classificazione dei coloranti naturali impiegati

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CAPITOLO SECONDO
CLASSIFICAZIONE DEI COLORANTI NATURALI
IMPIEGATI NELLA TINTURA DELLA LANA E
RELATIVO RUOLO DEI MORDENTI.
A) Classificazione dei coloranti naturali in base alla tipologia del
processo tintorio
I principali coloranti naturali, identificati su tessuti di importanza storico-culturale, possono essere raggruppati, sulla base del loro metodo di
applicazione, in tre gruppi: coloranti diretti o sostantivi; coloranti a
mordente; coloranti al tino.
A1) Coloranti diretti o sostantivi
Appartengono a questa categoria quei coloranti che, per la loro particolare struttura molecolare, hanno la capacità di legarsi stabilmente alle
fibre, e quindi possono essere impiegati nei processi di tintura, direttamente, senza l’ausilio di sostanze fissanti. Fanno parte di questo gruppo
i coloranti che si estraevano dallo zafferano e dalla curcuma (i cui principi coloranti venivano usati per tingere di giallo) e dal legno-brasile,
capace di conferire alla lana un colore rosso-mattone.
Un colorante diretto si lega alle fibre di lana attraverso un forte legame
primario, generalmente, di tipo ionico, basato sull’attrazione elettrostatica tra cariche elettriche di segno opposto presenti nelle molecole costituenti le fibre e il colorante stesso.
Un esempio di tintura diretta della lana è quello che vede come colorante l’acido picrico il quale, essendo un acido forte, interagisce con i
gruppi basici presenti lungo la catena proteica delle fibre di lana dando
luogo alla formazione di un forte “salt linkage”. La struttura chimica che
si viene a realizzare è illustrata nella figura 1 [1].
«Le fibre proteiche, quali la lana e la seta, a causa della loro struttura polipeptidica, possono trattenere molecole di coloranti anche mediante legami
ad idrogeno, così come viene esemplificato nella figura 2 dove è mostrata la
struttura che si determina tra un colorante diretto (l’alizarina) contenente
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gruppi ossidrilici (-OH) nella molecola e il
presente lungo la catena del nylon-6» [2].
C=O del gruppo peptidico
Fig. 1: Il tipo di legame ionico (salino) che viene a formarsi tra un colorante diretto, l’acido picrico, e le fibre di natura proteica di lana oppure di seta [Rif. 1].
Il processo tintorio, basato sull’impiego di coloranti diretti o sostantivi,
può essere così schematizzato:
FIBRA BIANCA
+ SOLUZIONE ACQUOSA DI COLORANTE DIRETTO
FIBRA TINTA
La caratteristica principale mostrata dai coloranti sostantivi, la resistenza ai cicli di lavaggio, fortemente influenzata dalla loro costituzione chimica, può essere aumentata spostando l’equilibrio della reazione il più
possibile verso destra.
Dal punto di vista chimico i coloranti diretti possono afferire a due
grandi famiglie:
a) coloranti azoici, caratterizzati dalla presenza nella loro molecola di
uno o più gruppi “azo”,  N=N  ;
b) coloranti tiazoici, nelle cui molecole è presente l’anello tiazolico la
cui struttura è qui di seguito rappresentata:
S
CH
N
168
(ANELLO TIAZOLICO)
Fig. 2: Coloranti diretti: La
molecola del colorante alizarina può legarsi a fibre di
natura polipeptidica (lana,
seta, poliammidiche) formando legami a idrogeno [Rif.2].
I coloranti diretti sono generalmente solubili in acqua; la loro solubilità
cresce con l’aumentare del numero di gruppi solfonici nella molecola e
con la temperatura, al contrario essa diminuisce con il peso molecolare.
La tintura della lana con coloranti diretti viene effettuata (anche oggi)
preparando un bagno contenente una soluzione debolmente acida. Una
prima fase del processo si realizza in un bagno la cui temperatura è intorno ai 50-60°C, quindi la tintura viene portata a completamento ad una
temperatura di circa 100°C.
Al fine di raggiungere l’esaurimento del colorante la soluzione è progressivamente acidificata addizionando dell’acido acetico.
Le tinte ottenute mediante l’impiego di coloranti diretti, nel caso della
lana, risultano essere dotate di una buona solidità.
A2) Coloranti al mordente o aggettivi
I coloranti aggettivi non hanno la capacità di penetrare all’interno della
fibra e di fissarsi in maniera stabile ad essa. Pertanto si ricorre all’ausilio di
sostanze, denominate “Mordenti” (il termine deriva dal latino “mordere”),
generalmente un sale metallico, che disciolto in acqua viene absorbito dalle
fibre di lana restando permanentemente e profondamente legato alle stesse
mediante legami chimici molto forti. Il colorante a sua volta durante la fase
di tintura penetra nella fibra legandosi chimicamente al sale metallico ancorato alle macromolecole (proteine) costituenti le fibre di lana.
«The direct affinity of this type of dye (coloranti aggettivi, n.d.A.) to the fibers is
very low; thus a stabilizing agent that has previously impregnated the fibers and has
bonded to them can also chemically attach itself to the dye. The mordants typically used in antiquity were inorganic salts of aluminum (“alum”), iron, and tin. These
will form insoluble “lakes” with the dyes: organic substances called tannins, obtai169
nable from sumac leaves or oak gall “nuts” have also served as mordanting agents.
Various metal mordants used with the same dye can brighten or darken the
resultant colors» [3].
a)
b)
Fig. 3: a) La struttura chimica
dell’alizarina.
b) La struttura chimica della
“lacca” che l’alizarina è capace di formare legando ioni
alluminio e calcio [Rif. 5].
Afferiscono al gruppo di coloranti al mordente la robbia, la cocciniglia,
il legno di campeggio, alcuni gialli e molti altri.
R.J. Forbes in relazione ai mordenti ha scritto:
«At a very early stage of textile history the dyer must have discovered the
action of mordants … An interesting passage in Pliny reveals to us that the
Egyptians certainly knew how to handle mordants and how to pretreat their
material before dyeing:
“In Egypt they also colour cloth by an exceptionally remarkable kind of process. They first thoroughly rub white fabrics and then smear them not with
colours but with chemicals that absorb colours. When this has been done, the
fabrics show no sign of the treatment, but after being plunged into a cauldron
of boiling dye they are drawn out a moment later dyed. And the remarkable
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thing is that although the cauldron contains only one colour, it produces a
series of different colours in the fabrics the hue changing with the quality of
chemicals employed, and it cannot afterwards be washed out. Thus the cauldron which, if dyed fabrics were put into it, would undoubtedly blend the
colours together, produces several colours out of one, and dyes the material
in the process of being boiled and the dress fabrics when submitted to heat
become stronger for wear than they would be if not so heated» [4].
Un mordente è pertanto una sostanza la quale facilita il fissaggio di un
colorante a una fibra, permettendo la produzione di una tintura più
profonda e permanente. Alcuni mordenti agiscono direttamente sulla
fibra rendendola più sensibile al colorante. In questo caso i tessuti o i filati sono mordenzati prima del processo di tintura.
Altri esplicano la loro funzione attraverso la formazione di complessi
insolubili con il colorante (lacche). E’ questo complesso che agisce da
agente colorante. Pertanto il processo di tintura prevede, in questo caso, che
le fibre siano esposte all’azione concomitante del mordente e del colorante. A titolo esemplificativo nella figura 3 viene mostrata la lacca calcioalluminio-alizarina (il colorante principale della Rubia tinctorium) [5]. La
struttura è caratterizzata dal fatto che le molecole di alizarina sono capaci
di chelare ioni alluminio formando anelli a sei legami. Le dimensioni e la
conformazione di queste lacche rende conto della loro particolare insolubilità e resistenza alla estrazione da parte di acqua e solventi organici [6].
Tabella 1
Nella tabella viene evidenziata l’influenza della natura chimica
del mordente sul colore conferito alle fibre nel caso della tintura
alla robbia, uno dei più usati coloranti naturali vegetali rossi.
Mordente
Allume
Sali di stagno
Sali di Cromo
Sali di Rame
Sali di Ferro
Colore
Rosso Ruggine
Arancione
Marrone
Giallo-Bruno
Bruno-Castano Bruno
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I mordenti venivano impiegati non solo per aumentare l’affinità tra le
molecole di colorante e la fibra, ma anche per modificare il colore impartito dal colorante. Ad esempio nel caso della robbia (vedasi tabella 1) era possibile ottenere a seconda del mordente tonalità molto diverse tra loro [7].
Qui di seguito sono descritte le caratteristiche delle principali sostanze
mordenti impiegate nei processi tintori della lana che utilizzavano coloranti naturali. In alcuni casi sono anche riportate le ricette raccomandate
da illustri maestri tintori. I mordenti sono etichettati sulla base del metallo contenuto nella loro molecola.
Mordenti al ferro
Impiegati in tinture molto scure (nero, oliva, argento). Il ferro contenuto in questi mordenti tende a degradare fisicamente e a infragilire le fibre
di lana pertanto era essenziale che si provvedesse ad una completa
risciacquatura delle matasse o dei tessuti dopo il processo di tintura.
Le sostanze che appartengono a questo gruppo sono:
- Solfato ferroso idrato (Fe SO4·7 H2O) comunemente denominato
“Copparosa Verde” oppure “Vetriolo Verde”
- Acetato ferroso (Fe (C2H3O2)2)
- Cloruro ferroso (Fe Cl2)
- Nitrato ferroso (Fe (NO3)2)
- Solfato ferrico (Fe2 (SO2)3)
- Ossido ferroso (FeO)
- Ruggine, una miscela di ossidi di ferro [8].
Un tipico processo di tintura della lana con mordenti al ferro, descritto
nel riferimento [9], prevede le seguenti fasi:
i) fare bollire lentamente una libbra (0,4536 Kg) di lana nel
bagno di tintura per 30 minuti;
ii) rimuovere la lana e aggiungere mezza oncia (14 g) di mordente al ferro e una oncia (28 g) di cremore di tartaro quale
sostanza “assistente”;
iii) disciogliere completamente il mordente e il cremore di tartaro e quindi rimettere la lana nel bagno;
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iv) risciacquare bene, ridurre lentamente la temperatura del
bagno e quindi rimuovere la lana [9].
Mordenti al cromo
I mordenti al cromo furono impiegati nei processi tintori a partire dal 1797.
Essi contribuivano a rendere i colori gialli e verdi più brillanti. In alcune
ricette venivano usati sali di cromo insieme a quelli di piombo per ottenere
un giallo molto più brillante. La presenza di sali di piombo rendeva il bagno
e l’ambiente di lavoro altamente nocivo alla salute degli operatori.
La sostanza usata quale mordente è il dicromato di potassio, K2 Cr2 O7.
Il cromo è molto sensibile alla luce pertanto il processo di tintura andava effettuato in assenza di luce diretta. E’ per questa ragione che le fibre
di lana venivano tinte immediatamente dopo essere state trattate con il
mordente al cromo e questo per ridurre al minimo l’azione della luce che
avrebbe potuto causare una disomogenea distribuzione del colore.
La procedura di tintura, descritta nel riferimento [9], consiste nel trattare una libbra di lana con mezza oncia di mordente al cromo, tre quarti
di oncia di cremore di tartaro in quattro galloni (un gallone=4,546 litri)
di acqua molle (anticamente veniva utilizzata l’acqua piovana).
In via preliminare il mordente e il cremore di tartaro sono disciolti
mediante vigorosa agitazione in un quarto di gallone di acqua precedentemente portata all’ebollizione.
La rimanente parte dell’acqua è riscaldata lentamente e a questa si
aggiunge la soluzione contenente il mordente e il cremore di tartaro.
Quando l’acqua diventa calda si immerge la lana e il bagno viene porta-
Fig. 4: Struttura chimica del complesso (lacca insolubile) tra l’alizarina e ioni cromo trivalenti
(Cr+++) [Rif.2].
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to lentamente all’ebollizione. A questo punto si riduce l’erogazione di energia portando il bagno ad una temperatura molto vicina a quella di ebollizione e lasciando la lana in infusione per un periodo che va da tre quarti di
ora fino ad una ora e mezza, a seconda della natura e della grossolanità delle
fibre. Ogni quindici minuti la lana è mossa delicatamente nel bagno, usando un bastone di legno. Successivamente il bagno viene fatto raffreddare
fino a temperatura ambiente, la lana è rimossa, strizzata delicatamente per
allontanare l’eccesso di liquido e quindi immersa nel bagno di tintura [9].
Dalla struttura molecolare del complesso, alizarina-sale cromico (riportata
nella figura 4), si evince la capacità dello ione cromico (Cr+++) a coordinare tre
molecole di colorante dando luogo alla formazione di una lacca insolubile [2].
Il processo di tintura di fibre di cotone mordenzate con sali di cromo e
basate sull’impiego dell’alizarina porta ad una struttura complessa che vede
il coordinamento al cromo di un sola molecola di colorante e di due ossidrili (- OH) presenti lungo la macromolecola della cellulosa (figura 5) [1].
Mordenti allo stagno
L’impiego dei mordenti allo stagno è documentato per la prima volta
nel 1630 dal Dutch Chemist Drebbel nel caso di processi tintori della lana
a base di cocciniglia. Questi mordenti avevano la proprietà di rendere più
brillanti i colori rosso, arancio e giallo. Le sostanze usate erano il cloruro stannico (SnCl4) e il cloruro stannoso (SnCl2) [7].
I mordenti allo stagno richiedevano sempre l’ausilio del cremore di tartaro; di norma per 453,6 g di lana si utilizzavano 14 g di mordente e 14 g
di cremore di tartaro.
Fig. 5: Struttura del complesso chelato che si viene
a formare tra l’alizarina e
un mordente al cromo nel
caso di tintura delle fibre
di cotone [Rif.1].
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Mordenti al rame
Venivano impiegati nelle tinture che conferiscono alla lana un colore giallo, blu, verde e arancio. Le sostanze usate erano: l’acetato di rame
(CuO·2Cu(C2H3O2)2), chiamato “verderame”, e il solfato di rame (Cu
SO4·5H2O) comunemente noto come “vetriolo di rame” o “copparosa blu”.
Nella tintura della lana generalmente si impiegavano 28 g di vetriolo
blu per 453,6 g di lana [7, 8].
Allumi
L’allume è noto per le sue caratteristiche fin dall’antichità; ne scrive
Plinio (23-79 d.C.) nella sua grande “Storia Naturale”.
Gli allumi di più comune impiego quali agenti mordenti nei processi
tintori della lana appartenevano alle seguenti classi di prodotti chimici:
- acetato di alluminio (Al(C2H3O3)3), noto come “allume acido” (il suo
impiego nel tessile ebbe inizio intorno al 1750-1790); si ricavava trattando la bauxite (ossido idrato di alluminio (Al2O3·2H2O) contenente
anche ossido di ferro (fino al 58%) mentre il contenuto di ossido di
alluminio varia dal 9 al 78%) con acido acetico;
- solfato idrato di potassio e alluminio (K2(SO4)Al2(SO4)3·24H2O),
chiamato “allume” o “allume di potassio” (si otteneva trattando la
bauxite con idrossido di potassio);
- solfato idrato di alluminio e ammonio (Al2(SO4)3·(NH4)2 SO4·24H2O),
denominato “allume di giardino”, veniva prodotto sottoponendo la
bauxite all’azione dell’acido solforico; si trova nelle miniere di sale
ed è contenuto in molti licheni [7].
L’allume di potassio è di gran lunga la sostanza che fin dall’antichità ha
trovato maggiore impiego come mordente nella tintura della lana e di
altre fibre naturali.
In generale nei processi tintori si impiegavano per ogni libbra di lana,
quattro oncie di allume e un’oncia di cremore di tartaro in quattro galloni di acqua molle. La prima fase consisteva nello sciogliere l’allume e il
cremore di tartaro in circa un quarto di gallone di acqua molto calda. I
rimanenti tre quarti di galloni di acqua venivano riscaldati e ad essi si
aggiungeva la soluzione contenente il mordente e il cremore di tartaro. Di
norma la lana era direttamente immersa in un bagno tiepido contenente il
mordente, quindi la temperatura veniva, lentamente, portata vicino a
quella di ebollizione.
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La somministrazione di calore era interrotta e il tutto veniva fatto riposare per circa un’ora ad una temperatura di poco al disotto dei 100°C.
Successivamente, raffreddato il bagno a temperatura ambiente, la lana era
rimossa, strizzata con delicatezza e pressata tra due teli per eliminare la
soluzione in eccesso. Le fibre così mordenzate erano poste in un luogo
ombreggiato, ad asciugare. A questo punto la lana era pronta per essere
sottoposta a tintura [10].
Acido Tannico
Comunemente denominato Tannino è una miscela di galloil-glucosi
costituita da molecole di glucosio i cui cinque ossidrili sono esterificati
da molecole di acido gallico, m-digallico e trigallico. Pertanto l’acido
tannico è un derivato glucosidico polimerico dell’acido gallico contenente un certo numero di gruppi acidi. La struttura chimica dell’acido gallico, noto anche come acido della noce di galla, è qui di seguito riportata:
COOH
HO
OH
OH
Il tannino è presente in molti vegetali dai quali veniva estratto.
