SILENZIO IN AULA

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SILENZIO IN AULA
Passando mediamente quattro ore al giorno nella aule scolastiche, per via del mio lavoro, non
potevo fare a meno di notare le pareti piene di scritte, disegni, figure incollate. Sulle prime ho
pensato come tutti: ma guarda che vandali! Poi ho cominciato a provare curiosità e, quando
possibile, ho visitato anche altre aule, corridoi, ballatoi, fino ai bagni. Sguardo dopo sguardo, mi
son detto che quei segni dovevano avere un altro significato, o forse più d'uno, sicché ho pensato
di avviare una ricerca per tentare di comprendere il rapporto tra studenti e scuola, intesa sia come
luogo fisico, sia come istituzione deputata all'istruzione.
In questa ricerca non vi è alcuna intenzione giudicante. Esprimersi sul modo in cui gli studenti
stanno a scuola e la vivono diventa difficile per un adulto che riveste un ruolo all’interno di una
istituzione. Il rischio è che ogni giudizio sia viziato dalle implicazioni che la professione docente
porta con sé. L’obiettivo dell’indagine sta piuttosto nel tentare di decifrare, senza pre-giudizi né
precomprensioni, questo corpus di segni per pervenire dal significante al significato del vivere il
luogo. Operazione non facile, ma alcune ipotesi sono percorribili sia dall’autore, sia dal pubblico.
Per chi è abituato a sperimentare la quotidianità sonora - a volte chiassosa - della scuola, aggirarsi
in silenzio per le aule permette di concentrarsi sui messaggi che provengono da altri canali di
comunicazione. In questo caso i segni, nel senso stretto del termine, sono amplificati dal silenzio e
soprattutto dall'assenza degli studenti. Un'assenza, però, che rende assai manifesta e viva la loro
presenza tra quei banchi e che dà l'idea di come quelle tracce sembrino avere quasi la funzione di
marcare il territorio, come accade nel regno animale (l'uomo, del resto, lo è!). Ecco che i luoghi
della scuola appaiono "personalizzati" come la cameretta di un teenager, dove sono appesi poster,
figurine, gagliardetti, messaggi che significano: Questo è il nostro territorio! Ma, al di là di ogni
forma di contrassegno, si leggono i pensieri più svariati che riguardano gli atteggiamenti verso la
scuola e gli insegnanti, la condizione degli adolescenti, le relazioni tra di essi, le loro passioni e gli
interessi. Una notevole quantità di materiale che si propone alla lettura.
La scelta dei punti di vista è spesso quella degli studenti: dai banchi verso la cattedra, o verso i lati,
le finestre. Perché? Si dice che per comprendere gli altri ci si debba mettere nei loro panni, si
debba assumere il loro punto di vista. In questo caso è un tentativo difficoltoso per la mia duplice
veste di adulto e di docente, sebbene nel secondo ruolo sia implicita, invece, la capacità di
comprendere l'altro. In questa decisione c’è anche l’idea che la mia presenza non dovesse essere
invasiva, investigante, correlata al ruolo istituzionale; tentando di fotografare come se fossi uno di
loro mi sembrava di entrare con discrezione e rispetto nelle aule vuote, senza il dominio
dell’autorità.
Oggi le fotografie di questa ricerca sono l’unica testimonianza di quei segni. Le pareti sono state
ripitturate.
Emanuele Franco, autore
Questo portfolio, studio-ricerca di taglio sociologico, realizzato col linguaggio dell’arte fotografica,
permette di esplorare l’universo della scuola per capire, attraverso l’analisi dei comportamenti di
chi vi opera, e dei messaggi che tali comportamenti ispirano, le diverse dimensioni in cui si articola
il mondo stesso della scuola. Non solo. Il book dà l’opportunità di leggere a fondo e nel dettaglio,
l’interno della struttura Aula, il percorso comportamentale, relazionale ed evolutivo dei diversi
processi formativi che vi maturano, talvolta comprensibili talaltra meno. Sempre comunque
importanti e complessi.
