CAP. 18 - chirurgia della mano

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CAP. 18 - chirurgia della mano
CAPITOLO
18
Fratture dei metacarpi
F. FANFANI, F. CATALANO, G. TACCARDO
INTRODUZIONE
Le fratture dei metacarpi rappresentano il 25% di tutte le
fratture della mano, assumendo pertanto una rilevanza socio-economica in relazione al numero delle giornate lavoro perse. Tale considerazione ha portato nel tempo alla
estensione della indicazione chirurgica nel tentativo di assicurare una più rapida ripresa dell’attività lavorativa.
Circa l’85% delle fratture si avvale, comunque, di un
trattamento incruento; qualora si ponga indicazione chirurgica, l’osteosintesi deve essere stabile e tale da consentire una precoce mobilizzazione attiva.
Riguardo al trattamento chirurgico molte sono le tecniche e i materiali di osteosintesi utilizzati in letteratura.
I fili di Kirschner39,49 sono ancora il mezzo di sintesi
più utilizzato, introdotti solitamente per via percutanea e
più raramente attraverso un accesso diretto attraverso il
focolaio di frattura17,3,26,27,12. Robertson41, Clifford8, Nemethi38 e Lister31 hanno utilizzato i fili di Kirschner introdotti attraverso una via di accesso diretta al focolaio
unitamente ad un cerchiaggio con fili metallici. Kilbourne28 fu il primo ad utilizzare le viti per stabilizzare i piccoli frammenti. Il gruppo AO con Simoneta43 e HeimPfeffer18 mise a punto uno specifico strumentario per la
chirurgia della mano ed introdussero l’uso delle placche
a compressione nell’osteosintesi dei metacarpi. Parallelamente, Evrard11 propose una sintesi endo-midollare,
metodica che Foucher13 adottò per trattare i reimpianti
digitali e le fratture complesse e modificò introducendo
l’uso del cemento. Ikuta20 e successivamante Michon34
descrissero ed utilizzarono microbulloni di 1 mm di diametro destinati al trattamento delle fratture articolari.
Più recentemente Merle e Ph. Voche hanno proposto
l’uso di chiodi endomidollari in acido polilattico totalmente riassorbibili.
La ricerca di molti autori9,14,15 è stata comunemente
rivolta prevalentemente alla miniaturizzazione dei mezzi di sintesi.
Di più rara indicazione sono i fissatori esterni42,1,10.
FRATTURE DEI METACARPI DELLE DITA LUNGHE
Classificazione
Distingueremo in base alla topografia: fratture della testa,
fratture del collo, fratture diafisarie, fratture della base.
Queste fratture interessano la zona posta distalmente all’inserzione dei legamenti collaterali dell’articolazione
metacarpo-falangea.
Dobyns e McElfresh32 distinguono:
• in rapporto alla sede della lesione: (1) fratture epifisarie; (2) fratture da avulsione del legamento collaterale;
(3) fratture osteocondrali;
• in rapporto al decorso della rima di frattura: (1) fratture della testa oblique, verticali ed orizzontali; (2) fratture comminute; (3) fratture intra-articolari con infossamento; (4) fratture con perdita di sostanza ossea.
Queste fratture sono per lo più secondarie a traumi
diretti e presentano, il più delle volte, un’importante
comminuzione, quasi sempre talmente elevata da rendere
difficoltosa o impossibile la ricostruzione anatomica: in
questi casi è preferibile privilegiare il movimento precoce tutorizzando adeguatamente il raggio digitale, data la
presenza dei robusti legamenti collaterali che insieme all’apparato capsulare assicurano una sufficiente stabilità
dell’articolazione. In tali fratture, se comminute, trova
indicazione l’impianto protesico nel primo trattamento o
secondariamente.
L’indicazione al trattamento chirurgico di riduzione
ed osteosintesi è riservata alle fratture con rima obliqua
o verticale con rilevante perdita della congruità articolare in cui vi sia la presenza di un grosso frammento. È
preferibile effettuare la sintesi a cielo chiuso o con fili di
Kirschner o con microviti, in quanto l’apertura del focolaio espone sempre al pericolo di una necrosi avascolare
dei frammenti. Solo in alcuni casi, in cui il frammento
epifisario è molto grande trova indicazione
l’osteosintesi endomidollare (Fig. 18-1).
