La Protesi d`anca ACCIS nell`anziano
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La Protesi d`anca ACCIS nell`anziano
GGI O AITOG AITOG AITOG AITOG AITOG AITOG AITOG AITOG AITOG www.aitog.it CON TENU TI ALCUNI Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, DCB (BO) - In caso di mancata consegna inviare a Ufficio Bologna CMP per la restituzione al mittente che si impegna a versare la dovuta tassa. PERIODICO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI TRAUMATOLOGIA ED ORTOPEDIA GERIATRICA × L’Artroprotesi inversa nel trattamento delle fratture a 3-4 frammenti dell’estremo prossimale dell’omero dell’anziano T. Mascitti, P. Leone, S. Piscitello × La prevenzione dell’errore in ortopedia e traumatologia F.M. Donelli × La Protesi d’Anca Accis nell’anziano F. Fantasia, L. Fantasia × Minimally invasive vertebral surgery in elderly patients: the point of view of the orthopedic geriatric surgeon and the neurosurgeon P. Scarone, F. Donelli, F. Ranieri, M. Pluderi, M. Zavanone, S.M. Gaini × L’anziano fragile, come persona A. Bova E D IT O R E 2 OGGI AITOG Editoriale www.aitog.it AITOG OGGI Anno I - ottobre 2011 - n. 0 Direttore responsabile Fabio M. Donelli Coordinatore Comitato di redazione Luigi Fantasia Comitato di redazione Federico Amici Aldo Bova Renato Facchini Giovanni Fancellu Pietro Maniscalco Tonino Mascitti Adriano Tango Vittorio Valerio Comitato Scientifico Alberto Agosti Umberto Di Castri Rinaldo Giancola Claudio Lazzarone Angelo Leonarda Patrizio Leone Andrea Piccioli Mauro Roselli Michele Saccomanno Claudio Sarti Giuseppe Solarino Lorenzo Tagliabue Umberto Tarantino Antonio Valente Stefano Vecchione Redazione e amministrazione: Presso: KEIWORD-EUROPA CONGRESSI Via L. Mancini, 3 20129 Milano Tel 02 54122513 / 79 Fax 02 54124871 E-mail: [email protected] Editore: Timeo Editore srl Via G. Rossini, 10 40067 Rastignano (BO) Tel. 051 6260473 Fax 051 6268163 E-mail: [email protected] www.timeoeditore.it Ufficio pubblicità e produzione: Franco Bombonati Stampa ed allestimento: L6 LITOSEI - Officine grafiche srl 40067 Rastignano (BO) Tel. 051 744539 www.litosei.com S in dall’introduzione del termine “ortopedia” nel 1742 da parte del medico francese Nicholas Andry, la disciplina è stata caratterizzata da progressi importanti. Il raffinarsi delle tecniche chirurgiche negli ultimi anni ha portato a risultati insperati e si è riusciti a combinare l’utilizzo delle migliori tecnologie con i minori disagi possibili per il paziente. Un ruolo fondamentale in tale contesto è dato dalle super specializzazioni di chirurgia ortopedica e dalle più avanzate metodologie operative. Si pensi alla robotica, utilizzata da diversi anni e in grado di garantire margini di errori minimi negli interventi consolidati, quali la protesizzazione dell’anca e del ginocchio. La percentuale degli anziani (range 65/84 anni) e molto anziani (over 85), di cui molti hanno complessi problemi psichici, sociali e funzionali, è cresciuta notevolmente negli ultimi decenni. Questo cambiamento demografico si trova anche riflesso nel crescente numero di sostituzioni dell’anca e del ginocchio. Di fatto, per il crescente bisogno di rispondere alle esigenze di questa tipologia di soggetti, l’ortopedia sta affrontando questioni centrali nel campo dell’assistenza geriatrica. Già nel 1989, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha chiesto la geriatrificazione delle discipline mediche. Con l’aumento dell’aspettativa di vita, gli anziani rappresentano una percentuale sempre maggiore dei pazienti ortopedici e, di conseguenza, è inevitabile una trasformazione automatica di questa disciplina nella direzione della ortogeriatria, intesa quale branca ortopedica. Una nuova disciplina che, coniugando ortopedia e geriatria, permetterebbe di fare un notevole salto in avanti nella dinamicità della cura dei pazienti over 65 per le complicanze risultanti da problematiche ortopediche. Naturalmente ciò rappresenta una sfida sociale importante. Quando un paziente anziano si sottopone a un intervento chirurgico devono essere presi in considerazione una serie di fattori, che dovranno essere approfonditi dalle necessarie conoscenze inter-disciplinari. È necessario tuttavia, oggi, nonostante la grave crisi economica, avere strutture adeguate che possano usufruire di neurologi, ortopedici, fisiatri, geriatri, cardiologi e psicologi, per curare in modo adeguato ed efficace il paziente. Argomento questo già dibattuto a livello congressuale, ma che di fatto, almeno per il momento, non ha portato alla creazione di una disciplina orto-geriatrica, che si contrapponga alla concezione statica della geriatria attualmente in uso. Mentre si auspica per il prossimo futuro che, non solo questa nuova branca divenga una realtà nelle strutture cliniche, ma anche una materia scientifica da approfondire in sede universitaria e soprattutto nella formazione degli specialisti. Questa è la sfida che l’Associazione Italiana di Traumatologia e Ortopedia Geriatrica si pone con la speranza che nel futuro i giovani ortopedici trovino maggiori stimoli professionali nella cura delle patologie evidenziate nei pazienti anziani, con consiglio di iniziare dalla consultazione della pubblicazione fresca di stampa “La patologia metabolica traumatica e degenerativa della colonna nell’anziano” che fa parte della collana annuale dell’Aitog. 3 Sommario Amici e giovani colleghi L’anziano fragile, come persona A. Bova............................................................................... 4 È soprattutto a voi che l’A.I.T.O.G. (Associazione Italiana Traumatologia Ortopedia Geriatrica) ha pensato e continua a pensare. A come cioè, rendere interessante la vostra partecipazione attiva all’Associazione. Trattare le Patologie Traumatiche Degenerative Osteoarticolari dell’Anziano e grande Anziano per la sua Fragilità, causata dalle sue comorbidità, assume sempre più caratteristiche peculiari. Questo, grazie alla costante evoluzione delle tecniche e strumenti per l’Osteosintesi e Sostituzione Protesica in chirurgia poco invasiva. All’aiuto fornito dai Grow-factors e soprattutto al costante impegno nel fare chiarezza sulle strategie finalizzate al precoce recupero, quando preesistenti, delle residue capacità motorie. Ad evitare cioè quella “Sindrome da Immobilizzazione” che nell’anziano aggiunge danno a danno.Strategie affinate da costante collaborazione con il Geriatra, l’Anestesista ed il Fisiatra. Dare a voi, raccolte in una Rivista, le esperienze ed i contributi di colleghi animati da questo comune interesse ci è sembrato la formula migliore per stimolare la vostra attenzione verso la nostra Associazione. Nasce così “A.I.T.O.G. Oggi” che spero avrà cadenza semestrale ed a cui senz’altro invierete i vostri contributi scientifici. La vostra partecipazione associativa ci darà più forza. Quella forza che sarà sempre tesa, col comune impegno, a far si che l’anziano da noi trattato non sia solo un semplice sopravvissuto,ma anche quando possibile,un anziano ancora capace di autonomie motorie utili a se ed agli altri. Tonino Mascitti Presidente A.I.T.O.G. Il trattamento chirurgico delle fratture dell’omero prossimale nell’anziano P. Maniscalco, J. D’Ascola, E.O. Del Vecchio, C. Pagliantini, M. Savoini, P. Ferrata............................... 5 L’Artroprotesi inversa nel trattamento delle fratture a 3-4 frammenti dell’estremo prossimale dell’omero dell’anziano T. Mascitti, P. Leone, S. Piscitello...................................... 8 Complicanze vascolari nelle fratture composte della branca ileo-ischio-pubica: caso clinico e revisione della letteratura R. Giancola, F. Valli, G. Antonini, M.G. Lettera, A. Savoia, C. Crippa, E. Zoffoli, M. Cariati................... 12 Considerazioni ortopediche e anestesiologiche sul paziente anziano con frattura di femore prossimale P. Santo, F. Rizzo, C. Casadei, F. Miola, R. Facchini..... 16 La prevenzione dell’errore in ortopedia e traumatologia F.M. Donelli.................................................................... 22 Le Fratture del collo femore dell’anziano: indicazioni all’Endo-Artroprotesi T. Mascitti, P. Leone, S. Piscitello................................... 25 La Protesi d’anca accis nell’anziano F. Fantasia, L. Fantasia.................................................. 29 Minimally invasive vertebral surgery in elderly patients: the point of view of the orthopedic geriatric surgeon and the neurosurgeon P. Scarone, F. Donelli, F. Ranieri, M. Pluderi, M. Zavanone, S.M. Gaini................................................ 33 Il consenso informato nel grande anziano. Il punto di vista dell’avvocato Avv. C. Mascitti............................................................... 38 4 L’anziano fragile, come persona A. Bova Direttore U.O.C. Ortopedia e Traumatologia P.O. San Gennaro ASL Napoli 1 Centro PastPresident AITOG Presidente Comitato scientifico AITOG N ell’epoca storica che stiamo vivendo, grazie a Dio, la prospettiva di vita per gli uomini si allunga. Grosso modo le femmine arrivano mediamente agli 84 anni, i maschi ai 78 anni. Questo certamente nei paesi più evoluti. Cresce notevolmente il popolo degli anziani, si riduce il popolo dei giovani. Questo comporta tantissimi problemi economicosociali, in particolare nella organizzazione del mondo della salute per i costi che comportano gli anziani con le loro frequentissime pluripatologie, ma soprattutto per il modo con cui vanno approcciati e trattati nella loro globalità che tante volte non viene vista nel modo giusto e che, invece, deve essere vista in modo olistico, pensando all’anziano, come persona, con tutte le sfaccettature. Gli anziani ed, in particolare, i grandi anziani nell’ambito delle loro pluripatologie, hanno quelle dell’apparato muscoloscheletrico con degenerazione delle superfici articolari, con indebolimento della struttura ossea per cattive condizioni della qualità ossea e per riduzione della massa ossea ed hanno un processo di indebolimento degenerativo delle fibre muscolari. Sono, purtroppo, in larga parte sofferenti per artrosi e soggetti a fratture da fragilità. Dinanzi a questa situazione di enorme presenza nella nostra società di anziani fragili, noi medici, ortopedici, innamorati della cura dell’anziano,cosa possiamo proporci di fare in questo mondo in continua evoluzione tecnologica, con tanti problemi sempre nuovi. Dove curare l’anziano costituisce una vera sfida sotto il profilo tecnicoprofessionale, morale, di stile e di approccio affettuoso. – Prevenire, per quanto possibile, le patologie ortotraumatologiche suddette – Curarle al meglio – Comprendere ed avere presente sempre che siamo a contatto con una persona umana fragile, non solo dal punto di vista fisico, ma anche dal punto di vista sociale, economico, psicologico, affettivo. Per la prevenzione mettere in cantiere campagne di informazione relativamente alle principali patologie che riguardano gli anziani nel settore ortotraumatologico; parlo di artrosi e di osteoporosi con la sua conseguenziale fragilità ossea. Far conoscere le condizioni che favoriscono la degenerazione artrosica ed far capire che vanno evitate quelle possibilmente evitabili. Far conoscere le condizioni che favoriscono l’osteoporosi e invitare gli interessati ad evitarle, spingendo gli AITOG OGGI - settembre 2011 stessi soggetti ad attivare tutte le metodiche che bloccano l’evolvere della osteoporosi, come camminare, esporsi alla luce solare, alimentazione ricca di calcio, applicazione di magnetoterapia, ecc. Per la cura medica,lì dove è possibile, cercare di invitare ad usare farmaci per prevenire il peggioramento dell’osteoporosi e per curarla. Per la terapia chirurgica sia dell’artrosi che delle fratture bisogna avere materiali sempre più idonei, che siano ben tollerati e che diano stabilità alle fratture sintetizzate in un osso delicatissimo e debolissimo. E per questo è importante insistere nello studio e nella ricerca. Anche per la conoscenza di tecniche di accesso chirurgico che abbiano massimo rispetto dei tessuti. Ma al di là degli aspetti strettamente tecnici della cura degli anziani, ed in particolare dei grandi anziani, in particolare nell’ambito della traumatologia da fragilità, è indispensabile capire che si è dinanzi a persone umane che sono, innanzitutto per la loro patologia traumatica, ma anche per le condizioni fisiche, psichiche, sociali e familiari in una condizione di fragilità globale. Questa considerazione è importantissima, poiché ci deve porre in condizione, con cognizione di causa, di approcciare l’anziano, ed in particolare, il grande anziano sapendo che: – siamo di fronte a persona debole, che ha bisogno di studio approfondito e di amorevolezza – siamo di fronte a persona che ha necessità di autonomia e quindi bisogna lavorare al meglio per questo – siamo dinanzi a persone che vanno valutate molto bene con scienza e coscienza nel porre le indicazioni chirurgiche, essendo necessario conoscere le potenzialità residue, l’aspettativa vera di vita, l’aspettativa vera di ripresa funzionale – si tratta di persone che devono essere aiutate moltissimo nella riabilitazione. Una cosa va detta e definita certamente; gli anziani nella loro fragilità hanno bisogno ed hanno diritto ad avere dignità. La vera condizione che li mette in uno stato di serenità. Questo dipende innanzitutto dal modo con cui si pone il curante nei confronti dell’ammalato, ma anche dal rapporto con i familiari e coloro che li assistono. Sono immessi in un mondo relazionale e questo mondo per creare condizioni positive, ai fini dei risultati delle cure, deve esssere caratterizzato da amore. 5 Il trattamento chirurgico delle fratture dell’omero prossimale nell’anziano P. Maniscalco, J. D’Ascola, E.O. Del Vecchio, C. Pagliantini, M. Savoini, P. Ferrata ABSTRACT L e fratture dell’omero prossimale rappresentano circa il 5% di tutte le fratture ma solamente il 20% sono di pertinenza chirurgica. Queste fratture sono in continuo aumento soprattutto nell’anziano per ragioni analoghe alle fratture prossimali di femore. La scelta del tipo di trattamento dipende da molti fattori come la tipologia della frattura, la qualità ossea, la vascolarizzazione residua della testa omerale, l’età del paziente e le richieste funzionali. Negli anni sono state descritte diverse metodiche chirurgiche sia con riduzione e sintesi a cielo aperto utilizzando viti, placche e suture trans-osse, sia a cielo chiuso con chiodi endomidollari, Epiblok e Pinnink con fili di k. Attualmente, a nostro avviso, l’osteosintesi con chiodo endomidollare a bloccaggi multiplanari e viti a stabilità rappresenta il gold standard nella maggior parte delle fratture prossimali d’omero dell’anziano. Questo mezzo di sintesi presenta numerosi vantaggi come la scarsa invasività, le ridotte perdite ematiche e la stabilità dell’impianto che quindi permette spesso la precoce mobilizzazione, presupposto fondamentale per la ripresa funzionale completa dell’omero. Introduzione Discussione L T e fratture dell’estremo prossimale dell’omero sono relativamente frequenti e rappresentano il 5% di tutte le fratture con un rapporto donna uomo pari a 2:1. La scelta del trattamento è correlata a più fattori tra cui il tipo di frattura e la vascolarizzazione residua della testa omerale, l’età e le richieste funzionali del paziente. Tali fratture, in particolare quelle che interessano il collo chirurgico omerale, colpiscono prevalentemente gli anziani per i tipici fenomeni osteoporotici correlabili all’età. Il trattamento è generalmente incruento poiché la cuffia dei rotatori, il periostio e il capo-lungo del bicipite brachiale spesso si oppongono alla scomposizione. Tuttavia, nonostante queste strutture anatomiche, circa il 20% delle fratture dell’estremo prossimale dell’omero è scomposto e meritevole di correzione chirurgica. Dal punto di vista etiopatogenetico queste fratture sono causate da un carico assiale trasmesso all’omero attraverso il gomito o attraverso la mano e l’avambraccio atteggiati in estensione con il gomito bloccato in estensione. Nei soggetti con osso osteopenico, pazienti anziani o alcolisti, un trauma a bassa energia può essere sufficiente a provocare la frattura. La sintomatologia è caratterizzata da dolore, atteggiamento di difesa dell’arto, deformità, tumefazione, ecchimosi brachio-toracica. Le fratture del collo chirurgico omerale sono le più frequenti tra quelle dell’estremo prossimale dell’omero, sono extracapsulari e, visto l’adeguato supporto vascolare, hanno una scarsa tendenza alla necrosi avascolare (AVN: A-vascular necrosis), a differenza delle fratture del collo anatomico. rattare un paziente con una frattura dell’omero prossimale richiede un’attenta analisi. L’anamnesi e l’esame obiettivo sono due punti imprescindibili che devono essere svolti con estrema cura e precisione in quanto possono determinare non solo la tipologia di trattamento, cruenta o meno, ma anche la eventuale scelta del mezzo di sintesi. All’osservazione dell’arto traumatizzato, se presente frattura, è importante evidenziare la presenza in corrispondenza della spalla e del braccio di ecchimosi, lesioni associate, dolore e l’impotenza funzionale. Lesioni di tipo neurologico periferico, soprattutto del nervo ascellare, possono essere presenti e bisogna escluderle testando la sensibilità periferica e la funzione motoria. La presenza di masse pulsanti o ematomi in espansione può indicare la presenza di una lesione vascolare. L’esame dei polsi periferici è utile, ma non esclude danni vascolari all’interno del cavo ascellare, poiché i polsi distali possono essere integri a causa di circolazione collaterale intorno alla scapola. Non è infrequente in questi traumi trovare fratture ipsilaterali della diafisi omerale, del gomito, dell’avambraccio e del polso. Nel tempo sono stata proposte numerose classificazioni: • CLASSIFICAZIONE DI KOCHER (1896) • CLASSIFICAZIONE DI CODMAN (1934) • CLASSIFICAZIONE DI HACKETHAL, (1961) • CLASSIFICAZIONE DI NEER (1970) • CLASSIFICAZIONE AO (1984) • CLASSIFICAZIONE DI HERTEL (2005) Riconoscendo la validità di tutte queste e in