Aprile 2014 - Comune Ornago

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Aprile 2014 - Comune Ornago
ORNAGO
di
n. 01
an
no
2014
tutti
periodico informativo - APRILE -
“LA MEMORIA SIA
LA NOSTRA BUSSOLA”
FESTA DEL 25 APRILE
MAGGIORNAGO
racconti concorso
letterario 2013
www.comune.ornago.mb.it [email protected] centralino tel. 039 628631
ORNAGO
di
n. 01 an
no 2014
tutti
periodico informativo - APRILE -
“LA MEMORIA SIA
LA NOSTRA BUSSOLA”
MAGGIORNAGO
FESTA DEL
25 APRILE
www.comune.ornago.mb.it [email protected] centralino tel. 039 628631
Foto di copertina:
La fontanella del miracolo
INDIRIZZI ON-LINE
DEL COMUNE
N. 01
Anno - V NOVEMBRE 2014
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Editore
Comune di Ornago
Direttore responsabile
Maurizia Erba
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Progetto grafico e realizzazione:
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Stampa
CPZ - Costa di Mezzate
Distribuzione
a cura del Comune
hanno collaborato in
questo numero:
Maurizia Erba, Gabriella Marson, Pietro Boffi,
Giulia Villa, Giovanna Ronco, Dario Raimondi,
Michela Quadri, CAG, Carla Magni, allunni e insegnanti
scuola primaria, Consiglio Comunale dei Ragazzi,
Associazione Commercianti Ornago
CHIUSO IN TIPOGRAFIA 07/ 04/ 2014
Questo notiziario è realizzato con carta
Tutti i diritti riservati. È vietata ogni riproduzione anche parziale.
I trasgressori verranno perseguiti
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e
editoriale
L’editoriale
XXV APRILE:
RICORDIAMO I MORTI DI
ORNAGO PER LA LIBERTÁ
di Maurizia Erba, Sindaco
Gli abitanti di Ornago, negli anni
quaranta erano circa duemila.
Ornago era un piccolo paese
agricolo, dove la maggior parte dei
cittadini doveva lavorare sodo per
sbarcare il lunario e portare a casa
il pane per i propri figli.
Eppure anche in quegli anni, nei
quali i diritti umani venivano violati
da leggi oppressive e illiberali, ad
Ornago in molti hanno guardato
oltre il proprio interesse immediato
e hanno scelto di sacrificarsi
perché tutti gli italiani potessero
riconquistare la libertà e vivere nella
democrazia.Ad Ornago – 2000 abitanti - ci sono
stati almeno sette cittadini, morti
per difendere i loro ideali – quattro
in combattimento nei pressi di
Camuzzago e tre a seguito della
deportazione a Mauthausen.
Questi morti continuano ad essere
di esempio per tutti noi, perché ci
hanno insegnato che la cosa più
importante è quella di essere aperti
al mondo, di sentirsi parte di una
comunità, di contribuire insieme
al benessere di tutti e che non è
da soli che si raggiunge la felicità
perché l’egoismo non paga.
Questi nostri martiri ci aiutano
ancora adesso a non perdere
di vista questi che sono i valori
fondanti della nostra civiltà.
A questo proposito, voglio
sottolineare che nei mesi scorsi
ad Ornago si è fatto tesoro di
questi esempi, dando vita a tre
avvenimenti importanti.
È stato organizzato un concorso
letterario, che ha suscitato
interesse e partecipazione fra molti
abili scrittori locali e che ha visto
fra i premiati un racconto molto
toccante, scritto dalle figlie di un
nostro cittadino, morto a seguito
degli stenti subiti a Mauthausen.
La Presidenza del Consiglio dei
Ministri ha conferito la medaglia
d’onore alla memoria a tre nostri
concittadini deportati a Mauthausen:
Luigi Besana, Giovanni Oggionni,
Cesare Ronco, a riconoscimento
del loro sacrificio.
Le classi quinte della nostra
scuola primaria hanno realizzato
“Medaglia d’onore ai cittadini italiani
deportati e internati nei lager nazisti
1943-1945”, coniata dall’Istituto
Poligrafico e Zecca dello Stato per
conto della Presidenza del Consiglio dei
Ministri.
un’interessantissima mostra per
la Giornata della Memoria, nella
quale, attraverso l’esposizione
di documentazione letteraria e
fotografica, si accompagna il
visitatore a comprendere gli orrori
compiuti negli anni di governo in
Europa del nazi-fascismo.
Questa mostra sarà visibile in
piazza Martiri il XXV aprile e nei
giorni successivi rimarrà esposta
nell’auditorium del Centro Sociale, a
disposizione di tutti.
Sono convinta che anche negli anni
futuri dobbiamo continuare a trovare
occasioni per tener viva la memoria
di quanto è successo, perché
questo ci aiuterà a capire per che
cosa vale veramente la pena di
impegnarci.
03
cultura
ASSESSORATO ALLA CULTURA
FESTA DEL 25 APRILE 2014
Cuor di soldato
Canterò per te,
mio bel soldato.
L’armonia busserà al tuo cuore,
mi prenderà per mano;
sottovoce seguirai il mio canto.
Volo di rondine, spicchi
nell’azzurro cielo,
mentre timidamente
abbasso lo sguardo.
L’impeccabile divisa,
protegge la mia fragile figura.
L’armistizio è stato firmato;
così poi svanirà la paura,
per dare posto: Al bianco
vessillo di pace.
Felicetti Simonetta
j
Programma celebrazioni
per la Festa della
Liberazione del 25 Aprile
Ore 09,45:
Ritrovo davanti al Palazzo Comunale per l’ Alzabandiera.
Ore 10,00:
Santa Messa nella Cappella del Cimitero.
Ore 11,00:
Partenza del corteo dal Cimitero alla piazza Martiri.
Ore 11,15:
In piazza Martiri discorso del Sindaco e presentazione del
“Museo della memoria”. Cerimonia di consegna delle tessere
ANPI e delle onorificenze ai familiari dei Martiri di Ornago.
Ore 12,00:
Commemorazione presso il Monumento ai Partigiani a
Camuzzago, con la partecipazione delle Amministrazioni
Comunali di Ornago, Bellusco e Cavenago di Brianza.
Aperitivo offerto ai partecipanti.
Invitiamo tutti i cittadini di Ornago a partecipare alla celebrazione del 25 Aprile, perché “La memoria sia la nostra bussola”. Per l’occasione verrà allestito in piazza Martiri “il museo della memoria”: un percorso di testimonianza sulla Shoah
realizzato dai bambini delle classi quinte.
MUSEO DELLA MEMORIA
In occasione della giornata della
memoria ci siamo documentati sui
fatti successi attraverso letture,
visione di film e ricerca di materiali.
Abbiamo ideato un “museo” in cui
esporre fotografie e testimonianze.
È stato un lavoro impegnativo, ma
a noi è piaciuto realizzarlo. Certo, le
tematiche trattate sono opprimenti e
04
parlandone, ci siamo spesso commossi. Abbiamo iniziato a dipingere
gli scatoloni per costruire le pareti
colorandole di grigio per rappresentare il dolore e la sofferenza ma
che a differenza del nero lascia un
filo di speranza. Il museo è diviso in
cinque sale. In ogni sala un oggetto
significativo rappresenta la tematica
svolta. Nella sala 1 ci sono informazioni riguardo alle leggi razziali e
alle deportazioni. Abbiamo scelto
il colore azzurro perché è il colore
delle lacrime. L’oggetto scelto per
rappresentare la prima sala è una
valigia. Lì dentro intere famiglie racchiudevano tutto ciò che potevano.
Sono tristi le fotografie di queste
A
cultura
ASSESSORATO ALLA CULTURA
persone con la valigia ben stretta,
perché era tutto ciò che gli restava.
Non sapevano che, scesi dai treni,
sarebbero stati privati anche di questo e per rievocare il valore di una
vita, avrebbero potuto conservare
solo i ricordi.
Nella sala 2 il colore è il marrone:
come il fango nel quale gli ebrei
erano costretti a muoversi per
sopravvivere. Abbiamo cercato di
ricostruire l’entrata del campo di
sterminio di Auschwitz, tristemente
famoso per la frase posta sopra il
cancello: “Il lavoro rende libero”.
Abbiamo posizionato a fianco la cartina d’Italia con l’indicazione delle
regioni nelle quali erano presenti
campi di concentramento. Nella
sala 3 abbiamo descritto la vita nei
lager. È stato scelto il colore rosso
come il sangue versato da milioni
di ebrei sterminati. Molti furono
uccisi a bastonate o fucilati senza
motivo dalle SS. Altri finirono nei
forni crematori. Il simbolo di questa
sala è il pigiama a righe indossato
dai detenuti. Era una sottile casacca
carceraria che non proteggeva
dal freddo. La sala 4 è dedicata al
ricordo dei tanti bambini rinchiusi
nei campi: il colore viola è quello
che meglio esprime la tristezza
per la separazione dai genitori, la
nostalgia per la casa, la paura delle
botte e della morte. Poesie e lettere
da noi riscritte manifestano in modo
forte e toccante questi sentimenti.
Abbiamo esposto vecchie bambole
e un gioco della tombola degli anni
40 che potrebbero essere proprio
come quelli che questi bambini
avevano con sé al momento della
deportazione. La sala 5 quella della
speranza, è dedicata al giorno
della memoria. Il verde è il colore
scelto per questa sala; un albero
pieno di foglie e cuori, con al centro
una piccola stella, ne è il simbolo: il
ricordo di ciò che è stato è la luce
che deve illuminare i nostri cuori.
Alunni e insegnanti
classi 5 A – 5 B della scuola primaria
TRECENTO ANNI DAL
MIRACOLO DELLA
MADONNA DEL LAZZARETTO
Era l’Aprile del 1714 e tre fanciulli di
Ornago andarono a fare legna nel
bosco nei pressi dell’attuale Santuario. Allora al suo posto si trovava
una cappellina posta all’interno di
un recinto chiamato “il lazzaretto”. La capellina era dedicata alla
Madonna e quel luogo era venerato
dagli abitanti di Ornago.
I tre bambini giunti nel bosco iniziarono a raccogliere la legna e ad un
certo punto ebbero sete. Stavano
quasi per tornare quando uno dei
tre si accorse che in un punto l’erba
era umida. Scavarono un po’ e dal
buco iniziò a zampillare dell’acqua.
Dissetatisi tornarono a casa e raccontarono quanto era accaduto loro.
Tutti rimasero sorpresi perché era
un periodo siccitoso tanto che anche i pozzi si erano quasi asciugati.
Nei giorni seguenti la scoperta della
pozza molte persone iniziarono ad
andare a quella fonte che si iniziò
a pensare fosse miracolosa. La
voce che l’acqua facesse miracoli si
sparse anche ai paesi vicini e tutti
iniziarono a portare i malati perché
guarissero.
Venne scavato un pozzo più profondo per poter attingere meglio
l’acqua miracolosa e con il tempo
qualcuno iniziò a venderla. A quel
punto intervenne l’autorità ecclesiastica per verificare cosa stava
succedendo.
Vi furono tre indagini da parte delle
autorità e, se inizialmente venne dichiarato che di miracoloso non c’era
nulla, alla fine della terza indagine,
dopo aver ascoltato varie testimonianze ed aver appurato la guarigione di tre malati, venne confermato
che si trattava di acqua miracolosa.
