Gesualdo Bufalino e Dio, l`ossimoro degli ossimori

Transcript

Gesualdo Bufalino e Dio, l`ossimoro degli ossimori
Gesualdo Bufalino e Dio, l’ossimoro degli ossimori
di Adelio Valsecchi
Per lo scrittore siciliano Gesualdo Bufalino, Dio non è un soggetto di fede ma è un problema che
insegue l’uomo nella sua esistenza senza mai abbandonarlo: nell’effimero piacere della vita, là dove
l’uomo si gratifica con piccole gioie e là dove la sofferenza e l’oppressione si scontra con i ritmi
dell’esistenza.«Dio mi intimidisce, dice lo scrittore, ma non rinuncio a comprendere e a sentire la
sua presenza».
Confrontandosi con la religione, egli si dice vicino ad un “Cristianesimo etico e tremante”. Il suo
atteggiamento è ateo in modo improprio. La sua adesione alla fede, è una sorta di necessità etica che
si accompagna ad uno “stupore di fronte al mistero di Dio”. E, animato da una dialettica
avvincente, si definisce un duellante che ingaggia una lotta all’ultimo sangue con la Sua
“improbabile presenza” : «Dio è prima una improbabile presenza contro la quale tuttavia non mi
stanco di duellare».
Questa posizione non evidenzia l’arroganza dell’ateo ma interpreta il disagio dell’uomo in ricerca,
senza avere a disposizione i mezzi idonei per affrontare il Mistero del Trascendente. Ma Bufalino
non si arrende. Nemmeno di fronte ad un Dio sfuggente perchè è consapevole che la finitudine
umana, si aggrappa all’Assoluto con il conforto della ragione, per soffrire di meno la pesantezza
del limite e della carne: «Meno credo in Dio, più ne parlo».
Il suo modo di proporre l’esistenza o la non esistenza di Dio è simile a quello del fisico Albert
Eistein che così definiva il suo rapporto con Dio in una fase della sua vita : « A Dio non credo ma
mi fa paura».
E’ una lotta impari fra la sicurezza della logica e della scienza e le incertezze e i dubbi di una fede
in germe, ancora non illuminata dallo Spirito.
Entrambi scavano nelle loro diverse esperienze per rendere meno angoscioso il “sentimento di Dio”.
Entrambi sottolineano l’inesistenza di Dio ma al tempo stesso ne sentono la necessità impellente.
Lo scrittore definisce questa sorta di incoerenza umana : «Inesistenza attiva».
La figura retorica dell’ossimoro che pervade il suo modo di fare letteratura, nel discorso su Dio, si
manifesta in modo esemplare.
La contraddittorietà dei termini è palese ma esprime profondamente il sentimento del nomade in
cerca di una terra sicura.
Per Bufalino porsi in dialogo con un Dio fantasma e realtà insieme, non nasce dalle ottuse
incertezze umane, ma è connaturale al dipanarsi della storia dell’uomo, aperto all’esistere e
consapevole dell’essere delle cose. Tanto che esprime con disincanto quasi scanzonato questa
consapevolezza : «Dio è colui a cui mi rivolgo dicendo : Te che mi esisti dentro per metafora
d’inesistenza, più sei lontano e più ti porto addosso, fra l’abito e la carne».
Dio diventa così : “L’Ossimoro degli ossimori”. E l’uomo che vola alto col suo pensiero, ingaggia
un duello senza fine con questa “contraddizione logica”. Ma quando la stessa si insinua tra la vita
(l’esistere),i suoi perché e il suo senso (l’essere),diventa l’unica modalità per scorgere qualche
bagliore di luce nel Mistero di Dio. E così Dio viene configurato nell’immaginario di Bufalino ,
come un «bandito che incalziamo con la furia fredda d’un cacciatore di taglie» anche se l’uomo non
potrà mai riscuotere la taglia perché sarà sempre il cacciatore a soccombere.
Dio è visto come uno scacchista, eterno vincitore, come un “Veltro celeste” che ci insegue per farci
preda. Oppure un “Gigantesco eufemismo” al quale si può chiedere se Lui organizza l’enigma per
l’uomo o lo svela.
1
Tali immagini colgono in pieno l’intima diatriba che si accende nella coscienza dello scrittore: una
lotta interiore estenuante come estenuante è il duello dell’uomo contro le sue debolezze. Egli non
sperimenta la dimensione cristiana della speranza, preludio della certezza della fede. E’ in bilico tra
la conoscenza del Mistero e la consapevolezza che l’uomo è creatura e come tale non può che
conoscere i confini e gli steccati che la sua natura gli impone. Ma nessuna forza lo spinge nel vuoto,
perché la ragione lo sostiene e con la ragione quell’istinto immanente alla natura umana che
reclama il significato della nostra esistenza. Infatti l’uomo ha un desiderio insopprimibile di essere,
di essere pieno, non vuoto.
Per Bufalino Dio così non diventa una scommessa come vagheggiava Pascal, ma viene ideato come
un Mito, un Demiurgo che «spia le sofferenze umane e dell’uomo aspetta la resa».
In questo intreccio di disagi non risolti nel rapporto conflittuale con Dio, Bufalino si inasprisce e si
interroga se Dio stesso non si sia reso colpevole di aver “Creato” l’umanità così legata al peso della
propria carnalità.
E’ forse questa «impazienza di pubblicare il mondo» che sbalordisce l’uomo. E non avendo
Bufalino la fede dei profeti e dei santi, si dibatte in un crogiolo di insofferenze e di sospetti.
Accanto a tali sentimenti, lo scrittore non cessa i suoi tentativi di interpellare Dio, di cercarlo
attraverso i personaggi delle sue opere.
A volte in atteggiamento di richiesta dei perché dell’essere e dell’esistere umano, a volte per
insultarlo quando si perde la pazienza di vivere.
A volte, in un balenio di fede, Bufalino è preso da una sorta di laica imitazione di Cristo, tanto che,
in “Diceria dell’untore” il protagonista propone di «immolarsi per tutti e guarire il disordine del
mondo».
All’uomo, anche se incredulo e confuso di fronte al Trascendente, resta solo il sentimento ascetico
dell’abbandono a Dio.
E’ una resa, non alle incertezze della vita e della morte, che pure ci accompagnano sempre ma per
il riconoscimento del Suo ineffabile Mistero.
In “Argo il cieco” infatti, il vecchio professore Iaccarino, quasi colpito da un bisogno urgente di
Dio, grida in modo dissacrante rivolto al cielo : «Ehi Tu, t’ho visto, non fare il furbo, non fingere di
non esistere! Dio esisti, ti prego!». E in questo urlo disperato si pone l’ultima scelta di Bufalino che
riassume la proiezione dei suoi atteggiamenti verso Dio e della sua problematica incredulità.
Bufalino, scrittore e poeta, in questo modo di esternare il suo contraddittorio sentimento religioso,
diventa quasi un inconsapevole intermediario tra l’umanità, perché la descrive e il Trascendente
perché lo ricerca.
Nella cultura contemporanea, è una sorta di termometro che testimonia l’esistenza di una umanità
smarrita, che annaspa nell’impazienza dei suoi egoismi e della sua complessità, ma apre una finestra
sul Mistero del Trascendente per non annichilirsi e trovare finalmente l’ultima ragione della nostra
esistenza : Dio.
Lo scrittore siciliano rappresenta così un modello moderno di uomo in continua ricerca che, non
trovando giustificazioni plausibili all’incompiutezza dell’uomo, si abbandona al Trascendente in
cui si risolvono ed hanno giusta comprensione le più incerte speranze umane.
2