Gallinari: «Qui sono a casa avrei detto sì solo a

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Gallinari: «Qui sono a casa avrei detto sì solo a
Sport 59
Corriere della Sera Martedì 15 Novembre 2011
L’ala della EA7 ha visitato il Corriere e ha partecipato alla riunione di redazione. E su Twitter: «Una grande esperienza per me, è come essere in una vera squadra»
Intervista
Gallinari: «Qui sono a casa
avrei detto sì solo a Milano»
«La Nba dovrebbe imparare da noi il calore del tifo»
Metti un giorno in redazione a scoprire come nasce un giornale: poche ore dopo la
vittoria sulla Montepaschi Siena, Danilo Gallinari è venuto in visita al Corriere della
Sera a raccontare la propria esperienza, le proprie imprese e soprattutto a vedere da
vicino come funziona la macchina-giornale. Così non si è accontentato di visitare le
redazioni, ma ha partecipato — lui che a 23 anni ha già provato a tenere una rubrica
televisiva su New York e dintorni — alla riunione del mattino, interessandosi non
solo di sport (troppo facile...) ma anche di politica, di economia e di cultura. Non
prima del saluto del direttore Ferruccio de Bortoli, con il quale ha dato vita anche a
un piccolo botta e risposta via Twitter, una mini intervista in 140 battute. Così
gallinari8888, questo il nickname del giocatore dei Denver Nuggets (ma in questo
momento, e non si sa fino a quando, dell’EA7 Milano), ha spedito in rete le
sensazioni per un’esperienza insolita. «Guys this is a great experience for
me... I’m attending this Corriere della Sera meeting... molto istruttiva...»,
il primo messaggio. Poi il parallelo con lo sport: «Sembra di essere al
tavolo con una vera squadra... ognuno un ruolo e ognuno porta il suo
apporto... it’s just like a team...». Danilo, accompagnato da papà
Vittorio, è poi andato a sostenere il primato del basket sul calcio
(peraltro dopo aver dichiarato il suo tifo milanista) davanti a
Michel Platini, presidente Uefa, durante la consegna del Premio
Facchetti. Un’esperienza nuova: da oggi, il Gallo tornerà a fare
quello che sa fare meglio, ovvero infilare il pallone in un canestro.
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IL VIDEO E LE IMMAGINI della visita di Danilo Gallinari
al Corriere della Sera e la partecipazione alla riunione di redazione
su www.corriere.it
MILANO — Doveva tornare Danilo Gallinari a Milano per battere Siena dopo 21 sconfitte di fila?
«Non credo che abbiamo vinto solo per merito mio».
Lei però ci ha messo molto del
suo. Che ambiente ha trovato?
«Un clima super, il Forum pieno.
Quando noi giocatori siamo entrati in
campo e abbiamo visto quel pubblico,
abbiamo trovato una motivazione in
più».
Sentivate il peso delle 21 sconfitte
consecutive?
«Be’, io è da quando ho 15 anni che
perdo con Siena, fin dalle giovanili».
Sergio Scariolo ha minimizzato il
risultato.
«Sergio in realtà parte da 1-0, e anche per altri giocatori, vedi Fotsis, vedi Nicholas, insomma tutti i nuovi, il
parziale non è di 21-1 ma di 1-0».
Si è detto che la vittoria poteva essere il regalo di Gallinari in caso di
partenza per la Nba.
«Da parte mia c’erano tante motivazioni, e una era questa».
Pare invece che dovrà rimanere a
Milano ancora un po’.
«Sono solo felice per questo».
Quanta voglia c’è di tornare nella
Nba?
«Io sono cosciente che la mia carriera è in America, questa è una parentesi molto molto particolare dovuta al
lockout. Però è chiaro che qui sono a
casa, ho i miei amici... È difficile».
In ogni caso, meglio giocare con
una squadra che allenarsi da solo.
«Assolutamente sì».
E se invece non fosse stata Milano
a chiamarla, ma fosse arrivata una
Visita Danilo Gallinari con papà Vittorio, con
il direttore del «Corriere» Ferruccio de Bortoli,
con Giorgio Armani (Fotogramma, Marmorino)
proposta indecente da un altro club?
«Non ci sarei mai andato».
C’è stato qualcuno che le
ha sconsigliato di firmare
per Milano?
«Non ho consultato nessuno. Le decisioni importanti le
prendo con la mia famiglia, e
la scelta è arrivata quasi subito,
poco dopo gli Europei».
Come va con Scariolo?