Particolarmente ricche di tannino sono: i gusci di varie specie di noce
(Cinesi, di Aleppo); la corteccia della “Hamamelis virginica”, di quercia e di
china; il legno di castagno; le foglie di sommacco; i raspi e le bucce dell’uva. L’acido tannico è presente anche nelle galle, escrescenze che si sviluppano principalmente sulle foglie e sui rami delle querce per effetto della puntura di una vespa (vespa delle galle), che stimola le cellule delle piante ad
una crescita abnorme. La struttura risultante (detta anche mela della quercia)
diviene il nido dell’insetto aggressore. L’attività nutrizionale della larva che
cresce all’interno della galla comporta il rilascio di sostanze chimiche che
provoca un elevato contenuto di tannino nelle cellule dell’escrescenza.
«Per l’estrazione del tannino, fino alla fine della seconda guerra mondiale,
veniva seguito un metodo, messo a punto da Pelouze nel 1834, “che consisteva nel trattare le galle fresche con etere o con una miscela di etere e
alcool. Si formano due strati: il superiore è costituito da una soluzione eterea di acido gallico, cera e sostanze resinose, l’inferiore da una soluzione
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concentrata di acido gallo tannico. L’estrazione per mezzo di acqua, etere o
alcool, veniva effettuata industrialmente in batterie di rame comunicanti tra
loro in modo che il liquido, passando dall’una all’altra si arricchisce in
estratto … Il tannino del commercio è una polvere amorfa bianco giallastra
molto solubile in acqua e alcool, praticamente insolubile in cloroformio …
Per idrolisi con acidi minerali diluiti si forma acido gallico, unitamente a piccole quantità di glucosio…» [11].
L’acido tannico veniva usato come sostanza mordente nelle pratiche
tintorie tendenti a produrre lana colorata in marrone-bruno (per una libbra di lana veniva impiegata una oncia di tannino). In generale si osservava che la lana trattata con acido tannico prima della tintura tendeva ad
imbrunire nel tempo [8].
Per una corretta ed accurata mordenzatura della lana andavano eseguite
delle operazioni preliminari, alcune delle quali sono qui di seguito descritte.
i) Accurato lavaggio delle fibre, al fine di allontanare sostanze
contaminanti (grassi, sapone e prodotti minerali), usando
acqua a pH neutro, evitando acque dure, poiché i sali minerali in essa disciolti avrebbero potuto interferire negativamente.
ii) Saturazione delle fibre in acqua pura, prima di immergerle nel
bagno di mordenzatura, al fine di evitare una espansione non
omogenea delle stesse con l’aumentare della temperatura e
quindi un non omogeneo assorbimento del mordente.
iii) Dissoluzione del mordente in una piccola quantità di acqua calda;
successivamente, alla soluzione così ottenuta, veniva aggiunta
acqua fredda e le fibre umide erano introdotte nel bagno.
iv) Riscaldamento lento del bagno; di norma esso veniva portato
ad una temperatura di poco al di sotto dell’ebollizione in un’ora. Questa procedura permetteva al mordente di penetrare le
“scaglie” o “squame” idrofobiche che costituiscono le pareti
esterne delle fibre di lana (vedasi volume primo della presente collana sulla struttura e morfologia delle fibre di lana).
Inoltre l’aumento lento della temperatura provocava l’espulsione dell’aria contenuta nelle fibre o presente sulla loro
superficie a cui si accompagnava un processo di “softening”
che facilitava la penetrazione del mordente all’interno delle
stesse. Di norma il bagno era mantenuto ad una temperatura di
poco al di sotto della temperatura di ebollizione per almeno
1/2 ora affinché l’insieme dei processi sopra menzionati
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potessero essere portati a completezza.
v) Rimozione delle fibre dal bagno quando la sua temperatura
era stata portata lentamente vicino a quella dell’ambiente.
Questa operazione veniva effettuata al fine di evitare danni
alle fibre di lana che si trovavano in uno stato rigonfiato. Le
fibre mordenzate, così rimosse dal bagno e delicatamente
strizzate, potevano essere usate per il successivo processo di
tintura, immediatamente, oppure essiccate e conservate [12].
A3) Coloranti al tino
Questo nome deriva dai tini di legno che venivano usati anticamente per
effettuare la tintura con questo tipo di colorante. Appartenevano a questo
gruppo importanti coloranti naturali di origine vegetale ed animale quali
l’indaco e la porpora reale.
I coloranti al tino sono insolubili in acqua. A seguito di un processo di
riduzione in ambiente alcalino (ad esempio utilizzando idrosolfito di
sodio o altri energici riducenti) essi si trasformano nel loro “leuco derivato” che è solubile e capace di fissarsi alle fibre.
Le molecole dei coloranti al tino contengono, in generale, gruppi chinonici o carbonilici ( C=O) i quali durante il processo di riduzione sono
trasformati in gruppi enolici ( C – OH) e quindi nei corrispondenti sali
sodici (
C – ONa), solubili in acqua.
I coloranti al tino e le corrispondenti operazioni di tintura sono così
descritti nel riferimento [1]:
«Vat dyes can be used for all fibers, both natural and synthetic. Most vat dyes
are soluble (and colorless) in water in their reduced form, but become insoluble and colored when oxidized. They are introduced to the fabric in their
soluble form and then oxidized or “developed” to precipitate them both on
the inside and outside of the fabric fibers. The vat dye indigo (a quinonoid
dye) is used to dye blue jeans. It is very insoluble in all solvents, and thus is
fast. However, since it is not covalently bound to the fabric and only adheres to the surface of the fiber (di natura cellulosica: cotone; n.d.A.), it is
subject to removal by abrasion. This explains why the knees and other parts
of blue jeans subject to wear will gradually turn white. It also accounts for
the appearance of the currently popular “stone-washed” jeans».
Un processo tintorio, basato sull’utilizzo di coloranti al tino, prevede
quindi l’impregnazione delle fibre con la soluzione acquosa del leuco178
Fig. 6: Raffigurazione schematica del chimismo di un processo al tino basato sull’impiego
dell’indigotina quale colorante
[Rif. 1].
derivato e successiva loro esposizione all’aria, per permettere l’ossidazione del leuco-derivato a colorante.
Nel caso della tintura della lana, di norma, venivano impiegati coloranti al tino che non richiedevano un bagno troppo alcalino.
Zvi C. Koren, nel suo già citato lavoro così descrive una antica procedura basata sull’utilizzo di una delle più importanti materie coloranti al
tino, l’indigotina:
«The indigotin dyeing process is performed over a period of time by fermenting the leaves in water containing an alkaline substance, Fermentation
is brought about by the micro-organism present in the leaves of the indigotin-producing plant, and also in the urine which is usually added to the vat.
Fermentation in a basic medium reduces the precursor to indigotin (leucoindaco; n.d.A.), which also dissolves in the basic solution. The alkaline substances used in antiquity were one or more of the following: decomposed or
stale urine-producing alkaline ammonia, vegetable ashes, or lime water.
Once dissolved in the dye bath, this reduced form of the dye was able to
impregnate the fibers. To attain the final blue or purple insoluble dye form
(“pigment”), the wet fiber was allowed to become oxidized in the air» [3].
Dal punto di vista molecolare il processo di tintura al tino, basato sull’impiego dell’indaco, è schematicamente illustrato nella figura 6 [1].
Nel caso della tintura della lana i coloranti al tino, rispetto ad altri coloranti naturali avevano il vantaggio di produrre tinte caratterizzate da una
elevata solidità, sia rispetto ai vari agenti atmosferici che nei confronti
179
Fig. 7: Diagramma di idrolisi della lana in funzione del pH del bagno di tintura a 100°C. Nel grafico sono riportate le zone di alterazione minima (a 90 e 25°C) e il punto isoelettrico [Rif. 13].
delle forti sollecitazioni fisiche e chimiche nella fase di finitura. Inoltre si
osservava che i manufatti in lana, sottoposti ad un processo di tintura al
tino, presentavano una ottima resistenza alla trazione e all’abrasione e
questo malgrado il processo tintorio avvenisse in ambiente alcalino ad un
pH maggiore di quello del punto isoelettrico delle fibre di lana (pH= 4,5)
e quindi lontano dalla zona di alterazione minima che, come si evince
dalla curva riportata nella figura 7, per una temperatura del bagno di
100°C, è compresa tra valori del pH che vanno da 3,5 a 4 [12, 13].
Questa apparente incongruenza è stata così spiegata da Franco Brunello:
«Vi è una tendenza a considerare l’alcalinità e quindi l’aggressività, dei
bagni di tintura con colori al tino soltanto in base alla quantità di alcali
aggiunto. … Questi dati non rispondono però all’effettivo stato alcalimetrico dei tini di tintura. Infatti non si deve dimenticare che una parte dell’alcali reagisce col colorante nella sua forma chinonica:
O
O
C
C
C6H4
C
NH
180
C
C6H4 + 2NaOH
NH
Da cui deriva, per riduzione, il sale alcalino del leucoderivato:
HO
ONa
NaO
C
C
C
C6H
NH
OH
C
C6H4 + H2
NH
In questa seconda fase interviene,… l’idrosolfito sodico come agente riducente, il quale a sua volta reagisce con una parte dell’alcali comportandosi
in definitiva come un tampone:
Na2 S2 O4 + 2 Na OH + O
2 Na2 SO 3 + H2 O
ed effettivamente in un tino di tintura per lana, l’alcalinità iniziale diminuisce lentamente nel corso della tintura.
Oltre a ciò non può essere trascurata, nei confronti dell’alcali caustico, la presenza nel tino di tintura di colloidi proteici, quali la gelatina o la colla animale,
che hanno come scopo principale quello di mantenere in sospensione l’indaco
ridotto; si sa infatti che nel tino di tintura l’alcalinità è data prevalentemente dall’ammoniaca, la quale da sola non potrebbe sempre garantire la stabilità della
dispersione dell’indaco allo stato di leucoderivato. Ma la presenza della sostanza proteica in soluzione, esercita anche una seconda importante azione nei confronti dell’alcali presente nei bagni: le colle animali, essendo costituite come la
lana, da aminoacidi, cioè da composti anfoteri, possono reagire come tamponi
dell’alcalinità; ed essendo presenti nel bagno come sospensioni colloidali, la loro
reattività verso l’alcali sarà maggiore di quella della lana; cosicché contribuiranno alla protezione di quest’ultima dalla nociva azione dei bagni alcalini» [14].
181
I processi attuali di tintura della lana con coloranti al tino prevedono le
seguenti operazioni:
i) aggiunta dell’idrosolfito e dell’ammoniaca nel tino, contenente un volume di acqua sufficiente alla tintura;
ii) la temperatura del bagno viene portata a 50°C, trascorsi 15
minuti si aggiungono la colla e l’indaco e quindi si mescola
per favorire la riduzione a leucoderivato (il tino è pronto per
la tintura quando la soluzione diventando limpida acquista un
colore giallo-verdino, qualora la colorazione tendesse al blu
significa che la quantità di idrosolfito aggiunta è bassa);
iii) nel tino pronto viene immersa la lana in pezza;
iv) la pezza di lana dopo circa 30-60 minuti, viene estratta dal
bagno e quindi, dopo averla spremuta accuratamente si espone all’aria affinché avvenga la reazione di ossidazione per
effetto dell’ossigeno atmosferico.
Il processo di tintura a mano della lana in pezza, era ampiamente impiegato, nel diciottesimo secolo, negli stabilimenti “Gobelin”, vicino Parigi,
famosi per la manifattura di arazzi (figura 8).
182
Fig. 8: Tintura a mano di una pezza di lana così come veniva condotta, nel diciottesimo secolo,
nei famosi laboratori di arazzi Gobelin vicino a Parigi.
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B) Classificazione dei coloranti sulla base della loro struttura
chimica
Dal punto di vista della struttura chimica, i coloranti naturali possono
essere classificati in: antrachininoci, flavonoidi, carotidinoidi, calconici,
indigoidi e antocianidici. Le principali caratteristiche delle classi di coloranti naturali di più ampio interesse culturale, archeologico-storico e artistico sono qui di seguito illustrate e discusse.
– ANTRACHINONICI
Appartengono a questa categoria i principali coloranti rossi che si ricavavano sia dal mondo vegetale che animale. Questi coloranti si caratterizzavano per una buona solidità alla luce. Inoltre essi avevano la capacità di formare complessi con i sali metallici (lacche) che usati come
materia colorante, conferivano alle fibre una buona solidità ai lavaggi.
Le strutture molecolari di importanti coloranti naturali antrachinonici,
di origine vegetale, utilizzati fin dai tempi remoti, tra i quali l’alizarina e
la purpurina (presenti nelle radici della “Rubia tinctorium”, del “Galium
boreale”, del “Valium Verum”, e della “Rubia peregrin”) e la
“Mungistina” (che si estraeva dalla robbia indiana, la Rubia mungista)
sono riportate nella figura 9-a [15].
L’alizarina, la purpurina e la pseudopurpurina conferivano alle fibre di
lana una tinta rossa, mentre la rubiadina, la mungistina, il -metiletere
dell’alizarina, davano un colore giallo arancio in presenza di allume
come mordente.
La presenza e la concentrazione dei coloranti sopra menzionati negli
estratti delle radici rosse delle piante dipende da molti fattori quali ad
esempio: il luogo di origine, il grado di crescita e di maturità delle piante, il processo di estrazione e di tintura [15].
Una serie di importanti coloranti di natura antrachinonica rappresentano la materia colorante principale che da secoli e secoli veniva estratta
dagli insetti: Kermes vermiglio, Dactylopius coccus (cocciniglia), laccifer lacca (Laddia), Porphyrophora colonica (cocciniglia polacca) e molti
altri.
Le strutture molecolari di alcuni i questi coloranti antrachinonici, di cui
si è ampiamente scritto nei precedenti paragrafi di questo volume, sono
messe a confronto nella figura 9-b [15].
Dal Chermes vermiglio si estraeva l’acido chermesico e l’acido carminico, presenti come glucosidi. Dalla cocciniglia polacca si ricavava una
miscela 1:1 di acido carminico e chermesico. Con il termine di acido laccaico, sostanza rosso scura detta “Laddia”, che veniva estratta con una
184
a)
b)
Fig. 9: Struttura chimica di alcuni coloranti naturali afferenti alla famiglia degli antrachinoni:
a) di origine vegetale;
b) di origine animale.
soluzione diluita di soda dall’essudato della Coccus lacca (lacca), si indica in realtà una serie di acidi che si differenziano per il tipo di sostituente nella posizione “para” dell’anello benzenico.
185
I coloranti antrachinonici provenienti da insetti coloravano le fibre di
lana in varie tonalità che andavano dal rosso brillante al rosa; in presenza di mordenti quale l’allume riuscivano a conferire un colore violettobluastro. I maestri tintori per ottenere rossi molto brillanti e stabili usavano impiegare mordenti allo stagno [14].
– FLAVONOIDI
I coloranti naturali (principalmente gialli) che afferiscono alla famiglia
dei flavonoidi, che si ricavavano dal mondo vegetale, comprendono:
i) la luteolina (dalla Reseda luteola) che rappresentò il più
importante colorante giallo del medio-evo;
ii) la ramnetina (dalle bacche del Rhamnus);
iii) la fisetina (dal Rhus cotinus);
iv) la morina (dal Chlorophora/Morus tinctoria);
v) la quercetina (presente come glucoside nella corteccia della
quercia americana (Quercus tinctoria)).
Nella figura 10 è riportata la struttura molecolare del flavonolo, che
rappresenta la base dei coloranti flavonoidi; nella sottostante tabella sono
indicati, per ognuno dei coloranti sopra citati nei punti da i) a v), i gruppi sostituenti e le relative posizioni [15].
I coloranti flavonoidi di origine naturale venivano di norma impiegati,
nel caso della lana, come coloranti a mordente in tinture che andavano
dal giallo al giallo-verde e al castano.
– CHINONICI
I coloranti naturali più importanti, afferenti a questa classe, sono:
i) l’alcannina, un colorante rosso presente, come estere dell’acido angelico, nella radice dell’Alcanna tinctoria e
dell’Anchusa tinctoria;
ii) l’henna o lawsone, contenuto nella “Lawsonia inermis” e
nella “Lawsonia alba”;
iii) il juglone, contenuto nel mallo delle noci, in particolare
nella specie “Juglans nigra”.
La struttura molecolare di questi tre coloranti è illustrata nella figura 11.
In generale i coloranti chinonici venivano impiegati sia come coloranti
diretti che come acidi oppure a mordente; essi conferivano ai materiali
tessili tinte che andavano dal rosa all’arancio, dal rosso al marrone fino
al nero.