accordo con molti autori, riteniamo la classificazione di Neer quella più “semplice” da interpretare. Essa si basa sulla suddivisione anatomica in quattro parti della porzione prossimale AITOG OGGI - settembre 2011 P. maniscalco, J. d’ascola, e.O. del vecchio, C. pagliantini, m. savoini, p. ferrata 6 dell’omero: la testa omerale, la grande tuberosità, la piccola tuberosità e la diafisi prossimale dell’omero: ❑ Fratture a singolo frammento: fratture scomposte o fratture con spostamenti minimi. ❑ Fratture a due frammenti: fratture in cui si sposta un singolo segmento, in relazione agli altri tre. ❑ Fratture a tre frammenti: si verificano quando si ha lo spostamento di due dei quattro segmenti anatomici. ❑ Fratture a quattro frammenti: fratture che presentano lo sfollamento di tutti i segmenti anatomici Scelta del trattamento Negli anni, molti autori hanno cercato di dare indicazioni il più possibilmente chiare. Neer, per esempio, definiva chirurgiche fratture con scomposizione dei frammenti principali maggiore di 5 mm e con angolazione maggiore di 45 gradi. Da ciò ne risulta che circa l’80% delle fratture dell’omero prossimale non sono chirurgiche mentre il restante 20% è meritevole di trattamento. margine inferiore del bicipite, si dirigono verso l’alto e si ramificano penetrando la corticale in corrispondenza della doccia bicipitale, per approfondirsi nel contesto del trochite e del trochine, fornendo in tal modo la maggior parte della vascolarizzazione alla superficie articolare della testa omerale. Una frattura o un intervento chirurgico che ledono i rami che si dipartono dall’arteria ascellare verso l’articolazione può quindi condurre all’AVN (fig. 1). Le fratture a quattro frammenti ingranate in valgo rappresentano un capitolo a parte, nonostante l’interessamento del collo anatomico più difficilmente vanno incontro a una necrosi vascolare. Fig. 1: necrosi post-chirurgica omero prossimale. Trattamento incruento: Generalmente si avvale di tutore ortopedico tipo reggi braccio con Fascione (o tutore di DESAULT) da portare per un tempo variabile dalle 3 alle 5 settimane, seguito da uno o più cicli di Fisioterapia specifica al fine di recuperare il normale rom articolare e la forza per evitare quindi sintomatologia dolorosa e/o rigidità. Trattamento cruento: Come in ogni frattura, il trattamento chirurgico ha lo scopo di ripristinare l’anatomia articolare, la motilità del l’articolazione, l’allineamento assiale e consentire una precoce mobilizzazione. La corretta scelta del trattamento chirurgico, si basa sulle caratteristiche della frattura fornite dall’esame Rx (consiste in proiezioni antero-posteriore (AP) e laterale nel piano scapolare e una vista ascellare secondo Neer) e dall’esame TC; e come già detto dalle condizioni generali del paziente quindi età ed attività. Negli anni sono stati sviluppati numerosi mezzi di sintesi al fine di garantire la più amplia possibilità di scelta per il chirurgo. Tra le metodiche di trattamento a disposizione del chirurgo, distinguiamo: • La Riduzione a cielo chiuso con sintesi a minima percutanea (Pinning, Epiblok, fili di k) • La Riduzione a cielo chiuso con sintesi endomidollare (Chiodi corti e viti) • La Riduzione a cielo aperto con sintesi interna (Placche a stabilità angolare e Placca Convenzionali) • La Sostituzione Protesica della testa omerale, associata o meno a sintesi della piccola tuberosità. Il tipo di frattura, il rischio di necrosi e il “bone stock” determinano quindi la scelta fra un tipo di sintesi o l’eventuale sostituzione protesica. Le fratture che incorrono nel maggior rischio di AVN sono quelle a tre e quattro frammenti e le fratture a due frammenti che interessano il collo anatomico che sono per fortuna rare. Ricordiamo brevemente che la vascolarizzazione diretta della testa omerale deriva in gran parte dall’arteria arcuata di Laing, rifornita dalle arterie circonflesse anteriore e posteriore dell’omero. Esse, dopo essersi anastomizzate in corrispondenza del AITOG OGGI - settembre 2011 Complicanze Q ueste fratture possono presentare complicanze immediate, o tardive. Quelle immediate sono legate al possibile danno vascolare (a. omerale) o nervoso (nervo circonflesso) causato dai frammenti di frattura. Delle tardive, le complicanze più comuni sono: l’AVN dell’epifisi prossimale dell’omero, il ritardo di consolidazione, la pseudoartrosi, la sindrome da conflitto sotto-acromiale e l’infezione. CONSIDERAZIONI DEGLI AUTORI e CONCLUSIONI N el tempo il trattamento delle fratture dell’omero, soprattutto nell’anziano è profondamente cambiato. Se un tempo, la metodica più spesso utilizzata era il trattamento conservativo con bendaggi funzionali, oggi grazie allo sviluppo dei materiali e degli strumentari, le indicazioni al trattamento chirurgico sono sicuramente aumentate. Il trattamento chirurgico delle fratture dell’omero prossimale deve avere come obiettivi una sintesi il più anatomica possibile ed una buona stabilità primaria tale da permettere una mobilizzazione precoce dell’articolazione. Nell’anziano, dove spesso sono presenti osteoporosi e condizioni generali non ottimali, è inoltre necessario, cercare di effettuare interventi il più possibile veloci e mini-invasivi tali da consentire un minor impegno anestesiologico e minori perdite ematiche. il trattamento chirurgico delle fratture dell’omero prossimale nell’anziano 7 Fig. 2: osteosintesi con chido polarus. Fig. 3: pull Out viti Prossimali. Fig. 4: sintesi mediante Pinning Percutanei. Alla luce di queste considerazioni il mezzo di sintesi che idealmente si avvicina di più ad avere queste caratteristiche è l’osteosintesi mediante chiodo corto endomidollare (fig. 2). Tale metodica presenta notevoli vantaggi dal punto di vista biomeccanico, come il braccio di leva intramidollare che garantisce una maggiore stabilità risetto ad altri sistemi quali per esempio i Pinning percutanei e le Placche soprattutto in presenza di osteoporosi. Altro vantaggio biomeccanico è rappresentato dal minor stress in flessione che subiscono le viti di bloccaggio del chiodo e che portano al pull- out dell’impianto nei sistemi con placca e viti soprattutto dove è presente osteoporosi (fig. 3). Altri indubbi vantaggi dell’osteosintesi endomidollare sono la mini invasività, le ridotte perdite ematiche e la diminuita percentuale di complcazioni quali l’AVN e la neuroaprassia del nervo ascellare presenti maggiormente nell’osteosintesi open con placca e viti e l’infezioni cutane, più spesso frequente con sistemi di fissazione percutanea temporli quali Fili di k e Pinning (fig. 4). Questo tipo di sintesi tuttavia non è screvo da complicazioni, difatti a volte la riduzione della frattura a cielo chiuso può risultare complessa soprattutto in quelle fratture dove il trochite è particolarmente posteriore e risalito. In questi casi è necessario un chiodo con bloccaggi prossimali multiplanari in grado di sintetizzare la parte della testa omerale interessata. Altra complicazione è il conflitto che può scaturire tra la testa del chiodo e l’acromion quando quest’ultimo non è perfettamente posizionato all’interno dell’omero. In definitiva, considerando i pro e i contro rispetto alle altre metodiche, riteniamo che l’osteosintesi con inchio- damento endomidollare nell’anziano, ove possibile, sia il gold-standard in quanto assicura una sintesi stabile ed una bassa percentuale di complicazioni quali AVN, la neuraprassia e l’infezione cutanee. BIBLIOGRAFIA 1) Neer C. S. II; Displaced proximal humerus fractures. Part I Classification and evaluation J. Bone Joint Surg. AM 52; 1970. 2) Gerber e coll. The riproducibility of classification of the fractures of the proximal end of the humerus J.B.J.S. 1993. 3) Hoffmayer P.The operative management of the displaced fractures of the proximal humerus J.B.J.S. 2002. 4) Ao foundation. Principi di trattamento delle fratture. 2008. 5) Neer C.S. II: Fractures about the shoulder in Rochwood C.A., Greene D.P.eds. 6) Bahrs C, Rolauffs B, Dietz K, Eingartner C, Weise K. Clinical and radiological evaluation of minimally displaced proximal humeral fractures. Arch Orthop Trauma Surg. Oct 7 2009. 7) Boileau P, Walch G, Krishnan S. Tuberosity osteosynthesis and hemiarthroplasty for four-part fractures of the proximal humerus. Tech Shoulder Elbow Surg. 2000. 8) Santini A, Fabbri D, Picinotti A, Redi R, Caneschi S. “Impacted valgus fractures” of the proximal humerus: bone grafting and open reduction with internal fixation. G.I.O.T. 2005. 9) Kontakis GM, Tosounidis TI, Christoforakis Z, Hadjipavlou AG. Early management of complex proximal humeral fractures using the Aequalis fracture prosthesis: a two- to five-year follow-up report. J Bone Joint Surg Br. Oct 2009. AITOG OGGI - settembre 2011 8 L’Artroprotesi inversa nel trattamento delle fratture a 3-4 frammenti dell’estremo prossimale dell’omero dell’anziano T. Mascitti, P. Leone, S. Piscitello Struttura complessa di Ortopedia e Traumatologia Azienda Ospedaliera “Bolognini” di Seriate (BG). Direttore: Dr. T. Mascitti ABSTRACT Obiettivo: Dimostrare che l’artroprotesi inversa nel trattamento delle fratture a 3-4 fammenti dell’estremo. Prossimale dell’omero dell’anziano è soluzione chirurgica vantaggiosa. Materiale e Metodi: Dal gennaio 2008 al dicembre 2009 abbiamo utilizzato 16 artroprotesi inverse “Duocentric” (13 F; 3 M) età media 78 y. Si è sempre cementato lo stelo e sintetizzate alla metafisi e tra loro le tuberosita. Risultati: Follow-up medio 15 mesi (min 6-max 30) con controllo periodico strumentale (Rx) e clinico (Constant score). Non segni di notching, mobilizzazioni degli elementi protesici o delle tuberosità, instabilità, infezioni.Constant score medio (68/100) per la spalla con Artroprotesi Inversa, 84/100 nell’arto contro laterale. Discussione: L’impiego dell’artroprotesi inversa nel trattamento delle fratture 3-4 frammenti di omero prossimale è iniziato dopo le positive esperienze del suo utilizzo nell’artrosi eccentrica per lesione massiva della cuffia dei rotatori. Da un lato mostrava il superamento del problema della guarigione delle tuberosità, tipico dell’endoprotesi, dall’altro lasciava aperto quello della non restaurazione delle rotazioni. In più ha manifestato nei controlli a distanza il problema del “notching scapolare”. La “Duocentric”(Artroprotesi inversa di recente concezione) grazie al suo design sembra risolvere tale problema. La sutura delle tuberosità ci ha fatto osservare un buon recupero delle rotazioni. Conclusioni: Nell’anziano il trattamento con artroprotesi inversa delle fratture a 3-4 frammenti dell’estremo prossimale dell’omero è stata per noi esperienza positiva capace di ridurre entro tempi più brevi un buon recupero funzionale della spalla, evitando le complicanze dei tentativi di sintesi causate prevalentemente dalla scarsa qualità ossea di questi pazienti. La reinserzione delle tuberosità, eseguita in tutti i casi,ha favorito, come già detto da altri autori, la bontà dei risultati clinici osservati. Parola chiave: artroprotesi inversa, fratture 3-4 frammenti estremo prossimale omero, grande anziano. INTRODUZIONE I l trattamento di fratture complesse dell’estremo prossimale dell’omero è impegnativo nel paziente adulto, ma ancor più nel paziente anziano e grande anziano (>75y) per la scarsa qualità ossea e per le comorbidità che compromettono le sue condizioni generali. Le indicazioni al loro trattamento sono spesso controverse. L’osteosintesi di queste fratture in questi pazienti è ricca di complicanze: osteonecrosi, pseudoartrosi, vizi di consolidazione, rigidità articolare. Neer sin dagli anni 501 ha introdotto per queste fratture la terapia chirurgica sostitutiva con Emiartroplastica anatomica al fine di evitare queste frequenti complicanze2-3. Questa tecnica, ricca di risultati positivi nelle mani dell’autore, ha però mostrato nel tempo una notevole per- Fig. 1a: S.P. 73 anni, frattura a 4 frammenti cervico diafisaria omero destro; quadro strumentale rx e TC pre-operatorio e post-operatorio. AITOG OGGI - settembre 2011 l’artroprotesi inversa nel trattamento delle fratture a 3-4 frammenti dell’estremo prossimale dell’omero dell’anziano Fig. 1b: controllo clinico 2 anni F.U. centuale di risultati insoddisfacenti causati prevalentemente dalla non guarigione, mobilizzazione delle tuberosità reinserite4-5. L’endoprotesi ha, nella nostra esperienza, dato prevalenti risultati positivi sia nel trattamento di fratture recenti che dei loro esiti specie nel sesso maschile (fig. 1). Ciò nonostante abbiamo seguito con interesse i reports positivi di alcuni autori nell’impiego dell’artroprotesi inversa nel trattamento delle fratture a 3-4 frammenti dell’estremo prossimale dell’omero5-6-7-8. L’essere al riparo dalle potenziali complicanze causate dalla reinserzione delle tuberosità ci è sembrato motivo valido per fare anche noi questa esperienza. La possibilità di utilizzare un artroprotesi inversa (Duocentric) di 4° generazione ne ha rafforzato le motivazioni. MATERIALI E METODI D al Gennaio 2008 al Dicembre 2009 abbiamo trattato 16 casi di frattura complessa dell’estremo prossimale di omero con 16 artroprotesi inverse di IV generazione “Duocentric”. I pazienti erano 13 Femmine e 3 Maschi di età media 78 anni (min 62, max 87). La sede era in 8 casi la spalla dx e in 8 casi la spalla sin (arti dominanti solo dx). Il Follow-up medio è stato di 15 mesi (min 6, max 30). Per i controlli clinici si è utilizzato il “Constant score”. Dal punto di vista strumentale sono state eseguite rx standard (2p) + quadro TC pre-operatorio ed rx standard (2P) + proiezione assiale al controllo. Nel post operatorio tutti i pazienti hanno eseguito lo stesso protocollo riabilitativo. Secondo la scala di Constant si è ottenuto un valore medio di 68/100 (min 52, max 83), rispetto al punteggio dell’arto controlaterale di 84/100 (min 73, max 92) (tab. 1). Non si sono osservate complicanze in termini di mobilizzazione delle tuberosità, di lussazioni, di infezioni e di notching scapolare. Tab. 1: Constant score casistica Ortopedia e Traumatologia AO “Bolognini” Seriate, protesi inversa spalla su frattura omero ssimale. Paziente S.I. P.L. S.A. M.A.M. M.A. S.N. L.D. M.R. B.G. P.L.R. M.L. B.D. S.P. P.M. P.A. S.A. Sesso Età Follow-Up (Mesi) Lato Operato F F F F M F F M M F F F F F F F 81 71 84 67 83 81 71 62 87 81 78 78 77 84 83 80 11 30 27 20 15 9 13 25 11 6 11 8 7 6 17 20 D D S D S D S S D S S D S S D D Elevazione Abduzione 100° 130° 140° 90° 100° 120° 150° 120° 90° 100° 140° 80° 100° 110° 150° 100° 90° 100° 120° 90° 90° 100° 130° 100° 90° 90° 120° 80° 90° 100° 130° 90° Constant Score 62 77 81 70 62 73 83 70 58 62 75 52 56 61 81 63 Constant Score arto controlaterale 87 92 89 90 73 80 92 85 74 84 88 83 80 75 89 83 AITOG OGGI - settembre 2011 9 T. Mascitti, P. Leone, S. Piscitello 10 Fig. 2a: caso clinico Protesi inversa Duocentric Pz. P.A. 85 anni f., controlli rx + TC preoperatorio ed rx controllo a 17 mesi. Fig. 2b: controllo clinico F.U. 17 mesi. Constant Score 81. DISCUSSIONE L a bontà dei risultati clinici (Constant score) e strumentali (rx) della nostra recente esperienza del trattamento delle fratture dell’estremo prossimale dell’omero a 3-4 frammenti del Grande Anziano con Artroprotesi Inversa è, secondo noi, dovuta ai seguenti motivi. L’utilizzo di artroprotesi Inversa “Duocentric” di 4° generazione con le seguenti caratteristiche biomeccaniche migliorative rispetto ai precedenti modelli:- minore medializzazione del centro di rotazione,maggiore lateralizzazione della componente omerale, possibilità di tensionamento del piccolo rotondo con orientamento graduato della componente omerale11, ed estensione del disegno della Duoglena inferiormente, finalizzato ad evitare le condizioni di Notching scapolare8-9-10, spiegano non solo il recupero dell’elevazione e dell’abduzione, a volte simile alla spalla contro laterale, ma anche quello dell’intra e soprattutto dell’extrarotazione. Quest’ultimo aspetto positivo è certamente influenzato dalla reinserzione delle tuberosità, derivata dalla passata esperienza della chirurgia Endoprotesica. Abbiamo così realizzato un positivo restauro anatomo-funzionale in stabilità. L’osservazione del buon esito di tale procedura non ha inciso sui tempi di recupero2-4-12. Abbiamo inziato la mobilizzazione passiva a due settimane dall’impianto e quella attiva assistita a tre settimane del post-operatorio. Il recupero delle rotazioni è avvenuto tra i 40-90 gg del post-operatorio in modo progressivo, dapprima passivo poi attivo. La tutorizzazione c’è stata per i primi 40gg semplicemente con “braccio al collo” nelle gran parte dei casi eccetto due volte. Poi le condizioni di “Notching scapolare” sono anche evitate da un attento orientamento della componente glenoidea. Noi l’abbiamo collocata sempre verso la parte inferiore AITOG OGGI - settembre 2011 dell’ellisse glenoidea come raccomandato da Nyffeler et al.11 e la si è collocata con un “tilt inferiore” (10-15° circa) come ricordato da Gutierrez et al.13. La guarigione osservata delle tuberosità reinserite con l’utilizzo di tale impianto protesico sembra influenzata positivamente dalle nuove particolari caratteristiche biomeccaniche dell’artroprotesi inversa di 4° generazione utilizzata. In un recente passato Sinovitch et al.15 avevano già evidenziato i vantaggi della reinserzione sul recupero della intra ed extrarotazione. Anche Galinet et al.2 in una loro revisione casistica avevano evidenziato l’eccezionale risultato avuto in un caso clinico ove era stata eseguita la reinserzione delle tuberosità rispetto ad altri casi dove tale procedura non era stata eseguita. L’autore si proponeva di studiare l’esecuzione in futuro di tale strategia chirurgica. Recentemente Levy et al.