10 GALILEO GALILEI appunti - Liceo Ginnasio "Luigi Galvani

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10 GALILEO GALILEI appunti - Liceo Ginnasio "Luigi Galvani
Galileo Galilei (1564-1642)
Galileo Galilei – biografia e opere
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1564 nasce a Pisa, studia matematica all’Università di Pisa.
1585: Teoremi sul centro di gravità dei solidi.
1586: Bilancetta (si avverte l’influsso del “divino Archimede”).
1588-1590: Circa la figura, sito e grandezza dell’Inferno di Dante e Considerazioni sul Tasso.
1589: diventa lettore di matematica all’università di Pisa, scrive il
De motu.
1592-1610: diventa professore di matematica a Padova. Entra in relazione con Marina Gamba, dalla quale
avrà tre figli. Frequenta gli ambienti culturali padovani e veneziani. Abbraccia la teoria copernicana.
1609: ricostruisce il cannocchiale (inventato in Olanda) e lo utilizza per osservazioni astronomiche.
1610: Sidereus Nuncius : annuncia le scoperte astronomiche realizzate con il cannocchiale. Ottiene da
Cosimo II Medici granduca di Toscana la carica di Matematico straordinario dello Studio pisano.
1613-15: Lettere copernicane: difende la teoria copernicana e discute del rapporto tra scienza e Bibbia.
1616: Galileo denunciato per eresia: il Sant’Uffizio condanna la teoria copernicana e ammonisce Galileo:
non deve insegnare e difendere la teoria condannata.
1623: Il Saggiatore (sulle comete, in polemica con il gesuita Orazio Grassi)
Nel 1623 il cardinal Maffeo Barberini, favorevole a Galileo, diventa papa Urbano VIII: Galileo pensa di
poter riprendere la sua battaglia “copernicana”.
1632: Galileo pubblica il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, in cui mette a confronto il
sistema aristotelico-tolemaico e quello copernicano, prendendo decisamente posizione per il secondo.
1633: processato dall’Inquisizione per aver infranto il divieto del 1616, viene costretto all’abiura e
condannato al carcere a vita (commutato in confino).
Trascorre gli ultimi anni confinato nella sua casa di Arcetri; scrive i Discorsi e dimostrazioni matematiche
sopra due nuove scienze, pubblicati in Olanda (1638).
Muore nel 1642.
Il cannocchiale e il
Sidereus Nuncius
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Nel 1609, avuta notizia di un cannocchiale fabbricato nei Paesi Bassi, lo ricostruisce perfezionandolo e
potenziandolo.
Galileo utilizza il cannocchiale per osservazioni astronomiche: con ciò rompe con una tradizione culturale
che escludeva dalla scienza l’uso di strumenti, considerati utili solo per gli artigiani, per i “vili
meccanici”. Infatti molti “matematici e filosofi” contemporanei di Galileo manifestano sfiducia e
indifferenza nei confronti del cannocchiale e delle scoperte realizzate grazie ad esso.
Nel 1610 Galileo pubblica il Sidereus Nuncius nel quale annuncia le importanti scoperte astronomiche
ottenute col cannocchiale
Con il cannocchiale Galileo scopre:
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La superficie della Luna è “rugosa”, presenta monti e valli come quella terrestre, dunque la luna non è
fatta di un materiale perfetto, inalterabile, incorruttibile, diverso da quello terrestre.
Nel cielo ci sono molte stelle invisibili a occhio nudo: l’universo è più grande e complesso di quanto
ipotizzato dai sistemi cosmologici tradizionali.
Anche la Via Lattea e le nebulose sono gruppi di stelle.
Intorno a Giove girano 4 satelliti (chiamati da Galileo Pianeti Medicei) invisibili ad occhio nudo, quindi i
corpi celesti possono ruotare anche attorno a un pianeta in movimento.
Dopo aver pubblicato il Sidereus Nuncius Galileo scopre ancora che Venere ha le fasi come la Luna: ciò
significa che è un corpo opaco e che gira attorno al Sole.
Scopre sulla superficie del Sole le macchie solari, irregolari sia nella forma che nei movimenti, quindi anche
sul Sole esistono fenomeni di alterazione e corruzione, negati dalla fisica aristotelica.
