bateson (1904-1980, cfr. sul tema Bateson,
MANGHI 1998; COTUGNO, DI CESARE, 2001; DERIU, 2000) che anticipò
senza dubbio lo sviluppo di teorie cibernetiche ora applicabili anche
all’ambito dei programmi di realtà virtuale per personal computer.
L’approccio ecosistemico di Bateson sia in termini di flussi informativi,
feedback, differenza che di comunicazione-contestualizzazione è
basilare per una valutazione corretta del virtuale come sistema: “senza
contesto non vi è comunicazione” (BATESON, 1972), dunque senza la
riproduzione di contesti attraverso regole di differenza non ci può
essere scambio informativo. Secondo questo approccio metodologico è
l’elaborazione dell’informazione associata al bene a modificarne il
carattere, l’interpretazione, il valore. Potremmo dire che il fine ultimo
di un’elaborazione digitale sia l’incremento percettivo e cognitivo della
cosa-bene culturale in quanto virtual heritage, accesso digitale alla
virtualità (quindi con feedback) dell’informazione culturale. La
traduzione di un bene in bene informativo digitale, realtà incrementata,
atto o processo interattivo e percettivo, ricapitalizza in senso lato il
bene come oggetto fisico, lo dissemina, ne diffonde il messaggio e il
contenuto. Le relazioni cibernetiche che si ri-definiscono nel virtuale,
2
Maurizio Forte
costituiscono la base del sistema e la soglia dell’esplorazione, della
psico-visione, dell’apprendimento. Si tratta dunque di rileggere in toto
le relazioni complesse che esistono fra beni culturali e realtà virtuale
secondo una logica epistemologica, in particolare ecologicaecosistemica, da Gregory Bateson per quanto concerne la base
cibernetica, agli studi di Maturana e Varela per quanto concerne i
principi di autoreferenzialità ed auto-organizzazione.
Secondo le istanze del pensiero ecologico gli esseri viventi
devono essere compresi in termini di relazioni: l’essere vivente è
definito come un’organizzazione autopoietica perché si autoproduce e
si autoorganizza. In breve si potrebbe definire la realtà virtuale un
sistema autopoietico poiché riflette processi di reciproca interazione
(MATURANA, VARELA, 1980, 1987). Nella teoria autopoietica, la
cognizione è una conseguenza della circolarità e della complessità nella
forma di ogni sistema il cui comportamento include il mantenimento di
quella forma esatta. L’approccio ecologico prende come punto di
partenza la condizione di un intero sistema organismo-persona pensato
come unità mente-corpo. Questi stati sono chiamati descrizioni nella
teoria autopoietica e un organismo operante all’interno del dominio
delle sue descrizioni è un osservatore. Le relazioni esistenti fra
organismo e ambiente dominano tutta la conoscenza del reale e del
virtuale e costituiscono il tema centrale della ricerca biologica. Secondo
Maturana e Varela l’Osservatore è il sistema stesso: le interazioni con
l’ambiente sono istruttive, sono parte della definizione
dell’organizzazione del sistema e conducono il corso della
trasformazione (MATURANA, VARELA, 1980). Questa tipologia di
interazione avviene anche in un sistema virtuale (anche se per ora con
alcuni limiti): i comportamenti all’interno e all’esterno del sistema ne
generano altri non preordinati, sino, in teoria, a generare concatenazioni
di eventi e azioni.
In un libro recente, “Digital Biology” (BENTLEY, 2001), Peter
Bentley immagina un futuro in cui i computer possono creare universi:
“Immagine a future world where computers can create universes –
digital environments made from binary ones and zeros. Imagine that
within these universes there exist biological forms that reproduce,
grow, and think. Imagine plantlike forms, ant colonies, immune
systems, and brains, all adapting, evolving, and getting better at solving
problems. Imagine if your computers became greenhouses for a new
kind of nature. Just think what digital biology could do for us
Cibernetica e beni culturali: il problema della cornice
3
(BENTLEY, 2001, 9). Secondo questa logica il virtuale è un’ontologia
che non si oppone al reale (LEVY, 1997) ma giustifica piuttosto
l’esistenza di un altro ecosistema con altre regole, integralmente
digitali. Lo scambio informativo, la percezione e l’interazione fra
queste realtà, le realtà digitali-artificiali-virtuali, costituiscono la base
di discussione di questo articolo, con particolare riferimento però alla
trasmissione di informazioni culturali.
Le summenzionate discussioni giustificano a nostro parere che
sia appropriato parlare di ecologia del virtuale per definire lo studio
delle relazioni inter-connesse in un sistema digitale evoluto,
un’ontologia percepibile come un sistema biologico. In questa logica
reale e virtuale non sono (eco)sistemi contrapposti ma ontologie
parallele nella percezione e inter-relazione delle informazioni (LEVY,
1995, 1997). Come primo approccio, è basilare distinguere in modo
appropriato un sistema di realtà virtuale da altre applicazioni, in modo
da circostanziare bene il dominio del virtuale. Infatti un sistema di
realtà virtuale risponde a ben precisi requisiti e non deve essere confuso
con generiche applicazioni digitali o di computer grafica.
Un’applicazione di realtà virtuale deve rispondere
contemporaneamente ai seguenti requisiti: inclusività, interattività,
interattività in tempo reale, tridimensionalità. Equivale a dire che ogni
azione o interazione, e relativo feedback, deve avvenire in uno spazio
inclusivo, all’interno di un mondo tridimensionale nel quale il
navigatore non segue percorsi preordinati ma in cui può muoversi
liberamente, esplorando in tempo reale tutto lo spazio disponibile (in
realtà il navigatore potrebbe crearsi anche altri spazi ex novo). Quindi il
navigatore può sia seguire percorsi visuali, sia attivare comportamenti o
creare nuovi mondi durante l’esplorazione: in ogni caso le relazioni
cibernetiche che va a generare sono numerose e non prevedibili,
proprio perché abbracciano una sfera di interazione del tutto personale.