A quel punto si decise di procedere
con la costruzione di un Santuario
(la prima pietra venne posata nel
1716) che diventasse un punto
di riferimento per le comunità e
consacrasse quindi il miracolo della
Madonna del Lazzaretto.
Questo anniversario importante
verrà festeggiato con alcune
iniziative durante il mese di
MAGGIO, nella cornice di eventi
del MaggiOrnago, il cui programma è pubblicato nella pagina che
segue.
05
MAGGIORNAGO 2014
MARTEDì 29 APRILE ore 21.00
Aula Consiliare del Palazzo del Comune “CAMUZZAGO MEDIEVALE ED IL TERRITORIO LIMITROFO”
Ornago nel medioevo a partire dagli studi fatti per una tesi di laurea dal dott. Pasqualino Puja.
SABATO 3 MAGGIO dalle ore 14.00 alle ore 19.00
DOMENICA 4 MAGGIO dalle ore 10.00 alle ore 17.00
“IL TUO PAESE”
Mostra di disegni e dipinti realizzati dagli alunni della scuola primaria esposti lungo la ciclabile di via Banfi, che collega il
Santuario alla “Fontanella del Miracolo”. L’esposizione è organizzata da Avis e Aido di Ornago, in collaborazione con l’ “Antica
Bottega del Santuario” e la scuola primaria di Ornago. La premiazione dei lavori avverrà DOMENICA 4 MAGGIO alle ore
15.30, con la presenza del pittore Mario Straforini, che per l’occasione allestirà una sua mostra personale.
SABATO 3 MAGGIO - ore 21.00
- Santuario della Beata Vergine del Lazzaretto
“CON MARIA, NEL MESE DI MAGGIO”
Concerto Corale con i Cantori di Calastoria ed il Gruppo polifonico Armonia.
VENERDì 9 MAGGIO - ore 21.00
- Aula Consiliare del Palazzo del Comune
“IL SISTEMA INFORMATIVO SUL CATASTO LOMBARDO-VENETO”
Lo Studio Archimedia di Bergamo presenta la Ornago ottocentesca attraverso la cartografia e i registri del catasto lombardo–
veneto in un sistema GIS, disponibile su CD e su web.
SABATO 10 MAGGIO - ore 10.00
- Biblioteca comunale
Apertura della ESPOSIZIONE DEI LAVORI DEGLI ALLIEVI DEL CORSO DI PITTURA e aperitivo.
La mostra sarà visitabile fino al 17 maggio negli orari di apertura della biblioteca.
DOMENICA 11 MAGGIO alle ore 16.00
- ritrovo presso la foppa nuova zona Santuario (500mt. dopo il Santuario in direzione Roncello)
“1714 - 2014 RICORDANDO IL MIRACOLO: una passeggiata teatrale dal Boscone alla Fontanella”
Spettacolo itinerante lungo i sentieri e i luoghi del “miracolo” – organizzato dalla Associazione delleAli in collaborazione con la
Filodrammatica di Ornago e con i ragazzi del Centro di Aggregazione Giovanile all’interno del progetto “Coltivare Cultura”.
Gli spettatori saranno coinvolti in un percorso naturalistico a piedi per la campagna ornaghese per rivivere le atmosfere, le
visioni e gli accadimenti di 300 anni fa. Seguirà aperitivo offerto dalla Associazione Commercianti e Artigiani di Ornago
La passeggiata è adatta a tutti e non presenta difficoltà, ma si consigliano scarpe comode.
DOMENICA 18 MAGGIO dalle ore 8.00 alle ore 12.00
- QUATAR SALT COI SCIATT - 37^ edizione - manifestazione podistica non agonistica
organizzata dal gruppo Giovane Montagna.
Dal 17 maggio al 7 giugno
- presso il Centro Sportivo comunale
“18^ TORNEO CITTÀ DI ORNAGO” (programma completo sul retro di copertina di questo informatore).
AVIS E GIOVANE MONTAGNA LANCIANO IL GRUPPO PODISTICO
Recentemente il gruppo Giovane Montagna di Ornago e l’Avis Comunale di Ornago hanno contribuito a creare un gruppo podistico non
competitivo. L’obiettivo è quello di consentire a chi ama correre o camminare di farlo in compagnia e allegria.
Chi fosse interessato a farne parte può inviare una mail a [email protected]
Il Comitato Genitori Ornago organizza nei giorni mercoledì 7 e giovedì 8 maggio presso la scuola media
una MOSTRA DEL LIBRO, dalle ore 16,30 alle ore 18,00, in cui si potranno acquistare libri di interesse vario.
06
Prima edizione (anno 2013)
del concorso letterario
“Leone Galbiati “
Pubblichiamo il testo integrale del racconto vincitore
e alcuni brani dei due testi premiati
con menzione d’onore dalla giuria del concorso.
Primo premio
lle foppe”
in
“Il Pr cipe de
ucchi
St
co
ac
di Is
IL PRINCIPE DELLE FOPPE
Correva l’anno1972, e finalmente era arrivata l’estate anche se per noi, o meglio per la maggior parte del nostro
gruppo, il cambio di stagione non aveva un particolare
significato.
Ho detto “finalmente” perché l’arrivo del sole che scaccia freddo e pioggia, a me, faceva un gran bell’effetto
specialmente sulla pelle che ritornava ad essere morbida
e lucida.
Anche l’umore cambiava, si lavorava con più entusiasmo
nonostante il programma di lavoro estivo fosse più pesante. Gli esercizi diventavano sempre più complicati, molto
più difficili da eseguire e in alcuni casi anche pericolosi.
Ne sapevano qualche cosa Wolfango e Calò. Il primo,
nel superare il cerchio di fuoco aveva avuto una lesione
all’occhio e adesso girava con una vistosa benda nera
quasi fosse un pirata.
Il secondo invece, nell’eseguire un tuffo carpiato aveva
urtato il trampolino prendendosi una bella botta e ancora
oggi zoppicava in modo evidente. La nostra insegnante,
“maestra”, come la chiamavamo noi, in pratica la persona che ci gestiva in tutto e per tutto, si era data da fare
immediatamente per aiutare i due compagni sfortunati
prodigandosi con tutte le sue forze. Era stata l’ultima cosa
che aveva fatto per noi.
Adesso non c’era più. Se ne era andata in silenzio rispettando il suo contratto, aveva lasciato tutto e tutti dopo
l’ultimo spettacolo. Nella sua roulotte, sul tavolino di finto
mogano vicino al vaso con le rose di plastica, aveva
lasciato una lettera e sulla busta aveva scritto una frase
semplice e chiara.
- All’att.ne dell’egregio e rispettabile direttore del circo di
Mosca – Da leggere davanti ai miei ragazzi –
Quando Vladimir Petrov aveva preso la busta, non era
riuscito a trattenere un sorriso e ci aveva rivolto uno
sguardo amichevole.
“I suoi ragazzi”. La maestra ci chiamava così e quel giorno, in quella vecchia roulotte, vicino al tavolino di finto
mogano, eravamo tutti lì, forse per l’ultima volta insieme.
Vladimir Petrov rideva ma non sapeva, non poteva sapere
che la maestra ci aveva anche insegnato a capire le
parole e il loro significato e giocava con quella busta tra
le mani, indeciso se rispettare le volontà della sua amica
o chiudere lì, sui due piedi, tutta la vicenda. Poi aveva
preso la sua decisione, aveva dato un sonoro colpo di
tosse, aveva aperto la busta e iniziato a leggere.
“Buongiorno ragazzi, buongiorno Wolfango, Calò, Bruto,
Strega, Olga, Dimitri, Lucio, Danton e buongiorno a te caro
EmileZola”. Mi aveva lasciato per ultimo con un particolare saluto pieno di affetto.
“Vi ho raccolto in giro per il mondo, in Germania, in Italia,
in Francia, in Russia e ho fatto di voi una squadra unita
e compatta, ho riversato in voi la mia esperienza, le mie
conoscenze e tutte le mie capacità ma adesso è arrivato
il momento di rendervi la libertà. Nessuno sarebbe in
grado di raccogliere la mia eredità e dirigervi nei numeri
che fino ad oggi abbiamo presentato al pubblico. Chiedo
quindi al nostro direttore di esaudire il mio ultimo desiderio e di portarvi nel luogo che qui sotto ho indicato. Vi
auguro lunga vita e tanta fortuna. La vostra Maestra.”
Vladimir Petrov aveva smesso di sorridere: rispettare la
volontà dell’amica equivaleva a rinunciare a un’esibizione
unica nel suo genere. Nessun altro circo al mondo aveva
un numero così particolare, nessun artista, nessun allenatore, nessun maestro era mai riuscito ad addestrare delle
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rane, nove per l’esattezza, facendole saltare in un cerchio
di fuoco, camminare su di un filo sospeso, danzare a
tempo di valzer e soprattutto farle cantare.
Alla fine di ogni esibizione la maestra ci disponeva a semicerchio e quando partiva la base musicale ci dirigeva
con la sua piccola bacchetta nera come un vero direttore di coro. Conoscevamo a memoria gli inni nazionali
di ogni paese che il circo di Mosca visitava e la sera
precedente, l’ultima sera, avevamo cantato con il nostro
gracidare l’inno di Mameli tra il tripudio del pubblico.
Il circo aveva piazzato le tende all’interno del parco di
Monza e molto probabilmente la nostra destinazione sarebbe stata un paese lì vicino; io avevo una mezza idea.
“Le Foppe di Ornago! Dove cavolo sono queste maledette
foppe!” Vladimir Petrov si era rassegnato, avrebbe perso
il numero delle rane rispettando l’ultima volontà della
maestra.
La mia ipotesi era corretta. Il male ai polmoni aveva più
volte portato la maestra a frequentare un sanatorio in un
paese vicino a Milano. Un sanatorio di campagna, decisamente inusuale in quanto i sanatori sono posizionati in
collina o in montagna e infatti quello di Ornago era l’unico
sanatorio di pianura presente in Lombardia, una piccola
struttura circondata da un bellissimo parco con alberi
secolari e un tranquillo laghetto a confine col comune
vicino. Quel laghetto, le foppe, com’erano chiamate dagli
abitanti del posto, sarebbero state la nostra destinazione.
Vladimir Petrov ci aveva caricato su uno dei furgoni del
circo, sistemandoci in una di quelle vasche piene di
acqua che usavamo durante gli spettacoli. Il viaggio era
stato breve e quando il direttore aveva aperto le portiere
dell’automezzo davanti ai nostri occhi, si era materializzato un laghetto, una buca davvero grande piena di
acqua e tutt’intorno, alberi, cespugli di canne e tanto sole,
tutto il sole che sognavo da una vita. Alle nostre spalle il
sanatorio, con il cancello del parco aperto e lì a fianco un
medico in camice bianco. La maestra in più di un’occasione mi aveva parlato di quel medico che chiamava
amichevolmente il “dott. Faust, un diavolo di medico”,
definendolo un uomo buono, instancabile, gentile e professionale ma soprattutto molto abile nel suo lavoro.