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“Ipotesi ad hoc” escogitate contro le scoperte di Galileo: secondo Clavio la luna sarebbe ricoperta da una
“buccia” trasparente che la rende perfettamente sferica; secondo Scheiner le macchie solari sarebbero
sciami di pianetini che passano davanti al sole (per “salvare” il sole dai fenomeni di alterazione). Ma
queste ipotesi non hanno nessun fondamento fattuale, nascono solo dalla volontà di difendere comunque il
sistema aristotelico-tolemaico.
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L’autonomia della scienza dalla religione: le Lettere Copernicane
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Le scoperte fatte con cannocchiale hanno convinto Galileo della verità del modello copernicano (in realtà
esse non “provano” il movimento della Terra, però smentiscono molti elementi della cosmologia
aristotelica-tolemaica e confermano alcune tesi copernicane); Galileo però sa che il modello copernicano
viene respinto anche per ragioni religiose, a causa dei passi della Bibbia che affermano che la Terra è
immobile e il Sole si muove.
• Galileo, che è cristiano e cattolico (e gode anche dell’amicizia e della protezione di molti ecclesiastici), è
convinto che non esista nessun contrasto sostanziale tra la Bibbia e la teoria copernicana.
Pertanto Galileo scrive, dal 1613 al 1615, le quattro Lettere copernicane (due a Monsignor Piero Dini, una a
Cristina di Lorena granduchessa di Toscana, e una al suo discepolo, il monaco Benedetto Castelli), per
spiegare che si può affermare la verità della teoria copernicana e nello stesso tempo, senza contraddizione,
credere nella verità della Bibbia.
Nelle Lettere Copernicane Galileo distingue lo scopo e il significato della Bibbia dallo scopo e
dal significato della scienza:
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La Bibbia insegna “come si va in cielo, mentre la scienza insegna come vada il cielo” (card. Baronio);
vale a dire: lo scopo della Bibbia, che è rivelazione di Dio, è insegnare quelle verità religiose e morali
che sono necessarie a tutti gli uomini per la loro salvezza, e che gli uomini non potrebbero raggiungere da
soli, con la ragione. Il cuore della Bibbia è il messaggio salvifico, e in questo la Bibbia non erra.
La scienza, invece, conosce il funzionamento dei cieli, le leggi della natura. La scienza è autonoma dalla
religione e dalla Bibbia, perché raggiunge la verità solo per mezzo di “sensate esperienze e necessarie
dimostrazioni”.
La Bibbia e la scienza sono entrambe veritiere, ognuna nel suo ambito, ed entrambe sono fondate su Dio,
autore della Rivelazione e autore delle leggi indefettibili della natura.
Le frasi della Bibbia che si riferiscono ai moti dei corpi celesti sono del tutto marginali e incidentali,
quindi non c’è nella Bibbia nessun insegnamento scientifico: Dio non rivela, attraverso la Bibbia, la verità
sulle leggi della natura, perché gli uomini possono raggiungere da soli questa conoscenza, e d’altra parte
essa non è indispensabile per la vita e la salvezza degli uomini.
Ma come mai la Bibbia, parola rivelata di Dio, contiene errori per ciò che riguarda la scienza della natura?
Questo avviene perché il messaggio di salvezza, per comunicarsi agli uomini, ha dovuto adattarsi al
linguaggio e alla cultura degli autori biblici e dei popoli a cui la Bibbia fu inviata molti secoli prima di
Cristo (la Bibbia non è dettata, è ispirata da Dio).
Le tesi di Galileo non erano “rivoluzionarie”: la Chiesa aveva sempre insegnato che la Bibbia doveva
essere interpretata, che il suo vero senso non era quello letterale; del resto anche il sistema cosmologico di
Aristotele non collimava con la rappresentazione biblica del mondo, eppure era stato accolto senza
problemi dalla filosofia e dalla teologia cristiana nell’XI e XII sec. (p.e. secondo la Bibbia la terra è piatta,
mentre per Aristotele è sferica).
Ma nel XVII secolo le teorie di Galileo erano considerate pericolose da molti teologi cattolici: pochi
decenni prima Lutero aveva negato alla Chiesa il ruolo di interprete autorevole della Bibbia e aveva
affermato che ogni credente poteva interpretare la Sacra Scrittura secondo coscienza (libero esame); ora
Galileo, un laico, pretendeva di correggere l’interpretazione tradizionale, data dai Padri della Chiesa, dei
famosi passi biblici sul movimento del Sole e sulla posizione della Terra, e ciò suscitava sospetti di eresia.