Il software calcola in tempo reale la prospettiva, la dimensione delle
forme, la geometria dei poligoni, la direzione della luce, il movimento,
secondo il percorso di camera effettuato dal navigatore. L’utentenavigatore opera all’interno della scena, sceglie i comportamenti, guida
l’azione, percepisce l’informazione e l’eco informativa che lo circonda:
l’interazione è immersiva a livello di interfaccia, ma può diventarlo
anche a livello di visualizzazione (dipende dall’hardware). In questo
dominio esistono due categorie di relazioni e comportamenti: la
visualità dell’immersione (relazione uomo/cornice), l’interazione nel
4
Maurizio Forte
mondo virtuale (relazione autopoietica). L’interazione nel mondo
virtuale prevede invece i comportamenti del navigatore all’interno
dell’ecosistema digitale. La visualità dell’immersione e l’interazione
nel mondo virtuale producono una differenza in senso cibernetico
orizzontale, fra navigatore e cornice, e verticale, fra navigatore e
comportamenti. La differenza fra navigatore e cornice rappresenta il
feedback che deriva dall’osservazione del mondo virtuale attraverso
l’interfaccia del sistema (cornice), la differenza fra navigatore e
comportamenti è data invece dal feedback di ogni azione all’interno del
mondo virtuale.
E’ pertanto in questo dominio di virtualità che si deve collocare
il bene-virtual heritage, in una corretta connessione spaziale fra
osservatore e mondo osservato, fra luogo e spazio. La spazialità
dell’informazione incrementa l’impatto cognitivo e, in archeologia
soprattutto, è una premessa fondamentale per ottenere il massimo
effetto di alfabetizzazione da un ecosistema virtuale (FORTE ET ALII,
2001, 2001). In questa dimensione la portata rivoluzionaria del virtuale
può forse essere compresa a fondo e può moltiplicare
considerevolmente le regole dell’apprendimento. Ad oggi le
neuroscienze non hanno ancora spiegato il comportamento del cervello
ad esempio nel corso della contemplazione di un’opera d’arte (HORGAN,
2003) e nemmeno che cosa accade durante l’ispirazione o la creazione
artistica, potremmo dire nell’ambito della “produzione” di un bene
culturale. Per il momento quindi dovremo concentrare l’attenzione
verso gli aspetti psico-cognitivi della fruizione culturale secondo un
approccio cibernetico.
Il problema della cornice
La cornice in termini cibernetici rappresenta l’interfaccia fra
rappresentazioni ontologiche: nel quadro la cornice distingue l’ottica
interpretativa, la differenza visuale fra ciò che si osserva e ciò che è
osservato, la direzione focale del contesto. “[…] l’animale umano,
grazie al fatto che interpone uno schermo semiotico fra la mente e
l’ambiente esterno, può […] guidare dall’interno la percezione,
liberandosi dall’influsso diretto dell’ambiente esterno.” (CIMATTI, 2000,
246).
Cibernetica e beni culturali: il problema della cornice
5
Nel rapporto fra interazione e contesti virtuali la cornice è
costituita tipicamente dal monitor o da un qualsiasi display che separa
ontologicamente la percezione o feedback informativa fra reale e
virtuale, fra territorio e mappa. L’attraversamento della cornice
costituisce la metafora del passaggio dal territorio alla mappa e del
feedback che ne consegue. Ne deriva che distinguiamo il mondo
digitale in virtù anche della cornice, che sia un semplice monitor o un
teatro virtuale, constatando il segnale cibernetico dall’inquadramento
fisico di un’immagine o di un meta-contesto.
In Bateson, il mondo mentale, cioè l’epistemologia che è in
grado di contenere concetti quale doppio legame ha le sue radici nelle
due verità di distinzione e classificazione (BATESON, 1976c, 15). La
distinzione fra figura e sfondo, tra la cornice del quadro e la carta da
parati esterna al dipinto, è la dichiarazione di una differenza (una
differenza che produce una differenza). Lo sfondo è delimitato dalla
cornice e conferisce un accento di realtà diverso a ciò che esclude da
una parte e ciò che include dall’altra. “Psychological frames are
exclusive, i.e., by including certain messages (or meaningful actions)
within a frame, certain other messages are excluded. […].
Psychological frames are inclusive […]. The frame around a picture, if
we consider this frame as a message intended to order or to organize
the perception of the viewer, says, “Attend to what is within and do not
attend to what is outside. Figure and ground, as these terms are used by
gestalt psychologists, are not symmetrically related as are the set and
nonset of set theory. Perception of the ground must be positively
inhibited and perception of the figure (in this case the picture) must be
positively enhanced. […]. The picture frame tells the viewer that he is
not to use the same sort of thinking in interpreting the picture that he
might use in interpreting the wallpaper outside the frame. […] Any
message, which either explicity or implicity defines a frame, ipso facto
gives the receiver instructions or aids in his attempt to understand the
messages included within the frame.[…] Every metacommunicative
message is or defines a psychological frame”. (BATESON, 1972, 188)
Per Foucalt: “Nell’istante in cui si pongono lo spettatore nel
campo del loro sguardo, gli occhi del pittore lo afferrano, lo
costringono ad entrare nel quadro, gli assegnano un ruolo privilegiato e
insieme obbligatorio, prelevano da lui la sua luminosa e visibile
essenza e la proiettano sulla superficie inaccessibile della tela voltata”.
(FOUCALT, 1966). Anche Derrida si occupa di cornici “immaginate i
6
Maurizio Forte
guasti prodotti da un furto che si privasse soltanto delle cornici […] e di
ogni possibilità di incorniciare di nuovo i vostri oggetti di valore o i
vostri oggetti d’arte (Derrida 1981 , 22). Qui la cornice diventa una
sorta di teca museale, di contenitore di beni il cui valore è
oggettivizzato dal riquadro che espone ed isola l’informazione rispetto
al contesto e ai dintorni; è come se fosse scritto “qui è il valore e il bene
da contemplare e preservare”.