– CAROTENOIDI
Le caratteristiche coloranti delle sostanze afferenti a questa classe sono
da mettere in relazione alla presenza, lungo lo scheletro molecolare, di
186
Fig. 10: Lo scheletro molecolare del flavonolo che rappresenta la base dei coloranti naturali, gialli, che afferiscono al gruppo dei flavonoidi (sopra).
I principali coloranti sono indicati nella sottostante tabella dove sono riportati i gruppi sostituenti e le varie posizioni [Rif.15].
Fig. 11: Struttura chimica di alcuni coloranti naturali chinonici.
187
Fig. 12: Struttura chimica della crocetina e della bixina, coloranti naturali appartenenti alla famiglia dei carotenoidi.
lunghe sequenze di doppi legami coniugati. Appartengono a questo gruppo coloranti quali: la crocetina e la bixina di cui si è già precedentemente scritto [15]. In particolare la Crocetina si estraeva dagli stimmi dei fiori
del “Crocus sativus” (Zafferano) e la Bixina dai semi della “Bixia orellana”. La struttura chimica di questi due coloranti è messa a confronto nella
figura 12.
– CALCONICI
Appartiene a questo gruppo la cartamina, contenuta nei flosculi del
“Chartamus tinctoria” (cartamo o cardo dei tintori), che per ossidazione
188
Fig. 13: Struttura molecolare del cartamone. Prodotto dell’ossidazione della cartamina colorante
naturale appartenente alla classe dei calconi.
Fig. 14: Struttura molecolare dell’indaco o indigotina, il più famoso e antico colorante appartenente alla famiglia degli indigoidi.
si trasforma nel Cartamone (figura 13). La cartamina rappresenta uno dei
più antichi coloranti naturali usati per ottenere tessili tinti in rosso [15].
– INDIGOIDI
Come già ampiamente scritto il più antico e famoso colorante naturale
blu, l’indigotina o l’indaco, si ricavava dall’ “Isatis tinctoria” (guado) e
dall’ “Indigofera tinctoria”; mentre il 6,6I-dibromo indigotina, la porpora reale, si otteneva per ossidazione dal precursore contenuto nelle ghiandole di vari molluschi marini. La formula base dei coloranti indigoidi è
riportata nella figura 14.
– ANTOCIANIDINICI
I coloranti antocianidinici sono presenti in natura (in particolare in fiori
189
e frutti) come antocianine e cioè dei glucosidi di sali di benzopirillio ossidrilati.
Le antocianidine sono ottenute allo stato di cloruri a seguito di una reazione di scissione dei glucosidi con acido cloridrico.
I coloranti più interessanti appartenenti alla famiglia delle antocianidine sono i seguenti:
i) la pelargonidina (l’aglicone della pelargonina) contenuta nel
fiordaliso, nella pelargonia scarlatta e nelle dalie;
ii) la cianidina (l’aglicone della cianina) presente nei petali
delle rose, del papavero, del fiordaliso e della Dalia cactus
rossa;
iii) la delfinidina (l’aglicone della delfinina) che si ricavava dal
fiore del delphinium e della salvia;
iv) la mirtillidina (l’aglicone della ossicoccicianina) presente
del mirtillo.
La struttura chimica di alcuni coloranti antocianidinici è riportata nella
figura 15 [16, 17].
In generale i coloranti della famiglia delle antocianidine per essere usati
nella tintura della lana avevano bisogno della presenza di mordenti. Essi
erano capaci di conferire alle fibre tinte che andavano dal rosso al blu,
alla porpora e al rosa.
A titolo riepilogativo alcuni dei principali coloranti naturali, suddivisi
in base alla tipologia della classe chimica sono elencati nella tabella 2,
dove viene anche indicata la pianta e/o l’animale dai quali venivano anticamente estratti.
190
a)
b)
c)
Fig. 15: Struttura molecolare di alcuni coloranti naturali appartenenti alla classe delle
Anticianidine (forma cationica).
a) pelargonidina;
b) cianidina;
c) delfinidina.
191
Tabella 2
Classi chimiche cui possono essere ricondotti i
principali coloranti naturali e loro origine.
Classe Chimica Colorante
Origine
Indigoidi
Indaco
Porpora
Indingofera tinctoria e Isatis tinctoria
Murex Brandaris, Murex Trunculus,
Purpura Ematoma
Antrachinonici
Alizarina
Acido Chermesico
Acido carminio
Robbia
Kermes
Cocciniglia
Flavonici
Luteolina
Quercitina
Morina
Reseda luteola
Quecus tinctoria
Morus tinctoria
Catechine
1-epicatechina
Acacia catechù
Ossichetoni
Cartamina
Curcumina
Chartamus tinctoria
Curcuma longa
Xantone
Coloranti derivanti
da ramnacee
Piante della famiglia delle Ramnacee
Naftochinoni
Alcannina
Alcanna tinctoria
Fenolici
Orcina
Licheni: oricelli di mare e di terra
Carotenoidi
Crocetina
Bixina
Zafferano
Bixia orellana
La tabella 3 è stata integralmente e testualmente ripresa dal riferimento
[3]. In essa, relativamente alle colonne, a sinistra, al centro e a destra, sono
elencati rispettivamente: a) una serie di tinte osservate su antichi reperti tessili; b) le materie coloranti più probabilmente usate, con informazioni circa
le tecnologie di tintura e c) il tipo di mordente impiegato.
192
Tabella 3
Colors Found on Archeological Textiles
and their Possible Sources.
Color Observed Typical Sources
Mordant Needed
Red (various shades) Madder-family plants
Alum
Blue
Yellow
Green
Orange
Purple
Scale Insects
Alum
Indigotin (from Indigofera or Woad)
(None)
Molluskan
(None)
Natural color of wool, linen, camela hair
(None)
Yellow dye source
Alum (or none)
Top-dyeing of blue+yellow
(As needed)
Yellow
Alum and/or Iron
Madder-family
Alum
Top-dyeing of red+yellow
Alum
Madder
Iron
Top-dyeing of red+blue
Alum and/or Iron
Molluskan ["Tyrian (or Royal) Purple"] (None)
Beige-Brown
Dark Brown
Black
White
Natural camel hair
(None)
Decomposed natural wool color
(None)
(Inorganic) salt/minerals
(None)
Yellow dye source
Iron
Tannins
(None)
Natural coarse goat hair
(None)
Tannins
(None)
Tannins
Iron
Top-dyeing of red+blue+yellow
Iron
Bleached linen
(None)
Le moderne metodologie di analisi che hanno permesso di determinare
la natura e l’origine della materia colorante usata, insieme al tipo di mordente impiegato nel processo tintorio, saranno oggetto di esame nel prossimo capitolo.
Le principali tappe che hanno determinato l’affascinante, e per certi
versi ancora misteriosa, storia ed evoluzione dei coloranti naturali dal
2600 a.C. al 1856 d.C., data questa ultima che viene a coincidere con la
193
scoperta da parte di William Henry Perkin del primo colorante sintetico,
sono state delineate da S.C. Druding in una sua recente pubblicazione
[18]. I risultati di questa indagine così come riportati dall’autore sono
testualmente riprodotti nella tabella 4 [18].
Tabella 4
Dye History from 2600 bC to the 20th Century.
2600 bC
715 bC
331 bC
327 bC
236 bC
55 bC
2nD and 3rD
Centuries aD
3rd Century
273 aD
Late 4th
Century
400 aD
700's
925
1188
1197
194
Earliest written record of the use of dyestuffs in China
Wool dyeing established as craft in Rome
Alexander finds 190 year old purple robes when he conquers Susa,
the Persian capital. They were in the royal treasury and said to be
worth $6 million (equivalent)
Alexander the Great mentions "beautiful printed cottons" in India
An Egyptian papyrus mentions dyers as stinking of fish, with tired
eyes and hands working unceasingly
Romans found painted people "picti" in Gaul dyeing themselves
with Woad (same chemical content of color as indigo)
Roman graves found with madder and indigo dyed textiles, replacing
the old Imperial Purple (purpura)
papyrus found in a grave contains the oldest dye recipe known, for
imitation purple - called Stockholm Papyrus. It is a Greek work.
Emperor Aurelian refused to let his wife buy a purpura-dyed silk
garment. It cost its weight in gold.
Emperor Theodosium of Byzantium issued a decree forbidding the
use of certain shades of purple except by the Imperial family on pain
of death
Murex (the mollusk from which purpura comes) becoming scarce
due to huge demand and over harvesting for Romans. One pound of
cloth dyed with Murex worth $20,000 in terms of our money today
(Emperor Augustus source)
a Chinese manuscript mentions dyeing with wax resist technique
(batik)
the Wool Dyers' Guilds first initiated in Germany
the first mention of Guilds for Dyers in London
King John (of Magna Carta fame) persuaded Parliament to regulate
dyeing of woolens to protect the public from poor quality goods
1200's
1212
1290
1321
1327-1377
Early 15th
Century
15th Century
1429
1464
1472
1507
1519
1614
1630
1631-33
Rucellia, of Florence, rediscovered the ancient art of making purple
dye from lichens sent from Asia Minor (similar to Orchils?)
the city of Florence had over 200 dyers, fullers and tailors. A directory of weavers and spinners was published as well.
the only blue dye of the period, Woad, began to be raised extensively
in Germany. The 3 major dyes were now: woad, madder and weld.
Brazilwood was first mentioned as a dye, source from East Indies
and India. (the country of Brazil was named for the wood found
there, not vice versa)
Edward III, "Royal Wool Merchant" offered protection to all foreigners living in England and to all who wanted to come to help
improve the textile industry.
Cennino Cennini of Padua, Italy, described the printing of cloth
(block printing) in his treatise called Method of Painting Cloths by
Means of Moulds.
Aztecs under Montezuma conquered the Mayans. 11 Mayan cities
paid a yearly tribute of 2000 decorated cotton blankets and 40 bags
of Cochineal (insect dye) each.
the 1st European book on dyeing Mariegola Dell'Arte de Tentori was
published in Italy
Pope Paul II introduced the so-called "Cardinals' Purple" which was
really scarlet from the Kermes insect. This became the first luxury
dye of the Middle Ages just as Imperial Purple (Murex) had been for
the ancient world.
Edward IV incorporated the Dyers' Company of London
France, Holland and Germany begin the cultivation of dye plants as
an industry
Pizarro and Cortez find that there is cotton in Central and South
America. They send back brightly printed fabrics showing that the
Indians knew about block printing prior to the Conquest. Cochineal
from Mexico and Peru now being shipped back to Spain.
dyeing cloth "in the wood" was introduced in England: logwood,
fustic, etc.
Drebbel, a Dutch chemist, produced a new brilliant red dye from
cochineal and tin. It was used at Goblein (Paris) and the Bow
Dyeworks (England)
The East India Co. began importation of calico from Calicut, India
195
Mid-1600's
1688
1689
18th Century
1708
1716
1733
1745
1766
1769
1774
1774
1775
1786
196
to England. At first they thought the fabric was linen, not cotton.
English Logwood cutters in Honduras lead a dangerous life (danger
from Spaniards, hurricanes, swamps, disease) in the Bay of
Campeachy, but could get very rich
James II, of England, prohibited exportation of un-dyed cloth from
England to help bolster the home industry for English dyers over that
of the Scottish dyers.
the first calico printworks was begun in Germany at Augsburg and
was later to grow into a large industry
English dyehouse gets contract to dye the Buckingham Palace
Guards coats with cochineal. This contract continued into the 20th
Century still using cochineal.
William III signed a law prohibiting the importation of printed silks,
this only made calicos and silks more popular
There were now more than 30 laws in England prohibiting the
importation of calico and cotton; prints became more popular than
ever. 1727 A method of bleaching linen with kelp (seaweed) was
introduced in Scotland
Fly shuttle invented by John Kay, England
Indigo begins to be grown in England, after the Revolution when it
became cheaper to import from the East Indies
Dr. Cuthbert Gordon patents Cudbear (derived from his mother's
name) it was prepared from a variety of lichens. Only one of 2 natural dyes ever credited to an individual (other is quercitron to
Bancroft)
Arkwright's spinning frame in England (aka the Spinning Jenny)
Swedish chemist, Scheele, discovered chlorine destroyed vegetable
colors by observing a cork in a bottle of hydrochloric acid
Prussian Blue and Sulphuric acid available commercially. Prussian
blue formed from prussite of potash and iron salt (copperas).
Actually one of the early chemical dyes.
Bancroft introduced the use of quercitron bark as a natural dye. One
of only 2 natural dyes whose discoverer is known, it yields a yellow,
brighter than fustic, and is from the inner bark of American oak.
Bertholet, France, recommended chlorine water for commercial
bleaching. Other oxidizing agents began to be used, too: hydrogen
peroxide, sodium peroxide and sodium perborate.
1785
1788
1790
1794
1796
1797
1798
1802
1823
1825
1834
1844
1856
Bell, England, who had invented printing from plates, developed roller printing
Picric acid available (yellow dye and disinfectant) could be dyed
from acid dyebath on wool
Acid discharge of mordant printing developed
Three Frenchmen set up first calico printing
Tennant developed bleaching process
Bancroft develops a process for steam fixation of prints
Oberkampf (in Jouy, France) pleased Napoleon by showing him a
roller printer made from a cannon Napoleon had seized from the
Pope. This began the famous Toiles de Jouy production.
Sir Robert Peel brought out a resist method, he had purchased the
idea for from a commercial traveller for equivalent of $25. It consisted of a wax or other resist on the background, actually a batik technique done on large scale.
Mercer discovered chromate discharge of indigo
Mathias Baldwin (later of locomotive fame) began the first
American production of engraved metal rollers for calico printing
which were used in the Philadelphia area and could produce 300 yds
of fabric per day.
Runge, a German chemist, noticed that upon distilling coal tar, aniline would give a bright blue color if treated with bleaching powder.
This helped to pave the way to the development of aniline (basic)
dyes 22 years later.
John Mercer discovered that treating cotton with caustic soda (lye)
while under tension improved its strength, luster, dyeability, absorbency. The process was called "mercerization".
William Henry Perkin discovered the first synthetic dye stuff
"Mauve" (aniline, a basic dye) while searching for a cure for malaria and a new industry was begun. It was a brilliant fuchsia type
color, but faded easily so our idea of the color mauve is not what the
appearance of the original color was.
In tempi recenti, come già più volte scritto nel presente volume, si è
notato un crescente interesse verso i coloranti naturali; alcune delle motivazioni che sono alla base di questo fenomeno sembrano essere le
seguenti:
197
Fig. 16: Struttura molecolare dell’Emodina e della Dermo-cibina, coloranti naturali antrachinonici estratti recentemente dal fungo “Dermocybe sanguinea” mediante tecnologia enzimatica.
Queste sostanze, in presenza di mordenti, tingono la lana rispettivamente in giallo e rosso e porpora e violetto [Rif. 19, 20].
a) gli effetti nocivi di alcuni coloranti sintetici e dei relativi sottoprodotti industriali, sull’uomo e sull’ambiente;
b) la valorizzazione di tecniche tintorie, basate sull’utilizzo di
metodologie tradizionali, nelle produzioni tessili artigianali e
nei processi di restauro conservativo di manufatti di interesse
storico-culturale-artistico;
c) la possibilità di produrre e utilizzare, in maniera economicamente favorevole, in alcune aree geografiche, coloranti naturali in sostituzione di quelli sintetici per particolari tecnologie
e prodotti tessili;
d) la possibilità di avere a disposizione nuove e più accessibili
fonti naturali, più appropriate metodologie di estrazione e
purificazione e tecnologie applicative [19, 20].
Nell’ambito di uno studio, finalizzato alla messa a punto di nuovi metodi di tintura basati su coloranti naturali estratti da fonti alternative a quelle tradizionali, Räisänen, Nousiainen e Hynninen hanno sviluppato una
198
metodica in base alla quale è stato possibile isolare dal fungo Dermocybe
sanguinea, due coloranti antrachinonici, l’Emodina e la Dermocibina, le
cui strutture molecolari sono descritte nella figura 16 [19, 20].
I due coloranti sono stati isolati (purezza pari al 99%) mediante un nuovo
metodo enzimatico, messo a punto da P. H. Hynninen et al. [21], che prevede
l’utilizzo della -glucosidase per catalizzare la reazione di idrolisi del legame 0glicosilico presente nell’1--glucopiranosidil dell’emodina e della dermocibina.
I due coloranti sono stati separati dalla miscela mediante la tecnica
della ripartizione multipla liquido-liquido. Gli autori, sopramenzionati,
hanno dimostrato che l’emodina e la dermocibina sono degli ottimi coloranti al mordente per la lana. In particolare sono stati impiegati come
mordenti il solfato di potassio e alluminio (KAl(SO4)2), il dicromato di
potassio (K2Cr2O7), il solfato di cobalto (CoSO4) e il solfato ferroso.