(2011) hanno riportato i vantaggi della re inserzione delle tuberosità con ausilio di un innesto osseo “ a ferro di cavallo”14. CONCLUSIONI L a sostituzione protesica nel trattamento delle fratture complesse dell’estremo prossimale dell’omero è soluzione chirurgica che deve essere,secondo noi, presente nell’armamentario terapeutico del chirurgo ortopedico. L’endoprotesi ha dato, nel passato5-6, risultati non sempre congrui alle aspettative per i problemi di guarigione delle tuberosità reinserite specie nei pazienti di sesso femminile. L’artroprotesi inversa già impiegata positivamente nell’artrosi eccentrica per lesioni massive inveterate della cuffia dei rotatori,ha iniziato a mostrare la sua versatilità nel trattamento di questa complessa patologia traumatica. Anche nella nostra esperienza si è confermata valida alternativa l’artroprotesi inversa nel trattamento delle fratture a 3-4 frammenti dell’estremo prossimale dell’omero dell’anziano terapeutica specie nei grandi anziani ove la scarsa qualità ossea rende l’osteosintesi ricca di complicanze e condizionante lunghi periodi di immobilizzazione con tutti problemi assistenziali che questo comporta. 7) Bufquin T, Hersan A, Aubert L, Massin P. Reverse shoulder arthroplasty for the treatment of three and four part fractures of the proximal humerus in the elderly: a prospective review of 43 cases with a short term follow-up.J Bone Joint Surg Br 2007; 89 B: 516-570. 8) Cazeneuve J F,Cristofari DJ. The reverse shoulder prosthesis in the treatment of fractures of the proximal humerus in the elderly. J Bone Joint Surg Br 2010; 92-B: 535-539. 9) Ekelund A. Reverse Shoulder Arthroplasty. Shoulder & Elbow 2009; 1: 68-75. BIBLIOGRAFIA 1) 2) 3) Neer C S.2nd. Displaced proximal humeral fractures II. 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J Shoulder Elbow Surg 2008;17: 202-9. 6) Boileau P, Krishnan SG, Tinsi L, Walch G, Mole D. Tuberosity malposition and migration: reason for poor outcome after hemiartroplasty for displaced fractures of the proximal humerus. J Shoulder Elbow Surg 2002; 11: 401-12. 10) Klein M, Juscha M, Hinkenjann B, Scherger B, Ostermann P A. W. Treatment of comminuted fractures of the proximal humerus in elderly patients with the Delta III reverse shoulder prosthesis. J Orthop Trauma 2008; 22(10): 698-704. 11) Nyffeler RW, Werner CM, Gerber C. Biomechanical relevance of glenoidal component positioning in the reverse Delta III total shoulder prosthesis. J Shoulder Elbow Surg 2005; 14: 524-528. 12) Sirveaux F, Favard L, Oudet D, Huquet D, Walch G, Mole D. Grammont inverted total shoulder arthroplasty in the treatment glenohumeral osteoarthritis with massive ruptrure of the cuff. Results of multicentre study of 80 shoulders. 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Federico Valli - UOC Ortopedia e Traumatologia AO “San Carlo Borromeo”, via Pio II n. 3, 20153 Milano - [email protected] ABSTRACT Introduzione: Il caso clinico presentato ha lo scopo di evidenziare come, in presenza di una frattura isolata ingranata di branca ileo-pubica in un paziente senza fattori di rischio (paziente non in terapia con antiaggreganti/anticoagulanti) possa essere complicata da anemizzazione secondaria a sanguinamento attivo endopelvico. Caso clinico: Una donna di 83 anni riportava una frattura isolata composta della branca ileo-pubica destra; a seguito di anemizzazione progressiva veniva sottoposta a Tomografia Computerizzata (TC) con mezzo di contrasto nell’ipotesi di un sanguinamento in atto; l’indagine TC dimostrava la frattura (fig. 1) e si osservava, dopo somministrazione endovenosa di mezzo di contrasto (mdc), la comparsa di piccoli spandimenti da riferire a sanguinamenti riforniti da un ramo dell’arteria ipogastrica di destra (fig. 2). La paziente veniva quindi sottoposta con successo ad arteriografia ed embolizzazione arteriosa (fig. 3). Discussione: Nelle fratture delle branche ileo-ischio-pubiche i danni vascolari sono più comuni in pazienti anziani data la loro fragilità e presenza di co-morbidità, come minor riserva cardiovascolare o in terapia con anti-coagulanti. Nei casi di instabilità dinamica suggeriamo inizialmente un esame TC con mdc che permette l’esatta localizzazione dell’ematoma, la sede di sanguinamento e l’esclusione di eventuali lesioni intra-addominali e si rende inoltre utile per guidare una successiva embolizzazione. Si sottolinea pertanto l’importanza di un attento monitoraggio clinico-strumentale in pazienti, soprattutto anziani, con frattura composta ed isolata della branca ileo-ischio-pubica data la possibilità di emorragie secondarie anche a distanza di giorni dal trauma che possono causare instabilità emodinamica; riteniamo inoltre che uno studio TC con mdc, motivato da un’evoluzione della condizione clinica, sia necessario per una corretta diagnosi e per pianificare una successiva angiografia con embolizzazione selettiva in regime d’urgenza. SOMMARIO L e fratture composte delle branche ileo-ischio-pubiche non richiedono in genere un approccio chirurgico, ma si avvalgono di un trattamento ortopedico (riposo letto-poltrona e terapia antalgica). Gli autori riportano il caso di una paziente di 83 anni con una frattura composta isolata della branca ileo-pubica complicata da anemizzazione secondaria a sanguinamento attivo di un ramo dell’arteria ipogastrica, trattato con arteriografia ed embolizzazione. Parole chiave: Frattura branca; ricovero; emorragia; embolizzazione. INTRODUZIONE L e fratture isolate delle branche ileo-ischio-pubiche generalmente si riscontrano in pazienti anziani a seguito di traumi a bassa energia ed è stato dimostrato un aumento della loro frequenza collegato all’incremento dell’incidenza delle fratture su base osteoporotica1. Hill e colleghi hanno evidenziato un’incidenza di 6.9/100.000/ anno e di 25.6/100.000/anno se si fa riferimento ad una popolazione sopra i 60 anni di età; l’età media registrata nel loro studio è stata di 74.7 anni con un tasso 4.2 volte maggiore per le donne rispetto agli uomini; la sopravviAITOG OGGI - settembre 2011 venza ad un anno era di 86.7 % e a cinque anni di 45.6 %2. Le complicanze immediate delle fratture isolate composte delle branche ileo-ischio-pubiche sono rare, rappresentate generalmente da sanguinamento e trombosi venosa profonda, quelle a medio-lungo termine, più frequenti, sono legate all’allettamento prolungato e al recupero dell’autonomia deambulatoria. La prognosi è legata allo stato fisiologico pre-frattura del paziente, alla sua suscettibilità a nuove cadute e all’aumento del livello di dipendenza sociale post-frattura3. La gestione delle fratture isolate composte delle branche ileo-ischio-pubiche non richiede un intervento chirurgico, ma terapia incruenta domiciliare, consistente in riposo a letto, terapia analgesica, monitoraggio radiografico e recupero deambulatorio con carico graduale nel tempo. Il caso clinico presentato ha lo scopo di evidenziare come, in presenza di una frattura isolata ingranata di branca ileo-pubica in un paziente senza fattori di rischio (paziente non in terapia con antiaggreganti/anticoagulanti) possa essere complicata da anemizzazione secondaria a sanguinamento attivo endopelvico. Un’emorragia massiva è una complicanza ben documentata a seguito di fratture instabili dell’anello pelvico, mentre è un evento raro nelle fratture stabili; in Letteratura sono riportati pochi casi di embolizzazione arteriosa a seguito di emorragia in fratture stabili4-7. Complicanze vascolari nelle fratture composte della branca ileo-ischio-pubica CASO CLINICO U na paziente di 83 anni è giunta in Pronto Soccorso (PS) del nostro Ospedale per algia ed impotenza funzionale a livello dell’arto inferiore destro a seguito di una caduta accidentale in ambiente domestico; la paziente negava trauma addominale e traumi in altri distretti corporei; l’anamnesi patologica remota era muta e la farmacologia negativa per antiaggreganti/anticoagulanti. I parametri vitali all’ingresso in PS erano 120/65 di pressione arteriosa, 92 b.p.m. di frequenza cardiaca. La paziente veniva sottoposta a controllo radiografico del bacino e dell’anca destra che evidenziavano una frattura composta della branca ileo-pubica ed eseguiva un esame ematico (emocromo, elettroliti, coagulazione) che riportava valori di 10.5 g/dl di emoglobina, 198.000 piastrine, 1.62 INR; veniva tenuta in osservazione in PS e dopo 12 ore ripeteva gli esami ematici con successivo riscontro di 9.5 g/dl di emoglobina; lo specialista ortopedico che aveva in carico la paziente decideva quindi per un ricovero osservazionale nel reparto di Ortopedia. Al secondo giorno di ricovero, in presenza di uno sfumato dolore precordiale di tipo anginoso, ipotensione arteriosa e pallore cutaneo, ripeteva un controllo ematico con riscontro di 8.7 g/dl di emoglobina. Si decideva pertanto di sottoporre la paziente ad una Tomografia Computerizzata (TC) con mezzo di contrasto nell’ipotesi di un sanguinamento in atto. L’indagine TC, nelle scansioni di base, dimostrava la frattura lievemente ingranata della branca ileo-pubica di destra (fig. 1) ed in corrispondenza del focolaio fratturativo si osservava un ematoma con dimensioni di circa 4 cm; dopo somministrazione endovenosa di mezzo di contrasto 13 (mdc) si osservava, in fase arteriosa, la comparsa di piccoli spandimenti dello stesso nel contesto dell’ematoma, che aumentavano di dimensioni nelle successive fasi contrastografiche, da riferire a sanguinamenti riforniti da un ramo dell’arteria ipogastrica di destra (fig. 2). La paziente veniva quindi trasferita in sala angiografica per essere sottoposta ad arteriografia ed embolizzazione arteriosa. Con accesso arterioso transfemorale sinistro ed ausilio di catetere Cobra C2 (4 Fr), si eseguiva cateterismo dell’ipogastrica destra: l’arteriografia eseguita a tale livello dimostrava la presenza di piccoli spandimenti di mdc provenienti da un ramo dell’ipogastrica destra; con microcatetere coassiale Progreat, si incannulava superselettivamente il ramo arterioso responsabile del sanguinamento, che veniva emboliz- Fig. 1: ricostruzione coronale MPR di esame TC con finestra dedicata allo studio osseo che dimostra la frattura della branca ileo-pubica destra. Fig. 2a-b-c-d: scansioni assiali di indagine TC con evidenza in fase precontrastografica (a) di ematoma in corrispondenza del focolaio di frattura; in fase arteriosa (b) comparsa di piccoli spandimenti di mdc che aumentano nelle succesive fasi contrastografiche venosa (c) e tardiva (d) da riferire a sanguinamenti attivi. AITOG OGGI - settembre 2011 R. giancola, F. valli, G. antonini, M.G. LETTERA, A. SavoIA, C. Crippa, E. Zoffoli, M. Cariati 14 Fig. 3a-b-c-d-e: arteriografia dell’ipogastrica di destra con evidenza di piccolo sanguinamento rifornito da un ramo del vaso stesso (a); cateterismo superselettivo del ramo leso con miglior evidenza dello spandimento di mdc (b); rilascio di spirali metalliche nella sede del sanguinamento (c e d); controllo arteriografico finale con evidenza di completa embolizzazione del ramo in questione (e). zato con microspirali metalliche (diametri di 3 e 2,5 mm); il controllo finale dimostrava una completa embolizzazione del vaso e la risoluzione del sanguinamento (fig. 3). La paziente ha dimostrato un’immediata ripresa ed è stata dimessa otto giorni dopo. DISCUSSIONE L e fratture scomposte ad alta energia della pelvi possono causare danni vascolari potenzialmente mortali, mentre le fratture composte possono comportare avulsioni dei vasi pubici tali da dare instabilità emodinamica8; i danni vascolari sono più comuni in pazienti anziani data la loro AITOG OGGI - settembre 2011 fragilità e presenza di co-morbidità, come minor riserva cardiovascolare o in terapia con anti-coagulanti6. L’esame obiettivo è cruciale per diagnosticare iniziali segni di shock ipovolemico come la clinica addominale, lividi cutanei e gonfiori in regione perineale, l’evoluzione dello stato mentale e dei parametri vitali7. L’embolizzazione si rende necessaria in circa il 7-11% dei pazienti con una frattura della pelvi9; tuttavia esiste un’importante differenza a seconda del meccanismo lesivo: il gruppo con un meccanismo di compressione laterale e frattura isolata di una branca ileo-ischio-pubica presenta una percentuale del 1,7%, mentre nei casi di forze compressive antero-posteriori e/o verticali con fratture multiple la necessità di embolizzazione è di circa il 20%10; questo crea due categorie distinte di pazienti: un gruppo nel quale l’angiografia deve essere considerata marginale ed un altro nel quale dovrebbe essere obbligatoria data la frequente necessità di ricorrere ad embolizzazione. Sebbene alcuni autori ritengono l’esame angiografico la prima scelta nell’investigare pazienti emodinamicamente instabili con fratture della pelvi9, noi suggeriamo inizialmente un esame TC con mdc che permette l’esatta localizzazione dell’ematoma, la sede di sanguinamento e l’esclusione di eventuali lesioni intra-addominali6 e si rende inoltre utile per guidare una successiva embolizzazione visto che talvolta è difficile attribuire uno shok ipovolemico a pazienti con una frattura composta ed isolata della branca ileo-ischio-pubica; ovviamente l’esame TC deve essere eseguito potendo garantire un immediato trasferimento in Complicanze vascolari nelle fratture composte della branca ileo-ischio-pubica sala angiografica se necessario come avviene nel nostro Ospedale. In un paziente emodinamicamente instabile con una TC che evidenzia un sanguinamento in atto deve essere eseguita immediatamente un’angiografia trans femorale con embolizzazione selettiva. Lo studio TC con mdc ha dimostrato un’alta predittività nel diagnosticare una lesione arteriosa che richiede un’embolizzazione, con una sensitività del 66-90%, una specificità del 85-98% ed una accuratezza del 87-98%11. L’embolizzazione arteriosa transcatetere è attualmente considerata il trattamento di scelta nelle lesioni arteriose nei casi di fratture della pelvi; il tasso di successo, espresso in termini di controllo dell’emorragia e riduzione delle trasfusioni, varia dal 85% al 100%; deve essere eseguita precocemente prima che si instaurino severe coagulopatie e la sindrome da insufficienza multiorgano12. Nel caso da noi riportato è stato coinvolto un ramo dell’arteria ipogastrica; l’arteria iliaca interna, anche nota come arteria ipogastrica, è il principale vaso arterioso della pelvi; origina come biforcazione terminale della arteria iliaca comune insieme all’arteria iliaca esterna e si divide a sua volta in un ramo anteriore e uno posteriore, i cui collaterali e terminali possono essere raggruppati in vasi parietali (deputati all’irrorazione delle strutture parietali della pelvi) e viscerali (che vascolarizzano gli organi contenuti nella cavità). L’embolizzazione di un ramo dell’ipogastrica destra è stata eseguita con un accesso transfemorale controlaterale; questo approccio è utile perché coinvolge un sito lontano dall’ematoma che potrebbe interferire con l’iniziale cateterizzazione; questa procedura ha fermato il sanguinamento senza causare complicanze ischemiche. Il caso clinico presentato ha lo scopo di sottolineare l’importanza di un attento monitoraggio clinico-strumentale in pazienti, soprattutto anziani, con frattura composta ed isolata della branca ileo-ischio-pubica data la possibilità di emorragie secondarie anche a distanza di giorni dal trauma che possono causare instabilità emodinamica; riteniamo inoltre che uno studio TC con mdc, motivato da un’evoluzione della condizione clinica, sia necessario per una cor- 15 retta diagnosi e per pianificare una successiva angiografia con embolizzazione selettiva in regime d’urgenza. BIBLIOGRAFIA 1) Kannus P et al. Epidemiology of osteoporotic pelvic fractures in elderly people in Finland: sharp increase in 1970-1997 and alarming projections for the new millennium. Osteoporosis Int 2000;11:443-8. 2) Hill RMF et al. Fractures of the pubic rami: epidemiology and five-year serviva. JBJS (Br) 2001;83-B:1141-4. 3) Koval KJ et al. Pubic rami fractures: a benign pelvic injury?. 