Ricordo di LiLLi Coiana
Transcript
Ricordo di LiLLi Coiana
Speciale Maggio 2014 - N. 144 PERIODICO DEL C.U.S.I. FONDATO NEL 1951 DA ALDO DE MARTINO POSTE ITALIANE s.p.a. - SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE - D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N. 46) ART. 1, COMMA 2, DCB PARMA Ricordo di Lilli Coiana Sport Universitario N. 144 - Maggio 2014 C.U.S.I. (Centro Universitario Sportivo Italiano) Sede: Roma - Via Brofferio, 7 Tel. (06) 37.22.206 fax (06) 37.24.479 Presidente: Lorenzo Lentini Vice Presidente: Artemio Carra. Consiglio Federale: Nicola Aprile, Gianluca Bianchi, Francis Cirianni, Elio Cosentino, Mario Di Marco, Carlo Dolfi, Francesco Franceschetti, Gianni Ippolito, Romano Isler, Piero Jaci, Eugenio Meschi, Giacomo Zanni. Segretario Generale: Antonio Dima Direttore Tecnico: Mauro Nasciuti Collegio Sindacale: Danilo Zantedeschi - Presidente Collegio dei Probiviri: Enrico Bordi - Presidente Sport Universitario Direttore Responsabile: Ruggero Cornini Direttore Editoriale: Giorgio Gandolfi I testi vanno inviati a [email protected] Le foto a: [email protected] Stampa: Grafiche STEP, Via Barbacini 10/b, 43122 Parma Tel. 0521/771707 - [email protected] Editore: Cusi, Via Brofferio, 7 Roma Autoriz. Tribunale di Parma n. 434 (ottobre 1969) Associato alla Unione Stampa Periodica Italiana «Sport Universitario», pubblicazione quadrimestrale in cinquemila copie, viene distribuito gratuitamente ad amministratori pubblici, dirigenti centrali e periferici, docenti, studenti, giornalisti, atleti e federazioni sportive, società. La collaborazione è aperta a tutti. Manoscritti e fotografie non si restituiscono. Gli articoli pubblicati possono essere riprodotti citando la fonte. Gli articoli firmati impegnano soltanto la responsabilità degli autori. Di ogni riproduzione è citata la fonte. Nel nome di Coiana, 19 anni di “regno”, 47 anni di “cusi” G li amici del Cusi hanno voluto dedicare un numero speciale del nostro periodico al loro “presidente” venuto a mancare l’undici febbraio di quest’anno nella “sua” Cagliari all’età di 76 anni. Un atto di amore che il buon Lilli (Leonardo) Coiana merita alla grande per i suoi quasi sessant’anni di milizia al Cus Cagliari ma soprattutto per i 47 anni di fedeltà al Cusi dei quali ben 19 di “regno”. Carica presidenziale quest’ultima iniziata il 26 marzo 1995 ed ereditata dall’indimenticabile Ignazio loiacono, “pioniere” dello sport universitario, uomo colto che ha dedicato la sua vita ad un “ sogno”, una “passione” coltivata all’insegna dello sport-cultura di vita. Nello scorso numero di Sport Universitario abbiamo ospitato, tra gli altri, gli scritti di Lorenzo Lentini ed Antonio Dima , vale a dire del presidente entrante e del nostro segretario generale, l’uomo che più di tutti è stato al fianco di Coiana in questi anni di presidenza. Coiana era un “puro”, sicuro di se, convinto delle proprie idee, schietto, instancabile, parsimonioso quanto basta, che ha saputo guidare l’ente con il polso fermo ottenendo risultati sportivi eccezionali consolidando l’aspetto organizzativo ed amministrativo nei rapporti con i ministeri interessati, il Coni e la Fisu. Ha superato anche momenti difficili per alcune posizioni nei Cus e per i grandi eventi mondiali universitari organizzati in Italia coadiuvato sempre da un gruppo di dirigenti amici che hanno saputo fare “squadra”, come si usa dire oggi. Stimato da tutti ha lasciato un segno indelebile nell’ormai ultra sessanta anni di storia del Cusi. Non era mai sazio, pensava sempre alle prospettive future. Nuovi impegni, nuove idee, un grande amore per la sua terra, per la famiglia e per la professione. Un grande che ci colloca al fianco di Lojacono, Nebiolo, Pescante, Merola, Nostini, Scarpiello ed altri, tutti uomini “made in Cusi”. Consentitemi un aneddoto personale dal poco invidiabile primato di “veterano” del 1972 - Gli azzurri del Cusi pronti per partire verso l’Universiade di Lake Placid: Coiana, a destra, è al suo esordio come capo delegazione. Fra le ragazze c’è la Tasgian che vinse il primo oro. Cusi (1960) ho avuto l’onore di dare a Lilli il benvenuto nel Comitato Centrale (oggi Consiglio federale) nel gennaio del 1967 subentrante in pratica ad Andrea Arrica, altro grande dirigente di quella generosa terra che si chiama Sardegna. Ricordo perfettamente una delle prime trasferte compiute assieme come capi delegazione a Lake Placid nel 1972 per l’Universiade della neve, noi due dirigenti con undici tra atleti e tecnici per le sole gare alpine. Lavorammo bene, fu un’esperienza bellissima, nobilitata dalla prima medaglia d’oro azzurra di Anahid Tasgian. Un trionfo. Come direttore di “Sport Universitario” sono orgoglioso di dedicare a Lui questo intero numero del nostro periodico. Ciao Lilli, amico mio e tanti auguri per la tua nuova vita! r.c. 2 Un abbraccio sincero, per sempre, per quello che hai fatto per lo sport universitario, per il mondo della gioventù e per noi tutti. da Lorenzo e Antonio Emularti sarà difficile, dimenticarti impossibile di Roberto Fabbricini Molte volte le parole sono inutili: questa sarebbe proprio una di quelle volte. C aro Presidente, ci siamo conosciuti quasi cinquanta anni fa in un’antica sede della Federazione Italiana di Atletica leggera. Tu già componente autorevole della Commissione Medica, io segretario del Settore tecnico giovanile: entrambi con il desiderio di contribuire a rendere migliore la nostra disciplina attraverso il contatto continuo con i tecnici e gli atleti di cui, tu soprattutto, sapevi conquistare la fiducia, la stima e l’affetto. Sei stato un bravo atleta, un medico 3 sportivo scrupoloso, efficiente e ricco di carisma derivante dal fatto di aver battuto tutti i marciapiedi della tua professione (ospedali, pronto soccorsi, sale gessi, camere operatorie) ed infine un dirigente di grande spessore sia a livello di Società che di Federazione fino alla poltrona e alla scrivania che più hai amato: quella di Presidente del Cusi. Non hai inseguito una tua personale visibilità ne hai mai cercato incarichi sportivi nazionali e internazionali rendendoti sì disponibile ma senza scendere in alcun caso a compromessi elettorali: i giochi di palazzo non ti hanno mai visto concorrente impegnato. La tua attività è sempre stata fatta di azioni concrete e di poche parole; si poteva dialogare con te anche con