La Protesi d`anca ACCIS nell`anziano

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La Protesi d`anca ACCIS nell`anziano
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PERIODICO DELL’ASSOCIAZIONE ITALIANA DI
TRAUMATOLOGIA
ED
ORTOPEDIA GERIATRICA
× L’Artroprotesi inversa nel trattamento
delle fratture a 3-4 frammenti dell’estremo
prossimale dell’omero dell’anziano
T. Mascitti, P. Leone, S. Piscitello
× La prevenzione dell’errore in ortopedia
e traumatologia
F.M. Donelli
× La Protesi d’Anca Accis nell’anziano
F. Fantasia, L. Fantasia
× Minimally invasive vertebral surgery in elderly
patients: the point of view of the orthopedic
geriatric surgeon and the neurosurgeon
P. Scarone, F. Donelli, F. Ranieri, M. Pluderi,
M. Zavanone, S.M. Gaini
× L’anziano fragile, come persona
A. Bova
E D IT O R E
2
OGGI
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Editoriale
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AITOG
OGGI
Anno I - ottobre 2011 - n. 0
Direttore responsabile
Fabio M. Donelli
Coordinatore Comitato di redazione
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S
in dall’introduzione del termine “ortopedia” nel 1742 da parte del medico
francese Nicholas Andry, la disciplina è stata caratterizzata da progressi importanti.
Il raffinarsi delle tecniche chirurgiche negli ultimi anni ha portato a risultati
insperati e si è riusciti a combinare l’utilizzo delle migliori tecnologie con i minori disagi possibili per il paziente.
Un ruolo fondamentale in tale contesto è dato dalle super specializzazioni di
chirurgia ortopedica e dalle più avanzate metodologie operative.
Si pensi alla robotica, utilizzata da diversi anni e in grado di garantire margini
di errori minimi negli interventi consolidati, quali la protesizzazione dell’anca
e del ginocchio.
La percentuale degli anziani (range 65/84 anni) e molto anziani (over 85),
di cui molti hanno complessi problemi psichici, sociali e funzionali, è cresciuta
notevolmente negli ultimi decenni.
Questo cambiamento demografico si trova anche riflesso nel crescente numero di sostituzioni dell’anca e del ginocchio.
Di fatto, per il crescente bisogno di rispondere alle esigenze di questa tipologia di soggetti, l’ortopedia sta affrontando questioni centrali nel campo dell’assistenza geriatrica.
Già nel 1989, l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha chiesto la geriatrificazione delle discipline mediche.
Con l’aumento dell’aspettativa di vita, gli anziani rappresentano una percentuale sempre maggiore dei pazienti ortopedici e, di conseguenza, è inevitabile
una trasformazione automatica di questa disciplina nella direzione della ortogeriatria, intesa quale branca ortopedica. Una nuova disciplina che, coniugando
ortopedia e geriatria, permetterebbe di fare un notevole salto in avanti nella dinamicità della cura dei pazienti over 65 per le complicanze risultanti da problematiche ortopediche.
Naturalmente ciò rappresenta una sfida sociale importante.
Quando un paziente anziano si sottopone a un intervento chirurgico devono
essere presi in considerazione una serie di fattori, che dovranno essere approfonditi dalle necessarie conoscenze inter-disciplinari.
È necessario tuttavia, oggi, nonostante la grave crisi economica, avere strutture adeguate che possano usufruire di neurologi, ortopedici, fisiatri, geriatri,
cardiologi e psicologi, per curare in modo adeguato ed efficace il paziente. Argomento questo già dibattuto a livello congressuale, ma che di fatto, almeno per
il momento, non ha portato alla creazione di una disciplina orto-geriatrica, che si
contrapponga alla concezione statica della geriatria attualmente in uso.
Mentre si auspica per il prossimo futuro che, non solo questa nuova branca
divenga una realtà nelle strutture cliniche, ma anche una materia scientifica da
approfondire in sede universitaria e soprattutto nella formazione degli specialisti.
Questa è la sfida che l’Associazione Italiana di Traumatologia e Ortopedia
Geriatrica si pone con la speranza che nel futuro i giovani ortopedici trovino
maggiori stimoli professionali nella cura delle patologie evidenziate nei pazienti
anziani, con consiglio di iniziare dalla consultazione della pubblicazione fresca di stampa “La patologia metabolica traumatica e degenerativa della colonna
nell’anziano” che fa parte della collana annuale dell’Aitog.
3
Sommario
Amici e giovani colleghi
L’anziano fragile, come persona
A. Bova............................................................................... 4
È
soprattutto a voi che l’A.I.T.O.G. (Associazione
Italiana Traumatologia Ortopedia Geriatrica)
ha pensato e continua a pensare. A come cioè,
rendere interessante la vostra partecipazione attiva
all’Associazione.
Trattare le Patologie Traumatiche Degenerative
Osteoarticolari dell’Anziano e grande Anziano
per la sua Fragilità, causata dalle sue comorbidità,
assume sempre più caratteristiche peculiari. Questo,
grazie alla costante evoluzione delle tecniche e
strumenti per l’Osteosintesi e Sostituzione Protesica
in chirurgia poco invasiva. All’aiuto fornito dai
Grow-factors e soprattutto al costante impegno nel
fare chiarezza sulle strategie finalizzate al precoce
recupero, quando preesistenti, delle residue capacità
motorie. Ad evitare cioè quella “Sindrome da
Immobilizzazione” che nell’anziano aggiunge danno
a danno.Strategie affinate da costante collaborazione
con il Geriatra, l’Anestesista ed il Fisiatra.
Dare a voi, raccolte in una Rivista, le esperienze
ed i contributi di colleghi animati da questo comune
interesse ci è sembrato la formula migliore per
stimolare la vostra attenzione verso la nostra
Associazione. Nasce così “A.I.T.O.G. Oggi” che
spero avrà cadenza semestrale ed a cui senz’altro
invierete i vostri contributi scientifici. La vostra
partecipazione associativa ci darà più forza. Quella
forza che sarà sempre tesa, col comune impegno,
a far si che l’anziano da noi trattato non sia solo
un semplice sopravvissuto,ma anche quando
possibile,un anziano ancora capace di autonomie
motorie utili a se ed agli altri.
Tonino Mascitti
Presidente A.I.T.O.G.
Il trattamento chirurgico delle fratture
dell’omero prossimale nell’anziano
P. Maniscalco, J. D’Ascola, E.O. Del Vecchio,
C. Pagliantini, M. Savoini, P. Ferrata............................... 5
L’Artroprotesi inversa nel trattamento
delle fratture a 3-4 frammenti dell’estremo
prossimale dell’omero dell’anziano
T. Mascitti, P. Leone, S. Piscitello...................................... 8
Complicanze vascolari nelle fratture composte
della branca ileo-ischio-pubica: caso clinico
e revisione della letteratura
R. Giancola, F. Valli, G. Antonini, M.G. Lettera,
A. Savoia, C. Crippa, E. Zoffoli, M. Cariati................... 12
Considerazioni ortopediche e anestesiologiche
sul paziente anziano con frattura di femore
prossimale
P. Santo, F. Rizzo, C. Casadei, F. Miola, R. Facchini..... 16
La prevenzione dell’errore in ortopedia
e traumatologia
F.M. Donelli.................................................................... 22
Le Fratture del collo femore dell’anziano:
indicazioni all’Endo-Artroprotesi
T. Mascitti, P. Leone, S. Piscitello................................... 25
La Protesi d’anca accis nell’anziano
F. Fantasia, L. Fantasia.................................................. 29
Minimally invasive vertebral surgery in elderly
patients: the point of view of the orthopedic
geriatric surgeon and the neurosurgeon
P. Scarone, F. Donelli, F. Ranieri, M. Pluderi,
M. Zavanone, S.M. Gaini................................................ 33
Il consenso informato nel grande anziano.
Il punto di vista dell’avvocato
Avv. C. Mascitti............................................................... 38
4
L’anziano fragile, come persona
A. Bova
Direttore U.O.C. Ortopedia e Traumatologia P.O. San Gennaro ASL Napoli 1 Centro
PastPresident AITOG
Presidente Comitato scientifico AITOG
N
ell’epoca storica che stiamo vivendo, grazie a Dio, la
prospettiva di vita per gli uomini si allunga. Grosso
modo le femmine arrivano mediamente agli 84 anni, i maschi ai 78 anni. Questo certamente nei paesi più evoluti.
Cresce notevolmente il popolo degli anziani, si riduce
il popolo dei giovani. Questo comporta tantissimi problemi
economicosociali, in particolare nella organizzazione del
mondo della salute per i costi che comportano gli anziani
con le loro frequentissime pluripatologie, ma soprattutto
per il modo con cui vanno approcciati e trattati nella loro
globalità che tante volte non viene vista nel modo giusto e
che, invece, deve essere vista in modo olistico, pensando
all’anziano, come persona, con tutte le sfaccettature.
Gli anziani ed, in particolare, i grandi anziani nell’ambito delle loro pluripatologie, hanno quelle dell’apparato
muscoloscheletrico con degenerazione delle superfici articolari, con indebolimento della struttura ossea per cattive
condizioni della qualità ossea e per riduzione della massa
ossea ed hanno un processo di indebolimento degenerativo
delle fibre muscolari.
Sono, purtroppo, in larga parte sofferenti per artrosi e
soggetti a fratture da fragilità.
Dinanzi a questa situazione di enorme presenza nella
nostra società di anziani fragili, noi medici, ortopedici, innamorati della cura dell’anziano,cosa possiamo proporci di
fare in questo mondo in continua evoluzione tecnologica,
con tanti problemi sempre nuovi. Dove curare l’anziano
costituisce una vera sfida sotto il profilo tecnicoprofessionale, morale, di stile e di approccio affettuoso.
– Prevenire, per quanto possibile, le patologie ortotraumatologiche suddette
– Curarle al meglio
– Comprendere ed avere presente sempre che siamo a
contatto con una persona umana fragile, non solo dal punto
di vista fisico, ma anche dal punto di vista sociale, economico, psicologico, affettivo.
Per la prevenzione mettere in cantiere campagne di informazione relativamente alle principali patologie che riguardano gli anziani nel settore ortotraumatologico; parlo
di artrosi e di osteoporosi con la sua conseguenziale fragilità ossea.
Far conoscere le condizioni che favoriscono la degenerazione artrosica ed far capire che vanno evitate quelle
possibilmente evitabili.
Far conoscere le condizioni che favoriscono l’osteoporosi e invitare gli interessati ad evitarle, spingendo gli
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OGGI - settembre 2011
stessi soggetti ad attivare tutte le metodiche che bloccano
l’evolvere della osteoporosi, come camminare, esporsi alla
luce solare, alimentazione ricca di calcio, applicazione di
magnetoterapia, ecc.
Per la cura medica,lì dove è possibile, cercare di invitare
ad usare farmaci per prevenire il peggioramento dell’osteoporosi e per curarla.
Per la terapia chirurgica sia dell’artrosi che delle fratture bisogna avere materiali sempre più idonei, che siano
ben tollerati e che diano stabilità alle fratture sintetizzate
in un osso delicatissimo e debolissimo. E per questo è importante insistere nello studio e nella ricerca. Anche per la
conoscenza di tecniche di accesso chirurgico che abbiano
massimo rispetto dei tessuti.
Ma al di là degli aspetti strettamente tecnici della cura
degli anziani, ed in particolare dei grandi anziani, in particolare nell’ambito della traumatologia da fragilità, è indispensabile capire che si è dinanzi a persone umane che
sono, innanzitutto per la loro patologia traumatica, ma anche per le condizioni fisiche, psichiche, sociali e familiari
in una condizione di fragilità globale.
Questa considerazione è importantissima, poiché ci
deve porre in condizione, con cognizione di causa, di approcciare l’anziano, ed in particolare, il grande anziano sapendo che:
– siamo di fronte a persona debole, che ha bisogno di
studio approfondito e di amorevolezza
– siamo di fronte a persona che ha necessità di autonomia e quindi bisogna lavorare al meglio per questo
– siamo dinanzi a persone che vanno valutate molto
bene con scienza e coscienza nel porre le indicazioni chirurgiche, essendo necessario conoscere le potenzialità residue, l’aspettativa vera di vita, l’aspettativa vera di ripresa
funzionale
– si tratta di persone che devono essere aiutate moltissimo nella riabilitazione.
Una cosa va detta e definita certamente; gli anziani nella
loro fragilità hanno bisogno ed hanno diritto ad avere dignità. La vera condizione che li mette in uno stato di serenità. Questo dipende innanzitutto dal modo con cui si pone il
curante nei confronti dell’ammalato, ma anche dal rapporto
con i familiari e coloro che li assistono. Sono immessi in un
mondo relazionale e questo mondo per creare condizioni
positive, ai fini dei risultati delle cure, deve esssere caratterizzato da amore.
5
Il trattamento chirurgico delle fratture
dell’omero prossimale nell’anziano
P. Maniscalco, J. D’Ascola, E.O. Del Vecchio, C. Pagliantini, M. Savoini, P. Ferrata
ABSTRACT
L
e fratture dell’omero prossimale rappresentano circa il 5% di tutte le fratture ma solamente il 20% sono di pertinenza
chirurgica. Queste fratture sono in continuo aumento soprattutto nell’anziano per ragioni analoghe alle fratture prossimali di femore. La scelta del tipo di trattamento dipende da molti fattori come la tipologia della frattura, la qualità ossea,
la vascolarizzazione residua della testa omerale, l’età del paziente e le richieste funzionali. Negli anni sono state descritte
diverse metodiche chirurgiche sia con riduzione e sintesi a cielo aperto utilizzando viti, placche e suture trans-osse, sia a
cielo chiuso con chiodi endomidollari, Epiblok e Pinnink con fili di k. Attualmente, a nostro avviso, l’osteosintesi con chiodo endomidollare a bloccaggi multiplanari e viti a stabilità rappresenta il gold standard nella maggior parte delle fratture
prossimali d’omero dell’anziano. Questo mezzo di sintesi presenta numerosi vantaggi come la scarsa invasività, le ridotte
perdite ematiche e la stabilità dell’impianto che quindi permette spesso la precoce mobilizzazione, presupposto fondamentale per la ripresa funzionale completa dell’omero.
Introduzione
Discussione
L
T
e fratture dell’estremo prossimale dell’omero sono relativamente frequenti e rappresentano il 5% di tutte le
fratture con un rapporto donna uomo pari a 2:1. La scelta
del trattamento è correlata a più fattori tra cui il tipo di frattura e la vascolarizzazione residua della testa omerale, l’età
e le richieste funzionali del paziente. Tali fratture, in particolare quelle che interessano il collo chirurgico omerale,
colpiscono prevalentemente gli anziani per i tipici fenomeni osteoporotici correlabili all’età.
Il trattamento è generalmente incruento poiché la cuffia dei rotatori, il periostio e il capo-lungo del bicipite brachiale spesso si oppongono alla scomposizione. Tuttavia,
nonostante queste strutture anatomiche, circa il 20% delle
fratture dell’estremo prossimale dell’omero è scomposto e
meritevole di correzione chirurgica.
Dal punto di vista etiopatogenetico queste fratture sono
causate da un carico assiale trasmesso all’omero attraverso
il gomito o attraverso la mano e l’avambraccio atteggiati in estensione con il gomito bloccato in estensione. Nei
soggetti con osso osteopenico, pazienti anziani o alcolisti,
un trauma a bassa energia può essere sufficiente a provocare la frattura. La sintomatologia è caratterizzata da dolore,
atteggiamento di difesa dell’arto, deformità, tumefazione,
ecchimosi brachio-toracica.
Le fratture del collo chirurgico omerale sono le più
frequenti tra quelle dell’estremo prossimale dell’omero,
sono extracapsulari e, visto l’adeguato supporto vascolare,
hanno una scarsa tendenza alla necrosi avascolare (AVN:
A-vascular necrosis), a differenza delle fratture del collo
anatomico.
rattare un paziente con una frattura dell’omero prossimale richiede un’attenta analisi. L’anamnesi e l’esame
obiettivo sono due punti imprescindibili che devono essere svolti con estrema cura e precisione in quanto possono
determinare non solo la tipologia di trattamento, cruenta o
meno, ma anche la eventuale scelta del mezzo di sintesi.
All’osservazione dell’arto traumatizzato, se presente
frattura, è importante evidenziare la presenza in corrispondenza della spalla e del braccio di ecchimosi, lesioni associate, dolore e l’impotenza funzionale. Lesioni di tipo neurologico periferico, soprattutto del nervo ascellare, possono
essere presenti e bisogna escluderle testando la sensibilità
periferica e la funzione motoria. La presenza di masse pulsanti o ematomi in espansione può indicare la presenza di
una lesione vascolare. L’esame dei polsi periferici è utile,
ma non esclude danni vascolari all’interno del cavo ascellare, poiché i polsi distali possono essere integri a causa
di circolazione collaterale intorno alla scapola. Non è infrequente in questi traumi trovare fratture ipsilaterali della
diafisi omerale, del gomito, dell’avambraccio e del polso.