La cornice sottrae l’oggetto
dalla libera circolazione e lo
sottopone a bene informativoriserva valore e “…permette la
percezione fra diversi universi
di significato, fra diversi
contesti” (Iacono in DERIU,
2000, 187-188). Magritte cercò
di destrutturare l’idea di cornice
nel quadro dipingendo su una
pipa come soggetto la frase
“questa non è una pipa”. Questa
circolarità fra soggetto, cornice,
Fig.1
significato, percezione visiva,
ci riporta alla metafora rappresentata da Escher dell’osservatore che
osserva una scena che ribalta la sua prospettiva di osservazione, visto
che lo include a sua volta (fig.1), ovvero: un visitatore osserva una
stampa all’interno di una galleria museale; la stampa rappresenta una
città, ma è la stessa città che include sia la galleria di stampe che
l’osservatore. Potremmo dire che il quadro si diluisce nella
rappresentazione della città disegnando una stupefacente illusione
percettiva di sentirsi dentro e fuori dal quadro nello stesso momento in
cui lo si osserva. In questo mondo disegnato da Escher la mappa è nella
relazione fra osservatore e oggetti osservati: la città è oggetto del
quadro e soggetto della scena, quindi è “dentro”, ma è anche “fuori”.
Nella pittura metafisica di De Chirico il quadro nel quadro e, in
alcune opere, l’ossessione di rappresentare cornici all’interno del
dipinto, costituisce un evidente tentativo di moltiplicare i contesti,
dissolvendoli nella metafora della cornice. Ne deriva una domanda
cruciale: ma se il dipinto finisce con la cornice, allo stesso modo il
reale si interrompe nella cornice per lasciar spazio al virtuale ?
Cibernetica e beni culturali: il problema della cornice
7
Nell’approccio ecosistemico il problema viene risolto secondo una
logica di relazione e nessi fra informazioni diverse: il reale e il virtuale
sono due ontologie non contrapposte in perenne comunicazione che si
scambiano contesti. Un universo iconico e informativo non termina in
una cornice, ma ne catalizza il significato, ne moltiplica il contenuto, ne
attrae l’intorno.
In Bateson la parola contesto sta sempre in rapporto con la
nozione di differenza e con quella di significato: la cornice permette di
riconoscere e apprendere il contesto. Così la cornice del display ci
permette di individuare la cartografia del digitale, il luogo dove avviene
l’interazione, il feedback, l’apprendimento, la logica del frame. Allora
nel virtuale è possibile destrutturate la cornice ? E, nel caso, che cosa
avverrebbe della relazione fra mappa e territorio ?
Dal punto di vista più propriamente antropologico la cornice
rappresenta anche l’utopia della dissoluzione del corpo: “potremmo
dire che ai processi di replica del corpo e di invasione del corpo, le
tecnologie virtuali cominciano ad affiancare un terzo processo, quello
di disseminazione del corpo nelle reti e negli spazi virtuali, immateriali,
delle macchine digitali. E il corpo disseminato è destinato a modificare
e a minacciare un rapporto basilare, che aveva retto più o meno
immutato per decine di migliaia di anni, il rapporto fra corpo e identità
(CARONIA, 134).
In senso lato possiamo intendere la cornice in due accezioni:
cornice come interfaccia iconica e metafora della soglia fra reale e
virtuale (in futuro sempre più immaginaria), oppure come dispositivo
tecnologico di visualizzazione (il display) e interazione (interfacce
aptiche). In particolare nella robotica e nei sistemi aptici non immersivi
l’abbattimento della cornice avviene attraverso l’utilizzo di dispositivi
fisici che coinvolgono un’azione corporea complessa (non il semplice
spostamento del mouse) come il movimento degli arti, delle mani, della
testa. In questo ambito troviamo interessanti progetti di ricerca e di
comunicazione. Al MIT esiste uno specifico laboratorio, il Tangibile
Media Lab, che si occupa della creazione di interfacce tangibili, quali
prismi, bottiglie, nastri, piccoli oggetti; l’azione corporea dell’utente
che manipola oggetti fisici crea in tempo reale un feedback nel sistema
di visualizzazione (monitor o altro). Nell’ambito dell’arte digitale,
l’attività del Plancton Art Studio (ANNUNZIATO, PIERUCCI, 1999,
2002), ad esempio, è indirizzata allo studio di interfacce tangibili,
finalizzate all’esplorazione virtuale dell’opera artistica che diventa un
8
Maurizio Forte
territorio popolato di vita artificiale autoorganizzata e in continua
evoluzione. In questo caso il feedback inizia all’esterno dell’ambiente
virtuale per poi moltiplicarsi ed evolversi all’interno. Il navigatore
catalizza eventi e reazioni visuali che, a loro volta, producono vita
artificiale (fig.2): i comportamenti delle vite artificiali sono solo in
parte preordinati e sono adattivi rispetto all’ecosistema digitale, in
ultima analisi le vite artificiali sono programmate anche per comunicare
all’esterno attraverso reti neurali. Dunque in questo caso la dissolvenza
Fig.2
della cornice è bidirezionale, dall’esterno all’interno e viceversa: per
altro l’evoluzione non preordinata dell’ecosistema virtuale presuppone
la moltiplicazione di universi informativi che, a loro volta, potrebbero
creare nuove forme di comunicazione e trasmissione culturale. La
dissoluzione dell’opera, in questo senso, è totale, ovvero la fruizione
diventa percezione integrale, contesto, scambio informativo, l’artefatto
si fa luogo virtuale, in ultimo, virtual heritage.
Nel futuro e, in parte, nel presente della realtà virtuale, la
rimozione almeno parziale della cornice come dispositivo (quindi non
in senso metaforico), avviene nella visualizzazione stereoscopica, nelle
proiezioni olografiche da display orizzontali (pensiamo ad esempio agli
ambienti immersivi), nei caschi (head mounded display), nelle cave
totalmente immersive. In questi casi il virtuale “si proietta fuori”, esce
dai dispositivi per condividere la visualizzazione in un altro territorio, il
luogo della proiezione che, nella percezione, si fa mappa.