Alcune delle fasi principali del processo tintorio, stralciate testualmente dal riferimento 20 sono qui di seguito riportate:
«a 10 g sample of wool … fabric was dyed with a dye solution of 1% on the
weight of the fiber. Because the colors of the anthraquinone compounds
were pH-dependent, a 0.01 or 0.05 M sodium phosphate buffer solution was
used to maintain the appropriate pH. The liquor-to-fabric ratio was 20:1 …
To prepare a dyebath, a 100 mg amount of emodin or dermocybin was dissolved in 200 ml buffer solution, then the leveling agent, the Glauber’s salt,
and the mordant were added and the pH measured … FeSO4 … was added
to the dyebath at the end of the dyeing period. Each fabric sample was
allowed to absorb dye at 98°C for 50 minutes, then FeSO4 was added to the
dyebath, and the fabric was allowed to absorb dye still 10 minutes after the
addition … In the emodin dyebaths of lower pH, 98% CHOOH was added
to adjust the pH close to 3.5. Each thoroughly wetted fabric sample was
immersed in the ready-made dye liquor and the vessel was closed. The temperature was raised from 50 to 98°C by 2°C/minute, maintained at 98°C for
1 hour, and then lowered to 60°C in 10 minutes. Last, each dyed fabric sample was rinsed with water and dried at room temperature.
We chose a neutral or slightly basic pH for dyeing … because under these
condition, emodin and dermocybin are sufficiently soluble in water at a temperature of 50°C or higher … In the high-pH environment of experiments …
emodin dyed wool … red or violet colors. In the low-pH environment …
emodin was in the form of a finely divided dispersion, which dyed wool …
a beautiful yellow color» [20].
R. Räisänen et al. nel loro già citato articolo [20] avanzano l’ipotesi che
199
i coloranti e i mordenti formano, con i gruppi carbossili e amminici presenti lungo le macromolecole proteiche della lana dei complessi di coordinazione, la cui struttura è rappresentata nella figura 17.
In particolare in presenza di metalli Al(III), Cr(III), Fe(II), che hanno
un numero di coordinazione uguale a 6, la struttura del complesso è di
tipo ottaedrico, mentre nel caso di Co(II), con un numero di coordinazione pari a 4, il complesso presenta una configurazione planare quadrata.
Nella figura 17 è riportata anche la struttura della lacca che viene a
prodursi con le fibre di nylon 6,6. In questo ultimo caso i legami di
coordinazione coinvolgono i gruppi –NH2 terminali e i gruppi carbonilici ( C=O), intracatena, della poliammide.
La struttura del complesso di coordinazione dipende dal pH del bagno
di tintura. Infatti in corrispondenza di un bagno il cui pH è relativamente basso (2,9 – 3,9) l’emodina esiste in una forma non ionizzata. Pertanto
la struttura della lacca presenta una configurazione del tipo: “π-bonded
organometallic sandwich compound” (figura 18) [20].
Gli studi condotti da Räisänen et al. hanno dimostrato che i processi tintori della lana, in presenza di mordenti, basati sull’impiego dei “new fungal antraquinones” (l’emodina e la dermocibina) hanno una buona resa e
producono una tintura uniforme con una buona solidità ed inalterabilità
[19, 20].
«Our studies show that highly purified emodin and dermocybin are very suitable for mordant dyeing, and they can serve as a source of yellow, purple,
and violet colors, which are difficult and laborious to obtain with traditional
natural dyeing methods. Our dyeing procedure is simple and may be considered equivalent to the industrial winch-technique … the experiments
described in this paper show that the pure natural anthraquinones exhibit
high dye-uptake values for wool and polyamide. The importance of maximum dye uptake can be realized by considering that one of the main problems to be solved in dyeing technology is unfixed dyestuff in textile waste
water» [20].
L’industria dei coloranti antrachinonici di sintesi è attualmente in una
fase di declino per le seguenti ragioni:
1) l’alto costo di produzione;
2) l’elevato grado di nocività ambientale (environmentally
unfriendly) dei processi di sintesi, che richiedono l’impiego
di acidi forti, alcali, alte temperature e di catalizzatori contenenti atomi pesanti [22, 23].
200
Fig. 17: A) Struttura molecolare del complesso di coordinazione (lacca) lana-metallo-emodina (il
metallo deriva dalle sostanze usate come mordente).
B) Schema dei legami di coordinazione che si vanno a formare in un complesso di coordinazione poliammide 6,6-metallo-dermocibina [Rif. 20].
Fig. 18: Complesso di coordinazione, caratterizzato da una configurazione del tipo “-bonded
organometallic sandwich compound”, che si realizza tra il metallo e l’emodina a pH circa uguale a 3 [Rif. 20].
201
Un rilancio dell’industria dei coloranti antrachinonici, secondo Hobson
e Wales, potrà realizzarsi sfruttando la possibilità di percorrere “cheaper,
more environmentally friendly routes to existing dyes; biotechnology may
provide the answer” [22, 23].
Quella che i sopra citati Autori hanno definito come la biotechnology
solution parte proprio dal presupposto di potere isolare da una vasta
gamma di funghi (Drechslera, Trichoderma, Aspergillus e Curvularia
lunata) un numero cospicuo di prodotti antrachinonici, molti dei quali
hanno potenziale caratteristiche tintoriali. In generale queste sostanze
vengono ottenute sottoponendo i funghi prima ad un processo di fermentazione e quindi dalla biomassa si ricavano le sostanze mediante metodologie estrattive-selettive.
La produzione di bio-coloranti a partire da funghi presenta dei notevoli vantaggi rispetto a metodi di sintesi chimica, alcuni dei quali sono stati
così evidenziati nel riferimento [23]:
«The medium in which the fungal culture grow contains no expensive chemicals. The fermentation is carried out at low temperature (~30°C) and neutral pH so that the expensive, fuel-consuming high temperatures and environmentally unfriendly strong acids and alkalis of the chemical synthesis are
not required».
202
RIFERIMENTI
1) “Essay: dyes and dyeing” (Supplement to Experiment 8); online edition for students of Organic Chemistry Lab Courses at University of
Colorado, Boulder, Dept. of Chem. and Biochem. (2002).
2) P. S. Vankar, Resonance, 73, October (2000).
3) Zvi Koren “The colors and dyes on ancien textiles in Israel”, in
«Colors from nature», pagg. 15-31, Editors C. Sorek, E. Ayalon, Eretz
Israel Museum, Tel Aviv (1993).
4) R. J Forbes, “Studies in Ancient Technology”, Vol. IV, pag. 133, E. J.
Brill, Leiden (1964).
5) E. G. Kiel, P.M. Heertjes, J. Soc. Dyers and Colourist, 79, 61 (1963).
6) E.J. Tiedemann, Yiqi Yang, J.A.I.C., 34, 195 (1995).
7) S. Landi, “The Textile Conservator’s Manual”, Butterworth –
Heinemann LTD (London) 1992.
8) “Anne Lieses’s fiber and stuff-dyeing-mordants and metal dyes”;
http:/www.geocities.com/anne_liese_w/dyeing/mordants.htm (2002).
9) “Earth Guild”; http://www.earthguild.com/products/riff/mordant.htm
(2002).
203
10) http://www.lunehaven.com/mordants.html (2002).
11) M. Giua, C. Giua-Lollini, “Dizionario di Chimica”, Unione
Tipografico, Editrice Torinese, Torino (1954).
12) P. Grierson, “The color Cauldron”, London (1986).
13) G. Guana, Tinctoria, 4, 32 (1996).
14) F. Brunello, Laniera, N.1, 47, Anno 74.
15) A. Tìmar-Balázsy, D. Eastod, “Chemical principle of Conservation”,
Butterworth-Heinemann, Oxford (1998).
16) P. Karrer, “Trattato di Chimica Organica” Sansoni Edit. Scient.,
Firenze (1956).
17) L.F.Fieser, M. Fieser, “Trattato di Chimica Organica”, C. Manfredi
Editore, Milano (1957).
18) S.C. Druding, Wysiwyg: //www.straw.com/sig/dyehis.html (2002).
19) R. Räisänen, P. Nousianen, P.H. Hynninen, Textile Research Journal,
71, 922 (2001).
20) R. Räisänen, P. Nousianen, P.H. Hynninen, Textile Research Journal,
71, 1016 (2001).
21) P. H. Hynninen et al., Z. Naturforsch, 55c, 600 (2000).
22) D.K. Hobson, D.S. Wales, J. Soc. Dyers and colourist, 114, 42
(1998).
23) D.K. Hobson, D.S. Wales, http://www.biotexnet.com/green.htm
(2002).
204
CAPITOLO TERZO
TECNICHE E METODOLOGIE PER LA
IDENTIFICAZIONE DEI COLORANTI E DEI
MORDENTI IMPIEGATI NELLA TINTURA DI TESSUTI
DI INTERESSE STORICO-ARTISTICO-CULTURALE.
La determinazione dei coloranti impiegati nella tintura di tessuti di interesse storico-artistico-culturale rappresenta un prerequisito di grande rilevanza per:
i) acquisire elementi utili alla delucidazione di una delle tecnologie chimiche di più antica origine;
ii) individuare le modalità più appropriate di restauro e/o conservazione;
iii) adottare procedimenti mirati di pulitura e lavaggio;
iv) scegliere i colori e le procedure più idonee all’integrazione.
Inoltre, la conoscenza dei processi di tintura, che venivano attuati in
epoche molto remote e spesso in regioni geograficamente lontane, permette di aprire una finestra sulla cultura, le usanze e i costumi di popoli
e nazioni che hanno avuto un ruolo importante nella storia dell’umanità.
Prima di procedere all’analisi dei coloranti usati per tingere un filato
oppure un antico tessuto è necessario procedere alla identificazione della
classe delle fibre impiegate (animali o vegetali). Questa informazione
permette, automaticamente, di scartare intere famiglie di coloranti.
Infatti le fibre proteiche (lana e seta) per le loro caratteristiche chimico-fisiche e strutturali privilegiano materie coloranti che spesso non possono essere utilizzati nella tintura delle fibre cellulosiche (cotone, lino, canapa ecc.).
Lo studio del processo di tintura, di norma, prevede l’estrazione del
(dei) colorante (i) da un filato, opportunamente rimosso dal manufatto
tessile. Spesso i reperti archeologici sono frammenti molto minuti pertanto le tecniche utilizzate nell’analisi devono poter essere applicate
anche a pochi nanogrammi di materiale e questo richiede la disponibilità
di strumentazioni analitiche altamente sensibili [1, 2, 3, 4, 5].
205
L’analisi dei coloranti impiegati nella tintura di antichi tessili presenta
una serie di problematiche alcune delle quali sono state così evidenziate
da R.D. Gillard et al.:
«Where textile survives in the ground, much of the dye component is degraded or lost by leaching processes in ground water: the textile itself becomes
heavily stained with organic material from the soil. Some may also acquire
considerable amounts of metal corrosion products via mineralization. Dyes
from textiles which survive within historical collections pose other difficulties for the conservation scientist. Natural dyes have inherently poor qualities of light-fastness and can degrade rapidly with constant exposure to light.
Some metal ion mordants, in particular iron, can also be quite detrimental to
longterm survival of fibres.
To avoid these problems, all techniques reported for the examination of dyestuffs incorporate a preliminary extraction. Such extraction is particularly
important for brown and yellow dyed textiles from burial contexts. The organic material acquired by the fibres during burial absorbs in the same visible
region as these dyes. This may effectively mask the presence of any dye residue. … Despite their sensitivity, however, techniques requiring extraction
are destructive, take time and need a relatively large sample (at least 10 mg).
These drawbacks severely limit the likelihood of finding any dye residue
associated with an excavated textile» [6].
Per le ragioni di cui sopra, a partire dall’ultima decade, molti ricercatori hanno concentrato i loro sforzi per sviluppare metodologie di analisi da
effettuare direttamente su campioni di piccolissime dimensioni prelevati
dal reperto tessile senza dover passare necessariamente attraverso il processo di estrazione.
206
A) Metodi di analisi dei coloranti in tessuti di interesse
storico-artistico culturale
A1) Metodi Spettroscopici – Analisi spettrochimiche
Il termine “Analisi spettrochimica” include un insieme di tecniche finalizzate alla determinazione della presenza di una sostanza in un campione di materia attraverso l’utilizzo di misure spettrometriche. Questo comporta il monitoraggio della radiazione elettromagnetica emessa dal campione in esame dopo che quest’ultimo è stato colpito e attraversato, ed ha
interagito con una radiazione incidente avente caratteristiche note.
L’interazione di un materiale con radiazioni elettromagnetiche induce
variazioni in alcuni caratteristici livelli di stati energetici quali ad esempio: i moti oscillatori di un legame chimico; la collocazione orbitale di un
elettrone di valenza; il moto rotazionale di un vettore magnetico di un
nucleo atomico ecc..
Ciascuno di questi stati caratteristici, secondo i principi della meccanica quantistica, è dal punto di vista energetico quantizzato.
La variazione da uno stato energetico ad un altro può essere causata
dall’assorbimento, oppure dall’emissione, di energia per un ammontare
esattamente uguale alla differenza di energia tra i due stati.
In un esperimento spettrometrico di base, condotto ai fini di analisi spettrochimica, il campione da esaminare è posto in una posizione tale da potere interagire, nella maniera più opportuna, con la radiazione incidente. Nel
caso di misure di assorbimento e di luminescenza la sorgente di radiazione scelta viene focalizzata sul campione per permetterne l’assorbimento.
Nel caso di misure di emissione, il campione, investito da un flusso di
energia termica, si riscalda ed emette energia sottoforma di fotoni.
Successivamente le radiazioni emesse dal campione sono separate, a
seconda della loro lunghezza d’onda, attraverso un “Resolving device”.
Quindi mediante un idoneo sistema rilevatore (Detector) vengono rivelate, identificate e misurate le radiazioni presenti (emissione o luminescenza) oppure assenti (assorbimento).
L’analisi spettrofotometrica è un metodo di analisi chimica basata sull’assorbimento da parte di un materiale di radiazioni elettromagnetiche
aventi una determinata lunghezza d’onda o frequenza. In generale la
regione dello spettro elettromagnetico più comunemente usata per analisi chimiche è quella compresa tra i 200 nanometri e i 300 micrometri.
Le strumentazioni utilizzate per le analisi spettrofotometriche sono
207
chiamate spettrofotometri. Gli elementi fondamentali di un generico spettrofotometro sono:
a) una sorgente di radiazioni;
b) un monocromatore capace di selezionare un fascio di radiazioni le cui lunghezze d’onda rientrano in un intervallo
ristretto;
c) il campione e il suo contenitore;
d) il “detector” che rileva e misura l’ammontare di luce trasmessa dal campione in funzione della lunghezza d’onda.
L’aumento di energia di una sostanza a seguito di assorbimento di radiazioni elettromagnetiche può causare variazioni nei livelli di stati elettronici, vibrazionali o rotazionali delle molecole costituenti. Variazioni che
riguardano stati elettronici richiedono una grande quantità di energia che
è relativamente più elevata di quella richiesta per la variazione degli stati
vibrazionali. Energie minori sono richieste per provocare transizioni
negli stati energetici connessi a moti rotazionali.
L’energia necessaria affinché si verifichi una transizione da uno stato a
bassa energia ad uno di più alta energia è direttamente relazionata alla frequenza della radiazione elettromagnetica che la causa. In particolare l’energia assorbita è data dalla relazione: E = hv = h c  , dove h è la costante universale di Planck, v è la frequenza,  è la lunghezza d’onda e c è la
velocità della luce.
L’interazione tra materia e radiazioni elettromagnetiche è, sulla base dei
principi della meccanica quantistica, governata da “quantum conditions”;
pertanto una radiazione avente una frequenza v può essere assorbita solo
se si verifica la seguente equazione:
v=
E2  E1
hc
(1)
dove E2 e E1 sono valori discreti dell’energia che corrispondono a due
definiti stati quantici.
Uno spettro di assorbimento consiste nel portare in grafico la trasmittanza o l’assorbanza di un campione in funzione della lunghezza d’onda.
Per ragioni di opportunità la spettrofotometria (detta anche spettroscopia molecolare) è diversamente classificata sia in base al tipo di energia
molecolare che viene alterata a seguito del processo di assorbimento, che
in base alla tipologia degli strumenti analitici usati. Conseguentemente si
parla di spettri di natura rotazionale, vibrazionale ed elettronica oppure di
spettrofotometria a microonde, all’infrarosso e nel visibile e ultravioletto.
208
Poiché ogni composto si caratterizza per un suo tipico spettro di assorbimento ne deriva che è possibile identificare la sua presenza, in un campione di ignota composizione, confrontando lo spettrogramma di quest’ultimo con quello di riferimento ottenuto spettrando il composto allo
stato puro.
Le molecole dei coloranti, tutte di natura organica e caratterizzate da
una struttura molto complessa, hanno la capacità di interagire con le
radiazioni elettromagnetiche specialmente nell’intervallo di lunghezza
d’onda che va dall’ultravioletto al visibile e al vicino infrarosso (UV,
VIS, NIR), dove presentano significativi processi di assorbimento di
energia.
