GINO DE DOMINICIS Andrea Bellini A FUTURA

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GINO DE DOMINICIS Andrea Bellini A FUTURA
GINO DE DOMINICIS
Andrea Bellini
A FUTURA MEMORIA
…Era egli stesso opera d’arte senza fine,
originaria e carica di segreto,
e faceva continuamente mistero di se stesso.
Anselm Kiefer su Gino De Dominicis1
Cominciamo subito con il dire che questa è solo una delle possibili mostre su Gino De
Dominicis. Non era intenzione dei curatori affrontare e rendere conto dell’intero percorso
creativo di questo artista straordinario. Una mostra che volesse prendere in considerazione
tutti i diversi aspetti del lavoro di GDD dovrebbe comprendere una serie di opere appartenenti
ad un periodo di tempo che va dalla fine degli anni Sessanta alla fine degli anni Settanta. Un
decennio fondamentale per l’artista italiano, durante il quale egli mette a punto la sua poetica
ed elabora il proprio linguaggio.
Questa mostra – se escludiamo alcuni lavori – si concentra invece su un Gino De Dominicis più
tardo, e copre un arco di tempo che va dagli anni Ottanta al 1998, anno della sua morte. Si
tratta più o meno di un ventennio durante il quale l’artista si dedica quasi esclusivamente alla
pittura, consegnando alla storia dell’arte una serie di capolavori indimenticabili. La nostra
speranza è che l’interesse sull’opera di GDD continui a crescere, e che altre e differenti
esposizioni possano continuare a far luce sui diversi aspetti della sua complessa ricerca.
Come tutti sanno De Dominicis era tendenzialmente contrario alla pubblicazione delle proprie
opere su cataloghi e riviste. Sosteneva che l’autore dell’opera, una volta pubblicata, non è più
l’artista ma il fotografo. Tuttavia lo stesso GDD ha scelto nel tempo di pubblicare su diverse
riviste – ed in particolar modo su Flash Art – una importante serie di immagini. Nel corso degli
ultimi trenta anni si è recato a Milano più volte, nonostante odiasse viaggiare, per impaginare
personalmente in redazione il materiale fotografico che lo riguardava. Per questa ragione,
concedendoci in fondo una licenza rispetto alla volontà dell’artista, abbiamo deciso di
pubblicare – come catalogo della mostra – un numero speciale di Flash Art, che raccoglie testi2
ed immagini edite ed inedite. Nel rispetto delle caratteristiche della pubblicazione, i vari
contributi critici si orientano più verso lo stile dell’articolo che non su quello del saggio. I testi
raccolti in questa pubblicazione – se si esclude l’ampio ed esaustivo saggio di Laura Cherubini
– intendono quindi introdurre rapidamente al lavoro dell’artista italiano, e non hanno nessuna
pretesa di rappresentare uno studio sistematico ed approfondito dell’opera di Gino De
Dominicis.
IL VIVERE INIMITABILE
Gino de Dominicis può essere considerato una delle figure più emblematiche e misteriose
dell’arte italiana del secondo dopoguerra. Un artista per molti aspetti ancora inafferrabile,
circondato da un vero e proprio alone leggendario. A causa di questa sua romantica
impenetrabilità, difficilmente chi scrive di Gino De Dominicis si sottrae alla tentazione di parlare
dell’artista e del suo vivere inimitabile. Buona parte della sua letteratura critica finisce così per
perdersi dietro i rivoli sfuggenti di una aneddotica confusa e fuorviante. Come un principe
d’altri tempi, elegante e irraggiungibile, Gino De Dominicis si è circondato nel corso della sua
vita di una piccola corte in puro stile rinascimentale, nella quale si alternavano vestali belle e
virginali, artisti ed eruditi, mercanti e saltimbanco. A Roma – città che egli ha amato sopra
ogni cosa perché eterna ed impossibile – De Dominicis amava intrattenere questa corte dei
miracoli con straordinari giochi di prestigio. Il gioco al rialzo dell’artista – benevolo e qualche
volta feroce – consisteva nell’ipnosi del suo pubblico adorante; in cambio otteneva – e
pretendeva – una devozione assoluta, un amore incondizionato per la sua figura. Tutti, anche
coloro che sono giunti dinanzi ai suoi occhi per mezz’ora, hanno la loro storia da raccontare su
Gino De Dominicis, una interminabile serie di aneddoti e di leggende, di complotti di corte e
tradimenti. Tutto ciò che concerne la sua vita, così come la sua morte, è avvolto nell’alone del