Cibernetica e beni culturali: il problema della cornice
9
La realtà virtuale pienamente immersiva cerca di abbattere la
logica della cornice sostituendo alla realtà che percepiamo nell’intorno
un’altra realtà. Gli esperimenti di psicovisione effettuati negli ambienti
immersivi (a cui si è sottoposto anche il sottoscritto nella cave della
Brown,
University
relativamente
al
progetto
“Petra
Virtuale”, fig.3), ci
dimostrano
che
le
reazioni corporee si
allineano
alla
simulazione
virtuale,
perlomeno
all’inizio,
pur percependo che si
tratta di falsi stimoli.
Se, ad esempio, ci
troviamo a dover evitare
Fig.3
la collisione con oggetti
virtuali, la prima reazione è quella di scansarli, pur avendo la
consapevolezza che non stiamo correndo alcun rischio e che si tratta di
una simulazione. Oppure troviamo difficoltà di primo acchito ad
attraversare un muro virtuale anche se siamo consapevoli della sua
inconsistenza fisica. Anche questo è un problema di cornice: la
riproduzione di un contesto verosimile ad alta interattività ci spinge a
seguire le reazioni previste dal nostro codice genetico, anche se
appaiono in qualche modo illogiche. Solo dopo essersi ambientata nel
nuovo contesto immersivo la nostra mente può decidere il
comportamento più logico e più razionale, senza assecondare
pedissequamente gli stimoli della simulazione: allora attraverseremo il
muro e cercheremo di forzare i nostri sensi senza assecondare lo scopo
della simulazione.
Purtroppo le esperienze di psicovisione di questo tipo applicate
ai beni culturali sono ancora pochissime e, di conseguenza, non
conosciamo nel dettaglio quali potrebbero essere le logiche
dell’apprendimento e di fruizione in ambienti privi di cornice, ovvero
immersivi/proiettivi. Che cosa accade se abbattiamo il limiteinterfaccia della cornice ? Nelle applicazioni di realtà virtuale
immersiva, pensiamo ad esempio alle cave e ai dome, l’interazione con
l’ambiente virtuale è integralmente inclusiva, quindi non siamo in
10
Maurizio Forte
grado di distinguere l’interfaccia della cornice perché lo spazio del
reale è pienamente sostituito dal luogo del virtuale. Il luogo del virtuale
diventa a pieno titolo la percezione primaria dell’ecosistema, ma non si
frappone al reale, lo compenetra, in parte ne ridefinisce le regole e ne
catalizza i comportamenti, accelera feedback e scambio informativo,
differenza cibernetica.
Se la cornice costituisce la metafora dell’interfaccia dell’apprendimento, è
presumibile che, moltiplicando le cornici, si offrano maggiori prospettive di
osservazione. Facciamo l’esempio del paesaggio: in alcuni articoli ho definito
mindscape, il paesaggio archeologico percepito, decodificato secondo mappe mentali
(FORTE, 2003). Se immaginiamo il paesaggio come caos, struttura interconnessa di
elementi finiti ma troppo numerosi e inter-relati per poter essere facilmente tradotti,
l’inserimento di una o più cornici ci suggerisce percorsi di apprendimento o layer
visibili e classificabili. I Sistemi Informativi Geografici o GIS rappresentano senza
dubbio un primo solido tentativo di creare cornici con spazi simbolici (la “mappa”)
per classificare e interpretare il territorio. Se collochiamo una cornice, ad esempio un
teatro virtuale con un proprio mindscape, in uno spazio anonimo all’interno di un
paesaggio sconosciuto, la cornice si fa luogo, quindi diventa una metafora di
apprendimento: attraverso la cornice-teatro iniziamo a comprendere lo spazio
circostante, ne identifichiamo i tratti associandoli a luoghi e ad eventi, infine, con
un’interazione inclusiva, esploriamo virtualmente l’ecosistema digitale.
Il problema della cornice riguarda per altro anche il principio di
osservazione per interpretare la realtà: che cosa ci serve per percepire ?
La percezione dipende dalle relazioni che, nell’unità mente-corpo,
stabiliamo con l’ambiente/contesto di interazione (ecosistema). Nella
fattispecie, le relazioni cibernetiche possono essere riassunte in:
In-In =relazioni fra elementi differenti che interagiscono
all’interno dell’ambiente virtuale;
Out-In=relazioni fra l’utente/osservatore (fuori dall’ambiente,
out) e i comportamenti degli elementi virtuali coesistenti
nell’ecosistema digitale (in);
Out-Out = relazioni fra utenti/osservatori che interagiscono
fuori dal sistema;
Out-In-In=relazioni fra utenti/osservatori esterni al sistema e
comportamenti o eventi autopoietici che interagiscono reciprocamente
(in) e si rigenerano all’interno del sistema (in ancora).
Cibernetica e beni culturali: il problema della cornice
11
E’ evidente che le relazioni di scambio cibernetico possono
ulteriormente moltiplicarsi e generare nuove differenze. Dunque le
relazioni fra osservazione, ambiente e cose osservate sono complesse
Nell’opera di Escher che abbiamo discusso in precedenza, “La
galleria delle stampe” (fig.1), un visitatore di una galleria d’arte osserva
un quadro che rappresenta una città, o meglio, si dissolve in una città
che, a sua volta, abbraccia e include la galleria d’arte che contiene la
galleria stessa; dunque l’osservatore è dentro o è fuori ? E una volta
dissoltasi la cornice qual è l’oggetto osservato e percepito ? Il virtuale,
in quanto ontologia, moltiplica le cornici e ne ribalta l’effetto,
catalizzando l’informazione su più livelli di apprendimento.