grandi silenzi ma ogni cosa veniva definita con chiarezza totale ed inconfondibile. Anche il tuo interloquire con chicchessia era scarno, essenziale ed in alcuni casi quasi brutale per sincerità ma nei rapporti umani nulla restava di indefinito o di equivocabile. Il male che ti ha aggredito non può pensare di averti sconfitto. Tu continuerai ad essere presente in virtù dei tuoi insegnamenti e della tua magistrale capacità di tracciare percorsi e delineare strategie. Chi materialmente prenderà il testimone da te lasciato avrà una corsia ben definita in cui correre ma dovrà farlo con la tua stessa lena e la tua determinazione. Emularti sarà molto difficile, dimenticarti sarà impossibile. Ciao Presidente, ciao Lilli, ciao grande amico mio. Voleva un Cusi potente come una Ferrari di Giorgio Gandolfi Q uando si è stati vicini a grandi Presidenti, cito fra gli altri nel mio peregrinare calcistico Artemio Franchi e Giampiero Boniperti, si riconosce subito nel nuovo personaggio il cipiglio del condottiero anche se i suoi mezzi finanziari non sono gli stessi delle persone citate. Dunque meno ambizioni ma un’eguale visione di grandi obiettivi magari raggiunti faticosamente ma con lo stesso risalto. Coiana ha sempre agito senza clamore ma con una forza interiore capace di avvincere e trascinare chi gli stava vicino. Lo ha dimostrato in tante occasioni, specie nelle situazioni più difficili quando ha dovuto fare da catalizzatore fra le forze nuove dello sport universitario e quelle abituate ad una conduzione egemone come quella di Lojacono. Quando venne eletto parlò chiaro esprimendo quello che era il pensiero di molti: “Ho raccolto un’eredità difficile perchè Lojacono è reduce da grandi risultati sia dal punto di vista giuridico che tecnico ma Lui, Coiana, c’era sempre in tribuna o in campo a tifare per gli azzurri dell’Universiade o per gli universitari dei Cnu. Eccolo in una delle tante trasferte all’estero coi fedelissi Dima, De Introna e Ippolito. non ha saputo entrare in sintonia con noi dirigenti che volevamo sfruttare a fondo le qualità del Cusi, dell’ambiente sportivo universitario. Eravamo un’utilitaria ma necessitava una Ferrari in grado di sfruttare a fondo la nostra potenzialità, di girare al massimo dei giri”. Annunciando quali erano i programmi del suo Cusi, parlava di maggiore dinamismo a livello di Cus, chiamati a esprimere una migliore immagine e a diventare come quelli delle università anglosassoni, col Cusi quale elemento trainante dello sport scolastico, e anche fucina di dirigenti sportivi “. Come è stato dimostrato sia al Coni che nelle Federazioni. A capo di una presidenza giovane ma ampiamente collaudata sul campo nazionale e su quello internazionale, Coiana che era reduce da ventitre Universiadi e sei Olimpiadi, centrò quasi tutti gli obiettivi sempre presente sul campo per stare vicino ai suoi dirigenti e agli atleti, a costo di perdere punti nell’ambito della Fisu, poi recuperati ultimamente con la presidenza francese, sicuramente meno anti-Nebiolo. Sulle tribunette di Lago Tesero e di Baselga di Pinè, in mezzo ai pochi tifosi, lui c’era sempre all’Universiade trentina, esempio di passione e di estrema fedeltà al suo Cusi, alla sua grande famiglia. 4 “Cambiamento nella continuità”, la sua filosofia da non dimenticare N ella seconda metà degli anni settanta, giovane presidente del Cus Parma, accompagnando a Roma l’allora consigliere nazionale Ruggero Cornini ho avuto spesso l’occasione di frequentare il comitato centrale Cusi. Io ero semplice spettatore ma ebbi l’opportunità di conoscere Leonardo Coiana insieme agli altri componenti dell’organo nazionale. Nel 1977 durante la mia prima Universiade a Sofia, partecipando al viaggio al seguito, ho potuto conoscerlo meglio insieme al gruppo di consiglieri del Cus Cagliari fra i quali Adriano Rossi e Gianni Dolia. Tra il Cus Cagliari quello di Parma e poi anche con il Cus Brescia si sviluppò una sincera amicizia. Nel 1995 con l’inizio della sua presidenza 5 di Artemio Carra entrai nel Consiglio centrale e fra di noi ci fu subito grande feeling e sintonia. Un rapporto molto saldo, vero, fondato sulla sincerità, sulla stima e sul rispetto reciproco. Lilli, così lo chiamavamo noi, era un grande lavoratore, di poche parole; bastava una semplice frase e si entrava subito nel merito della questione trovando l’accordo sugli obiettivi da perseguire. Dolce e premuroso con gli amici ma anche burbero e brutale con coloro che entravano in collisione con Lui. Era sardo e rappresentava benissimo le caratteristiche della sua terra. Era al quinto mandato e stava raggiungendo i venti anni di presidenza. Ha diretto e gestito il Cusi con grande competenza, capacità e tenacia. È sotto la sua guida che l’Ente si è rinnovato adeguandosi con il nuovo statuto ai moderni principi ispirati dal Coni. È sotto la sua presidenza che si è costituita la commissione paritetica con la Crui e instaurati nuovi rapporti con il Miur ed il Ministero dello sport. È grazie a LUI che il Cusi ha ottenuto dalla Fisu la giusta considerazione ed i dovuti riconoscimenti verso il movimento sportivo universitario italiano che sembravano persi negli anni passati dopo la presidenza Nebiolo. Con la sua proverbiale schiettezza ha saputo tenere ottime relazioni con tutte le isituzioni politico-sportive sia nazionali che internazionali. Personalmente mi sono trovato spesso in pieno accordo con Lui. Da anni eravamo convinti che il nostro futuro fosse presso Flash cussini del presidente Coiana: con Davide D’Elicio e Carra l’anno scorso ai Cnu delle neve quindi sempre con Artemio nel suo studio in via Brofferio al Cusi. Infine all’inaugurazione dell’Anno Accademico al Cus Pavia nel 2007. le Università nel ruolo dell’ente preposto al servizio sportivo per gli studenti. Le Università e gli studenti finalmente apprezzano l’attività che ogni Cus svolge per loro e questo è un grande riconoscimento che il nostro movimento ha ottenuto durante la sua presidenza. Quando fu eletto presidente nel 1995 lo slogan che riassumeva tutta la sua progettualità politica era: “Cambiamento nella continuità”. Credo che il nuovo Cusi che si formerà dopo la sua morte debba proseguire sulla stessa strada. Sarà compito del nuovo presidente, del prossimo consiglio federale e di tutti i presidenti dei Cus formulare una linea politico-sportiva che consenta di mantenere la