Il dott. Faust aveva forse sessant’anni ma era ancora un
bell’uomo dal viso simpatico e solo qualche mese prima
aveva comunicato alla maestra che il suo stato di salute
era notevolmente peggiorato e la malattia ai polmoni stava
degenerando. In quell’occasione le aveva detto la verità
facendo crollare ogni sua speranza: le rimanevano solo
pochi mesi di vita e la maestra tra le altre cose, gli aveva confidato l’intenzione di portare lì i suoi ragazzi. Prima
di chiudere il cancello e salutare Vladimir Petrov, quasi
rivolgendosi a noi, il medico aveva detto a voce alta che
si sarebbe dato da fare per recuperare un disco con l’inno
d’Italia. Poi il piccolo furgone rosso con la scritta, circo
08
di Mosca, era ripartito e il medico aveva chiuso il cancello con una grossa catena e un lucchetto dorato. Il direttore
ci aveva scaricato sulla riva del laghetto svuotando la
vasca che ci conteneva proprio dove il sole, in alcuni
punti, aveva asciugato l’acqua e lasciato delle profonde
crepe nel fango secco. Spaesati, increduli e incapaci di
agire, oppressi dal silenzio che ci circondava, ci guardavamo negli occhi, immobili e forse impauriti per la nuova
vita che ci aspettava.
“Sveglia ragazzi, non piangetevi addosso, rimbocchiamoci
le maniche e diamoci da fare. Adesso non c’è più mammina che ci cambia l’acqua e ci serve pranzo e cena.
Adesso tocca a noi, questo è il nostro momento”. Era
stato Wolfango a parlare e subito Calò gli si era messo
di fianco schierandosi in modo palese dalla sua parte.
Strega aveva condiviso le sue parole e lo stesso avevano
fatto tutti gli altri.
“E tu? Caro il nostro EmileZola? Che cosa intendi fare?”
Mi aveva ferito il suo modo di parlare, il suo tono pieno
di sarcasmo quasi a imitare la voce della maestra che
aveva appena preso in giro chiamandola mammina.
“Io sono con voi a un patto.”
“Ti ascolto.”
“Vorrei che portassi il giusto rispetto per chi ci ha
accudito in questi anni.” Senza accorgermi avevo gridato
e il silenzio che era seguito alle mie parole era l’esatta
risposta che mi aspettavo.
Wolfango e Strega si erano rivelati due abili organizzatori, avevano individuato tra le canne di un isolotto quella
che sarebbe stata la nostra nuova casa. La piccola isola
a pochi metri dalla riva era una vera e propria fonte di
novità, una miniera piena di cose nuove per noi, in tutti
i sensi. L’ombra e il fresco e il folto cespuglio di canne
richiamavano un gran numero d’insetti e così il pasto era
assicurato mentre un grosso sasso dalla forma strana a
becco d’anatra formava un trampolino naturale sull’acqua
e questo ci avrebbe permesso di tenerci in costante
esercizio mettendo in pratica gli insegnamenti ricevuti al
circo. Calò, che si era completamente rimesso, era quello
che fra tutti noi riproponeva i tuffi più difficili invitandoci a imitarlo. La scoperta più interessante l’avevano fatta
Dimitri e Olga che alla ricerca di un posticino appartato
avevano trovato, appena sotto il pelo dell’acqua, un’apertura, una specie di collo d’oca che scendeva per almeno
un metro sotto terra per poi dividersi in un’incredibile
serie di gallerie che confluivano in uno spiazzo grande
quanto la metà del nostro isolotto. Il tutto era perfettamente all’asciutto e sicuramente era stato scavato da qualche
animale quando la nostra base era ancora unita alla terra.
Avevamo trovato un comodo nascondiglio per quando il
sole avrebbe lasciato il posto alle piogge e al freddo. I
giorni passavano senza che succedesse niente a parte
qualche ragazzino che arrivava alle foppe con l’intento
di pescare qualche pesce finendo poi per divertirsi a giocare al tiro a segno tirando dei sassi raccolti sulla riva al
nostro indirizzo. C’era anche un grosso cane col pelo corto e bianco e con il muso tutto schiacciato che arrivava
davanti all’isolotto, fiutava la nostra presenza e iniziava
ad abbaiare fino a che il suo padrone, finito il giro della
foppa più grande, lo veniva a riprendere.
“Quell’animale inizia a darmi fastidio.”
“E’ vero, anche a me dà fastidio!” Wolfango aveva parlato
e Calò gli aveva subito fatto eco.
“Dobbiamo fargli uno scherzetto.”
“Io ci sto capo.” Nessun altro commento e così l’idea di
Wolfango era finita nel dimenticatoio con mia grande
soddisfazione. Come avremmo potuto fare uno scherzetto
a quel cane grande e grosso.
Poi era successo. L’estate stava terminando, lo sapevo
perché la sera il sole calava presto e in fretta, ma al sanatorio stava succedendo qualche cosa. Avevamo iniziato
a sentire delle note musicali e poi nel parco si notava
più movimento del solito, c’era più gente e si sentiva una
voce parlare al microfono, anche se il vento contrario
impediva a quelle parole di arrivare fino a noi. Il cancello era stato aperto per permettere a due uomini robusti
di portare fuori dei grossi rami secchi. Eravamo tutti
eccitati, quel trambusto e la musica lontana ci riportavano
ai momenti delle nostre esibizioni e in attesa di qualche
cosa che sentivamo sarebbe successa, c’eravamo schierati a semicerchio. Tutti e nove. L’inno di Mameli era
iniziato in sordina, poi flauti, tromboni, trombe e tamburi
avevano preso il sopravvento.
Con un piccolo balzo mi ero messo al centro dello schieramento e dopo aver battuto tre volte la zampa sul terreno
avevamo iniziato la nostra prima esibizione, avevamo
preso il tempo alla perfezione e un rinnovato entusiasmo
stava rendendo perfetta l’esecuzione dell’inno.
Quando la musica era calata di tono, avevamo dato il
meglio di noi stessi. Wolfango e Calò si gonfiavano a
dismisura, Olga e Strega duettavano con passione, Lucio,
Danton e Dimitri li accompagnavano con estremo fervore
e per quanto mi riguardava, la parte del solista, la conoscevo a memoria.
“EmileZola, c’è qualcuno!” L’inno era terminato e adesso il
vento che era cambiato ci portava gli applausi di chi ci
aveva ascoltato. Una giovane donna con un abito azzurro e un nastro dello stesso colore tra i capelli si stava
avvicinando alla riva. Aveva un piccolo pacco stretto sotto
il braccio, sembrava un regalo per noi. Era davvero carina,
adesso la vedevo bene, si era fermata sulla riva dello
stagno e con la mano m’invitava a raggiungerla.
“Va Emile, va da lei, tocca a te.” Al circo ero sempre io
ad andare a raccogliere gli applausi e alla fine di ogni
esibizione il direttore del circo sceglieva tra il pubblico
un paio di bambini per venire a vedermi da vicino. Aveva
i capelli lunghi fino alle spalle e gli occhi di un azzurro
profondo e il suo viso mi ricordava quello del medico
che aveva chiuso il cancello con la catena. Una cosa
era certa, non aveva paura di me, non le facevo ribrezzo
come ogni tanto succedeva con qualche ragazzina al
circo.
Era imbarazzata, lo capivo bene e si guardava in giro
temendo che qualcuno la vedesse parlare a una rana e
non sapeva come consegnarmi quel piccolo pacchettino
avvolto nella carta rossa.
“Ragazzi possiamo fare uno spettacolo per la signora, è
la figlia del medico,” Non avevo parlato ai miei amici
ma avevo gridato con tutta la voce che avevo in corpo
gonfiandomi fino all’inverosimile.
Wolfango era salito sopra il fusto di una canna seccata
dal sole e l’aveva piegata sull’acqua come fosse un filo
steso e Strega si era messa a camminarci sopra mantenendosi in equilibrio come solo lei sapeva fare. Calò
aveva iniziato la sua sequenza di tuffi seguito a ruota
da Lucio, Dimitri e Olga mentre Bruto e Danton facevano
il loro numero di acrobazia salendo a vicenda uno sulle
spalle dell’altro. Guardavo la signora bionda che rideva
divertita e batteva le mani; sapeva sicuramente di noi.
Poi a un mio nuovo comando i ragazzi si erano messi
a semicerchio improvvisando un quasi perfetto inno di
Mameli anche senza musica.
“Sono commossa, siete davvero bravi, mio padre mi ha
raccontato la storia della vostra maestra e dei suoi ragazzi ma vedervi all’opera è una cosa unica.” A ogni frase
battevo la zampa sul terreno per dirle che avevo capito le
sue parole ma lei non poteva sapere.
“Ho un regalo per voi.” Aveva aperto il pacchetto strappando la carta rossa. Al suo interno c’era una piccola
scatola di plastica trasparente con una foto sorridente
della maestra. Mi aveva guardato poi si era chinata e
aveva deposto l’oggetto in acqua; sarebbe toccato a me
spingerlo fino all’isola. La osservavo in silenzio e battevo
la zampa in attesa di qualche sua nuova parola ma evidentemente non aveva più niente da dirmi. Si era alzata,
aveva sussurrato una frase buffa, mi aveva sorriso e poi
si era diretta a passo svelto verso il cancello del parco.
Le giornate di pioggia, la nebbia prima e la neve poi avevano segnato l’arrivo dell’inverno. La nostra squadra era
aumentata, Wolfango non aveva avuto niente in contrario
ad accogliere nel gruppo altre rane delle foppe, nei sotterranei dell’isolotto c’era spazio per un esercito di rane. Le
giornate passavano lente, con la brutta stagione nessuno
veniva a pescare e del cane bianco non avevamo saputo
più nulla, e anche nel parco, a causa del freddo, non si
vedeva quasi più nessuno. Spesso pensavo alla frase
buffa sussurrata dalla bella signora bionda, era la stessa
domanda che tanti bambini facevano a Vladimir Petrov
e ogni volta mi riportava il buon umore. Poi era arrivata
09
la pioggia a sciogliere la neve e il vento ad allontanare
il freddo e finalmente la primavera col suo tiepido sole
e un pomeriggio era arrivata anche la signora bionda.
Aveva aperto il cancello e fatto passare due ragazzini e
al loro fianco con il camice bianco c’era il dott. Faust,
quel diavolo di un medico. Uno dei due probabili figli
aveva in una mano una scatola gialla e nell’altra una cosa
rotonda di colore nero, una specie di piatto. Dietro di loro
infermieri e malati arrivavano dal parco a gruppi. Ancora una volta, con la mano, faceva degli ampi gesti per
invitarmi a raggiungerla e questa volta non avevo certo
bisogno dell’incoraggiamento di Wolfango e in un attimo
ero a riva.
“Ragazzi questo è il ranocchio di cui vi parlavo, non
conosco il suo nome ma ho con me l’elenco delle nove
rane del circo di Mosca.” Dalla borsetta nera aveva preso
un foglio che avevo già visto e aveva iniziato a leggere
i nomi dei ragazzi nella speranza di cogliere una mia
eventuale reazione. Ero l’ultimo della lista, lo sapevo.
“EmileZola.” Avevo battuto la zampa sulla terra secca
della riva mettendomi a gracidare in modo discreto.
Di sicuro lei avrebbe capito.
“Ragazzi è lui, il nostro amico ranocchio si chiama EmileZola.”
“Mamma ti capisce, ha fatto il suo verso e ha battuto la
zampa. Com’è possibile che una rana comune capisca
quello che dici”. Mi sembrava che tra i due fosse il
più piccolo, era bello come la sua mamma e come lei
aveva i capelli biondi e gli occhi chiari e somigliava
tanto a suo fratello. Era stato lui a parlare, poi mi si era
inginocchiato davanti mostrandomi il palmo della mano
e invitandomi a salire. Non me l’ero fatto dire due volte.
Avevo fatto un piccolo balzo per atterrare delicatamente in
quel morbido rifugio.