mistero e dell’agiografia. Se parlate con quelli che lo hanno frequentato scoprirete prima o poi
che Gino era un amante leggendario e formidabile, che viveva solo di notte come un conte
gotico, che è riuscito a determinare con precisione il giorno della propria morte, che aveva
intenzione di ricomprare tutti i suoi lavori per poterli distruggere, e che forse nemmeno è
morto, ma vive godendosi il sole in qualche bella isola del Pacifico. Gino de Dominicis
impostore, apostata, principe, e genio straordinario, ha creato attorno a se stesso, ai Sumeri, a
Roma, al mito dell’artista e dell’immortalità3 del corpo una letteratura fantastica attorno alla
quale tutti – compreso il sottoscritto – amano perdersi. Ciò che manca fino ad oggi è uno
studio sistematico ed approfondito della sua opera. Non esiste scritto su De Dominicis che non
tocchi la questione dei Sumeri, di Gilgamesh e degli dèi immortali, che avrebbero – secondo
GDD – fondato perfino Roma. Per quanto corretto questo approccio non può considerarsi
esaustivo e sufficiente. Non si tratta ovviamente di negare la centralità dei temi veri e
ricorrenti che hanno caratterizzato la sua intera vicenda creativa, come l’immortalità del corpo,
del mistero della creazione, della bellezza umana, dell’invisibile, del demoniaco, delle tradizioni
occulte, dei punti di vista multipli e delle prospettive rovesciate, della nascita dell’universo, fino
al senso ultimo ed al significato stesso della materia e dell’esistenza delle cose. Questi temi
affiorano con una coerenza straordinaria nei suoi disegni, nei suoi dipinti, nelle sue opere
tridimensionali e nei suoi scritti, e rappresentano il nucleo originario e più vero della sua
poetica. Purtuttavia questi temi non bastano da soli a spiegare e a descrivere il senso – e la
grandezza – del lavoro di Gino De Dominicis.
Sarebbe come voler spiegare l’importanza di Giotto per la storia della pittura occidentale
partendo dai Vangeli, dal concepimento divino della Madonna e dalla predicazione di Gesù. Ciò
che deve interessare invece della vicenda creativa di Gino De Dominicis è il linguaggio che
l’artista è riuscito a mettere a punto, un linguaggio straordinariamente autonomo ed originale,
sia sul versante per così dire più “concettuale”4 degli esordi sia sul versante pittorico. Per
questa ragione con il presente scritto, più che andare a rimpolpare la già ampia letteratura
riguardante De Dominicis, i Sumeri e l’immortalità del corpo, tenterò di spiegare – seppure
molto brevemente – perché questa mostra su Gino De Dominicis è fondamentalmente una
mostra di “pittura”, e in cosa consiste il carattere straordinario di questa pittura.
OPERE TRIDIMENSIONALI, BIDIMENSIONALI, OMEOPATICHE ED INVISIBILI
In ambito critico, l’opera di Gino De Dominicis pone ancora vari nodi problematici. Innanzitutto
questo artista non appartiene né all’Arte Povera né alla Transavanguardia, i due movimenti
italiani più noti all’estero dell’ultimo quarto di secolo, e non è collocabile nemmeno in una
qualsiasi delle correnti artistiche internazionali in voga tra gli anni Sessanta ed i Novanta. Gino
de Dominicis è stato e rimane un caso isolato, una personalità complessa che ha rifiutato
sempre la logica dei gruppi e dei movimenti coltivando un’idea superiore, nobile e solitaria, del
fare artistico. Come sostiene Anselm Kiefer, “Gino ci ha mostrato o, meglio, annunciato come i
profeti dell’Antico Testamento, qualcosa che vale molto di più di qualsiasi prezioso oggetto di
scambio: la possibilità, cioè, dell’esistenza del singolo (e con questo di ogni singolo), anche al
di fuori della massa, della storia e del tempo”. 5
Il secondo nodo problematico riguarda poi il motivo della sua grandezza. I critici, gli storici
dell’arte ed in generale tutti i suoi estimatori si dividono sostanzialmente in due gruppi: coloro
che ritengono fondamentale la prima fase della sua ricerca, erroneamente definita da alcuni
“concettuale”, compresa tra la fine degli anni Sessanta e la fine degli anni Settanta, e coloro
che invece considerano più importante la seconda parte della sua vicenda creativa, quella più
marcatamente “pittorica”, compresa tra i primi anni Ottanta ed il 1998.