«Abbiamo un bellissimo rapporto. Non lo conoscevo, abbiamo parlato molto da subito, è stato molto chiaro da subito sul mio ruolo, sulle sue
Lockout
Fumata nera
Nba sempre
più a rischio
❜❜
Non mi pesa essere celebre,
perché so la fatica che ho fatto per
arrivare qui. A New York dopo 2
anni e mezzo quei tifosi che all’inizio
mi fischiavano hanno cambiato idea
idee di basket. Mi è piaciuto».
Quanto ci ha messo a ritararsi sul
gioco europeo?
«Poco. Le regole sono diverse ma il
gioco è sempre pallacanestro».
Differenze?
«In America sono più permissivi
sui passi, in compenso i contatti vengono fischiati molto di più».
Che cosa dovrebbe importare la
Nba dall’Europa?
«Il calore del tifo. Quando giocavo
a New York, la percentuale dei turisti
Scatenato Danilo
Gallinari, nato l’8/8/88,
giocatore dei Denver
Nuggets e dell’EA7
Milano (Ciamillo Castoria)
in tribuna era intorno al 35-40 per cento.
Spettatori, più che tifosi».
E che cosa dovrebbe importare il
nostro basket dalla Nba?
«L’organizzazione. Là è tutto business, ci organizzano in tutto. Un
esempio: io per contratto devo fare
12 eventi all’anno».
Che cosa sa della squadra di papà?
«Che vinceva molto».
A inizio carriera lei era «il figlio
di Gallinari». Poi è diventato il fenomeno di famiglia.
Com’è stato il percorso?
«Tranquillo. La mia famiglia
non me l’ha mai fatto pesare. Poi a
16 anni ho cominciato a battere papà
nell’uno contro uno e ho capito che
stavo diventando bravo».
E quando ha cominciato a sentire
la pressione?
«Intorno ai 18 anni, quando ho cominciato a giocare bene in A2».
La celebrità le ha portato privilegi
NEW YORK — Il lockout non
si ferma, la stagione Nba è
sempre più a rischio. Dopo la
cancellazione di centinaia di
partite, ieri i giocatori del
basket americano hanno
respinto l’ultima offerta
avanzata dai club,
minacciando addirittura una
class action. Questa
decisione potrebbe portare
allo scioglimento del
sindacato e intricare ancora
di più i rapporti di forza nel
basket più famoso al mondo.
Parole del capo del sindacato
Billy Hunter: «Siamo pronti a
promuovere un’azione
legale antitrust contro la
Nba. Ci hanno messo
davanti a un
ultimatum
inaccettabile ed
estremamente
iniquo che
rifiutiamo e
rispediamo al
mittente».
o svantaggi?
«Solo privilegi».
Non le pesa firmare autografi?
«Per nulla. Perché so la fatica che
ho fatto per arrivare qui».
Che cosa significa partire da Graffignana, provincia di Lodi, a 20 anni
e sbarcare a New York?
«Significa essere catapultati in una
realtà completamente diversa: quando mi hanno scelto c’erano 26 radio,
14 televisioni, centinaia di inviati. E 3
mila persone che mi fischiavano».
E come ha reagito?
«Lavorando duro. E dopo 2 anni e
mezzo quei tifosi che all’inizio mi fischiavano hanno cambiato idea».
La cosa che più l’ha divertita?
«La lettera di benvenuto di Spike
Lee, tifosissimo dei Knicks. Appena
arrivato mi ha spedito il libro e il dvd
del film "Miracolo a Sant’Anna", più
una lettera con scritto in italiano "vai
vai vai vai"».
Ha sofferto molto quando è stato
trasferito da New York a Denver?
«Stavo benissimo a New York, ma
quando arrivi in America devi cancellare discorsi di maglia, colori e quant’altro. Funziona così».
Come spende i suoi soldi?
«Non spendo molto».
Vestiti?
«Poco, sono sempre stato sponsorizzato».
Tecnologia, tv, videogiochi?
«Non è il mio genere. Quando guardo il resoconto della carta di credito
vedo che spendo soprattutto al ristorante».
E che fa nel tempo libero?
«Ceno con gli amici, ascolto musica hip-hop. E leggo, leggo molto».
Fidanzatissimo?
«No no, single».
Chi promuove le fidanzate?
«Dicono la mamma».
La signora Marilisa, diventata famosa sul New York Post per gli gnocchetti sardi al gorgonzola?
(risata) «Lei».
Dove può arrivare Milano?
«È una squadra costruita per arrivare in fondo».
Anche senza Gallinari?
«Anche senza Gallinari».
Non dovrà andare di nuovo sul
mercato?
«Non credo».
Pare che piaccia molto Alessandro Gentile, anche se difficilmente
potrà arrivare all’EA7 quest’anno.
«Un ottimo giocatore».
