memorie e tradizioni liguri 2
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memorie e tradizioni liguri 2
memorie e tradizioni liguri La nascita dei ravioli Passaggio obbligato dei trasporti fra Genova e il resto dell’Italia settentrionale, Gavi Ligure fu per molto tempo una terra di frontiera, dove i mercanti usavano fermarsi a mangiare e pernottare nelle numerose locande del paese. Sin dal XII secolo la più famosa era l'Hustaia du Ravio, proprietà della famiglia Raviolo, che fu la prima a "brevettare" l'invenzione di questa pasta ripiena. I buongustai medioevali amavano mangiare i ravioli galleggianti nel vino rosso o, come si dice, a cû nûo, a sedere nudo, cioè asciutti e conditi solo con tanto formaggio. Quando nel 1202 Gavi passò sotto il dominio della Repubblica di Genova, i ravioli divennero uno dei piatti più amati dalla Superba, che in seguito li esportò, oltre che in tutta Italia, anche in Provenza, Corsica e America del Sud. E quando una parte della farniglia Raviolo si trasferì a Genova, venne ascritta alla nobiltà e scelse come stemma una forma per ravioli sormontata da tre stelle. Lo storico Michelangelo Dolcino racconta che alla fine del 1600 il padre generale I “Rapallotti” Si chiama “Rapallotto”, in onore della città dove è nato, ed è un nuovo tipo di raviolo con un gustoso ripieno che esalta alcuni sapori della nostra terra (basilico, pinoli, farina di castagna, erbe aromatiche). Inventato da un noto ristorante di Rapallo, il Rapallotto riproduce nella forma il castello simbolo della città e ha incontrato il gusto di cittadini e turisti, che incominciano a richiedorlo nei negozi di pasta fresca della riviera. L’anti-pasta futurista Nella sua storia, il nostro piatto nazionale ha conosciuto legioni di estimatori, ma anche un agguerrito drappello di contestatori. Si tratta dei da www.repubblica.it: F.T. Marinetti 2 dei gesuiti, il genovese Paolo Oliva, per spronare all’opera il pittore concittadino Giambattista Gaulli detto Baciccio, impegnato nelle decorazioni pittoriche della chiesa del Gesù, quasi quotidianamente gli faceva trovare sulle impalcature poste all'interno del tempio un'enorme e bollente porzione di ravioli "capaci di dissolvere l'acre atmosfera dell'acqua ragia e dei colori". Il Dizionario del Casaccia, edizione 1841, alla voce ravioli (raviêu) spiega: "La più squisita fra tutte le minestre del mondo, inventata da un cuoco genovese ed ormai per l'eccellente suo gusto generalizzata dappertutto. Essa deriva dalla voce greca rabioles, composto da rha, sorta di erba salutare, hios vita e leos, popolo, cioe "Erbe che dan vita agli uomini", la qual voce traducendosi più diffusamente in italiano equivale a borraggini impastate con uova, mascarpina, cervel di vitello, salciccia, animelle e altri ingredienti, i quali chiusi in sottilissima crosta di farina di grano, quindi tagliati in piccoli pezzetti quadri e cotte in molt'acqua e poi condite con eccellente cacio, e miglior intinto d'arrosto di vitello”. Le origini liguri della pasta Si discute da anni sul luogo di origine della pasta in Italia, ma sembra proprio che la nostra regione sia in pole position per aggiudicarsi l’ambito merito. Già in antichi manoscritti risalenti al XIV secolo si parla della Tria genovese pe’nfermi che altro non sarebbe che un particolare tipo di pasta secca che veniva mangiata cotta nel latte di mandorle e un pizzico di sale. Il nome, come tanti altri in Croxetti e Corzetti La ricetta dei Croxetti affonda le sue radici nel Medioevo, quando le grandi casate feudali dovevano costantemente consolidare il proprio diritto al territorio. Oltre a stendardi, arazzi e scudi, i cuochi del periodo idearono un tipo di pasta, un sottile velo di delicata sfoglia che, compressa fra due stampini di legno riportanti lo stemma del casato, ricordasse ai commensali l'importanza del loro signore. Spesso veniva riportata l' immagine stilizzata di una croce, una crocetta e da qui il nome "Croxetto". Ai giorni nostri questa pasta è stata riscoperta dai cultori della cucina tipica ligure per la sua capacita' di combinarsi ai condimenti ed alle salse fredde tipiche di questa ... e a 'ste panse veûe cöse o ghe daja cose da beive, cose da mangia Fritûa de pignêu, gianco de Portufin, çervelle de bee in to-o maeximo vin, lasagne do-o fidia a-i quattro tocchi, paciûgo in agrodöse de levre de coppi... Modi di dire L’atto di impastare, evocando impegno e coinvolgimento, ha dato luogo all’espressione avere le mani in pasta, così come alla sua variante negativa fare una pastetta, riferita ad un inghippo ai danni di terzi. L’idea della genuinità è alla base della definizione essere una pasta d’uomo, che indica una persona incapace di far del male. In dialetto i ravioli sono protagonisti dei detti: L’ûrtimo giorno de Carlevâ de raviêu se ne fa unn-a pansâ, un invito ad approfittare delle occasioni, e di un’impaga- Futuristi, che nel loro progetto di rivoluzione “antipassatista” si sono occupati anche di gastronomia, scagliandosi contro la pastasciutta in quanto simbolo di attaccamento ad abitudini ormai superate. A qualche decennio