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Le fratture mediali e laterali del femore prossimale sono molto comuni nelle persone anziane e sono in costante crescita, in relazione all’invecchiamento della popolazione occidentale. L’età avanzata, le condizioni generali, lo stato psico-fisico, l’osteoporosi, lo stile di vita sedentario e le patologie associate condizionano la scelta e il timing ottimale dell’intervento chirurgico16. Le più aggiornate linee guida di numerose società scientifiche, così come l’ampio volume di lavori scientifici pubblicati negli ultimi anni, concordano sul fatto che 24-48 ore sono l’intervallo di tempo ottimale per l’avvio di una procedura chirurgica sul paziente anziano con frattura di femore. A fronte di un’ampia convergenza scientifica sull’opportunità di un “timing” chirurgico rapido nel trattamento delle fratture di femore, i dati rilevati dal rapporto Osservasalute del 2010 indicano che in Italia solo il 32,5% dei pazienti di età > 65 anni è sottoposto ad intervento chirurgico entro le 48 ore, il che evidenzia un’incongruenza tra raccomandazione clinica e performance ospedaliera. Il risultato del 32,5 % dell’Italia, piuttosto basso rispetto alla media dei paesi europei che si attesta intorno al 90%, presenta poi un’ulteriore variabilità regionale: sussistono, infatti, marcate differenze tra le varie regioni, con un range che va, per esempio, dal 16,9 % della Basilicata al 65,4 % della Valle d’Aosta. Il perché di tale diversità tra gli indicatori di appropriatezza clinica e organizzativa in paesi come l’Italia o la Spagna rispetto alle altre nazioni europee (Norvegia, Svezia e Finlandia, ad esempio, presentano un indicatore > 90%) trova una probabile spiegazione nei modelli di gestione sia in fase di accesso e preoperatoria, sia in fase postoperatoria e riabilitativa. Dalla lettura di questi dati emerge la necessità di dover sviluppare modelli organizzativo-gestionali individualizzati, che tengano conto delle caratteristiche delle singole strutture ospedaliere e che vedano sinergicamente coinvolte diverse competenze mediche: anestesiologiche, infermieristiche, chirurgiche, riabilitative. Non a caso si utilizza il termine “sinergicamente”, perché tutte le diverse figure professionali devono sentirsi coinvolte nella gestione del paziente, dal suo ingresso in AITOG OGGI - settembre 2011 pronto soccorso sino alla dimissione, non confinando le proprie competenze ai singoli scenari clinici, ma integrandole, con l’obiettivo di migliorare l’outcome di questi pazienti certamente più fragili anche per l’età avanzata. La mortalità ad un anno dopo una frattura del collo del femore si aggira intorno al 12% potendo raggiungere il 36% in determinati gruppi di popolazione. Considerato che in Italia sono più di 10 milioni le persone che hanno superato i 65 anni di età e che gli ultraottantenni sono circa quattrocentomila, si tratta di circa settantamila fratture su base annua; l’entità del problema è quindi rilevante. Il trattamento ortopedico delle fratture mediali e laterali del femore prossimale dell’anziano ha subito negli ultimi anni un’evoluzione dovuta da un lato al miglioramento delle tecniche e degli strumentari chirurgici e dall’altro alla constatazione dell’importanza di un trattamento precoce che consenta una ridotta immobilizzazione, un più rapido recupero funzionale ed un reinserimento precoce nell’ambiente familiare e sociale. La scelta terapeutica si basa classicamente su due considerazioni: le condizioni generali del paziente globalmente considerato (età cronologica ma soprattutto fisiologica, il livello di attività e di indipendenza pre trauma, le comorbidità associate), e il tipo di frattura. Escludendo i pazienti ad altissimo rischio operatorio considerati non operabili, sempre più rari, il trattamento di scelta è quindi ovviamente chirurgico, al fine di evitare i danni e le complicazioni da allettamento prolungato. La scelta può variare tra la osteosintesi (viti cannulate, placche e viti a scivolamento o chiodi endomidollari) e la sostituzione protesica (endoprotesi o artroprotesi) in base al tipo di frattura. Le teste uni polari o bipolari così come l’utilizzo o meno del cemento sono un ulteriore argomento di dibattito. Il PUNTO DI VISTA DELL’ORTOPEDICO L ’obiettivo del trattamento delle fratture mediali e laterali del femore prossimale nell’anziano va oltre il gesto tecnico di sintetizzare o sostituire chirurgicamente la testa femorale, ma riguarda la necessità di restituire al paziente il suo stato funzionale e di indipendenza precedente l’evento fratturativo. Le fratture del femore prossimale nei pazienti anziani comportano un rischio di morbilità, complicazioni e mortalità immediata e a distanza elevato. Considerazioni ortopediche e anestesiologiche sul paziente anziano con frattura di femore prossimale La mortalità complessiva intra ospedaliera risulta essere compresa tra il 2 e l’11% e risulta direttamente correlata con le condizioni fisiche e psichiche preesistenti, con le comorbidità presenti al momento del ricovero, con la classificazione ASA, con il tipo di intervento eseguito e con l’età anagrafica. Il rischio di mortalità a un anno rimane elevato, dal 9 al 25% a seconda dei sottogruppi valutati, con una media del 12%. In particolare il trattamento chirurgico in urgenza differita non sembra influenzare la mortalità intra e post operatoria intra ospedaliera. Quando il ritardo nell’intervento supera i tre giorni, correlandosi con l’incremento del punteggio ASA, si pone come indice prognostico negativo e la mortalità intra operatoria raddoppia. Le complicanze a breve termine, presenti nel 15% dei casi, devono essere prevenute e trattate prontamente. Tali complicanze comprendono le infezioni ospedaliere, l’incontinenza e la ritenzione urinaria, la TVP ed il tromboembolismo polmonare, le ulcere da decubito, gli incidenti cerebro vascolari, l’infarto miocardico e l’insufficienza renale. Le complicanze chirurgiche a distanza comprendono il fallimento della sintesi, le lussazioni e le fratture peri-protesiche, i re-interventi comunque considerati e le infezioni superficiali e profonde della ferita chirurgica. Tra le complicanze a distanza, particolarmente temibili sono: la necrosi della testa del femore e le pseudoartrosi. L’obiettivo del chirurgo ortopedico consiste quindi sicuramente nel trattare la frattura da un punto di vista strettamente meccanico riducendo e sintetizzando la stessa con un costrutto stabile o protesizzando l’estremità prossimale del femore, ma al fine ultimo di consentire una precoce mobilizzazione del paziente, così da diminuirne i tempi di allettamento ed i rischi di complicanze precedentemente elencate, e favorire un rapido inizio della rieducazione funzionale finalizzata ad un recupero il più possibile completo dell’autonomia funzionale e di relazione del paziente16. La scelta terapeutica da un punto di vista chirurgico23 si basa su due fattori principali: le condizioni generali del paziente (tenendo presente l’età cronologica ma soprattutto quella biologica, il livello di attività e di indipendenza pretrauma, le comorbidità associate), ed il tipo di frattura. La qualità e quantità (osteoporosi) dell’osso sono inoltre un fattore importante da tenere in considerazione. Il timing chirurgico, vale a dire il momento ideale in cui entra in gioco il chirurgo ortopedico, è stato ed è tutt’oggi argomento di discussione. Alla luce dei numerosi lavori e studi presenti in letteratura possiamo affermare che 24-48 ore sono l’intervallo di tempo ottimale per l’avvio di una procedura chirurgica sul paziente anziano con frattura di femore. Infatti un ritardo nell’effettuare l’intervento chirurgico e quindi a catena anche nella mobilizzazione del paziente aumenta considerevolmente il numero di complicanze legate all’allettamento prolungato e quindi anche la morbidità e la mortalità, influenzando negativamente il risultato finale. Tuttavia bisogna tenere sempre ben presente che una chirurgia affrettata e la mancata stabilizzazione dei pro- 17 blemi medici prima dell’intervento aumenta il rischio di complicanze perioperatorie e anche la mortalità a breve termine. Il trattamento chirurgico Le fratture mediali (fig. 1) I pazienti con fratture mediali del femore prossimale composte, deambulanti prima del trauma, vengono trattati con sintesi interna per prevenire una potenziale scomposizione secondaria, che potrebbe avvenire con una frequenza del 10-30%. L’osteosintesi con viti cannulate rimane il trattamento prescelto dalla quasi totalità dei chirurghi per le fratture composte del collo del femore, indipendentemente dall’età e da altri fattori considerati, tuttavia nel paziente anziano trovano minore indicazione a causa della scarsa qualità dell’osso quasi sempre osteoporotico e per il fatto che questo tipo di trattamento prevede una mobilizzazione ritardata con conseguente rischio di aumento delle complicanze legate all’allettamento prolungato. Un minimo di tre viti cannulate inserite parallelamente nel collo del femore fino a 0,5 cm dalla testa sono il trattamento standard. Una quarta vite non sembra aggiungere ulteriore stabilità, mentre due sole viti sono ritenute insufficienti dalla maggior parte degli autori. Le viti devono essere posizionate nei 2/3 centrali del collo e della testa e decentrate verso i quadranti inferiore e posteriore15. Gli errori di tecnica, i fallimenti precoci e tardivi (pseudoartrosi e osteonecrosi) e le complicanze intra e post operatorie non sono infrequenti e richiedono un reintervento con sostituzione protesica della testa. Per le fratture mediali scomposte le opzioni comprendono la sostituzione protesica con o senza cemento (protesi totale o endoprotesi, bipolare o unipolare). I pazienti precedentemente non deambulanti (sia con frattura composta che scomposta) possono essere trattati conservativamente con una mobilizzazione precoce. In caso di persistenza di dolore a distanza, si può procedere a resezione o endoprotesi. Nelle fratture scomposte rimane elevato il rischio di necrosi della testa del femore e quindi, fermo restando il carattere dell’urgenza, è consigliabile nel paziente più anziano orientarsi verso una sostituzione protesica. Nei soggetti più anziani, la scelta terapeutica si sposta progressivamente verso una protesizzazione, anche in funzione della gravità della scomposizione, della comminuzione della frattura e delle condizioni generali del paziente. Un quadro di marcata osteoporosi rende l’osteosintesi ad alto rischio di fallimento. Non esiste uniformità di giudizio nei confronti delle protesi unipolari o bipolari. A parte la considerazione di un maggior costo per le protesi bipolari, non esiste una evidenza scientifica a favore di una minore usura dell’acetabolo da parte delle teste bipolari. La modularità consente comunque una conversione verso l’artroprotesi ove necessario per problemi legati all’usura o alla lussazione. Naturalmente la preesistenza di una artropatia da artrite reumatoide o una coxartrosi indirizzano verso l’artroprotesi totale d’anca. AITOG OGGI - settembre 2011 P. santo, F. RIzzo, C. Casadei, F. miola, R. facchini 18 Fig. 1: algoritmo terapeutico fratture mediali del femore prossimale. Nell’anziano l’aumento di incidenza delle fratture prossimali di femore rappresenta il più importante fattore socio economico correlato all’osteoporosi, Il sistema osseo nel paziente osteoporotico può avere una risposta allo stress meccanico deficitaria nel lungo periodo. I carichi trasmessi all’interfaccia osso impianto possono spesso superare la ridotta tolleranza allo stress dell’osso osteoporotico. Questo fenomeno può risultare in microfratture, riassorbimento locale dell’osso e mobilizzazione dell’impianto. Questo rischio ha condotto verso impianti cementati nella tendenza di migliorare l’interfaccia osso impianto prevenendo alti picchi di carichi e distribuendo le forze trasmesse all’osso attraverso la modulazione del ce mento. La sostituzione protesica sembra essere superiore alla fissazione interna nel ridurre il rischio di una chirurgia di revisione, nella riduzione del dolore e nel miglioramento della qualità della vita. Al contrario la sintesi interna (con viti) viene ritenuta superiore nel ridurre i tempi chirurgici, le perdite ematiche, il tasso di infezione e il rischio di mortalità peri e post operatoria. Gli interventi di revisione, in caso di fallimento della prima opzione terapeutica, vengono considerati procedure a maggiore difficoltà e gravate da un numero maggiore di complicanze e mortalità rispetto alla procedura originale. AITOG OGGI - settembre 2011 Le fratture laterali (fig. 2) Le fratture della zona per-sottotrocanterica, da sempre considerate ad evoluzione più benigna rispetto a quelle mediali pongono, invece, frequenti problemi di trattamento soprattutto per quanto riguarda la scelta del tipo di mezzo di sintesi più idoneo al tipo di frattura e alla stabilità dell’impianto18. Inoltre, se queste fratture non comportano quasi mai problemi di carattere biologico locale nel processo di guarigione, spesso si evidenziano problemi di ordine generale legati all’età del paziente, alle sue patologie associate preesistenti e concomitanti e allo stato psichico23. Attualmente esiste una vastissima gamma di mezzi di sintesi19, ognuno con caratteristiche meccaniche e requisiti specifici, utilizzabile in questo tipo di fratture, ed è compito dell’ortopedico scegliere il sistema più idoneo al tipo di frattura, alle qualità dell’osso e alle caratteristiche del paziente, tenendo in considerazione tutte le variabili individuali: età, sesso, peso corporeo, attività fisica, condizione mentale e generale pre-trauma, patologie in essere o insorgenti che possono condizionare l’esito del trattamento, qualità dell’osso. Il trattamento ortopedico delle fratture laterali del collo del femore nell’anziano è essenzialmente chirurgico, al fine di evitare le complicanze dovute all’allettamento: lesioni da decubito, polmoniti, infezioni urologiche e decadimento dello stato psico-fisico. I pazienti considerati non opera- Considerazioni ortopediche e anestesiologiche sul paziente anziano con frattura di femore prossimale 19 Fig. 2: algoritmo terapeutico fratture laterali del femore prossimale. bili o ad elevatissimo rischio operatorio sono ormai rari. Tuttavia la scelta del mezzo di sintesi da utilizzare non è un momento da sottovalutare in quanto è ormai superato il concetto che un unico mezzo di sintesi possa risolvere tutte le fratture. Il momento fondamentale nella scelta del trattamento delle fratture extracapsulari del collo del femore è lo studio del tipo di frattura: numero dei frammenti, decorso della rima, grado di scomposizione, integrità del muro mediale e laterale2. La classificazione più utilizzata per questo tipo di fratture è quella AO20, secondo la quale le fratture, identificate come 31-A, sono suddivise in tre gruppi: A1, A2 e A3. L’ulteriore suddivisione in sottogruppi non sembra portare a vantaggi in termini prognostici o di scelta del trattamento e risulta quindi scarsamente utilizzata. L’unica vera variabile che sembra in grado di influire sul risultato finale è il riconoscimento della “stabilità” o meno della frattura che influisce sulla scelta del mezzo di sintesi, sul tasso di possibili complicazioni ed in definitiva sul risultato finale18. Le fratture di tipo A1 e A2 sono descritte come pertrocanteriche, caratterizzate da una rima di frattura a decorso obliquo da prossimo-laterale a disto-mediale, semplici a due monconi, con la corticale mediale integra e senza perdita ossea postero-mediale, composte o scomposte le A1, più complesse in quanto pluriframmentarie, con parziale o totale distacco del piccolo e/o del grande trocantere e quindi più instabili le A2. Il trattamento incruento per questo tipo di fratture è riservato a pazienti gravemente compromessi, non deambulanti e con gravi comorbidità e rischi anestesiologici che non consentono l’intervento chirurgico. Il trattamento chirurgico è la scelta d’elezione e le diverse opzioni sono: chiodo endomidollare, vite-placca a scivolamento, placche ad angolo fisso a 95°; in tutti i casi la riduzione della frattura può essere incruenta o cruenta a seconda del tipo di frattura2. In questo tipo di fratture, secondo la letteratura, non vi sono evidenze che supportino l’uso routinario della fissazione intramidollare; per le fratture pertrocanteriche stabili una vite placca fornisce un’alternativa semplice e sicura, per le fratture considerate instabili, la preferenza per gli impianti intramidollari, sebbene biomeccanicamente superiori dal punto di vista teorico, non è basata su evidenze scientifiche che riportino un miglior outcome clinico. In queste fratture trova spazio anche l’opzione della sostituzione protesica21, in quanto l’integrità del muro laterale permette l’impianto di endoprotesi e artroprotesi. L’endoprotesi è indicata in caso di pazienti con scadente qualità dell’osso e grave osteoporosi, nonché nelle fratture patologiche, che non garantirebbero la tenuta dell’osteosintesi e in caso di necessità di carico immediato; l’artroprotesi è indicata in pazienti con pregressa grave coxartrosi o artrite reumatoide o ancora frattura patologica. Più spesso si ricorre alla sostituzione protesica come trattamento del fallimento di un’osteosintesi, in tal caso il rischio di insuccessi e di fallimenti è sensibilmente più alto che negli interventi di elezione. Le fratture di tipo A3 rappresentano un gruppo a parte, sono definite intertrocanteriche e sono di differente morfologia, la rima di frattura decorre tra i due trocanteri, da sopra il piccolo trocantere medialmente fino sotto la cresta del vasto laterale lateralmente, segue quindi una direzione opposta rispetto a quelle del gruppo precedente: da prossimo-mediale a disto-laterale. Per questo motivo, infatti, sono anche chiamate inverse oblique o trasverse intertrocanteriche e sono considerate fortemente instabili16. Il trattamento è necessariamente chirurgico e, ad esclusione dei rari casi inoperabili, prevede l’utilizzo preferenziale del chiodo endomidollare, un’alternativa può essere l’utilizzo di una vite placca a 95° (DCS), pur AITOG OGGI - settembre 2011 P. santo, F. RIzzo, C. Casadei, F. miola, R. facchini 20 in presenza di un discreto tasso di fallimenti e cedimenti meccanici2. Nelle fratture di tipo A3 la sostituzione protesica è difficilmente attuabile proprio per le caratteristiche di alta instabilità della frattura stessa in cui si ha la mancanza del muro laterale di appoggio. IL PUNTO DI VISTA DELL’ANESTESISTA S e il miglioramento dell’outcome del paziente geriatrico con frattura di femore, come testimoniato dai risultati di larga parte della letteratura nazionale e internazionale, passa certamente attraverso una riduzione dei tempi che intercorrono tra ingresso del paziente in pronto soccorso e intervento chirurgico, sembra altresì imprescindibile la necessità di un approccio clinico multidisciplinare che preveda un percorso diagnostico-terapeutico teso al raggiungimento di un obiettivo fondamentale che ci piace denominare “STRESS PROTECTION”. Il soggetto anziano rappresenta una porzione della popolazione ospedaliera complessa da trattare, non soltanto per l’età avanzata, che deve essere considerata come fattore di rischio indipendente, quanto, piuttosto, rispetto alla tipologia e al numero di comorbidità sottostanti. Consideriamo fondamentale, quindi, la valutazione dell’’età biologica e non soltanto di quella anagrafica, perché la risposta allo stress perioperatorio non è certamente uguale in un soggetto geriatrico sano e in un soggetto con patologie sottostanti. L’invecchiamento si associa a una serie di modificazioni fisiologiche che comportano una riduzione della capacità funzionale complessiva e, pertanto, un ritardo nella risposta fisiologica allo stress chirurgico. Il sistema cardiocircolatorio, con il crescere dell’età, va incontro a un fisiologico rimodellamento che può essere descritto, in ultima analisi, come una sorta di disfunzione diastolica con perdita progressiva di risposta meccanica efficace. Aumento delle richieste metaboliche, modificazioni improvvise della volemia o tossicità diretta dei farmaci utilizzati in anestesia possono comportare una risposta inadeguata della performance cardiaca e precipitare in uno stato di “ heart failure”. È utile indagare sui limiti di riserva cardiaca e sullo stato volemico di questi