Inoltre la filosofia e la scienza si erano ormai polarizzate in due scuole nemiche: quella platonica e quella
aristotelica, e gli aristotelici (spesso maltrattati e ingiuriati da Galileo) cercavano di prevalere sugli
avversari con tutti mezzi, invocando anche l’ intervento delle autorità ecclesiastiche.
L’ammonizione del 1616
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Questa situazione determinò nel 1616 una denuncia e un processo dell’Inquisizione romana contro
Galileo; l’esito fu un’ammonizione: a Galileo veniva fatto divieto di insegnare la teoria eliocentrica, se
non come ipotesi matematica. Nello stesso anno il De Revolutionibus di Copernico veniva condannato e
messo all’indice.
L’ammonizione dell’Inquisizione riprendeva quella posizione strumentalista già espressa dal teologo
Osiander nella prefazione all’opera di Copernico. Il card. Roberto Bellarmino, capo del Sant’Uffizio,
esprimeva la posizione strumentalista in una lettera del 12 aprile 1615
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Roberto Bellarmino: lettera a P. A. Foscarini
“(…) Dico che mi pare che P.V. et il Signor Galileo faccia prudentemente a contentarsi di parlare ex
suppositione e non assolutamente, come io ho sempre creduto che habbia parlato il Copernico. Perché il dire, che
supposto che la terra si muova et il sole stia fermo si salvano tutte le apparenze meglio che con porre gli
eccentrici et epicicli, è benissimo detto, e non ha pericolo nessuno; e questo basta al matematico: ma volere
affermare che realmente il sole sia nel centro del mondo, e solo si rivolti in sé stesso senza correre dall’oriente
all’occidente, e che la terra stia nel terzo cielo e giri con somma velocità intorno al sole, è cosa molto pericolosa
non solo d’irritare tutti i filosofi e theologi scholastici, ma anco di nuocere alla Santa Fede con renderne false le
Scritture Sante (…)
Dico che, come lei sa, il Concilio prohibisce esporre le Scritture contra il commune consenso de’ Santi Padri;
e se la P.V. vorrà leggere non dico solo li Santi Padri, ma li commentarii moderni sopra il Genesi, sopra li Salmi,
sopra l’Ecclesiaste, sopra Giosuè, trovarà che tutti convengono in esporre ad literam ch’il sole è nel cielo e gira
intorno alla terra con somma velocità, e che la terra è lontanissima dal cielo e sta nel centro del mondo,
immobile. Consideri hora lei, con la sua prudenza, se la Chiesa possa sopportare che si dia alle Scritture un
senso contrario alli Santi Padri et a tutti li espositori greci et latini (…)
… Dico che quando ci fusse vera dimostratione che il sole stia nel centro del mondo e la terra nel terzo cielo, e
che il sole non circonda la terra, ma la terra circonda il sole allhora bisogneria andar con molta consideratione
in esplicare le Scritture che paiono contrarie, e più tosto dire che non l’intendiamo che dire che sia falso quello
che si dimostra. Ma io non crederò che ci sia tal dimostratione, fin che non mi sia mostrata: né è l’istesso
dimostrare che supposto ch’il sole stia nel centro e la terra nel cielo, si salvino le apparenze, e dimostrare che in
verità il sole stia nel centro e la terra nel cielo; perché la prima dimostratione credo che ci possa essere, ma della
seconda ho grandissimo dubbio, ed in caso di dubbio non si dee lasciare la Scrittura Santa esposta da’ Santi
Padri (…)”
Allo strumentalismo di Osiander e Bellarmino si contrappone il realismo di Copernico e Galileo, convinti della
verità, della corrispondenza alla realtà dell’eliocentrismo.
Curiosamente una posizione anti-realista, molto vicina allo strumentalismo, è sostenuta oggi da vari scienziati
ed epistemologi. Per esempio Stephen W. Hawking (il noto autore di Dal big bang ai buchi neri) ha scritto: “Io
adotto il punto di vista positivistico che una teoria fisica sia solo un modello matematico e che non abbia senso
domandarsi se essa corrisponda o no alla realtà. Tutto quello che le si può chiedere è che le predizioni siano in
accordo con l’osservazione”.