Nel tempo sono stata proposte numerose classificazioni:
• CLASSIFICAZIONE DI KOCHER (1896)
• CLASSIFICAZIONE DI CODMAN (1934)
• CLASSIFICAZIONE DI HACKETHAL, (1961)
• CLASSIFICAZIONE DI NEER (1970)
• CLASSIFICAZIONE AO (1984)
• CLASSIFICAZIONE DI HERTEL (2005)
Riconoscendo la validità di tutte queste e in accordo
con molti autori, riteniamo la classificazione di Neer quella
più “semplice” da interpretare. Essa si basa sulla suddivisione anatomica in quattro parti della porzione prossimale
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P. maniscalco, J. d’ascola, e.O. del vecchio, C. pagliantini, m. savoini, p. ferrata
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dell’omero: la testa omerale, la grande tuberosità, la piccola tuberosità e la diafisi prossimale dell’omero:
❑ Fratture a singolo frammento: fratture scomposte o
fratture con spostamenti minimi.
❑ Fratture a due frammenti: fratture in cui si sposta un
singolo segmento, in relazione agli altri tre.
❑ Fratture a tre frammenti: si verificano quando si
ha lo spostamento di due dei quattro segmenti anatomici.
❑ Fratture a quattro frammenti: fratture che presentano lo sfollamento di tutti i segmenti anatomici
Scelta del trattamento
Negli anni, molti autori hanno cercato di dare indicazioni il più possibilmente chiare. Neer, per esempio, definiva chirurgiche fratture con scomposizione dei frammenti
principali maggiore di 5 mm e con angolazione maggiore
di 45 gradi. Da ciò ne risulta che circa l’80% delle fratture
dell’omero prossimale non sono chirurgiche mentre il restante 20% è meritevole di trattamento.
margine inferiore del bicipite, si dirigono verso l’alto e si
ramificano penetrando la corticale in corrispondenza della
doccia bicipitale, per approfondirsi nel contesto del trochite e del trochine, fornendo in tal modo la maggior parte
della vascolarizzazione alla superficie articolare della testa
omerale. Una frattura o un intervento chirurgico che ledono
i rami che si dipartono dall’arteria ascellare verso l’articolazione può quindi condurre all’AVN (fig. 1). Le fratture a quattro frammenti ingranate in valgo rappresentano
un capitolo a parte, nonostante l’interessamento del collo
anatomico più difficilmente vanno incontro a una necrosi
vascolare.
Fig. 1: necrosi
post-chirurgica
omero prossimale.
Trattamento incruento:
Generalmente si avvale di tutore ortopedico tipo reggi
braccio con Fascione (o tutore di DESAULT) da portare per
un tempo variabile dalle 3 alle 5 settimane, seguito da uno
o più cicli di Fisioterapia specifica al fine di recuperare il
normale rom articolare e la forza per evitare quindi sintomatologia dolorosa e/o rigidità.
Trattamento cruento:
Come in ogni frattura, il trattamento chirurgico ha lo
scopo di ripristinare l’anatomia articolare, la motilità del­
l’articolazione, l’allineamento assiale e consentire una
precoce mobilizzazione. La corretta scelta del trattamento
chirurgico, si basa sulle caratteristiche della frattura fornite dall’esame Rx (consiste in proiezioni antero-posteriore
(AP) e laterale nel piano scapolare e una vista ascellare secondo Neer) e dall’esame TC; e come già detto dalle condizioni generali del paziente quindi età ed attività. Negli anni
sono stati sviluppati numerosi mezzi di sintesi al fine di
garantire la più amplia possibilità di scelta per il chirurgo.
Tra le metodiche di trattamento a disposizione del chirurgo,
distinguiamo:
• La Riduzione a cielo chiuso con sintesi a minima percutanea (Pinning, Epiblok, fili di k)
• La Riduzione a cielo chiuso con sintesi endomidollare
(Chiodi corti e viti)
• La Riduzione a cielo aperto con sintesi interna (Placche a stabilità angolare e Placca Convenzionali)
• La Sostituzione Protesica della testa omerale, associata o meno a sintesi della piccola tuberosità.
Il tipo di frattura, il rischio di necrosi e il “bone stock”
determinano quindi la scelta fra un tipo di sintesi o l’eventuale sostituzione protesica. Le fratture che incorrono nel
maggior rischio di AVN sono quelle a tre e quattro frammenti e le fratture a due frammenti che interessano il collo
anatomico che sono per fortuna rare. Ricordiamo brevemente che la vascolarizzazione diretta della testa omerale
deriva in gran parte dall’arteria arcuata di Laing, rifornita
dalle arterie circonflesse anteriore e posteriore dell’omero. Esse, dopo essersi anastomizzate in corrispondenza del
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Complicanze
Q
ueste fratture possono presentare complicanze immediate, o tardive. Quelle immediate sono legate al
possibile danno vascolare (a. omerale) o nervoso (nervo
circonflesso) causato dai frammenti di frattura. Delle tardive, le complicanze più comuni sono: l’AVN dell’epifisi prossimale dell’omero, il ritardo di consolidazione, la
pseudoartrosi, la sindrome da conflitto sotto-acromiale e
l’infezione.
CONSIDERAZIONI DEGLI AUTORI e CONCLUSIONI
N
el tempo il trattamento delle fratture dell’omero, soprattutto nell’anziano è profondamente cambiato. Se un
tempo, la metodica più spesso utilizzata era il trattamento
conservativo con bendaggi funzionali, oggi grazie allo sviluppo dei materiali e degli strumentari, le indicazioni al trattamento chirurgico sono sicuramente aumentate. Il trattamento chirurgico delle fratture dell’omero prossimale deve
avere come obiettivi una sintesi il più anatomica possibile
ed una buona stabilità primaria tale da permettere una mobilizzazione precoce dell’articolazione. Nell’anziano, dove
spesso sono presenti osteoporosi e condizioni generali non
ottimali, è inoltre necessario, cercare di effettuare interventi
il più possibile veloci e mini-invasivi tali da consentire un
minor impegno anestesiologico e minori perdite ematiche.
il trattamento chirurgico delle fratture dell’omero prossimale nell’anziano
7
Fig. 2: osteosintesi con chido polarus.
Fig. 3: pull Out viti Prossimali.
Fig. 4: sintesi mediante Pinning Percutanei.
Alla luce di queste considerazioni il mezzo di sintesi
che idealmente si avvicina di più ad avere queste caratteristiche è l’osteosintesi mediante chiodo corto endomidollare
(fig. 2). Tale metodica presenta notevoli vantaggi dal punto
di vista biomeccanico, come il braccio di leva intramidollare che garantisce una maggiore stabilità risetto ad altri sistemi quali per esempio i Pinning percutanei e le Placche
soprattutto in presenza di osteoporosi. Altro vantaggio biomeccanico è rappresentato dal minor stress in flessione che
subiscono le viti di bloccaggio del chiodo e che portano al
pull- out dell’impianto nei sistemi con placca e viti soprattutto dove è presente osteoporosi (fig. 3). Altri indubbi vantaggi
dell’osteosintesi endomidollare sono la mini invasività, le
ridotte perdite ematiche e la diminuita percentuale di complcazioni quali l’AVN e la neuroaprassia del nervo ascellare
presenti maggiormente nell’osteosintesi open con placca e
viti e l’infezioni cutane, più spesso frequente con sistemi di
fissazione percutanea temporli quali Fili di k e Pinning (fig.
4). Questo tipo di sintesi tuttavia non è screvo da complicazioni, difatti a volte la riduzione della frattura a cielo chiuso
può risultare complessa soprattutto in quelle fratture dove il
trochite è particolarmente posteriore e risalito. In questi casi
è necessario un chiodo con bloccaggi prossimali multiplanari in grado di sintetizzare la parte della testa omerale interessata. Altra complicazione è il conflitto che può scaturire tra
la testa del chiodo e l’acromion quando quest’ultimo non è
perfettamente posizionato all’interno dell’omero.
In definitiva, considerando i pro e i contro rispetto alle
altre metodiche, riteniamo che l’osteosintesi con inchio-
damento endomidollare nell’anziano, ove possibile, sia il
gold-standard in quanto assicura una sintesi stabile ed una
bassa percentuale di complicazioni quali AVN, la neuraprassia e l’infezione cutanee.
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Classification and evaluation J. Bone Joint Surg. AM 52; 1970.
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using the Aequalis fracture prosthesis: a two- to five-year follow-up report. J Bone Joint Surg Br. Oct 2009.
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8
L’Artroprotesi inversa nel trattamento delle fratture
a 3-4 frammenti dell’estremo prossimale
dell’omero dell’anziano
T. Mascitti, P. Leone, S. Piscitello
Struttura complessa di Ortopedia e Traumatologia Azienda Ospedaliera “Bolognini” di Seriate (BG). Direttore: Dr. T. Mascitti
ABSTRACT
Obiettivo: Dimostrare che l’artroprotesi inversa nel trattamento delle fratture a 3-4 fammenti dell’estremo. Prossimale
dell’omero dell’anziano è soluzione chirurgica vantaggiosa.
Materiale e Metodi: Dal gennaio 2008 al dicembre 2009 abbiamo utilizzato 16 artroprotesi inverse “Duocentric” (13 F;
3 M) età media 78 y. Si è sempre cementato lo stelo e sintetizzate alla metafisi e tra loro le tuberosita.
Risultati: Follow-up medio 15 mesi (min 6-max 30) con controllo periodico strumentale (Rx) e clinico (Constant score). Non segni di notching, mobilizzazioni degli elementi protesici o delle tuberosità, instabilità, infezioni.Constant score
medio (68/100) per la spalla con Artroprotesi Inversa, 84/100 nell’arto contro laterale.
Discussione: L’impiego dell’artroprotesi inversa nel trattamento delle fratture 3-4 frammenti di omero prossimale è iniziato
dopo le positive esperienze del suo utilizzo nell’artrosi eccentrica per lesione massiva della cuffia dei rotatori. Da un lato mostrava il superamento del problema della guarigione delle tuberosità, tipico dell’endoprotesi, dall’altro lasciava aperto quello
della non restaurazione delle rotazioni. In più ha manifestato nei controlli a distanza il problema del “notching scapolare”. La
“Duocentric”(Artroprotesi inversa di recente concezione) grazie al suo design sembra risolvere tale problema. La sutura delle
tuberosità ci ha fatto osservare un buon recupero delle rotazioni.
Conclusioni: Nell’anziano il trattamento con artroprotesi inversa delle fratture a 3-4 frammenti dell’estremo prossimale dell’omero è stata per noi esperienza positiva capace di ridurre entro tempi più brevi un buon recupero funzionale della
spalla, evitando le complicanze dei tentativi di sintesi causate prevalentemente dalla scarsa qualità ossea di questi pazienti.
La reinserzione delle tuberosità, eseguita in tutti i casi,ha favorito, come già detto da altri autori, la bontà dei risultati clinici
osservati.
Parola chiave: artroprotesi inversa, fratture 3-4 frammenti estremo prossimale omero, grande anziano.
INTRODUZIONE
I
l trattamento di fratture complesse dell’estremo prossimale dell’omero è impegnativo nel paziente adulto, ma
ancor più nel paziente anziano e grande anziano (>75y)
per la scarsa qualità ossea e per le comorbidità che compromettono le sue condizioni generali. Le indicazioni al
loro trattamento sono spesso controverse. L’osteosintesi di
queste fratture in questi pazienti è ricca di complicanze:
osteonecrosi, pseudoartrosi, vizi di consolidazione, rigidità
articolare.
Neer sin dagli anni 501 ha introdotto per queste fratture
la terapia chirurgica sostitutiva con Emiartroplastica anatomica al fine di evitare queste frequenti complicanze2-3.
Questa tecnica, ricca di risultati positivi nelle mani
dell’autore, ha però mostrato nel tempo una notevole per-
Fig. 1a: S.P. 73 anni, frattura a 4 frammenti
cervico diafisaria omero destro; quadro strumentale
rx e TC pre-operatorio e post-operatorio.
AITOG
OGGI - settembre 2011
l’artroprotesi inversa nel trattamento delle fratture a 3-4 frammenti dell’estremo prossimale dell’omero dell’anziano
Fig. 1b: controllo clinico 2 anni F.U.
centuale di risultati insoddisfacenti causati prevalentemente
dalla non guarigione, mobilizzazione delle tuberosità reinserite4-5. L’endoprotesi ha, nella nostra esperienza, dato prevalenti risultati positivi sia nel trattamento di fratture recenti
che dei loro esiti specie nel sesso maschile (fig. 1). Ciò nonostante abbiamo seguito con interesse i reports positivi di
alcuni autori nell’impiego dell’artroprotesi inversa nel trattamento delle fratture a 3-4 frammenti dell’estremo prossimale dell’omero5-6-7-8. L’essere al riparo dalle potenziali
complicanze causate dalla reinserzione delle tuberosità ci è
sembrato motivo valido per fare anche noi questa esperienza. La possibilità di utilizzare un artroprotesi inversa (Duocentric) di 4° generazione ne ha rafforzato le motivazioni.
MATERIALI E METODI
D
al Gennaio 2008 al Dicembre 2009 abbiamo trattato
16 casi di frattura complessa dell’estremo prossimale
di omero con 16 artroprotesi inverse di IV generazione
“Duocentric”. I pazienti erano 13 Femmine e 3 Maschi
di età media 78 anni (min 62, max 87). La sede era in 8
casi la spalla dx e in 8 casi la spalla sin (arti dominanti
solo dx). Il Follow-up medio è stato di 15 mesi (min 6,
max 30).
Per i controlli clinici si è utilizzato il “Constant score”.
Dal punto di vista strumentale sono state eseguite rx standard (2p) + quadro TC pre-operatorio ed rx standard (2P) +
proiezione assiale al controllo.
Nel post operatorio tutti i pazienti hanno eseguito lo
stesso protocollo riabilitativo.
Secondo la scala di Constant si è ottenuto un valore
medio di 68/100 (min 52, max 83), rispetto al punteggio dell’arto controlaterale di 84/100 (min 73, max 92)
(tab. 1).
Non si sono osservate complicanze in termini di mobilizzazione delle tuberosità, di lussazioni, di infezioni e di
notching scapolare.
Tab. 1: Constant score casistica Ortopedia e Traumatologia AO “Bolognini” Seriate, protesi inversa spalla su frattura omero ssimale.
Paziente
S.I.
P.L.
S.A.
M.A.M.
M.A.
S.N.
L.D.
M.R.
B.G.
P.L.R.
M.L.
B.D.
S.P.
P.M.
P.A.
S.A.
Sesso
Età
Follow-Up
(Mesi)
Lato
Operato
F
F
F
F
M
F
F
M
M
F
F
F
F
F
F
F
81
71
84
67
83
81
71
62
87
81
78
78
77
84
83
80
11
30
27
20
15
9
13
25
11
6
11
8
7
6
17
20
D
D
S
D
S
D
S
S
D
S
S
D
S
S
D
D
Elevazione Abduzione
100°
130°
140°
90°
100°
120°
150°
120°
90°
100°
140°
80°
100°
110°
150°
100°
90°
100°
120°
90°
90°
100°
130°
100°
90°
90°
120°
80°
90°
100°
130°
90°
Constant
Score
62
77
81
70
62
73
83
70
58
62
75
52
56
61
81
63
Constant
Score arto
controlaterale
87
92
89
90
73
80
92
85
74
84
88
83
80
75
89
83
AITOG
OGGI - settembre 2011
9
T. Mascitti, P. Leone, S. Piscitello
10
Fig. 2a: caso clinico Protesi
inversa Duocentric Pz. P.A.
85 anni f., controlli rx + TC
preoperatorio ed rx controllo
a 17 mesi.
Fig. 2b: controllo clinico F.U.
17 mesi. Constant Score 81.
DISCUSSIONE
L
a bontà dei risultati clinici (Constant score) e strumentali (rx) della nostra recente esperienza del trattamento delle fratture dell’estremo prossimale dell’omero a 3-4
frammenti del Grande Anziano con Artroprotesi Inversa è,
secondo noi, dovuta ai seguenti motivi.
L’utilizzo di artroprotesi Inversa “Duocentric” di 4°
generazione con le seguenti caratteristiche biomeccaniche
migliorative rispetto ai precedenti modelli:- minore medializzazione del centro di rotazione,maggiore lateralizzazione della componente omerale, possibilità di tensionamento del piccolo rotondo con orientamento graduato
della componente omerale11, ed estensione del disegno
della Duoglena inferiormente, finalizzato ad evitare le
condizioni di Notching scapolare8-9-10, spiegano non solo
il recupero dell’elevazione e dell’abduzione, a volte simile alla spalla contro laterale, ma anche quello dell’intra
e soprattutto dell’extrarotazione. Quest’ultimo aspetto
positivo è certamente influenzato dalla reinserzione delle
tuberosità, derivata dalla passata esperienza della chirurgia Endoprotesica. Abbiamo così realizzato un positivo
restauro anatomo-funzionale in stabilità. L’osservazione
del buon esito di tale procedura non ha inciso sui tempi di
recupero2-4-12. Abbiamo inziato la mobilizzazione passiva
a due settimane dall’impianto e quella attiva assistita a tre
settimane del post-operatorio. Il recupero delle rotazioni è avvenuto tra i 40-90 gg del post-operatorio in modo
progressivo, dapprima passivo poi attivo. La tutorizzazione c’è stata per i primi 40gg semplicemente con “braccio
al collo” nelle gran parte dei casi eccetto due volte. Poi
le condizioni di “Notching scapolare” sono anche evitate
da un attento orientamento della componente glenoidea.