“Stai tranquillo EmileZola, non ti faccio del male, voglio
solo toccarti e accarezzarti.”
Avevo deciso che avrei risposto a ogni sua domanda,
l’avrei stupito, questo lo sapevo, ma avevo deciso così.
“Hai paura di me?” nessun movimento, dire no era più
complicato che rispondere di sì.
“Ti fidi di me?” La risposta era affermativa e la mia
zampa aveva battuto un colpo sul palmo della sua mano.
Aveva capito il meccanismo per rivolgermi le domande.
Bravo ragazzo e intelligente.
“La mamma ha invitato tutti gli ospiti del sanatorio ad assistere al vostro spettacolo, è possibile?” Ancora una volta
un sì e di seguito un nuovo colpo con la zampa, uno dei
tanti sì in risposta a tutte le sue domande.
“E’ incredibile mamma, EmileZola è molto intelligente,
capisce davvero le parole, batte la zampa per dire sì e
resta immobile quando la risposta è no.” Ragazzo curioso
e simpatico.
”Emile, mio fratello ha un giradischi e un disco con l’inno
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d’Italia, è possibile sentire il vostro concerto?”
Aveva detto concerto e non me lo sarei fatto ripetere,
avevo fatto un balzo atterrando vicino all’acqua e poi
avevo gridato ai ragazzi di prepararsi per l’inno di Mameli. Le note dell’inno, dopo un leggero fruscio iniziavano
a uscire con il loro impeto da quella strana scatola gialla
e il volume non particolarmente alto ci avrebbe consentito
di fare un figurone. Ancora una volta i ragazzi avevano
preso il tempo alla perfezione e alla fine dell’esecuzione
gli applausi avevano riempito ogni angolo delle foppe. Poi
erano iniziati i tuffi spericolati, i passaggi sulle canne
piegate a pelo d’acqua e i numeri di acrobazia. Tutti ridevano e battevano le mani entusiasti. Alla fine il ragazzo
con la scatola gialla mi si era avvicinato e dopo avermi
accarezzato, mi aveva chiesto di poter tornare nelle settimane seguenti. Avevo dato la mia risposta affermativa ma
avrei voluto dirgli di tornare tutte le volte che volevano.
Mentre rientravo alla nostra base, pensavo a tutte quelle
persone malate che avevamo fatto divertire e mi auguravo di rivederle presto. I ragazzi della banda mi stavano
aspettando pieni di curiosità e con immenso piacere
avevo raccontato loro ogni minimo particolare del mio
incontro con i figli della signora bionda.
Avevano mantenuto la loro promessa, venendo quasi tutte
le settimane, avevano voluto conoscere tutta la banda
chiedendoci di ripetere ogni volta i nostri esercizi. I
piacevolissimi incontri erano durati fino alla fine della
scuola, poi le vacanze estive avevano messo fine alle
loro visite. Ci avevano salutato con tristezza dandoci
appuntamento alla fine dell’estate. Era l’estate del 1973 e
non li avevamo più rivisti.
Il mio sonno, nel lungo inverno, era pieno di sogni strani,
di grossi e pericolosi pesci gatto che attaccavano l’isola,
poi il buio, un’ombra scura che non voleva lasciarmi e il
freddo che mi prendeva le ossa e anche il cane bianco
era tornato e aveva vinto la paura dell’acqua e nuotava
minaccioso verso l’isola. Alla fine qualcuno mi stava
soffocando, sentivo un peso che mi sovrastava e qualche
cosa che mi scuoteva, per la prima volta un sogno mi
stava davvero spaventando. Avevo paura del niente ma
dal fondo del cunicolo sentivo una voce lontana ma
non riuscivo a capire le parole, poi Wolfango mi aveva
letteralmente capovolto e mi ero svegliato. Ero sempre lì,
nel mio angolino, adesso ero sveglio ma avevo sognato
qualche cosa di brutto, qualche cosa che avrei tenuto
solo per me.
“Finalmente! Sveglia. E’ arrivato il ragazzino e ti cerca,
continua a chiamarti.” Non potevo crederci. Eravamo in inverno e la bella stagione era ancora lontana e poi c’erano
le scuole, com’era possibile che fossero già arrivati.
La giornata era buia e faceva freddo e sull’acqua c’erano
delle croste di ghiaccio.”
“EmileZola, non andare, ascolta da qui quello che ha da
dirti, è troppo pericoloso, hai visto il ghiaccio?”
“L’acqua non mi sembra così fredda Wolfango.” Avevo
messo la punta della zampa nell’acqua e un brivido
gelido mi era arrivato fino al cuore.
“Guarda, ha un pacchetto rosso sotto il braccio, è un
regalo per noi.”
“Fa come vuoi EmileZola, io ti ho avvisato.”
Non lo avevo ascoltato, ormai avevo deciso, avrei
raggiunto il mio amico. L’acqua era gelida ma non sarei
andato sul ghiaccio, vedevo un’apertura e l’avrei seguita
per arrivare alla riva. Nuotavo a fatica, le zampe non volevano saperne di fare il loro dovere, forse aveva ragione
Wolfango ma la riva era vicina e l’isola, ormai troppo
lontana, Ero arrivato, ma ero senza forze. Presto prendimi
tra le mani! Scaldami! Tienimi in vita! Perché sei solo,
dov’è tuo fratello? Perché sei arrivato adesso, è ancora
inverno. Non sai che a noi piace stare al caldo e dormire
un po’. Tu non sai ma ho fatto un brutto sogno, io non
credo ai sogni. Lo stavo tempestando di domande ma era
rimasto immobile.
“Ciao EmileZola, mi spiace ma non siamo riusciti a
mantenere la promessa. Ho una cosa per te.” Come sua
madre aveva strappato la carta rossa e ne era venuta
fuori una scatola di plastica trasparente, all’interno una
foto sorridente di suo fratello. Si era abbassato e l’aveva
deposta nell’acqua e sarebbe toccato a me spingerla fino
all’isola. Poi mi aveva accarezzato e subito avevo sentito
una scossa e il sangue aveva ripreso a scorrere in me.
Presto scaldami con le tue mani.
“Mi piacerebbe baciarti e trasformarti in un principe ed
esprimere un desiderio.”
Era quella la frase che ogni tanto mi dicevano i bambini
al circo, era la stessa frase che mi aveva sussurrato la
sua mamma e mi aveva detto anche lui la prima volta
che c’eravamo visti.
Adesso aveva il volto triste e gli occhi pieni di lacrime
ma era sempre il bel ragazzo dai capelli biondi con gli
occhi chiari e col viso buono, lo stesso del “dott. Faust,
quel diavolo di medico”.
“Mi piacerebbe darti un bacio e trasformarti in un principe ed esprimere un desiderio. Vorrei tanto, più di ogni
altra cosa, che mi riportassi mio fratello.” Poi mi aveva
preso e deposto nell’acqua gelida, aveva dato un ultimo
sguardo all’isola e se n’era andato in silenzio col suo
grande peso di dolore. Non poteva immaginare che per
me sarebbe stata la fine.
Vicino a me la scatola trasparente stava affondando,
dentro, davanti alla foto sorridente c’era un piccolo
ranocchio di metallo con gli occhi di vetro giallo. Troppo
pesante, la sta facendo affondare. Forza EmileZola, ce
la puoi fare, nuota, spingi la scatola verso l’isola, non
farla andare sotto, poi ci pensa Wolfango a tirarti su.
Non mollare, non adesso. Il cuore batteva a singhiozzo e
anche le zampe si muovevano lentamente. Poi più nulla,
solo un grande freddo e un’ombra scura. Andavo a fondo,
mi sembrava di soffocare e sentivo il peso dell’acqua
sopra di me. La piccola scatola trasparente oscillava
e gli occhi gialli del ranocchio brillavano. Avrei voluto
baciarlo e trasformarlo in un principe e poi esprimere un
desiderio. Avrei voluto vedere ancora una volta il sole e
sentirne tutto il suo calore e avrei voluto vederlo insieme
ai miei due amici.
11
eciale
Menzione sp
a foppa”
ll
“Il mistero de
Villa
di Gian Emilio
IL MISTERO DELLA FOPPA
Non c’erano dubbi, non era possibile sbagliare, il commento deciso e sicuro del guardiacaccia aveva chiuso la
questione.
Le sue parole erano state chiare, in tutti gli anni del suo
lavoro non aveva mai visto niente del genere. (…)
I due ragazzini si erano fermati a riposare seduti
all’ombra, sulla panca di legno e avevano iniziato a cercare tra l’erba dei piccoli sassi con l’intenzione di giocare
al tiro a segno e colpire una lattina che galleggiava sul
pelo dell’acqua.
I sassi formavano dei piccoli cerchi intorno alla loro
minuta e colorata preda e ogni tanto un rumore metallico
faceva aumentare il punteggio di uno dei due. Poi come
spesso capita, si finisce per eccedere e al posto del
sasso avevano tirato in acqua una zolla di terreno grossa
come un melone. Il colpo non era andato a segno ma la
lattina si era immediatamente trasformata in un piccolo
vascello in preda alle onde di un’improvvisa tempesta.
“Filma tutto che lo mettiamo su Facebook.”
“Tranquillo lo sto facendo.” Il sorriso compiaciuto sulle
bocche dei due amici si era spento subito.
Qualche cosa di esageratamente grosso che non assomigliava di certo a nessun pesce era emerso dall’acqua
torbida ingoiando la lattina e trascinandosi verso la riva.
Il rumore delle canne spezzate si era sentito chiaramente
poi il silenzio era tornato a essere il padrone del piccolo
stagno.
“L’hai filmato?”
“Sì, tutto.”
“Non mi si vede la faccia quando butto il blocco di
terra?”
“No, stai tranquillo.”
12
“Che cosa era?”
“Non ne ho la più pallida idea, ma tu l’hai visto bene?”
“Certo che l’ho visto e lo possiamo rivedere subito, era
una cosa grossa e verde, ma no so dire cosa fosse e
comunque non era un pesce, per me è un coccodrillo.”
“Sei scemo? Non dirlo neanche per scherzo.”
“No, non sono scemo, non hai mai sentito al telegiornale di quei deficienti che comprano un serpente o un
animale esotico e poi quando diventa grosso, al posto di
portarlo allo zoo lo buttano da qualche parte. A occhio e
croce, per me, era lungo almeno un metro e mezzo anche
se per un coccodrillo è ancora una misura piccola.”
“Che cosa ci fa un coccodrillo in una foppa a Ornago.”
“Che domanda è? Se uno lo butta quando è piccolo, lui
ci vive, si adatta, mangia quello che gli capita e diventa
grosso.”
“In effetti, ha ingoiato la lattina, un pesce non avrebbe
potuto farlo. Dai andiamo a vedere.”
(…)
Con estrema cautela si erano diretti nel punto in cui le
canne erano più fitte e per farsi coraggio parlavano a
voce alta e battevano i bastoni per terra quasi avessero
dovuto scacciare dei serpenti.
Poi l’avevano visto e non avevano avuto più dubbi. Il
primo impulso era stato quello di scappare ma l’idea di
avere una storia incredibile da raccontare agli amici era
più forte della paura che avevano.
“L’ha sbranato, se l’è mangiato vivo, guarda com’è conciato, non è rimasto più niente.”
Era il più piccolo dei due ma in quel momento era quello
che dimostrava maggior coraggio e prendeva le decisioni. Non pensava più al coccodrillo ma a quella cosa
informe che aveva davanti.