nostra autonomia e la nostra identità adeguandosi ai grandi cambiamenti che l’Italia dovrà affrontare nei prossimi anni. Caro Lilli, ti mando un affettuoso e malinconico saluto. Ti aspettavi decisioni diverse da parte mia ma come ti ho spiegato tante volte – quando abbiamo affrontato l’argomento – la vita ci impone delle scelte che lasciano l’amaro in bocca e qualche rimpianto. Sarai sempre nel mio cuore e nei miei ricordi. L a sua prima passione era il mare. Non la medicina, non il Cus Cagliari e neppure l’atletica. Appena gli impegni – ne aveva tanti, e ne aggiungeva sempre dei nuovi – glielo consentivano, Lilli Coiana correva a bordo del suo motoscafo d’altura, attrezzato per la pesca e, spesso accompagnato dal fratello, mollava l’isola e s’avventurava per il mare aperto. Chi scrive lo conobbe – troppi lustri or sono – così: abbronzato dal sole e dal salmastro, le mani nodose use a manovrar nasse, palamidi e gomene ma sensibilissime – la sensibilità di chi, per professione, usava il bisturi – ad avvertire, nella pesca all’amo, il minimo segnale della preda prossima ad abboccare. Lilli era un marinaio. Un marinaio sardo, chissà di quali ormai sperdute origini. Possibile che gli fosse rimasto nei geni il gusto dell’avventura che fu dei navigatori fenici – i primi a conquistare il Mediterraneo – e i primi ad approdare in Sardegna. Oh, non ci sarebbe proprio da stupire: essi arrivarono sull’isola quasi tremila anni or sono, e ne fecero una terra d’appoggio nel loro viaggiare verso le coste della Spagna e della Francia. La stessa Cagliari antica era, con ogni probabilità, un città fenicia così come Tharros, che è fra le meraviglie di quei tempi lontani. Naturalmente la Sardegna era già Un uomo che non tradiva di Giorgio Reineri abitata da secoli e chissà, allora, che le radici di Lilli non fossero ancora più profonde, addirittura affondando nella “protostoria” di quella terra. Una terra che Coiana amava con il trasporto di un figlio devoto. E i segni del suo esser sardo non venivano soltanto dall’accento, che nessun soggiorno sul continente potè mai scalfire, ma soprattutto da quel senso di schietta fedeltà che ne ha caratterizzato la vita. Lilli non ha mai, difatti, tradito un amico. Era fatto di quella pasta lì, che è una pasta speciale di cui sono plasmati i sardi: gente con una parola sola, e tanto basta per render chiaro un pensiero, un sentimento. Non è, però, che Leonardo Coiana fosse un uomo al quale mancasse la forza della dialettica. La possedeva eccome, e la usava in discussioni infinite per far valere le sue ragioni, o per sostenere quelle di un amico. Al dibattito, in fondo, era stato educato sin dai tempi del liceo e dell’università; e, soprattutto, addestrato ad usar l’arma del ragionamento nelle interminabili diatribe cussine, la scuola di pubblico servizio alla quale era cresciuto. Il mondo dello sport universitario, difatti, era l’altro mare che aveva preso a navigare sin dai giorni della prima giovinezza. Un mare sovente scosso da venti di burrasca; o da brezze capricciose che d’improvviso s’alzavano e poi s’acquietavano, per riprendere infine a soffiare da una diversa direzione. È sempre stato così il Cusi, sono sempre stati così i vari Cus sparsi per l’Italia. Niente di male, in questo scompigliarsi d’idee, d’iniziative, di 6 ambizioni perchè in quell’agitazione continua molti giovani si sono addestrati alle battaglie della vita. Niente di male, soprattutto, se una sintesi veniva infine trovata, gettando l’ancora in una baia protetta da venti e correnti. Lilli possedeva il fiuto nello scovar il giusto approdo. E con fiducia, verso quelle aree di calma, veniva, dai compagni del Cusi, seguito. Certo, aveva fatto anche lui l’apprendistato con capitani di lungo corso come Lojacono e Nebiolo. E aveva imparato, anche, ad alternare l’astuzia alla diplomazia, ma sempre faticando a far uso della blandizia, a stemperare la sua ruvidità di sardo per dare spazio al fondo ruffiano che è nella natura del potere. È cosi che, chi scrive, vuole ricordare Leonardo Coiana. Un uomo che non tradiva, e che se diventava amico non lo era per un giorno o per una convenienza, ma per un comune sentire. In fondo, la sua fedeltà a Primo Nebiolo, non soltanto nell’ambito Cusi ma soprattutto in quello delle Federazione di atletica, questo era. Una storia fatta di collaborazione, di successi faticati, di iniziativa rivoluzionarie – oh, come non ricordare l’esibizione di Franco Arese durante l’intervallo di un incontro di Coppa Campioni del Cagliari di Scopigno, Arrica e Gigi Riva – che, all’epoca, aprirono la 7 Nebiolo e Coiana all’Universiade di Daegu quindi il presidente del Cusi all’inaugurazione dell’anno accademico all’Università di architettura a Torino. strada a quel che l’atletica italiana fu – spettacolo – per un tempo, purtroppo, troppo breve. In fondo, la storia pubblica di Coiana è stata, per lungo, tempo, intrecciata a quella del torinese Nebiolo. E nonostante tra i due dirigenti non fossero mancati momenti di tensione, sempre aveva fatto premio su ogni divergenza il senso di reciproca lealtà. Si direbbe, quasi, che entrambi sentissero fortissima l’appartenza ad una storia comune: la storia che, a seguito del trattato di Utrecht del 1713, aveva portato Vittorio Amedeo II, duca di Savoia, a divenire prima re di Sicilia e, dal 1718 – mollando la Sicilia all’imperatore Carlo VI – re di Sardegna e Piemonte. Lilli, sia ben chiaro, non aveva ghiribizzi nobiliari nè ambizioni da padre della patria; e neppure Nebiolo anche se, gli si fosse socchiuso un pertugio di speranza, non si sarebbe ritratto. Ma i due dirigenti, in una qualche misura, avvertivano comunque che toccasse proprio a loro dare forza e stabilità al Centro Universitario Sportivo Italiano, proprio come, un secolo prima, un re sardo-piemontese aveva messo in piedi l’Italia. Nelle foto: Coiana con Nebiolo a una Universiade e con Arese. Torinese del ‘41, Giorgio Reineri è stato una grande firma di Tuttosport e poi del Giorno in redazione con Brera. Divenne responsabile della comunicazione alla IAF con la presidenza di Nebiolo. Ruolo sempre svolto con grande classe. A fianco di GiggiRiva, Mennea, Simeoni, Dorio di Oscar Eleni C i sono persone a cui vuoi bene subito, anche se ti guardano con l’occhio clinico di un buon medico e sai di poter essere radiografato per i troppi peccati della