Facciamo un esempio archeologico confrontando la Galleria
delle stampe di Escher con un caso reale di fruizione culturale (fig.4)
relativo a Ename in Belgio (Ghent, www.ename974.org): sulla sinistra
è il disegno di Escher, sulla destra il Timescope 2, un totem di
visualizzazione virtuale collocato di fronte all’abbazia romanica di San
Lorenzo. L’immagine reale dell’abbazia mostra l’edificio quasi
completamente oscurato dai ponteggi, quindi la fruizione visuale ne
risulterebbe compromessa se non si potesse fruire del Timescope2, un
totem di navigazione virtuale. Immaginiamo che nel Timescope si
possa visualizzare l’abbazia dopo il restauro, libera da ponteggi, e
l’edificio in una delle varie fasi architettoniche (le due immagini in
basso, figura 4):
l’informazione
sull’abbazia sarebbe
incrementata
in
modo circolare fra
reale e virtuale:
osservazione reale,
virtuale, di nuovo
reale, e così via. In
una
sequenza
ricorsiva di questo
tipo, cioè con un
percorso circolare
dell’informazione è
Fig.4
forse
irrilevante
cercare il punto di partenza, così come lo è nel disegno di Escher.
Altrettanto irrilevante sarebbe cercare un punto inerziale nei percorsi di
12
Maurizio Forte
visita del museo virtuale della Cappella degli Scrovegni e della visita
reale alla Cappella (fig.5): ogni azione rimanda alla successiva
aggiungendo interazioni e alfabetizzazioni.
Idealmente potremmo indicare la fase iniziale nel punto di
reversione cognitiva, cioè in corrispondenza della soglia in cui la nostra
mente riesce a processare una sufficiente quantità di informazione
visuale-simbolica fra ambiente reale e virtuale (prima di questo
momento i due ambienti, reale e virtuale, sono due oggetti
ipoteticamente sconosciuti e non comparabile per gli utenti). L’abbazia
che si vede nel totem non è un’abbazia qualunque, è l’abbazia di San
Lorenzo, la comparazione visuale fra le immagini del monumento
incrementano questa consapevolezza e lo scambio informativo fra gli
ambienti. Lo stesso approccio è stato utilizzato nel progetto di
musealizzazione virtuale della Cappella degli Scrovegni: la visita
virtuale prima o dopo quella reale crea un circuito informativo fatto di
azioni ricorsive nella logica dell’apprendimento. Il percorso circolare
sarebbe completo se potessimo inserire noi stessi quali avatar,
personificazioni virtuali, all’interno della simulazione digitale,
osservatori del sistema e osservati dall’informazione che ci circonda,
dunque in un circolo autopoietico.
Nelle teorie sistemiche “affermare che la teoria osserva
l’oggetto, quindi utilizza l’idea di osservazione e tuttavia l’oggetto è
parte dell’oggetto che osserva, produce una circolarità dal carattere
paradossale. In altri termini, si potrebbe riformulare il tutto dicendo: sta
dentro ciò da cui sta fuori […]. La teoria dei sistemi nell’osservazione
del suo oggetto non si espone a verità o falsità perché, tanto il
paradosso quanto la tautologia o la circolarità, se utilizzati all’interno
degli schemi della logica classica, bloccano l’argomentazione.
(BARCELLONA, DE GIORNI, NATOLI, 2003, 60).
Contesti e regole dell’apprendimento
Secondo l’approccio cibernetico del pensiero di Bateson noi
apprendiamo “per differenza”: la differenza rappresenta l’interazione
continua fra noi e l’ecosistema, fra noi e le relazioni che andiamo a
provocare con l’ambiente circostante (cfr.anche DELEUZE, 1967). Se, in
modo puramente teorico, restassimo immobili in un ecosistema buio e
privo di eventi, non avremmo feedback e quindi non si creerebbe
Cibernetica e beni culturali: il problema della cornice
13
alcuna differenza. Ricevere, elaborare informazione significa acquisire
sempre notizie di differenza e la percezione della differenza è sempre
limitata da una soglia; differenze troppo labili o che si presentano
troppo lentamente non vengono percepite. E’ una cosa analoga a quanto
accade nella comunicazione scritta di carattere visivo-spaziale (ad
esempio i pittogrammi) in cui: […] la modalità di comunicazione
produce un differimento di primo grado. Essa infatti esige che tutte le
risposte sensoriali associate allo scambio comunicativo siano sottoposte
a un’operazione preliminare di codifica, a sua volta destinata a
un’operazione inversa di decodifica, prima di essere riprodotta. E’
questo differimento a creare la differenza, a trasformare l’esperienza in
informazione e la comunicazione in contenuto” (PECCHINENDA, 2003,
26).
La teoria della conoscenza batesoniana spiega il meccanismo di
elaborazione dell’informazione: i dati sono oggetti neutrali, la
conoscenza di un sistema spaziale avviene per interazione, per
differenza tra i componenti e gli eventi inter-connessi. Più si
incrementa la differenza in una interazione virtuale, più cresce
l’apprendimento. “A difference is an abstract matter. In the hard
sciences, effects are, in general, caused by rather concrete conditions
or events-impacts, forces, and so forth. But when you enter the world of
communication, organization, etc., you leave behind that whole world
in which effects are brought about by forces and impacts and energy
exchange. You enter a world in which “effects” are brought about by
differences. That is, they are brought about by the sort of “thing” that
gets onto the map from the territory. This is the difference. […]. And
within the piece of chalk, there is for every molecule an infinite number
of differences between its location and the locations in which it might
have been. Of this infinitude, we select a very limited number, which
become information. In fact, what we mean by information, the
elementary unit of information, is a difference which makes a
difference, and it is able to make a difference because the neural
pathways along which it travels and is continually transformed are
themselves provided with energy. (BATESON, 1972).
