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OMAR PEDRINI
“La capanna dello Zio Rock”
«La capanna dello Zio Rock è una torre di Babele dove ci parliamo ma non ci capiamo,
però conviviamo... c'è tolleranza, se non proprio rispetto»
Il regista Pupi Avati l'ha voluto musicista e attore nel suo film “Il figlio più piccolo”. Lo scrittore
Alberto Bevilacqua afferma che i testi delle canzoni di Pedrini sono pura poesia. È stato direttore
artistico del Brescia Music Arts. L'enologo Luigi Veronelli considerava Omar come il figlio maschio
che non ha mai avuto. In occasione del recente Vinitaly a Verona è stata presentata la Barbera
d'Asti Montebruna 2008 con una poesia del rocker bresciano sull'etichetta della bottiglia appena
uscita in commercio. Sono solo alcuni esempi del senso artistico a tutto tondo di Omar Pedrini:
l'album “Colori che esplodono” del '90, il primo bestseller dei suoi Timoria, era dedicato ai pittori,
lasciando già intravvedere un'anima di artista che trascende il rock.
Omar Pedrini festeggia 20 anni di grande rock (calcolati dal primo successo proprio con l'album
“Colori che esplodono” del '90, perché il primo singolo in assoluto è “Signor No” dell'87, seguito
dal mini album “Macchine e dollari” dell'88) con il greatest hits “La capanna dello Zio Rock”, in
uscita il 22 giugno 2010 (prodotto e distribuito da Carosello), che riassume in 18 capitoli la sua
storia con i Timoria e la sua avventura solista. Anche nel suo percorso artistico solitario Pedrini ha
fatto collezione di riconoscimenti prestigiosi: come autore e pure come cantante, avendo raggiunto
canzone dopo canzone la piena maturità interpretativa.
«Ho trascorso 20 anni come chitarrista e cantautore – ricorda Omar – il mio modello è Pete
Townshend degli Who. In questi anni ho pubblicato più di 180 canzoni, una dozzina di album con i
Timoria e 4 dischi da solo. Sono orgoglioso di poter celebrare una carriera lunga e ricca di episodi
piacevoli in questo mondo effimero popolato di tanti “fenomeni” che durano una sola estate. Anche
se celebra il mio ventennale, “La capanna dello Zio Rock” non è un punto d'arrivo bensì un'altra
partenza: le vecchie canzoni sono state risuonate con nuovi arrangiamenti e rinnovata energia. Ho
sempre guardato avanti: anche quando ero in ospedale e i medici mi dicevano che forse non avrei
cantato mai più. Credo molto in me stesso, anche se non mi prendo troppo sul serio».
Il disco è dedicato alla memoria di sua madre, figlia di figli di musicisti, che l'ha lasciato l'anno
scorso. «Ha avuto un aneurisma a 64 anni, proprio come me. È stata una perdita tremenda.
Ritrovate le giuste energie emotive, sono arrivate anche grandi soddisfazioni sul piano umano e
artistico: dalla chiamata di Pupi Avati, uno dei miei registi preferiti in assoluto, all'esibizione live con
Renga nell'estate 2009 dopo 12 anni senza parlarci».
Fra i brani più recenti della raccolta c’è “Il figlio del vento” composto per il film “Il figlio più
piccolo” di Pupi Avati. Pedrini recita in un cameo, interpretando se stesso che suona al matrimonio
di Christian De Sica. In un'altra scena, invece, i poster dei Timoria e di Omar tappezzano lo studio di
una radio durante un'intervista di Laura Morante. «Io guardo sempre avanti anche se scavo nel
passato; così mi auguro che questo cameo con Pupi Avati sia il punto di partenza verso altre belle
soddisfazioni anche nel cinema. Per la canzone ho scelto un arrangiamento molto rock, perché mi
ha coinvolto emotivamente Mi sono immedesimato nella vicenda del film su un rapporto fra padre
e figlio da ricostruire: ho pensato a me stesso, anche se io non ho mai abbandonato mio figlio, e ho
pensato a Pablo che è anche un amico con cui parlo di qualsiasi argomento, confrontando le
rispettive esperienze di vita, soprattutto per evitargli di ripetere gli errori fatti da me».