gola, dell’entusiasmo per una vita che ti regala emozioni, ma anche rancori. Questo era Leonardo Coiana compagno di viaggio per tante trasferte di sport, lui era nato per capire le smanie di un Primo Nebiolo, il suo presidentone nella federazione di atletica, l’uomo da cui ricevette il testimone per guidare così bene il Centro Sportivo Universitario, il CUSI, ma anche quelle dei tanti cronisti che andavano in trasferta con l’atletica appena portata fuori dalle pizzerie. Non parlava troppo, se volevi proprio avere il miglior Coiana dovevi portarlo sull’isola, la sua amatissima Sardegna, sfiorare le rocce, il mare e lasciarlo libero di raccontare come era davvero la vita a Cagliari quando il suo grande amico Arrica, altro uomo di estrazione CUSI, un dirigente che aveva senso dell’arte, lo aveva avvcinato a quel capolavoro di squadra che nel calcio fece storia seguendo il filosofo Scopigno, andando dietro al rombo di tuono del Gigi Riva che con lui si confessava spesso. Lo sentivi respirare l’aria del grande evento quando doveva tenere l’ambiente sereno se Pietro Mennea era in rampa di lancio per la grande prodezza, in Messico, record del mondo, alle Olimpiadi di Monaco e poi a quelle di Mosca, quando aveva il tocco magico per farsi largo fra la folla dei cronisti avidi, agitando un papavero, per liberare Sara Simeoni dalle pressioni esagerate, per dare a Gabriella Dorio lo spazio vitale che serviva ad una purosangue capace di correre forte, per capire la splendida follia di Gelindo Bordin e del suo fisioteraspista Rocchetti che oggi è un pittore famoso, uno scultore di successo, impegnato nel sociale come quando era Coiana a guidarlo nel social club della vera attività agonistica. Ha vissuto la grandezza dell’atletica quando tutto sembrava splendido, fingendo di non sentire le richieste esagerate di chi voleva di tutto e di più, pur avendo già molto. Non piangi se ti lascia un amico come lui, perché se ti guardi in giro nell’archivo della vita in comune, se provi a ricordare, sai che non lo avrebbe voluto, eppure nel suo mestiere di medico ne aveva visti tanti abbandonare la corsa prima del tempo. Si brindava con 8 parsimonia davanti a Leonardo, ma era lui il primo a darti il nulla osta per una cena esagerata se ti trovava depresso, triste, congelato come agli europei di Praga, soffocato come alle Universiadi di Mosca dove sbocciavano tante cose e non soltanto il miglior Mennea. Salutandolo prendo in prestito una poesia di montagna giapponese che forse gli sarebbe piaciuta: Mondo di rugiada, è solo un mondo di rugiada che evapora Ma ci lascia il profumo dell’amicizia del vivere bene insieme. Ciao dottore. Oscar Eleni, milanese del ‘44, ha seguito le vicende del Cusi in diverse Universiadi. Grande esperto di basket, ma anche di altri sport è stato una delle firme di primo piano alla Gazzetta dello Sport, Giganti del Basket poi la Voce di Montanelli, il Corriere dello Sport Stadio, infine Il Giornale. Ha scritto i libri: Indimenticabile Rubini (con Sergio Meda) La Pallavolo (con Zorzi), 100 anni di basket (con Dario Colombo). 9 Una presenza tecnica e molto umana E ra un personaggio che dava serenità, Leonardo. I miei ricordi, diciamo pure la mia amicizia, sono datati soprattutto nel periodo e nella fase in cui la sua professione di responsabile medico dell’atletica occupava spazi molto più ampi rispetto al percorso ancora in abbozzo che lo portò ai vertici dell’area Cusi. Erano i tempi in cui la squadra nazionale si confrontava spesso in sfide interessanti a due-tre nazioni, che poco alla volta sono passate di moda: gli azzurri spesso nell’Est europeo, quando si faceva notte a chiacchierare in albergo perché non c’erano molte alternative, nelle città che faticavano a rialzarsi dopo le ferite della guerra. Ricordo una sera in cui Leonardo mi disse, più o meno: “Ci sono molti modi di fare il medico, qualcuno mi chiede a volte se non perdo tempo dedicandomi a tempo pieno all’atletica. È difficile rispondere, è una scelta. Lo sport è un messaggio forte di gioventù e di salute, mi arricchisce di esperienze che poi mi sforzo di trasmettere agli altri. Credo che non lo abbandonerò mai…”. di Gianni Romeo Non l’ha mai abbandonato, anzi. L’ha sempre accompagnato in punta di piedi, raro esempio di riservatezza e misura. È un bel palcoscenico, lo sport, per farsi un nome, per gonfiare il petto, per sentirsi gratificato anche con i titoli sui giornali. Non per Leonardo, che anche dopo aver assunto cariche di prestigio non ha mai dimenticato o ripudiato il suo stile. In casi come questi, può essere facile rispolverare la figura dell’eminenza grigia, dell’uomo ombra: solo che, accanto a Primo Nebiolo e a Ignazio Lojacono, non ha impersonato nessuna delle due parti così storicamente o letterariamente affascinanti ma qualche volta inquietanti. Lui è stato, per un tempo che è parso infinito, una presenza molto tecnica (da medico e responsabile sanitario) e insieme molto umana. Ha offerto una partecipazione diretta e appassionata sia nell’atletica che nello sport universitario a ogni livello – Sardegna, Italia, mondo a cinque cerchi o etichettato Fisu erano le sue sfere – collezionando una milizia che l’ha coinvolto dai giorni di Messico ’68 sino a quello molto fresco che ha scandito la sua scomparsa. Leonardo, sempre discreto, mai clamoroso, ha trasportato queste inclinazioni morali, questi atteggiamenti, nella sua presidenza, nel suo incarico internazionale meritando i vertici che seppe raggiungere. Gianni Romeo, torinese del ‘40, è stato giornalista di Tuttosport e della Stampa ricoprendo le massime cariche redazionali. Oltre a fare l’inviato alla grande atletica di Nebiolo, Mondiali ed Universiade. A Roma gli è stato consegnato recentemente il Premio Zauli alla carriera da Malagò, Giomi e Fabbricini (nella foto). I SUOI CAMPIONI Fava Quando Rossi e Lilli mi convinsero alla doppia impresa vincente dopo la tachicardia. C on “Lilli” Coiana ho condiviso per più di un decennio momenti di gioia ed entusiasmo ma anche qualche delusione e tanti interrogativi. Lui, responsabile sanitario della Fidal, io sulle piste di mezzo mondo a correre a perdifiato, in cui ogni tanto mi capitava di fermarmi all’improvviso col cuore in gola per colpa della mia pazza tachicardia. Le nostre carriere si sono intrecciate ripetutamente negli anni 70. Gli anni in cui Primo Nebiolo gettava le