Alla prima fase appartengono una serie di capolavori ormai celebri come i due filmati Tentativo
di far formare dei quadrati invece che dei cerchi attorno ad un sasso che cade nell’acqua
(1969) e Tentativo di volo, oppure la straordinaria scultura Il tempo, lo sbaglio e lo spazio
(1969) che comprende uno scheletro umano steso a terra con dei pattini ai piedi, lo scheletro
di un cane al guinzaglio ed un’asta. Tra questo gruppo di opere va poi ricordato Zodiaco (1970)
e poi la 2° soluzione d’Immortalità, (L’Universo è Immobile), presentata alla Biennale di
Venezia (1972) nella quale il signor Paolo Rosa, un giovane affetto dalla sindrome di Down,
sedeva in un angolo di fronte ad un cubo invisibile, la palla di gomma nell’attimo precedente al
rimbalzo e la pietra in attesa di movimento. Al secondo gruppo appartiene invece una non
molto ampia serie di disegni e dipinti, realizzati nel corso di un ventennio su supporti diversi
come legno, carta e qualche rara tela, che da un lato raccolgono ed ampliano i “motivi”
iconografici e tematici della ricerca procedente, come appunto la questione dell’immortalità del
corpo, della bellezza, dell’esoterismo ecc., dall’altra rivelano un De Dominicis inedito,
impegnato a superare in qualche modo perfino se stesso.
Chi è dunque Gino de Dominicis? Qual è il suo periodo più interessante e proficuo? In realtà
questo si pone fondamentalmente come un falso problema: dividere il suo lavoro in due parti
distinte ed attribuirgli un primato qualitativo è un gesto che ha poco a che fare con la
comprensione della sua vicenda creativa, la quale deve essere letta invece come un fatto
unitario, con uno svolgimento preciso. L’artista stesso, riferendosi al proprio lavoro, dirà: “GDD
ha creato opere bidimensionali, tridimensionali ed invisibili”, considerando ovviamente questi
diversi aspetti della propria attività come un fatto unitario. All’interno di questo svolgimento
può essere ovviamente individuato un punto di svolta sul quale forse è opportuno soffermarsi.
Gino de Dominicis attorno alla seconda metà degli anni Settanta, dopo aver realizzato una
serie di capolavori consegnati per sempre alla storia dell’arte, comincia a guardare con una
certa diffidenza ed insoddisfazione a tutto il caravanserraglio di artisti concettuali e
comportamentali che affollavano ormai biennali e mostre varie in tutto il mondo. Spirito
aristocratico e raffinato, quasi un conservatore – si sentiva personalmente offeso dal fatto che
le ragazze indossassero i jeans secondo la moda americana – De Dominicis non crede nel mito
del “progresso” nell’arte, non crede nei critici “creativi” che tolgono spazio ed attenzione alle
opere, non crede agli artisti nomadi e viaggiatori e non crede nemmeno nelle mostre (rifiuta
infatti l’invito a rassegne importanti come Kassel, nel 1982). Questo curioso e distante artista
italiano non ha mai creduto soprattutto ad un certo concettualismo, del quale si farà beffa in
varie interviste, considerandolo una strada troppo facile per riempire mostre e musei di oggetti
che egli considerava troppo distanti dalla vera opera d’arte. In questo contesto GDD, attorno
alla fine degli anni Settanta – insieme certo a molti altri artisti – torna a dipingere (la sue
prime personali – costituite di soli quadri – risalgono al 1964 ed al 19676). La pittura in questa
fase diventa per De Dominicis il mezzo stesso per intraprendere un’avventura se possibile
ancora più solitaria, raffinata ed alta di quella precedente. Non è un caso che nel corso di
questo processo l’artista arriverà in qualche modo a disconoscere alcune opere realizzate
durante gli anni Settanta, dalla scultura della Madonna che ride (distrutta dall’artista stesso)
alla Mozzarella in carrozza (1970), considerata da De Dominicis un’opera “omeopatica”,
un’opera cioè che critica – doppiandola – la metodologia concettuale7. La pittura si pone così
come il discrimine stesso tra ciò che è arte e ciò che non lo è.
IN PRINCIPIO ERA L’IMMAGINE
Ancora nascosto e poco conosciuto, in qualche modo per volontà dell’artista stesso, il corpus
delle opere pittoriche di De Dominicis si presenta come uno dei più straordinari ed enigmatici
percorsi della pittura italiana ed europea del secondo Novecento. Il suo è un dipingere
meticoloso, estremamente ragionato, frutto di una concentrazione costante. Gino De
Dominicis, ama i giochi di prestigio anche in pittura, e da buon prestigiatore vuole stupire
innanzitutto se stesso: l’immagine deve essere sempre un’epifania, esprimere un valore
carismatico, farsi frammento visibile ed archetipico di un universo invisibile, di una esistenza
separata. Ciò che rende assolutamente rilevante questa serie di lavori è la capacità di GDD di
giungere ogni volta ad una nuova invenzione pittorica, ad una soluzione inedita.