Fratture della testa
Sono fratture molto frequenti, solitamente secondarie a
trauma diretto. La forma del metacarpo, la direzione delle
forze e l’azione dei muscoli interossei comportano un’angolazione volare; i muscoli interossei sono responsabili,
inoltre, di una rotazione del frammento evidenziabile clinicamente, a dita flesse, con una sovrapposizione del raggio fratturato con quello vicino (in particolare, secondo
Merle, per il II e III vi è una tendenza alla rotazione cubitale, mentre per il IV e d il V alla rotazione radiale).
L’entità dello spostamento angolare, in rapporto al metacarpo coinvolto, condiziona la necessità o meno di una riFratture del collo
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A
SEZIONE II - Patologia traumatica e post-traumatica
B
Fig. 18-1. Frattura della testa. A, Pre-operatorio. B, A 15 giorni. C, A 50 giorni.
duzione: infatti, per il IV ed il V metacarpo, più frequentemente coinvolti, data la mobilità elevata della loro articolazione carpo-metacarpale, si possono accettare angolazioni residue anche considerevoli senza che si produca
una compromissione della funzione della mano. A questo
proposito, dall’esame della letteratura, si rileva che possono essere accettati valori angolari per le fratture del IV
e del V raggio che variano da 20° a 70°19,4, mentre, per
quanto riguarda il II e III metacarpo, non sono tollerati
spostamenti maggiori di 10-15°44. Nei casi che presentino
spostamenti superiori ai valori indicati, è necessaria la riduzione e la sintesi della frattura. La presenza di una rotazione o uno spostamento laterale rendono ugualmente indispensabile la riduzione.
Il trattamento incruento prevede la riduzione della
frattura in anestesia locale con immobilizzazione in apparecchio gessato per 30 giorni. La riduzione si ottiene
flettendo a 90° la metacarpo-falangea in maniera tale che
la base della falange prossimale eserciti una pressione in
senso dorsale mentre una contropressione viene esercitata dalla mano dell’operatore sull’apice della deformità
angolare. La flessione della falange prossimale aiuta a
C
prevenire i difetti di rotazione. Al fine di prevenire la rigidità, è necessario procedere all’immobilizzazione ponendo le articolazioni metacarpo-falangee in flessione da
60° a 90°: in questo modo si detendono i muscoli interossei consentendo alla falange prossimale di esercitare
un costante effetto di leva sulla testa del metacarpo e, ponendo in tensione i legamenti collaterali, si previene la rigidità dell’articolazione alla rimozione dell’apparecchio
gessato. Qualora le manovre di riduzione non forniscano
un’accettabile correzione della rotazione e dell’angolazione è indicato il trattamento chirurgico. Le tecniche di
osteosintesi utilizzabili sono numerose: dalla ligamentotassi, alla fissazione endomidollare fascicolata con fili di
Kirshner di piccole dimensioni, all’osteosintesi percutanea endomidollare con uno o due fili di maggior diametro; a tale proposito, ci sembra assolutamente da proscrivere l’inchiodamento endomidollare retrogrado partendo
dalla testa del metacarpo40 in quanto danneggiando la
cartilagine articolare è causa essa stessa di rigidità articolare. Gli autori adottano l’inchiodamento endomidollare
anterogrado (prossimo-distale) per via percutanea (Fig.
18-2) come descritto successivamente.
18 – Fratture dei metacarpi
Fratture diafisarie (Fig. 18-3)
Sono solitamente prodotte da traumi e forze longitudinali
in compressione e torsione e più raramente da traumi diretti. I traumi da schiacciamento sono responsabili di fratture
comminute e coinvolgono solitamente più metacarpi. I
traumi indiretti agiscono solitamente esagerando la normale curvatura dell’osso, o talvolta con una rotazione assiale
forzata oppure con entrambi i meccanismi. Nei casi di un
trauma diretto sono associate contemporaneamente lesioni
delle parti molli che complicano la scelta del trattamento.