A1,1) Spettroscopia elettronica - Spettrofotometria UV-VIS
in soluzione
Attraverso la spettroscopia elettronica è possibile registrare spettri derivanti da variazioni nell’energia delle molecole dovute a transizioni elettroniche causate dall’assorbimento di radiazioni la cui lunghezza d’onda
cade nella regione del visibile e dell’ultravioletto (7 x 10–5 – 3 x 10–5 cm)
e dell’ultravioletto (3 x 10–5 – 1 x 10–5 cm).
La spettrofotometria UV-VIS in soluzione prevede l’estrazione del
colorante dalla fibra utilizzando opportuni solventi (ad esempio acidi
forti). La soluzione così ottenuta viene posta in un idoneo porta campione (cuvetta) e collocata nello spettrofotometro in maniera tale da essere
investita da radiazioni elettromagnetiche, monocromatiche, la cui lunghezza d’onda varia in tutto l’intervallo corrispondente alla regione dello
spettro UV-VIS. Di norma viene registrata l’ “assorbanza” oppure la
“trasmittanza”, in funzione della lunghezza d’onda.
Modelli di moderni spettrofotometri (regione del UV/VIS), ad elevate
prestazioni, sono mostrati nella tavola I.
Nel caso di sostanze coloranti lo spettro evidenzia l’assorbimento di
radiazioni elettromagnetiche la cui energia è pari a quella delle transizioni indotte nei cromofori e in altri gruppi o legami presenti nella molecola. Ad esempio i doppi legami coniugati determinano un forte assorbimento nel visibile.
L’entità della radiazione assorbita è funzione della concentrazione della
sostanza in soluzione. Tale dipendenza, che segue la legge di Beer e di
Lambert-Bouger, viene espressa analiticamente attraverso le seguenti
equazioni:
209
Ai () = Log10
1
Ti ( )
A ( )
Ac' () = i 1
liC
(2)
(3)
Nell’equazione (2) Ti () e Ai (), sono la trasmittanza e l’assorbanza,
mentre nella (3), Ac1 (), l e C1 rappresentano rispettivamente il coefficiente specifico di assorbimento (una costante per le sostanze che verificano la legge di Beer), lo spessore del campione attraversato dalle radiazioni e la concentrazione del colorante nella soluzione.
L’assorbanza si ricava misurando, sullo spettro, il massimo dell’assorbimento in corrispondenza della lunghezza d’onda .
Di norma il riconoscimento di una materia colorante viene effettuato
confrontando lo spettro del campione in esame con quello di sostanze di
riferimento, avendo l’accortezza di seguire nella preparazione delle soluzioni le identiche procedure.
La quantità, definita come dye strength, è calcolata come il rapporto tra
i coefficienti specifici di assorbimento del campione e dello standard di
riferimento. Naturalmente questa determinazione ha validità solo nel caso
che le sostanze abbiano la stessa formula chimica.
Dall’equazione (3) si ricava che l’assorbanza è proporzionale alla concentrazione del colorante in soluzione. Pertanto costruendo delle idonee
curve di taratura, utilizzando soluzioni standard contenenti concentrazioni note del colorante in esame, è possibile, per interpolazione, ricavare la
concentrazione dello stesso nel campione in esame e quindi la corrispondente massa estratta dalla fibra [1, 2, 3].
La spettrofotometria nella regione del visibile (300-800 nm) viene
comunemente impiegata per la identificazione di coloranti estratti da antichi tessuti.
In alcuni casi, al fine di implementare la sensibilità del metodo, viene
aggiunto un sale, l’acetato di magnesio, il quale legandosi alla molecola
del colorante determina un cambiamento nel colore della soluzione e
quindi uno spostamento del massimo di assorbimento verso lunghezze
d’onda maggiori a cui corrisponde spesso anche un aumento dell’energia
assorbita.
210
Nella figura 1 è riportata una serie di spettri di assorbimento nel visibile relativi a coloranti naturali (indigotina, indirubina, acido chermesico,
luteolina, alizarina, purpurina, mungistina).
Alcune di queste sostanze sono state estratte da tessili antichi (vedasi
figura 1-d e figura 1-l).
Lo spettrogramma di assorbimento dell’indigotina, il principio colorante che si ricavava dall’Isatis tinctoria e dall’Indigofera tinctoria,
mostra una spalla a circa 550 nm, dovuta alla presenza di una piccola fra-
a)
c)
b)
d)
Fig. 1: Spettri di assorbimento nel visibile (380-800 nm) di alcuni importanti coloranti naturali:
a) Indigotina (il colorante è stato estratto da fibre di lana tinte con indaco derivante
dall’Indigofera tinctoria);
b) Indirubina, isomero dell’indigotina, presente come impurezza (colore violetto) nella materia
colorante che si estrae dall’ Indigofera tinctoria;
c) Robbia; il colorante è stato estratto da fibre di lana (per confronto è riportato anche lo spettro
effettuato dopo l’aggiunta di acetato di magnesio (vedasi testo);
d) Acido chermesico, puro e in presenza di acetato di magnesio; il campione di colorante è stato
estratto da un reperto tessile medioevale [Rif. 4].
211
h)
e)
i)
f)
g)
l)
Fig. 1: Spettri di assorbimento nel visibile (380-800 nm) di alcuni importanti coloranti naturali:
e) Luteolina, pura e in presenza di acetato di magnesio;
f) Alizarina; da sola e in presenza di acetato di magnesio;
g) Pseudopurpurina, da sola e in presenza di acetato di magnesio;
h) Purpurina, da sola e dopo aggiunta di acetato di magnesio;
i) Mungistina e xantopurpurina, da soli e in presenza di acetato di magnesio.
l) Robbia, estratta da un campione repertato da un tessile antico di origine anglo-scandinavo [Rif. 4].
zione di un suo isomero, l’indirubina, che è assente nell’indaco di sintesi. Pertanto attraverso la spettrofotometria nel visibile è possibile stabilire se le fibre sono state tinte con il colorante naturale oppure con quello
sintetico.
212
A1,2) Spettroscopia vibrazionale - Spettrofotometria all’infrarosso
(IR) e in trasformata di Fourier (FTIR)
L’interazione di radiazioni, la cui lunghezza d’onda cade nella regione
dell’infrarosso (0,003 – 0,00025 cm), con molecole di colorante, induce
dei fenomeni di assorbimento collegati a vibrazioni (rotazioni, torsioni e
stiramenti) tipici dei legami tra atomi che caratterizzano la struttura molecolare della sostanza. Pertanto uno spettro all’infrarosso consiste di una
serie di picchi, più o meno netti, i cui massimi vanno ad identificare la
lunghezza d’onda e quindi l’energia assorbita da moti vibrazionali relativi a ben definiti legami chimici.
Ogni sostanza presenta un suo specifico spettro all’infrarosso che può
essere usato come impronta digitale, finger print, per la sua identificazione. In generale la procedura seguita è quella di confrontare lo spettro
IR di una sostanza sconosciuta con gli spettri raccolti in un atlante di
materiali di cui è nota la struttura molecolare.
La spettroscopia in trasformata di Fourier (FTIR) è una tecnica molto
più raffinata, sofisticata e sensibile attraverso la cui applicazione è possibile arrivare al riconoscimento di sostanze presenti in miscele complesse
e/o in campioni di piccole dimensioni [Tavola II].
Per effettuare uno spettro IR o FTIR di un colorante è necessario, dopo
averlo estratto dalle fibre, purificarlo, essiccarlo e quindi disperderlo
finemente in mezzi trasparenti all’IR quali il bromuro di potassio (per l’analisi allo stato solido in pasticche) o oli paraffinici (per l’analisi allo
stato fluido) [2].
Fig. 2: Spettro infrarosso, in trasmittanza, dell’indaco [Rif. 3].
213
Tabella 1
Fibre, mordenti e coloranti usati nella costruzione di un archivio
di spettri ottenuti mediante microscopia FTIR.
a)
Fibre
Mordenti
Coloranti e paese di origine
cotone
lino
seta
lana greggia
lana twill
allume
allume/tartrato
tartrato/stagno
ferro
rame
Legno-Brasile (Brasile)
Cocciniglia (Perù)
Ginestra (Jugoslavia)
Indaco (India)
Chermes (Algeria)
Lichene (Indonesia)
Legno-Campeggio (Haiti-Francia)
Robbia (Iran)
Zafferano bastardo (India)
Zafferano (Turchia)
Lacca (Tailandia)
Reseda luteola (Germania)
b)
Fig. 3: Spettri FTIR di una fibra di lana:
a) così come ottenuto dopo 250 scans;
b) dopo rimozione degli effetti della linea di base e di altri elementi di perturbazione.
Lo spettro in b) è stato inserito nell’archivio di riconoscimento costruito da Gillard et al. [Rif. 6].
Nel 1964 D.H. Abraham e B. M. Edelstein mediante spettroscopia IR
dimostrarono la presenza, in reperti tessili risalenti al 135 a.C., di coloranti naturali quali lo zafferano, la robbia e l’indaco (figura 2) [5].
Nel 1994 R.D. Gillard et al. hanno dimostrato che è possibile identificare i coloranti, impiegati nella tintura di un antico reperto tessile, regi214
strando, attraverso l’impiego di un idoneo microscopio, lo spettro FTIR
direttamente dalle fibre del campione in esame, evitando così tutte le problematiche connesse ai processi di estrazione (tavola III) [6].
Per fare ciò è stato necessario costruire un archivio contenente gli spettri di fibre di lana, seta, cotone e lino, colorate con una vasta gamma di
coloranti naturali. Inoltre considerato che «a dyed, mordanted fibre gave
an IR peak shifted from that of the unbonded dye» l’archivio è stato completato con gli spettri ottenuti da fibre tinte mediante varie combinazioni di colorante e mordente (tabella 1 e figura 3) [6].
Il metodo di analisi è stato tarato su di un campione ricavato da una
tunica ritrovata in una miniera di carbone del Leicestershire (U.K.). I
risultati sono stati così descritti dagli Autori:
«The highly degraded fibres taken from the buttonhole areas of the garment
were unidentifiable using conventional microscopic techniques. FTIR spectroscopy of the fibres not only showed them to be cellulosic but, by using the
library reference spectra, the fibre was clearly shown to have been dyed with
indigo (vedasi figura 4, n.d.A.). The high degree of degradation of the textile reduced the strong IR absorption bands present in the spectrum due to the
fibre and the degree of chemical interaction between fibre and dye. This
revealed the IR absorption produced by the dye itself to a greater extent and
made identification particularly easy, using only a reference spectrum obtained from free indigo dye. … The technique of FTIR microscopy, used in this
manner, provides a valuable, fast, non-destructive first screening technique
for dye samples. It completely avoids the time wasted in extracting and
analysing samples with dye residues at levels below the minimum detectable limit of spectrophotometry» [6].
Fig. 4: Lo spettro FTIR dell’indaco preso come standard
di riferimento (curva-1) è confrontato con lo spettro FTIR
ottenuto da una fibra cellulosica estratta da una antica tunica
ritrovata in una miniera del
Leicestershire (U.K.) (curva
2). Il confronto permette di
concludere che il colorante
usato, all’epoca, per la tintura
del manufatto, era proprio l’indaco [Rif. 6].
215
Una interessante metodica, che ha permesso di ottenere spettri FTIR
dell’alizarina allo stato solido, è stata sviluppata presso lo Shenkar
College Edelstein Center (Israele). In particolare questa metodica prevede la dissoluzione del colorante in metanolo o acetone e quindi la deposizione di alcune gocce della soluzione sulla superficie piana e levigata di
un cristallo di ZnSe e successiva evaporazione veloce del solvente. I
risultati sono mostrati nella figura 5 dove lo spettro FTIR registrato spettrando il campione di colorante solido depositato sulla superficie del cristallo di ZnSe è confrontato con quello ottenuto sottoponendo ad esame
una pasticca compressa di una miscela di alizarina in KBr.
«The relatively minimal sample preparation time associated with the attenuated multiple internal reflectance spectrum (figura 5-a, n.d.A.) compares
quite favourably with the classical time-consuming KBr technique, which
yields the corresponding transmission spectrum (figura 5-b, n.d.A.)» [7].
Fig. 5: Spettri FTIR dell’Alizarina:
a) dopo deposizione da metanolo sulla superficie piana di un cristallo di ZnSe (ATR (o MIR)
Mode); b) da pasticca di KBr (Trasmission Mode) [Rif. 7].
216
A1,3) Spettroscopia Raman
La spettroscopia Raman è basata fondamentalmente sull’Effetto
Raman, scoperto nel 1928, il quale consiste nel fatto che nella luce diffusa da una sostanza sono presenti radiazioni aventi frequenze differenti
da quelle della luce incidente.
Questo effetto è la conseguenza dell’urto tra fotoni e molecole che
causa una modificazione dell’energia, e quindi della lunghezza d’onda,
degli stessi fotoni. L’entità del fenomeno è proporzionale alla variazione
dell’energia rotazionale o vibrazionale delle molecole indotta dalla radiazione incidente.
La spettroscopia Raman, rappresenta una metodica di grande efficacia
per determinare la struttura molecolare di liquidi e solidi cristallini e per
lo studio del loro comportamento fisico. Essa ha ricevuto un notevole
impulso dall’impiego di luce monocromatica-laser.
Uno spettro Raman viene ottenuto analizzando e registrando, opportunamente, la luce diffusa da un campione, tenuto in un apposito contenitore trasparente, quando viene colpito da una intensa radiazione monocromatica emessa da una fonte di luce laser. Mediante spettroscopia
Raman è possibile ricavare direttamente le frequenze corrispondenti a
moti vibrazionali e rotazionali delle molecole costituenti la sostanza in
esame e quindi dedurre utili informazioni circa la geometria e la struttura delle stesse [Tavola IV].
La spettroscopia Raman, che presenta il vantaggio rispetto a quella IR
di potere essere applicata a soluzioni di coloranti, è stata impiegata da
vari ricercatori nell’identificazione di fibre tessili e di coloranti quali l’indaco e la porpora [3].
La messa a punto di una nuova generazione di microsonde ha reso possibile l’analisi non distruttiva di campioni di piccolissime dimensioni (~
5mm).
«With Raman microprobes using laser excitation, the incident beam is focused through the microscope and, at the impact spot, the luminous energy
becomes very concentrated; thus, when applied to fragile samples, it has to
be reduced to avoid possible thermal or photochemical alteration.
Fortunately, most of the compounds … are lightfast enough to allow Raman
measurements without alteration. Their number is further increased when
using new and more sensitive multichannel microprobes…» [8].
Esempi di spettri Raman, relativi allo zafferano in polvere, il ben noto
217
Fig. 6: Spettri Raman di un granello polverizzato di zafferano:
a) luce laser – 514,5 nm;
b) luce laser – 457,9 nm.
La pendenza delle curve dipende dal fatto
che il colorante è fluorescente [Rif. 8].
colorante naturale giallo, sono riportati nella figura 6. Gli spettri mostrati sono stati ottenuti usando due diverse radiazioni a dimostrazione del
fatto che è possibile, anche in presenza di forti fenomeni di fluorescenza,
migliorare la definizione dei picchi [8].
A1,4) Tecniche di microanalisi: microspettrofotometria in
riflessione e in trasmissione e microfluorimetria.
Queste tecniche, sviluppate negli ultimi anni, sono basate sulla assemblaggio di una microsonda, di un microscopio ottico, di uno spettrofotometro e di un appropriato sistema computerizzato per l’analisi dei dati.
Questa nuova generazione di apparecchiature permette di effettuare
analisi, non distruttive, su campioni di dimensioni molto piccole. Esempi
di spettri ottenuti mediante la tecnica della microspettrofotometria a
riflettanza diffusa, relativi ad un campione di un granello polverizzato di
zafferano e di microcristalli di indaco e di indirubina sono mostrati rispettivamente nelle figure 7 e 8 [8].
L’esame dei profili di questi spettri di assorbimento, permette di ottenere, in tempi brevissimi (circa un minuto) informazioni utili al riconoscimento di coloranti e pigmenti, purchè si abbiano a disposizione analoghi spettri di campioni di riferimento [8].
Molti coloranti naturali sono fluorescenti, hanno cioè la capacità di
emettere delle radiazioni aventi una lunghezza d’onda maggiore (una frequenza minore) di quella della luce incidente. Il fenomeno, a differenza
218
Fig. 7: Spettro in riflettanza diffusa di un granello polverizzato di
zafferano [Rif. 8].
Fig. 8: Spettri in riflettanza diffusa
ottenuti da microcristalli, estratti
mediante TLC (Thin Layer
Chromatography), di indaco (curva
A) e di indirubina (curva B) [Rif. 8].
della fosforescenza, termina al cessare della causa eccitante. Su questo
fenomeno è basato un importante metodo di analisi strumentale che viene
comunemente denominata fluorimetria. Lo schema di un dispositivo per
la spettroscopia di fluorescenza è mostrato nella tavola V [9].
