Fenomenologia dell`anoressia nervosa

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Fenomenologia dell`anoressia nervosa
Fenomenologia dell’anoressia nervosa
Phenomenology of anorexia nervosa
NINO ANSELMI, ANTONIO VENTO
Servizio Speciale di Psichiatria e Psicoterapia, Università di Roma, La Sapienza
RIASSUNTO. L’anoressia è un’autolimitazione del comportamento, che vuol dire ribellione per una condizione individuale o
collettiva che mira negare l’affermazione dell’Io, il suo ruolo e il potere di riconoscerlo. La rivendicazione di queste idee è, sicuramente, un fatto più complesso che richiede energia e gioco di abilità. In questo modo il rifiuto di un confronto con la realtà
comincia, con più facilità, ad affermare un contributo individuale, che è la negazione. Con questa scelta il soggetto anoressico
femminile si rende conto, senza poterla evitare, che la presenza continua della madre è come una connessione invalicabile tra
il suo Io e il mondo esterno. La madre è allo stesso tempo significato e bersaglio della sua ricerca d’identità. La ragione di questa condotta sta nella scoperta di una presunta universalità dell’ego nel mondo. Il soggetto non è più soddisfatto di esistere solamente, ma di essere sensibilmente sicuro che la sua valenza non è un incidente esistenziale, bensì un generale elemento che
sente appartenergli. Nel soggetto femminile anoressico l’identità per l’identità perde i bordi netti che la definivano per passare in una sorta di zona d’ombra dove le responsabilità non pesano sull’essere cosciente. È quasi come avere perso la coscienza di se stessi e delle altre cose, dell’istinto più profondo, per diventare una cosa, un’ombra di coscienza e questo è giustificato da uno stato di regressione che la paziente anoressica mostra nella sua patologia. È come un soggetto che non ha ancora
trovato le sue responsabilità filogenetiche, come accade nell’infanzia, dove la madre rappresenta la sua coscienza.
PAROLE CHIAVE: anoressia, maschile, femminile, potere, negazione
SUMMARY. Anorexia is a self deprivation behaviour that means rebellion to an individual and collective condition aiming
to deny any affirmation will and one’s own role and power recognition. The assertion of these ideas is surely a more complex
fact that requires energy and laying on ability. In this way the refuse of this comparison becomes easier to affirm one’s contribution that is negation. With this choice the anorexic female patient realizes that she can count, without making this understood, on mother’s presence as a junction beetween her ego and outside world. Mother is at the same time mean and target of her identity research. Porpouse of this behaviour is in discovering a presumed universality of ego in the world. The subject is no more satisfied to only exist but to be sensitively sure that her valence is not only an existential accident, but a general element she feels to belong to. The being and the existence in anorexic female patient loose the clear borders that mark
them passing in a sort of shady zone where things responsability dosen’t weigh on being awareness. It is, almost, as having cost
the consciousness of the self and of other things, as the deeper instinct, so to become a shadow of consciousness. It justfies
a regression state that anorexic female patient shows in her patology. She is like a subject that has never found her own
identity.
KEY WORDS: anorexia, male gender, fedale gender, pwer, negation
INTRODUZIONE
Già nel 1689 Richard Morton aveva descritto e segnalato i primi casi di anoressia mentale. Nel 1873 Sir William Withey Gull a Londra e Lasegue a Parigi pubblicavano una relazione sull’anoressia come entità clinica.
Con la scoperta della cachessia ipofisaria da parte di
Simmond (1914) e delle necrosi ipofisarie di Sheehan
(1937) psichiatri ed endocrinologi resteranno a lungo
incerti sulla eziologia dell’anoressia e solo nel 1945 il
simposio di Gattinga riconoscerà all’anoressia la sua
specificità.
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Ne consegue perciò che ogni periodo storico ha manifestato e manifesta, quasi in senso epidemiologico,
una patologia mentale legata soprattutto ai comportamenti e ai messaggi simbolici che l’Io produce nella ricerca di una sua precisa collocazione identificatoria.