basi per il progetto della grande atletica e “Lilli” era un punto di riferimento per saggezza e competenza professionale nella nuova federazione nata sotto la spinta di un rinnovamento che guardava lontano. Franco Fava, campione dell’atletica con due ori all’Universiade di Roma, poi ottimo giornalista al Corriere dello Sport. Nella foto a destra, in azione proprio all’Universiade dell’atletica nel 1975 a Roma mentre è avviato al trionfo (foto di Romano Rosati). Io avevo iniziato a calcare le piste solo qualche anno prima con la maglia dell’atletica Cassino (poi Cus Cassino), di Pietro De Feo. I primi lampi li condivisi con Pietro Mennea, nell’ottobre del 1968 alle finali di Termoli delle Leve del Corriere dello Sport: a me i 2000 metri e a Pietro i 300 metri. “Lilli” era arrivato in Fidal quale medico federale, succedendo al dottore Arcioni. Conobbi “Lilli” nel settembre del 1970, alla prima trasferta di una squadra azzurra ai Campionati Europei Junior di atletica a Parigi. Eravamo una manciata di azzurrini, ma tra questi c’erano due giovani che avrebbero poi fatto cose uniche: Pietro Mennea e Sara Simeoni. Fu alle Universiadi di Mosca nel 1973 che apprezzai anche le doti di umanità di “Lilli”. In quella stagione per me, vincere il titolo dei 3000 siepi sarebbe dovuto essere poco più di una formalità. Ma nelle batterie, quando eravamo a 500 metri dal traguardo, la tachicardia mi costrinse al ritiro. Lui mi consolò fino a tarda sera. «Vedrai, ti rifarai alla prossima Universiade», mi ripeteva ogni volta che ci incontravamo. L’Universiade successiva furono i Giochi Mondiali Universitari che Roma ospitò nel settembre del 1975. “Lilli” non era solo un medico preparato e un dirigente sportivo appassionato, ma era anche un tecnico di atletica. Sulla pista dell’Olimpico avrei dovuto doppiare 10.000 e 3000 siepi, ma nella seconda distanza ero chiuso dal polacco Malinowski. L’allora Ct azzurro Enzo Rossi impiegò del tempo a convincermi che avrei potuto invece vincere l’oro sui 10.000 e poi bissare nei 5000 metri. A sostenere le ragioni di Rossi, c’era anche “Lilli”. E devo un po’ anche a lui se riuscii nella doppia impresa. In quegli anni un filo doppio, anzi triplo mi legò a lui. Perché a fare da sponda c’era anche mio fratello Antonio, medico sportivo che iniziò a muovere i primi passi professionali sotto la lunga ala di “Lilli”, prima al Centro Bruno Zauli di Formia e poi con le nazionali giovanili della Fidal. Purtroppo Antonio ci ha lasciati nel 2001. E ora, con la dipartita di “Lilli”, il vuoto che mi porto dentro è ancora più grande. Il ricordo più bello di “Lilli” Coiana? Quando trasmetteva ad Antonio le sue conoscenze, soprattutto nel rapporto con gli atleti. E quando una sera di fine anni 70, al termine degli Assoluti all’Olimpico di Roma, io e “Lilli” rimanemmo chiusi all’interno dello stadio perché a me non scappava la pipì dell’antidoping. Quando ci riuscii anche i custodi se ne erano andati a dormire. E a noi non restò che attendere l’alba in compagnia di qualche birra. E di tanti ricordi. 10 Arese Quando mi rimise in sesto all’Universiade di Tokio dopo una profonda chiodata ad una gamba. Franco Arese all’inizio della carriera a fine Anni ‘60 (foto di Romano Rosati). In alto, premiato da Coiana al Congresso del Cusi a Cagliari. A destra, un simpatico ricordo di Arese con un giovanissimo Francesco Fava alle prime corse in pista a Frascati. S ono sempre stato molto legato e affezionato a Lilli perché era una persona che non faceva tante chiacchere, ma puntava ai fatti. E poi la nostra amicizia superava i confini dello sport per diventare un rapporto quasi fraterno come ho potuto constatare quando ho avuto occasione di trascorrere con lui e la sua famiglia indimenticabili giornate nella sua Sardegna. Sono sempre stato trattato come un principe: in particolare dopo l’incidente al tendine nel luglio 1974 quando fui ospite a casa sua per un mese procedendo alla riabilitazione dopo l’operazione, venendo seguito, nonostante i suoi numerosi impegni, in modo costante. 11 E la guarigione, grazie a lui, ai suoi consigli, fu davvero miracolosa. Anche perchè era intervallata da gite in barca e a pesca e alla sera memorabili cene, con ottima vernaccia, attorno ad un tavolo a parlare di ricordi. A Tokyo nel 1967, nella semifinale dell’Universiade, durante la gara negli ultimi 300 metri ho ricevuto una chiodata molto profonda sulla gamba destra. Soltanto con la sua esperienza, Lilli riusciì a farmi superare il trauma mettendomi nelle condizioni di gareggiare il giorno della finale. Dunque un grande medico e un grande amico con un rapporto che è rimasto inalterato nel tempo. Di solito quando manca una persona si dice sempre che era buono, onesto, un buon lavoratore insomma che era quasi perfetto. Non è il caso di Lilli perché lui lo era realmente nella vita di relazione come medico sportivo e come appassionato di atletica leggera. Ci mancherà a noi tutti. Lo saluto con affetto rinnovando il mio cordoglio a Nicola e a tutta la Famiglia. Mio padre Leonardo, umile e ricco di passione di Mario Frongia Nicola Coiana, un commovente oceano di ricordi e insegnamenti di un genitore capace di mille sfide. “Papà? È come se fosse partito per uno dei suoi tanti viaggi e debba tornare da un momento all’altro”. Nicola Coiana avverte il momento. Per nulla facile. E lo affronta con piglio deciso. In un fiume di emozioni, contenuto a stento, il primogenito di Leonardo Coiana rivela la tempra del padre. Quel pizzico di coraggio e amore per le cose che valgono. Indispensabili per andare lontano. Nel segno di un esempio incisivo e vibrante. Tanto spigoloso quanto capace di ridare passioni e incoraggiamenti. Trovare parole, a neanche un mese dalla scomparsa del presidente del Cusi, non è semplice. Nicola, ortopedico, sposato con Silvia, tre figli, Leonardo jr, Francesco e Margherita: adorati dal nonno, si districa tra un immensità di ricordi. Un mosaico felice e impietoso. Utile per una definizione globale di un uomo di pregio. Lilli Coiana, figura poliedrica. Qual è il primo ricordo che le viene in mente? Sorride. Una chiamata dall’aeroporto: “Vienimi a prendere”. Arrivavo e come spesso capitava, la sua macchina non partiva dopo 15 o 20 giorni di abbandono al multipiano. Anni ’70, pronto soccorso di Leonardo Coiana ai Cnu di Viareggio (foto di Romano Rosati). Nicola, da medico