Fondamentalmente figurativi, realizzati con pochi elementi basilari come la tempera e la matita
su tavola, i suoi lavori fanno riferimento ad una condizione misteriosa, antica ed impenetrabile
dell’immagine umana. Urvasi e Gilgamesh, uomini con lunghi nasi, donne-proboscide, figure
solenni, o anche solo gigantesche ombre, si alternano su supporti diversi, molto spesso legno,
ma anche carte ed in qualche caso tele. I tratti fisiognomici di questi personaggi solenni ed
insondabili subiscono delle curiose compressioni: nasi, occhi, bocche e sopracciglia si
allungano, diventano fessure sottili, e finiscono per donare ai volti un’espressione dolcissima e
sognante, quel tipico accento interiore che costituisce la cifra ricorrente di tutta la sua opera.
La deformazione fisica, le piccole mani a forchetta, i crani ed i nasi enormi ed a becco, le
braccia corte e sproporzionate rispetto al busto ed alle gambe, danno a queste figure ieratiche
un aspetto caricaturale e grottesco così carico di significati ed implicazioni psichiche da
renderne impossibile una decodificazione unitaria e definitiva. L’immagine è sempre un al di là
autonomo e distante, vive di vita propria e sfugge ad ogni tentativo di lettura univoca e
standardizzata. De Dominicis ci mette insomma di fronte al proprio personale culto iniziatico,
un mondo fatto di strani simboli alchemici e religiosi come la croce, la piramide, le stelle, le
figure geometriche, una serie di segni strappati al proprio contesto originario e immessi nel
linguaggio privato ed esclusivo dell’artista. Come scriveva lo stesso De Dominicis: “La gente
deve vedere non sapere, deve riconoscere l’opera d’arte per quello che è e accettarne gli
effetti”. Proprio questa impenetrabilità assicura all’opera la propria astoricità e la propria
immortalità: secondo De Dominicis l’arte non è comunicazione – in questo senso perfino lo
spettatore è superfluo rispetto all’opera – ma è creazione, magia e mistero. L’assunto di base,
nell’opera di De Dominicis, è che non esista e non debba esistere un linguaggio pubblico,
codificato e regolato, grazie al quale avviene una comunicazione tra l’artista ed il sociale, ma
esiste l’opera che si dà come fatto autonomo, come prodotto creativo astorico e immortale.
Quindi il simbolo, nel complesso dei segni elaborati da De Dominicis, non deve e non può
corrispondere immediatamente al mondo, ma deve poggiare in quel substrato mitico che
l’artista plasma e reinventa a proprio piacimento, regalando così all’uomo la suggestione – e la
speranza stessa – dell’immortalità. Il percorso artistico di GDD si svolge all’insegna di questo
tentativo titanico e solitario di cogliere un nesso reale e circostanziato tra il linguaggio dell’arte
e la corrente di una energia primordiale, astorica ed infinita. La pittura nell’ambito di questo
tentativo svolge una funzione primaria e straordinaria, perchè riafferma la centralità dell’artista
come demiurgo.
1
In Anselm Kiefer, Richiamo, in De Dominicis. Raccolta di scritti sull’opera e l’artista, a cura di
Gabriele Guercio, Umberto Allemandi & C., 2001, pag. 61.
2
Tra cui diversi reprint.
3
Cfr. al riguardo il saggio fondamentale Arte visiva e immortalità del corpo, pubblicato da
Gabriele Guercio in op. cit. pagg. 165-199.
4
Usiamo questo termine per comodità, anche se in realtà GDD non ha mai considerato se
stesso un artista concettuale.
5
Cfr. Gabriele Guercio, Ivi, pag. 62.
6
Per la mostra del 1964 cfr. L. Cherubini, Gino de Dominicis, in Flash Art, estate 1996, n. 199,
pp. 76-77. Per la mostra tenutasi ad Ancona cfr. G.M. Farroni, I Miti d’oggi nella pittura del
giovane De Dominicis, in La Voce Adriatica, Ancona, 10 maggio 1967, pubblicato in De
Dominicis. Raccolta di scritti sull’opera e l’artista, a cura di Gabriele Guercio, Umberto
Allemandi & C., 2003, pagg. 103-104.
7
Cfr. Laura Cherubini, Ivi.