Noi l’abbiamo collocata sempre verso la parte inferiore
AITOG
OGGI - settembre 2011
dell’ellisse glenoidea come raccomandato da Nyffeler
et al.11 e la si è collocata con un “tilt inferiore” (10-15°
circa) come ricordato da Gutierrez et al.13. La guarigione
osservata delle tuberosità reinserite con l’utilizzo di tale
impianto protesico sembra influenzata positivamente dalle nuove particolari caratteristiche biomeccaniche dell’artroprotesi inversa di 4° generazione utilizzata. In un recente passato Sinovitch et al.15 avevano già evidenziato
i vantaggi della reinserzione sul recupero della intra ed
extrarotazione. Anche Galinet et al.2 in una loro revisione
casistica avevano evidenziato l’eccezionale risultato avuto in un caso clinico ove era stata eseguita la reinserzione
delle tuberosità rispetto ad altri casi dove tale procedura
non era stata eseguita. L’autore si proponeva di studiare
l’esecuzione in futuro di tale strategia chirurgica. Recentemente Levy et al.(2011) hanno riportato i vantaggi della
re inserzione delle tuberosità con ausilio di un innesto osseo “ a ferro di cavallo”14.
CONCLUSIONI
L
a sostituzione protesica nel trattamento delle fratture
complesse dell’estremo prossimale dell’omero è soluzione chirurgica che deve essere,secondo noi, presente
nell’armamentario terapeutico del chirurgo ortopedico.
L’endoprotesi ha dato, nel passato5-6, risultati non sempre
congrui alle aspettative per i problemi di guarigione delle
tuberosità reinserite specie nei pazienti di sesso femminile.
L’artroprotesi inversa già impiegata positivamente nell’artrosi eccentrica per lesioni massive inveterate della cuffia
dei rotatori,ha iniziato a mostrare la sua versatilità nel trattamento di questa complessa patologia traumatica. Anche
nella nostra esperienza si è confermata valida alternativa
l’artroprotesi inversa nel trattamento delle fratture a 3-4 frammenti dell’estremo prossimale dell’omero dell’anziano
terapeutica specie nei grandi anziani ove la scarsa qualità
ossea rende l’osteosintesi ricca di complicanze e condizionante lunghi periodi di immobilizzazione con tutti problemi assistenziali che questo comporta.
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AITOG
OGGI - settembre 2011
11
12
Complicanze vascolari nelle fratture composte
della branca ileo-ischio-pubica:
caso clinico e revisione della letteratura
R. Giancola, F. Valli, G. Antonini, M.G. Lettera, A. Savoia, C. Crippa, E. Zoffoli*, M. Cariati*
UOC Ortopedia e Traumatologia – AO “San Carlo Borromeo”, Milano; * UOC Radiologia - AO “San Carlo Borromeo”, Milano
Autore Corrispondente: Dott. Federico Valli - UOC Ortopedia e Traumatologia AO “San Carlo Borromeo”, via Pio II n. 3, 20153 Milano - [email protected]
ABSTRACT
Introduzione: Il caso clinico presentato ha lo scopo di evidenziare come, in presenza di una frattura isolata ingranata di
branca ileo-pubica in un paziente senza fattori di rischio (paziente non in terapia con antiaggreganti/anticoagulanti) possa
essere complicata da anemizzazione secondaria a sanguinamento attivo endopelvico.
Caso clinico: Una donna di 83 anni riportava una frattura isolata composta della branca ileo-pubica destra; a seguito di
anemizzazione progressiva veniva sottoposta a Tomografia Computerizzata (TC) con mezzo di contrasto nell’ipotesi di un
sanguinamento in atto; l’indagine TC dimostrava la frattura (fig. 1) e si osservava, dopo somministrazione endovenosa di
mezzo di contrasto (mdc), la comparsa di piccoli spandimenti da riferire a sanguinamenti riforniti da un ramo dell’arteria
ipogastrica di destra (fig. 2). La paziente veniva quindi sottoposta con successo ad arteriografia ed embolizzazione arteriosa
(fig. 3).
Discussione: Nelle fratture delle branche ileo-ischio-pubiche i danni vascolari sono più comuni in pazienti anziani data
la loro fragilità e presenza di co-morbidità, come minor riserva cardiovascolare o in terapia con anti-coagulanti. Nei casi
di instabilità dinamica suggeriamo inizialmente un esame TC con mdc che permette l’esatta localizzazione dell’ematoma, la sede di sanguinamento e l’esclusione di eventuali lesioni intra-addominali e si rende inoltre utile per guidare una
successiva embolizzazione. Si sottolinea pertanto l’importanza di un attento monitoraggio clinico-strumentale in pazienti,
soprattutto anziani, con frattura composta ed isolata della branca ileo-ischio-pubica data la possibilità di emorragie secondarie anche a distanza di giorni dal trauma che possono causare instabilità emodinamica; riteniamo inoltre che uno studio
TC con mdc, motivato da un’evoluzione della condizione clinica, sia necessario per una corretta diagnosi e per pianificare
una successiva angiografia con embolizzazione selettiva in regime d’urgenza.
SOMMARIO
L
e fratture composte delle branche ileo-ischio-pubiche
non richiedono in genere un approccio chirurgico, ma
si avvalgono di un trattamento ortopedico (riposo letto-poltrona e terapia antalgica). Gli autori riportano il caso di una
paziente di 83 anni con una frattura composta isolata della
branca ileo-pubica complicata da anemizzazione secondaria a sanguinamento attivo di un ramo dell’arteria ipogastrica, trattato con arteriografia ed embolizzazione.
Parole chiave: Frattura branca; ricovero; emorragia;
embolizzazione.
INTRODUZIONE
L
e fratture isolate delle branche ileo-ischio-pubiche
generalmente si riscontrano in pazienti anziani a seguito di traumi a bassa energia ed è stato dimostrato un
aumento della loro frequenza collegato all’incremento
dell’incidenza delle fratture su base osteoporotica1. Hill e
colleghi hanno evidenziato un’incidenza di 6.9/100.000/
anno e di 25.6/100.000/anno se si fa riferimento ad una
popolazione sopra i 60 anni di età; l’età media registrata
nel loro studio è stata di 74.7 anni con un tasso 4.2 volte
maggiore per le donne rispetto agli uomini; la sopravviAITOG
OGGI - settembre 2011
venza ad un anno era di 86.7 % e a cinque anni di 45.6 %2.
Le complicanze immediate delle fratture isolate composte
delle branche ileo-ischio-pubiche sono rare, rappresentate
generalmente da sanguinamento e trombosi venosa profonda, quelle a medio-lungo termine, più frequenti, sono
legate all’allettamento prolungato e al recupero dell’autonomia deambulatoria. La prognosi è legata allo stato
fisiologico pre-frattura del paziente, alla sua suscettibilità
a nuove cadute e all’aumento del livello di dipendenza sociale post-frattura3. La gestione delle fratture isolate composte delle branche ileo-ischio-pubiche non richiede un
intervento chirurgico, ma terapia incruenta domiciliare,
consistente in riposo a letto, terapia analgesica, monitoraggio radiografico e recupero deambulatorio con carico
graduale nel tempo.
Il caso clinico presentato ha lo scopo di evidenziare
come, in presenza di una frattura isolata ingranata di branca ileo-pubica in un paziente senza fattori di rischio (paziente non in terapia con antiaggreganti/anticoagulanti)
possa essere complicata da anemizzazione secondaria a
sanguinamento attivo endopelvico. Un’emorragia massiva è una complicanza ben documentata a seguito di fratture instabili dell’anello pelvico, mentre è un evento raro
nelle fratture stabili; in Letteratura sono riportati pochi
casi di embolizzazione arteriosa a seguito di emorragia in
fratture stabili4-7.
Complicanze vascolari nelle fratture composte della branca ileo-ischio-pubica
CASO CLINICO
U
na paziente di 83 anni è giunta in Pronto Soccorso (PS)
del nostro Ospedale per algia ed impotenza funzionale
a livello dell’arto inferiore destro a seguito di una caduta
accidentale in ambiente domestico; la paziente negava trauma addominale e traumi in altri distretti corporei; l’anamnesi patologica remota era muta e la farmacologia negativa
per antiaggreganti/anticoagulanti. I parametri vitali all’ingresso in PS erano 120/65 di pressione arteriosa, 92 b.p.m.
di frequenza cardiaca. La paziente veniva sottoposta a controllo radiografico del bacino e dell’anca destra che evidenziavano una frattura composta della branca ileo-pubica ed
eseguiva un esame ematico (emocromo, elettroliti, coagulazione) che riportava valori di 10.5 g/dl di emoglobina,
198.000 piastrine, 1.62 INR; veniva tenuta in osservazione
in PS e dopo 12 ore ripeteva gli esami ematici con successivo riscontro di 9.5 g/dl di emoglobina; lo specialista
ortopedico che aveva in carico la paziente decideva quindi
per un ricovero osservazionale nel reparto di Ortopedia. Al
secondo giorno di ricovero, in presenza di uno sfumato dolore precordiale di tipo anginoso, ipotensione arteriosa e
pallore cutaneo, ripeteva un controllo ematico con riscontro di 8.7 g/dl di emoglobina. Si decideva pertanto di sottoporre la paziente ad una Tomografia Computerizzata (TC)
con mezzo di contrasto nell’ipotesi di un sanguinamento
in atto. L’indagine TC, nelle scansioni di base, dimostrava
la frattura lievemente ingranata della branca ileo-pubica di
destra (fig. 1) ed in corrispondenza del focolaio fratturativo si osservava un ematoma con dimensioni di circa 4 cm;
dopo somministrazione endovenosa di mezzo di contrasto
13
(mdc) si osservava, in fase arteriosa, la comparsa di piccoli spandimenti dello stesso nel contesto dell’ematoma, che
aumentavano di dimensioni nelle successive fasi contrastografiche, da riferire a sanguinamenti riforniti da un ramo
dell’arteria ipogastrica di destra (fig. 2). La paziente veniva
quindi trasferita in sala angiografica per essere sottoposta
ad arteriografia ed embolizzazione arteriosa. Con accesso arterioso transfemorale sinistro ed ausilio di catetere
Cobra C2 (4 Fr), si eseguiva cateterismo dell’ipogastrica
destra: l’arteriografia eseguita a tale livello dimostrava la
presenza di piccoli spandimenti di mdc provenienti da un
ramo dell’ipogastrica destra; con microcatetere coassiale
Progreat, si incannulava superselettivamente il ramo arterioso responsabile del sanguinamento, che veniva emboliz-
Fig. 1: ricostruzione coronale
MPR di esame TC con finestra
dedicata allo studio osseo
che dimostra la frattura della
branca ileo-pubica destra.
Fig. 2a-b-c-d: scansioni assiali
di indagine TC con evidenza in
fase precontrastografica (a)
di ematoma in corrispondenza
del focolaio di frattura; in
fase arteriosa (b) comparsa
di piccoli spandimenti di mdc
che aumentano nelle succesive
fasi contrastografiche venosa
(c) e tardiva (d) da riferire a
sanguinamenti attivi.
AITOG
OGGI - settembre 2011
R. giancola, F. valli, G. antonini, M.G. LETTERA, A. SavoIA, C. Crippa, E. Zoffoli, M. Cariati
14
Fig. 3a-b-c-d-e: arteriografia
dell’ipogastrica di destra
con evidenza di piccolo
sanguinamento rifornito da
un ramo del vaso stesso (a);
cateterismo superselettivo
del ramo leso con miglior
evidenza dello spandimento
di mdc (b); rilascio di spirali
metalliche nella sede del
sanguinamento (c e d);
controllo arteriografico finale
con evidenza di completa
embolizzazione del ramo in
questione (e).
zato con microspirali metalliche (diametri di 3 e 2,5 mm);
il controllo finale dimostrava una completa embolizzazione
del vaso e la risoluzione del sanguinamento (fig. 3). La paziente ha dimostrato un’immediata ripresa ed è stata dimessa otto giorni dopo.
DISCUSSIONE
L
e fratture scomposte ad alta energia della pelvi possono
causare danni vascolari potenzialmente mortali, mentre le fratture composte possono comportare avulsioni dei
vasi pubici tali da dare instabilità emodinamica8; i danni
vascolari sono più comuni in pazienti anziani data la loro
AITOG
OGGI - settembre 2011
fragilità e presenza di co-morbidità, come minor riserva
cardiovascolare o in terapia con anti-coagulanti6. L’esame
obiettivo è cruciale per diagnosticare iniziali segni di shock
ipovolemico come la clinica addominale, lividi cutanei e
gonfiori in regione perineale, l’evoluzione dello stato mentale e dei parametri vitali7.
L’embolizzazione si rende necessaria in circa il 7-11%
dei pazienti con una frattura della pelvi9; tuttavia esiste
un’importante differenza a seconda del meccanismo lesivo: il gruppo con un meccanismo di compressione laterale
e frattura isolata di una branca ileo-ischio-pubica presenta
una percentuale del 1,7%, mentre nei casi di forze compressive antero-posteriori e/o verticali con fratture multiple la necessità di embolizzazione è di circa il 20%10; questo crea due categorie distinte di pazienti: un gruppo nel
quale l’angiografia deve essere considerata marginale ed
un altro nel quale dovrebbe essere obbligatoria data la frequente necessità di ricorrere ad embolizzazione. Sebbene alcuni autori ritengono l’esame angiografico la prima
scelta nell’investigare pazienti emodinamicamente instabili con fratture della pelvi9, noi suggeriamo inizialmente
un esame TC con mdc che permette l’esatta localizzazione dell’ematoma, la sede di sanguinamento e l’esclusione
di eventuali lesioni intra-addominali6 e si rende inoltre
utile per guidare una successiva embolizzazione visto che
talvolta è difficile attribuire uno shok ipovolemico a pazienti con una frattura composta ed isolata della branca
ileo-ischio-pubica; ovviamente l’esame TC deve essere
eseguito potendo garantire un immediato trasferimento in
Complicanze vascolari nelle fratture composte della branca ileo-ischio-pubica
sala angiografica se necessario come avviene nel nostro
Ospedale. In un paziente emodinamicamente instabile
con una TC che evidenzia un sanguinamento in atto deve
essere eseguita immediatamente un’angiografia trans femorale con embolizzazione selettiva. Lo studio TC con
mdc ha dimostrato un’alta predittività nel diagnosticare
una lesione arteriosa che richiede un’embolizzazione, con
una sensitività del 66-90%, una specificità del 85-98% ed
una accuratezza del 87-98%11. L’embolizzazione arteriosa transcatetere è attualmente considerata il trattamento
di scelta nelle lesioni arteriose nei casi di fratture della
pelvi; il tasso di successo, espresso in termini di controllo dell’emorragia e riduzione delle trasfusioni, varia dal
85% al 100%; deve essere eseguita precocemente prima
che si instaurino severe coagulopatie e la sindrome da insufficienza multiorgano12.
Nel caso da noi riportato è stato coinvolto un ramo
dell’arteria ipogastrica; l’arteria iliaca interna, anche nota
come arteria ipogastrica, è il principale vaso arterioso della pelvi; origina come biforcazione terminale della arteria
iliaca comune insieme all’arteria iliaca esterna e si divide
a sua volta in un ramo anteriore e uno posteriore, i cui collaterali e terminali possono essere raggruppati in vasi parietali (deputati all’irrorazione delle strutture parietali della
pelvi) e viscerali (che vascolarizzano gli organi contenuti
nella cavità). L’embolizzazione di un ramo dell’ipogastrica
destra è stata eseguita con un accesso transfemorale controlaterale; questo approccio è utile perché coinvolge un sito
lontano dall’ematoma che potrebbe interferire con l’iniziale cateterizzazione; questa procedura ha fermato il sanguinamento senza causare complicanze ischemiche.
Il caso clinico presentato ha lo scopo di sottolineare
l’importanza di un attento monitoraggio clinico-strumentale in pazienti, soprattutto anziani, con frattura composta ed
isolata della branca ileo-ischio-pubica data la possibilità di
emorragie secondarie anche a distanza di giorni dal trauma
che possono causare instabilità emodinamica; riteniamo
inoltre che uno studio TC con mdc, motivato da un’evoluzione della condizione clinica, sia necessario per una cor-
15
retta diagnosi e per pianificare una successiva angiografia
con embolizzazione selettiva in regime d’urgenza.
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AITOG
OGGI - settembre 2011
16
Considerazioni ortopediche e anestesiologiche
sul paziente anziano con frattura di femore
prossimale
P. Santo*, F. Rizzo**, C. Casadei***, F. Miola***, R. Facchini***
* U.O anestesia e rianimazione A.O ICP CTO di Milano; ** P. O. BASSINI ICP di Milano; *** U.O Clinica Ortopedica A.O ICP CTO di Milano
introduzione – considerazioni generali
L
e fratture di femore prossimale nell’anziano sono un
problema dai risvolti economici e sociali enormi nel
mondo occidentale.