ancor prima che da figlio, considerando la malattia, quanto è stata dura? Ci ha sorpreso il peggioramento repentino. Ci sono state delle sindromi associate a una malattia di base. Al tumore si sono accavallate altre situazioni che hanno peggiorato il quadro generale. Aveva fatto un periodo di chemioterapia in cui il male sembrava sotto controllo. Quindi, era sereno? Era tranquillo dal punto di vista ematico. I valori erano giusti. Ma le sindromi paraneoplastiche hanno determinato indebolimento e setticemie. La malattia di base è ripartita. Un flash indimenticabile? Le notti all’ospedale Brotzu passate al suo fianco a chiacchierare. Di cosa parlavate? Di tutto. Aspetti personali, comportamenti e gestioni future. Le ha dato un ultimo consiglio da padre a figlio? Mi ha dato vari consigli in relazioni agli aspetti della vita. Professionale e no. Cosa lo preoccupava? Niente. Sino all’ultimo era combattivo, presente, lucido, sicuro di poter ancora gestire tutto. Da ultimo, eravamo sempre più vicini e mi rendeva partecipe di tante scelte. Ha sofferto? Più che altro, ha patito l’immobilità nell’ultimo periodo. Quale aspetto sottolineerebbe di suo padre? La capacità di agire e di riconoscere prima degli altri l’evoluzione delle situazioni. Vedeva in prospettiva davanti a tutti. E voglio ricordare la qualità del tempo che spendeva con la famiglia. Penso ai miei figli, per esempio. Ma anche a me e mia moglie. Certo, non posso dire che fosse sempre presente. Quindi? Quando c’era dava qualità. Nel rapporto con Leonardo, che coglie risultati interessanti nel tennis, dal punto di vista agonistico, era molto partecipe. Con Francesco, il piccolo, aveva un rapporto speciale. Lo portava nei viaggi. Francesco è più filosofico di Leonardo. Avevano un rapporto affettivamente solido. Poi, con la piccolina, Margherita, aveva un connubio particolare. Cos’ha trasmesso ai nipoti? A Leonardo ha dato un grande esempio di serietà e di capacità di sintesi. Essendo più grande, ha potuto vedere e percepire quello che il nonno ha fatto nella vita. Poi, avendo girato molto col tennis, ovunque andasse, riceveva feedback positivi della figura del nonno. Passo indietro. Lei è diventato medico. Quanto ha contato suo padre nelle scelte? La mia scelta iniziale è stata casuale, non tanto ragionata. Si esce dal liceo e si è disorientati, senza un’impressione chiara delle strade da intraprendere. E lui? Zero. Mi diceva: “Fai quello che vuoi”. Invece, 12 nell’ultimo anno, alle prese con le Cliniche, quando mi ha visto in difficoltà, mi è stato vicino. In che senso? Mi spronava. Aveva apprezzato la mia laurea a 24 anni, mantenendo l’anno avanti che avevo dalle superiori. Scherzando, mi diceva che anche per lui era andata così. Ricorda qualche suggerimento in corso d’opera nel periodo di sofferenza? Sì, mi consigliava come studiare. Mi ricordo Anatomia, un esame tutto mnemonico. Mi diceva di non riprendere i manuali dal punto in cui li avevo lasciati la sera prima. “Finisci e riparti da metà o da un certo capitolo”. Riteneva fosse un metodo per ricordare meglio le nozioni. È stato pesante chiamarsi Coiana? Qualche volta posso averne goduto. Altre, ne ho subito lo svantaggio perché sono stati più severi. Ricorda suo padre inferocito? No. L’ho visto spesso seccato. Forse, l’ultima volta, è stato durante una riunione dei centri di fisioterapia. Lo preoccupava il periodo difficile e la crisi. E soprattutto, il voler garantire l’occupazione dei dipendenti. Cosa gli dava gioia? Le battute di mia figlia lo facevano impazzire. Anche perché, a quattro anni, dice cose fuori norma. Una delle ultime volte che ci siamo visti, le aveva chiesto perché non mangiasse il minestrone all’asilo. Margherita gli aveva risposto flemmatica: “Nonno, è pieno di patate, di verdure, di cose e di alghe”. Si era scompisciato dalle risate. Amava la pesca. Ma qual è la gerarchia delle attività in cui staccava? Una lenza in mano in mezzo al mare. E, anche se mi è capitato poche volte di vederlo giocare, le partite di calcio. Giocava centrale difensivo. Ai tempi del libero e dello stopper. 13 Sì. Ha giocato in serie D. Guardandolo, mi rendevo conto che anche il calcio era un modo per appagarlo. Cos’altro? Un viaggio disinteressato. Magari, da mia sorella Emanuela. Cosa le ha lasciato suo padre? L’umiltà. Mi ha sempre dimostrato di essere uno che si è sempre sporcato le mani senza delegare. Faceva l’agricoltore, il pescatore, il medico, l’infermiere. Aveva frequentazioni di qualsiasi genere senza puzza sotto il naso. Nicola, suo padre aveva quattro specializzazioni. Ce n’era una a cui era più affezionato? Era specializzato in chirurgia generale, ortopedia, fisiatria, medicina dello sport. Il frutto di un excursus professionale ora impossibile, perché ci vorrebbero tre vite. Le viveva tutte con il massimo impegno. Se dovessimo descriverlo professionalmente? Potrebbe avere racchiuso il decisionismo del chirurgo, l’aver trasportato l’esperienza professionale come fisiatra e l’aspetto psicologo come medico dello sport nel rapporto con gli atleti. Per gli atleti impazziva. Sì. Riviveva con loro i traumi e gli aspetti psicologici. Sapeva, specie per quelli di un certo livello, quanto contasse la psicologia. Era bravo nel motivare. Fargli credere di essere il migliore e di avere sempre un atteggiamento positivo per spronarli a dare il meglio di se stessi. La gerarchia dei suoi cinque sport preferiti. Non ho mai visto una persona così innamorata e competente di tanti sport come mio padre. Il calcio è stata la prima passione per mille ragioni. Come l’atletica. Perché? Quando era studente, ha partecipato a tanti campionati nazionali e internazionali, mantenendo amicizie nel tempo. Da Franco Arese alla moglie, Sara Simeoni. A seguire, il tennis, che vedeva con piacere anche in tv. Il quarto? Il rugby. E infine tutti gli altri. Dalla ginnastica alla boxe, dal ciclismo alla scherma. Per quale squadra faceva il tifo? Aveva un occhio di riguardo per il Cagliari. Aveva una figura che apprezzava in particolare? No. Però, quando una persona godeva della sua stima, si vedeva lontano un miglio ed era disposto a fare qualsiasi cosa. Così come per gli amici. Non aveva mezze misure. Una volta che ti metteva alla prova, da attento osservatore, ed entravi nell’ambito della sua stima e non ti comportavi male, godevi di una cambiale illimitata. Era