Siamo a scuola, all’interno di una classe, nella quale un docente-fotografo, quello di “Lettere”, nei
momenti in cui la classe è assente, fotografa, indaga, legge iconicamente, interpreta attraverso il
mirino della sua macchina fotografica, il proprio spazio di lavoro, il proprio mondo scolastico, la
propria dimensione e quella dei suoi allievi. Egli indaga l’Aula “vuota”, in silenzio, con rigore,
ispirato dalla propria sensibilità e favorito dal fatto di essere docente. Indagare l’Aula, significa
indagare l’unità simbolo in termini spaziali, da cui partono e si formano i primi approdi relazionali di
ognuno di noi. L’Aula è un contesto estremamente articolato. E questa lo è in modo particolare.
Emanuele Franco fotografo, dimostra con questi scatti, una buona capacità di sintesi, di saper
mettere il giusto distacco tra l’uomo fotografo e l’uomo docente rispetto all’ambiente e alle
atmosfere che lo caratterizzano.
L’autore cattura letture, consapevolezze, valenze e frammenti di vita giovanile che colloca in una
trama di percezioni, sensazioni e riflessioni coniugate in una tessitura iconica equilibrata e
pregevole. Forme geometriche ispirate, colorismi riflessi e sfumati dal tempo e dalla noia, segni
indecifrabili senza logica, almeno in apparenza, puntualizzazioni tipiche dei giovani, riflessioni
spontanee, audaci, ambigue, diversi messaggi, alcuni profondi, altri insignificanti, frammenti e
tratteggi di contemporaneità, proiezioni improbabili, un universo silenzioso dell’interno di una
scuola nella sua autenticità espressiva e nella sua attenzione alla condivisione, alla relazione, alla
socializzazione. Un vero e proprio mosaico di percezioni, una trama straordinaria di approdi
relazionali le cui valenze espressive s’intrecciano tra di loro e disegnano un profilo stilistico di
qualità. Uno spaccato della nostra società e della nostra contemporaneità con una forte
connotazione sociale. Una “Classe” è la prima pietra di una importante costruzione. Un segmento
della nostra scuola, significativo, certo non sufficientemente rappresentativo. Ottimo l’impianto
compositivo del lavoro, di grande equilibrio strutturale la scelta dei segni, dei simboli, delle
annotazioni, delle frasi, dei doppi sensi. È un linguaggio antico e moderno, attuale e superato,
semplice e complesso, in alcuni momenti vibrante e stimolante. Emanuele Franco ha dato visibilità
a tutti.
Fausto Raschiatore, giornalista e critico
Relativamente ad un luogo particolarmente evocativo, spesso si soliti dire: "se i muri potessero
parlare!". Eppure qui i muri parlano. Come è possibile che questo sia avvenuto, senza l'utilizzo di
una tecnologia capace di intercettare e riprodurre le flebili vibrazioni murarie provocate dall'impatto
delle voci di un gruppo classe?! E come è possibile che questo parlare fatto di segni sull'intonaco
sia così necessario, nell'epoca della trionfante disponibilità di messaggi digitalizzati e social
networks?! Cosa c'è di così urgente da far parlare i muri? Amore, sesso, erba da fumare, politica,
scuola, … c'è di tutto, in modo disordinato e caotico. Senza alcuna pianificazione o intento
decorativo ma seguendo probabilmente logiche altre, date dalla necessità o opportunità del
momento. Di certo l'uomo scrive sulle pareti del suo vivere da tempo, ma questi segni non ci
lasciano l'incanto delle scene di caccia delle grotte di Lascaux né la bellezza dei dipinti della danza
libera delle donne di Jabbaren. Probabilmente non perdureranno nel tempo, così come
l'adolescenza non è che un meraviglioso battito d'ali nel volo della vita. In questo spazio istituito
dell'istruzione, ove la galera inizia "il 13 settembre ... e l'ora d'aria il 12 luglio...", un insegnante
sensibile si muove nei momenti dell'assenza e diventa un testimone capace di operare un primo
lavoro simbolico su queste tracce di vita. Attraverso l'inquadratura le ricompone, le arricchisce di
nuovi significati, le riordina, e valorizzandole, consente di non liquidarle come inutile
imbrattamento.