Le fratture mediali e laterali del femore prossimale sono
molto comuni nelle persone anziane e sono in costante crescita, in relazione all’invecchiamento della popolazione
occidentale.
L’età avanzata, le condizioni generali, lo stato psico-fisico, l’osteoporosi, lo stile di vita sedentario e le patologie
associate condizionano la scelta e il timing ottimale dell’intervento chirurgico16.
Le più aggiornate linee guida di numerose società scientifiche, così come l’ampio volume di lavori scientifici pubblicati negli ultimi anni, concordano sul fatto che 24-48 ore
sono l’intervallo di tempo ottimale per l’avvio di una procedura chirurgica sul paziente anziano con frattura di femore.
A fronte di un’ampia convergenza scientifica sull’opportunità di un “timing” chirurgico rapido nel trattamento
delle fratture di femore, i dati rilevati dal rapporto Osservasalute del 2010 indicano che in Italia solo il 32,5% dei
pazienti di età > 65 anni è sottoposto ad intervento chirurgico entro le 48 ore, il che evidenzia un’incongruenza tra
raccomandazione clinica e performance ospedaliera.
Il risultato del 32,5 % dell’Italia, piuttosto basso rispetto alla media dei paesi europei che si attesta intorno al 90%,
presenta poi un’ulteriore variabilità regionale: sussistono,
infatti, marcate differenze tra le varie regioni, con un range
che va, per esempio, dal 16,9 % della Basilicata al 65,4 %
della Valle d’Aosta.
Il perché di tale diversità tra gli indicatori di appropriatezza clinica e organizzativa in paesi come l’Italia o la Spagna rispetto alle altre nazioni europee (Norvegia, Svezia
e Finlandia, ad esempio, presentano un indicatore > 90%)
trova una probabile spiegazione nei modelli di gestione sia
in fase di accesso e preoperatoria, sia in fase postoperatoria
e riabilitativa.
Dalla lettura di questi dati emerge la necessità di dover
sviluppare modelli organizzativo-gestionali individualizzati, che tengano conto delle caratteristiche delle singole
strutture ospedaliere e che vedano sinergicamente coinvolte diverse competenze mediche: anestesiologiche, infermieristiche, chirurgiche, riabilitative.
Non a caso si utilizza il termine “sinergicamente”, perché tutte le diverse figure professionali devono sentirsi
coinvolte nella gestione del paziente, dal suo ingresso in
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OGGI - settembre 2011
pronto soccorso sino alla dimissione, non confinando le
proprie competenze ai singoli scenari clinici, ma integrandole, con l’obiettivo di migliorare l’outcome di questi pazienti certamente più fragili anche per l’età avanzata.
La mortalità ad un anno dopo una frattura del collo del
femore si aggira intorno al 12% potendo raggiungere il
36% in determinati gruppi di popolazione.
Considerato che in Italia sono più di 10 milioni le persone che hanno superato i 65 anni di età e che gli ultraottantenni sono circa quattrocentomila, si tratta di circa settantamila fratture su base annua; l’entità del problema è quindi
rilevante.
Il trattamento ortopedico delle fratture mediali e laterali
del femore prossimale dell’anziano ha subito negli ultimi
anni un’evoluzione dovuta da un lato al miglioramento delle tecniche e degli strumentari chirurgici e dall’altro alla
constatazione dell’importanza di un trattamento precoce
che consenta una ridotta immobilizzazione, un più rapido
recupero funzionale ed un reinserimento precoce nell’ambiente familiare e sociale.
La scelta terapeutica si basa classicamente su due considerazioni: le condizioni generali del paziente globalmente
considerato (età cronologica ma soprattutto fisiologica, il livello di attività e di indipendenza pre trauma, le comorbidità
associate), e il tipo di frattura.
Escludendo i pazienti ad altissimo rischio operatorio
considerati non operabili, sempre più rari, il trattamento di
scelta è quindi ovviamente chirurgico, al fine di evitare i
danni e le complicazioni da allettamento prolungato.
La scelta può variare tra la osteosintesi (viti cannulate,
placche e viti a scivolamento o chiodi endomidollari) e la
sostituzione protesica (endoprotesi o artroprotesi) in base
al tipo di frattura. Le teste uni polari o bipolari così come
l’utilizzo o meno del cemento sono un ulteriore argomento
di dibattito.
Il PUNTO DI VISTA DELL’ORTOPEDICO
L
’obiettivo del trattamento delle fratture mediali e laterali del femore prossimale nell’anziano va oltre il gesto
tecnico di sintetizzare o sostituire chirurgicamente la testa
femorale, ma riguarda la necessità di restituire al paziente il
suo stato funzionale e di indipendenza precedente l’evento
fratturativo.
Le fratture del femore prossimale nei pazienti anziani
comportano un rischio di morbilità, complicazioni e mortalità immediata e a distanza elevato.
Considerazioni ortopediche e anestesiologiche sul paziente anziano con frattura di femore prossimale
La mortalità complessiva intra ospedaliera risulta essere
compresa tra il 2 e l’11% e risulta direttamente correlata
con le condizioni fisiche e psichiche preesistenti, con le comorbidità presenti al momento del ricovero, con la classificazione ASA, con il tipo di intervento eseguito e con l’età
anagrafica.
Il rischio di mortalità a un anno rimane elevato, dal 9
al 25% a seconda dei sottogruppi valutati, con una media
del 12%.
In particolare il trattamento chirurgico in urgenza differita non sembra influenzare la mortalità intra e post operatoria intra ospedaliera.
Quando il ritardo nell’intervento supera i tre giorni,
correlandosi con l’incremento del punteggio ASA, si pone
come indice prognostico negativo e la mortalità intra operatoria raddoppia.
Le complicanze a breve termine, presenti nel 15% dei
casi, devono essere prevenute e trattate prontamente. Tali
complicanze comprendono le infezioni ospedaliere, l’incontinenza e la ritenzione urinaria, la TVP ed il tromboembolismo polmonare, le ulcere da decubito, gli incidenti
cerebro vascolari, l’infarto miocardico e l’insufficienza
renale. Le complicanze chirurgiche a distanza comprendono il fallimento della sintesi, le lussazioni e le fratture
peri-protesiche, i re-interventi comunque considerati e le
infezioni superficiali e profonde della ferita chirurgica. Tra
le complicanze a distanza, particolarmente temibili sono: la
necrosi della testa del femore e le pseudoartrosi.
L’obiettivo del chirurgo ortopedico consiste quindi
sicuramente nel trattare la frattura da un punto di vista
strettamente meccanico riducendo e sintetizzando la stessa con un costrutto stabile o protesizzando l’estremità
prossimale del femore, ma al fine ultimo di consentire una
precoce mobilizzazione del paziente, così da diminuirne i
tempi di allettamento ed i rischi di complicanze precedentemente elencate, e favorire un rapido inizio della rieducazione funzionale finalizzata ad un recupero il più possibile completo dell’autonomia funzionale e di relazione
del paziente16.
La scelta terapeutica da un punto di vista chirurgico23
si basa su due fattori principali: le condizioni generali del
paziente (tenendo presente l’età cronologica ma soprattutto
quella biologica, il livello di attività e di indipendenza pretrauma, le comorbidità associate), ed il tipo di frattura. La
qualità e quantità (osteoporosi) dell’osso sono inoltre un
fattore importante da tenere in considerazione.
Il timing chirurgico, vale a dire il momento ideale in cui
entra in gioco il chirurgo ortopedico, è stato ed è tutt’oggi
argomento di discussione.
Alla luce dei numerosi lavori e studi presenti in letteratura possiamo affermare che 24-48 ore sono l’intervallo
di tempo ottimale per l’avvio di una procedura chirurgica sul paziente anziano con frattura di femore. Infatti un
ritardo nell’effettuare l’intervento chirurgico e quindi a
catena anche nella mobilizzazione del paziente aumenta considerevolmente il numero di complicanze legate
all’allettamento prolungato e quindi anche la morbidità e
la mortalità, influenzando negativamente il risultato finale. Tuttavia bisogna tenere sempre ben presente che una
chirurgia affrettata e la mancata stabilizzazione dei pro-
17
blemi medici prima dell’intervento aumenta il rischio di
complicanze perioperatorie e anche la mortalità a breve
termine.
Il trattamento chirurgico
Le fratture mediali (fig. 1)
I pazienti con fratture mediali del femore prossimale
composte, deambulanti prima del trauma, vengono trattati
con sintesi interna per prevenire una potenziale scomposizione secondaria, che potrebbe avvenire con una frequenza
del 10-30%. L’osteosintesi con viti cannulate rimane il trattamento prescelto dalla quasi totalità dei chirurghi per le
fratture composte del collo del femore, indipendentemente
dall’età e da altri fattori considerati, tuttavia nel paziente
anziano trovano minore indicazione a causa della scarsa
qualità dell’osso quasi sempre osteoporotico e per il fatto
che questo tipo di trattamento prevede una mobilizzazione
ritardata con conseguente rischio di aumento delle complicanze legate all’allettamento prolungato.
Un minimo di tre viti cannulate inserite parallelamente
nel collo del femore fino a 0,5 cm dalla testa sono il trattamento standard. Una quarta vite non sembra aggiungere
ulteriore stabilità, mentre due sole viti sono ritenute insufficienti dalla maggior parte degli autori. Le viti devono essere posizionate nei 2/3 centrali del collo e della testa e
decentrate verso i quadranti inferiore e posteriore15.
Gli errori di tecnica, i fallimenti precoci e tardivi (pseudoartrosi e osteonecrosi) e le complicanze intra e post operatorie non sono infrequenti e richiedono un
reintervento con sostituzione protesica della testa.
Per le fratture mediali scomposte le opzioni comprendono la sostituzione protesica con o senza cemento (protesi
totale o endoprotesi, bipolare o unipolare).
I pazienti precedentemente non deambulanti (sia con
frattura composta che scomposta) possono essere trattati conservativamente con una mobilizzazione precoce. In
caso di persistenza di dolore a distanza, si può procedere a
resezione o endoprotesi.
Nelle fratture scomposte rimane elevato il rischio di necrosi della testa del femore e quindi, fermo restando il carattere dell’urgenza, è consigliabile nel paziente più anziano
orientarsi verso una sostituzione protesica.
Nei soggetti più anziani, la scelta terapeutica si sposta
progressivamente verso una protesizzazione, anche in funzione della gravità della scomposizione, della comminuzione della frattura e delle condizioni generali del paziente.
Un quadro di marcata osteoporosi rende l’osteosintesi ad
alto rischio di fallimento.
Non esiste uniformità di giudizio nei confronti delle
protesi unipolari o bipolari.
A parte la considerazione di un maggior costo per le
protesi bipolari, non esiste una evidenza scientifica a favore di una minore usura dell’acetabolo da parte delle teste
bipolari.
La modularità consente comunque una conversione verso l’artroprotesi ove necessario per problemi legati all’usura o alla lussazione.
Naturalmente la preesistenza di una artropatia da artrite
reumatoide o una coxartrosi indirizzano verso l’artroprotesi totale d’anca.
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P. santo, F. RIzzo, C. Casadei, F. miola, R. facchini
18
Fig. 1: algoritmo terapeutico
fratture mediali del femore
prossimale.
Nell’anziano l’aumento di incidenza delle fratture prossimali di femore rappresenta il più importante fattore socio
economico correlato all’osteoporosi, Il sistema osseo nel
paziente osteoporotico può avere una risposta allo stress
meccanico deficitaria nel lungo periodo. I carichi trasmessi
all’interfaccia osso impianto possono spesso superare la ridotta tolleranza allo stress dell’osso osteoporotico. Questo
fenomeno può risultare in microfratture, riassorbimento locale dell’osso e mobilizzazione dell’impianto.
Questo rischio ha condotto verso impianti cementati
nella tendenza di migliorare l’interfaccia osso impianto
prevenendo alti picchi di carichi e distribuendo le forze trasmesse all’osso attraverso la modulazione del ce­
mento.
La sostituzione protesica sembra essere superiore alla
fissazione interna nel ridurre il rischio di una chirurgia di
revisione, nella riduzione del dolore e nel miglioramento
della qualità della vita. Al contrario la sintesi interna (con
viti) viene ritenuta superiore nel ridurre i tempi chirurgici, le perdite ematiche, il tasso di infezione e il rischio di
mortalità peri e post operatoria.
Gli interventi di revisione, in caso di fallimento della
prima opzione terapeutica, vengono considerati procedure a maggiore difficoltà e gravate da un numero maggiore
di complicanze e mortalità rispetto alla procedura originale.
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Le fratture laterali (fig. 2)
Le fratture della zona per-sottotrocanterica, da sempre
considerate ad evoluzione più benigna rispetto a quelle mediali pongono, invece, frequenti problemi di trattamento
soprattutto per quanto riguarda la scelta del tipo di mezzo di sintesi più idoneo al tipo di frattura e alla stabilità
dell’impianto18.
Inoltre, se queste fratture non comportano quasi mai
problemi di carattere biologico locale nel processo di guarigione, spesso si evidenziano problemi di ordine generale
legati all’età del paziente, alle sue patologie associate preesistenti e concomitanti e allo stato psichico23.
Attualmente esiste una vastissima gamma di mezzi di
sintesi19, ognuno con caratteristiche meccaniche e requisiti
specifici, utilizzabile in questo tipo di fratture, ed è compito
dell’ortopedico scegliere il sistema più idoneo al tipo di frattura, alle qualità dell’osso e alle caratteristiche del paziente,
tenendo in considerazione tutte le variabili individuali: età,
sesso, peso corporeo, attività fisica, condizione mentale e generale pre-trauma, patologie in essere o insorgenti che possono condizionare l’esito del trattamento, qualità dell’osso.
Il trattamento ortopedico delle fratture laterali del collo
del femore nell’anziano è essenzialmente chirurgico, al fine
di evitare le complicanze dovute all’allettamento: lesioni
da decubito, polmoniti, infezioni urologiche e decadimento
dello stato psico-fisico. I pazienti considerati non opera-
Considerazioni ortopediche e anestesiologiche sul paziente anziano con frattura di femore prossimale
19
Fig. 2: algoritmo terapeutico
fratture laterali del femore
prossimale.
bili o ad elevatissimo rischio operatorio sono ormai rari.
Tuttavia la scelta del mezzo di sintesi da utilizzare non è
un momento da sottovalutare in quanto è ormai superato il
concetto che un unico mezzo di sintesi possa risolvere tutte
le fratture.
Il momento fondamentale nella scelta del trattamento
delle fratture extracapsulari del collo del femore è lo studio
del tipo di frattura: numero dei frammenti, decorso della
rima, grado di scomposizione, integrità del muro mediale
e laterale2.
La classificazione più utilizzata per questo tipo di fratture è quella AO20, secondo la quale le fratture, identificate come 31-A, sono suddivise in tre gruppi: A1, A2 e A3.
L’ulteriore suddivisione in sottogruppi non sembra portare
a vantaggi in termini prognostici o di scelta del trattamento
e risulta quindi scarsamente utilizzata. L’unica vera variabile che sembra in grado di influire sul risultato finale è il
riconoscimento della “stabilità” o meno della frattura che
influisce sulla scelta del mezzo di sintesi, sul tasso di possibili complicazioni ed in definitiva sul risultato finale18.
Le fratture di tipo A1 e A2 sono descritte come pertrocanteriche, caratterizzate da una rima di frattura a decorso
obliquo da prossimo-laterale a disto-mediale, semplici a
due monconi, con la corticale mediale integra e senza perdita ossea postero-mediale, composte o scomposte le A1,
più complesse in quanto pluriframmentarie, con parziale o
totale distacco del piccolo e/o del grande trocantere e quindi più instabili le A2. Il trattamento incruento per questo
tipo di fratture è riservato a pazienti gravemente compromessi, non deambulanti e con gravi comorbidità e rischi
anestesiologici che non consentono l’intervento chirurgico.
Il trattamento chirurgico è la scelta d’elezione e le diverse opzioni sono: chiodo endomidollare, vite-placca a
scivolamento, placche ad angolo fisso a 95°; in tutti i casi
la riduzione della frattura può essere incruenta o cruenta a
seconda del tipo di frattura2.
In questo tipo di fratture, secondo la letteratura, non
vi sono evidenze che supportino l’uso routinario della
fissazione intramidollare; per le fratture pertrocanteriche
stabili una vite placca fornisce un’alternativa semplice e
sicura, per le fratture considerate instabili, la preferenza
per gli impianti intramidollari, sebbene biomeccanicamente superiori dal punto di vista teorico, non è basata
su evidenze scientifiche che riportino un miglior outcome
clinico.