pazienti: il ricorso all’ecocardiografia, pertanto, deve essere preso in considerazione non solo nei pazienti con storia di scompenso o pregresso IMA, ma anche come presidio per una rapida valutazione della volemia. Perdite di sangue dal sito di frattura, che possono variare da pochi millilitri nelle fratture intracapsulari a più di un litro nelle inter-subtrocanteriche, unitamente ad uno stato di disidratazione, possono comportare pericolose turbe dell’equilibrio emodinamico e rischio di scompenso cardiaco o IMA. Oltre al rimodellamento cardiovascolare, anche la meccanica respiratoria si modifica nell’età avanzata con decremento della compliance polmonare, aumento del lavoro respiratorio e riduzione della ventilazione minuto. AITOG OGGI - settembre 2011 Diminuita capacità di risposta all’ipossia, tosse inefficace, storia di stroke, BPCO, allettamento prolungato aumentano la possibilità di complicanze postoperatorie come inalazione, atelettasia e polmonite. Una riduzione del timing chirurgico e una mobilizzazione precoce, facilitata da un piano anestesiologico che garantisca un ottimale controllo del dolore, possono ridurre drasticamente l’incidenza di tali complicanze. Attualmente vengono utilizzati diversi sistemi a punteggio per stimare la possibilità di insorgenza di complicanze peri-postoperatorie, e numerosi studi ne hanno indagato la validità e il valore predittivo. E.Burgos e coll., in un lavoro scientifico pubblicato nel 2008, hanno valutato il valore predittivo di sei diversi tipi di risk score applicati su pazienti anziani sottoposti ad intervento chirurgico per frattura di femore. I risultati sembrano indicare che POSSUM scale, RISKVAS scale e CHARLSON index possiedono un sufficiente valore predittivo in relazione a complicanze postoperatorie maggiori, mentre BARTHEL index e RISK-VAS si dimostrano efficaci come predittori di capacità a deambulare a tre mesi dalla chirurgia. Nessuno degli score presi in esame ha però dimostrato capacità predittiva sul tasso di mortalità a 90 giorni dalla chirurgia. La scelta anestesiologica, generale vs periferica? Qualunque dibattito sull’argomento, a nostro parere, sembra ormai superato, soprattutto se si considera l’impatto che lo sviluppo farmacologico e tecnologico degli ultimi venti anni ha avuto nel trattamento dei pazienti particolarmente fragili. L’utilizzo di farmaci sempre più sicuri in termini di tossicità e con ridotto impatto emodinamico ha colmato il gap tra anestesia generale e periferica; il ricorso nel paziente compromesso all’anestesia generale è un’opzione che riteniamo indispensabile soprattutto quando è necessario uno stretto controllo delle funzioni vitali. Inoltre la possibilità di un monitoraggio semi-invasivo, come l’analisi del contorno del polso arterioso e il controllo ecografico della funzionalità cardiaca e dello stato volemico del paziente garantiscono un miglior controllo delle funzioni vitali e una riduzione di complicanze postoperatorie. L’obiettivo che dovrebbe guidare la scelta di una strategia anestesiologica adeguata alle esigenze dei pazienti è sicuramente la protezione d’organo. L’anestesia regionale, praticata nel nostro istituto al l’80% circa dei pazienti chirurgici, garantisce un piano ottimale di anestesia, un’eccellente controllo del dolore nel postoperatorio, una bassa incidenza di complicanze. Il ricorso all’uso dell’ecografo nell’anestesia loco regionale ha poi implementato una già efficace pratica anestesiologica periferica, aumentandone anche sicurezza e tolleranza. La cateterizzazione nervosa del plesso lombare, inoltre, garantisce nella chirurgia per frattura di femore una buona copertura anestetica e antalgica, consentendo in selezionati gruppi di pazienti un’ottimale soluzione anestesiologica. Considerazioni ortopediche e anestesiologiche sul paziente anziano con frattura di femore prossimale 21 CONCLUSIONI 9) I 10) Kenneth J Koval A (2004) Clinical Pathway for Hip Fractures in the Elderly. Techniques in Orthopaedics, 19(3): 181-186. pazienti geriatrici con frattura di femore, il cui trattamento è molto impegnativo sia nelle età estreme, sia quando si presentano affetti da plurime patologie sottostanti, richiedendo un approccio sistematico e multidisciplinare. Valutazione, stratificazione del rischio e stabilizzazione richiedono tempo e risorse, pertanto riteniamo indispensabile una rapida intercettazione del paziente già in pronto soccorso, intercettazione tesa alla realizzazione di un protocollo condiviso mirato a un pronto riconoscimento di deficit (funzionali, nutrizionali, cognitivi) e a una riduzione dei rischi legati alle procedure anestesiologiche e chirurgiche. Tipo di frattura e proposta chirurgica devono guidare la programmazione di un’adeguata strategia anestesiologica e del controllo del dolore postoperatorio. Non va sottovalutato, inoltre, l’apporto internistico, che si è rivelato indispensabile nel trattamento clinico di questa categoria di pazienti sia nel pre che nel postoperatorio, determinando una drastica riduzione di ricoveri prolungati e di morte intraospedaliera. Riteniamo, in ultima analisi, indispensabile la creazione di un team multi specialistico che condivida un protocollo terapeutico comune e che si prefigga come obiettivo non solo il raggiungimento di un timing ottimale nel trattamento di questi pazienti, ma, soprattutto, un miglioramento dell’outcome a medio e lungo termine. BIBLIOGRAFIA 1) 2) Nicole Simunovic MSc. Effect of early surgery after hip fracture on mortality and complication: systematic review and meta-analysis. CMAJ 2010 182(15). R. Facchini, A. Paronzini, F. Miola. “Algoritmo di trattamento delle fratture laterali del femore”. Book part In: Il timing delle fratture del femore prossimale nell’anziano / C. Lazzarone, P. Maniscalco; [a cura di] A. Bova, F. Donelli, A. Tango. - Bologna: Timeo, 2009 Sep. - ISBN 978-88-86891-87-5. - Pag 4755. In: Le fratture del femore prossimale nell’anziano / C. Lazzarone, V. Valerio, F. Amici, E.C. Marinoni, A. Tango. - Milano: Edizioni Keyword Europa, 2007. - ISBN 88-87659-03-6. - p. 89-98. 3) Beaupre LA. Reduced morbidity for elderly patients with a hip fracture after implementation of a perioperative evidence-based clinical pathway. BMJ 2006 Oct;15(5):375-9. 4) E.Burgos,J. Predictive value of six risk scores for out come after surgical repair of hip fracture in elderly patients. Acta Anaesthesiol Scand 2008;52: 125-131. 5) Kop.L. Mortality risk factors in the elderly with proximal femoral fracture treated surgically. 2009 feb;76(1):41-6 Acta Chir Orthop Traumatol Cech. 6) Zuckerman JD. Hip fracture. N Engl J Med 1996;334:1519-25. 7) Roche JJ. Effect of comorbidities and postoperative complication on mortality after hip fracture in elderly people:prospective observational color study. 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In caso del verificarsi di un evento lesivo, l’opera del sanitario è riconducibile al diritto penale in quanto è da considerarsi comportamento colposo. Presupposto di questo rapporto contrattuale è la capacità delle due parti di obbligarsi e la cui condizione fondamentale è il Consenso del Paziente. Si tratta di un atto volontario con cui il paziente da vita a un rapporto dal quale deriva l’obbligo di farsi curare e, dall’altra parte, l’obbligo di curare. Il fine di rendere edotto e consapevole il paziente del contenuto delle possibili e prevedibili conseguenze, diventa elemento fondamentale per la validità del contratto. Occorre, infatti, una continua informazione relativa alla patologia, al trattamento terapeutico, alle possibili alternative e alle prevedibili complicanze che le cure stesse potrebbero determinare. La mancanza d’informazione può invalidare il contratto, portando così l’operato del medico ad essere illecito. Il lavoro del medico, sia clinico che chirurgico dev’essere orientato al conseguimento della guarigione del malato, ma il successo è anche dato da un corretto comportamento del sanitario. Un comportamento diligente da parte del medico è necessario per valutare il criterio della prestazione effettuata. La “diligenza” deve corrispondere al tipo di condotta richiesta in determinate circostanze, mentre diventa azione colposa quando si riscontra diversa da quella richiesta ed occorre considerarla come una violazione consapevole di regole di condotta. INFORMAZIONE CONSENSO N ella valutazione dell’attività prestata dal medico, ha particolare rilievo il risultato prefissato. Si può valutare soltanto alla fine del trattamento se l’attività terapeutica o chirurgica può essere considerata diligente o colposa. L’obiettivo ricercato è, ovviamente, il buon risultato della cura o dell’intervento chirurgico. Occorre tenere anche pre- AITOG OGGI - settembre 2011 sente che la prestazione medico-chirurgica deve cercare di ottenere non solo la guarigione della singola infermità, ma di migliorare le condizioni generali del paziente. Le aumentate problematiche medico-legali relative al trattamento medico-chirurgico, sono in parte dovute dall’evoluzione della professione sanitaria e alla continua pressione mediatica. In ortopedia e in traumatologia l’introduzione di nuove metodologie, come ad esempio la robotica, e alcune metodiche anestesiologiche, sono sempre più causa di discussione come ipotesi di illecito civile e penale del medico. Solitamente sono due i profili medico-legali che condizionano inconfutabilmente il modus operandi: a) Le condizioni fisiche che indirizzano la scelta del trattamento sanitario; b) Il profilo socio-economico dei trattamenti medicochirurgici. È infatti previsto che il medico concorra al contenimento della spesa pubblica. A) Le condizioni fisiche che indirizzano la scelta del trattamento La scelta delle cure, siano conservative o chirurgiche, deve avvenire sotto il profilo medico-legale i cui riflessi più immediati vanno stabiliti nella fase pre-operatoria dove la valutazione clinica può determinare varie possibilità ugualmente valide e praticabili. Grande attenzione inoltre deve essere posta nella fase post-operatoria: occorrono accertamenti clinico-radiografici, per evitare il verificarsi di complicanze in grado di sbilanciare il Rapporto Rischio/Beneficio. Complicanze che potrebbero portare elementi lesivi di natura biomeccanica o infettiva e che richiederebbero un’opportuna profilassi anti-tromboembolica oltre a una congrua copertura antibiotica in base alle condizioni pre-esistenti del paziente. “Il risultato di un trattamento chirurgico in ortopedia e traumatologia dipende da diversi fattori: 1) L’età e le condizioni biotipi che del soggetto; 2) Il timing dell’evolutività delle patologie interessanti l’apparato locomotore; 3) Le diverse opzioni terapeutiche; 4) La differibilità dei trattamenti specifici; 5) L’evoluzione tecnologica della metodologia proposta; 6) La possibilità di eventuale re intervento nella stessa location. Il chirurgo, nel Planning Pre-Operatorio, deve assolutamente valutare il rapporto rischio/beneficio. Per “rischio” si intende l’evento lesivo che si verifica nel caso di intervento e dipende dall’esecuzione tecnica che la prevenzione dell’errore in ortopedia e traumatologia non è prevedibile, spesso non è avvertibile e, come tale, è difficilmente eludibile. In questo contesto si evince come sia fondamentale, al fine di poter valutare la strategia più idonea, l’esperienza e la casistica del chirurgo. L’operando dovrà essere edotto nel modo più chiaro possibile sulla diagnosi, sulle prospettive e sulle eventuali alternative terapeutiche, ma, soprattutto, sulle possibili e prevedibili conseguenze delle scelte operate. “Per quanto riguarda le terapie innovative e sperimentali, esse comportano particolari obblighi per il medico che le propone, relativamente ai contenuti dell’informazione che viene fornita all’assistito al fine dell’acquisizione del consenso. Intervento di speciale difficoltà – art. 2336 del C.C. La metodologia precedentemente richiamata risulta fondamentale per ogni trattamento sanitario, ma è doveroso, giunti a questo punto, effettuare la distinzione tra una terapia ‘consolidata’, che a sua volta può presentare, anche se di routine, problemi tecnici di speciale difficoltà. Qualora sia necessario, secondo il sanitario, l’effettuazione di un trattamento consolidato, ma che presenta la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà (ovviamente da documentare!), è fondamentale far comprendere al paziente la complessità dell’intervento da impostare, evidenziandone specialmente i rischi e i benefici presumibili, in modo tale che egli abbia una piena consapevolezza e non percepisca il trattamento come ‘semplice’ (come spesso avviene a causa di una cattiva informazione mediatica), quindi con l’aspettativa di un buono, se non ottimo, risultato. Pertanto, in base alla scelta del trattamento di specie, l’ortopedico dovrà valutare, di volta in volta, il trattamento medico o chirurgico più appropriato, sempre tenendo conto delle conoscenze e delle evenienze previste in letteratura; dal rapporto rischio-beneficio e, non da ultimo, delle direttive date delle Linee Guida. In merito allo stato anteriore del paziente, lo specialista, sempre con una attenta anamnesi e con un rigoroso esame clinico, dovrà riconoscere l’eventuale presenza di condizioni clinico-patologiche che potrebbero rappresentare contro-indicazioni assolute o relative all’intervento prospettato. PROFILI DI RESPONSABILITà PROFESSIONALI U n valido consenso non esente l’ortopedico da responsabilità. Nella fase pre-operatoria, potrebbero sorgere profili di Responsabilità Professionale per: – una valutazione dello stato anteriore del soggetto non corretta o incompleta, – una definizione del rapporto rischio/beneficio imprecisa, – un comportamento imperito nel planning pre-operatorio e nella scelta della profilassi antibiotica e anti-tromboembolica, – un errore nell’indicazione terapeutica o chirurgica. Per ciò che riguarda la fase terapeutica od operatoria: ci si riferisce all’Atto Chirurgico nella sua globalità, sia come 23 tecnica, che come modalità di esecuzione e difficoltà di trattamento (intervento di routine o complesso). In sintesi, profili di responsabilità professionale potranno risultare per: – la tipologia dell’intervento praticato (modalità di esecuzione, tecnica chirurgica adottata, complessità dell’atto operatorio, ecc); – errori da parte dell’operatore durante l’esecuzione dell’intervento stesso. La fase post-operatoria dev’essere caratterizzata da una verifica del risultato e da assistenza sanitaria e farmacologica. Questo tipo di controlli e di assistenza servono per il recupero delle condizioni del paziente operato e valgono come verifica e per valutare che siano adeguati sia la somministrazione di terapie mediche, che gli accertamenti strumentali, iconografici e i programmi riabilitativi. Il medico dovrà avere la massima attenzione, durante il decorso post-operatorio, per il problema inerente le “complicanze”, definite come eventi avversi, che possono essere prevedibili (citati in letteratura) e imprevenibili. Le complicanze di solito non sono fonte di responsabilità medica se la condotta dello specialista è stata conforme alla “Lege Artis”. Purtroppo, una complicanza può rientrare nella Malpractise in caso non sia riconosciuta o non lo sia tempestivamente, in quanto, tale situazione, rende impossibile o troppo ritardata la messa in atto di adeguati trattamenti. Il conseguente rischio è di possibili, gravi o a volte fatali conseguenze. Si ricorda che l’insorgere di una complicanza maggiore può essere causa di responsabilità se non sia stata esaurientemente spiegata nel Consenso Informato. Le infezioni e la trombosi venosa profonda sono catalogate tra le complicanze generali; le altre, considerate specifiche, sono di solito in rapporto al tipo di intervento chirurgico cui è stato sottoposto il paziente. B) Il profilo socio-economico dei trattamenti medico-chirurgici: Oltre agli aspetti clinici che indirizzano la scelta del trattamento sanitario, ha un ruolo importante il profilo socio-economico dei trattamenti medico-chirurgici che fa parte di una realtà organizzativa di gestione della salute. La gestione della salute prevede la partecipazione del medico al contenimento della spesa pubblica sanitaria, secondo una direttiva che indirizza verso nuove tecniche diagnostiche-terapeutiche e con minori costi complessivi del trattamento. Questi nuovi criteri socio-economici condizionano la scelta del trattamento molto di più rispetto alle considerazioni di natura clinica. Questi criteri sono la regola su cui si basa l’aziendalizzazione della sanità. Soprattutto quando si tratta di ortopedia e traumatologia, branche dinamiche ed evolutivamente tecnologiche, in caso di contenzioso potrebbero esserci maggiori difficoltà per il chirurgo nel sottrarsi alle responsabilità. In definitiva, noi riteniamo che il medico, nonostante la complessità del trattamento della “salute”, debba attuare come scelta la salvaguardia del benessere del singolo paziente. AITOG OGGI - settembre 2011 Fabio M. DONElli 24 BIBLIOGRAFIA 1) Coccarella – Gunnar B. J. Anderson, American Medical Association. 2) Mauro Barni, Il rapporto di causalità materiale in medicina legale, A. Giuffré editore. 3) G. Bianchi – F. Canale – A. Montolivo, Appunti di semiotica per l’accertamento medico-legale dei postumi permanenti, A. Giuffré editore, 2° edizione. 4) Qzrem Carella Prada, Argomenti di medicina legale in geriatria, Società editrice Universo, Roma. 5) Freddie H. Fu, Tecniche di chirurgia ortopedica: ortopedia geriatrica,Vol. 3° n. 1 e Vol. 3° n. 3. 6) T. Feola – P. Antignani – C. Durante – M. Spalletta, Consenso informato: facoltà di curare e pazienti con incerte capacità a consentire. 7) S.I.O.T., Consenso informato per l’esecuzione di procedure diagnostiche e trattamenti terapeutici, Roma nov. 2008. 8) R. A. Gorlin, Codea of professional responsibility: ethics standards in business, health and law, BNA Books, 1999. 9) G. Marseglia – L. Viola, La responsabilità penale e civile del medico, Halley Editrice, 2007. AITOG OGGI - settembre 2011 10) G. Martini – D. Perugia, Gli errori in chirurgia ortopedica e traumatologica, Trattato, Capitolo CCVM, Vol. 5. 