La metodica della microfluorometria è stata applicata da B.Guineau su
due microcampioni di indaco usando una luce laser (He/Ne) di 632 nm.
Gli spettri risultanti sono mostrati nella figura 9.
In particolare lo spettro relativo alla curva (A) è relativo ad uno standard di riferimento di indaco naturale, mentre quello della curva (B) è
stato ottenuto spettrando un piccolo frammento di una lettera, colorata in
blu, appartenente ad un manoscritto del nono secolo derivante dal nord
della Spagna. Dal confronto dei due spettri è stato possibile giungere alla
conclusione che il colorante/pigmento impiegato per colorare il reperto
fosse l’indigotina [8].
219
Fig. 9: Applicazione delle tecniche della microfluorometria alla analisi di coloranti naturali.
CURVA (A): standard di indaco naturale;
CURVA (B): microcampione prelevato da un manoscritto spagnolo del nono secolo [Rif. 8].
A1,5) Spettrofluorimetria ai raggi X e microscopia elettronica a
scansione combinata con la spettroscopia a dispersione
di energia ai raggi X
- Fluorimetria ai raggi X (XRF)
Quando un campione di fibra colorata viene investito da raggi X monocromatici a bassa energia, gli atomi degli elementi costituenti, a seguito
del fenomeno di fluorescenza, ri-emettono raggi X aventi una energia più
bassa di quella della luce incidente.
Mediante la tecnica della spettrofluorimetria è possibile quindi registrare spettri che presentano una serie di picchi le cui energie ed aree sottese, permettono di risalire in maniera quantitativa agli atomi degli ele220
menti presenti nel campione. La spettrofluorimetria è tanto più sensibile
quanto più elevato è il numero atomico degli elementi [10].
- Microscopia elettronica a scansione abbinata alla microscopia
a dispersione di energia ai raggi X
E’ una metodica che combina la microscopia elettronica a scansione
(tavola VI) con la spettrofluorimetria ai raggi X, pertanto essa viene comunemente denominata SEM-EDXA oppure SEM-X-Ray micro-analisi.
Il materiale in esame, opportunamente trattato e posto in un portacampione, è investito dai raggi elettronici di un microscopio elettronico a scansione.
In queste condizioni si verifica che gli elettroni degli atomi costituenti
si eccitano emettendo raggi X aventi frequenze che sono caratteristiche
della natura chimica degli stessi atomi.
Nel caso della SEM-EDXA il raggio elettronico primario viene focalizzato su di una piccolissima area (~ 1 mm di diametro); questo permette, spostando la direzione del raggio incidente, di analizzare sistematicamente l’intera superficie del campione in esame e quindi di determinare
eventuali variazioni nella concentrazione degli elementi presenti [3].
Con questa tecnica è possibile analizzare anche elementi aventi valori del
numero atomico relativamente bassi, ad esempio il sodio (numero atomico = 11).
Tabella 2
Applicazione dell'analisi SEM-EDXA a campioni di fibre di lana
mordenzate e successivamente sottoposte a tintura con cocciniglia.
Nella colonna a sinistra è riportata la formula chimica delle sostanze mordenti con le quali sono state trattate le fibre di lana moderna
prima della tintura. Il peso di ciascun mordente (in oncie) relativo
ad una libbra di lana è indicato nella colonna a sinistra.
Mordente
Peso del mordente (in oncie)
relativo a una libbra di lana
K2SO4Al2 (SO4)3 x 24H2O
Cu SO4 x 5H2O
FeSO4 x 7H2O
Sn Cl2 x 2H2O
K2Cr2O7
4,0
1,0
1,0
0,5
0,5
221
La SEM-EDXA è stata utilizzata, da Koestler et al. e da Indictor et al.
(1985) e successivamente nel 1989 da Green et al. per determinare la
composizione chimica dei mordenti impiegati nei processi di tintura di
tessili di rilevante interesse archeologico-storico-culturale [10, 11, 12].
Per fare ciò si è provveduto alla preparazione di campioni di riferimento di fibre tessili naturali moderne (seta, cotone e lana) opportunamente
mordenzate. In alcuni casi queste fibre sono state sottoposte anche a procedimenti di tintura con sostanze e con coloranti a composizione nota.
In particolare N. Indictor, R. J. Koestler e R. Sheryll hanno analizzato
campioni di fibre di lana moderna sottoposte a processo di tintura alla
cocciniglia dopo trattamento con diversi tipi di mordenti.
La formula chimica dei mordenti usati rispetto ad una libbra di lana e
la corrispondente quantità impiegata sono riportati nella tabella 2. In
alcuni dei processi di tintura sono state utilizzate anche delle sostanze
additive quali il cremore di tartaro, il sommacco e l’acido ossalico [12].
La frazione in peso degli elementi metallici presenti nei mordenti,
Tabella 3
Confronto tra la frazione in peso degli elementi metallici
presenti nei mordenti impiegati in processi di tintura della
lana con cocciniglia (seconda colonna), e quella fissata
realmente sulle fibre ricavata mediante una tecnica
analitica indipendente (AA) (terza colonna).
Elemento
Al
Al
Cu
Fe
Fe
Sn
Cr
Quantità (%) massima
di elemento presente nel
campione mordenzato (a)
? (b)
1,2
1,5
? (b)
1,2
3,2
2,3
Elemento (analisi AA(c))
<0,065 ± 0,025
0,09; 0,09
1,0; 0,6
< 0,04 ± 0,02
0,24; 0,24
3,65; 3,95
0,85; 0,31
(a) si assume che il campione di tessuto assorbe tutto il mordente aggiunto;
(b) al campione non è stato aggiunto ne ferro, ne alluminio;
(c) AA=assorbimento atomico.
222
determinata mediante SEM-EDXA è confrontata, nella tabella 3, con
quella ottenuta attraverso una tecnica microanalitica indipendente (assorbimento atomico – AA). I dati riportati nella seconda colonna sono stati
ricavati assumendo che tutto il mordente impiegato rimanesse fissato
sulle fibre di lana sottoposte a trattamento di mordenzatura e quindi di
tintura.
Dalla tabella 3 emerge che la quantità di mordente realmente riscontrata nelle fibre (ultima colonna a destra), con la sola eccezione di quelle
trattate con sali di stagno, è sostanzialmente minore di quella sperimentalmente usata.
In particolare è stato osservato che la quantità di mordente che rimane
sulle fibre è sistematicamente maggiore quando al processo di mordenzatura segue quello di tintura [12].
I risultati degli studi di cui sopra hanno permesso agli Autori di concludere che:
«1. The use of different mordants and additives in the cochineal dyeing of
wool produced a wide variety of color.
2. The elements aluminium, iron copper, tin and chromium were un-ambiguously matched respectively with wool samples which were mordanted
with K2SO4A12(SO4)3.·24H2O, FeSO4 ·7H2O, CuSO4 · 5H2O, SnC12 · 2H2O
and dyed with cochineal.
3. Some samples gave trace analyses in EDXA scans for iron and aluminium
(although not actually used in the mordanting procedure) but far less than
when these elements were actually used in the mordanting procedure. The
ratio of the weight percent, metallic element/sulfur, appears to provide a useful criterion for deciding whether or not a mordant has been applied to wool.
The criterion may also be extended to the analysis of silk samples.
4. Atomic absorpion analyses confirm the presence of metallic elements in
greater than trace quantities as by EDXA scans. EDXA scans indicating trace
quantities of elements (Al and Fe) are also confirmed» [12].
La tecnica SEM-EDXA è stata applicata da L.R. Green e V. Daniels a
sezioni trasversali di fibre di lana moderna trattate con mordenti e coloranti noti con l’obiettivo di analizzare la distribuzione dei coloranti e dei
mordenti lungo una direzione normale all’asse di fibra. Come mordenti
sono stati impiegati il solfato di potassio e alluminio, il cloruro di stagno,
il solfato di ferro e il solfato di rame [10].
Dopo la mordenzatura i campioni di lana sono stati sottoposti, per
tempi diversi, ad un processo di tintura alla robbia. L’analisi effettuata,
223
con riferimento alla figura 10, ha portato alle seguenti conclusioni:
«Sulphur:This was homogeneous in all samples examined (figura 10-D).
Aluminium:A digimap showed a concentration of aluminium on the surface of the fibres. The time in the dye bath appeared to have no effect on the
extent of penetration of the metal into the fibres (figura 10-A).
Copper: Copper appeared to be distributed relatively homogeneously throughout the sample examined (figura 10-C).
Tin: This element was concentrated in the first few microns of the surface of
the wool fibres examined. Penetration of the metal into the fibre appeared to
be similar whether the wool had been treated for half or six hours in the dye
bath (figura 10-B).
Calcium: The calcium appeared to be fairly evenly dispersed across the
fibre section» [10].
Un interessante applicazione della tecnica EDXA, recentemente pubblicata da Martuscelli et al. [13], ha permesso la caratterizzazione di un
antico tessuto, utilizzato come supporto di papiri conservati nel Museo
Egizio del Cairo, con l’obiettivo di determinarne lo stato di conservazione. Un frammento di questo supporto, risultato essere tessuto in fibre di
cotone (tavola VII) di colore beige uniforme con spessore pari a circa
0,20 mm presenta (tavola VII-a), in alcune zone, macchie di colore
bruno. Dagli spettri di emissione EDXA, riportati nella tavola VIII, si
ricava che nel campione sono contenuti elementi quali Al, Si, S, K, Ca e
Mg. Questa osservazione può essere spiegata ammettendo che sulla
Fig. 10: Applicazione della tecnica SEM-EDXA all’analisi di superfici di sezioni trasversali di
fibre di lana prima mordenzate e quindi tinte con robbia.
Distribuzione degli elementi presenti nei mordenti:
A- alluminio (da allume);
B- stagno (da cloruro di stagno);
C- rame (da solfato di rame);
D- zolfo (principalmente dalle proteine costituenti le fibre di lana) [Rif. 10].
224
superficie del tessuto siano presenti minerali e/o sali organici i cui cristalli, diffrangendo i raggi X ad alto angolo, darebbero luogo ai riflessi
estranei a quelli della cellulosa nativa così come mostrato dal profilo
d’intensità WAXS dei campioni di tessuto riportato nella tavola IX [13].
Va sottolineato che, nel caso di campioni di tessuto con macchie, oltre
agli elementi sopra citati si riscontra anche la presenza di Cl e Fe (tavola
VIII-b). Tali elementi sono entrambi in grado di promuovere processi
degradativi della cellulosa. I composti del Fe hanno, infatti, un elevato
grado di attività catalitica specialmente nel favorire reazioni di ossidazione. Il Cl a sua volta può promuovere fenomeni degradativi che si realizzano sia attraverso idrolisi acida, sia attraverso reazioni di ossidazione
dell’anello glucosidico.
I metodi spettroscopici (spettrofotometria UV/VIS/NIR) associati a
saggi chimici non hanno evidenziato la presenza di sostanze coloranti,
quindi la presenza di Fe rilevata mediante EDXA non può essere imputata né a una colorazione superficiale ad opera di composti ocracei insolubili, né a composti del ferro introdotti deliberatamente per mordenzare
il tessuto oppure come fissanti nei processi di pre e post-tintura [13].
Da quanto sopra illustrato è possibile affermare che le tecniche XRF e
SEM-EDXA sono di grande supporto nell’identificazione dei componenti elementari presenti a vario titolo in tessuti sottoposti a tintura. In particolare con queste tecniche è possibile ricavare informazioni atte a determinare il tipo di mordenti impiegato e quindi a delucidare il processo di
tintura utilizzato.
A2) Metodi cromatografici
La cromatografia, è una tecnica di analisi attraverso la quale è possibile
«la separazione e la purificazione di sostanze organiche e inorganiche partendo dalle loro miscele e sfruttando la diversa velocità di migrazione dei
diversi componenti su opportuni supporti» [14].
Il principio fondamentale della cromatografia consiste nel fatto che una
miscela di sostanze, trasportata da una fase mobile (un liquido oppure un
gas) attraversa una fase stazionaria con la quale le sostanze in esame
interagiscono mostrando una minore o maggiore affinità.
I vari momenti di un processo di separazione cromatografica sono schematicamente illustrati nella figura 11 [14].
Le metodiche basate sul principio della cromatografia hanno registrato,
225
Fig. 11: Rappresentazione
schematica delle varie fasi
di un processo di migrazione e separazione cromatografica di una miscela di tre diverse sostanze
(in nero, in grigio e in
bianco in figura):
a) fase iniziale;
b) fase intermedia;
c) fase finale, le tre sostanze sono migrate separandosi nettamente tra loro
[Rif. 14].
negli ultimi decenni, un formidabile sviluppo che ha portato alla messa a
punto di una ampia gamma di tecniche sempre più sofisticate e mirate
all’utilizzo e al raggiungimento di particolari obiettivi di analisi.
Il vantaggio che offre la cromatografia rispetto alle altre metodologie
analitiche, finora trattate, è quello di potere contemporaneamente effettuare la separazione dei componenti, presenti in un campione ignoto, e la
loro identificazione.
Tutto questo è possibile purché si disponga di cromatogrammi di riferimento con i quali confrontare quelli in esame [3].
A2,1) Cromatografia su strato sottile (thin-layer chromatography)
(TLC)
In questa tecnica la fase eluente risale per capillarità attraverso i micropori di uno strato sottile (allumina, silice, cellulosa, ecc.) steso sulla
superficie di una lastra di vetro piana, che agisce da supporto.
Alcune gocce della sostanza incognita, o della miscela di più composti,
insieme al riferimento, sono poste all’estremità inferiore della piastra in
corrispondenza della linea di partenza. A questo punto la piastra viene
immersa con la sua parte terminale, in una bacinella contenente l’eluente che salendo per capillarità verso l’alto trasporta con se le sostanze
disciolte. Durante questo percorso ascendente i componenti la soluzione
226
Fig. 12: Esempio di applicazione della TLC
al riconoscimento di coloranti in antichi tessuti. Cromatogrammi TLC:
a) di un colorante rosso estratto da una tunica ritrovata in una antica miniera di rame in
Israele;
b) un colorante moderno ricavato dalle radici della robbia [Rif. 15].
sono progressivamente ad-sorbiti e de-sorbiti dalla fase stazionaria con
una velocità relativa che è caratteristica della loro struttura molecolare.
Pertanto questo processo porta alla separazione dei componenti, i quali
se sono colorati tingono lo strato assorbente.
Il processo termina quando l’eluente ha raggiunto una certa altezza
(front-line). A questo punto si provvede a sviluppare il cromatogramma.
Questa operazione consiste, usando appropriati reattivi, nell’evidenziare,
colorandole, le macchie presenti lungo il tracciato. Confrontando il cromatogramma così ottenuto con quello di sostanze standard di riferimento
si risale alla identificazione del colorante in esame.
Mediante TLC è anche possibile, una volta identificato e separato il
colorante, recuperarlo dalla fase stazionaria e sottoporlo ad analisi di conferma utilizzando altre metodiche di analisi (UV-VIS, IR ecc.) [2].
Dal cromatogramma TLC si ricava il fattore di ritenzione (Rf) che è una
grandezza caratteristica di ogni sostanza, in relazione alle condizioni
usate per l’effettuazione dell’analisi cromatografica (natura dell’eluente,
della fase stazionaria, temperatura ecc.).
Il fattore di ritenzione viene calcolato come il rapporto tra la distanza della
macchia dalla linea di partenza e quella tra il front-line e la linea di partenza.
La TLC è ampiamente impiegata nella identificazione di coloranti presenti in tessili di grande valore artistico-storico-culturale.
Un esempio è illustrato nella figura 12 dove sono mostrati i cromatogrammi TLC di un estratto di un colorante rosso recuperato da un tessuto ritrovato in una antica miniera di rame a Wadi Amram (Deserto del
227
Negev-Israele) (figura 12-a) e di un colorante moderno ricavato dalle
radici della Rubia tinctorium (figura 12-b). Dal confronto si conclude
che il colorante usato, illo tempore, per tingere la tunica del minatore è
esattamente uguale a quello che si ricava dalla robbia che è ben noto essere costituito da due componenti: l’alizarina e la purpurina [15].
H. Schweppe ha dimostrato come, attraverso l’impiego della TLC, è
stato possibile identificare la provenienza di coloranti naturali impiegati
in processi di tintura che prevedevano l’utilizzo di una combinazione di
diversi principi coloranti. In particolare la TLC ha reso possibile l’identificazione di coloranti vegetali di natura idrossiantrachinonica che sono
molto simili a quelli che si ricavano dalle radici della robbia.
«… madder can be distinguished by this method from other similar dyer’s
plants. Madder root (Rubia tinctoria L.), hedge bedstraw (Galium mollugo
L.), South American madder or relbun root (Relbunium ciliatum L.), root
bark of the Indian “mang-kouda” (Morinda umbrellate L.), the dye
“Karamu” of the Maoris in New Zealand, the coprosma root (Coprosma lucida L.) and the Indian dye “pitti” (Ventilago madraspatana L.) can be clearly
distinguished from one another in this manner.