Il sogno dei tifosi biancorossi: la
Nba riparte, ma Gallinari resta comunque a Milano...
«Impossibile, ho un contratto con
Denver».
E se per ipotesi Denver non dovesse andare ai playoff, Gallinari potrebbe tornare a giocare le ultime
partite con Milano?
«Sarebbe molto difficile, ma teoricamente sì. Basterebbe avere il nullaosta di Denver».
Acquistato il biglietto per gli Usa?
«Al momento no».
Roberto De Ponti
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Abu Dhabi Da oggi a giovedì il test di 24 piloti che puntano alla massima categoria: da una parte quelli capaci davvero, dall’altra i portatori di sponsor
I bravi sfidano i ricchi nel talent show della Formula 1
DAL NOSTRO INVIATO
ABU DHABI — Qualcuno lo
ha ricevuto in regalo, qualcuno il debutto al ballo lo ha pagato piuttosto caro, dicono
150 mila euro al giorno. Tutto pur di fare bella impressione. I team più piccoli sono lieti di incassare, gli sponsor (e,
in alcuni casi, i padri) sperano in un investimento: in fondo, di questi tempi ce ne sono di più rischiosi. Ecco, magari i meccanici si sarebbero
risparmiati questa tre giorni
di lavoro extra, ma ad Abu
Dhabi si sta bene e nel complesso non si lamentano.
Comunque, il ballo dei debuttanti inizia oggi: a partecipare al provino collettivo
(quasi un talent show delle
corse) saranno 24 giovani o
presunti tali, perché per le regole non conta l’età anagrafica ma conta l’esperienza, anzi
l’inesperienza maturata con
una monoposto di Formula
1, ed ecco perché per la McLaren proverà il collaudatore
Gary Paffet, che ha 30 anni e
fa il pilota in Dtm. È un caso
limite.
Tutti gli altri sognano ancora di farcela, di correre con
Alonso e Hamilton, e allora
l’età conta eccome. Anzi, c’è
una specie di gara alla
precocità: i pilotini si tolgono
gli anni come le attrici più vanitose. «Io ne ho 18, ma 18
davvero — chiarisce Kevin
Ceccon, bergamasco, che do-
mani e giovedì girerà sulla Toro Rosso —, qualcuno dice 18
e poi ne compie 19 tra un
giorno. Fa la differenza». Ceccon è reduce dall’«anno della
pazzia», come lo chiama lui:
nella stessa stagione ha vinto
il campionato AutoGp, è stato chiamato dal team Coloni
per qualche gara in Gp2 e ora
proverà una Toro Rosso. «In
un test con la F1 impari come
in due anni di Gp2», esagera.
Lui c’è arrivato a suon di risul-
tati «perché quanto a budget
sono messo piuttosto male...». A difendere l’Italia con
lui ci sarà Mirko Bortolotti,
21 anni. Il ragazzo che un pomeriggio di novembre sorprese tutti a Fiorano con un test
Speranze
Tre giovani
che da oggi
inseguono
ad Abu Dhabi
un sogno
chiamato
Formula 1.
Da sinistra,
Kevin
Ceccon,
Jules Bianchi
e Mirko
Bortolotti
sulla Rossa sembrava aver
perso l’attimo, giovedì ha
una seconda possibilità: proverà la Williams come premio per aver vinto la F2.
Uno su mille ce la fa, gli altri ripiegheranno su categorie minori. In questo periodo
di crisi, poi, come per le spose di una volta, conta più la
«dote» (sponsor) del talento.
Non lo dice, ma Jules Bianchi
pensa che sia questa la ragione per cui non ha ancora fatto il grande salto: «Non mi
sento inferiore a molti che
corrono in F1». Jules ha 22 anni, è collaudatore Ferrari, si
sta facendo le ossa in Gp2 (è
reduce da una stagione non
esaltante però) e con l’Accademia di Maranello. Su di lui,
una montagna di pressione,
forse troppa (piloti erano
nonno Mauro e zio Lucien).
«So che sono alla svolta della
mia carriera, è il momento di
fare il salto e mi sento pronto».
Per Bianchi il test è doppiamente importante. Perché la
Ferrari mette alla prova lui
(in vista di un dopo Massa),
ma mette alla prova anche se
stessa e sfrutterà questi giorni per capirne di più su aerodinamica e gomme del 2012.
Lo stesso faranno McLaren,
Red Bull (alla guida il francese Vergne) e Mercedes (l’inglese Bird), già ansiose di avere riscontri, anticipazioni, dati affidabili. E chissà come
verrà il ballo con tutto questo
peso sulle spalle...
Arianna Ravelli
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