Nella realtà virtuale l’apprendimento asseconda geometrie
informative di tipo reticolare, (informazione spazialmente connessa
all’interno della rete), cioè l’utente è immerso all’interno di reticoli di
informazioni e dati visuali (FORTE ET ALII, 2001, 2002). A questo
proposito è importante distinguere fra sistemi lineari e reticolari: si
14
Maurizio Forte
definiscono lineari sistemi che utilizzano una sequenza lineare quali la
scrittura, le audio-guide, i libri in genere, reticolari sistemi multimediali
e di realtà virtuale che si basano su relazioni spaziali-connettive
dell’informazione. Ogni interazione è prodotta dal suo sistema di
apprendimento virtuale: un nuovo alfabeto può suggerire una differente
e veloce percezione dello spazio visuale e interattivo. In questo modo
quindi possono essere promosse attività di apprendimento digitale in
modo che l’audience possa ricevere in poco tempo una rilevante
quantità di informazione (THWAITES, 2001). Questa ricomposizione
mentale si può definire una nuova mappa e l’apprendimento avviene
per feedback e per livelli gerarchici di informazione.
Definiamo feedback o retroazione, la proprietà di imparare e
conoscere l’ecosistema digitale attraverso azioni, inter-azioni e reazioni
(risposte). I fenomeni percettivi prevedono un livello di interazione, o
meglio uno scambio o assenza di comportamento tra attore e recettore;
in questo ambito possiamo identificare livelli multipli di interazione in
tempo reale (FORTE, 2000). Secondo Bateson i livelli gerarchici di
informazione definiscono “the hierarchy of contexts within contexts is
universal for the communicational aspect of phenomena and drives the
scientist always to seek for explanation in the ever larger units...
without context, there is no communication” . In the general semantics’
system, liven experience can fall within a number of terms: Territory,
silent level, non-verbal level, “facts”, “unnameable level”, object-level.
Even at a cognitive level, ‘seeing’ an object means creating an image of
it, an inside map which is not the external object. To communicate, we
use signs that belong to something else; they are abstractions,
‘pretences’. The ‘facts’, the ‘phenomena’, are thus ‘appearances’, since
they are cognitive elaborations that, during communication, are
elaborated still further” (BATESON, 1972). Così lo spazio virtuale
gerarchizzato viene ricontestualizzato e gerarchicamente ristrutturato
allo scopo di consentire l’identificazione di unità logiche di
informazione nella geometria dei modelli (FORTE, 2000).
Il museo virtuale della Cappella degli Scrovegni
La fruizione della Cappella degli Scrovegni, capolavoro
giottesco che attira l’attenzione del mondo sul complesso padovano,
risulta fortemente compromessa negli ultimi anni a causa delle precarie
Cibernetica e beni culturali: il problema della cornice
15
condizioni di conservazione che ne limitano fortemente l’accesso e la
sosta all’interno. A queste condizioni di difficile fruibilità museale si
aggiungono comunque le oggettive difficoltà di percezione e
interpretazioni visiva e visuale, data la distanza che separa il visitatore
dai dettagli degli affreschi e dalla comprensione contestuale. La
conseguenza poco incoraggiante per molti visitatori è la
sovrapposizione fra contemplazione estetica-estatica e senso di
disorientamento, il contrasto incipiente fra stupore e smarrimento, fra
bene e consumo; in una battuta potremmo definirla una fruitio
interrupta. La creazione di una mappa mentale per la Cappella degli
Scrovegni è un’elaborazione cognitiva altamente improbabile per la
maggior parte dei visitatori non alfabetizzati; di qui l’itinerario virtuale
sulla Cappella ne può disegnare o suggerirne la mappa. Nella sala
espositiva sotterranea dinanzi al Museo Civico, denominata Wiegand
Multimedia Room (dalla fondazione americana che ha finanziato il
progetto) sono state create sette installazioni didattiche, virtuali e
multimediali finalizzate a contestualizzare l’item “Cappella degli
Scrovegni”. In
questa
“scatola
cognitiva”
sotterranea il
visitatore può
alternare
momenti
di
godimento
passivo
ad
altri in cui
potrà
attivamente
intervenire
scegliendo fra
le differenti
Fig.5
tematiche
proposte nelle varie postazioni, utilizzando gli strumenti informatici
appositamente realizzati o entrando in spazi fisicamente ricostruiti (ad
esempio la casa di Anna e la bottega dell’artista). Il progetto multiinterattivo ha lo scopo di introdurre, alfabetizzare e contestualizzare
l’evento della visita alla Cappella secondo un percorso di
16
Maurizio Forte
apprendimento multifattoriale scandito da tre momenti topici:
l’immersione, l’attesa, la visita. Le aspettative rispetto all’utenza
contemplano una fase di totale immersione, di orientamento non ancora
alfabetizzato, di sosta (con un notevole incremento della soglia di
attenzione), di visita e contestualizzazione virtuale (alfabetizzazione
codificata). Al termine di questo itinerario virtuale e reale di
alfabetizzazione, l’utente può procedere alla visita della Cappella
secondo l’approccio più corretto alla comprensione, alla
memorizzazione e alla sedimentazione culturale del contesto (fig.5).
Le tipologie di installazione si definiscono secondo quattro
finalità (fig.5): narrativa (installazione 1), virtuale cognitiva
(installazione 2, progettata e creata dal CNR-ITABC), multimediale
(installazioni 3 e 5) ed espositiva (installazioni 4, 6 e 7). L’osservazione
di un DVD nella proiezione digitale su uno schermo panoramico è una
esperienza collettiva in parte immersiva. Le installazioni 3 e 5 sono
DVD multimediali e servono a produrre il contesto e il feedback
informativo del progetto. Le installazioni 4, 6 e 7 riconducono il
visitatore ad un’esperienza di allestimento reale con riproduzioni in
scala 1:1, riportando l’attenzione verso i modelli geometrici.
L’installazione 2 funge da fulcro e da medium espositivo producendo il
massimo livello di interattività e di incremento cognitivo-virtuale;
un’esperienza che ridistribuisce i propri contenuti nelle altre
installazioni.