Tutto questo avviene in senso strettamente culturale
dove ciò significa una risposta inconscia e profondamente vissuta a condizioni storiche e sociali che normalmente determinano dei ruoli. Ecco perché l’anoressia mentale è una malattia che si sviluppa nel momento cruciale della evoluzione filogenetica femminile, quando cioè, uscendo dalla oscurità di un suo ruolo
di grande sottomissione al potere ed alla sessualità del
maschile, raggiunge, in una lenta e sofferta presa di coscienza, quella zona di ombra che le consente in una
ascesa verticale la conquista di un nuovo ruolo dove
inizia la storia del potere di sé come per sé da cui parte poi un confronto diretto, antagonista e protagonista,
rispetto al maschile. Gli anni ottanta rappresentano infatti questa fascia di ombra che prepara al capovolgimento del rapporto tra il femminile e il suo mondo culturale per accedere ad una nuova cultura che non è più
quella del sentire o del romantico accedere ad una
condizione di femminilità riconosciuta dal sistema, ma
che vuole riscoprire il suo Io al di là di ogni formalità
culturale per la sua stessa entità, per il suo intrinseco
valore, per una nuova condizione della donna nel mondo e nella vita. Da questo momento il femminile sceglie un movimento verticale che oscilla tra la vita e la
morte, tra l’essere ed il nulla, tra l’ascetismo-religione
sublimante e la perversione del comportamento umano quale la ribellione ai moduli del condizionamento
esistenziale fino ad ora vissuto. Non si preoccupa più
di elaborare una strategia del confronto diretto, ma,
quasi con sapore paranoideo, di stravolgere, di punire
e di purificare i ruoli e le scontate diversità tra il maschile ed il femminile. Allora il maschile inizia a perdere parte della sua identità culturale che gli consentiva
il mantenimento del potere ed inizia ad entrare anche
esso in quella zona di ombra che rappresenta il passaggio di identità, dove ancora nessuno riesce ad assumersi delle nette responsabilità e dove le scelte sono
legate ad una condizione di attesa priva di ogni responsabilità esistenziale. Questo rappresenta la causa
di una progressiva crescita di casi di anoressia nervosa
maschile. I due sessi, ciascuno per un proprio obiettivo,
perdendo la staticità di un ruolo che creava un rapporto dominante-dominato si avvicinano sempre più l’un
l’altro, modificando il rapporto istintuale con la sessualità, così come veniva vissuta nel passato, e scoprono nuovi processi di identificazione dove l’uroboro e la
madre perdono quella specificità del femminile per
consentire al maschile di rappresentare non più se
stesso quale potere, ma unità e continuità col femminile. Non abbiamo più qui il drammatico gesto di Persefone che per conquistare la sua autonomia rispetto
alla madre sceglie la morte come atto personale di ribellione. La moderna Persefone non ha più bisogno di
atti eroici improntati all’ascetismo simbolico; ha invece la possibilità, in una scelta di totale idealizzazione
del suo ruolo, in senso ascetico, di confrontarsi direttamente e con continuità con l’altro potere ridimensionandolo, correggendolo e rendendolo partecipe della
sua stessa condizione. L’anoressica non ha più bisogno
di combattere per un destino, inteso in chiave ontologica, ma vuole comprendere se stessa nella cultura,
nella storia e nella distribuzione del potere. Per dirla
più chiaramente e con linguaggio storico-filosofico, potremmo dire che il suo interesse passa da una fase
oscura che richiedeva l’affermazione del suo essere ad
una meno oscura, e più legata alla storia, che è quella
dell’esserci.
L’anoressica nella negazione di Sé scopre un processo di identità con se stessa, anche se la morte resta ancora l’unico modo per distinguersi e distaccarsi dalla
collettività in direzione di una scoperta e conferma
dell’individualità, che le consente di esistere; pur tuttavia ogni decisione estrema non ha un significato radicale, come potrebbe essere il suicidio, ma è una scelta
quasi strategica di recupero del proprio ruolo in un atteggiamento quasi narcisistico il cui fine è quello di farsi accettare senza violenza. L’anoressica avverte l’esistenza come vuota, angosciante e trova nel digiuno una
forma di esaltazione, di trans in cui si perdono, sbiadiscono i confini di Sé e del mondo esterno. Tutto diventa più tenue, ovattato, indefinito, leggero (“Il mio essere non era che pura trasparenza, come l’ondulare del
grano sotto il vento, come lo scivolamento sognante
delle nuvole” - Kierkegaard).
È uno stato magico in cui il soggetto rifiuta senza
malvagità il mondo per riconquistarlo in chiave sublimata ad un livello che pur rifiutando la sua oggettività
e la drammaticità del potere, lo riafferma nell’interiorità come giusto scenario delle sue passioni. In tal senso l’anoressica è quasi una drogata senza droga. Rifiuta il mondo ma ha bisogno di questo rifiuto per resistere procurandosi una sua generale visione del mondo e della vita (Lebensvelt). Il tossicodipendente rifiuta il mondo scegliendo di recuperarlo attraverso una
sostanza che lo esime da ogni altro appetito, compreso
quello sessuale. L’anoressica egualmente rifiuta la
realtà salvo poi recuperarla nel digiuno. In entrambi i
casi c’è la denuncia di una incompatibilità con la società, a causa di complessi motivi culturali, economici e
storici. Il recupero di questo rifiuto è diverso soltanto
formalmente nelle due categorie; fondamentalmente
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entrambe, rimanendo in una zona di ombra, invocano
autonomia e desiderio di cambiamento, senza però
avere il coraggio di assumersene in pieno le responsabilità. Questo perché entrambe vivono l’esperienza,
per una incompleta emancipazione dell’Io, ad un livello di regressione, o meglio di mancato sviluppo, che
consente ai soggetti di affermare se stessi mantenendo
sempre il concetto di partecipazione ad un sistema al
quale vogliono, nonostante tutto, appartenere ma dal
quale non si sentono accettati.
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