“Mamma mia che puzza, deve essere qui da un po’.”
“L’odore lo sento ma cos’è?”
“Mi sembra un cane.”
“Ma figurati, un cane con il muso da maiale. Deve essere
un cinghiale.”
(…)
Poi l’avevano sentito chiaramente, come fosse la tromba
del settimo cavalleria, quasi un suono celeste per annunciare l’arrivo dell’angelo Gabriele in loro soccorso. Un
lungo nitrito, ripetuto più volte e un ben distinto rumore
di zoccoli che battevano il terreno asciutto e poi una
nuvoletta di polvere sul sentiero ad annunciare l’arrivo del
salvatore. Non era un miraggio, era davvero lui, il guardiacaccia in sella al suo fedele baio.
“E’ il guardiacaccia!”
(…)
Si erano rivolti uno sguardo d’intesa, avevano di nuovo
attraversato la strada dirigendosi verso il sentiero sbracciandosi per attirare l’attenzione dell’uomo a cavallo. Le
presentazioni erano state veloci così come il racconto
sintetico ma efficace e alla fine tutti e tre si erano diretti
verso la foppa.
“Non ci sono dubbi, non posso sbagliare, questo è un giovane cinghiale o meglio, quello che ne rimane e dubito
fortemente che una o anche più volpi l’abbiano ridotto
così. Chi l’ha sbranato doveva essere decisamente più
grosso di lui.”
“Per noi è stato un coccodrillo, abbiamo anche un filmato.”
“Ragazzi attenti a quello che dite, non prendetemi in giro
e fatemi vedere questo filmato. Comunque, così a spanne
potrebbero essere stati anche dei cani randagi. Non ne ho
visti in giro in questi giorni, ma potrebbe essere possibile.”
Aveva visto e rivisto il breve filmato sul cellulare, ma il
dubbio rimaneva sempre, non era sicuro di poter affermare con certezza cosa fosse quella cosa che era uscita
dall’acqua per inghiottire una lattina.
Ma se non era un coccodrillo… cosa diavolo era?
“Avrei bisogno di scaricare il filmato sul computer per
analizzare meglio le immagini.” Poi dalla bisaccia di
cuoio attaccata alla sella, aveva recuperato foglio e penna
e scritto il suo indirizzo.
“Aspettatemi a casa mia, faccio qualche foto e fra trenta
minuti vi raggiungo e per adesso non dite niente a nessuno, meglio non allarmare la gente in paese.”
(…)
I ragazzi se ne erano andati con la promessa di non farne
parola con nessuno e gli avevano lasciato i loro numeri
di telefono. Li avrebbe chiamati per far sentire la loro
testimonianza alla municipale o ai carabinieri. Poi aveva
dato inizio al giro di telefonate aprendo, di fatto, la caccia
al coccodrillo.
Nel pomeriggio il Sindaco avrebbe tenuto una riunione
straordinaria, la zona doveva essere circoscritta, transennata e vietata al pubblico e prima di sera sarebbe
stata effettuata una battuta preliminare alla ricerca
dell’animale misterioso.
Nonostante l’iniziale e più assoluto riserbo, qualcuno
aveva parlato e nel pomeriggio era comparso davanti al
comune il furgone di una TV locale.
Erano arrivati i rinforzi: carabinieri, vigili del fuoco e protezione civile, tutti guidati dall’esperto guardiacaccia che
nel frattempo si era documentato guardando al computer
una serie di filmati su come catturare un coccodrillo e
poi insieme erano partiti alla volta della foppa del Santuario.
(…)
Dietro la foppa iniziava il “boscone”, il bosco del Rio Vallone con uno stretto sentiero poco battuto che si apriva
tra le robinie. Sul lato sinistro invece i terreni erano coltivati a grano e scendevano in un leggero declivio per un
buon tratto per poi salire e tornare in piano sul territorio di
Roncello.
Immobile nella cabina della sua mietitrebbia verde e gialla, Romano, conosciuto da tutti come John Deere, osservava incuriosito la lunga e colorata fila di persone che si
stava dirigendo verso il boschetto.
Più di quattrocento metri lo separavano dalla foppa ma
grazie al suo piccolo e potente cannocchiale aveva tutto
sotto controllo.
-Forse è scappato un prigioniero dal carcere di Opera, magari hanno rapinato la Banca Popolare di via Kennedy…A Romano piaceva fantasticare e in quel momento stava
pensando alle ipotesi più disparate anche perché per sua
sfortuna non poteva fare altro.
La sua mietitrebbia, una John Deere americana, che tra
l’altro gli aveva garantito lo stesso nomignolo tra gli
amici, era in panne e lì seduto aspettava con ansia che
il meccanico inviato dall’azienda arrivasse con i pezzi di
ricambio necessari.
Il giorno precedente aveva investito in pieno un giovane
cinghiale che dopo aver attraversato la statale, spaventato
dal rumore del mezzo, non aveva saputo fare altro che
infilarsi sotto la barra falciante per finire incastrato nel
battitore.
Romano aveva faticato non poco a estrarre il corpo dilaniato del povero animale costatando così la rottura di due
barre del convogliatore.
Adesso i problemi erano diventati due, il cinghiale morto
e la macchina rotta e lui non voleva aver niente a che
fare col guardiacaccia. Di problemi ne aveva già abbastanza e così aveva optato per la soluzione più semplice:
affondare il corpo dell’animale nella foppa.
Arrivato a pochi metri dall’acqua, aveva lanciato la
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carcassa calcolando però male la distanza e l’animale
era caduto vicino alla riva nello stesso momento in cui
il pesce siluro era risalito dal fondo fino alla superficie
dell’acqua per inghiottire una lattina che galleggiava. Il
grosso animale non era riuscito nel suo intento ma il
rumore provocato dallo spostamento dell’acqua aveva
convinto Romano d’aver fatto centro.
Un mese prima verso la fine di maggio, Nina, la badante
moldava che curava la mamma di Romano aveva ricevuto
la visita di un fratello che ogni cinque o sei settimane
arrivava in Italia, dalla Romania, con il suo carico di
pesce ancora vivo che metteva poi in vendita davanti alla
fermata della metro a Milano.
Quella domenica gli affari non erano andati molto bene e
l’esemplare più grosso, un pesce siluro, un mostro di un
metro e sessanta era rimasto invenduto e stava morendo.
Era stato John Deere a consigliarli di buttarlo nella foppa
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vicino a casa, gli avrebbe salvato la vita e avrebbe potuto ripescarlo e rivenderlo in un secondo tempo.
E fu così che fece il fratello di Nina salvando la vita al
pesce siluro a scapito delle rane e dei piccoli pesci che
vivevano nella foppa.
Del feroce animale che aveva sbranato il cinghiale, non
si seppe più nulla e così Ornago perse l’occasione di diventare il paese che aveva una foppa con un coccodrillo.
O forse un alligatore?
John Deere non aveva confidato a nessuno il suo segreto
e tutti i giorni quando passava lì davanti, da profondo
amante di tutto ciò che era americano, ripeteva una filastrocca letta in un libro di Stephen King.
“Al primo squillo Coccodrillo… A tutte le ore Alligatore” e
se ne andava poi sorridendo pensando al guardiacaccia.
Speciale
Menzione
“Cicatrici”
ni
na Oggion
di Clementi
CICATRICI
Impronte indelebili
“Io sono vivo fuori dal destino e tu vienimi a trovare, in questo paese da rifare.
Ma domani morirò.
Lo capisco dagli sguardi dei dottori, dal sorriso amaro dell’infermiera.
Ho con me la fotografia delle mie figlie, me l’ha portata mia moglie e ha fatto bene,
così le avrò tutte con me ma non dovranno vedermi: me l’ha messa sul cuscino, mi ha accarezzato il viso.
Alla fine di tutto mi resta un solo desiderio:
che muoiano con me queste memorie di lutto, che chi ha patito la fame, il freddo, la paura, l’oltraggio,
riposi in silenzio, che finisca con me tutto il dolore.
Certo… che razza di destino… andarsene a guerra finita!
Comunque… è venuto tutto il resto, VENGA ANCHE QUESTA.”
Da destra le piccole
Clementina, Adele, Teresa
ed Ernestina con la
mamma Rosa, nella foto
scattata l’11 luglio 1945.
Oggionni Giovanni,
in una foto scattata
dai soldati americani
il 5 maggio 1945
nel campo di Mauthausen.
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Questa è la triste storia di molti giovani italiani che,
come nostro padre, si ribellarono alla dittatura fascista,
dominata da Mussolini, che poi si alleò con Hitler in una
brutta guerra con l’invasione nazista, trascinando tutta la
popolazione a subire violenze e soprusi. E fu così che la
gente, dopo tante umiliazioni, si ribellò e gruppi di molti
valorosi intrapresero la lotta partigiana, con la complicità
di quasi tutta la popolazione, stanchi di essere oppressi
pur tenendosi nell’anonimato, per paura di essere denunciati dai compaesani fascisti.
Per noi cominciò tutto in una brutta notte, precisamente
a mezzanotte, il 27 marzo 1944. Eravamo molto piccole: Ernesta aveva sette anni, Clementina tre, Teresa due,
e Adele aveva solo due mesi. Dormivamo in una sola
camera grande, situata al secondo piano di una casa di
ringhiera in un cortile, con mamma e papà e il nonno
paterno Antonio, facendo parte di un’unica famiglia.
Venimmo svegliate, spaventate, dalle urla di persone
sconosciute e da una luce accecante di una grossa pila,
che illuminava tutta la camera (dato che non avevamo
ancora la luce elettrica, ma solo una lanterna) e questo
già ci mise paura. Erano due carabinieri con fucile in
mano, ma prima che entrassero la mamma disse al papà
di nascondersi nel solaio, ma lui non volle, per paura di
rappresaglie contro di noi. Così loro, entrati, incitarono il
papà a vestirsi e a seguirli, mentre noi, molto spaventate,
continuavamo a piangere, ignare di tutto ciò che stava
succedendo. La mamma, nel frattempo, interrogò i due carabinieri, per sapere dove portassero il papà e il perché lo
stessero facendo, ma loro risposero di chiederlo al marito
perché stavano eseguendo gli ordini dati dal direttore delle acciaierie Falch, dove lavorava il papà. Allora si rivolse
al papà che le spiegò che non aveva fatto nulla di male
e che presto l’avrebbero rilasciato, poi diede un bacio a
noi e ci lasciò, commosso, con la consapevolezza di non
sapere quando ci avrebbe riviste. (…)
Dopo diversi giorni ci arrivarono due cartoline ed una
lettera del papà da Brescia e da Bolzano, in cui scriveva
di trovarsi sul treno con tanti altri ma di non sapere la destinazione. Così continuò la nostra vita, sperando sempre
di rivedere il nostro papà. Vivevamo col nonno che lavorava un pezzo di terra in affitto, dove coltivavamo grano
e mais e anche un orticello, avevamo anche una mucca
che ci dava il latte: tutto questo era la nostra condizione
di vita. Intanto passavano i mesi e noi, chi a scuola e
chi all’asilo, si continuava ad attendere ansiose notizie
che non arrivavano mai. Venne la fine della guerra e
con il 25 aprile, giorno della Liberazione, e con la ritirata
dei nazisti, eravamo convinte che presto sarebbe tornato
anche il papà. Intanto alla radio annunciavano bollettini di
arrivi con treni carichi di deportati scampati dai campi
di sterminio, e così noi eravamo sempre più speranzose.