Cibernetica e beni culturali: il problema della cornice
17
In definitiva l’innovazione del progetto risiede nell’immersione digitale
propedeutica alla visita, e, ancora di più, nel tentativo di musealizzare
il virtuale, cioè rappresentando le installazioni multimediali come un
vero e proprio percorso espositivo composto di una propria grammatica
e di un proprio linguaggio espressivo. Ogni installazione ha un proprio
territorio condiviso, rappresentato dallo spazio in cui interagiscono gli
utenti-visitatori, e un territorio contestuale-connettivo (virtuale), dove si
raggiungono le informazioni multimediali secondo una realtà
incrementata. Si tratta logicamente di uno spazio invisibile in cui si
colloca la sfera o territorio di attrazione di ogni installazione (fig.5);
rispetto a questo territorio di pertinenza il visitatore è portato a sostare
più o meno a lungo, a interagire con i contenuti, a scambiare esperienze
più o meno collettive, a ricreare in definitiva la propria mappa mentale
rispetto agli stimoli visivi e sensoriali che riceve e rielabora. In questa
direzione il progetto espositivo mira a musealizzare il virtuale, a creare
cioè mutue interazioni fra diverse installazioni che sono sia
individualmente che connettivamente interagenti. Il museo virtuale
della “Cappella degli Scrovegni”, inaugurato al pubblico il 25 marzo
2003, costituisce un caso pilota di “itinerario del virtuale”, un tentativo
di descrivere un percorso di scambio e assimilazione culturale
attraverso una esposizione virtuale (su quattro installazioni) e un
piccolo allestimento (su tre installazioni). La dialettica espositiva
dunque si evolve fra reale e virtuale, con diversi gradi di immersione e
attenzione. Musealizzare il virtuale significa dunque descrivere spazi e
flussi di geometrie composite, in parte fisiche e in parte virtuali;
l’interazione fisica avviene con l’ambiente, l’interazione virtuale si
compie solo all’interno dello spazio multi-interattivo, compiendo cioè
azioni remote rispetto al contesto dell’informazione digitale (ciò che
vediamo all’interno di un monitor è remoto rispetto allo spazio che ci
circonda, ma molto vicino rispetto al coinvolgimento sensoriale, di qui
la deterritorializzazione dello spazio da fisico a virtuale). Sulla base
delle caratteristiche digitali, fisiche, geometriche e multimediali delle
installazioni, abbiamo considerato un percorso “ideale” di interazione e
alfabetizzazione virtuale nell’ambiente di visita. L’apprendimento di
una musealizzazione virtuale è di tipo reticolare in quanto l’utentevisitatore è circondato e immerso da un reticolo informativo, quindi
riceve feedback anche a livello inconscio, transitando attraverso scambi
visuali di dati. Nel sistema RV della Cappella, l’installazione 2, è stata
creata una cybermappa del sistema, qui in figura 6. La cybermappa
18
Maurizio Forte
rappresenta il reticolo cartografico del sistema, in cui colori, figure,
forme geometriche e connessioni (link) costituiscono il “DNA” del
progetto comunicativo.
Fig.6
La cybermappa tridimensionale è un tentativo sperimentale per
disegnare geometrie informative complesse e spaziali che visualizzano
la connettività del sistema (ogni oggetto ha una geografia propria nello
spazio 3D). Nella cybermappa una scena diventa un cubo, un
tematismo una sfera, i colori distinguono le diverse classi di
informazioni e associazioni semantiche (rappresentati nel virtuale come
tanti atomi e molecole con legami connettivi); in una parola la
cybermappa rappresenta il codice concettuale dell’applicazione virtuale
(fig.6).
Bibliografia
ANNUNZIATO M., 1999, Emerging Structures in Artificial Societies, in “Creative Application
Lab”
Cdrom, Siggraph, Los Angeles.
ANNUNZIATO, M., PIERUCCI, 2002 Experimenting with art of emergence, Leonardo int.
journal (MIT press), volume 35, issue 2, april 2002.
Cibernetica e beni culturali: il problema della cornice
ARNHEIM R.,
19
1969, Visual Thinking, University of California Press.
2000 (a cura di), Virtual Reality in Archaeology, Oxford,
Archeopress (BAR International Series S 843)
BATESON G., 1972 Steps to an Ecology of Mind , San Francisco, Chandler Press.
BATESON G., 1979, Mind and Nature. A Necessary Unit, Dutton, New York.
BENTLEY P.J., 2001, Digital Biology, Simon & Schuster, New York, London, Sidney,
Singapore.
BONFIGLI, M.E. GUIDAZZOLI, A., 2000 A WWW Virtual Museum for improving the
knowledge of the history of a City, in «Virtual Reality in Archaeology», in BARCELO, FORTE,
SANDERS (eds.), 2000, 143-148.
BOWEN LOFTIN R., Psychophysical Effects of Immersive Virtual Reality, Proceedings Of The
IEEE Virtual Reality Conference 2002, 145-148.
BRITTON B., 2001, The Boundaries of Scientific Culture in Virtual Heritage, Seventh
International Conference on Virtual Systems and Multimedia (VSMM'01), October 25 - 27,
2001, Berkeley, California, IEEE Computer Society, 21-27.
CARONIA A., 1996, Il corpo virtuale, Franco Muzzio Editore, Padova.
CASTELLS M., 2002, La nascita della società in rete, Università Bocconi Editore, Milano.
CIMATTI F., 2000, La scimmia che parla. Linguaggio, autocoscienza e libertà nell’animale
umano, Bollati Boringhieri, Torino.
COTUGNO A., DI CESARE G., 2001, Territorio Bateson, Meltemi, Roma.
DELEUZE G., 1967, Différence et répétition, PUF, Paris.
DERRIDA J., 1981, La verità in pittura, Newton Compton, Roma.
DERIU M (A CURA DI)., 2000, Gregory Bateson, Bruno Mondatori, Milano.
ESCOBAR A., 2001, Benvenuti Cyberia. Note sull’antropologia Della Cultura, in “Avatar”,
Novembre 2001, Meltemi, Roma, 100-117.
FORTE M.1996a (a cura di), Archeologia. percorsi virtuali delle civiltà scomparse, Milano,
1996.
FORTE M.1997 (ed.), Virtual Archaeology, Harry Abrams Inc. Publishers, 1997.
