Lilli e il vagabondo

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Lilli e il vagabondo
Lilli e il vagabondo
di Silvia Seracini
Alla mansueta Lilli
e ai suoi poeti vagabondi
Vita da cane
Leggero scosta una trapunta di sampietrini e stira le sue ossa fradice
uggiolanti per l’umidità.
Acconcia alla meglio gli stracci che indossa. Fa freddo però si leva la
giacca mentre tossire gli raschia via un altro grumo d’anima.
Tasta le costole sporgenti dietro le fibre lise della camicia rinforzate
all’altezza del cuore da una biro e da un foglio ripiegato con cura nel
taschino sdrucito. Si strofina le mani e, dopo averle sfregate sotto le
ascelle, se le porta al naso: nessun odore.
Si mette in cammino per smettere di tremare.
Si mette in cammino cercando di non calpestare il suolo.
Lo stomaco tuona e lui, imbarazzato, come può zittirlo?
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Incartami il cuore in carta oleata
- La vuole una poesia fresca fresca, in cambio di un gambo di
prosciutto?
Il macellaio del piano superiore del mercato delle erbe lo caccia
sempre via in malo modo.
Eppure lui è un poeta gentile. Ringrazia più a lungo di quanto mastichi
il cibo che gli viene offerto, di tanto in tanto, da qualche vergara
compassionevole: frutta ammaccata, sedani flosci. Finocchi anneriti
dalle gelate.
Mela bacata
Mela riempie
- Che voi fa, è solo un poro ca’… nun el vole nisciuno…
- Ce credo! El sentissi da vicino: puzza come ‘na bestia.
Succhia quel che rimane del torsolo, facendo attenzione perché fa
sempre attenzione e perché ha i denti marci.
Anche i cinesi delle bancarelle di Corso Mazzini lo insultano e gli
dicono di andare a lavorare. Lui sorride e si inchina.
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Si china per raccogliere uno scontrino stropicciato e lo liscia con le
dita mentre torna verso il vicolo San Pietro col suo passo leggero.
Accoccolandosi al solito posto, estrae dal taschino la sua penna blu:
Incidenti di lumache
su una lettiga di insalata
Fra il rosso Conero
e il verdicchio
il giallo della tua diffidenza
Passa tutta la mattina a tossire e a battere la moneta di scambio per
sostentarsi, così da continuare ad infliggersi la sua pena.
Si spinge fino a toccare esotici lidi:
Kebab sarebbe
senza un mio morso?
Frammenti di pensieri per un pezzo di pane.
Poesia di sussistenza.
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La prima l’aveva scritta di getto di ritorno alla stazione di Ancona.
Appena sceso dal treno, aveva guardato in alto verso i tabelloni –
impazziti – delle partenze.
Aveva raccolto il mozzicone di una penna alla fine del binario di una
città diversa da quella che ricordava di aver lasciato:
Mentre un treno parte per Qilcenza
io torno ad Ancona
Tra colli odorosi
si apre e si chiude
bagnata
da sgretolare l’anima
Il suo stomaco continua a tuonare e lui prova a raccontargli storie
come a un bambino per farlo addormentare.
Ripone carta e penna perché fa già buio.
Si guarda intorno sospettoso, poi abbassa i pantaloni già cadenti e
orina fra le gambe tutt’ossa, sollevandone una per non bagnarsi.
Sporgendosi verso il suo coso scuro e striminzito prova di nuovo ad
annusarsi: niente. Neanche stavolta.
Da quando non riesce a sentire gli odori?
Ci pensa mentre defluisce tiepido il getto dei ricordi.
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Lilli
Quando al mercato ci andavo con Lilli, il pesce sapeva di porto e le
vergare odoravano di sapone e di cardi.
Facevamo spesa insieme e lei odorava di mercato.
E quando dopo ci sdraiavamo al Cardeto: un’insalata di alloro, ricordo
di more sui rovi, amaro degli asparagi, muffa delle lapidi del Campo
degli Ebrei.
All’epoca mi inebriavo delle essenze più pregiate.
Ero bello e ricco, camminavo con la schiena dritta, non toccavo terra
perché non la vedevo.
Vivevo in una villetta in collina.
Vestivo capricciosamente all’orientale, origami di esclusive fibre
leggere che si illudevano di piegare gli eventi a loro piacimento.
Mi arrotolavo di sushi con carni profumate fra lenzuola di seta grigio
perla, su un materasso empito di un prezioso olio profumato – un altro
vezzo, fra i tanti. Mi lasciavo prosciugare dalle mie donne. Tutto mi
sembrava un gioco, eppure Lilli mi amava davvero. La piccola Lilli
venuta dall’altra parte del mare. Lilli che sapeva di alghe, e di
mercato. Lilli che sapeva di tutto. L’avevo tradita tante di quelle volte
che ero sicuro si annullassero fra loro, invece lei le sommava.
Fino a non poterne più.
Patire partire partire
Partire patire partire
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Partire
Dopo, aveva viaggiato, se viaggiare si può definire quel suo essersi
trascinato pesante. I bagagli non li aveva portati: era scappato solo col
peso del suo tradimento.