Vi sono condizioni anatomiche particolari che condizionano l’evoluzione ed il decorso di queste fratture nonché la scelta della strategia terapeutica. Distalmente i quattro metacarpi sono uniti dai legamenti intermetacarpali
A
B
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profondi che impediscono un importante accorciamento.
Prossimalmente i metacarpi sono intimamente connessi dai
legamenti intermetacarpali volari e dorsali e dai legamenti
interossei; il secondo metacarpo si articola con il trapezio
ed il trapezoide ed il terzo con il capitato con un’articolarità
estremamente ridotta. Il quarto e quinto metacarpo si articolano con l’uncinato e godono di una maggiore mobilità.
La presenza dei muscoli interossei33 condiziona altresì lo
spostamento, in quanto essi provocano la flessione del
frammento distale data la loro inserzione sulla falange
prossimale con conseguente angolazione dorsale.
In base al decorso della rima di frattura possiamo distinguere: fratture trasversali, oblique lunghe e corte, spiroidi, e fratture comminute.
C
Fig. 18-2. Frattura del collo. A, Pre-operatorio, post-operatorio. B, Prima giornata. C, A 35 giorni.
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SEZIONE II - Patologia traumatica e post-traumatica
B
Fig. 18-3. Frattura diafisaria. A, Pre-operatorio. B, A 7 giorni. C, A 35 giorni.
Da un punto di vista funzionale e biomeccanico, gli
elementi che influenzano maggiormente il risultato finale
sono: (1) l’angolazione dei frammenti. È più frequente
nelle fratture trasversali e comporta due effetti indesiderati: da una parte la testa del metacarpo protrude nel palmo
ostacolando la presa e dall’altra provoca per sbilanciamento tendineo un’alterazione dell’articolarità della metacarpo-falangea con comparsa di una deformità secondaria “ad
artiglio” durante l’apertura della mano; (2) la rotazione dei
frammenti che provoca un overlapping durante la chiusura
della mano; poco importante risulta invece essere (3)
l’accorciamento di un singolo metacarpo; (4) la molteplicità delle fratture; (5) la perdita di sostanza ossea che si
può rilevare nelle fratture esposte.
TRATTAMENTO INCRUENTO: la riduzione a cielo chiuso e
l’immobilizzazione in apparecchio gessato è applicabile
nella maggior parte delle fratture diafisarie e, in accordo
con Borgheskov6 e James23,24, riteniamo che debba essere
evitato un “overtreatment” in quanto moltissime fratture
metacarpali sono stabili e possono essere trattate con una
ridotta immobilizzazione23,24. A tale proposito è nota la
stretta relazione tra il tempo di immobilizzazione e le rigidità articolari secondarie: la maggior parte degli Autori di
scuola anglosassone mantiene una immobilizzazione che
non superi i 20 giorni ed addirittura alcuni Autori (Flatt,
C
1972) confezionano un apparecchio gessato lasciando le
dita libere. Solitamente, comunque, si esegue immobilizzazione in apparecchio gessato con metacarpo-falangee
flesse a 45°-60° per circa 30 giorni.
TRATTAMENTO CRUENTO: è indicato quando vi siano
condizioni di instabilità o difficoltà di mantenimento della
riduzione con apparecchio gessato.
Riguardo alle tecniche utilizzate citiamo la tecnica di
ligamentotassi secondo Bosworth ripresa da Lamb29 indicata essenzialmente nelle fratture isolate comminute dei
metacarpi periferici dove la loro realizzazione è più facile.
Tale tecnica prevede l’infissione di due fili di Kirschner
trasversali, grossolanamente paralleli, l’uno prossimale e
l’altro distale alla rima di frattura infiggendo dapprima il
segmento fratturato quindi quello adiacente sano: questa
tecnica mantiene però una diastasi tra i monconi di frattura favorendo così ritardi di consolidazione e pseudoartrosi.
Di più recente descrizione è la tecnica di inchiodamento endomidollare attraverso la testa del metacarpo40 in
cui il filo di Kirschner introdotto dalla testa del metacarpo
viene fatto emergere alla base del metacarpo tenendo il
polso in flessione, e quindi retratto fino nella testa del metacarpo stesso; la parte prossimale viene tagliata alla sua
emergenza sul piano cutaneo. Questa tecnica è stata poi ripresa da Clifford8 e Lipscomb30. Vi sono state numerose
18 – Fratture dei metacarpi
critiche verso questo tipo di infibulo endomidollare in
quanto non riuscirebbe a controllare efficacemente le rotazioni e inoltre può essere causa di danno dell’apparato
estensore a livello dell’articolazione metacarpo-falangea.