Naturalmente il punto di vista di Hawking non scaturisce da considerazioni e preoccupazioni teologiche, ma
piuttosto da un orientamento soggettivista e idealista che caratterizza gran parte della filosofia moderna.
Il Saggiatore (1623)
• Quest’opera affronta il problema delle comete: Galileo propone una spiegazione errata del fenomeno
(considera le comete come vapori atmosferici illuminati o incendiati dai raggi del sole ) e attacca con
ingiurie e sarcasmi l’astronomo gesuita Orazio Grassi. L’opera comunque è importante soprattutto per le
considerazioni di metodo, su cui torneremo trattando sistematicamente il metodo scientifico di Galileo .
Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo (1632)
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Nel 1623 il card. Maffeo Barberini, estimatore e amico di Galileo, viene eletto papa Urbano VII.
Galileo pensa allora di poter riprendere a insegnare e difendere l’eliocentrismo copernicano. Per questo
scrive, e pubblica nel 1632, il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, in cui mette a confronto il
sistema aristotelico-tolemaico e quello copernicano.
L’opera, scritta in italiano perché abbia maggior diffusione, è un dialogo che si svolge in quattro giornate.
I tre personaggi del dialogo sono Simplicio, l’aristotelico, Salviati, il copernicano, e Sagredo, un uomo
colto e senza pregiudizi, desideroso di capire le ragioni dell’una e dell’altra teoria.
Prima Giornata: una sola fisica per Cieli e Terra
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Il Dialogo è preceduto da una prefazione in cui Galileo afferma di condividere la condanna della teoria
copernicana decisa dalla Chiesa nel 1616, ma poi tutta l’opera svolge una difesa serrata della validità e
della verità dell’eliocentrismo; la cosmologia aristotelico-tolemaica viene sistematicamente attaccata e
demolita in tutti i suoi aspetti, e il suo esponente, Simplicio, viene continuamente confutato e
ridicolizzato.
Nella Prima Giornata del Dialogo Salviati (alter-ego di Galileo) contesta la distinzione aristotelica tra i
Cieli e la Terra; sulla base delle scoperte effettuate con il cannocchiale Salviati sostiene che non c’è
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nessuna differenza qualitativa e materiale tra i corpi celesti e la Terra, e che quindi in tutto l’universo
valgono le stesse leggi fisiche: perciò il moto circolare appartiene alla Terra non meno che agli astri.
Seconda Giornata: la relatività classica
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Nella Seconda Giornata Salviati smonta gli argomenti che gli aristotelici opponevano al moto di rotazione
terrestre (il tiro di cannone più lungo verso ovest e più corto verso est, il grave lasciato cadere da un’alta
torre che dovrebbe allontanarsi dalla verticale, gli uccelli che dovrebbero volare a velocità diverse verso
est e verso ovest ecc.)…
Per smontare questi argomenti Galileo afferma il principio della relatività dei moti.
Ecco la celebre pagina con cui Galileo-Salviati espone questo principio:
“Rinserratevi con qualche amico nella maggiore stanza che sia sotto coverta di alcun gran navilio, e
quivi fate d’aver mosche, farfalle e simili animaletti volanti; siavi anco un gran vaso d’acqua, e dentrovi
de’ pescetti; sospendasi anco in alto qualche secchiello, che a goccia a goccia vada versando dell’acqua
in un altro vaso di angusta bocca, che sia posto a basso: e stando ferma la nave, osservate diligentemente
come quelli animaletti volanti con pari velocità vanno verso tutte le parti della stanza; i pesci si vedranno
andar notando indifferentemente per tutti i versi; le stille cadenti entreranno tutte nel vaso sottoposto; e
voi, gettando all’amico alcuna cosa non più gagliardamente la dovrete gettare verso quella parte che
verso questa, quando le lontananze siano eguali; e saltando voi, come si dice, a pié giunti, eguali spazii
passerete verso tutte le parti. Osservate che avrete diligentemente tutte queste cose, benché niun dubbio ci
sia che mentre il vassello sta fermo non debbano succeder così , fate muover la nave con quanta si voglia
velocità; ché (pur che il moto sia uniforme e non fluttuante in qua e in là) voi non riconoscerete una
minima mutazione in tutti li nominati effetti, né da alcuno di quelli potrete comprender se la nave
cammina o pure sta ferma: voi saltando passerete nel tavolato i medesimi spazii che prima…