Le sue inquadrature diventano finestre attraverso le quali noi stessi possiamo vedere e cercare
quei significati che ad uno sguardo frettoloso, o ad una visione irritata da cotanta mancanza di
rispetto per la cosa pubblica, immancabilmente sfuggono. In questo edificio, che potrebbe essere
scuola, carcere, caserma, ospedale o manicomio, l'istituzione sembra solo ospitare e tenere
dentro delle vite, le quali, vivendo d'altro, lo esprimono sui muri.
La scuola ci appare allora come un mostro disadorno, persino abbandonato; ricorda il deserto dei
detriti manicomiali dopo la grande evacuazione che in molti abbiamo percorso in lungo ed in largo
per restituirli un ultimo amorevole commiato. Qui, senza però accompagnamento alcuno, qualcosa
sembra definitivamente uscito; potremmo dire purtroppo evacuato, tante sono le scariche del
grafismo giovanile, che questo insegnante sembra desiderare raccogliere come un dono da
valorizzare. Dove sono il valore e la funzione simbolica della scuola? Sorpresi nel constatare che
nessuna "legge" sia capace di impedire tale '"imbrattamento", comprendiamo che siamo lontani dal
conflitto generazionale che ha caratterizzato il passato di molte adolescenze. Qui non c'è un solido
interlocutore cui anteporre la propria visione. Notiamo piuttosto il palesarsi di un'assenza ed è a
partire da essa che avviene una sorta di ribaltamento nell'uso della parola. Infatti essa non gioca
più esclusivamente dentro la cornice della lavagna, campo della comunicazione e della
condivisione collettiva del sapere scolastico. La scrittura esce dai confini della lavagna, addirittura
danza sulla sua cornice, per poi espandersi e dilatarsi altrove, per parlarci di un quid che, come si
è detto, vive dentro la scuola ma sembra non appartenergli In questo ribaltamento sono gli alunni
che a modo loro valorizzano la parola; inscrivono i loro segni su questa scuola che resiste
riducendosi a cosa; la pungolano di giorno in giorno ed essa tace, silenziosamente incapace di
comprendere e trasformarsi.
Emanuele Franco ne è cosciente. Fa il suo viaggio dentro il mostro anonimo; inquadra in modo
dialettico, ricomponendo lo scheletro ed i resti della civiltà scolastica con i segni dei suoi alunni.
Dinnanzi ad essi come di fronte ad una nuova enunciazione ci fa innanzitutto comprendere che: "la
classe è autorizzata a parlare....". E' la posizione base per riprendere il dialogo e la funzione
educativa cui questo insegnante-fotografo non ha rinunciato. Raccoglie dettagli a cui, così
riproposti, non riusciamo a sottrarci. La tastiera di un computer attaccata al muro, è una
performance artistica di difficile interpretazione ma sembra sottolineare la necessità di scrivere e
comunicare a un interlocutore che, di fronte a tanta ridondanza, non scambi questo segno per una
ragazzata, ma colga la richiesta di un dialogo assolutamente nuovo, vero e profondo affinché la
scuola e gli adulti incarnino il ruolo per guidare il desiderio giovanile di crescita autentica. Per
poterlo fare dovranno essi stessi evolvere, evitare di colmare il vuoto con la retorica o ancor peggio
con la delusione, danzare verso un sapere che ampli i suoi confini precostituiti, affinché la vita
scolastica sia vita vera e la conoscenza la faccia fiorire.
E come scrivono gli alunni: "In God we trust".
Mauro Battiston, psicologo e fotografo