Alcuni Autori utilizzano una trazione trans-scheletrica per
mantenere la correzione dopo le manovre di riduzione:
Blount5 e Workmann52 utilizzano una skin-traction, altri37
una trazione attraverso l’unghia ed il polpastrello, altri35
ancora attraverso la base della falange prossimale; Swanson46 ha ripreso la tecnica di Boheler inserendo un chiodo
attraverso la falange ungueale. Riteniamo che queste metodiche siano da proscrivere in quanto conducono inevitabilmente ad una rigidità anche di molto maggiore di quella conseguente alla semplice applicazione di un apparecchio gessato. Non rare infine le necrosi cutanee volari del
raggio digitale da decubito.
Altra metodica abbastanza comune è rappresentata dalla sintesi mediante placche secondo le tecniche AO, placche
che possono essere sezionabili e modellabili. Questa tecnica, malgrado l’apparente facilità, presenta problematiche legate innanzitutto alla necessità di una vasta esposizione e
scollamento del mantello periosteo. Malgrado il buon risultato radiografico ottenibile e la buona stabilità della sintesi,
riconosce universalmente i suoi limiti nelle aderenze a carico dell’apparato estensore; da non sottovalutare sono, infine, problemi di copertura cutanea dato l’ingombro del mezzo di sintesi ed il rischio di pseudoartrosi secondo quanto
universalmente riconosciuto riguardo alle tecniche che prevedono ampia esposizione del focolaio.
L’osteosintesi con viti trova indicazione solo nelle
fratture oblique lunghe o spiroidi lunghe che possono essere sintetizzate con due o più microviti. Una sola microvite non è sufficiente a neutralizzare le forze di taglio
agenti sul metacarpo. Comunemente si utilizzano viti da
corticale autofilettanti da 1,2 mm o da 1,5 mm.
È stato più recentemente proposto l’uso di grossi
chiodi endomidollari associati all’uso del cemento acrilico; tale metodica riteniamo sia troppo invasiva ed
espone alle complicanze legate all’uso del cemento; un
certo interesse questa metodica può avere usando chiodi
di biomateriali riassorbibili ad alta resistenza meccanica
(acido polilattico).
Di rarissima applicazione è infine l’utilizzo dei fissatori esterni da riservare comunque a gravi fratture
complesse ed esposte con perdita di sostanza ossea e cutanea. Fu Crockett9, nel 1974, a suggerire l’uso della fissazione esterna nel quale i fili di Kirschner posti trasversalmente venivano solidarizzati artigianalmente tra di
loro tramite cemento acrilico. Scott e Mulligan e la
scuola di Vilain ne limitarono, in seguito, l’applicazione
ai soli traumi complessi della mano. Ma già Allieu1, nel
1973, miniaturizzò il fissatore di Hoffmann adattandolo
alla mano e raccomandandone il montaggio a quadrato
semplice con fili transfissi frontalmente nel primo raggio e con fili metallici dorsali obliqui solidarizzati da
piccole barre di accoppiamento nelle dita lunghe al fin di
preservarne l’articolarità. L’impiego del mini-fissatore
305
di Hoffmann, sebbene coniughi in modo soddisfacente
la stabilità e possibilità di mobilizzazione, risulta di
montaggio delicato specie quando bisogna infiggere le
fiches nei piccoli frammenti juxta-articolari.
Maggiore duttilità presenta il minifissatore ad anelli,
da noi ideato, che riprende i concetti biomeccanico ed il
disegno proposti da Ilizarov adattandolo alla mano (Catalano, Fanfani, Taccardo, 1986).
Dopo questo excursus storico per il trattamento chirurgico delle fratture metacarpali, riteniamo, nella nostra
esperienza, che i fini da perseguire nel trattamento siano:
la riduzione della frattura, la stabilità della sintesi, una mobilizzazione attiva precoce, il rispetto della biologia del
callo osseo evitando l’esposizione del focolaio di frattura.