In queste fratture trova spazio anche l’opzione della sostituzione protesica21, in quanto l’integrità del muro laterale
permette l’impianto di endoprotesi e artroprotesi. L’endoprotesi è indicata in caso di pazienti con scadente qualità
dell’osso e grave osteoporosi, nonché nelle fratture patologiche, che non garantirebbero la tenuta dell’osteosintesi
e in caso di necessità di carico immediato; l’artroprotesi è
indicata in pazienti con pregressa grave coxartrosi o artrite
reumatoide o ancora frattura patologica. Più spesso si ricorre alla sostituzione protesica come trattamento del fallimento di un’osteosintesi, in tal caso il rischio di insuccessi
e di fallimenti è sensibilmente più alto che negli interventi
di elezione.
Le fratture di tipo A3 rappresentano un gruppo a parte, sono definite intertrocanteriche e sono di differente
morfologia, la rima di frattura decorre tra i due trocanteri, da sopra il piccolo trocantere medialmente fino sotto la cresta del vasto laterale lateralmente, segue quindi
una direzione opposta rispetto a quelle del gruppo precedente: da prossimo-mediale a disto-laterale. Per questo
motivo, infatti, sono anche chiamate inverse oblique o
trasverse intertrocanteriche e sono considerate fortemente instabili16.
Il trattamento è necessariamente chirurgico e, ad
esclusione dei rari casi inoperabili, prevede l’utilizzo
preferenziale del chiodo endomidollare, un’alternativa
può essere l’utilizzo di una vite placca a 95° (DCS), pur
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P. santo, F. RIzzo, C. Casadei, F. miola, R. facchini
20
in presenza di un discreto tasso di fallimenti e cedimenti
meccanici2.
Nelle fratture di tipo A3 la sostituzione protesica è difficilmente attuabile proprio per le caratteristiche di alta instabilità della frattura stessa in cui si ha la mancanza del muro
laterale di appoggio.
IL PUNTO DI VISTA DELL’ANESTESISTA
S
e il miglioramento dell’outcome del paziente geriatrico
con frattura di femore, come testimoniato dai risultati
di larga parte della letteratura nazionale e internazionale,
passa certamente attraverso una riduzione dei tempi che
intercorrono tra ingresso del paziente in pronto soccorso
e intervento chirurgico, sembra altresì imprescindibile la
necessità di un approccio clinico multidisciplinare che preveda un percorso diagnostico-terapeutico teso al raggiungimento di un obiettivo fondamentale che ci piace denominare “STRESS PROTECTION”.
Il soggetto anziano rappresenta una porzione della popolazione ospedaliera complessa da trattare, non soltanto
per l’età avanzata, che deve essere considerata come fattore
di rischio indipendente, quanto, piuttosto, rispetto alla tipologia e al numero di comorbidità sottostanti.
Consideriamo fondamentale, quindi, la valutazione
dell’’età biologica e non soltanto di quella anagrafica, perché la risposta allo stress perioperatorio non è certamente
uguale in un soggetto geriatrico sano e in un soggetto con
patologie sottostanti.
L’invecchiamento si associa a una serie di modificazioni fisiologiche che comportano una riduzione della capacità
funzionale complessiva e, pertanto, un ritardo nella risposta fisiologica allo stress chirurgico.
Il sistema cardiocircolatorio, con il crescere dell’età, va
incontro a un fisiologico rimodellamento che può essere
descritto, in ultima analisi, come una sorta di disfunzione
diastolica con perdita progressiva di risposta meccanica efficace.
Aumento delle richieste metaboliche, modificazioni improvvise della volemia o tossicità diretta dei farmaci utilizzati in anestesia possono comportare una risposta inadeguata della performance cardiaca e precipitare in uno stato
di “ heart failure”.
È utile indagare sui limiti di riserva cardiaca e sullo
stato volemico di questi pazienti: il ricorso all’ecocardiografia, pertanto, deve essere preso in considerazione non
solo nei pazienti con storia di scompenso o pregresso IMA,
ma anche come presidio per una rapida valutazione della
volemia.
Perdite di sangue dal sito di frattura, che possono variare da pochi millilitri nelle fratture intracapsulari a più
di un litro nelle inter-subtrocanteriche, unitamente ad uno
stato di disidratazione, possono comportare pericolose turbe dell’equilibrio emodinamico e rischio di scompenso cardiaco o IMA.
Oltre al rimodellamento cardiovascolare, anche la meccanica respiratoria si modifica nell’età avanzata con decremento della compliance polmonare, aumento del lavoro
respiratorio e riduzione della ventilazione minuto.
AITOG
OGGI - settembre 2011
Diminuita capacità di risposta all’ipossia, tosse inefficace, storia di stroke, BPCO, allettamento prolungato aumentano la possibilità di complicanze postoperatorie come
inalazione, atelettasia e polmonite.
Una riduzione del timing chirurgico e una mobilizzazione precoce, facilitata da un piano anestesiologico che
garantisca un ottimale controllo del dolore, possono ridurre
drasticamente l’incidenza di tali complicanze.
Attualmente vengono utilizzati diversi sistemi a punteggio per stimare la possibilità di insorgenza di complicanze
peri-postoperatorie, e numerosi studi ne hanno indagato la
validità e il valore predittivo.
E.Burgos e coll., in un lavoro scientifico pubblicato nel
2008, hanno valutato il valore predittivo di sei diversi tipi
di risk score applicati su pazienti anziani sottoposti ad intervento chirurgico per frattura di femore.
I risultati sembrano indicare che POSSUM scale, RISKVAS scale e CHARLSON index possiedono un sufficiente
valore predittivo in relazione a complicanze postoperatorie
maggiori, mentre BARTHEL index e RISK-VAS si dimostrano efficaci come predittori di capacità a deambulare a
tre mesi dalla chirurgia.
Nessuno degli score presi in esame ha però dimostrato
capacità predittiva sul tasso di mortalità a 90 giorni dalla
chirurgia.
La scelta anestesiologica, generale vs periferica?
Qualunque dibattito sull’argomento, a nostro parere,
sembra ormai superato, soprattutto se si considera l’impatto che lo sviluppo farmacologico e tecnologico degli ultimi
venti anni ha avuto nel trattamento dei pazienti particolarmente fragili.
L’utilizzo di farmaci sempre più sicuri in termini di tossicità e con ridotto impatto emodinamico ha colmato il gap
tra anestesia generale e periferica; il ricorso nel paziente
compromesso all’anestesia generale è un’opzione che riteniamo indispensabile soprattutto quando è necessario uno
stretto controllo delle funzioni vitali.
Inoltre la possibilità di un monitoraggio semi-invasivo, come l’analisi del contorno del polso arterioso e il
controllo ecografico della funzionalità cardiaca e dello
stato volemico del paziente garantiscono un miglior controllo delle funzioni vitali e una riduzione di complicanze
postoperatorie.
L’obiettivo che dovrebbe guidare la scelta di una strategia anestesiologica adeguata alle esigenze dei pazienti è
sicuramente la protezione d’organo.
L’anestesia regionale, praticata nel nostro istituto al­
l’80% circa dei pazienti chirurgici, garantisce un piano ottimale di anestesia, un’eccellente controllo del dolore nel
postoperatorio, una bassa incidenza di complicanze.
Il ricorso all’uso dell’ecografo nell’anestesia loco regionale ha poi implementato una già efficace pratica anestesiologica periferica, aumentandone anche sicurezza e
tolleranza.
La cateterizzazione nervosa del plesso lombare, inoltre, garantisce nella chirurgia per frattura di femore una
buona copertura anestetica e antalgica, consentendo in
selezionati gruppi di pazienti un’ottimale soluzione anestesiologica.
Considerazioni ortopediche e anestesiologiche sul paziente anziano con frattura di femore prossimale
21
CONCLUSIONI
9)
I
10) Kenneth J Koval A (2004) Clinical Pathway for Hip Fractures
in the Elderly. Techniques in Orthopaedics, 19(3): 181-186.
pazienti geriatrici con frattura di femore, il cui trattamento è molto impegnativo sia nelle età estreme, sia
quando si presentano affetti da plurime patologie sottostanti, richiedendo un approccio sistematico e multidisciplinare.
Valutazione, stratificazione del rischio e stabilizzazione
richiedono tempo e risorse, pertanto riteniamo indispensabile una rapida intercettazione del paziente già in pronto
soccorso, intercettazione tesa alla realizzazione di un protocollo condiviso mirato a un pronto riconoscimento di deficit (funzionali, nutrizionali, cognitivi) e a una riduzione
dei rischi legati alle procedure anestesiologiche e chirurgiche.
Tipo di frattura e proposta chirurgica devono guidare la
programmazione di un’adeguata strategia anestesiologica e
del controllo del dolore postoperatorio.
Non va sottovalutato, inoltre, l’apporto internistico, che
si è rivelato indispensabile nel trattamento clinico di questa
categoria di pazienti sia nel pre che nel postoperatorio, determinando una drastica riduzione di ricoveri prolungati e
di morte intraospedaliera.
Riteniamo, in ultima analisi, indispensabile la creazione
di un team multi specialistico che condivida un protocollo
terapeutico comune e che si prefigga come obiettivo non
solo il raggiungimento di un timing ottimale nel trattamento di questi pazienti, ma, soprattutto, un miglioramento
dell’outcome a medio e lungo termine.
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AITOG
OGGI - settembre 2011
22
La prevenzione dell’errore in ortopedia
e traumatologia
F.M. Donelli
L
’attività clinica e chirurgica svolta dallo specialista ortopedico è da considerarsi terapeutica e da realizzare in
base alle necessità del paziente.
Così va intesa l’opera del medico, che dev’essere svolta per necessità reale dell’assistito. Le condizioni del paziente per eventuali insuccessi terapeutici possono ricadere
nell’ambito della Responsabilità Professionale dell’operatore.
L’attività del medico è soggetta ai principi generali del
diritto civile che ne indica i doveri e le possibili responsabilità. In caso del verificarsi di un evento lesivo, l’opera
del sanitario è riconducibile al diritto penale in quanto è da
considerarsi comportamento colposo. Presupposto di questo rapporto contrattuale è la capacità delle due parti di obbligarsi e la cui condizione fondamentale è il Consenso del
Paziente. Si tratta di un atto volontario con cui il paziente
da vita a un rapporto dal quale deriva l’obbligo di farsi curare e, dall’altra parte, l’obbligo di curare.
Il fine di rendere edotto e consapevole il paziente del
contenuto delle possibili e prevedibili conseguenze, diventa elemento fondamentale per la validità del contratto. Occorre, infatti, una continua informazione relativa alla patologia, al trattamento terapeutico, alle possibili alternative e
alle prevedibili complicanze che le cure stesse potrebbero
determinare.
La mancanza d’informazione può invalidare il contratto, portando così l’operato del medico ad essere illecito.
Il lavoro del medico, sia clinico che chirurgico dev’essere orientato al conseguimento della guarigione del malato, ma il successo è anche dato da un corretto comportamento del sanitario.
Un comportamento diligente da parte del medico è necessario per valutare il criterio della prestazione effettuata.
La “diligenza” deve corrispondere al tipo di condotta richiesta in determinate circostanze, mentre diventa azione
colposa quando si riscontra diversa da quella richiesta ed
occorre considerarla come una violazione consapevole di
regole di condotta.
INFORMAZIONE CONSENSO
N
ella valutazione dell’attività prestata dal medico, ha
particolare rilievo il risultato prefissato. Si può valutare soltanto alla fine del trattamento se l’attività terapeutica o chirurgica può essere considerata diligente o colposa.
L’obiettivo ricercato è, ovviamente, il buon risultato della
cura o dell’intervento chirurgico. Occorre tenere anche pre-
AITOG
OGGI - settembre 2011
sente che la prestazione medico-chirurgica deve cercare di
ottenere non solo la guarigione della singola infermità, ma
di migliorare le condizioni generali del paziente.
Le aumentate problematiche medico-legali relative
al trattamento medico-chirurgico, sono in parte dovute
dall’evoluzione della professione sanitaria e alla continua
pressione mediatica. In ortopedia e in traumatologia l’introduzione di nuove metodologie, come ad esempio la robotica, e alcune metodiche anestesiologiche, sono sempre
più causa di discussione come ipotesi di illecito civile e
penale del medico.
Solitamente sono due i profili medico-legali che condizionano inconfutabilmente il modus operandi:
a) Le condizioni fisiche che indirizzano la scelta del
trattamento sanitario;
b) Il profilo socio-economico dei trattamenti medicochirurgici. È infatti previsto che il medico concorra al contenimento della spesa pubblica.
A) Le condizioni fisiche che indirizzano la scelta del
trattamento
La scelta delle cure, siano conservative o chirurgiche,
deve avvenire sotto il profilo medico-legale i cui riflessi più
immediati vanno stabiliti nella fase pre-operatoria dove la
valutazione clinica può determinare varie possibilità ugualmente valide e praticabili.
Grande attenzione inoltre deve essere posta nella fase
post-operatoria: occorrono accertamenti clinico-radiografici, per evitare il verificarsi di complicanze in grado di sbilanciare il Rapporto Rischio/Beneficio. Complicanze che
potrebbero portare elementi lesivi di natura biomeccanica
o infettiva e che richiederebbero un’opportuna profilassi
anti-tromboembolica oltre a una congrua copertura antibiotica in base alle condizioni pre-esistenti del paziente.
“Il risultato di un trattamento chirurgico in ortopedia e
traumatologia dipende da diversi fattori:
1) L’età e le condizioni biotipi che del soggetto;
2) Il timing dell’evolutività delle patologie interessanti
l’apparato locomotore;
3) Le diverse opzioni terapeutiche;
4) La differibilità dei trattamenti specifici;
5) L’evoluzione tecnologica della metodologia proposta;
6) La possibilità di eventuale re intervento nella stessa
location.
Il chirurgo, nel Planning Pre-Operatorio, deve assolutamente valutare il rapporto rischio/beneficio.
Per “rischio” si intende l’evento lesivo che si verifica
nel caso di intervento e dipende dall’esecuzione tecnica che
la prevenzione dell’errore in ortopedia e traumatologia
non è prevedibile, spesso non è avvertibile e, come tale, è
difficilmente eludibile.
In questo contesto si evince come sia fondamentale, al
fine di poter valutare la strategia più idonea, l’esperienza e
la casistica del chirurgo.
L’operando dovrà essere edotto nel modo più chiaro
possibile sulla diagnosi, sulle prospettive e sulle eventuali
alternative terapeutiche, ma, soprattutto, sulle possibili e
prevedibili conseguenze delle scelte operate.
“Per quanto riguarda le terapie innovative e sperimentali, esse comportano particolari obblighi per il medico che
le propone, relativamente ai contenuti dell’informazione
che viene fornita all’assistito al fine dell’acquisizione del
consenso.
Intervento di speciale difficoltà – art. 2336 del C.C.
La metodologia precedentemente richiamata risulta
fondamentale per ogni trattamento sanitario, ma è doveroso, giunti a questo punto, effettuare la distinzione tra
una terapia ‘consolidata’, che a sua volta può presentare,
anche se di routine, problemi tecnici di speciale difficoltà. Qualora sia necessario, secondo il sanitario, l’effettuazione di un trattamento consolidato, ma che presenta la
soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà (ovviamente da documentare!), è fondamentale far comprendere
al paziente la complessità dell’intervento da impostare,
evidenziandone specialmente i rischi e i benefici presumibili, in modo tale che egli abbia una piena consapevolezza e non percepisca il trattamento come ‘semplice’ (come
spesso avviene a causa di una cattiva informazione mediatica), quindi con l’aspettativa di un buono, se non ottimo,
risultato.
Pertanto, in base alla scelta del trattamento di specie,
l’ortopedico dovrà valutare, di volta in volta, il trattamento
medico o chirurgico più appropriato, sempre tenendo conto
delle conoscenze e delle evenienze previste in letteratura;
dal rapporto rischio-beneficio e, non da ultimo, delle direttive date delle Linee Guida. In merito allo stato anteriore
del paziente, lo specialista, sempre con una attenta anamnesi e con un rigoroso esame clinico, dovrà riconoscere
l’eventuale presenza di condizioni clinico-patologiche che
potrebbero rappresentare contro-indicazioni assolute o relative all’intervento prospettato.
PROFILI DI RESPONSABILITà PROFESSIONALI
U
n valido consenso non esente l’ortopedico da responsabilità.
Nella fase pre-operatoria, potrebbero sorgere profili di
Responsabilità Professionale per:
– una valutazione dello stato anteriore del soggetto non
corretta o incompleta,
– una definizione del rapporto rischio/beneficio imprecisa,
– un comportamento imperito nel planning pre-operatorio e nella scelta della profilassi antibiotica e anti-tromboembolica,
– un errore nell’indicazione terapeutica o chirurgica.
Per ciò che riguarda la fase terapeutica od operatoria: ci
si riferisce all’Atto Chirurgico nella sua globalità, sia come
23
tecnica, che come modalità di esecuzione e difficoltà di
trattamento (intervento di routine o complesso).
In sintesi, profili di responsabilità professionale potranno risultare per:
– la tipologia dell’intervento praticato (modalità di esecuzione, tecnica chirurgica adottata, complessità dell’atto
operatorio, ecc);
– errori da parte dell’operatore durante l’esecuzione
dell’intervento stesso.