E fu così che proprio la sera del 9 luglio 1945 venne il
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portinaio dell’ospedale di Vimercate, cercando i familiari
di Oggionni Giovanni. (…)
La mamma disse di essere la moglie e fu così che un
giovane del cortile, vedendo la mamma molto sconvolta
e senza alcun mezzo per andare all’ospedale, si offrì
di portarla sulla canna della sua bicicletta. All’ospedale
trovò nel letto il papà così deperito che non credeva di
riconoscerlo e ne rimase molto turbata, ma si fece forza
e gli si avvicinò: si guardarono tutti e due, commossi,
nascondendo ognuno la propria emozione nel ritrovarsi
dopo così tanto tempo, assaporando con gioia e dolore
le sensazioni del momento che stavano vivendo. Tutti e
due avevano molte cose da dirsi ma fu prima la mamma
a voler sapere cosa gli avevano fatto per ridurlo in quello
stato. (…)
Poco alla volta raccontò: «Inizialmente mi portarono al
carcere di San Vittore a Milano, dove lì trovai tanti compagni di lavoro e rimasi circa un mese. Poi ci portarono
alla stazione centrale di Milano e lì ci imbarcarono su
un treno per bestiame e come tale eravamo trattati: fece
sosta a Brescia, dove ho avuto la possibilità di spedirti
una cartolina e anche a Bolzano ti feci recapitare una
lettera, senza farmi vedere, per annunciarti il tragitto del
treno; ma poi non ho avuto più possibilità di farti avere
notizie. Viaggiammo ammassati a migliaia per più di
dieci giorni, senza possibilità di contatti esterni, e senza
saperne la destinazione. Il treno si fermò in una stazione
a noi sconosciuta, e a malo modo ci fecero scendere e ci trovammo davanti ad uno squadrone di militari
tedeschi, che gridavano in una lingua che non capivamo, con manganelli in mano, e grossi cani al guinzaglio,
che suscitavano in noi tanta paura. E, già sfiniti da un
viaggio così lungo e faticoso, ci incolonnarono per una
strada molto ripida per circa sei chilometri, lungo i quali
molti di noi cadevano a terra sfiniti. Loro con i manganelli
li facevano alzare e, mentre si saliva, davanti a noi, si
profilava un’immensa fortezza situata sulla cima di una
collina. Arrivammo davanti ad un grande portone, dove
c’era appesa un’aquila di ferro con sotto una svastica:
questo fu per noi la consapevolezza di essere prigionieri in un campo di sterminio. Il portone si aprì su di
un enorme piazzale, dove ci lasciarono un giorno ed
una notte esposti alle intemperie, nell’attesa di qualsiasi evento a noi sconosciuto. Al mattino dopo arrivò un
plotone nazista, e sempre con urla ci fecero l’appello e,
a gruppi, ci mandarono alle docce, ci rasarono e poi ci
fecero anche la disinfestazione, con grossi tubi di acqua
fredda e un liquido che ci faceva bruciare tutta la pelle.
Mentre eravamo sul piazzale vedemmo filate di baracche di legno che diventarono i nostri dormitori. Dopo la
disinfestazione ci diedero una divisa a righe, e sul retro
della casacca c’era stampato un triangolo rosso (segno di
deportati politici), e ci misero un braccialetto di latta al
polso, con inciso il proprio numero 63785 (così com’era
anche sul taschino della casacca). Questo sostituiva il
nostro nome. Poi ci misero in quarantena, ammucchiati
in grande baracche, e da lì veniva per natura la selezione secondo la nostra forza di resistenza, per passare
al lavoro oppure subito nelle camere a gas, perché non
ritenuti idonei al lavoro faticoso a cui dovevamo essere
sottoposti. Eravamo al campo di Mauthausen, in Austria, e
lì ci rimasi poco, ma abbastanza per capire molte cose:
ad esempio non si poteva parlare fra noi (anche perché
eravamo di nazionalità diverse). Vedevamo sempre uscire
del fumo da un grosso camino e ci chiedevamo il perché: non era di certo per cucinare. Ma poi ci rendemmo
conto che erano forni crematori, in cui venivano bruciati
coloro che erano in fin di vita e non più in grado di lavorare. E fu così che perdemmo la speranza di uscire dal
campo, se non da quel camino. Più ne bruciavano e più
ne arrivavano di nuovi, e noi, senza farci notare dalle SS,
che erano i nostri aguzzini, ci informavamo di come si
svolgevano i combattimenti nei nostri Paesi. Dormivamo
su letti a castello con assi di legno, senza coperte, quattro
sopra e quattro sotto e a volte, di notte, venivamo buttati
giù dalle brande con grida minacciose, e ci lasciavano
all’aperto per ore, senza saperne il motivo. I maltrattamenti
erano tanti, ma il pensiero di rivedervi mi dava la forza
di resistere all’annullamento della mia persona. Dopo fui
trasferito in un altro campo, Gusen, e successivamente a Wiener Neustad, che dista circa 20 chilometri da
Mauthausen, in cui si producevano armi e si lavorava
oltre 12/15 ore al giorno, malnutriti, solo con brodaglia e
un pezzo di pane nero. Così si arrivava a sera stremati, e
dovevamo subire altre due ore di appello in piedi al gelo,
così come al mattino. Io capivo che il mio fisico cominciava sempre più a deperire. Ho visto tanti di noi morire
(anche i nostri due compaesani arrestati insieme a me),
oppure uccisi solo perché non riuscivano più a stare in
piedi. Verso la fine di marzo si percepiva un movimento
strano in coloro che ci comandavano, e questo scompiglio dava a noi la sensazione che qualche cosa stava per
succedere. Un giorno ci radunarono e, a piedi, ci fecero
rientrare a Mauthausen, e molti di noi, già sfiniti, cadevano a terra morenti, e loro li finivano con raffiche di mitra.
Arrivati sul piazzale dell’appello, ci radunarono con quelli
che già c’erano, e vedevamo un viavai di camionette
con le SS che davano la sensazione di un fuggi fuggi. E
così fu: ci lasciarono soli con i Kapò, anche loro nostri
aguzzini, e questi ci trattavano ancor peggio, perché
avevano in mano il comando. Dopo pochi giorni abbiamo
visto entrare tanti autoblindo americani: era il 5 maggio.
Allora capimmo che erano venuti a liberarci. Alcuni di
noi, anche se stremati, hanno avuto la forza di fermare
i Kapò che conoscevamo (perché stavano prendendo la
fuga), e consegnarli agli americani. Noi esultavamo dalla
gioia di essere sopravvissuti, ma gli americani erano
molto turbati nel vedere in che condizioni eravamo ridotti:
larve umane. Si diedero subito da fare, ispezionarono il
campo, bloccando per primo i forni crematori che ancora
erano in funzione, e fotografarono tutto, anche noi, per
immortalare la situazione e dare testimonianza degli orrori
visti che essi, quasi increduli, dovevano dare visione al
mondo intero. In seguito si ripresero e, molto determinati,
cominciarono a creare ospedali da campo per i più gravi,
diedero sepoltura ai corpi che giacevano ammucchiati
in attesa di essere cremati, e, a poco a poco, la situazione migliorava. Anche io fui ricoverato in ospedale, ma
potevo muovermi e così andai alla ricerca di qualche
mio compagno, e nel susseguirsi dei giorni il cibo non
mancava ma non essendo più abituati a nutrirsi in modo
normale, lo stomaco lo rifiutava, e questo aumentava di
più il peggioramento fisico. Così non potei più muovermi.
Ma nel frattempo, quelli in buone condizioni, li rimpatriavano e anche tanti italiani tornarono a casa, e io ebbi la
sensazione che davano sempre la precedenza ad altri»
[abbiamo poi saputo che il motivo dell’attesa non era la
discriminazione, come pensava il papà, bensì la consapevolezza delle sue gravi condizioni fisiche, che avrebbero
messo a repentaglio il viaggio di ritorno].(…)
Poi propose alla mamma di fare una fotografia tutte insieme, affinché lui ci vedesse senza che noi venissimo
turbate dal suo stato fisico. Così facemmo e il papà fece
appena in tempo a vederla, perché nonostante le premurose cure prestate da molti medici, era improbabile la sua
sopravvivenza e fu così che la mamma lo volle a casa, e
morì nel suo letto il 14 luglio 1945, a soli trentatré anni.
Alla mamma ha consegnato il braccialetto che aveva
al polso, e noi lo conserviamo con la lettera e le due
cartoline, e anche le fotografie (scattate dagli americani
nel campo il giorno in cui li hanno liberati) che ci sono
pervenute da compagni che sono sopravvissuti. (…)
Il funerale fu molto affollato: arrivarono diversi pullman
con compagni di lavoro, e fu molto commovente per tutti,
parenti e conoscenti, e tutto il paese partecipò al nostro
dolore, mentre noi non capivamo il perché ci fosse successo tutto questo.
Passato il momento del grande dolore e dello sconforto,
la nostra vita proseguì con mille difficoltà, ma la mamma
ci ha cresciute in modo dignitoso, così come avrebbe
voluto il papà, e noi le siamo molto grate. Durante la giornata non mancava mai l’occasione di unirci nel ricordo
del papà, e lo sentiamo sempre presente in mezzo a noi,
e ricordiamo con tanta tristezza ciò che lui ha subito e la
sua morte per darci quella libertà tanto desiderata, che gli
è stata negata. (…)
Ed ora noi, senza ripensamenti e senza alcun dubbio dobbiamo, al papà, alla mamma, e a tutti coloro che si sono
impegnati nella Resistenza, onore e gratitudine.
17
Pubblichiamo i giudizi espressi sui racconti
dalla giuria del Concorso Letterario
Primo premio “Il Principe delle foppe”
La giuria, all’unanimità, ritiene di assegnare il primo premio del Concorso Leone Galbiati al racconto “Il Principe delle
foppe”, con la seguente motivazione: il racconto si segnala per originalità e capacità creativa; una favola moderna
si staglia in uno sfondo fiabesco, le Foppe, luogo che condensa già in sé l’immaginario collettivo ornaghese. In
essa fantasia e atmosfera magica si intersecano in un perfetto connubio che coinvolge il lettore, rendendolo parte
integrante del testo. Le rane, care al luogo, vivono la loro microstoria come percorso di formazione. I nomi utilizzati,
infine, (uno su tutti EmileZola) testimoniano la buona vena creativa dell’Autore. Il bacio immaginato e il finale delicato
chiudono degnamente una storia da leggere tutta d’un fiato e da proporre come lettura condivisa, a mo’di cantastorie.
“Il mistero delle foppe” – menzione d’onore
Il racconto “Il mistero della foppa”, da un punto di vista formale, rispetta i canoni del genere: incipit promettente (Non
c’erano dubbi, non era possibile sbagliare, il commento deciso e sicuro del guardacaccia aveva chiuso la questione),
elemento scatenante nitido, sequenze rapide e concitate, punto di massima tensione ritardato ad arte, scioglimento
circolare (tutto parte dal guardiacaccia, tutto torna al guardiacaccia).
Quello che convince, in realtà, è la sottile ironia del contenuto, quasi un sorriso ariostesco del narratore onnisciente
che, con discrezione, muove i suoi personaggi come pedine inconsapevoli. Tutto si gioca, insomma, sul paradosso
e sulla suggestione: il mistero, decisamente intrigante, si scontra con la normalità di un caso brillantemente risolto
con il buon senso. Il sistema delle comparse, stupende nella loro palpabile ostinatezza, ruota vorticosamente intorno
all’apparenza, alla suggestione: solo chi racconta sa come finirà la pseudo commedia.