11) G. Martini – D. Perugia, La descrizione dell’intervento chirurgico: un dovere e un diritto, G.I.O.T. 2000; 26:244-248. 12) L. Pieraccini – D. 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Ramaioli, Intervento chirurgico con esito infausto senza che sussistano lo stato di necessità e il ‘consenso informato’ del paziente: conseguenze penali a carico dell’operatore, Giustizia penale, 128, 1996. 25 Le Fratture del collo femore dell’anziano: indicazioni all’Endo-Artroprotesi T. Mascitti, P. Leone, S. Piscitello A.O. “Bolognini” di Seriate (BG) - Struttura complessa Ortopedia e Traumatologia. Direttore Dott. Tonino Mascitti Abstract L e fratture del collo del femore nell’anziano rappresentano una patologia di crescente aumento, dovuto ad un sempre maggiore invecchiamento della popolazione. Tale patologia riveste un’importanza rilevante. Riteniamo pertanto importante stabilire le corrette indicazioni terapeutiche. Secondo la nostra esperienza, e in accordo con i dati della letteratura, si riserva l’osteosintesi (viti cannulate, o vite placca a scivolamento DHS) alle tipo I e II sec. classificazione di Garden. Nel tipo III e IV la scelta terapeutica varia a seconda dell’età biologica. Nel paziente anagraficamente anziano, ma biologicamente attivo, artroprotesi. Nel paziente portatore di significative comorbidità e/o scarsa autonomia motoria endoprotesi biarticolare. Riteniamo inoltre che vi sia indicazione al trattamento con endoprotesi biarticolare anche in alcuni casi di fratture laterali nelle quali l’osteosintesi esporrebbe ad un elevato rischio di cut-out (grado elevato di osteoporosi, pazienti con demenza o patologie neurologiche concomitanti, obesità). Parola chiave: frattura collo femore, anziano, protesi. Fig. 1: classificazione di Pauwels; A:angolo 30°, B angolo 50°, C: angolo 70°. Fig. 2: classificazione di Garden. Introduzione L e fratture del collo femore vengono divise in mediali o intracapsulari e laterali o extracapsulari (pertrocanteriche). Diverse sono le classificazioni concernenti le fratture mediali. Le più esplicative e soprattutto le più utilizzate a livello internazionale sono quelle di Pauwels1 e di Garden2. Pauwels nel 1935 classificò le fratture mediali del collo del femore in 3 tipi in base all’obliquità della rima di frattura rispetto al piano orizzontale e della conseguente possibilità di scomposizione del collo femorale: A- angolo 25-30°, Bangolo 45-50°, C- 70° (fig. 1). Nella classificazione di Garden (risalente al 1961) le fratture sono suddivise in 4 tipi in base al grado di scomposizione: nel tipo I la frattura è ingranata in valgismo con trabecole ossee della porzione inferiore del collo femorale intatte; nel tipo II la frattura è completa senza spostamento dei frammenti; nel tipo III la frattura è completa con spostamento parziale dei frammenti; nel tipo IV la frattura è completa con spostamento dei frammenti (fig 2). AITOG OGGI - settembre 2011 T. Mascitti, P. Leone, S. Piscitello 26 Epidemiologia L e fratture del collo femore nell’anziano rappresentano una patologia in crescente aumento. Tale costante incremento è dovuto ad un sempre maggiore invecchiamento della popolazione. Nel 2000 in Nord America si avevano 34,8 milioni di persone oltre i 65 anni e si prospetta per il 2040 una popolazione over 65 anni pari a 77,2 milioni. In Italia nel 2000 si avevano 10 milioni di persone over 65, tale numero salirà a 17,5 milioni nel 2050. In Nord America si prevedono oltre 500.000 fratture di collo femore ogni anno per una spesa di 9,8 bilioni di dollari. Si stima che in Europa si passerà da 300 000 casi (del 2000) di fratture del femore prossimale nelle donne a 800 000 casi nel 2050. Pertanto tale patologia riveste un’importanza sempre più rilevante sia per i tassi di mortalità/morbilità sia per i costi sanitari. Riteniamo perciò importante stabilire le corrette indicazioni terapeutiche. Indicazioni al trattamento D a un reports di 298 chirurghi Nord Americani ed Europei, Bhandari M. et Al3 evidenziano come nelle fratture tipo Garden I-II e Pauwels I, non età correlate, il trattamento di scelta sia l’osteosintesi mediante viti cannulate e non, vite placca a scivolamento DHS. Per i tipo Garden III-IV e Pauwels II-III la scelta terapeutica è da correlare all’età del paziente. Nel paziente giovane (< 60 anni) si opta per l’osteosintesi, mentre nel paziente più anziano (> 60 anni) la scelta cade sull’impianto di endoprotesi bipolare (+ frequente) o artroprotesi totale (- frequente) e negli over 80 si predilige l’endoprotesi unipolare. Nella scelta dell’endoprotesi tra unipolare e bipolare, Parker4 e Raia5 dimostrano come non vi siano sostanziali differenze di risultato. È importante però la “modularità prossimale dello stelo” per una migliore ricostruzione biomeccanica (eumetria e offset). Già negli anni ottanta Philips6 e Verbene7 dimostravano che la “Biarticolare” si comportava nel tempo come una “Unipolare”. È importante stabilire anche se cementare o meno lo stelo, ovviamente la qualità ossea incide sul successo di una protesi d’anca. L’osteoporosi aumenta il rischio di frattura o instabilità. Ciò deve essere spunto di riflessione per il chirurgo sulla scelta dello stelo. Molti autori prediligono lo stelo cementato per garantire maggiore stabilità nell’osteoporosi. Lo stelo non cementato nell’osteoporosi rischia di essere instabile perché sottodimensionato per rischio di frattura, di conseguenza è causa di Thingh Pain. Parvizi et al8 nel 2004 dimostravano un tasso di mortalità a 30 gg dall’intevento (su 7774 artroprotesi) del 1,5% nelle non cementate e del 3,5% per le cementate. Presso la nostra Struttura Ospedaliera (AO Bolognini di Seriate) il tasso di mortalità a 30 gg (su 1748 steli cementati in 15 anni) e del 1,2%, pari a 21 casi. Sulla base della nostra esperienza clinica e da una accurata review della letteratura cerchiamo di dare una corretta indicazione al trattamento delle fratture mediali di collo femore tipo Garden III-IV, valutando se sia più appropriato una sostitizione con endoprotesi o mediante artroprotesi. AITOG OGGI - settembre 2011 Diversi autori9-10-11-12-13-14 hanno evidenziato una maggiore riduzione della componente dolore ed un aumento della mobilità articolare nei pazienti trattati con artroprotesi rispetto a quelli con endoprotesi, con un conseguente aumento del punteggio dell’Harris Hip Score per i pazienti del primo gruppo. Maggiore è inoltre la chirurgia di revisione nei pazienti in cui è stata impiantata un’endoprotesi. Il dolore nelle endoprotesi è causato dalla presenza della testa metallica nell’acetabolo e da una conseguente usura della cartilagine acetabolare (cotiloiditi). Il tasso di mortalità ad un anno dall’intervento, pari al 30% , è uguale nei due gruppi. L’impianto di un’endoprotesi rimane comunque un intervento più veloce, con una tecnica chirurgica semplice14, eseguibile anche da chirurghi meno esperti. Keating12 e Blomfeldt13 dimostrano come a due anni dall’intervento i risultati clinici nelle endoprotesi tendono a peggiorare, mentre nella artroprotesi ciò non avviene. In accordo con un recente lavoro di Lowe15, affermiamo che l’età fisiologica del paziente è un fattore discriminante. È giovane il paziente anagraficamente anziano ma attivo con alta richiesta funzionale, buona qualità ossea, con nessuna o poco importanti comorbidità. È “anziano” il paziente portatore di significative comorbidità, scarsa qualità ossea, e scarsa autonomia motoria. Di conseguenza è corretto proporre nelle fratture tipo Garden III e IV al primo caso una artroprotesi d’anca , mentre rimane come scelta d’elezione l’endoprotesi biarticolare, per il paziente anziano, con molte comorbidità, poco o per nulla autonomo. Di seguito proponiamo un esempio radiografico di impianto di artroprotesi su frattura mediale di femore in un uomo di 80 anni funzionalmente indipendente (fig. 3), un’impianto di protesi a doppia articolarità in paziente di 80 anni con poche comorbidità (fig. 4),quindi un’impianto di endoprotesi in una donna di 84 anni, poco autonoma con molte comorbidità (fig. 5); una revisione di un’endoprotesi biarticolare instabile, convertita in artroprotesi con cotile a doppia articolarità (fig. 6). Infine una frattura pertrocanterica trattata con endoprotesi con wedge dedicato (fig. 7). Riteniamo inoltre che vi siano casi in cui l’impianto di endo-artroprotesi sia indicato anche in fratture laterali del collo femore. Le fratture laterali del collo femore vengono descritte mediante la classificazione AO, o più comunemente, con la classificazione di Evans-Jensen 16. Il sistema di classificazione di Evans proposto nel 1969 si basa sulla stabilità intrinseca della frattura, valutata attraverso la comminuzione e l’orientamento primario della rima di frattura e divide le fratture in 2 semplici categorie: ● stabili: quando la corticale posteromediale è intatta o presenta una minima comminuzione che rende possibile una riduzione stabile; ● instabili: quando è presente una grossa comminuzione della corticale posteromediale; una riduzione stabile è ottenibile solo ricostituendo la continuità della corticale mediale. Jensen amplia (nel 1975) questa classificazione, mettendo in relazione la diminuita stabilità al numero dei frammenti interessanti il piccolo e grande trocantere: Le Fratture del collo femore dell’anziano: indicazioni all’Endo-Artroprotesi 27 Fig. 3a: frattura collo femore in maschio 80 anni funzionalmente attivo. Quadro pre-opertaorio. Fig. 3b: impianto di artroprotesi anca destra (stelo CLS, cotile Claster Zimmer). Quadro rx post-operatorio. Fig. 4a: frattura mediale di femore in femmina di 80 anni con poche comorbidità. Fig. 4b: controllo post-operatorio, artroprotesi totale non cementata (cotile doppia articolarità Tregor, stelo Symetric Aston). Fig. 5a: frattura collo femore in paziente femmina 84 anni, non autonoma, numerose comorbidità. Fig. 5b: impianto endoprotesi biarticolare cementata (S-taper Bioimpianti). Fig. 6a: endoprotesi instabile su frattura collo femore destro, maschio 84 anni, impiantata in altra sede. Fig. 6b: conversione in artroprotesi con cotile a doppia particolarità (cotile Tregor Aston). Fig. 7a: frattura per trocanterica con distacco del piccolo trocantere in Femmina 79 anni. Fig. 7b: stelo dedicato endoprotesi S-taper Bioimpianti. Fig. 7c: controllo intraoperatorio impianto endoprotesi + cerchiaggio metallico. AITOG OGGI - settembre 2011 T. Mascitti, P. Leone, S. Piscitello 28 ● Tipo I: fratture semplici, in due frammenti, stabili: – I A: composte; – I B: scomposte. ● Tipo II: fratture a tre frammenti: – II A: un frammento interessa il grande trocantere; difficili da ridurre, ma stabili; II B: un frammento interessa il piccolo trocantere; instabili. ● Tipo III: fratture a quattro o più frammenti, che interessano sia il grande che il piccolo trocantere. In accordo con diversi autori riteniamo che sia necessaria una revisione mediante trattamento protesico nei casi di fallimento dell’osteosintesi, come per esempio in casi di “cut-out” della vite cefalica dei chiodi endomidollari17-18 , nelle fratture instabili (tipo 3-4 di Evans; A2 sec. AO), in osteoporosi di grado severo (Singh 1,2), in presenza di coxartrosi omolaterale, nel paziente molto anziano (quarta età), in pazienti con demenza, in patologie neurologiche concomitanti, in caso di obesità19-20-21-22-23. Conclusioni L a sostituzione protesica con Endoprotesi Biarticolare è stata il “Gold Standard” per qualche decennio nel trattamento delle fratture mediali del collo femore (Garden IIIIV). Nell’ultimo decennio tale indicazione ha ridotto la sua frequenza per il maggiore utilizzo dell’Artroprotesi Totale (miglioramento del design, dei materiali) che garantisce migliori risultati nel tempo, soprattutto negli anziani attivi “fisiologicamente giovani”. L’Endoprotesi Biarticolare, specie con “stelo dedicato”, ha secondo noi indicazione anche in alcune fratture laterali instabili del collo,al fine di prevenire e risolvere il problema delle complicanze intrinseche all’osteosintesi (Cut-Out). L’Endoprotesi Biarticolare pertanto si conferma essere nella gran parte dei casi di fratture mediali, e in casi selezionati di fratture laterali instabili soluzione chirurgica valida. Bibliografia 1) Pauwels F. Der Schenkenholsbruck, em mechanisches problem. Grundlagen des Heilungsvorganges. 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Fantasia N ei casi in cui la protesi d’anca, nell’anziano, non è un puro salvataggio per cercare di mettere in piedi il paziente con gravi problemi generali, la protesi ACCIS rappresenta un valido supporto sia perché ha teste di grande diametro ed impedisce la facile lussabilità specialmente in età avanzata, sia perché essendo ad interfaccia metallo-metallo non ha inserti intermedi con possibilità di rottura o usura. Inoltre, anche se nell’anziano la problematica dei detriti può apparire di minore importanza, in questa protesi le superfici articolari di metallo hanno un rivestimento in TiNbN (Titanio-Niobio-Nitruro) effettuato con tecnica PVD (Physical Vapor Deposition) che rende la superficie articolare delle componenti protesiche simile alla ceramica con tutti i vantaggi sia della ceramica che del metallo (CrCoMo). Ampiezza del movimento articolare T rattandosi di protesi che permettono l’utilizzo di teste femorali di dimensioni maggiori del comune è possibile avere un’ampia escursione articolare come si può osservare nella fig. n.1. Questa immagine evidenzia la differenza del range di movimento con i vari diametri di teste femorali. L’anziano spesso non riesce a controllare i movimenti nel post-operatorio e spesso sia per posizioni che lui stesso assume nel letto o nel muoversi sia per mano esterna inesperta che cerca di aiutarlo è possibile verificare una lussazione della protesi. Per questo motivo, sempre nell’anziano, ha avuto un notevole successo l’uso di una cupola bi-articolare che bloccando la testina femorale con un anello anti lussante trasforma la protesi, oltre la escursione articolare interna, in protesi con testa di grande diametro. Rimane, però, nella cupola bi-articolare, sia il problema dei detriti di polietilene sia la possibile evenienza della cotiloidite dovuta all’attrito della componente acetabolare metallica con la superficie cotiloidea anatomica. Anche se l’effetto negativo riconosciuto ai detriti di polietilene, nell’anziano, può avere meno importanza perché verificabile a lungo termine, non è la stessa cosa per la cotiloidite che costringe spesso alla necessità di riprotesizzare l’acetabolo anche a breve termine. Con la protesi Accis si impianta un cotile fisso e a qualunque sua dimensione è possibile impiantare una testa con diametro minore di solo 4 mm. Per esempio con una componente acetabolare diam. 46 si utilizza una testa femorale diam.42. Questo assemblaggio permette, con una componente acetabolare fissa, non solo un’ampia escursione articolare ma anche una difficile lussabilità. Tutto ciò nell’anziano è una grande convenienza per i motivi su esposti. Fig. 1 AITOG OGGI - settembre 2011 F. fantasia, L. FANTASIA 30 L’interfaccia metallo-metallo C ome per il polietilene e la ceramica anche per l’interfaccia articolare metallo-metallo si è avuto una evoluzione nel tempo. La protesi d’anca con l’interfaccia articolare metallometallo esisteva già prima dell’avvento del polietilene. Certamente si sono riscontrati nel tempo dei problemi che, riconosciuti, hanno permesso lo sviluppo di questa filosofia per giungere ai nostri giorni con una composizione tribologia che pone l’efficienza articolare metallo-metallo allo stesso livello di quella ceramica-ceramica ma senza il pericolo della rottura come può avvenire con la ceramica. Nelle prime protesi di McKee (fig. 2), quando già si era raggiunta una buona perfezione, gli insuccessi erano da attribuire al materiale che era solo acciaio e quindi facile all’usura ed alla tipologia della componente femorale (tipo Thompson) che avendo un collo corto e largo aumentava l’impingement sul bordo cotiloideo. Nella fig. 3 vediamo la evoluzione della componente femorale che invece dell’acciaio era in cromo-cobalto-molibdeno (CrCoMo) ed era forgiata con un collo più sottile per aumentare la escursione articolare. I risultati cominciarono ad essere indubbiamente migliori tanto che si è visto il proliferare di vari modelli protesici tra cui quello di Ring (fig. 4), alquanto invasivo, e quello di Muller (fig. 5) Il CrCoMo ha una resistenza maggiore alla usura perché contiene particelle di carburi al 3%. Ad una visione microscopica della superficie articolare, però, queste protesi, macroscopicamente ben levigate, apparivano come nella fig. 6. Le particelle che determinano la rugosità nella fig. 6 sono particelle di carburi di circa 20 micron ed esse, con una forgiatura diversa, sono state ridotte ad una grandezza di circa 2 micron (fig. 7) e le stesse si sono distribuite in modo più uniforme. In questo modo la superficie articolare metallo-metallo è diventata pressoché simile a quella ceramica-ceramica. 2 3 4 Fig. 2: G. K. McKee – gambo Thompson. Fig. 3: G. K. McKee – gambo Thompson. Fig. 4: Ring. Fig. 5: Muller. 