L'amore per il cinema di Pedrini echeggia anche in “Zio Rock” con la sua atmosfera poliziesca e
trasgressiva. «Cito Quentin Tarantino, che sa descrivere un mondo intero in ogni sua pellicola, ma
anche Keyser Söze de “I soliti sospetti”. È un invito all'amicizia e alla fratellanza, un po' come “Help”
dei Beatles».
Proprio come il vino di cui è tanto esperto, il talento musicale di Omar è maturato col tempo. «Ora
sono maggiormente capace anche di dosare i silenzi, grazie a un'esperienza che a 20 anni non
potevo certo avere. Comunque per il mio futuro voglio riappropriarmi del mio passato: i Timoria
sono ancora molto attuali, almeno a giudicare dai gruppi rock di oggi che si ispirano a noi».
Omar Pedrini ha scelto “La capanna dello Zio Rock” come titolo del suo greatest hits per
raffigurare un'oasi di amicizia e tolleranza. «È un mondo trasversale, divertente ma confuso, dove al
contrario, sesso e droga sono vizi di sportivi, politici e non più delle rockstar, che stanno a casa a
cullare i figli o fanno concerti per beneficenza. È un universo alla Tarantino dove la normale
quotidianità è il travestito che abita sul tuo pianerottolo e viene a chiederti il caffè. È una torre di
Babele dove ci parliamo ma non ci capiamo, però conviviamo: c'è tolleranza, se non proprio
rispetto. Riuscire a convivere è fondamentale, perché non esistono realtà separate: il problema di
chi vive a migliaia di chilometri di distanza è anche il nostro, come ha recentemente dimostrato la
nuvola di fumo che dal vulcano in Islanda ha paralizzato il traffico aereo di quasi tutta l'Europa, o la
macchia di Petrolio che non si riesce a fermare. Parole D’ordine: Comunicare e Condividere. »
Sembra scritto oggi anche il brano “Non è divertente”, che invece fu composto per la colonna
sonora del film “Un Aldo qualunque” dove Pedrini ha recitato la parte di un prete hippie. «È più
attuale oggi rispetto al 2002: parla della “Milano da bere” e perfino di “Vallettopoli” prima ancora
che scoppiasse lo scandalo. Un testo alla Bukowski che dice: “com'è bella Milano quando sei un
vincente, quante feste a invito, quante facce contente”. È una città solo per i vincenti: io ho
frequentato quelli che se non hai successo non ti cercano più, ma tornano a inseguirti appena
riacquisti notorietà. Ho conosciuto tante, troppe donnine con il sorriso tatuato».
Fra le 18 tracce dell’album “La capanna dello Zio Rock” c'è anche un brano scritto per Vasco Rossi:
«Quando ho rischiato di non cantare più, volevo proporre “La follia” a Vasco, ma non l'ha mai
interpretata, così l'ho incisa io in “Pane, burro e medicine” del 2006». Nella tracklist ci sono anche
“Senza vento” del 1993 («Il primo disco d'oro dei Timoria con Renga»), “Sole spento” del 2001 («Il
mio primo disco d'oro come cantante dei Timoria») e “Lavoro inutile” del 2004 («Il mio esordio
ufficiale come solista: ho avuto il premio per il miglior testo al Festival di Sanremo»).
La canzone “Mandami un messaggio” è un duetto con Morgan: «È un inno alla nostra amicizia.
Oltre a cantare, in questo pezzo Morgan suona il basso e un assolo di melodica». Fra gli altri ospiti
del disco ci sono anche Enrico Ghedi alle tastiere in “La Follia”, “ Zio Rock” e “Verso Oriente” («È
una testimonianza importante del mio passato con i Timoria») e Francesco Moneti (violinista dei
Modena City Ramblers) in “Lavoro inutile” e “Non è divertente”; Stefano Chiodaroli nei panni del
direttore di banca in Zio Rock. Infine ritroviamo Lucia Tarì ai cori di “Sole spento”: «Oggi fa la
cuoca nel suo ristorante a Modena. Non voleva più cantare, ma per me la sua voce vale quella di
Ella Fitzgerald».