FORTE M., 2000, About virtual archaeology: disorders, cognitive interactions and virtuality,
in Barcelo J., Forte M., Sanders D., 2000 (eds.), Virtual reality in archaeology, Oxford,
ArcheoPress (BAR International Series S 843), 247-263.
FORTE M., 2003, Mindscape: ecological thinking, cyber-anthropology, and virtual
archaeological landscapes, in “The reconstruction of Archaeological Landscapes through
Digital Technologies” (eds. M.Forte, P.R.Williams), Proceedings of the 1st Italy-United States
Workshop, Boston, Massachussets, USA, November 1-3, 2001, BAR International Series 1151,
Oxford, 2002, 95-108.
FORTE M., 2003a, The Remote Sensing project for the archaeological landscape of Aksum
(Ethiopia), in “The reconstruction of Archaeological Landscapes through Digital
Technologies” (eds. M.Forte, P.R.Williams), Proceedings of the 1st Italy-United States
Workshop, Boston, Massachussets, USA, November 1-3, 2001, BAR International Series 1151,
Oxford, 2002, 81-94.
FORTE M., 2003b, Realtà virtuale, pensiero ecologico e logiche dell'apprendimento fra
archeologia e beni culturali, in “ Contesti virtuali e fruizione dei beni culturali”, CD ROM,
Napoli, Certosa e Museo di San Martino, 2003.
FORTE M., FRANZONI M., 1998, il museo virtuale: comunicazione e metafore, in “sistemi
intelligenti”, anno x, numero 2, agosto 1998, 193-240.
FORTE M., PIETRONI E., RUFA C., BIZZARRO A., TILIA A., TILIA S., 2001, Dvr-Pompei Project:
Reconstructions Of Archaeological Contexts In Desktop-Opengl Environments, In Vsmm 2001.
Proceedings Of The Seventh International Conference On Virtual Systems And Multimedia.
Enhanced Realities: Augmented And Unplugged. 25-27 October 2001 (Ed. By H.Thwaites, L.
Addison), 77-85;
BARCELO J., FORTE M., SANDERS D.,
20
Maurizio Forte
FORTE M., PIETRONI E., RUFA C., BIZZARRO A., TILIA A., TILIA S., 2001a, DVR-POMPEI: A 3d
Information System for the House of The Vettii in Opengl Environment, in “VAST 2001. Virtual
Reality, Archaeology And Cultural Heritage” An International Symposium, 28-30 November
Glyfada, Pre-Proceedings, 365-374.
FORTE M., PIETRONI E., RUFA C., 2002, Musealising the Virtual: the Virtual Reality Project
of the Scrovegni Chapel of Padua, in VSMM 2002, Proceedings of the Eighth International
Conference on Virtual Systems and Multimedia, “Creative and digital culture”, Gyeonggju,
Korea, 25-27 September 2002, 43-52.
FOUCALT M., 1966, Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane, Milano,
Rizzoli.
GIBSON, 1984, Negromante, Mondadori, Milano.
GOMBRICH, HOCHBERG, BLACK, 1972, Arte, percezione e realtà, Torino, Einaudi.
HORGAN, 2003, La mente inviolata - Una sfida per la psicologia e le neuroscienze, Raffaello
Cortina editore, Milano.
KORZYBSKI A., 1941, Science and Sanity, Science Press, New York, 1941.
LEVY P.1992, Le tecnologie dell’intelligenza, Feltrinelli, Bologna.
LEVY, P. 1995, Qu’est-ce que le virtuel, Editions la Decouverte, Paris.
LEVY P., 1996, L’intelligenza collettiva. per un’antropologia del cyberspazio, Feltrinelli,
Milano, 1996.
LEVY P., 1997, Il virtuale, Raffele Cortina Editore, Milano, 1997
LEVY P., 1999, Cybercultura. gli usi sociali delle nuove tecnologie, Raffele Cortina Editore
Milano, 1999.
MANGHI S. (a cura di), 1998, Attraverso Bateson. Ecologia della mente e relazioni sociali,
Raffaele Cortina Editore, 1998.
MATURANA H., VARELA F., Autopoiesis and Cognition: the Realization of the Living, Boston
Studies in the philosophy of science, Cohen, Robert S., And Marx W. Wartofsky (eds.), vol. 42,
Dordecht (Holland): D. Reidel Publishing Co., 1980.
MATURANA, H., F. VARELA, The Tree of Knowledge: the Biological Roots of Human
Understanding, Boston: Shambhala, 1987, (Revised Edition: same publisher, 1992).
MINATI G., 1998, Sistemica, Apogeo scientifica, Milano.
PECCHINENDA G., 2003, Videogiochi e cultura della simulazione, Editori Laterza, RomaBari.
PESCE M., 1995, VRML browsing and building cyberspace. New Riders Publishing, New
York.
SANDERS D., 2000, Archaeological publications using virtual reality: case studies and
caveats, in BARCELO, FORTE, SANDERS, 2000, 37-46.
THWAITES H., 2001, Fact, Fiction, Fantasy: the Information Impact of Virtual Heritage, in
“VSMM 2001. Virtual Systems and Multimedia. Enhanced Realities: Augmented and
Unplugged”, 25-27 October 2001, Center for Design Visualization, University of California,
Berkeley, IEEE, Los Alamitos, California, 263-270.
WILLIAM S., 2003, Storia dell’intelligenza artificiale, Garzanti, Milano, 2003.
Didascalie delle figure:
1.
2.
3.
“La Galleria delle Stampe” di Escher
Installazione interattiva “E-Sparks”, di Annunziato, P.Pierucci, '2001,
www.plancton.com
Progetto “Petra Virtuale”: la visione all’interno della Cave, Brown
University, Shape Lab.
Cibernetica e beni culturali: il problema della cornice
4.
5.
6.
21
Comparazione fra la “Galleria delle stampe di Escher” e l’installazione
Timescope 2 di Ename (a destra).
Percorso espositivo del Museo Virtuale della Cappella degli Scrovegni di
Padova (in computer grafica)
La cybermappa del sistema VR della Cappella degli Scrovegni