La fase post-operatoria dev’essere caratterizzata da
una verifica del risultato e da assistenza sanitaria e farmacologica. Questo tipo di controlli e di assistenza servono
per il recupero delle condizioni del paziente operato e
valgono come verifica e per valutare che siano adeguati
sia la somministrazione di terapie mediche, che gli accertamenti strumentali, iconografici e i programmi riabilitativi.
Il medico dovrà avere la massima attenzione, durante il decorso post-operatorio, per il problema inerente le
“complicanze”, definite come eventi avversi, che possono
essere prevedibili (citati in letteratura) e imprevenibili.
Le complicanze di solito non sono fonte di responsabilità
medica se la condotta dello specialista è stata conforme
alla “Lege Artis”. Purtroppo, una complicanza può rientrare nella Malpractise in caso non sia riconosciuta o non
lo sia tempestivamente, in quanto, tale situazione, rende
impossibile o troppo ritardata la messa in atto di adeguati
trattamenti. Il conseguente rischio è di possibili, gravi o a
volte fatali conseguenze. Si ricorda che l’insorgere di una
complicanza maggiore può essere causa di responsabilità
se non sia stata esaurientemente spiegata nel Consenso
Informato.
Le infezioni e la trombosi venosa profonda sono catalogate tra le complicanze generali; le altre, considerate
specifiche, sono di solito in rapporto al tipo di intervento
chirurgico cui è stato sottoposto il paziente.
B) Il profilo socio-economico dei trattamenti
medico-chirurgici:
Oltre agli aspetti clinici che indirizzano la scelta del
trattamento sanitario, ha un ruolo importante il profilo
socio-economico dei trattamenti medico-chirurgici che
fa parte di una realtà organizzativa di gestione della salute. La gestione della salute prevede la partecipazione
del medico al contenimento della spesa pubblica sanitaria,
secondo una direttiva che indirizza verso nuove tecniche
diagnostiche-terapeutiche e con minori costi complessivi
del trattamento.
Questi nuovi criteri socio-economici condizionano la
scelta del trattamento molto di più rispetto alle considerazioni di natura clinica. Questi criteri sono la regola su cui
si basa l’aziendalizzazione della sanità. Soprattutto quando
si tratta di ortopedia e traumatologia, branche dinamiche
ed evolutivamente tecnologiche, in caso di contenzioso
potrebbero esserci maggiori difficoltà per il chirurgo nel
sottrarsi alle responsabilità.
In definitiva, noi riteniamo che il medico, nonostante
la complessità del trattamento della “salute”, debba attuare
come scelta la salvaguardia del benessere del singolo paziente.
AITOG
OGGI - settembre 2011
Fabio M. DONElli
24
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25
Le Fratture del collo femore dell’anziano:
indicazioni all’Endo-Artroprotesi
T. Mascitti, P. Leone, S. Piscitello
A.O. “Bolognini” di Seriate (BG) - Struttura complessa Ortopedia e Traumatologia. Direttore Dott. Tonino Mascitti
Abstract
L
e fratture del collo del femore nell’anziano rappresentano una patologia di crescente aumento, dovuto ad un sempre
maggiore invecchiamento della popolazione. Tale patologia riveste un’importanza rilevante. Riteniamo pertanto importante stabilire le corrette indicazioni terapeutiche. Secondo la nostra esperienza, e in accordo con i dati della letteratura, si
riserva l’osteosintesi (viti cannulate, o vite placca a scivolamento DHS) alle tipo I e II sec. classificazione di Garden. Nel
tipo III e IV la scelta terapeutica varia a seconda dell’età biologica. Nel paziente anagraficamente anziano, ma biologicamente attivo, artroprotesi. Nel paziente portatore di significative comorbidità e/o scarsa autonomia motoria endoprotesi
biarticolare. Riteniamo inoltre che vi sia indicazione al trattamento con endoprotesi biarticolare anche in alcuni casi di
fratture laterali nelle quali l’osteosintesi esporrebbe ad un elevato rischio di cut-out (grado elevato di osteoporosi, pazienti
con demenza o patologie neurologiche concomitanti, obesità).
Parola chiave: frattura collo femore, anziano, protesi.
Fig. 1: classificazione di
Pauwels; A:angolo 30°,
B angolo 50°, C: angolo 70°.
Fig. 2: classificazione di
Garden.
Introduzione
L
e fratture del collo femore vengono divise in mediali
o intracapsulari e laterali o extracapsulari (pertrocanteriche).
Diverse sono le classificazioni concernenti le fratture
mediali. Le più esplicative e soprattutto le più utilizzate a
livello internazionale sono quelle di Pauwels1 e di Garden2.
Pauwels nel 1935 classificò le fratture mediali del collo del
femore in 3 tipi in base all’obliquità della rima di frattura
rispetto al piano orizzontale e della conseguente possibilità
di scomposizione del collo femorale: A- angolo 25-30°, Bangolo 45-50°, C- 70° (fig. 1).
Nella classificazione di Garden (risalente al 1961) le
fratture sono suddivise in 4 tipi in base al grado di scomposizione: nel tipo I la frattura è ingranata in valgismo con
trabecole ossee della porzione inferiore del collo femorale
intatte; nel tipo II la frattura è completa senza spostamento
dei frammenti; nel tipo III la frattura è completa con spostamento parziale dei frammenti; nel tipo IV la frattura è
completa con spostamento dei frammenti (fig 2).
AITOG
OGGI - settembre 2011
T. Mascitti, P. Leone, S. Piscitello
26
Epidemiologia
L
e fratture del collo femore nell’anziano rappresentano
una patologia in crescente aumento. Tale costante incremento è dovuto ad un sempre maggiore invecchiamento
della popolazione. Nel 2000 in Nord America si avevano
34,8 milioni di persone oltre i 65 anni e si prospetta per il
2040 una popolazione over 65 anni pari a 77,2 milioni. In
Italia nel 2000 si avevano 10 milioni di persone over 65,
tale numero salirà a 17,5 milioni nel 2050. In Nord America si prevedono oltre 500.000 fratture di collo femore ogni
anno per una spesa di 9,8 bilioni di dollari. Si stima che in
Europa si passerà da 300 000 casi (del 2000) di fratture del
femore prossimale nelle donne a 800 000 casi nel 2050.
Pertanto tale patologia riveste un’importanza sempre più
rilevante sia per i tassi di mortalità/morbilità sia per i costi
sanitari. Riteniamo perciò importante stabilire le corrette
indicazioni terapeutiche.
Indicazioni al trattamento
D
a un reports di 298 chirurghi Nord Americani ed Europei, Bhandari M. et Al3 evidenziano come nelle fratture
tipo Garden I-II e Pauwels I, non età correlate, il trattamento di scelta sia l’osteosintesi mediante viti cannulate e non,
vite placca a scivolamento DHS. Per i tipo Garden III-IV
e Pauwels II-III la scelta terapeutica è da correlare all’età
del paziente. Nel paziente giovane (< 60 anni) si opta per
l’osteosintesi, mentre nel paziente più anziano (> 60 anni)
la scelta cade sull’impianto di endoprotesi bipolare (+ frequente) o artroprotesi totale (- frequente) e negli over 80 si
predilige l’endoprotesi unipolare.
Nella scelta dell’endoprotesi tra unipolare e bipolare,
Parker4 e Raia5 dimostrano come non vi siano sostanziali
differenze di risultato. È importante però la “modularità prossimale dello stelo” per una migliore ricostruzione
biomeccanica (eumetria e offset). Già negli anni ottanta
Philips6 e Verbene7 dimostravano che la “Biarticolare” si
comportava nel tempo come una “Unipolare”.
È importante stabilire anche se cementare o meno lo
stelo, ovviamente la qualità ossea incide sul successo di
una protesi d’anca. L’osteoporosi aumenta il rischio di frattura o instabilità. Ciò deve essere spunto di riflessione per il
chirurgo sulla scelta dello stelo. Molti autori prediligono lo
stelo cementato per garantire maggiore stabilità nell’osteoporosi. Lo stelo non cementato nell’osteoporosi rischia
di essere instabile perché sottodimensionato per rischio di
frattura, di conseguenza è causa di Thingh Pain.
Parvizi et al8 nel 2004 dimostravano un tasso di mortalità a 30 gg dall’intevento (su 7774 artroprotesi) del 1,5%
nelle non cementate e del 3,5% per le cementate.
Presso la nostra Struttura Ospedaliera (AO Bolognini di
Seriate) il tasso di mortalità a 30 gg (su 1748 steli cementati
in 15 anni) e del 1,2%, pari a 21 casi.
Sulla base della nostra esperienza clinica e da una accurata review della letteratura cerchiamo di dare una corretta
indicazione al trattamento delle fratture mediali di collo femore tipo Garden III-IV, valutando se sia più appropriato
una sostitizione con endoprotesi o mediante artroprotesi.
AITOG
OGGI - settembre 2011
Diversi autori9-10-11-12-13-14 hanno evidenziato una maggiore riduzione della componente dolore ed un aumento
della mobilità articolare nei pazienti trattati con artroprotesi rispetto a quelli con endoprotesi, con un conseguente
aumento del punteggio dell’Harris Hip Score per i pazienti del primo gruppo. Maggiore è inoltre la chirurgia di revisione nei pazienti in cui è stata impiantata un’endoprotesi. Il dolore nelle endoprotesi è causato dalla presenza
della testa metallica nell’acetabolo e da una conseguente
usura della cartilagine acetabolare (cotiloiditi). Il tasso
di mortalità ad un anno dall’intervento, pari al 30% , è
uguale nei due gruppi. L’impianto di un’endoprotesi rimane comunque un intervento più veloce, con una tecnica
chirurgica semplice14, eseguibile anche da chirurghi meno
esperti. Keating12 e Blomfeldt13 dimostrano come a due
anni dall’intervento i risultati clinici nelle endoprotesi
tendono a peggiorare, mentre nella artroprotesi ciò non
avviene.
In accordo con un recente lavoro di Lowe15, affermiamo
che l’età fisiologica del paziente è un fattore discriminante.
È giovane il paziente anagraficamente anziano ma attivo
con alta richiesta funzionale, buona qualità ossea, con nessuna o poco importanti comorbidità. È “anziano” il paziente portatore di significative comorbidità, scarsa qualità ossea, e scarsa autonomia motoria. Di conseguenza è corretto
proporre nelle fratture tipo Garden III e IV al primo caso
una artroprotesi d’anca , mentre rimane come scelta d’elezione l’endoprotesi biarticolare, per il paziente anziano,
con molte comorbidità, poco o per nulla autonomo.
Di seguito proponiamo un esempio radiografico di
impianto di artroprotesi su frattura mediale di femore in
un uomo di 80 anni funzionalmente indipendente (fig. 3),
un’impianto di protesi a doppia articolarità in paziente di
80 anni con poche comorbidità (fig. 4),quindi un’impianto di endoprotesi in una donna di 84 anni, poco autonoma
con molte comorbidità (fig. 5); una revisione di un’endoprotesi biarticolare instabile, convertita in artroprotesi
con cotile a doppia articolarità (fig. 6). Infine una frattura
pertrocanterica trattata con endoprotesi con wedge dedicato (fig. 7).
Riteniamo inoltre che vi siano casi in cui l’impianto di
endo-artroprotesi sia indicato anche in fratture laterali del
collo femore.
Le fratture laterali del collo femore vengono descritte
mediante la classificazione AO, o più comunemente, con la
classificazione di Evans-Jensen 16.
Il sistema di classificazione di Evans proposto nel 1969
si basa sulla stabilità intrinseca della frattura, valutata attraverso la comminuzione e l’orientamento primario della
rima di frattura e divide le fratture in 2 semplici categorie:
● stabili: quando la corticale posteromediale è intatta
o presenta una minima comminuzione che rende possibile
una riduzione stabile;
● instabili: quando è presente una grossa comminuzione della corticale posteromediale; una riduzione stabile
è ottenibile solo ricostituendo la continuità della corticale
mediale.
Jensen amplia (nel 1975) questa classificazione, mettendo in relazione la diminuita stabilità al numero dei frammenti interessanti il piccolo e grande trocantere:
Le Fratture del collo femore dell’anziano: indicazioni all’Endo-Artroprotesi
27
Fig. 3a: frattura collo femore in maschio
80 anni funzionalmente attivo. Quadro
pre-opertaorio.
Fig. 3b: impianto di artroprotesi anca
destra (stelo CLS, cotile Claster Zimmer).
Quadro rx post-operatorio.
Fig. 4a: frattura mediale di femore
in femmina di 80 anni con poche
comorbidità.
Fig. 4b: controllo post-operatorio,
artroprotesi totale non cementata (cotile
doppia articolarità Tregor, stelo Symetric
Aston).
Fig. 5a: frattura collo femore in paziente
femmina 84 anni, non autonoma,
numerose comorbidità.
Fig. 5b: impianto endoprotesi biarticolare
cementata (S-taper Bioimpianti).
Fig. 6a: endoprotesi instabile su frattura
collo femore destro, maschio 84 anni,
impiantata in altra sede.
Fig. 6b: conversione in artroprotesi con
cotile a doppia particolarità (cotile
Tregor Aston).
Fig. 7a: frattura per trocanterica
con distacco del piccolo trocantere in
Femmina 79 anni.
Fig. 7b: stelo dedicato endoprotesi
S-taper Bioimpianti.
Fig. 7c: controllo intraoperatorio
impianto endoprotesi + cerchiaggio
metallico.
AITOG
OGGI - settembre 2011
T. Mascitti, P. Leone, S. Piscitello
28
● Tipo I: fratture semplici, in due frammenti, stabili:
– I A: composte;
– I B: scomposte.
● Tipo II: fratture a tre frammenti:
– II A: un frammento interessa il grande trocantere;
difficili da ridurre, ma stabili;
II B: un frammento interessa il piccolo trocantere;
instabili.
● Tipo III: fratture a quattro o più frammenti, che interessano sia il grande che il piccolo trocantere.
In accordo con diversi autori riteniamo che sia necessaria una revisione mediante trattamento protesico nei casi
di fallimento dell’osteosintesi, come per esempio in casi
di “cut-out” della vite cefalica dei chiodi endomidollari17-18
, nelle fratture instabili (tipo 3-4 di Evans; A2 sec. AO),
in osteoporosi di grado severo (Singh 1,2), in presenza di
coxartrosi omolaterale, nel paziente molto anziano (quarta
età), in pazienti con demenza, in patologie neurologiche
concomitanti, in caso di obesità19-20-21-22-23.
Conclusioni
L
a sostituzione protesica con Endoprotesi Biarticolare è
stata il “Gold Standard” per qualche decennio nel trattamento delle fratture mediali del collo femore (Garden IIIIV). Nell’ultimo decennio tale indicazione ha ridotto la sua
frequenza per il maggiore utilizzo dell’Artroprotesi Totale
(miglioramento del design, dei materiali) che garantisce
migliori risultati nel tempo, soprattutto negli anziani attivi
“fisiologicamente giovani”.
L’Endoprotesi Biarticolare, specie con “stelo dedicato”,
ha secondo noi indicazione anche in alcune fratture laterali
instabili del collo,al fine di prevenire e risolvere il problema
delle complicanze intrinseche all’osteosintesi (Cut-Out).
L’Endoprotesi Biarticolare pertanto si conferma essere
nella gran parte dei casi di fratture mediali, e in casi selezionati di fratture laterali instabili soluzione chirurgica valida.
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29
La Protesi d’anca accis nell’anziano
F. Fantasia, L. Fantasia
N
ei casi in cui la protesi d’anca, nell’anziano, non è un
puro salvataggio per cercare di mettere in piedi il paziente con gravi problemi generali, la protesi ACCIS rappresenta
un valido supporto sia perché ha teste di grande diametro ed
impedisce la facile lussabilità specialmente in età avanzata,
sia perché essendo ad interfaccia metallo-metallo non ha inserti intermedi con possibilità di rottura o usura.
Inoltre, anche se nell’anziano la problematica dei detriti può apparire di minore importanza, in questa protesi le superfici articolari di metallo hanno un rivestimento
in TiNbN (Titanio-Niobio-Nitruro) effettuato con tecnica
PVD (Physical Vapor Deposition) che rende la superficie
articolare delle componenti protesiche simile alla ceramica con tutti i vantaggi sia della ceramica che del metallo
(CrCoMo).
Ampiezza del movimento articolare
T
rattandosi di protesi che permettono l’utilizzo di teste
femorali di dimensioni maggiori del comune è possibile
avere un’ampia escursione articolare come si può osservare
nella fig. n.1. Questa immagine evidenzia la differenza del
range di movimento con i vari diametri di teste femorali.
L’anziano spesso non riesce a controllare i movimenti
nel post-operatorio e spesso sia per posizioni che lui stesso
assume nel letto o nel muoversi sia per mano esterna inesperta che cerca di aiutarlo è possibile verificare una lussazione della protesi.
Per questo motivo, sempre nell’anziano, ha avuto un
notevole successo l’uso di una cupola bi-articolare che
bloccando la testina femorale con un anello anti lussante
trasforma la protesi, oltre la escursione articolare interna,
in protesi con testa di grande diametro.