Le tecniche di osteosintesi proposte prevedono, solitamente, l’apertura del focolaio di frattura il che comporta spesso ritardi di consolidazione e, non raramente,
rigidità. Per questo motivo gli autori hanno messo a punto ed utilizzano una tecnica a cielo chiuso di osteosintesi endomidollare dei metacarpi in senso prossimo-distale che, utilizzata su tutti i tipi di frattura, ha garantito una
sintesi stabile e consentito una mobilizzazione attiva immediata. La riduzione viene sempre ottenuta a cielo
chiuso in quanto la riduzione a cielo aperto altererebbe
le superfici di scorrimento dell’apparato estensore ed
esporrebbe alla pseudoartrosi.
La tecnica prevede l’utilizzo di un apposito strumentario (Fig. 18-4) essenzialmente composto da un perforatore cannulato che una volta posizionato, permette lo
scivolamento di un filo di Kirschner del diametro di 1,5
mm a punta smussa fino al superamento del focolaio di
frattura. Generalmente si utilizzano fili del diametro di
1,5 mm, ma altrettanto valido è l’utilizzo di fili di diametro maggiore fino a 2 mm.
La scelta del tipo di filo da utilizzare è in relazione al
diametro del canale midollare ed al morfotipo della frattura. Nel punto di introduzione i fili vengono ripiegati ad
angolo retto e lasciati fuoriuscire dalla cute. Al paziente
non viene applicata alcuna immobilizzazione e viene invitato a mobilizzare senza restrizioni le dita nell’immediato postoperatorio. Il primo controllo clinico e radiografico viene effettuato dopo una settimana onde valutare la
capacità motoria del paziente, il successivo controllo in
15a giornata prevede la medicazione ed il controllo clinico senza controllo radiografico. Un ulteriore controllo clinico e radiografico viene effettuato 4 settimane dopo
l’intervento al fine di valutare lo stato di consolidazione e
programmare la rimozione dei mezzi di sintesi, che salvo
complicazioni avviene intorno alla 40a giornata.
Riguardo alle complicanze non è stata osservata alcuna complicanza nell’immediato postoperatorio, né alcuna
lesione a carico dell’apparato estensore, in circa il 10% dei
pazienti era presente un’infezione cutanea superficiale a
livello del punto di infissione senza che ciò tuttavia costringesse alla rimozione precoce del mezzo di sintesi.
Per quanto riguarda le fratture oblique lunghe e
spiroidi, specie laddove la riduzione non sia soddisfa-
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SEZIONE II - Patologia traumatica e post-traumatica
Fig. 18-4. Strumentario e tecnica chirurgica.
cente per l’interposizione di parti molli e permanga un
eccessivo accorciamento, rimane valido, in alternativa,
il trattamento cruento mediante microviti che permette
una sintesi stabile ed una mobilizzazione precoce.
Fratture della base (Fig. 18-5)
Generalmente dipendono da un trauma indiretto che eserciti una forza longitudinale lungo l’asse del metacarpo.
Le fratture-lussazioni delle basi dei metacarpi richiedono un trattamento chirurgico: in queste fratture,
il frammento epifisario volare rimane ancorato al carpo
per la presenza dei robusti legamenti carpo-metacarpali mentre il frammento dorsale si lussa dorsalmente assieme alla diafisi determinando una salienza precocemente mascherata dall’edema; queste fratture sono
spesso misconosciute in quanto difficilmente diagnosticabili su di una comune radiografia antero-posteriore; necessitano quindi di un proiezione in laterale perfetta. La frattura-lussazione del quinto metacarpo è ritenuta simile alla frattura di Bennet in quanto la porzione radiale della base rimane ancorata con l’uncinato
mentre la parte restante si lussa dorsalmente e prossimalmente.