generoso e parsimonioso. Come si concilia? segue a pagina 29 Tanti flash sulla vita di Coiana: con la figlia al mare, in montagna con Carlo Dolfi e i famigliari quindi premiato dalla Regione sarda e con l’amico di vecchia data, Bebo Zucca, fra i fondatori ed ex presidente del Cus Cagliari, anamopatologo di chiara fama. Stefano Arrica: “Un secondo padre” L’ho sempre chiamato “presidente”, e così continuerò a fare quando parlerò di lui. Per gli amici era Lilli, per il resto del mondo lo stimatissimo dottor Coiana. Per me era soprattutto un secondo padre al quale affido un forte abbraccio da consegnare al mio, anche lui lassù a vegliare su di noi. I ricordi in questi giorni si affollano, sono veloci e la nostalgia è una ferita che non andrà mai via. Iniziò tutto quando smisi di giocare a calcio mi trascinò fortemente al Cusi, voleva che facessi il dirigente, che in qualche modo restassi nel suo mondo. E questo non l’ho mai dimenticato, come non ho dimenticato neanche quando dopo la scomparsa di Gianni Dolia mi affidò in due parole e un sorriso la gestione del campionato universitario di calcio a Chieti. Da allora l’ho seguito sempre, in ogni parte d’Italia e del mondo. Sapevo che mi voleva bene, sentivo che per lui ero come un figlio. Quando tre anni fa è venuto a mancare mio papà Andrea è come se un po’ mi fossi affidato a lui. Era diventato un punto di riferimento, soprattutto in questa famiglia sportiva che nel frattempo si era creata. Con mio padre aveva condiviso tante battaglie, dentro e fuori dal Cusi, e adesso è come se mi avessero lasciato un tesoro tra le mani. Insieme all’ingegner Rossi, il presidente Coiana ha voluto che io e il mio fraterno amico Marcello Vasapollo entrassimo nel consiglio direttivo del Cus, e non faceva altro che ripeterci che saremmo stati il futuro. Ora che non c’è più, il futuro è diventato presente. Sentiamo responsabilità ed è calata la tristezza. Mi mancano le sue battute, ma soprattutto la tranquillità e la sicurezza che mi trasmetteva, lui come pochi altri. Ma proprio per lui, tutti noi, faremo in modo che questa storica famiglia sportiva continui al meglio il suo cammino. Vorrei gli arrivassero le mie parole, vorrei dirgli ancora che è stato molto importante per me, un maestro di vita. E mi raccomando Presidente, saluta il mio vecchio quando lo vedrai. Tuo Stefano La sua panchina Gran esperto di calcio ma non tifoso Parlare di calcio col Presidente (non mi sono mai permesso di chiamarlo Lilli in quasi vent’anni: capivo che era riservato soltanto agli amici di vecchia data) era sempre un’esperienza interessante. Per cui ne parlavo volentieri ad ogni occasione, si trattasse del Cagliari, del Parma, di ricordi che ci accomunavano. C’era da restare ammutoliti da un giudizio – su un personaggio, su un episodio – che partiva da una conoscenza profonda dello sport ma del calcio in particolare. Essendo alquanto allergico ai tifosi, trovavo in lui un “professionista” che sfiorava i dettagli tecnici ed umani evitando accuratamente giudizi superficiali o da stadio. Eppure conosceva tutti ed il suo profondo amore per il Cagliari avrebbe potuto tradirlo. Non è mai successo. g.g. 14 MARCELLO VASAPOLLO FRANCO ZANDA Un amico, un fratello maggiore, Una lunga amicizia, vera una figura paterna e sincera A ncora oggi, a due mesi dalla scomparsa, non riesco a capacitarmi che il Doc non ci sia più. Qualche volta mi capita ancora – come facevo quando avevo bisogno di un consiglio – di impostare il suo numero di telefono per poi rinunciare. In questi momenti il dolore, la malinconia e la nostalgia si riaccendono. Purtroppo persi mio padre che ero poco più di un ragazzo e la mancanza della figura paterna l’ho inevitabilmente rimpiazzata con alcune persone, poche naturalmente, di riferimento: il Doc era una di queste. Allo stesso modo era evidente a tutti che per me e Stefano Arrica avesse un debole, sinceramente non so spiegare il perchè. Lui uomo di poche parole, dai modi anche burberi, quando qualcuno non gli andava a genio non glielo mandava a dire: a noi voleva bene come se fossimo altri due figli. In poche parole, come usava fare, ci affidò 15 l’organizzazione della comitiva per i Mondiali Universitari di calcio in Uruguay decidendo praticamente di farci concludere la carriera di atleti e buttandoci nell’arena dei dirigenti. Da quel momento – sono passati ormai quasi vent’anni – ha voluto fermamente che ci stabilissimo in quelle grandi famiglie rappresentate dal Cus Cagliari e dal Cusi indicandoci il percorso, dandoci consigli e trasmettendoci nel contempo fiducia e tranquillità. Inutile che io vada a esprimere un parere sulle qualità del dottor Coiana: in ambito medico sportivo e imprenditoriale era da tutti riconosciuto come un grande e così voglio ricordarlo assieme, soprattutto, a quei momenti indimenticabili passati nella nostra Sardegna o in giro per il mondo con quello che era un vero amico, un fratello maggiore, un padre. Ciao Doc H o conosciuto Lilli fin da giovanissimo, lui come calciatore e allenatore in promozione regionale e io nelle giovanili. Poi negli anni ottanta, come tirocinante nell’ospedale traumatologico di Cagliari, dove anche lui lavorava come ortopedico. Per quasi dieci anni abbiamo lavorato fianco a fianco nello stesso reparto. Lo sostituivo nei turni quando talvolta rientrava anche alle due di notte dai viaggi all’estero, o quando non riusciva addirittura a rientrare. È stata, la nostra, un’amicizia lunga, vera e sincera. Andavamo d’accordo su tutto: dallo sport alla religione alla politica. In quegli anni avevamo creato dal nulla la fondazione dei medici sportivi affiliata alla FMSI e aperto il Centro di medicina dello sport allo stadio sant’Elia di Cagliari: circa 800 mq, all’avanguardia sul territorio nazionale. Nell’82 i primi Cnu insieme, ‘83 prima Universiade in Canada, Il team medico era già completo, per cui Lilli mi ingaggiò come fisioterapista: dovetti fare un corso accelerato di massoterapia. “Ottavio” fu il mio primo maestro, un cieco dalle doti straordinarie. I miei iniziali pazienti atleti furono Marcello Guarducci, campione europeo di nuoto e Angelino Binaghi, campione di tennis nel doppio con Riccibitti. Il team medico di allora era costituito dal sottoscritto, nonchè Murgia, Cimino, Melis, Rodriguez e ovviamente il gran capo, l’amico Lilli. Una collaborazione col Cusi intensa e