La sindrome da conflitto

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La sindrome da conflitto
La Sindrome da conflitto sottoacromiale
Dr. Matteo Pennisi
Molto comunemente nella pratica clinica ci si imbatte in una patologia dolorosa cronica della spalla definita
“sindrome da conflitto”.
Alla base della situazione di malattia è riconosciuta la sofferenza del tendine del muscolo sovraspinoso che per
raggiungere la sua inserzione distale sulla grande tuberosità omerale è costretto a passare al di sotto di una volta
formata dall’articolazione acromion-clavicolare, dal legamento coraco acromiale e dall’acromion stesso. Questo porta
alla formazione di una vera e propria “articolazione fisiologica” come descritto da Kessel e Watson ( J.Bone J.Surg.
1977).
Il tendine del sovraspinoso percorre uno spazio che
potremmo definire come un “tunnel” delimitato
superiormente e
posteriormente dall’acromion,
dal legamento coraco-acromiale e dall’articolazione
acromioclavicolare.
Il restringimento di questo spazio è la causa principale
della sindrome da conflitto
Normalmente questa area con il braccio posizionato a 0° di abduzione ha un estensione in altezza che va dai 25 a 35
mm con una media di 30mm, mentre con il braccio a 90° di abduzione diminuisce fisiologicamente fino a 6 mm di
media, con variazioni da 3,6 a 8,4 mm (Flatow e Soslowsky, Am. J. Sports Med., 1994) .
Quando il braccio è posizionato in posizione neutra l’inserzione
del tendine del sopraspinoso è situata
anteriormente all’acromion. Questo si
accentua nei movimenti di rotazione
interna.
Movimenti ripetuti specie se in
abduzione oltre i 90° ed in anteposizione
od in caso di presenza di ostacoli come un
osteofita della superficie inferiore
dell’acromion portano ad un usura
meccanica del tendine, specie se eseguiti
con notevole impegno di forza. Anche
l’ipercifosi concorre a restringere lo
spazio.
Il restringimento permanente di questo spazio può essere dovuto secondo Neer alla forma e dimensione
dell’acromion, ad un osteofita acromiale anteriore, od a protuberanze dell’articolazione acromioclavicolare. Altre
cause meno frequenti possono essere ad esempio la prominenza della grande tuberosità dell’omero, la perdita degli
abbassatori della testa, la perdita del fulcro gleno-omerale o del meccanismo sospensore, l’ispessimento della borsa
sottoacromiale o della cuffia dei rotatori, malformazioni congenite dell’acromion, oltre a difetti del meccanismo
pendolare da disturbi importanti degli arti inferiori (paraplegia, amputazioni, artrosi grave).
Un osteofita della superficie inferiore dell’articolazione
acromioclavicolare può restringere lo spazio occupato dal
sovraspinoso causando una sindrome da conflitto. L’osteofita
può essere all’origine della patologia da conflitto o conseguente
ad una situazione infiammatoria cronica per fenomeni reattivi e
degenerativi
Durante i movimenti di abduzione e anteposizione il movimento del tendine è costretto in uno spazio ridotto e questo,
specie per movimenti ripetuti e per attività sportive o lavorative gravose, costituisce un motivo di usura da conflitto.
Normalmente la tendenza alla risalita della testa omerale per azione
del muscolo deltoide è contrastata dalla cuffia e dal tendine del sovraspinoso.
In caso di lesione anche parziale di questo traumatica o conseguente ad una
sindrome da conflitto l’azione stabilizzante viene persa o fortemente
compromessa ed il tendine del sovraspinoso si trova a soffrire ulteriormente
in quanto viene a trovarsi compresso tra la testa omerale risalita maggiormente
in quanto non più trattenuta e la volta acromiale.
In definitiva in seguito ad uno scorretto od eccessivo utilizzo dell’arto superiore oltre i 90° come in alcune attività
lavorative usuranti o ad esempio negli sport come il tennis, la pallavolo, la pallanuoto, si viene a creare una eccessiva
usura del tendine del sovraspinoso con aumento della compressione capillare (Moseley e Goldie, J.Bone Joint Surg.
1963), ed inizialmente edema ed emorragia associati a dolore. Questa fase è ancora reversibile con il riposo e
conseguente recupero biologico. In caso di proseguimento dell’agente o della causa traumatizzante si crea una fibrosi
vera e propria con tendinite ed ispessimento della borsa sottoacromiale. Questa situazione acquisita restringe
ulteriormente il tunnel del sovraspinoso ed è associata alla presenza di dolore costante nei movimenti di abduzione
oltre i 90°, mentre nell’utilizzo comune non è presente. In una fase ancora successiva (III stadio di Neer) il conflitto
persistente causa una lacerazione parziale o completa della cuffia dei rotatori, la rottura del tendine del bicipite
brachiale e la produzione di osteofiti degenerativi che a loro volta creano un peggioramento della biomeccanica della
spalla ed un ulteriore restringimento del tunnel. Si crea quindi così un circolo vizioso che autoperpetua e aggrava la
patologia.