Rimane, però, nella cupola bi-articolare, sia il problema dei detriti di polietilene sia la possibile evenienza della
cotiloidite dovuta all’attrito della componente acetabolare
metallica con la superficie cotiloidea anatomica. Anche
se l’effetto negativo riconosciuto ai detriti di polietilene,
nell’anziano, può avere meno importanza perché verificabile a lungo termine, non è la stessa cosa per la cotiloidite
che costringe spesso alla necessità di riprotesizzare l’acetabolo anche a breve termine.
Con la protesi Accis si impianta un cotile fisso e a qualunque sua dimensione è possibile impiantare una testa
con diametro minore di solo 4 mm. Per esempio con una
componente acetabolare diam. 46 si utilizza una testa femorale diam.42. Questo assemblaggio permette, con una
componente acetabolare fissa, non solo un’ampia escursione articolare ma anche una difficile lussabilità. Tutto
ciò nell’anziano è una grande convenienza per i motivi
su esposti.
Fig. 1
AITOG
OGGI - settembre 2011
F. fantasia, L. FANTASIA
30
L’interfaccia metallo-metallo
C
ome per il polietilene e la ceramica anche per l’interfaccia articolare metallo-metallo si è avuto una evoluzione
nel tempo.
La protesi d’anca con l’interfaccia articolare metallometallo esisteva già prima dell’avvento del polietilene.
Certamente si sono riscontrati nel tempo dei problemi che,
riconosciuti, hanno permesso lo sviluppo di questa filosofia
per giungere ai nostri giorni con una composizione tribologia che pone l’efficienza articolare metallo-metallo allo
stesso livello di quella ceramica-ceramica ma senza il pericolo della rottura come può avvenire con la ceramica.
Nelle prime protesi di McKee (fig. 2), quando già si era
raggiunta una buona perfezione, gli insuccessi erano da
attribuire al materiale che era solo acciaio e quindi facile
all’usura ed alla tipologia della componente femorale (tipo
Thompson) che avendo un collo corto e largo aumentava
l’impingement sul bordo cotiloideo.
Nella fig. 3 vediamo la evoluzione della componente
femorale che invece dell’acciaio era in cromo-cobalto-molibdeno (CrCoMo) ed era forgiata con un collo più sottile
per aumentare la escursione articolare.
I risultati cominciarono ad essere indubbiamente migliori tanto che si è visto il proliferare di vari modelli protesici tra cui quello di Ring (fig. 4), alquanto invasivo, e
quello di Muller (fig. 5)
Il CrCoMo ha una resistenza maggiore alla usura perché contiene particelle di carburi al 3%.
Ad una visione microscopica della superficie articolare,
però, queste protesi, macroscopicamente ben levigate, apparivano come nella fig. 6.
Le particelle che determinano la rugosità nella fig. 6
sono particelle di carburi di circa 20 micron ed esse, con
una forgiatura diversa, sono state ridotte ad una grandezza
di circa 2 micron (fig. 7) e le stesse si sono distribuite in
modo più uniforme.
In questo modo la superficie articolare metallo-metallo
è diventata pressoché simile a quella ceramica-ceramica.
2
3
4
Fig. 2: G. K. McKee –
gambo Thompson.
Fig. 3: G. K. McKee –
gambo Thompson.
Fig. 4: Ring.
Fig. 5: Muller.
5
Fig. 6
Fig. 7
I detriti e gli ioni metallo
La ceramica ed il CrCoMo, nel tipo di forgiatura suddetta, sono i materiali utilizzati nella protesica maggiormente
resistenti e quindi con minore quantità di detriti.
Rimane da considerare l’aspetto biologico e cioè cosa
determina la presenza dei detriti.
Quelli di ceramica sono apparentemente inerti. Quelli
di polietilene, apparentemente inerti dal punto di vista generale, ma localmente dannosi, come tanti hanno descritto.
Q
ualsiasi materiale, compresa la ceramica, in un continuo sfregamento (lavoro articolare di superficie) produce dei detriti. La quantità dei detriti dipende dalla resistenza del materiale (vedi l’acciaio normale, come su detto
e lo stesso polietilene come è ben noto).
AITOG
OGGI - settembre 2011
LA PROTESI DELL’ANCA ACCIS NELL’ANZIANO
31
Quelli di metallo sono di dubbia interpretazione. Essi
determinano la presenza nell’organismo di ioni metallici
che potrebbero essere cancerogeni. La letteratura è molto
discorde su ciò e a tutt’oggi le protesi d’anca ad interfaccia
metallo-metallo sono molto utilizzate.
La tecnica PVD (Physical Vapor Deposition)
O
ggi, comunque, la scienza metallurgica ci viene ancora
incontro con gli studi sul trattamento delle superfici dei
metalli.
La necessità della resistenza all’usura noi ortopedici
l’avvertiamo nella protesica, ma nella meccanica è avvertita molto di più per la necessità di avere materiale e strumenti che devono essere altamente resistenti all’usura. Ne
esistono tante metodiche.
Una delle ultime è la tecnica PVD che consiste in un
processo di deposizione fisica di un materiale su una superficie. Il materiale sorgente viene vaporizzato (ed eventualmete ionizzato) all’interno di una camera ad atmosfera
controllata (inerte o reattiva) e successivamente proiettato
sulla superficie del substrato. Si possono ottenere film singoli o multipli da pochi nanometri fino al micron con velocità di deposizione da 1 a 10nm/s.
Tale metodica altamente utilizzata nell’industria automobilistica, aereonautica e spaziale trova applicazione anche nelle necessità biomediche come nella protesica.
Fig. 8
Fig. 9
Fig. 10
Il rivestimento articolare della protesi ACCIS
N
el nostro caso il materiale sorgente è il TiNiN (TitanioNiobio-Nitruro) che trattato con la tecnica PVD viene
applicato sulla superficie protesica articolare di CrCoMo
sia della testa femorale che del cotile.
La fig. 8 mostra la testa femorale trattata sulla superficie
articolare. Essa, con un inserto modulare, può essere impiantata su qualsiasi stelo con tronco di cono 12/14.
Fig. 11
Fig. 12
La fig. 10 mostra un cotile cementato con la superficie
articolare trattata con tecnica PVD e la fig. 9 ci dice che lo
stesso cotile esiste anche non cementato con caratteristiche
peculiari della superficie esterna.
Fig. 13
AITOG
OGGI - settembre 2011
F. fantasia, L. FANTASIA
32
Casi clinici
6)
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9)
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P
er le caratteristiche suddette la protesi d’anca Accis può
essere utilizzata nel paziente giovane, come protesi di
rivestimento, e nel giovane adulto come protesi mininvasiva per la peculiare resitenza a formare detriti, oltre al vantaggio delle teste femorali di grande diamentro.
Nell’anziano può essere utilizzata con qualsiasi gambo, cementato e non, per la possibilità di utilizzare teste di
grande diametro, oltre alle altre caratteristiche.
Considerazioni conclusive
L
a tecnica PVD applicata alla protesi d’anca Accis rappresenta senz’altro un avanzamento della metallurgia e
quindi un ulteriore miglioramento della resistenza e della
levigatura della superficie articolare metallo-metallo.
Porta a pari livello le caratteristiche di superficie del metallo e quelle della ceramica quale attuale golden standard.
La protesi Accis, con queste caratteristiche innovative
della superficie articolare, è in CrCoMo per cui si elimina
la possibilità di rottura.
La escursione articolare è sicuramente più ampia di
qualsiasi altra protesi, come si vede nella fig. 1, e ciò è molto vantaggioso anche nel giovane paziente.
La possibilità di avere teste grandi, con una differenza
di solo 4 mm. dal profilo cotiloideo assicura di molto la
stabilità e quindi la non lussabilità, cosa che nell’anziano è
senz’altro importante.
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33
Minimally invasive vertebral surgery in elderly
patients: the point of view of the orthopedic
geriatric surgeon and the neurosurgeon
P. Scarone*, F. Donelli**, F. Ranieri*, M. Pluderi*, M. Zavanone**, S. M. Gaini*
* U.O. Neurochirurgia, Fondazione IRCCS H Maggiore Policlinico Ca’ Granda, Milano – ** ICP, Milano
INTRODUCTION
A
s the elderly population continues to increase, there
will be an associated increase in age-related diseases,
such as degenerative conditions of the spine. Elderly patients frequently present with low back and leg pain. Surgery is one of several options the geriatric patient may consider for symptomatic relief.
The complex structure of the human spine provides an
extensive range of motion and considerable load carrying
capacity required for the physical activities of daily life.
Only limited movements are possible between adjacent
vertebrae, yet the sum of all of these movements allows
considerable spinal mobility in all planes. Alterations to the
form and composition of the individual highly specific tissues and structures of the ageing spine can increase the risk
of injury and can have a profound influence on the quality
of life. The erect posture greatly increases the load carried
by the lower spinal joints predisposing this region to strains
and lower back pain.
Surgical risk is higher in the elderly population due to
higher co-morbidity1-2-3. Furthermore, patients with comorbidity are less satisfied with the results of surgery3-4.
Improvement in pain, functional status and quality of life
are the main treatment goals. A wait and see or non surgical
approach is often a good option for patients with moderate
symptoms or when the risks of treatment exceed potential
benefits3-5.
The aim of this article is to describe common degenerative and pathological conditions of the spine of elderly
people and to review the complications and outcomes of
minimally invasive spine surgery in elderly patients.
THE AGING SPINE
L
ow back and radicular leg pain (e.g., sciatica) are common causes of functional impairment and an inability
to perform essential activities of daily living (ADLs) in
elderly people. Furthermore, chronic disabling pain can
significantly impair psychosocial functioning and lead to
sleep disorders, depressive symptoms, and increased use of
healthcare resources, particularly in elderly persons6.
Recent evidence has linked frequent back pain in elderly women to coronary heart disease and overall mortality7.
Thus, prompt recognition and treatment of back pain in the
geriatric population is critical.
Currently, 26% of the population living in Italy is aged
60 and older. This number is projected to increase. As the
number of elderly persons continues to increase, there will
be an associated increase in age-related disorders of the
spine. This presents a challenging problem for physicians
and surgeons to weigh the additional risks of operative
treatment against reducing disabling pain and improving
QOL. Factors such as the ability to tolerate surgery, rehabilitation, life expectancy, and overall health should be discussed when deciding treatment options for elderly patients
with symptomatic spinal disease.
Early biochemical changes in the intervetebral disc can
lead to altered mechanics and damage accumulation. A loss
of disc height occurs with aging and may place nonphysiological loads on adjacent segments as well as the facet
joints, a common source of low back pain8. Changes in the
architecture and bone mineral density of the vertebrae lead
to a stiffer yet weaker spine. Loss of lumbar lordosis and
an increase in thoracic kyphosis give a ‘‘hunched over’’ appearance and are common changes that accompany aging.
These factors, and others, can predispose to several degenerative conditions of the lumbar spine.
Spinal Stenosis
Spinal stenosis, a narrowing of the spinal canal, is a
common cause of back and radicular pain in elderly people,
occurring most often in the cervical and lumbar regions.
The cause of such condition is degeneration and bulging
of the intervertebral disc anteriorly and hypertrophy of
the facet joints and ligamentum flavum posteriorly. These
changes occur normally with aging. Compression of the
dural sac and nerve roots may occur in the central canal,
lateral recess, or neural foramina. Spinal stenosis can be
congenital or acquired. Factors that may lead to acquired
stenosis include degenerative conditions of the spine (e.g.,
spondylosis, degenerative disc disease), trauma, spine surgery (post-laminectomy), and metabolic or endocrine abnormalities (e.g., osteoporosis, hypoparathyroidism).
The classic presenting feature of lumbar spinal stenosis
is neurogenic claudication, which refers to lower extremity
pain that worsens with activity and is relieved by sitting
or adopting a ‘‘hunched over’’ posture while walking. Patients may also report low back pain and numbness in the
lower extremities, although severe cases can also result in
motor disturbances and bladder or bowel dysfunction. In
general, symptoms are bilateral, although one side is usually affected more than the other. The pathogenesis of these
AITOG
OGGI - settembre 2011
T. Mascitti, P. Leone, S. Piscitello
34
symptoms is not completely understood but most likely involves compression of nerve roots and disruption of neural
blood supply.
Degenerative Spondylolisthesis
Spondylolisthesis is any displacement of the rostral vertebral body, pedicles, and superior articular facets in relation to the caudal vertebral body and posterior elements.
Spondylolisthesis may be degenerative (due to osteoarthritis of the facet joints and loss of ligamentous support),
traumatic, postsurgical (due to adjacent segment disease),
isthmic (due to spondylolysis), or congenital. Degenerative
spondylolisthesis occurs most frequently at the L4 to L5
level and affects older adults. It causes a spinal stenosis
syndrome but it can also cause back pain and radiculopathy. Plain radiographs are generally sufficient to diagnose
listhesis. Grading should be done according to the Meyerding scale. If neural compression is suspected, then a magnetic resonance imaging (MRI) scan or myelogram with
computed tomography (CT) should be ordered.
Degenerative Scoliosis
Adult degenerative scoliosis involves the development
of a de novo rotational deformity in the adult years. Z7.11
The pathogenesis is thought to be asymmetric degeneration
of the intervertebral disc or facet joint that leads to a rotatory effect, with one side of the facet joint serving as the
‘‘pivot.’’ Primary degenerative scoliosis is mostly a lumbar or thoracolumbar disorder and is often accompanied by
other degenerative changes of the spine, such as spondylolisthesis and lumbar stenosis. Symptoms are similar to
those of lumbar spinal stenosis, although patients also present with back pain and concerns about spinal deformity.
Vertebral Fractures
Osteoporosis is a metabolic disorder characterized by
decreased bone mineral density. Type I occurs in women
after the onset of menopause as a result of decreased estrogen and increased bone resorption. Type II, also known as
senile osteoporosis, occurs in men and women aged 70 and
older as a result of age-related metabolic changes in regulation of calcium, vitamin D, and other nutrients.
Persons with poor bone quality are at significant risk
for osteoporotic vertebral compression fractures (OVCFs).
In postmenopausal white women, there is a 15% to 25%
lifetime risk of clinically diagnosed vertebral fractures,
and the incidence of fractures in men due to osteoporosis is approaching that of women. Back pain, height loss,
and kyphotic deformity is the characteristic presentation,
although many patients with diagnosed OVCFs remain asymptomatic.
Osteoporosis is a serious problem, affecting as many
as 13–18% of women and 3–6% of men9. About 50% of
these fractures involve the vertebral bodies, and up to onethird are symptomatic. Vertebral bodies sustain fractures
due to repetitive loading that fatigues the cancellous bone
and leads to the accumulation of micro fractures, or single
traumatic events which overload the vertebral body and
are cause of fracture. Multiple vertebral fractures increase
morbidity and increasing numbers of fractures significantly
AITOG
OGGI - settembre 2011
increase mortality rates10-11-12. Despite the recognition that
osteoporotic fractures increase the risk for additional vertebral fractures as well as hip fractures, the majority of
individuals with these fractures remain undiagnosed and
untreated13. The prevalence of VBFs in women older than
50 years of age is estimated at 26%14, increasing to 80% in
patients older than 80 years of age15. Eighty-four percent of
these VCFs are associated with pain16. In addition to acute
pain, clinical consequences of VCFs include pulmonary
dysfunction, loss of mobility, chronic spinal deformity,
chronic pain, and depression14. Furthermore, epidemiological studies suggest that VCFs may contribute to long-term
mortality17.
Great efforts have been made to characterize the pathophysiology of osteoporotic vertebral fractures and to enhance diagnostics and new therapeutics.
The possible mechanical interactions due to disc degeneration and concurrent osteoporotic changes to the vertebrae have been extensively studied using detailed computer
simulations of whole spine segments18.
In general, plain radiographs are sufficient to diagnose
OVCFs, although MRI may help exclude vertebral compression due to tumor or infection.
SPINE SURGERY
I
n general, surgery for degenerative conditions of the spine should be reserved for patients who have failed extensive nonsurgical interventions or who present with accompanying neurological deficits and progressively worsening
symptoms. In the elderly population spinal surgery carries greater surgical risks due to age and comorbidities,19-21
also due to the fact that procedures are often long, have
large amounts of blood loss, necessitate extended hospital
stays, and frequently require revision surgery later in life.
Furthermore addition, poor bone quality predisposes older
patients to vertebral fractures and the onset and progression
of spinal deformity after any spinal surgical procedure.
Lumbar spinal stenosis and spondilolysthesis: conventional laminectomy with or without fusion versus minimally invasive approaches
Lumbar spinal stenosis (LSS) is the most frequent indication for spinal surgery in the elderly22. However, reports on complication rates among elderly patients undergoing laminectomy are conflicting3-5-23-24. Improvement in
pain, functional status and quality of life are the aims of
treatment. In clinical decision making, both patients and
clinicians will have to consider outcomes and risk factors
associated with the treatment offered.