di distanza dal primo Manifesto che nel 1909 rese celebre Filippo Tommaso Marinetti, lo stesso Marinetti in coppia con Luigi Colombo scrisse Il manifesto della cucina futurista (1930) e La cucina futurista (1932 ), preceduta quest'ultima da un preambolo in cui si affermache l'umanità si deve alimentare con nuovissime vivande in cui l'intelligenza e la fantasia sostituiscano la banalità e la ripetizione. Per i futuristi la cucina dev’essere originale, artistica, provocatoria e il momento gastronomico deve consumarsi in un'atmosfera allegra ed ottimista. Non manca una professione di fede al credo autarchico, legato alle scelte economiche del Fascismo. E proprio l’autarchia è riaffermata nella divertente polemica attorno alla pastasciutta, considerata molle ed antivirile, passatista perché appesantisce e “…lega coi suoi grovigli gli italiani ai lenti telai di Penelope e ai sonnolenti velieri”. Assai più patriottico il riso, anche per liberare l'Italia dall'importazione del costoso grano straniero. uso nella nostra città, potrebbe essere di derivazione araba. Roberto S. Lopez, studioso di origine genovese, in un suo pezzo pubblicato nel 1983, e dal titolo “Genova scodellò la prima pasta”, si espresse in questi termini “ La pasta che una leggenda diffusissima e dura a morire farebbe venire dalla Cina importata nel 1295... è comparsa su mense italiane almeno un secolo prima, ma è comunque di origine medievale”. D’altra parte la prima testimonianza scritta arriva proprio regione (salsa di noci, salsa di pinoli, pesto, sugo di pesce.) L'origine dei Corzetti stampati risale invece all'epoca rinascimentale, in cui ogni famiglia aveva il proprio disegno, che poteva variare a seconda delle occasioni quando non finiva per diventare un vero e proprio "stemma culinario". Il legno dello stampo doveva essere preferibilmente di pero, melo, faggio o acero ma non doveva contenere tannino per non rischiare di inquinare il gusto della pasta fresca. Nel Levante ligure, con la parola corzetto si intende sia lo stampo in legno che la pasta vera e propria. Gli stampi dei corzetti sono composti da due parti distinte: una che ha la forma di un vero e proprio timbro e l’altra di un cilindro con una parte da Genova dove, in un contratto risalente al 1244 si parla di pasta liscia, ossia secca. Per quanto riguarda la corporazione dei pastai, il più antico statuto risale al 28 maggio 1574 ed è genovese; verrà approvato in favore della corporazione dei pastillatori altrimenti detti fidelari. Altro documento notarile datato 1279, sempre genovese, parla di una bariscella plena de macaronis che tale Ponzio Bastone lasciò come sua eredità. incisa ed una concava per tagliare la pasta. Le incisioni sono di solito differenti sulle due parti. Tra gli artigiani depositari dell’arte antica di creare gli stampi per questa pasta è da citare Franco Casoni, mastro intagliatore con studio nel centro antico di Chiavari. Per realizzare questi utensili, Casoni incide nel legno, precedentemente tagliato e tornito, forme diverse e bizzarri arabeschi che contribuiranno, una volta cotta la pasta, a trattenere il sugo. I suoi attrezzi sono “sgorbie” e “tasselli” con i quali letteralmente disegna sul legno, preferibilmente di pero, melo, faggio o acero, per evitare che il tannino - presente in altri legnami - trasmetta alla pasta un gusto sgradevole. Enrica Guidotti ... e a queste pance vuote cosa darà/ cose da bere, cose da mangiare/ frittura di pignolini, bianco di Portofino/ cervella d’agnello nello stesso vino/ lasagne del pastaio ai quattro sughi/ pasticcio in agrodolce di lepre... da tetti (cioè di gatto) (da Creuza de ma, Fabrizio De André) bile descrizione del tirchio in faemmo i vegnïa mai taggiaen!, detto che gioca sulla raviêu insemme, se mai mì ghe metto a diversa forma delle due paste e sul fatto che persa, facciamo i ravioli insieme, se è il caso le troffie, apprezzate proprio in virtù delle io ci metto la maggiorana. Di chi appare par- loro dugge, non si possono distendere senza ticolarmente litigioso si dice Gh’è ciù cäo snaturarle. ratellâ che mangiâ raviêu, ama di più attaccar lite che mangiar ravioli. Si dice poi o dûa quante SERVITO IN TAVOLA di skiaffino ‘na pansâ de taggiaen, dura quanto una mangiata di taglierini e, di fronte all’impossibilità di mutare il carattere di una persona, se un o nasce troffia o no Pansotti che cibo curioso Il 18 maggi del 1961, compare su Il Secolo XIX un articolo che annuncia la presentazione, al Festival gastronomico di Nervi di: “ ... “pansotti”, un piatto curioso costituito da ravioli rigorosamente magri riempiti con un miscuglio di cinque erbe che non hanno cittadinanza negli orti comuni... raccolte esclusivamente sul monte di Portofino... ”. Presenta il piatto la “Manuelina di Recco”. Questa la nascita ufficiale di un piatto ormai pienamente entrato nelle tradizioni gastronomiche liguri. L’origine è probabilmente da ricercare a Sant’Apollinare, sulle colline alle spalle di Sori, dove i pansotti o pansoti si facevano per San Giuseppe, che cade sempre in Quaresima, e per questo erano rigorosamente magri.