L’Autore, pur riprendendo un tema caro alla letteratura nordamericana, si segnala per originalità stilistica, capacità
narrative indubbie e, cosa rara, l’idea, almeno così a me pare, di considerare la scrittura un gioco, quindi qualcosa di
indubbiamente serio.
“Cicatrici” – menzione d’onore
Un racconto di una vicenda familiare ambientata in un periodo storico drammatico della nostra Nazione che descrive
e rappresenta, attraverso scorci di vita quotidiana, la realtà che molte famiglie di Ornago hanno vissuto durante la
Seconda guerra mondiale. Tempi duri, fatti di lavoro e di miseria, dove i pericoli e le barbarie di un regime autoritario
hanno sconvolto e segnato per sempre moltissime famiglle.
La descrizione semplice e puntuale della tragica vicenda, legata alla detenzione nel campo di concentramento
tedesco, vissuta il prima persona da un nostro concittadino, ci fa riflettere e ricordare che quegli eventi, troppe
volte narrati come fatti lontani dalla nostra vita quotidiana, hanno coinvolto e interessato l’esistenza di tutti noi,
costringendoci a mantenere vivo il ricordo di quelle persone che, con il loro sacrificio, hanno permesso alle
generazioni successive di poter aspirare a una vita migliore.
18
B
brevi dal
comunale
BREVI DAL COMUNE
SPORTELLI COMUNALI
orari di apertura
lunedì
martedì
mercoledì (open day)
giovedì
venerdì
sabato
8.30 – 12.00
8.30 – 12.00
8.30 – 19.00
8.30 – 12.00
8.30 – 12.00
8.30 – 12.00
L’Assistente Sociale riceve tutti i giorni
previo appuntamento (tel. 039.6286331);
il mercoledì dalle ore 14.00 alle ore 19.00,
accesso libero, senza appuntamento.
FUNZIONE ASSOCIATA POLIZIA LOCALE - TEL. 039. 62863.26/27
COMUNI DI ORNAGO – BURAGO DI MOLGORA
Sede Ornago
lunedì
8.30 – 12.00
mercoledì 14.00 – 19.00
venerdì
8.30 – 12.00
Sede Burago di Molgora
martedì
8.30 – 12.00
giovedì 14.00 – 19.00
sabato
8.30 – 12.00
PIANO DI GOVERNO DEL TERRITORIO – P.G.T.
È iniziata la procedura per la stesura del nuovo documento di piano, strumento che detta le linee strategiche della
pianificazione urbanistica comunale, che andrà a sostituire lo stesso documento, collegato al P.G.T. (Piano di Governo
del Territorio), approvato dal Comune di Ornago nel 2008.
Ogni cinque anni è obbligatorio per ogni amministrazione dotarsi di un nuovo strumento di programmazione
urbanistica che delinei le linee strategiche dello sviluppo del territorio.
I documenti sono consultabili sul sito www.comune.ornago.mb.it
TESSERE ELETTORALI PER ELEZIONI EUROPEE
E COMUNALI DEL 25 MAGGIO 2014
I NUOVI RESIDENTI possono ritirare presso l’Ufficio Elettorale del Comune (Servizi Demografici)
le tessere elettorali, consegnando la tessera in proprio possesso rilasciata dall’ultimo Comune di
residenza, nei seguenti giorni ed orari:
- da lunedì a sabato dalle ore 8.30 alle ore 12.00
- mercoledì dalle ore 8.30 alle ore 19.00 orario continuato.
Per ulteriori informazioni contattare il n. 039 62863.22/29.
DISTRIBUZIONE SACCHETTI PER LA RACCOLTA
DIFFERENZIATA
Nel mese di maggio è prevista la distribuzione gratuita dei sacchetti della spazzatura a tutti i nuclei familiari e alle ditte
in regola con il pagamento della TARES. Giorni e luoghi di consegna verranno comunicati tramite locandine e sito
internet del Comune.
IL NUOVO ISEE 2014
Il cosiddetto “riccometro”, che dal 1998 serve per misurare il reddito delle famiglie italiane che richiedono prestazioni
socio assistenziali e servizi a tariffa agevolata, è stato riformato (DPCM 159/2013); a partire dal 8 giugno 2014 gli uffici
comunali accetteranno solo le attestazioni ISEE (Indicatore Situazione Economica Equivalente) elaborate con il nuovo
sistema di calcolo. Le attestazioni ISEE rilasciate con la vecchia procedura, anche se non scadute, non saranno
considerate valide.
SERVIZIO SEGNALAZIONI/RECLAMI
Continua la possibilità per i cittadini di utilizzare il servizio segnalazioni/reclami, attraverso i seguenti
canali: modulo in carta disponibile presso tutti gli uffici, telefono, fax o mail .
Il progetto, attivato lo scorso anno, ha visto una buona ed attiva partecipazione della cittadinanza:
infatti ad oggi sono pervenute oltre 300 segnalazioni. Scopo del progetto è garantire a chiunque
instauri un rapporto con l’Amministrazione la più ampia partecipazione alla vita della stessa, offrendo
l’opportunità di migliorare i servizi alla luce delle considerazioni provenienti dall’utente, predisponendo
rimedi e azioni correttive o preventive.
cassetta per le segnalazioni presente nell’atrio del Comune
19
n ews dalla
scuola
C.C.R.
Consiglio Comunale dei Ragazzi
Sara Castelli, Alessia Sestino, Lara Melita
Il Consiglio Comunale dei Ragazzi
è presente sul territorio di Ornago
dall’anno 2000. È un’istituzione
voluta da noi ragazzi per avere più
voce all’interno della nostra scuola
e per essere più attivi e responsabili
come cittadini di Ornago.
Il C.R.R. è votato da tutti gli studenti
ed è composto da undici consiglieri
e da un sindaco. Quest’anno il sindaco dei ragazzi è Sara Castelli.
In collaborazione con il C.C.R.
nella nostra scuola è stato istituito
il C.C.R. lab che ha lo scopo di
aiutare il C.C.R. a realizzare le varie
iniziative da esso proposte.
Come già detto in precedenza il
C.C.R. è un progetto scolastico ed è
proprio questo che lo rende particolare e unico nel suo genere.
Quest’anno il C.C.R. ha proposto
molte iniziative:
• lotteria natalizia;
• concorso fotografico e il tema
sarà “il cibo e le emozioni”;
• giornata delle arti
• infine è stata deliberata durante
la seduta del 12 febbraio una
giornata dedicata all’ambiente
e al rispetto del nostro territorio
che si terrà il 16 aprile e coinvolgerà i ragazzi, le ragazze,
i docenti e tutto il personale
della scuola secondaria di
primo grado.
Noi membri del C.C.R. siamo molto
orgogliosi di essere stati eletti dai
nostri compagni e ciò ci motiva e ci
sprona a dare il meglio di noi per
rendere la nostra scuola un luogo
sereno, accogliente e adatto per un
apprendimento proficuo ed efficace.
“ImPARIaSCUOLA”
Alla Scuola Primaria bambine e bambini di quarta riflettono sulla parità dei generi
Alunni ed insegnanti
classi 4A e 4B della scuola primaria
Un argomento strano e particolare,
non facilmente adattabile ad una
progettazione scolastica pensata
per bambini di 9 anni.
Eppure i bambini sanno seguirci
ed entusiasmarsi se il percorso
che proponiamo loro racchiude in
sé elementi di fantasia, gioco e
stupore. All’inizio uno strano gioco,
(che ne facciamo di queste patate?) per arrivare a comprendere un
importante concetto: noi tutti siamo
20
(al contempo), uguali e diversi. Abbiamo proseguito con le riflessioni
di gruppo cercando di capire cosa
è “uguale” o “diverso” nei generi
maschile e femminile.
Quindi gli alunni si sono sfidati nel
gioco a squadre “INDOVINA CHI”,
per associare i personaggi alla loro
professione.
In seguito hanno assistito alla
visione di alcuni spezzoni di film,
intervallati alla narrazione delle vi-
cende, riguardanti storie di persone
che hanno combattuto i pregiudizi
di genere per inseguire il loro sogno
(Billy Elliot – Mulan – La bicicletta
verde – Il mio grande sogno): poi
insieme si è riflettuto sul messaggio
delle storie.
l lavoro è proseguito con le interviste, proposte dai bambini a due
adulti, riguardanti abitudini familiari,
attività professionali, hobby , per
rilevare i comuni modi di pensare ed
n ews dalla
scuola
evidenziare gli stereotipi più diffusi.
Il nostro percorso ha messo in
evidenza che la diversa appartenenza sessuale, non deve precludere l’uguaglianza nella società
rispetto ad opportunità ed attività di
ogni genere: professionali, sociali,
sportive, di studio ecc. A tutti siano
offerte pari possibilità perché siamo
diversi nelle caratteristiche fisiche,
psichiche e culturali ma uguali nella
dignità di persone.
j
Il progetto “ImPARIaSCUOLA” è promosso dalle consigliere provinciali di Milano e
Monza-Brianza. Chi volesse conoscerne i
contenuti e le finalità, può visitare il sito:
www.impariascuola.it.
Per visionare i prodotti realizzati dai nostri
alunni:
www.impariascuola.it/index.php?pag=ris13a
ISCRIZIONI AL “NIDO DEI RANOCCHI”
Confermati anche per il prossimo anno educativo i contributi comunali per abbassare le
rette di frequenza.
Per il prossimo anno educativo (settembre 2014- luglio 2015) ci sono
ancora alcuni posti disponibili al
“nido dei ranocchi”, per bambini da
6 a 36 mesi, dato in gestione, alla
società Baby Fantasy snc. Il nido è
collocato in via Iqbal Masih, dietro
la scuola elementare (vi si a accede
dal parcheggio della biblioteca): è
un ambiente confortevole e luminoso, con una capienza di 10 posti, e
un ampio giardino recintato, dove i
bimbi possono giocare e muoversi
in tutta sicurezza.
Il nido è aperto nel periodo 1 settembre – 31 luglio, tutti i giorni non
festivi dal lunedì al venerdì, dalle
ore 7.30 alle ore 18.00, a eccezione
dei periodi di festività natalizie e
pasquali. È prevista la frequenza
part-time al mattino, con la fruizione del pasto, o al pomeriggio. I
bambini residenti ad Ornago hanno
la priorità di ammissione al servizio
rispetto ai non residenti. Per avere
maggiori informazioni e per presentare le richieste di iscrizione occorre
rivolgersi direttamente alla titolare
del nido, sig.ra Campanile Mariagrazia, attraverso i contatti indicati
nel box presente su questa pagina.
Il nido possiede tutte le autorizzazioni necessarie al funzionamento
e i requisiti previsti dalla normativa
regionale. Il Comune contribuisce
al pagamento delle rette per i bimbi
residenti, sulla base della situazione reddituale delle famiglie di
PART TIME MATTINO
TEMPO PIENO
Reddito del nucleo
appartenenza (calcolata attraverso
lo strumento dell’ISEE), versando
direttamente al gestore una quota
parte delle rette. Pertanto le famiglie
potranno beneficiare di una retta
agevolata se in possesso di un’attestazione ISEE inferiore ai 25.000,00
euro, come indicato nella tabella. Il
costo mensile della retta comprende
anche il pasto che viene preparato
nella cucina della attigua scuola
elementare. Per usufruire della retta
agevolata occorre consegnare in
Comune l’attestazione ISEE: gli
uffici comunali provvederanno a
comunicare alla Società Baby Fantasy la retta da applicare in funzione
dell’indicatore Isee posseduto.
