La “tammurriata” di Villa di Briano Il mercoledì e la domenica in Albis

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La “tammurriata” di Villa di Briano Il mercoledì e la domenica in Albis
La “tammurriata” di Villa di Briano
Il mercoledì e la domenica in
Albis
il
santuario
della
Madonna di Villa di Briano
l’antica chiesetta campestre
posta poco fuori l’omonimo
abitato diventa meta di un
ininterrotto pellegrinaggio di
devoti che, provenienti da tutti i
paesi dell’Agro aversano vi si
recano
per
venerare
la
bizantineggiante immagine della
Vergine col Bambino di vetusta
memoria. Se i pellegrinaggi, e le
feste popolari che generalmente
ruotano intorno ad essi possono
Veduta aerea del Santuario
sembrare agli occhi di chi non
ha la coscienza della cultura locale nient’altro che semplici atti e gesti - per di più un
tantino anacronistici e destinati nella migliore delle ipotesi a scomparire nel volgere
di qualche stagione - è innegabile che queste manifestazioni conservino, invece,
ancora completamente intatto - specie nell’animo di chi vi partecipa - quanto di più
autentico e genuino è rimasto delle radici contadine delle nostre popolazioni.
Quant’anche non rappresentano, col proprio carico di riti, gestualità e reconditi
significati, una prima occasione di riflessione, per le giovani generazioni, sui valori
più autentici della propria terra. Nei giorni del pellegrinaggio - presenziate le funzioni
religiose e, in qualche caso adempiuto «allo scioglimento di un voto» con l’omaggio
della relativa tavoletta o di una congrua cifra in denaro al santuario - dopo un pranzo
abbondantemente innaffiato dai vinelli locali (il frizzante Asprinio) per lo più
consumato all’aperto sullo spiazzo erboso antistante alla chiesa o in una delle
numerose trattorie che circondano da qualche anno il complesso, i devoti organizzano
la tradizionale "tammurriata", il popolare ballo nato «dalla fusione di mitiche danze
greche con elementi spagnoli e saraceni introdotti a Napoli nel XV e XVI secolo»
(Patrizia Gorgoni). Premesso che nei pellegrinaggi la musica e il canto popolare
possono generalmente esprimersi più liberamente essendo questo genere di
manifestazioni religiose soggette a più blandi controlli da parte delle gerarchie
ecclesiastiche, la "tammurriata" prende il via, il più delle volte, in modo spontaneo;
gli astanti, secondo le capacità personali o talvolta solo per tradizione familiare si
distribuiscono i ruoli di suonatore, cantore e ballerino, oppure assistono come
semplici spettatori, sia pure con la facoltà di incitare o no, a seconda se soddisfacente
o no il proprio gusto, l’esecuzione della danza e della musica. Sulla cadenza delle
"castagnette" (impugnate da tutti quelli che danzano), dei "putipù", dei
"triccaballacche", del doppio flauto (maschio e femmina (in propositi va evidenziato
come Villa di Briano sia la sola zona della Campania dove ancora si utilizza questo
Fase della "tammurriata"
strumento), e soprattutto della "tammorra" (l’unico strumento veramente
indispensabile, tante che ha dato il nome al ballo) gli esecutori della danza (coppie
non necessariamente costituite da persone dello stesso sesso), «danno vita» - per dirla
ancora una volta con le parole della Gorgoni – «ad un circolo senza più alcun legame
con la realtà quotidiana ». E, proprio per via di questa forma circolare sempre più
perfetta cui la danza tende man mano che procede, che qualche autore avvezzo a
ricorrere a sistemi matematici - magici nell’interpretazione di macro e micro cosmo,
ha voluto leggere nel ballo un tentativo di rappresentazione dell’aiuto che il cerchio
darebbe alle forze della natura per farle girare nella giusta direzione. Molto più
semplicemente, invece, per alcuni altri autori, la "tammurriata"- che, va pure detto,
mette a dura prova le capacità di resistenza fisica alla fatica dei partecipanti - era, e
continua a essere un modo come un altro per esorcizzare, all’insegna dell’ebbrezza
più sfrenata, le difficoltà della vita quotidiana.
Franco Pezzella

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