5 Fig. 6 Fig. 7 I detriti e gli ioni metallo La ceramica ed il CrCoMo, nel tipo di forgiatura suddetta, sono i materiali utilizzati nella protesica maggiormente resistenti e quindi con minore quantità di detriti. Rimane da considerare l’aspetto biologico e cioè cosa determina la presenza dei detriti. Quelli di ceramica sono apparentemente inerti. Quelli di polietilene, apparentemente inerti dal punto di vista generale, ma localmente dannosi, come tanti hanno descritto. Q ualsiasi materiale, compresa la ceramica, in un continuo sfregamento (lavoro articolare di superficie) produce dei detriti. La quantità dei detriti dipende dalla resistenza del materiale (vedi l’acciaio normale, come su detto e lo stesso polietilene come è ben noto). AITOG OGGI - settembre 2011 LA PROTESI DELL’ANCA ACCIS NELL’ANZIANO 31 Quelli di metallo sono di dubbia interpretazione. Essi determinano la presenza nell’organismo di ioni metallici che potrebbero essere cancerogeni. La letteratura è molto discorde su ciò e a tutt’oggi le protesi d’anca ad interfaccia metallo-metallo sono molto utilizzate. La tecnica PVD (Physical Vapor Deposition) O ggi, comunque, la scienza metallurgica ci viene ancora incontro con gli studi sul trattamento delle superfici dei metalli. La necessità della resistenza all’usura noi ortopedici l’avvertiamo nella protesica, ma nella meccanica è avvertita molto di più per la necessità di avere materiale e strumenti che devono essere altamente resistenti all’usura. Ne esistono tante metodiche. Una delle ultime è la tecnica PVD che consiste in un processo di deposizione fisica di un materiale su una superficie. Il materiale sorgente viene vaporizzato (ed eventualmete ionizzato) all’interno di una camera ad atmosfera controllata (inerte o reattiva) e successivamente proiettato sulla superficie del substrato. Si possono ottenere film singoli o multipli da pochi nanometri fino al micron con velocità di deposizione da 1 a 10nm/s. Tale metodica altamente utilizzata nell’industria automobilistica, aereonautica e spaziale trova applicazione anche nelle necessità biomediche come nella protesica. Fig. 8 Fig. 9 Fig. 10 Il rivestimento articolare della protesi ACCIS N el nostro caso il materiale sorgente è il TiNiN (TitanioNiobio-Nitruro) che trattato con la tecnica PVD viene applicato sulla superficie protesica articolare di CrCoMo sia della testa femorale che del cotile. La fig. 8 mostra la testa femorale trattata sulla superficie articolare. Essa, con un inserto modulare, può essere impiantata su qualsiasi stelo con tronco di cono 12/14. Fig. 11 Fig. 12 La fig. 10 mostra un cotile cementato con la superficie articolare trattata con tecnica PVD e la fig. 9 ci dice che lo stesso cotile esiste anche non cementato con caratteristiche peculiari della superficie esterna. Fig. 13 AITOG OGGI - settembre 2011 F. fantasia, L. FANTASIA 32 Casi clinici 6) K. De Smet, MD, R. De Haan, MD, A. Calistri, MD, P.A. Campbell, PhD, E. Ebramzadeh, PhD, C. Pattyn, MD, and H.S. Gill, DPhil: Metal Ion Measurement as a Diagnostic Tool to Identify Problems with MetalonMetal Hip Resurfacing J Bone Joint Surg Am. 2008;90 Suppl 4:2028. 7) Adami G., Smarrelli D., Martinelli B., Acquavita A;, Reisenhofer E. “Cobalt blood levels after total hip replacement (THR): A new follow up study in Trieste (Italy)”. Annali di Chimica 2003;93:110. 8) Berry, Daniel J. MD, Marius Von Knoch, MD, Cathy D. Sschleck, BS, and William S. Harmsen, “Effect of Femoral Head Diameter and Operative Approach on Risk of Dislocation After Primary Total Hip Arthroplasty”. JBJS 2005 Vol 87A pp 24562464. 9) Black J., Amstutz H.C.: “Cobalt and chromium concentrations in patients with metalonmetal total hip replacements.” Clin Orthop 1996;329S:S256263. P er le caratteristiche suddette la protesi d’anca Accis può essere utilizzata nel paziente giovane, come protesi di rivestimento, e nel giovane adulto come protesi mininvasiva per la peculiare resitenza a formare detriti, oltre al vantaggio delle teste femorali di grande diamentro. Nell’anziano può essere utilizzata con qualsiasi gambo, cementato e non, per la possibilità di utilizzare teste di grande diametro, oltre alle altre caratteristiche. Considerazioni conclusive L a tecnica PVD applicata alla protesi d’anca Accis rappresenta senz’altro un avanzamento della metallurgia e quindi un ulteriore miglioramento della resistenza e della levigatura della superficie articolare metallo-metallo. Porta a pari livello le caratteristiche di superficie del metallo e quelle della ceramica quale attuale golden standard. La protesi Accis, con queste caratteristiche innovative della superficie articolare, è in CrCoMo per cui si elimina la possibilità di rottura. La escursione articolare è sicuramente più ampia di qualsiasi altra protesi, come si vede nella fig. 1, e ciò è molto vantaggioso anche nel giovane paziente. La possibilità di avere teste grandi, con una differenza di solo 4 mm. dal profilo cotiloideo assicura di molto la stabilità e quindi la non lussabilità, cosa che nell’anziano è senz’altro importante. 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Neurochirurgia, Fondazione IRCCS H Maggiore Policlinico Ca’ Granda, Milano – ** ICP, Milano INTRODUCTION A s the elderly population continues to increase, there will be an associated increase in age-related diseases, such as degenerative conditions of the spine. Elderly patients frequently present with low back and leg pain. Surgery is one of several options the geriatric patient may consider for symptomatic relief. The complex structure of the human spine provides an extensive range of motion and considerable load carrying capacity required for the physical activities of daily life. Only limited movements are possible between adjacent vertebrae, yet the sum of all of these movements allows considerable spinal mobility in all planes. Alterations to the form and composition of the individual highly specific tissues and structures of the ageing spine can increase the risk of injury and can have a profound influence on the quality of life. The erect posture greatly increases the load carried by the lower spinal joints predisposing this region to strains and lower back pain. Surgical risk is higher in the elderly population due to higher co-morbidity1-2-3. Furthermore, patients with comorbidity are less satisfied with the results of surgery3-4. Improvement in pain, functional status and quality of life are the main treatment goals. A wait and see or non surgical approach is often a good option for patients with moderate symptoms or when the risks of treatment exceed potential benefits3-5. The aim of this article is to describe common degenerative and pathological conditions of the spine of elderly people and to review the complications and outcomes of minimally invasive spine surgery in elderly patients. THE AGING SPINE L ow back and radicular leg pain (e.g., sciatica) are common causes of functional impairment and an inability to perform essential activities of daily living (ADLs) in elderly people. Furthermore, chronic disabling pain can significantly impair psychosocial functioning and lead to sleep disorders, depressive symptoms, and increased use of healthcare resources, particularly in elderly persons6. Recent evidence has linked frequent back pain in elderly women to coronary heart disease and overall mortality7. Thus, prompt recognition and treatment of back pain in the geriatric population is critical. Currently, 26% of the population living in Italy is aged 60 and older. This number is projected to increase. As the number of elderly persons continues to increase, there will be an associated increase in age-related disorders of the spine. This presents a challenging problem for physicians and surgeons to weigh the additional risks of operative treatment against reducing disabling pain and improving QOL. Factors such as the ability to tolerate surgery, rehabilitation, life expectancy, and overall health should be discussed when deciding treatment options for elderly patients with symptomatic spinal disease. Early biochemical changes in the intervetebral disc can lead to altered mechanics and damage accumulation. A loss of disc height occurs with aging and may place nonphysiological loads on adjacent segments as well as the facet joints, a common source of low back pain8. Changes in the architecture and bone mineral density of the vertebrae lead to a stiffer yet weaker spine. Loss of lumbar lordosis and an increase in thoracic kyphosis give a ‘‘hunched over’’ appearance and are common changes that accompany aging. These factors, and others, can predispose to several degenerative conditions of the lumbar spine. Spinal Stenosis Spinal stenosis, a narrowing of the spinal canal, is a common cause of back and radicular pain in elderly people, occurring most often in the cervical and lumbar regions. The cause of such condition is degeneration and bulging of the intervertebral disc anteriorly and hypertrophy of the facet joints and ligamentum flavum posteriorly. These changes occur normally with aging. Compression of the dural sac and nerve roots may occur in the central canal, lateral recess, or neural foramina. Spinal stenosis can be congenital or acquired. Factors that may lead to acquired stenosis include degenerative conditions of the spine (e.g., spondylosis, degenerative disc disease), trauma, spine surgery (post-laminectomy), and metabolic or endocrine abnormalities (e.g., osteoporosis, hypoparathyroidism). The classic presenting feature of lumbar spinal stenosis is neurogenic claudication, which refers to lower extremity pain that worsens with activity and is relieved by sitting or adopting a ‘‘hunched over’’ posture while walking. Patients may also report low back pain and numbness in the lower extremities, although severe cases can also result in motor disturbances and bladder or bowel dysfunction. In general, symptoms are bilateral, although one side is usually affected more than the other. The pathogenesis of these AITOG OGGI - settembre 2011 T. Mascitti, P. Leone, S. Piscitello 34 symptoms is not completely understood but most likely involves compression of nerve roots and disruption of neural blood supply. Degenerative Spondylolisthesis Spondylolisthesis is any displacement of the rostral vertebral body, pedicles, and superior articular facets in relation to the caudal vertebral body and posterior elements. Spondylolisthesis may be degenerative (due to osteoarthritis of the facet joints and loss of ligamentous support), traumatic, postsurgical (due to adjacent segment disease), isthmic (due to spondylolysis), or congenital. Degenerative spondylolisthesis occurs most frequently at the L4 to L5 level and affects older adults. It causes a spinal stenosis syndrome but it can also cause back pain and radiculopathy. Plain radiographs are generally sufficient to diagnose listhesis. Grading should be done according to the Meyerding scale. If neural compression is suspected, then a magnetic resonance imaging (MRI) scan or myelogram with computed tomography (CT) should be ordered. Degenerative Scoliosis Adult degenerative scoliosis involves the development of a de novo rotational deformity in the adult years. Z7.11 The pathogenesis is thought to be asymmetric degeneration of the intervertebral disc or facet joint that leads to a rotatory effect, with one side of the facet joint serving as the ‘‘pivot.’’ Primary degenerative scoliosis is mostly a lumbar or thoracolumbar disorder and is often accompanied by other degenerative changes of the spine, such as spondylolisthesis and lumbar stenosis. Symptoms are similar to those of lumbar spinal stenosis, although patients also present with back pain and concerns about spinal deformity. Vertebral Fractures Osteoporosis is a metabolic disorder characterized by decreased bone mineral density. Type I occurs in women after the onset of menopause as a result of decreased estrogen and increased bone resorption. Type II, also known as senile osteoporosis, occurs in men and women aged 70 and older as a result of age-related metabolic changes in regulation of calcium, vitamin D, and other nutrients. Persons with poor bone quality are at significant risk for osteoporotic vertebral compression fractures (OVCFs). In postmenopausal white women, there is a 15% to 25% lifetime risk of clinically diagnosed vertebral fractures, and the incidence of fractures in men due to osteoporosis is approaching that of women. Back pain, height loss, and kyphotic deformity is the characteristic presentation, although many patients with diagnosed OVCFs remain asymptomatic. Osteoporosis is a serious problem, affecting as many as 13–18% of women and 3–6% of men9. About 50% of these fractures involve the vertebral bodies, and up to onethird are symptomatic. Vertebral bodies sustain fractures due to repetitive loading that fatigues the cancellous bone and leads to the accumulation of micro fractures, or single traumatic events which overload the vertebral body and are cause of fracture. Multiple vertebral fractures increase morbidity and increasing numbers of fractures significantly AITOG OGGI - settembre 2011 increase mortality rates10-11-12. Despite the recognition that osteoporotic fractures increase the risk for additional vertebral fractures as well as hip fractures, the majority of individuals with these fractures remain undiagnosed and untreated13. The prevalence of VBFs in women older than 50 years of age is estimated at 26%14, increasing to 80% in patients older than 80 years of age15. Eighty-four percent of these VCFs are associated with pain16. In addition to acute pain, clinical consequences of VCFs include pulmonary dysfunction, loss of mobility, chronic spinal deformity, chronic pain, and depression14. Furthermore, epidemiological studies suggest that VCFs may contribute to long-term mortality17. Great efforts have been made to characterize the pathophysiology of osteoporotic vertebral fractures and to enhance diagnostics and new therapeutics. The possible mechanical interactions due to disc degeneration and concurrent osteoporotic changes to the vertebrae have been extensively studied using detailed computer simulations of whole spine segments18. In general, plain radiographs are sufficient to diagnose OVCFs, although MRI may help exclude vertebral compression due to tumor or infection. SPINE SURGERY I n general, surgery for degenerative conditions of the spine should be reserved for patients who have failed extensive nonsurgical interventions or who present with accompanying neurological deficits and progressively worsening symptoms. In the elderly population spinal surgery carries greater surgical risks due to age and comorbidities,19-21 also due to the fact that procedures are often long, have large amounts of blood loss, necessitate extended hospital stays, and frequently require revision surgery later in life. Furthermore addition, poor bone quality predisposes older patients to vertebral fractures and the onset and progression of spinal deformity after any spinal surgical procedure. Lumbar spinal stenosis and spondilolysthesis: conventional laminectomy with or without fusion versus minimally invasive approaches Lumbar spinal stenosis (LSS) is the most frequent indication for spinal surgery in the elderly22. However, reports on complication rates among elderly patients undergoing laminectomy are conflicting3-5-23-24. Improvement in pain, functional status and quality of life are the aims of treatment. In clinical decision making, both patients and clinicians will have to consider outcomes and risk factors associated with the treatment offered. Conventional lumbar laminectomy without fusion is a safe treatment for spinal stenosis in properly selected patients 70 years and older. There were no differences in outcomes between patients who experienced complications and those who did not. Patients’ statements about their benefit of the operation and the calculated effect size on quality of life indicate that these improvements are clinically significant (EQ-5 D, ODI) However complications occurring in trials considering in elderly patients did not show worse Le Fratture del collo femore dell’anziano: indicazioni all’Endo-Artroprotesi outcomes or more complications compared to patients below the median age. Whether type of surgery is a predictor for outcome remains controversial25. A recent study looking at trends in elderly undergoing spinal surgery for lumbar spinal stenosis reported increased use of complex fusions. Instead more complications in patients 65 years or older treated with single level lumbar arthrodesis have been reported and further studies have demonstrated that fusion procedures were associated with increased risk of major complications and death compared to decompression alone21. When comparing studies evaluating traditional open to minimal invasive techniques, higher major complication rates have been reported (6% vs 0%) but less overall complications (18% vs 39%)25-26. Furthermore, a slighly higher improvement in ODI, was reported in minimal invasive surgery26. Such findings suggest that minimal invasive techniques may be as effective, and at the same time safer, when compared to conventional laminectomy with or without fusion. Traditionally, open posterior fusion techniques require extensive tissue dissection to gain access to the disc space and provide the ideal orientation for optimal screw trajectory. Open surgery carry higher risk of significant blood loss, increased risk of infection are not uncommon and, in lumbar fusions, a significantly higher amount of muscle 35 damage when compared to minimally invasive procedures. The minimally invasive spinal surgery reduces the amount of iatrogenic soft tissue injury, blood loss, postoperative pain, and the length of hospital stay. Minimally invasive spinal techniques Minimally invasive TLIF Minimally invasive spinal fusion using the Mini-open TLIF technique, introduced by Mummaneni et al. [27], is efficacious and safe. Many previous studies [26-28] showed identical clinical and radiological results based on VAS, ODI scores, and plain radiographs, even if a recent paper [29] did not show a better rate of complications using these techniques. The need for intraoperative fluoroscopy poses disadvantages, however surgeons’ experience can reduce radiation. Patients are positioned prone. The anatomic midline, the pedicle outlines, the skin incision points (parallel to the middle of pedicles and between two pedicles above and below the affected disc space) are marked on the skin at the spinal level to be decompressed and instrumented (fig. 1). Using fluoroscopic guidance, the muscles are then splitted and a tubular retractor is inserted and opened, giving an adequate exposition of the superior and inferior articular processes, the interarticularis pars and the