PART TIME POMERIGGIO
quota Famiglia
quota Comune
quota Famiglia
quota Comune
quota Famiglia
quota Comune
1^ Fascia ISEE fino a € 6.000
€. 340,00
€ 260,00
€ 232,00
€ 205,00
€ 200,00
€ 185,00
2^ Fascia ISEE da € 6.001 a € 12.000
€. 390,00
€ 210,00
€ 277,00
€ 160,00
€ 230,00
€ 155,00
3^ fascia ISEE da € 12.001 a € 18.000
€ 430,00
€ 170,00
€ 307,00
€ 130,00
€ 255,00
€ 130,00
4^ Fascia ISEE da € 18.001 a € 25.000
€ 520,00
€ 80,00
€ 372,00
€ 65,00
€ 325,00
€ 60,00
5^ Fascia ISEE oltre € 25.001
€ 600,00
-
€ 437,00
-
€ 385,00
-
familiare (ISEE)
Il nostro nido promuove l’uguaglianza delle opportunità educative per tutti i bambini e bambine nel rispetto delle loro esigenze e vogliamo che l’ambiente nido
sia per loro e per voi un piccolo gruppo familiare. Qui ci prendiamo cura di voi e dei vostri bambini attraverso la cura e l’ascolto.
I vostri bambini potranno sperimentare all’interno del nido diverse attività didattiche, inglese per bambini dai 24 mesi ai 36 e piccoli laboratori didattici per i
vostri bimbi ma anche per voi!
Baby Fantasy S.n.c. di Giardiello Silvana e Campanile Mariagrazia - Via Crocefisso,4-20876 Ornago (MB) - tel. 0396010673 cell. 346.8440330
mail: [email protected] - [email protected] - www.baby-fantasy.it
21
c.A.G.
RUBRICA DEI
ragazzi
centro
aGGREGAZIONE
giovanile
UN ALTRO ANNO INSIEME ALLE PROPOSTE DEL CAG:
DAL FREDDO INVERNO ALLA PROFUMATA PRIMAVERA,
PER UN CENTRO DI AGGREGAZIONE CHE È SEMPRE DI
MODA IN TUTTE LE STAGIONI!!!
Dall’inizio dell’anno nuovo tante nuove proposte rivolte ai
ragazzi e alle loro famiglie, tra cui il pigiama party di San
Valentino e il torneo di calcetto mascherato di carnevale!
Insieme ai fiori della primavera, sbocciano poi altre
imperdibili proposte del CAG per la bella stagione!
Con l’inizio dell’anno sono riprese le attività del
Centro di Aggregazione Giovanile (CAG), servizio
comunale gestito da due educatori professionali
della Cooperativa Aeris di Vimercate, Fabio Presti
e Maddalena Sardi; il centro è rivolto ai ragazzi
delle medie ed è aperto il mercoledì e il venerdì
pomeriggio dalle ore 16.00 alle ore 18:30.
Tanta voglia di stare insieme agli amici, tanta
voglia di divertirsi, di giocare, di condividere e
confrontarsi, e anche di essere protagonisti e
attivi organizzatori del proprio tempo libero. È
nato così uno “staff eventi” del CAG, formato
prevalentemente da ragazzine, che segue
tutte le fasi delle proposte, dall’ideazione alla
sponsorizzazione, dalla creazione dei volantini alla
realizzazione.
È stato proposto un pigiama party da fare in una
data speciale :il 14 febbraio! Il pensiero condiviso
dell’equipe è stato che il giorno di San Valentino
fosse la festa di chiunque innamorato, non solo
di una persona, ma anche di una passione, di un
ideale, di un progetto. Un gruppo di una ventina
di ragazzi si è presentato così in auditorium del
centro sociale, in “tenuta da notte” con pigiama e
ciabatte, accompagnati dai genitori, che in più di
un’occasione hanno fatto richiesta agli educatori
di prolungare l’orario del termine della festa (che
iniziava alle 19:30 e finiva alle 22.30) per potersi
godere, a loro volta, quella serata speciale.
Non è da escludere che si possa organizzare
un altro momento in notturna (cari mamme e
papà cercheremo di venir presto incontro ai
vostri desideri!),considerato il grande successo
dell’attività: pizza insieme, giochi di conoscenza,
canti, balli, sfilate per eleggere il pigiama e le
ciabatte più belle. Tanta partecipazione e tanta
energia le carte vincenti della festa! Al termine
gli educatori hanno regalato a tutti i partecipanti
dei pensieri sull’importanza di voler bene, in
primo luogo a sé stessi e di rispettarsi, facendo
pescare da una scatola dei bigliettini. Ne regaliamo
virtualmente uno anche a voi, una citazione che
vi possa tenere compagnia e vi faccia un po’
partecipare alla nostra bella serata: “Amare sé
stessi è l’inizio di un idillio che dura una vita” –
22
Oscar Wilde.
Un’altra iniziativa del CAG, questa volta sul
territorio, è stata la partecipazione alla festa di
carnevale, sabato 8 marzo, in collaborazione con
l’oratorio e la scuola di danza. Durante la sfilata
del carro è stato organizzato, nell’anfiteatro fuori
dalle palestre, un torneo di calcetto mascherato.
E se “a carnevale ogni scherzo vale” al torneo
del CAG a carnevale ogni goal segnato da una
ragazza vale doppio, .segnato da qualcuno in
maschera vale doppio, segnato da una ragazza in
maschera vale ben 4 punti! Per l’occasione sono
stati chiamati come guest star, due radiocronisti
che hanno collaborato con yradio, la radio web
della Cooperativa Aeris e che ora gestiscono un
portale sportivo sulla rete www.sportincondotta.
it: Nicholas Passoni e Roberto Sabatino.La loro
presenza ha garantito un momento di divertente
radiocronaca e buona musica, che hanno fatto da
colonna sonora alle sfide. Indimenticabile la sfida
Italia-Brasile, tra i nostri ragazzi e un papà con le
due figlie, che ha visto il primo goal segnato dalla
più piccolina vestita da principessa.
Nel torneo meritano una menzione speciale i
ragazzi che non hanno avuto timore nello sfidare
i fortissimi educatori del CAG, anche loro
mascherati per l’occasione: Mattia Stanghellini,
Angelo Pruna, Davide Saronni, Andrea Di Gioia,
Luca Moro e Gabriel Castillo.
Un ringraziamento speciale a loro, a chi ha scelto
di divertirsi con noi e alle altre agenzie educative
con cui si è organizzato l’evento: il CAG è sempre
in campo per lavorare in rete!
E voi?? Siete pronti a divertirvi con noi??
Prestissimo altre iniziative del cag per i ragazzi,
ma non solo. Per il trecentesimo anniversario
del miracolo della fonte stiamo preparando,i
nsieme all’Associazione DelleAli, un laboratorio
teatrale,per fare un tuffo nel passato e rivivere
insieme gli eventi che tanta meraviglia hanno
portato a Ornago. Venite a trovarci per saperne
di più!
Vi aspettiamo durante gli orari di apertura del
centro,il mercoledì e il venerdì dalle 16:00 alle 18:30,nel
locale del centro culturale,in fianco alla biblioteca!
Ci trovate anche su fb [email protected]!
Gli educatori del CAG
maddalena e Fabio
A
associazioni
DAL MONDO DELLE ASSOCIAZIONI
ASSOCIAZIONE
COMMERCIANTI
E ARTIGIANI DI ORNAGO
Il “negozio di vicinato” è un termine
usato dagli addetti ai lavori, ma
una volta tradotto si trasforma
nel classico negozio tradizionale
di quartiere o di paese. Stiamo
parlando dei nostri negozi, spesso
snobbati, che mai come in questi
periodi faticano a far quadrare
il proprio bilancio ma stringono i
denti e tengono duro e continuano
a puntare sulla qualità del servizio
e sulla familiarità con la clientela.
Ai negozi storici con i figli che
percorrono la strada tracciata dai
genitori, si sono affiancate nuove
attività intraprese da giovani pieni
di speranze e di ambizioni e tutti
insieme pronti a soddisfare le
richieste di tutti i clienti.
Nel 2011 è nata l’Associazione
dei Commercianti e degli Artigiani
di Ornago, alla quale ha aderito il
novanta per cento dei negozianti
e da subito si è attivata per
proporre iniziative ed eventi rivolti
a tutto il pubblico ornaghese. Si
ricorderanno tutti gli abitanti degli
alberi di Natale all’esterno dei
negozi, dello scambio degli auguri
in piazza, delle luminarie agli
ingressi del paese e ancora delle
due edizioni dell’Ornago Festival e
della particolare Caccia al Tesoro
in bicicletta. La presenza alla
giornata delle associazioni, nel
mese di ottobre, con il “Giardino
dei Bambini” completa il quadro di
quanto fatto in questi anni.
Il nostro augurio è che anche
il 2014, nella seconda parte
dell’anno, ci veda protagonisti
con le nuove proposte; le idee
ci sono, la volontà pure, anche
se spesso questi due elementi
da soli, purtroppo, non bastano.
A ottobre saremo presenti
come ogni anno alla giornata
delle associazioni e quella sarà
l’occasione per presentare “Filotto”
un gioco itinerante a premi che
coinvolgerà tutti i negozi del paese.
Un divertente quiz “Sfotografico”
che permetterà di vincere un
sostanzioso premio in denaro (buoni
acquisto) cercando e trovando in
ogni negozio quel tassello mancate
che servirà a comporre il quadro
finale. Il giorno undici maggio,
in occasione della ricorrenza del
300° anno del miracolo che ha
dato origine al nostro Santuario,
avremo il piacere di invitarvi al
rinfresco che organizzeremo
al termine di uno spettacolo
organizzato dall’Amministrazione
Comunale in collaborazione con
l’associazione culturale delleAli e la
Filodrammatica di Ornago.
Un illustre personaggio del passato
è sepolto al Santuario, nella
tomba di famiglia: è Pietro Verri,
illuminista e scrittore. Nella sua
“Storia di Milano” ha raccontato
di risotto e panettone e anche
per questo ci farebbe piacere
ricordarlo con un’iniziativa
enogastronomica: inserire nelle
proposte culinarie dei ristoranti di
Ornago un menù speciale, un menù
del 1700 che possa, per la sua
particolarità, solleticare l’interesse
di tutti gli amanti del buon cibo.
Sempre in relazione al cibo ci stiamo
attivando per organizzare, domenica
22 giugno, un mercatino che
vedrà protagonisti i commercianti
di Ornago e altri produttori locali
e ci auguriamo di tutto cuore
di riuscire nel nostro intento.
Ecco, tutto questo fa parte
dell’Associazione Commercianti e
Artigiani di Ornago, in poche parole,
Noi per Voi e ci auguriamo di cuore
“Voi per Noi” e ultimo ma non meno
importante non dimentichiamoci
della nostra pagina Facebook, dove
potete trovare offerte, promozioni,
corsi e novità.
Vi invitiamo a farci un giro
regalandoci il tuo “mi piace” e
perché no, condividendo le nostre
idee.Se vuoi avere informazioni,
di qualsiasi genere, non esitare a
contattarci:
[email protected].
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