The separation is carried out on Mikropolyamid F 1700 with the solvent
mixture toluene-glacial acetic acid (9:1). The uranyl lakes of the individual
hydroxyanthraquinone dyes, which vary in their shades, are obtained on the
chromatogram under standard condition (chamber saturation) by subsequent
dipping in a dilute solution of uranyl acetate» [16].
Come si evince dai dati della tabella 4 i coloranti sopra citati si differenziano nettamente sulla base del valore del fattore di ritenzione RF e
della colorazione della lacca a seguito del trattamento con acetato di uranile, e questo a dimostrazione che la TLC è molto selettiva e specifica
nella separazione di coloranti naturali vegetali, appartenenti alla classe
degli idrossiantrachinoni, estratti da piante simili alla robbia.
La TLC è stata applicata anche alla separazione e quindi alla identificazione di coloranti naturali rossi di origine animale contenuti in una miscela i cui
componenti erano stati estratti dalla cocciniglia, dalla lacca e dal chermes.
«In the case of lac dye, clearly the separation of the laccaic acids … can be
seen, and in the case of kermes, the separation into kermesic acid (green
spot) and flavokermesic acid (red spot) can be seen…
Before the discovery of America by Columbus and long before the cochineal
(Dactylopius coccus) from Central and South America was known in
Europe, kermes was an important red insect dye in the whole Mediterranean
228
region. In the literature, it is pointed out almost exclusively that the two kermes species “Kermes vermilio” and “Kermes ilicis L.” are suitable for
dyeing purposes. … only Kermes vermilio is suitable for dyeing purposes
and must, therefore, be regarded as the kermes dye known from classical
antiquity. … Kermes vermilio was the most important species of Kermes for
dyeing in former times. TLC comparison proves that only Kermes vermilio
contains the dyes kermesic acid and flavokermesic acid, which are essential
for dyeing; Kermes ilicis L. does not contain these acids» [16].
Tabella 4
Applicazione della cromatografia su strato sottile
(TLC) a miscele di coloranti naturali vegetali rossi.
Fattore di ritenzione RF di coloranti naturali
idrossiantrachinonici estratti da piante simili alla robbia
e colore della lacca sul cromatogramma.
Idrossiantrachinoni
RF
Colore della lacca
sul cromatogramma (a)
42
violetto-blu
33
grigio
6
grigio
14
rosso arancio
22
rosso
2
rosso
45
verde-blu
16
magenta
Alizarina
(1,2 - diidrossiantrachinone)
Purpurina
(1,2,4 - triidrossiantrachinone)
Pseudopurpurina
(1,2,4 triidrossiantrachinone-3-acido carbossilico)
Xanthopurpurina
(1,3 - diidrossiantrachinone)
Rubiadina
(1,3 - diidrossi-2-metilantrachinone)
Mungistina
(1,3-diidrossiantrachinone-2-acido carbossilico)
Morindone
(1,5,6-triidrossi-2-metilantrachinone)
Emodina
(1,6,8-triidrossi-3-metilantrachinone)
(a)
a seguito di trattamento con acetato di uranile
229
I metodi tradizionali di estrazione di un colorante al mordente dalle
fibre di un tessuto sono basati essenzialmente sull’uso di acido cloridrico
o acido solforico diluiti ai quali si aggiungono, se necessario, dei solventi organici quali il metanolo, l’etanolo oppure l’acetone.
Questi trattamenti possono dar luogo a rilevanti fenomeni degradativi. Ad
esempio è stato trovato che nel caso di coloranti antrachinonici contenenti
gruppi carbossilici si libera anidride carbonica; pertanto sostanze quali la
pseudopurpurina e la mungistina vengono trasformate in purpurina o purpuroxantina. Questa reazione di decarbossilazione può portare ad una non
corretta analisi dei componenti la materia colorante usata in origine.
Al fine di evitare questi processi di degradazione H. Schweppe ha
messo a punto un nuovo metodo per l’estrazione dai tessili di campioni
di coloranti naturali vegetali la cui procedura nelle sue parti essenziali è
qui di seguito riportata:
«The analytical sample weighing 1-5 mg is heated in a test tube for about
one minute with 10 ml of a 1:1 mixture of 10% sulfuric acid and ethyl acetate, butyl acetate, or toluene in a simmering water bath until the aqueous
phase is completely colorless and the organic phase has turned yellow or
orange-yellow. The lower, aqueous phase is allowed to run out of a small
separating funnel, and the upper, organic phase is shaken with water until it
gives an almost neutral reaction to pH paper. The dye solution is evaporated
to dryness in vacuo or in a porcelain dish in an air current at room temperature. The evaporation residue is taken up with a small amount of methanol
or butanone-2 (for pseudopurpurin), and the solution is poured into a small,
5-ml or 1-ml test tube and concentrated in the test tube with an air current …
to obtain a sample for thin-layer chromatographic comparisons» [17].
Il metodo di estrazione escogitato da Schweppe è risultato essere molto
utile anche nella preparazione delle soluzioni di riferimento necessarie al
riconoscimento, mediante TLC, dei coloranti vegetali (al mordente per
tingere lana) che anticamente venivano estratti dalle radici delle piante
appartenenti alla famiglia delle Rubiaceae (Rubia tinctorium; Rubia
peregrina; Rubia cordifolia; Rubia akane) e alla specie del Gallium, del
Rebulnium, della Morinda, della Odenlandia, della Croposma e della
Ventilago.
Vista la natura al mordente dei coloranti di cui sopra, nel preparare i
campioni tessili di riferimento, prima della tintura, le fibre o i tessuti di
lana venivano mordenzati con sali di alluminio oppure di ferro [17].
L’Autore ha inoltre sottolineato che quando si sottopone a stripping un
230
colorante rosso, utilizzando la miscela costituita da una parte di acido
solforico al 10% e da una parte di acetato di etile, e si ottiene un sistema
bifasico dove lo strato superiore presenta un colore giallo o giallo-arancio
mentre quello inferiore è praticamente incolore, allora è possibile concludere che la materia colorante appartiene alla classe dei Madder dyes.
Al contrario se nell’applicare il nuovo metodo di stripping ad un colorante rosso, di origine ignota si osserva che è lo strato di acetato di etile
ad acquisire un colore arancio, allora è probabile che la materia colorante abbia origine animale (insect dyes). Una colorazione rosso-arancio
dello strato di acido solforico indicherebbe, invece, la presenza di acido
carminico oppure di acidi laccaidici.
La nuova tecnica di estrazione messa a punto da Schweppe ha permesso di
identificare, mediante TLC, una serie di importanti coloranti di origine animale che nel passato venivano comunemente impiegati per tingere la lana di
rosso. Alcune di queste materie coloranti sono qui di seguito elencate:
_ Dactylopius coccus (prodotto dalla cocciniglia americana).
_ Kermococcus vermilio (prodotto dal kermes).
_ Porphyrophora polonica (estratto dalla cocciniglia polacca).
_ Keria lacca kerr (prodotta dal “dye lac”).
J. H. Hofenk – de Graaff e W. G. Th. Roelofs hanno mostrato come
attraverso l’utilizzo della TLC fosse possibile separare e ricoscere una
vasta gamma di coloranti gialli appartenenti alla famiglia dei flavonoidi
«the most occuring yellow dyestuffs in ancient textiles» [18].
Come già precedentemente riportato, prima della scoperta dei coloranti sintetici, nelle pratiche tintorie venivano usati, per la produzione di
tinte gialle, materie coloranti di origine vegetale estratti prevalentemente
dalle seguenti piante:
Reseda luteola; Genista tinctoria; Rhamnus migdinus; Rhamnus oleoides; Rhamnus axatilis; Rhamnus alaterins; Rhamnus infectorius;
Rhamnus cathartica; Morus tinctoria; Rhuscotinus; Quercus tinctoria;
Carthamus tinctorius; Crocus sativus; Curcuma longa; Bixa orellana;
Punica granatum; Rhus coriaria; Acacia catechu.
Al fine di procedere alla identificazione dei coloranti usati nella tintura di
antichi tessili si è provveduto a preparare degli standards ottenuti per estrazione da fibre di lana tinte con coloranti naturali a struttura chimica nota.
Le fibre di lana, prima della tintura sono state sottoposte ad un processo di mordenzatura con allume e cremore di tartaro.
L’analisi mediante TLC e il riconoscimento dei coloranti di natura fla231
vonoide sono stati effettuati, da Hofenk-de Graaf e Roelofs, su campioni
di tessili realizzati in un periodo storico che va dal 1500 al 1850 [18].
I risultati ottenuti hanno portato gli Autori alle seguenti conclusioni:
«The result of the analyses … show that about 80% of the samples was with
Weld, …
Though the analytical system offers good results on pure colouring matters
and on new wool, dyed with natural dyestuffs, analyses of ancient textile
material still confront us with problems.
There is the fact that 20% of the analysed samples is still classified as unknown. One might conclude that these dyestuffs do not belong to the group of
Flavonoids, which, however, is not the case. The presence of Luteolin was
often estabilished. Not, however, the, to Weld belonging, Apigenin. This
lacking of Apigenin might find its cause in several reasons:
a) A type of Weld is used that contains Luteolin in exclusively.
b) It is know that many Flavonoids are not stable photochemically and fade
easily to an almost whitish shade. The main component in Weld is
Luteolin, Apigenin is present in lesser quantity. This small quantity could
have been disintegrated entirely.
Another aspect is the difference between Weld and Dyer’s Broom. They contain Luteolin and Apigenin and Luteolin and Genistein respectively. There is
only a slight difference between the Rf-value of Apigenin and Genistein,
which is not a problem with pure colouring matters. With ancient textiles,
however, misinterpretation is not unthinkable because of the impurities present, which might change the Rf-value.
We could not confirm the presence of Fustic and Quercitron, though it could
have been expected, according to dyer’s manuscripts» [18].
A2,2) Cromatografia liquida ad elevate prestazioni (HPLC)
In questa particolare tecnica cromatografica la fase stazionaria è costituita da un materiale solido strettamente impacchettato in una colonna.
La fase mobile, un solvente o una miscela di solventi diversi, viene
pompata attraverso la colonna ad alta pressione.
Il colorante in esame, separato opportunamente dalle fibre e portato in
soluzione viene iniettato nel flusso del solvente prima che lo stesso raggiunga la colonna.
«Each dye or component of the dye takes a different length of time to pass
through the column due to differences in affinity to the solid filling of the
column and solubility in the solvent» [3].
232
Durante il percorso lungo la colonna si verificano interazioni molecola-substrato di vario tipo (fenomeni di adsorbimento e di de-sorbimento;
attrazioni dipolo-dipolo, legami ad idrogeno ecc.) che di fatto ritardano il
cammino delle molecole di colorante.
A parità di condizioni di analisi (natura dell’eluente e della fase stazionaria, pressione e temperatura) ogni sostanza si caratterizza per un suo
tempo di eluizione.
Il sistema di rivelazione è posizionato al termine della colonna di separazione. Nel caso di analisi di sostanze colorate, esso è costituito da una
cella di uno spettrofotometro UV-VIS [2, 3].
Le potenzialità della HPLC nell’analisi di coloranti appartenenti alla
famiglia degli indigoidi sono evidenziate nella figura 13 [3].
Dall’esame del cromatogramma si evince come i coloranti la miscela si
siano nettamente separati l’uno dall’altro avendo valori diversi del tempo
di eluizione. Dal confronto relativo dell’aree sottese ai picchi è possibile
risalire alla frazione in peso dei singoli componenti.
Recenti modelli di sistemi computerizzati per la cromatografia ad elevate prestazioni sono mostrati nelle figure 14 e 15.
Fig. 13: Applicazione della cromatografia liquida ad elevate prestazioni (HPLC) nella separazione ed identificazione di coloranti naturali appartenenti alla famiglia degli indigoidi.
Nel cromatogramma i picchi relativi ai singoli coloranti presenti nella miscela sono così individuati:
IND= Indigotina; INR=Indirubina; MBI= 6-monobromoindigotina; DBI= 6,6' dibromoindigotina.
Sull’asse verticale è riportata l’assorbanza mentre su quello orizzontale il tempo di ritenzione
[Rif. 3].
233
Fig. 14 - 15: Moderni sistemi computerizzati per la cromatografia ad elevate prestazioni commercializzati dalla Waters Corporation.
234
Fig. 16: Struttura chimica di coloranti naturali rossi di origine vegetale e animale la cui miscela
è stata analizzata mediante “HPLC gradient elution method” [Rif. 19].
235
Fig. 17: Cromatogramma eseguito con il metodo HPLC gradient elution di coloranti antrachinonici, indigoidi e indirubinoidi (in soluzione di metanolo/DMF). Ogni picco è stato etichettato
con il nome abbreviato del colorante a cui corrisponde [Rif. 19].
Applicando an HPLC gradient elution method Zvi Koren ha dimostrato che è possibile separare tra loro e riconoscere coloranti naturali rossi
di origine vegetale e animale di tipo antrachinonici, indigoidi e indirubinoidi. La struttura chimica dei coloranti investigati è riportata nella figura 16 [19].
Dal cromatogramma, relativo alla miscela dei 12 diversi coloranti,
mostrato nella figura 17, traspare la presenza di picchi, ciascuno dei quali
è stato attribuito ad un singolo colorante. Il riconoscimento è stato reso
possibile sulla base dei valori dei tempi di ritenzione relativi ricavati da
soluzioni standard di riferimento (tabella 5) [19].
I risultati della figura 17 combinati con i dati della tabella 5
«show that both plant and insect anthraquinonoids, as well as plant and molluscan indigoids may efficiently separated and dected via the HPLC method
using the same elution program» [19].
236
Tabella 5
Tempi di ritenzione relativi, [R (min)], di alcuni importanti
coloranti, ricavati mediante HPLC (vedasi figure 16 e 17).
Tipo (a)
R (min)
Acido laccaico B
A
0,52
Acido carminico
A
0,643
Acido laccaico A
A
0,690
Acido flavochermesico
A
0,8962
Acido chermesico
A
0,9123
Alizarina
B
1,0
Indigotina
C
1,1135
Purpurina
B
1,219
Indirubina
C
1,281
Monobromoindigotina
C
1,401
Dibromoindigotina
C
1,625
Dibromoindirubina
C
1,863
Colorante
(a) A -
insect dye; B - madder dye; C - blue and purple dye.
Fig. 18: Frammento di una tessuto in lana, tinto con porpora reale, ritrovato a Masada (Israele),
risalente al I secolo a.C. [Rif. 20].
237
Fig. 19: Cromatogramma HPLC ottenuto iniettando nella fase eluente un campione di soluzione
contenente la materia colorante estratta dal tessile in lana del primo secolo a.C. ritrovato a Masada
(Israele) (mostrato in figura 18). I componenti separati ed identificati sono così indicati in figura:
IND= indigotina; MBI= 6-monobromoindigotina; DBI= 6,6'-dibromoindigotina [Rif. 20].
La tecnica della HPLC è stata impiegata da Zvi C. Koren per analizzare la natura dei coloranti usati nella tintura di un tessile in lana del primo
secolo a.C. ritrovato a Masada (Israele) durante la campagna di scavi
condotta tra il 1963 e il 1965 (Figura 18) [20].
Per il processo di estrazione è stato impiegato come solvente la N,Ndimetilformammide. Il colore blu della soluzione ottenuta indica la presenza di un colorante al tino di natura indigoide. Questa soluzione è stata
analizzata successivamente mediante HPLC
«via a reverse-phase linear gradient elution method developed for the separation and detection of indigoids and indirubinoids … The spectrometric
analyses were subsequently performed on a purple pigment produced from
modern Murex trunculus snails caught off the Mediterranean waters in
northern Israel» [20].
Il cromatogramma HPLC, riportato nella figura 19, denota la presenza
dei tre coloranti di natura indigoide, caratteristici della porpora reale
(indigotina (IND); 6-monobromo indigotina (MBI) e 6,6' dibromoindigotina (DBI)). Questa conclusione viene avvalorata confrontando la com238
Fig. 20: I molluschi marini, Murex brandaris e Murex trunculus dai quali è stata estratta la porpora reale moderna utilizzata per il riconoscimento del colorante usato per tingere il frammento
di tessile in lana ritrovato a Masada (mostrato nella figura 18).
posizione relativa dei componenti estratti dal frammento di tessili in lana
con quella di un pigmento archeologico (identificato come porpora reale)
ritrovato su di una vaso di creta e con quella ottenuta analizzando la
materia colorante estratta da un moderno Murex trunculus [fig. 20]. Dal
grafico della figura 21 si ricava che i tre campioni di coloranti hanno praticamente la stessa composizione. Pertanto il frammento tessile ritrovato
a Masada è stato tinto utilizzando la porpora reale [20].