meravigliosa. Nell’86 mi telefonò un pomeriggio, non so dove, per comunicarmi che dovevo partire per Roma col primo volo perché c’erano gli esami di ammissione alla scuola segue a pagina 20 Che bella la libertà. Eia, Lillè! di Antonio De Introna G iorni fa, mi ha telefonato Giorgio Gandolfi e mi ha chiesto di scrivere qualcosa in ricordo di Leonardo Coiana ed io ho accettato di buon grado. Però, se si aspetta che io parli del Coiana come grande Dirigente sportivo, emerito Presidente Cusi, esimio ortopedico, illuminato imprenditore e via dicendo, sicuramente rimarrà deluso perchè, il mio, vuole essere un semplice flash sulla vita del mio amico più caro, del fratello con cui ho condiviso per anni gioie e dolori. Durante tutti questi anni siamo riusciti anche a litigare e a non parlarci per molti mesi; ma la grande abilità politica di Antonio Dima (unita al sincero affetto che nutre per entrambi) è riuscita ad appianare le incomprensioni e a cementare, ancora di più, il legame esistente. Lilli l’ho visto la prima volta a Roma, nel lontano 1968 in occasione di un Congresso del CUSI e debbo dire che tra noi non fu un feeling immediato in quanto, qualche anno dopo, ci confessammo che io gli ero apparso come un provincialotto saccente e lui, a me, come un dottorino presuntuoso ed antipatico. Cambiò tutto 2 anni dopo, nel ‘70 quando, per volontà di Primo Nebiolo, ci trovammo a far parte entrambi della Delegazione Italiana che partecipava alle Universiadi invernali di Rovaniemi, la città di Babbo Natale, nella magica Lapponia. Eravamo giovani ed entusiasti, l’atmosfera mitica ed esaltante, il gruppo composto da dirigenti, tecnici ed atleti veramente fantastico e quindi vivemmo un’esperienza irripetibile. Tutto questo contribuì a far nascere la ns. amicizia, direi di più, il sodalizio Fukuoka – Dolfi, De Introna, Coiana, Dima e Nasciuti, seminascosto, un poker da Universiade. Coiana-De Introna durato quasi mezzo secolo e che ci ha visti partecipi, sempre insieme, di tantissime edizioni di Universiadi invernali ed estive, oltre ai Campionati Mondiali di Specialità. Abbiamo condiviso un’infinità di lussuose camere d’albergo, così come ritrovi di fortuna in villaggi ed ostelli, mense di lusso e bettole da fame, abbiamo parlato con Regine ed Imperatori, e subito dopo con delinquenti comuni e cambiavaluta truffaldini. In occasione di queste trasferte capitava spesso che, pur vivendo praticamente in simbiosi, non ci scambiavamo nemmeno una parola per ore ed ore (Lilli non era molto loquace) però bastava uno sguardo per capirci al volo e comportarci di conseguenza. Se poi nasceva un qualsiasi problema potevo stare tranquillo perchè Lilli, comunque, lo risolveva. Amministrativo, legale, burocratico o più semplicemente tecnico, elettricista o idraulico, muratore o falegname, agricoltura o pastorizia, io chiamavo Lilli e subito la cosa era risolta perchè sapeva fare veramente di tutto. 16 Eia, Eia, il grido dei legionari romani del Pascoli A Kazan, la sua ultima Universiade Un vero maestro rapportato alla mia assolutà incapacità. Oltre tutto aveva una resistenza fisica incredibile e non si stancava mai. Se c’era da fare qualcosa non si tirava mai indietro. Perfino i pacchi da spedire li doveva confezionare e sigillare di persona. Solo in questo ultimo maledettissimo anno 2013 gli ho sentito dire: “Totò, adesso sono veramente stanco, mi debbo fermare e riposare”. Purtroppo non c’è riuscito anche se io ho cercato in tutti i modi di convincerlo, non dico a mollare tutto; ma almeno a stare più rilassato cercando di creargli, almeno nel rifugio cubano, l’atmosfera che più amava fatta di semplicità, natura, sole e mare. 17 Solamente così riprendeva a vivere felice. Voglio raccontarvi l’ultimo episodio: a fine novembre siamo stati, per l’ultima volta, a Cuba insieme e la mattina, prima che partisse, è uscito presto da casa per andare all’Università a ritirare il visto di espatrio. Al ritorno si è presentato con una gabbia e dentro un bellissimo e coloratissimo uccello tropicale dicendomi che l’aveva comprato al mercato degli animali di Santiago e che voleva sistemarlo all’ingresso del patio. “Così”, ha proseguito, “potrà farti compagnia quando sarò partito definitivamente”. Io ho subito ribattuto con una scontatissima battutaccia sul perchè proprio l’uccello e non un altro tipo di animale e tutto si è concluso con una sonora risata. Poi la notte che Lilli è partito per sempre e cioè il 10 febbraio, io ero proprio lì, a Cuba, e non riuscivo a dormire per il caldo, allora sono uscito sul patio e ho guardato la gabbia: era vuota, l’uccello era sparito anche se era decisamente chiusa. Non riuscivo a capacitarmi e sono tornato a letto. Qualche ora dopo mi ha svegliato la suoneria del cellulare con questo messaggio: stanotte alle 2 è morto Leonardo Coiana. Volevo piangere, ma non ci sono riuscito, allora ho guardato di nuovo la gabbia e, da solo e a voce alta ho detto: va bene, Lilli, ancora una volta ti ho capito senza bisogno che parlassi. Che bella la libertà. EIA Lillè! Quando andavano all’attacco il loro urlo terrorizava i nemici. Ripreso dal poeta Pascoli, venne saccheggiato da D’Annunzio e poi dagli squadristi. Ecco cosa scrive in merito il Corriere della sera. “Lo ha scoperto la storica della letteratura Annamaria Andreoli, dell’università della Basilicata. Dall’esame dell’opera di Pascoli e dai documenti degli archivi dei due autori, emerge che una poesia dei “Poemi conviviali” (1904) e un’altra delle “Canzoni di re Enzo” (1908) sono le fonti dello slogan dannunziano. Il “Vate” pronunciò il grido il 9 agosto 1917, nel campo aviatorio della Comina, al ritorno dal bombardamento di Pola: “eia eia eia, alalà” venne suggerito per sostituire il “barbarico” hip hip urrà. Ma non si sapeva che D’Annunzio lo usò accorpando due incitazioni riprese dai poeti tragici greci dal Pascoli, i cui testi annotava. L’“eia eia eia” citato dall’autore di “Myricae” era stato già plagiato dallo scrittore abruzzese nel poema “La nave” (1908). Plagio che Pascoli aveva rilevato, come risulta da un manoscritto inedito rintracciato dalla Andreoli. D’Annunzio era uno specialista nel malvezzo. Ma anche altri oggigiorno... Lilli Story Momenti indimenticabili di una vita al servizio del Cusi: da sinistra con Nebiolo e poi col Presidente Scalfaro. Sotto col Ministro Zecchino e all’Universiade di Torino. 18