lamina of the superior vertebra (L3 for an L3-L4 arthrodesis for example), as well as the superior articular process of the inferior vertebra. Using expandable tubular retractor is also possible to expose two levels (which correspond to three pedicle’s entry points for each side) (fig. 2). In the first phase, is useful to tap the superior and inferior pedicle of the arthrodesis, but to insert only the superior screw, not to lose space during the decompression. An unilateral laminectomy with a complete demolition of the pars and the inferior articular process of the superior vertebra is then performed, to expose the exiting end the passing roots (L3 and L4 for an L3-L4 arthrodesis for example). After a complete discetomy which is performed with dedicated instruments, a cage is positioned in the space, and the rod is then inserted over the screws using moderate compression. Postoperative radiologic imaging is made on first operative day, using CT scan with 3-D reconstructions (fig. 3). Fig. 1 Fig. 2 Fig. 3 AITOG OGGI - settembre 2011 T. Mascitti, P. Leone, S. Piscitello 36 Percutaneous pedicle screw fixation Minimally invasive percutaneous screw fixation (PPSF) dramatically reduces paraspinal musculature iatrogenic injury. Till now, the techniques of PPSF are commonly used as supplemental fixation combined with minimally invasive posterior or anterior lumbar interbody fusion treating degenerative lumbar diseases [30-32]. In many studies, intraoperative parameters including blood loss were more favorable than open surgeries considering short-segmental pedicle screw fixation [33, 34], even if operative time may be increased. The procedures of extensive soft tissue dissection and bone grafting may contribute to more unfavorable results of open procedures. In terms of safety, percutaneous operation assisted by conventional fluoroscopy can offer high accuracy of pedicle screw placement. PPSF without any fusion can deliver satisfactory results in shortterm period, even if long-term results are needed to better evaluate the rate of fusion, especially if this kind of technique is used in unstable spondilolysthesis. Patients are positioned prone. The skin incision points are marked on the skin at each level to be instrumented, using fluoroscopic guidance. Using a trocar, a Kirshner’s guide is then inserted in each pedicle, and cannulated screws of adequate length and size are then positioned, using fluoroscopic control (fig. 4A-B). A rod of adequate length is then inserted over the screws, and fixed (fig. 4C-D). CONCLUSION M inimally invasive spinal techniques are very promising, especially when used to treat spinal pathologies which affect elderly population. Main advantages of these techniques are the reduction of iatrogenic muscle damage and blood losses, which could be related to a reduction of postoperative complications. However, not all conditions of the spine may be treated with minimally invasive techniques, which appear to be less effective when a large decompression of the spinal canal is needed, or when a stable fusion is the main goal, such as isthmic spondilolysthesis in young patients. Fig. 4 AITOG OGGI - settembre 2011 Le Fratture del collo femore dell’anziano: indicazioni all’Endo-Artroprotesi BIBLIOGRAPHY 1) 2) Ciol MA, Deyo RA, Howell E, Kreif S: An assessment of surgery for spinal stenosis: time trends, geographic variations, complications, and reoperations. J Am Geriatr Soc 1996, 44:285-290. 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Bone 1992;13(Suppl. 2):S27–31. 31) Scheufler KM, Dohmen H, Vougioukas VI: Percutaneous transforaminal lumbar interbody fusion for the treatment of degenerative lumbar instability. Neurosurgery 2007, 60:203–212. 15) Melton LJ 3rd, Kan SH, Frye MA, et al.: Epidemiology of vertebral fractures in women. Am J Epidemiol 1989, 129:1000–11. 16) Cooper C, Atkinson EJ, O’Fallon WM, Melton LJ 3rd: Incidence of clinically diagnosed vertebral fractures: a populationbased study in Rochester, Minnesota, 1985–1989. J Bone Miner Res 1992, 7:221–7. 17) Kado DM, Browner WS, Palermo L, et al.: Vertebral fractures and mortality in older women: a prospective study. Study of 32) Foley K, Holly LT, Schwender JD: Minimally invasive lumbar fusion. Spine 2003, 28(suppl):s26–s35. 33) Wen-Fei Ni et al.: Percutaneous Pedicle Screw Fixation for Neurologic Intact Thoracolumbar Burst Fractures. J Spinal Disord Tech 2010, 23:530–537. 34)Verlaan JJ, Diekerhof CH, Buskens E, et al.: Surgical treatment of traumatic fractures of the thoracic and lumbar spine. Spine. 2004, 29:803–814. AITOG OGGI - settembre 2011 38 Il consenso informato nel grande anziano. Il punto di vista dell’avvocato Avv. C. Mascitti L ’acquisizione del consenso informato dal paziente costituisce una delle questioni più delicate nel rapporto che si viene ad instaurare tra medico e ammalato sia sul piano della relazione professionale sia su quello di possibili ricadute in caso di controversie giudiziarie, qualora dalla cura e dal relativo atto medico eseguito si verifichi un esito infausto. Prima di affrontare questo argomento è necessario ricordare i principi cardine della materia ricordando, di conseguenza, che qualsiasi atto medico affinché possa esser considerato legalmente valido, deve esser preceduto dal consenso informato: ciò, a prescindere dalla specifica disciplina medica investita. Il Codice di Deontologia Medica del dicembre 2006 stabilisce infatti che il medico non deve intraprendere l’attività diagnostica e/o terapeutica senza l’acquisizione del consenso esplicito e informato del paziente (art. 35)1. Tale disposizione segue pedissequamente quanto stabilito dall’art. 5 della Convenzione di Oviedo2, ratificata dall’Italia con la Legge 145/2001, che dispone di come un intervento medico non possa essere effettuato se non dopo che la persona interessata abbia dato un consenso libero e informato. Al fine dell’acquisizione del consenso, per quel che concerne soggetti totalmente capaci di intendere e di volere, il medico ha il dovere di informare il paziente tenendo conto delle sue caratteristiche, non potendo distinguere il paziente in funzione del suo livello culturale o delle sue capacità di comprensione, ma avendo cura di usare sempre un linguaggio semplice e accessibile; un linguaggio in grado di far comprendere adeguatamente al paziente tutte le informazioni fornite dal medico in merito alla sua patologia ed alla terapia necessaria, clinica o chirurgica, che sia. Informazione e acquisizione del consenso dovranno confrontarsi, perciò, con le diverse le capacità decisionali del paziente in relazione ai tipi di intervento medico a cui dovrà sottoporsi. Consenso deve significare allora partecipazione, consapevolezza, informazione, libertà di scelta e di decisione dei pazienti coinvolti: esso rappresenta un momento determinante in quella “alleanza terapeutica”3 che è fondamentale per affrontare in modo corretto la malattia. Il processo che porta la persona assistita ad accettare un atto sanitario si articola in tre momenti ovvero a) la comunicazione al paziente di informazioni di rilevanza diagnostica e terapeutica; b) l’assicurazione che egli abbia capito il significato di tale comunicazione; c) la decisione definitiva da parte di quest’ultimo in merito. AITOG OGGI - settembre 2011 Il consenso deve essere pertanto: informato, consapevole, personale, manifesto, specifico, preventivo e attuale, sempre revocabile. Per soddisfare questi requisiti è necessario rispettare le caratteristiche della corretta informazione, la quale deve essere: personalizzata, comprensibile, veritiera, obiettiva, esaustiva, non imposta. In merito all’esaustività dell’informazione, questa dovrà essere finalizzata a fornire le notizie attinenti l’atto sanitario proposto nell’ambito del percorso di cura intrapreso e al soddisfacimento di ogni quesito specifico posto dal paziente. In particolare l’informazione da fornirsi dovrà avere ad oggetto la natura e lo scopo principale a cui mira l’atto medico, la probabilità di successo, le modalità di effettuazione, quale sarà il sanitario che eseguirà la prestazione, le conseguenze previste e loro modalità di risoluzione, i rischi prevedibili e le complicanze, la loro probabilità di verificarsi e di essere risolti da ulteriori trattamenti; le eventuali possibilità di trattamenti alternativi, i loro vantaggi e rischi; le conseguenze del rifiuto alle prestazioni sanitarie. Il dovere di raccogliere il consenso o il dissenso con le modalità sopra indicate è del medico che si sia proposto di avviare l’attività diagnostico-terapeutica e/o di un altro operatore sanitario, limitatamente agli atti e alle informazioni di sua specifica competenza. La responsabilità di informare ed acquisire il consenso spetta perciò al Direttore ed ai dirigenti medici delle strutture Complesse, Semplici a valenza dipartimentale e Semplici. Ricordando ancora come l’acquisizione del consenso informato sia da considerarsi anch’esso un atto medico, è necessario sottolineare come l’infermiere od altro personale assistenziale non medico non possa essere mai delegato a sostituire il Medico in tale onere. Qualora il paziente anziano non si trovi in uno stato di pienezza cognitiva, le difficoltà possono insorgere quando si tratti di un paziente incapace di intendere e di volere; non in grado cioè di comprendere le notizie sulla sua malattia e sulla terapia da praticare e, conseguentemente, non in grado di esprimere un valido consenso al riguardo. A tal riguardo è necessario effettuare una distinzione4: il caso di un paziente la cui incapacità di intendere e di volere sia stata già giudizialmente riconosciuta con la nomina di un tutore a seguito dell’interdizione del malato, e il caso in cui tale incapacità di intendere e di volere, pur concretamente esistente, non sia stata seguita da un provvedimento di interdizione. IL CONSENSO INFORMATO NEL GRANDE ANZIANO. IL PUNTO DI VISTA DELL’AVVOCATO L’anziano già interdetto N 5 ell’ipotesi in cui avanti il medico si presenti un paziente dichiarato legalmente interdetto l’obbligo informativo e dell’ottenimento del relativo consenso informato non potrà essere espletato nei confronti di quest’ultimo ma dovrà esser esercitato verso il tutore nominato dal Tribunale il quale sarà chiamato a sottoscrivere quindi il consenso informato. Si tratta tuttavia di un’evenienza molto rara, difatti, il procedimento di interdizione è motivato dalla mancanza di parenti prossimi che possano essere nominati tutori. Va comunque tenuto presente che il familiare non riconosciuto legalmente come tutore non ha nessun potere decisionale sostitutivo. Ma per chi non si trova in uno stato di deficienza tale da determinare l’applicazione della misura interdittiva come può il medico ottenere un consenso informato senza ricadere in possibili contenziosi giuridici? È evidente riscontrare infatti come, per tali pazienti, possa risultare in ogni caso arduo esprimere un consenso tale da legittimare un intervento medico-chirurgico e ciò soprattutto se, il loro coinvolgimento nell’iter decisionale, non sia di facile reperimento. Nelle prime fasi della malattia è infatti possibile che il paziente sia ancora in grado di valutare correttamente la situazione e prendere quindi decisioni al riguardo ma che, nel corso della cura, non possa esser più in grado di comprendere e decidere sul da farsi. La legge italiana ha cercato pertanto di porre rimedio al deficit dato dall’assenza di un istituto che potesse provvedere – anche temporaneamente o provvisoriamente – alla gestione degli interessi del soggetto che si trovi nello stato di non totale incapacità d’agire. Con Legge n. 6 del 2004 è stata introdotta perciò la figura dell’amministratore di sostegno chiamato a curare essenzialmente gli interessi di una persona che non è in grado di provvedervi adeguatamente per conto proprio. Si è voluto in questo modo tutelare, con la minor limitazione possibile, la persona priva in tutto o in parte di quell’autonomia necessaria per l’espletamento delle funzioni di vita quotidiana. Ed infatti il “sostegno” normativo della “cura” della persona (e degli “interessi” di essa) non si limita alla sfera economico-patrimoniale, ma tiene conto dei bisogni e delle aspirazioni dell’essere umano ricomprendendo ogni attività di quella vita civile giuridicamente significativa. Quando però la perdita di competenza decisionale dell’anziano è tale da rendere difficoltoso il coinvolgimento dello stesso nell’iter decisionale sarà il medico a dover decidere assumendosi ogni responsabilità in merito. Bisogna evidenziare, infatti, che la posizione di garanzia rivestita dal sanitario pubblico costituisce espressione dell’obbligo di solidarietà garantito dalla Costituzione che gli conferisce addirittura l’obbligo giuridico di intervenire sancito dall’art. 40 del codice penale secondo il quale “non impedire un evento che si ha l’obbligo di impedire equivale a cagionarlo”6. È chiaro il riferimento allo stato di necessità disciplinato dall’art. 54 del Codice Penale: in tali circostanze il medico ha non solo il diritto ma anche il dovere di agire e ciò, anche in 39 assenza di un esplicito consenso in quanto, in caso contrario, potrebbe incorrere nel reato di omissione di soccorso (art. 593 c.p.), lesioni personali (art. 590 c.p.), di morte o lesioni come conseguenza di altro delitto (art. 586 c.p.) e persino, infine, di violenza privata (art.610 c.p.) o di sequestro di persona (art. 605 c.p.) se non, addirittura, di maltrattamenti (art. 572 c.p.). Ma nel caso in cui il paziente, anziché essere incapace a consentire, sia cognitivamente capace e rifiuti l’intervento medico proposto, laddove il rifiuto sia attuale, lucido ed informato rispetto alle condizioni di salute e ai rischi eventuali potrà il medico intervenire ugualmente e quindi contro la volontà del paziente? La risposta è ovviamente negativa. Il sanitario non ha modo infatti di intervenire nei confronti del paziente qualora quest’ultimo, informato e capace di intendere e di volere non abbia deciso di prestare il proprio consenso. La Costituzione italiana all’art. 327 non impone di curare le malattie ma solamente di subire determinati trattamenti nell’ipotesi in cui debba esser soddisfatto un interesse della collettività intendendosi per interesse della collettività la salute pubblica ovvero nei casi in cui il trattamento sanitario venga appositamente previsto per Legge (come accade per i TSO). L’omessa informazione può configurare perciò una grave negligenza, della quale il medico risponde in concorso con l’azienda sul piano della responsabilità civile, e la mancata acquisizione del consenso informato può determinare una responsabilità penale del professionista stesso. Come il Consiglio Nazionale di Bioetica ha evidenziato, il consenso informato ha il fine di legittimare l’atto sanitario che altrimenti sarebbe illecito in quanto lesivo del diritto soggettivo del paziente di autodeterminarsi e di mantenere la propria integrità psicofisica: il consenso informato è manifestazione dello stesso diritto di autodeterminarsi e come tale tutelato da norme di rango costituzionale, ancor prima che etiche. Per Chiarimenti e/o informazioni: Avv. C. Mascitti Via XX Settembre, 66. Brescia. Tel: 030/41479 Fax: 030/3772133. Mail: [email protected] bibliografia 1) Codice di Deontologia Medica del 2006. 2) Art. 5 Convenzione di Oviedo (Consiglio d’Europa 1997). Convenzione per la protezione dei diritti dell’uomo e la dignità dell’essere umano riguardo alle applicazioni della biologia e della medicina. Ratificata in Italia con Legge n.145/2001. 3) I quaderni dell’Ars, n.04/08. 4) “Il Consenso Informato in Geriatria”, L. Guglielmi in Assistenza Anziani Aprile 2005. 5) “Il consenso Informato” di M. Laudi Procuratore della Repubblica aggiunto presso il Tribunale Ordinario di Torino. 6) “Il consenso informato e le misure di contenzione” di Stefania Cerasoli. 7) Costituzione della Repubblica Italiana, art. 32. AITOG OGGI - settembre 2011 40 Consiglio Direttivo AITOG 2011-2012 Presidente Tonino Mascitti Past President Aldo Bova Vice Presidente Luigi Fantasia Consiglieri Umberto Di Castri Renato Facchini Rinaldo Giancola Pietro Maniscalco Michele Saccomanno Umberto Tarantino Antonio Valente Comitato Scientifico Aldo Bova Coordinatore e Responsabile Formazione Fabio M. Donelli AITOG OGGI - settembre 2011 Revisori dei Conti Alberto Agosti Angelo Leonarda Stefano Vecchione Tesoriere Renato Facchini Segretario Patrizio Leone Probiviri Federico Amici Claudio Lazzarone Adriano Tango Vittorio Valerio Addetti Stampa Giovanni Fancellu Andrea Piccioli Mauro Roselli Claudio Sarti Giuseppe Solarino Lorenzo Tagliabue Xia 3 The Journey Goes On The latest Pedicle Screw System of Generation Xia Spinal Systems of the Xia Family Modern Solutions for All Your Applications Xia Suk DVR Instrument System for Direct Vertebra Rotation Comprehensive Systems Providing solutions for the most demanding surgical needs in stabilization of the thoracic, lumbar and sacral regions. Xia Ilios Revision Application for Construct Extension to the Sacro-Iliac Region Ease of Use Implants and instruments designed for intuitive handling. Proven Core Technology Design rationale and philosophy that has made Xia one of the leading spinal systems on the market. Xia Anterior Application for Trauma and Tumor Surgeries Xia 4.5 Application for Treatment of Small Stature Patients Mantis Percutaneous Stabilization System of Generation Xia – Application for percutaneous surgery Xia Precision For detailed information please contact your local Stryker representative Cannulated screw systems for minimal invasive screw placement A surgeon must always rely on his or her own clinical judgment when deciding which treatments and procedures to use with patients. For verifying availability of Stryker products in your area please contact your Stryker representative. Copyright © 2010 Stryker. Stryker Corporation or its divisions or other corporate affiliated entities own, use or have applied for the following trademarks or service marks: Mantis, Stryker, Xia.