Tra le rovine di Masada sono stati trovati altri reperti tessili colorati in
rosso. Nella figura 22 il cromatogramma HPLC dei coloranti estratti da
questi tessili è confrontato con quello della materia colorante ricavata
dalla radici di una pianta moderna di Rubia Tinctorium cresciuta in
Israele. L’esame ha permesso di concludere che i principali componenti
coloranti fossero gli stessi e cioè l’alizarina e la purpurina, a dimostrazione del fatto che la tintura alla robbia era ampiamente diffusa, all’epoca, nella regione medio-orientale [15].
Nel 1992 J. Wouters e N. Rosario-Chirinos hanno pubblicato un interessante articolo dove venivano riportati i risultati di una analisi finalizzata alla identificazione dei coloranti utilizzati nella tintura di tessili peruviani di età pre-colombiana.
Tale analisi, basata sull’utilizzo della HPLC, vedeva l’impiego di un
«diode array detector» [21].
239
Fig. 21: Istogrammi che mostrano
la composizione relativa dei coloranti di natura indigoide presenti
in campioni di porpora reale di
origine diversa, tra cui rientra
quello estratto dal tessile in lana
del primo secolo a.C. ritrovato a
Masada (Israele) [Rif. 20].
Fig. 22: Il cromatogramma HPLC
della materia colorante ricavata
dalle radici di una pianta moderna
di Rubia tinctorium viene messo a
confronto con quello ottenuto dai
coloranti estratti da antichi tessili
(primo secolo a.C.) ritrovati a
Masada-Israele (vedasi testo)
[Rif. 15].
240
Fig. 23: Analisi HPLC di coloranti derivati dalla cocciniglia, presenti in tessili peruviani di epoca
pre-colombiana.
Nel cromatogramma sono chiaramente visibili i picchi relativi all’acido carminico (ca), all’acido
flavochermesico (fk) e all’acido chermesico (ka) [Rif. 21].
In molti dei tessili esaminati, come si evince dal cromatogramma
HPLC della figura 23, è stata riscontrata la presenza di coloranti estratti
dalla cocciniglia, in particolare l’acido carminico, l’acido flavochermesico e l’acido chermesico.
In altri campioni è stata riscontrata la presenza di coloranti quali la purpurina e la mungistina. Questa ultima osservazione lascia supporre che il
processo tintorio fosse basato sull’impiego di materia colorante ottenuta
da piante appartenenti al genere Rebulnium o Rubia mungista. Il cromatogramma HPLC relativo a questi coloranti è riportato nella figura 24
[21].
La presenza della xantopurpurina viene spiegata dagli Autori assumendo che essa si sia formata attraverso un processo di riduzione della purpurina.
Coloranti afferenti alla famiglia dei flavonoidi, componenti la materia
colorante presente nella Quercus tinctoria (la quercitrina, il canferolo e la
ramnetina) sono stati identificati in quattro dei campioni di tessili peruviani, esaminati da Wouters e Rosario-Chirinos. Il corrispondente cromatogramma HPLC è mostrato nella figura 25 [21].
Nel 1993, in occasione della mostra di tessuti in lana di origine copti241
ca, appartenenti ad una collezione privata belga, J. Wouters et al. hanno
provveduto alla identificazione della natura ed origine dei coloranti usati
per la loro tintura utilizzando la metodica della HPLC [22].
I risultati dell’indagine, relativa a 42 campioni di tessuti, riassunti nella
tabella 6, sono stati così commentati dagli Autori:
«Most of the reds, pinks, browns and beiges were derived from dyers madder (Rubia tinctorium). In two samples that were visually dark red some
indigotin was also detected; and all but two of the purples were found to be
a combination of madder and indigotin, as were all the blacks … On one
sample, brownish purple in colour, indigotin was found alongside purpurin,
without the additional presence of alizarin, This result probably indicates the
use of wild madder (Rubia peregrina) rather than the more usual R. tinctorium which has purpurin and alizarin as its main components…....
In five out of six oranges, in one yellow and in one green a combination
dyeing of madder (R. tinctorium) and weld (Reseda luteola) was found. …
Three other red were detected, in each case on their own and not in combination with another dye: Indian lac, Kerria lacca Kerr, was found on two
samples Kermes vermilio, on another and Armenian cochineal,
Porphyrophora hamelii, on another … the carminic acid found to derive
from Armenian cochineal (P.hamelii) or an equivalent, but certainly not from
polish cochineal (Porphyrophora polonica)…
The purple derived from sea snails was identified on two samples. In one case
the purple was used on its own and the source appeared to be either Phyllonotus
(Murex) brandaris or Thaits (Purpura) haemostoma since 6,6' dibromoindigotin
was the principle component and neither indigotin nor 6-monobromoindigotin
were present. On the second sample 6,6' dibromoindigotin, 6-monobromoindigotin and indigotin were all detected. The alizarin and purpurin reveal the presence of madder alongside shellfish purple. The indigoid components may have
derived from sea snails, in particular from Phyllonotus (Murex) trunculus, the
only variety which furnishes indigotin and 6-monobromoindigotin as components without artificial debromination …» [22].
Recentemente, durante la campagna di scavi effettuati nell’isola di
Zembra (Tunisia), è stato scoperto un campione di argilla, risalente al
terzo secolo a.C., miscelato con un colorante di colore porpora.
Attraverso la combinazione di tecniche analitiche diverse quali la
HPLC, la spettrofluorimetria e la spettroscopia FTIR, è stato possibile
concludere che la materia colorante fosse la porpora reale ampiamente
usata, come già si è scritto precedentemente, dai Fenici e dai Romani a
Cartagine [23].
242
Fig. 24: Cromatogramma HPLC di coloranti estratti da piante appartenenti al genere Rebulnium
ritrovati in tessili peruviani di età pre-colombiana. I picchi dei componenti principali sono così
indicati nella figura:
pu= purpurina; mu=mungistina; xp= xantopurpurina [Rif. 21].
Fig. 25: Cromatogramma HPLC relativo a campioni di coloranti estratti da alcuni campioni di
tessili peruviani di età pre-colombiana e identificati come quercitrina (qn), canferolo (kf) e ramnetina (rht) [Rif. 21].
243
L’insieme dei dati sopra riportati porta alla conclusione che la tecnica
della HPLC, eventualmente combinata con altre, rappresenta uno strumento che si è rilevato di grande utilità nella determinazione di una vasta
gamma di coloranti naturali (di origine vegetale e animale) utilizzati nella
tintura di tessuti di interesse storico-artistico-culturale.
Tabella 6
Risultati dell'analisi dei coloranti usati nella tintura di tessili di origine Copta appartenenti ad una collezione privata fiamminga.
Colore
Rubia
Rubia
tinctoria peregrina
Kerria Kermes Porphyr. Reseda Indigoidi Molluschi Campioni
lacca vermilio
hameli
luteola
Totale
Coloranti singoli
Rosso
8
2
1
1
Rosa
2
2
Marrone
2
2
Beige
2
2
Arancio
1
1
Giallo
12
2
2
Porpora
1
Blu
1
1
1
Combinazione di più coloranti
Arancio
5
5
5
Giallo
1
1
1
Verde
4
4
4
Verde
1
1
1
4
4
Porpora
4
Porpora
1
Nero
2
Nero
Totali
244
1
1
28
1
2
1
1
13
1
2
2
1
1
13
2
(42campioni)
A3) Riconoscimento dei coloranti mediante processi estrattivi
selettivi e successive reazioni chimiche
Il metodo basato su di una serie di saggi è stato sviluppato e perfezionato nel tempo da H. Schweppe [16].
Il primo saggio consiste nel fare bollire un piccolo campione del tessuto in esame in una provetta contenente prima acqua e poi in successione
etanolo, acido acetico glaciale e quindi ammoniaca.
Dal tipo di colorazione che si verifica in ciascuno dei decotti si ricavano alcune significative informazioni circa la classe dei coloranti presenti. I coloranti sintetici, acidi e diretti , stingono leggermente in acqua e in
maniera più massiccia in ammoniaca. Al contrario quelli basici colorano
l’etanolo e l’acido acetico glaciale. La maggior parte dei coloranti naturali, appartenenti alla classe di quelli a mordente, risultano negativi a questo saggio.
«… the class of mordant dyes .. are present in the dyeings as sparingly soluble color lakes of aluminium, iron or chromium and, in few cases, as copper
or tin lakes» [16].
Risultano positivi lo zafferano che si ricava dal Carthamus tinctorium.
Infatti il colorante rosso, la cartamina, passa in soluzione in acqua bollente. Il filtrato di questa soluzione è incolore oppure leggermente colorato in giallo per la presenza del colorante giallo dello zafferano. La carta
da filtro appare colorata di rosso; trattandola con ammoniaca all’1%,
all’ebollizione, si ottiene una soluzione irreversibilmente incolore.
L’estratto di acido acetico glaciale, in presenza di indigo, oppure di berberina o robbia, può acquisire rispettivamente una tonalità blu o gialla.
Un secondo saggio, che si effettua quando il primo saggio è stato negativo, consiste nel bollire un campione del tessuto in esame in una soluzione
al 10% di acido solforico. In queste condizioni possono verificarsi una serie
di reazioni attraverso le quali è possibile risalire ai coloranti presenti.
Alcune tipiche reazioni sono state così riportate da H. Schweppe:
«1. Natural dyes belonging to the class of the hydroxyflavones become
almost colorless. Upon addition of ammonia to the previously washed
dyeing, the original yellow shade returns. Upon subsequent boiling, after
addition of a small amount of sodium dithionite, the yellow color remains
(clear identification of hydroxyflavones and hydroxyisoflavones).
2. Iron tannate dyeings become almost colorless. Iron can be detected in the
sulphuric acid solution.
245
3.Brazilwood and logwood dyeings bleed an intensive red shade.
4. Red and violet madder dyeings on alum or iron sulfate mordant turn orange; the dye bleeds a yellow shade, and after it has been shaken with ethyl
acetate, it can be used for TLC comparisons.
5. Dyeings with the red insect dyes cochineal kermes and lac dye bleed an
orange shade. After shaking with ethyl acetate and pentanol (1:1), the dye
solutions can be used for TLC comparisons» [16].
Indicazioni circa la presenza di coloranti al tino possono essere ottenute trattando il campione di tessuto con una soluzione contenente ditionito di sodio e ammoniaca alla temperatura di ebollizione.
«Vat dyes are insoluble in water, ammonia, and dilute mineral acids. Upon
reduction at alkaline pH, they go into solution, and this change usually is
accompanied by a change in shade. Upon reoxidation in the air, the original
shade returns. The natural vat dyes indigo and purple have a yellow vat.
Natural dyes from the class of hydroxynaphthoquinones, for example, walnut shells, henna and alkanna, also can be reduced, and the color of the vat
is yellow.
Dyeings with orchil, the natural dye obtained from lichens, become colorless
when they are treated with sodium dithionite; the original magenta red shade
returns when they are aired» [16].
L’identificazione di coloranti naturali del tipo a mordente è basato sul
fatto che è possibile, come riportato in antiche ricette tintorie, realizzare
particolari tonalità mediante un processo di post trattamento di una fibra
già mordenzata e tinta con una diversa sostanza mordente. Questo tipo di
reazione che comporta un cambiamento di colore viene sfruttata per il
riconoscimento di alcuni coloranti a mordente.
La procedura prevede di trattare piccoli campioni del tessuto in esame
con soluzioni diluite di cloruro di stagno, solfato di alluminio, solfato di
ferro, solfato di rame e acetato di uranile. All’ebollizione, si formano
sulle fibre i corrispondenti complessi con i coloranti già presenti. Le
tonalità ottenute dipendono non solo dal sale usato nel post-trattamento,
ma anche dalla particolare coppia colorante-mordente presente nelle
fibre. Disponendo di una serie di sistemi noti ottenuti sovrapponendo alla
tintura realizzata con coloranti al mordente, un processo di post-mordenzatura impiegando i cinque differenti sali citati, è possibile effettuare per
confronto l’identificazione anche nel caso di colori sbiaditi nel tempo, e
per il cui riconoscimento altre metodiche si sono dimostrate inefficaci.
246
I metodi di estrazione dei coloranti dalle fibre di un tessuto sono basati sull’impiego di soluzioni contenenti acidi forti (acido solforico e acido
cloridrico). Il processo avviene ad elevate temperature. In queste condizioni oltre a verificarsi il rilascio dei coloranti si induce una forte degradazione delle fibre proteiche e cellulosiche.
In particolari circostanze, come già precedentemente scritto, sono stati
osservati anche dei processi degradativi degli stessi coloranti [23].
Nel 1995 E.J.Tiedemann e Y. Yang hanno sviluppato una nuova metodologia estrattiva la quale consiste nell’impiego di etilene diamminatetracetato (EDTA) e N,N – dimetilformammide (DMF) .
Con questa procedura è possibile estrarre una quantità di colorante sufficiente alla sua identificazione lasciando inalterate le fibre di lana costituenti il campione in esame [24].
«The EDTA/DMF extraction method is also tested on red fibers taken from
the collection of ancient Peruvian textiles in the Krannert Art Museum,
University of Illinois, Champaign» [24].
Ad esemplificazione della bontà del metodo di Tiedemann e Yang sono
riportati nella figura 26 gli spettri ottenuti mediante spettrofotometria in
assorbanza di alcuni coloranti naturali rossi (Rebulnium, Robbia e
Cocciniglia) estratti da filamenti di lana [24].
Fig. 26: Curve spettrofotometriche in assorbanza di alcuni coloranti naturali rossi estratti da fibre
di lana usando come solventi la miscela EDTA/DMF. Le curve si riferiscono ai seguenti coloranti: —— Rebulnium, – – – – Robbia, ······ Cocciniglia [Rif. 24].
247
TAVOLA I
a)
b)
Tavola I:
a) Modulo base di un moderno spettrofotometro (regione del visibile) della Minolta Co..
b) Un recente modello di High performance UV/VIS spectrophotometer commercializzato dalla
World Precision Instruments, inc..
249
TAVOLA II
Tavola II: Recenti spettrometri e sistemi FTIR commercializzati dalla “Thermo-Nicolet”.
250
TAVOLA III
Tavola III: Un recente modello di “FTIR Microscopus Apparatus” della Perkin Elmer, Inc..
TAVOLA IV
Tavola IV: Un Sentinel TM Fiber Optic/Process Raman System commercializzato recentemente dalla Chromex - subsidiary of Hoya.
251
TAVOLA V
Tavola V: Schema di un dispositivo per la spettroscopia di fluorescenza su un liquido o un gas.
Un fascio di luce f attraversa un prisma P e una fenditura F dando luogo ad un fascetto f' di luce
monocromatica (che si può ottenere da alcuni anni ancor meglio con un laser). Il fascetto f' entra
nell’Ampolla A, in cui sono contenute le molecole da studiare. Quando esso urta una di tali molecole, in parte prosegue e in parte viene assorbito per un periodo più o meno lungo, e riemesso in
tutte le direzioni (fluorescenza). Quando viene riemesso dalla molecola, questo “segnale d’uscita” contiene in genere luce di diversi colori (lunghezze d’onda), tutti però spostati verso il rosso
dello spettro solare. Con una fenditura F' e un prisma P', ambedue mobili, e con la fenditura fissa
F'' si isolano le varie componenti della luce riemessa dalle molecole, che vengono volta per volta
raccolte in un fascetto f'''. Questo, concentrato dalla lente L, viene inviato ad un apparecchio rivelatore che ne misura l’intensità. Si può così studiare l’andamento dell’intensità della luce riemessa a seconda del colore (più precisamente, della lunghezza d’onda), e se ne possono trarre
informazioni interessantissime sulla struttura molecolare [Rif. 9].
252
TAVOLA VI
Tavola VI: Un moderno microscopio elettronico a scansione della Jeol-USA, Inc..
253
TAVOLA VII
a)
b)
c)
Tavola VII: a) Fotografia di un frammento del tessuto in cotone, che agiva da supporto per una
serie di papiri conservati presso il Museo Egizio del Cairo.
b) Micrografia elettronica al SEM di un filato prelevato dal campione in a);
c) Micrografia al SEM di fibre di cotone separate dal filato in b) (a più elevato ingrandimento)
[Rif. 13].
254
TAVOLA VIII
Tavola VIII: Spettri di emissione EDXA di campioni del tessuto in cotone descritto nella
tavola VII. Nel tessuto senza macchie (spettro (A)) i picchi rilevano la presenza dei seguenti
elementi: Al, Si, S, K, Ca e Mg. Nel tessuto con macchie (spettro (B)) si evidenzia la presenza anche di Cl e Fe [Rif. 13].
255
TAVOLA IX
Tavola IX: Diffrattogramma dei raggi X all’alto angolo ottenuto sottoponendo ad analisi la
superficie del tessuto mostrato nella tavola VII-a.
Il diffrattogramma mostra la presenza di una serie di picchi di cui solo quelli assegnati appartengono alla cellulosa nativa. Gli altri deriverebbero da sali e/o minerali depositatisi sulla superficie
del tessuto [Rif. 13].
256
RIFERIMENTI
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16)
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dyes on historic textile materials”. Washington, D.C.:
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261