Conventional lumbar laminectomy without fusion is
a safe treatment for spinal stenosis in properly selected
patients 70 years and older. There were no differences in
outcomes between patients who experienced complications
and those who did not. Patients’ statements about their benefit of the operation and the calculated effect size on quality
of life indicate that these improvements are clinically significant (EQ-5 D, ODI) However complications occurring
in trials considering in elderly patients did not show worse
Le Fratture del collo femore dell’anziano: indicazioni all’Endo-Artroprotesi
outcomes or more complications compared to patients below the median age.
Whether type of surgery is a predictor for outcome remains controversial25. A recent study looking at trends in
elderly undergoing spinal surgery for lumbar spinal stenosis reported increased use of complex fusions. Instead more
complications in patients 65 years or older treated with
single level lumbar arthrodesis have been reported and further studies have demonstrated that fusion procedures were
associated with increased risk of major complications and
death compared to decompression alone21.
When comparing studies evaluating traditional open to
minimal invasive techniques, higher major complication
rates have been reported (6% vs 0%) but less overall complications (18% vs 39%)25-26. Furthermore, a slighly higher
improvement in ODI, was reported in minimal invasive
surgery26.
Such findings suggest that minimal invasive techniques
may be as effective, and at the same time safer, when compared to conventional laminectomy with or without fusion.
Traditionally, open posterior fusion techniques require
extensive tissue dissection to gain access to the disc space
and provide the ideal orientation for optimal screw trajectory. Open surgery carry higher risk of significant blood
loss, increased risk of infection are not uncommon and, in
lumbar fusions, a significantly higher amount of muscle
35
damage when compared to minimally invasive procedures.
The minimally invasive spinal surgery reduces the amount
of iatrogenic soft tissue injury, blood loss, postoperative
pain, and the length of hospital stay.
Minimally invasive spinal techniques
Minimally invasive TLIF
Minimally invasive spinal fusion using the Mini-open
TLIF technique, introduced by Mummaneni et al. [27],
is efficacious and safe. Many previous studies [26-28]
showed identical clinical and radiological results based on
VAS, ODI scores, and plain radiographs, even if a recent
paper [29] did not show a better rate of complications using
these techniques. The need for intraoperative fluoroscopy
poses disadvantages, however surgeons’ experience can reduce radiation.
Patients are positioned prone. The anatomic midline,
the pedicle outlines, the skin incision points (parallel to the
middle of pedicles and between two pedicles above and below the affected disc space) are marked on the skin at the
spinal level to be decompressed and instrumented (fig. 1).
Using fluoroscopic guidance, the muscles are then splitted
and a tubular retractor is inserted and opened, giving an
adequate exposition of the superior and inferior articular
processes, the interarticularis pars and the lamina of the superior vertebra (L3 for an L3-L4 arthrodesis for example),
as well as the superior articular process of the inferior vertebra. Using expandable tubular retractor is also possible
to expose two levels (which correspond to three pedicle’s
entry points for each side) (fig. 2).
In the first phase, is useful to tap the superior and inferior pedicle of the arthrodesis, but to insert only the superior screw, not to lose space during the decompression.
An unilateral laminectomy with a complete demolition of
the pars and the inferior articular process of the superior
vertebra is then performed, to expose the exiting end the
passing roots (L3 and L4 for an L3-L4 arthrodesis for example). After a complete discetomy which is performed
with dedicated instruments, a cage is positioned in the
space, and the rod is then inserted over the screws using
moderate compression. Postoperative radiologic imaging
is made on first operative day, using CT scan with 3-D
reconstructions (fig. 3).
Fig. 1
Fig. 2
Fig. 3
AITOG
OGGI - settembre 2011
T. Mascitti, P. Leone, S. Piscitello
36
Percutaneous pedicle screw fixation
Minimally invasive percutaneous screw fixation (PPSF)
dramatically reduces paraspinal musculature iatrogenic injury. Till now, the techniques of PPSF are commonly used
as supplemental fixation combined with minimally invasive posterior or anterior lumbar interbody fusion treating
degenerative lumbar diseases [30-32]. In many studies,
intraoperative parameters including blood loss were more
favorable than open surgeries considering short-segmental
pedicle screw fixation [33, 34], even if operative time may
be increased. The procedures of extensive soft tissue dissection and bone grafting may contribute to more unfavorable results of open procedures. In terms of safety, percutaneous operation assisted by conventional fluoroscopy
can offer high accuracy of pedicle screw placement. PPSF
without any fusion can deliver satisfactory results in shortterm period, even if long-term results are needed to better
evaluate the rate of fusion, especially if this kind of technique is used in unstable spondilolysthesis.
Patients are positioned prone. The skin incision points
are marked on the skin at each level to be instrumented,
using fluoroscopic guidance. Using a trocar, a Kirshner’s
guide is then inserted in each pedicle, and cannulated
screws of adequate length and size are then positioned,
using fluoroscopic control (fig. 4A-B). A rod of adequate
length is then inserted over the screws, and fixed (fig.
4C-D).
CONCLUSION
M
inimally invasive spinal techniques are very promising, especially when used to treat spinal pathologies
which affect elderly population. Main advantages of these
techniques are the reduction of iatrogenic muscle damage
and blood losses, which could be related to a reduction of
postoperative complications.
However, not all conditions of the spine may be treated
with minimally invasive techniques, which appear to be
less effective when a large decompression of the spinal canal is needed, or when a stable fusion is the main goal, such
as isthmic spondilolysthesis in young patients.
Fig. 4
AITOG
OGGI - settembre 2011
Le Fratture del collo femore dell’anziano: indicazioni all’Endo-Artroprotesi
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AITOG
OGGI - settembre 2011
38
Il consenso informato nel grande anziano.
Il punto di vista dell’avvocato
Avv. C. Mascitti
L
’acquisizione del consenso informato dal paziente costituisce una delle questioni più delicate nel rapporto che si
viene ad instaurare tra medico e ammalato sia sul piano della
relazione professionale sia su quello di possibili ricadute in
caso di controversie giudiziarie, qualora dalla cura e dal relativo atto medico eseguito si verifichi un esito infausto.
Prima di affrontare questo argomento è necessario ricordare i principi cardine della materia ricordando, di conseguenza, che qualsiasi atto medico affinché possa esser
considerato legalmente valido, deve esser preceduto dal
consenso informato: ciò, a prescindere dalla specifica disciplina medica investita.
Il Codice di Deontologia Medica del dicembre 2006
stabilisce infatti che il medico non deve intraprendere l’attività diagnostica e/o terapeutica senza l’acquisizione del
consenso esplicito e informato del paziente (art. 35)1.
Tale disposizione segue pedissequamente quanto stabilito dall’art. 5 della Convenzione di Oviedo2, ratificata
dall’Italia con la Legge 145/2001, che dispone di come un
intervento medico non possa essere effettuato se non dopo
che la persona interessata abbia dato un consenso libero e
informato.
Al fine dell’acquisizione del consenso, per quel che
concerne soggetti totalmente capaci di intendere e di volere, il medico ha il dovere di informare il paziente tenendo
conto delle sue caratteristiche, non potendo distinguere il
paziente in funzione del suo livello culturale o delle sue
capacità di comprensione, ma avendo cura di usare sempre
un linguaggio semplice e accessibile; un linguaggio in grado di far comprendere adeguatamente al paziente tutte le
informazioni fornite dal medico in merito alla sua patologia
ed alla terapia necessaria, clinica o chirurgica, che sia.
Informazione e acquisizione del consenso dovranno
confrontarsi, perciò, con le diverse le capacità decisionali
del paziente in relazione ai tipi di intervento medico a cui
dovrà sottoporsi.
Consenso deve significare allora partecipazione, consapevolezza, informazione, libertà di scelta e di decisione dei
pazienti coinvolti: esso rappresenta un momento determinante in quella “alleanza terapeutica”3 che è fondamentale
per affrontare in modo corretto la malattia.
Il processo che porta la persona assistita ad accettare un
atto sanitario si articola in tre momenti ovvero a) la comunicazione al paziente di informazioni di rilevanza diagnostica e terapeutica; b) l’assicurazione che egli abbia capito
il significato di tale comunicazione; c) la decisione definitiva da parte di quest’ultimo in merito.
AITOG
OGGI - settembre 2011
Il consenso deve essere pertanto: informato, consapevole, personale, manifesto, specifico, preventivo e attuale,
sempre revocabile.
Per soddisfare questi requisiti è necessario rispettare le
caratteristiche della corretta informazione, la quale deve
essere: personalizzata, comprensibile, veritiera, obiettiva,
esaustiva, non imposta.
In merito all’esaustività dell’informazione, questa dovrà essere finalizzata a fornire le notizie attinenti l’atto sanitario proposto nell’ambito del percorso di cura intrapreso
e al soddisfacimento di ogni quesito specifico posto dal
paziente.
In particolare l’informazione da fornirsi dovrà avere
ad oggetto la natura e lo scopo principale a cui mira l’atto
medico, la probabilità di successo, le modalità di effettuazione, quale sarà il sanitario che eseguirà la prestazione, le
conseguenze previste e loro modalità di risoluzione, i rischi
prevedibili e le complicanze, la loro probabilità di verificarsi e di essere risolti da ulteriori trattamenti; le eventuali
possibilità di trattamenti alternativi, i loro vantaggi e rischi;
le conseguenze del rifiuto alle prestazioni sanitarie.
Il dovere di raccogliere il consenso o il dissenso con le
modalità sopra indicate è del medico che si sia proposto
di avviare l’attività diagnostico-terapeutica e/o di un altro
operatore sanitario, limitatamente agli atti e alle informazioni di sua specifica competenza.
La responsabilità di informare ed acquisire il consenso
spetta perciò al Direttore ed ai dirigenti medici delle strutture
Complesse, Semplici a valenza dipartimentale e Semplici.
Ricordando ancora come l’acquisizione del consenso
informato sia da considerarsi anch’esso un atto medico, è
necessario sottolineare come l’infermiere od altro personale assistenziale non medico non possa essere mai delegato
a sostituire il Medico in tale onere.
Qualora il paziente anziano non si trovi in uno stato di
pienezza cognitiva, le difficoltà possono insorgere quando
si tratti di un paziente incapace di intendere e di volere; non
in grado cioè di comprendere le notizie sulla sua malattia e
sulla terapia da praticare e, conseguentemente, non in grado di esprimere un valido consenso al riguardo.
A tal riguardo è necessario effettuare una distinzione4: il
caso di un paziente la cui incapacità di intendere e di volere
sia stata già giudizialmente riconosciuta con la nomina di
un tutore a seguito dell’interdizione del malato, e il caso in
cui tale incapacità di intendere e di volere, pur concretamente esistente, non sia stata seguita da un provvedimento
di interdizione.
IL CONSENSO INFORMATO NEL GRANDE ANZIANO. IL PUNTO DI VISTA DELL’AVVOCATO
L’anziano già interdetto
N
5
ell’ipotesi in cui avanti il medico si presenti un paziente
dichiarato legalmente interdetto l’obbligo informativo e
dell’ottenimento del relativo consenso informato non potrà
essere espletato nei confronti di quest’ultimo ma dovrà esser
esercitato verso il tutore nominato dal Tribunale il quale sarà
chiamato a sottoscrivere quindi il consenso informato.
Si tratta tuttavia di un’evenienza molto rara, difatti, il
procedimento di interdizione è motivato dalla mancanza di
parenti prossimi che possano essere nominati tutori.
Va comunque tenuto presente che il familiare non riconosciuto legalmente come tutore non ha nessun potere
decisionale sostitutivo.
Ma per chi non si trova in uno stato di deficienza tale da
determinare l’applicazione della misura interdittiva come
può il medico ottenere un consenso informato senza ricadere in possibili contenziosi giuridici?
È evidente riscontrare infatti come, per tali pazienti,
possa risultare in ogni caso arduo esprimere un consenso
tale da legittimare un intervento medico-chirurgico e ciò
soprattutto se, il loro coinvolgimento nell’iter decisionale,
non sia di facile reperimento.
Nelle prime fasi della malattia è infatti possibile che il
paziente sia ancora in grado di valutare correttamente la
situazione e prendere quindi decisioni al riguardo ma che,
nel corso della cura, non possa esser più in grado di comprendere e decidere sul da farsi.
La legge italiana ha cercato pertanto di porre rimedio al
deficit dato dall’assenza di un istituto che potesse provvedere – anche temporaneamente o provvisoriamente – alla
gestione degli interessi del soggetto che si trovi nello stato
di non totale incapacità d’agire.
Con Legge n. 6 del 2004 è stata introdotta perciò la figura dell’amministratore di sostegno chiamato a curare essenzialmente gli interessi di una persona che non è in grado di
provvedervi adeguatamente per conto proprio.
Si è voluto in questo modo tutelare, con la minor limitazione possibile, la persona priva in tutto o in parte di
quell’autonomia necessaria per l’espletamento delle funzioni di vita quotidiana.
Ed infatti il “sostegno” normativo della “cura” della
persona (e degli “interessi” di essa) non si limita alla sfera
economico-patrimoniale, ma tiene conto dei bisogni e delle
aspirazioni dell’essere umano ricomprendendo ogni attività di quella vita civile giuridicamente significativa.
Quando però la perdita di competenza decisionale
dell’anziano è tale da rendere difficoltoso il coinvolgimento dello stesso nell’iter decisionale sarà il medico a dover
decidere assumendosi ogni responsabilità in merito.
Bisogna evidenziare, infatti, che la posizione di garanzia rivestita dal sanitario pubblico costituisce espressione
dell’obbligo di solidarietà garantito dalla Costituzione che
gli conferisce addirittura l’obbligo giuridico di intervenire
sancito dall’art. 40 del codice penale secondo il quale “non
impedire un evento che si ha l’obbligo di impedire equivale
a cagionarlo”6.
È chiaro il riferimento allo stato di necessità disciplinato
dall’art. 54 del Codice Penale: in tali circostanze il medico ha
non solo il diritto ma anche il dovere di agire e ciò, anche in
39
assenza di un esplicito consenso in quanto, in caso contrario,
potrebbe incorrere nel reato di omissione di soccorso (art. 593
c.p.), lesioni personali (art. 590 c.p.), di morte o lesioni come
conseguenza di altro delitto (art. 586 c.p.) e persino, infine, di
violenza privata (art.610 c.p.) o di sequestro di persona (art.
605 c.p.) se non, addirittura, di maltrattamenti (art. 572 c.p.).
Ma nel caso in cui il paziente, anziché essere incapace a
consentire, sia cognitivamente capace e rifiuti l’intervento
medico proposto, laddove il rifiuto sia attuale, lucido ed
informato rispetto alle condizioni di salute e ai rischi eventuali potrà il medico intervenire ugualmente e quindi contro
la volontà del paziente?
La risposta è ovviamente negativa. Il sanitario non ha
modo infatti di intervenire nei confronti del paziente qualora quest’ultimo, informato e capace di intendere e di volere
non abbia deciso di prestare il proprio consenso.
La Costituzione italiana all’art. 327 non impone di curare le malattie ma solamente di subire determinati trattamenti
nell’ipotesi in cui debba esser soddisfatto un interesse della
collettività intendendosi per interesse della collettività la salute pubblica ovvero nei casi in cui il trattamento sanitario venga
appositamente previsto per Legge (come accade per i TSO).
L’omessa informazione può configurare perciò una grave negligenza, della quale il medico risponde in concorso
con l’azienda sul piano della responsabilità civile, e la mancata acquisizione del consenso informato può determinare
una responsabilità penale del professionista stesso.
Come il Consiglio Nazionale di Bioetica ha evidenziato, il consenso informato ha il fine di legittimare l’atto sanitario che altrimenti sarebbe illecito in quanto lesivo del diritto soggettivo del paziente di autodeterminarsi e di mantenere la propria integrità psicofisica: il consenso informato
è manifestazione dello stesso diritto di autodeterminarsi e
come tale tutelato da norme di rango costituzionale, ancor
prima che etiche.
Per Chiarimenti e/o informazioni:
Avv. C. Mascitti
Via XX Settembre, 66. Brescia. Tel: 030/41479
Fax: 030/3772133. Mail: [email protected]
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2)
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“Il consenso informato e le misure di contenzione” di Stefania
Cerasoli.
7)
Costituzione della Repubblica Italiana, art. 32.
AITOG
OGGI - settembre 2011
40
Consiglio Direttivo AITOG 2011-2012
Presidente
Tonino Mascitti
Past President
Aldo Bova
Vice Presidente
Luigi Fantasia
Consiglieri
Umberto Di Castri
Renato Facchini
Rinaldo Giancola
Pietro Maniscalco
Michele Saccomanno
Umberto Tarantino
Antonio Valente
Comitato Scientifico
Aldo Bova
Coordinatore e Responsabile Formazione
Fabio M. Donelli
AITOG
OGGI - settembre 2011
Revisori dei Conti
Alberto Agosti
Angelo Leonarda
Stefano Vecchione
Tesoriere
Renato Facchini
Segretario
Patrizio Leone
Probiviri
Federico Amici
Claudio Lazzarone
Adriano Tango
Vittorio Valerio
Addetti Stampa
Giovanni Fancellu
Andrea Piccioli
Mauro Roselli
Claudio Sarti
Giuseppe Solarino
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