Via nave quindi no: troppo massiccia, anche se di una pesantezza
altrettanto sorretta dall’acqua, ma a lui non restava nulla che lo tenesse
a galla.
Meglio scivolare sulle rotaie che portano lontano senza incontrarsi
mai.
Prima di partire aveva provato a gettarsi sotto a un treno dopo la
stazione di Torrette, nello stesso punto in cui l’aveva fatto Lilli, ma
non era riuscito a sostenere l’interrogatorio del fascio di luce puntato
sulla sua colpa dal muso del locomotore che gli fischiava contro. Si
era ricordato di quando, durante un’alba di viaggio abbracciato a lei
contro il finestrino, inorriditi avevano stentato a riconoscere tra i
binari brandelli di carne di un viados che non ce l’aveva fatta a
sopravvivere alla propria vita.
Avesse prestato maggiore attenzione alle lunga ciglia di Lilli
malsanamente attratte da quel modo disumano di strapparsi via il
cuore...
Patire partire partire
Partire patire partire
Dovunque andasse, però, cercava l’odore di lei.
Poi si era dimenticato di quell’odore.
Aveva finito per sognarselo, quell’odore. E nei sogni l’odore si
confondeva con quello della città dove si erano amati.
Era stato allora che aveva deciso di tornare.
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I poveri tesori dei cani
Ora vive al centro di AnCOna, dove tutto COnverge e si COnfonde.
Dorme in una cuccia di stracci dall’odore forte, anche se lui non riesce
a sentirlo. Si aggira intorno alla ciotola del mercato delle erbe, dove
raccoglie gli avanzi, sempre ringraziando con un bel sorriso sdentato.
Si gratta le pulci maledicendosi di continuo per la sua infedeltà e ha
persino paura di calpestare il cuore della città che dovrebbe conservare
quello che lui ricorda essere l’odore della sua donna. L’idea di fare di
nuovo del male a qualcuno lo terrorizza: per questo sfiora appena i
sampietrini, poggiandosi il più possibile leggero su di loro.
Si tappa le orecchie per non sentire le bestemmie degli ambulanti e si
morde la lingua insolente che ha lacerato il cuore di Lilli, tentando poi
di occultarne i brandelli lontano, serrati a doppia mandata in uno
sgabuzzino della memoria da cui emanerebbero un fetore che gli
assedierebbe le nari come la barba verde ai moscioli che gocciolano
sui banchi di marmo, se solo potesse sentirlo.
E anche se lo stomaco la reclama, gli ferisce gli occhi il rosso della
carne del macellaio – mio Dio, quei brandelli fra i binari!
Sente sempre quel macigno dentro. Per questo ha cominciato a
privarsi di tutto, anche del cibo.
Sopravvivere con due caffè al giorno. E poi neanche più quelli. Gli
occorre però quel poco che gli consenta di continuare a soffrire. Ma
ormai le sue poesie non le vuole più nessuno.
Volando sui sampietrini, gli pare di intravedere una moneta.
Nell’avventarsi su di essa – lui che di solito è così cauto e delicato nei
movimenti – scivola su una cacca di cane.
Sebbene si sia imposto di essere sempre gentile con tutti, mentre cade
rovinosamente a terra non può fare a meno di imprecare contro quella
bestia.
Poi però gli viene in mente di scrivere fra i suoi frammenti di
sussistenza:
Laudato si’, frate cane
Che di tucte le bestie si’ il più fedele
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Laudato si’ per le tue zampe leggere su core di sora nostra matre
terra
Et laudata si’ lingua tua silentiosa
che humile benedice tucte le creature di nostro Signore
Nel pensarlo, un lampo e perde la conoscenza del mondo umano.
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Si solleva stranamente leggero da un mucchio di stracci che odorano
di uomo randagio, stirandosi sopra una medaglietta di cane incastonata
in un sampietrino. La annusa, la gratta con le unghie. Sa di metallo.
Sente nel suo cuore le fitte del dolore di Lilli. Sente che il dolore di un
cane è diverso: più ottuso, più breve. Senza memoria.
Poi gli viene da pisciare contro il muro. D’istinto annusa i suoi
genitali e trova che leccarli sia la cosa più naturale del mondo. Gli
piace questo suo essere condotto semplicemente da gesti cui non deve
pensare.
Prova a tornare verso il mercato delle erbe.
Man mano che si avvicina, intense ondate dolciastre o pungenti o
aspre lo travolgono. Su tutto, poi, l’odore della carne. Senza sapere
come, si ritrova davanti a un bancone conosciuto.
- Ninì, viene un po’ qua.
Il macellaio gli si avvicina imponente, levando un vigoroso braccio su
di lui, che indietreggia con la testa bassa, pronta a subire l’ennesima
bastonata. L’uomo però l’accarezza e gli porge un pezzo d’osso.
Compiaciuto dei suoi denti più robusti, si dimentica di preferire quel
gesto al pasto offerto. Confinando l’antica disperazione nella parentesi
della sua nuova propaggine, fa di più: si inchina e scodinzola.
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