Altre cause aggravanti sono l’eventuale rigidità della capsula posteriore e la diminuita mobilità della scapola, infatti
una rigidità della scapolo-toracica non assecondante i movimenti di abduzione oltre i 90° ostacola il corretto
orientamento del tunnel del sovraspinoso causandone un ulteriore restringimento.
E’ ovvio che nei casi molto gravi dello stadio II o in stadio III andrà sempre in prima istanza valutata la possibilità di
una terapia di ordine chirurgico, al fine di rimuovere o riequilibrare le cause di conflitto biomeccanico ed
eventualmente riparare ove possibile le lesioni della cuffia; normalmente ci si trova in presenza di pazienti al di sopra
dei 40 anni di età, afflitti da dolore continuo, con reperto di rottura parziale o completa della cuffia e di osteofiti.
In stadio I di Neer o nelle forme più lievi dello stadio II dove la componente di disfunzionamento biomeccanico è
prioritaria, il trattamento riabilitativo trova una collocazione primaria.
Risulta intuitivo come per agire su delle cause di ordine biomeccanico sia necessario per prima cosa tentare di
ricostruire una normale dinamica del movimento in modo da favorire il normale scorrimento del tendine evitando così
le cause di infiammazione e di usura conseguenti al conflitto.
Il programma riabilitativo naturalmente deve essere personalizzato e consegue ad un attento studio clinico e
strumentale del paziente; viene effettuato nel corso del trattamento rieducativo un bilancio articolare preventivo e
regolare che consentirà di valutare i progressi ottenuti e quindi i necessari cambiamenti del piano di trattamento.
Si priviligerà in una prima fase il miglioramento della mobilità articolare, sia della scapolo-toracica che della scapoloomerale entro certi limiti articolari da indicare nel programma personalizzato. Molto importante la mobilizzazione
passiva della scapolo-toracica come illustrato nell’immagine; un’altra regola da seguire è quella di non bloccare la
scapola durante la mobilizzazione passiva od assistita, anche questa volta per evitare il restringimento dello spazio e la
sofferenza del tendine. Si potrà utilizzare la crioterapia in caso di infiammazione acuta, lesioni recenti o dopo
eccessive sollecitazioni. L’applicazione di calore secco per 5 minuti prima degli esercizi di mobilizzazione passiva
assistita permette di ottenere un più efficace rilasciamento muscolare ed un miglioramento della circolazione locale.
La mobilità, specie quella passiva ed assistita inizialmente deve essere preferita al potenziamento, che risulterà più
semplice e più efficace una volta raggiunta una corretta dinamica articolare, in modo da evitare che il potenziamento
sia esso stesso causa di un ulteriore sofferenza del tendine non perfettamente libero di scorrere senza conflitti per una
mancanza di mobilità.
Gli esercizi per il recupero dell’escursione articolare (passivi, assistiti e di stiramento) devono essere effettuati per
brevi periodi, ripetuti spesso, a muscolatura rilasciata, meglio per 5 minuti 5 volte al giorno che in un'unica seduta
concentrata, la scapola non deve essere bloccata.
Una volta scomparso il dolore e raggiunta una sufficiente mobilità si passerà alla fase di potenziamento seguita da un
periodo di riposo per consentire il recupero con esercizi isometrici e attivi contro resistenza una volta al giorno.
Una volta raggiunta la stabilità articolare dinamica e la necessaria elasticità si passerà ad una ulteriore fase di
potenziamento, di coordinazione e propriocettivo, al recupero dell’abilità del gesto, e quindi al ritorno progressivo
all’attività sportiva.
In caso di intervento chirurgico la riabilitazione dovrà prevedere una fase di protezione dell’intervento stesso, ed un
programma articolato da concordare con il chirurgo che in linea di massima prevede un periodo di circa 28 settimane
prima del ritorno all’attività sportiva, oltre ad una fase di mantenimento con cicli riabilitativi regolari e la correzione
di eventuali squilibri sopraggiunti.
Naturalmente ogni singolo caso clinico necessiterà di una attenta valutazione e di un continuo monitoraggio dei
parametri articolari. Il percorso riabilitativo andrà modificato, adattato e personalizzato in corrispondenza della
tipologia di lesione e della risposta del paziente e non andrà effettuato senza una stretta coordinazione tra le varie
figure professionali chiamate ad intervenire , pena il mancato raggiungimento degli obiettivi prefissati.
Dr. Matteo Pennisi