Per quanto concerne il trattamento, le fratture senza
spostamento si avvalgono della semplice immobilizzazione in apparecchio gessato, mentre le fratture-lussazioni necessitano del trattamento chirurgico. Questo deve
prevedere la riduzione della lussazione, che comporta anche la riduzione della frattura, cui segue la stabilizzazione mediante uno o due fili di Kirschner. I casi inveterati
richiedono la riduzione cruenta e ove questa non sia possibile molti Autori consigliano l’artrodesi della carpometacarpica. Secondo noi si deve, anche nei casi inveterati, ricercare la riduzione seguita da osteosintesi.
FRATTURE DEL METACARPO
DEL PRIMO RAGGIO2,21
Frattura di Bennet (Fig. 18-6)
Si tratta di una frattura articolare del primo metacarpo in
cui la rima separa la maggior parte del metacarpo da un
18 – Fratture dei metacarpi
frammento epifisario volo-ulnare che rimane in sede. Le
due maggiori variabili che caratterizzano questa frattura
sono rappresentate dalla dimensione del frammento volare-ulnare e dall’entità dello spostamento della metadiafisi del metacarpo che è spinto radialmente e, prossimalmente, dorsalmente per l’azione del tendine dell’abductor pollicis longus. In caso di viziosa consolidazione,
si manifesta una salienza dorso-radiale dolorosa alla base del pollice e, da un punto di vista fisiopatologico, si
produce l’abolizione del ruolo di pivot della trapeziometacarpale e dell’azione dell’abdutore lungo che si traducono in un difetto di apertura attiva della prima commissura e in una alterazione della pinza pollice-digitale.
Si creerà, inoltre, un’instabilità dolorosa della trapeziometacarpale. Il fine del trattamento sarà dunque da un
lato la riduzione della lussazione e dall’altro il ripristino
della superficie articolare con riduzione della frattura.
Dalla prima descrizione di questa lesione nel 1882
numerosi sono stati i tipi di trattamento proposti. Fino
agli anni ’50 gli Autori concordavano sul trattamento incruento proponendo numerosi metodi di tutorizzazione e
solo modernamente si è passati al trattamento chirurgico
di queste lesioni. In particolare vi sono attualmente due
A
B
307
scuole di pensiero: da una parte vi è chi propugna la
riduzione a cielo aperto con sintesi interframmentaria e
dall’altra chi preferisce la riduzione a cielo chiuso con
fissazione percutanea. Questo secondo metodo risulta
semplice ed efficace indipendentemente dalla tecnica
(stabilizzazione interframmentaria o extrafocale).
La manovra di riduzione prevede il posizionamento
del pollice a 45° di abduzione per detendere l’abductor
pollicis longus e associando una trazione sul metacarpo
ad una pressione verso il palmo sulla base del I metacarpo stesso. Ridotta la lussazione, la stabilizzazione viene
ottenuta mediante fili di Kirschner che possono essere
posti tra il metacarpo ed il trapezio50,51 oppure ancorandosi al secondo metacarpo25. Tubiana47,48, nel 1966, ha
dimostrato la possibilità che si possa fissare anche il
frammento stabilizzando direttamente la frattura. Anche
nella nostra Scuola utilizziamo questo metodo eseguendo una trazione in abduzione palmare, esercitando nel
contempo una pressione sul metacarpo medialmente
verso il palmo, riducendo la lussazione e stabilizzando
la riduzione con fili di Kirschner. L’immobilizzazione in
stecca gessata viene mantenuta per circa sei settimane
trattandosi di frattura articolare.
C
D
Fig. 18-5. Frattura della base. A, Pre-operatorio. B, 7 giorni post-operatorio. C, 70 giorni post-operatorio. D, 70 giorni post-operatorio.
308
SEZIONE II - Patologia traumatica e post-traumatica
B
A
C
Fig. 18-6. Fratture del I metacarpo, frattura di Bennet.
Frattura di Rolando (Fig. 18-7)
Si tratta di una frattura metafisaria in cui una rima di frattura
separa la diafisi dall’epifisi ed il frammento epifisario è sede di
A
un’ulteriore rima di frattura longitudinale o sagittale tale da dare un frammento volare e uno dorsale similmente a quanto si
verifica nella frattura di Bennet. Il trattamento chirurgico è sovrapponibile a quello utilizzato nella frattura di Bennet.
B
Fig. 18-7. Fratture del I metacarpo, frattura di Rolando.
C
18 – Fratture dei metacarpi
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