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…né, perché la nave si muova velocissimamente, farete maggior salti verso la poppa che verso la prua,
benché, nel tempo che voi state in aria, il tavolato sottopostovi scorra verso la parte contraria al vostro
salto; e gettando alcuna cosa al compagno, non con più forza bisognerà tirarla, per arrivarlo, se egli
sarà verso la prua e voi verso poppa, che se voi fuste situati per l’opposto; le gocce cadranno come prima
nel vaso inferiore, senza caderne pur una verso poppa, benché mentre la gocciola è per aria, la nave
scorra molti palmi; i pesci nella lor acqua non con più fatica noteranno verso la precedente che verso la
susseguente parte del vaso, ma con pari agevolezza verranno al cibo posto su qualsivoglia luogo dell’orlo
del vaso; e finalmente le farfalle e le mosche continueranno i lor voli indifferentemente verso tutte le
parti, né mai accaderà che si riduchino verso la parte che riguarda la poppa, quasi che fussero stracche
in tener dietro al veloce corso della nave (… ) E di tutta questa corrispondenza d’effetti ne è cagione
l’essere il moto della nave comune a tutte le cose contenute in essa…”
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Secondo il principio di relatività qui esposto non è possibile stabilire, in base ai fenomeni fisici che si
verificano all’interno di un sistema, se il sistema stesso è in condizione di quiete o di moto rettilineo
uniforme (moto inerziale).
La quiete e il moto (rettilineo uniforme) possono essere attribuiti a un corpo solo relativamente a un
sistema di riferimento; un corpo può anche essere contemporaneamente in quiete e in movimento, in
rapporto a sistemi di riferimento diversi.
Nella nave che procede con moto rettilineo uniforme tutti i fenomeni fisici avvengono come se la nave
fosse ferma. Il motivo per cui non si rileva nessun cambiamento emerge in modo più chiaro in un’altra
discussione della Seconda Giornata, la discussione sulla traiettoria di una pietra lasciata cadere dalla
sommità dell’albero di una nave in movimento. Simplicio sostiene che se la nave è ferma la pietra cade in
verticale, e non si discosta dall’albero; se invece la nave si muove, l’albero si allontana dalla traiettoria
verticale di caduta della pietra, la quale pertanto cade lontana dall’albero.
Salviati obietta che, se si facesse davvero l’esperienza, si vedrebbe che la pietra non si allontana per nulla
dall’albero, anche quando la nave si muove. Perché? Perché la pietra si sta muovendo insieme alla nave,
perciò, quando viene lasciata cadere, tende ad avanzare insieme alla nave. Se consideriamo la traiettoria
del grave rispetto al ponte della nave, è una traiettoria verticale, ma se la consideriamo rispetto alla
superficie del mare, è una traiettoria obliqua.
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Per lo stesso motivo un grave lasciato cadere da un’alta torre non se ne discosta (e cade in verticale
rispetto alla Terra) anche se la torre si muove trascinata dal moto di rotazione terrestre.
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Ma Galileo ha veramente realizzato l’esperienza di cui discutono Salviati e Simplicio? La cosa potrà
sorprenderci, considerando il valore che Galileo attribuisce alle “sensate esperienze”, eppure egli non ha
realizzato quest’esperienza, l’ha solo immaginata, come dichiara Salviati.
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Ecco dunque un esempio di “esperimento mentale” galileiano.
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N.B. E’ evidente che qui Galileo utilizza il principio d’inerzia (la pietra va avanti perché conserva la sua
condizione di moto).
Possiamo dunque affermare che Galileo ha scoperto e utilizzato il principio d’inerzia anche se non l’ha
formulato esplicitamente (primo principio della dinamica: un corpo non soggetto a forze persevera nello
stato di quiete o di moto rettilineo uniforme nel quale si trova).
Ecco un altro “esperimento mentale” sul moto inerziale proposto nel corso della stessa discussione : una
sfera che rotola verso il basso su una superficie piana inclinata continuerà a rotolare aumentando
progressivamente la sua velocità; la stessa sfera, rotolando sulla superficie inclinata verso l’alto rallenterà
progressivamente fino a fermarsi: allora come si comporterà la sfera posta su una superficie piana
orizzontale? E’ ragionevole pensare che la sfera posta in movimento, se non fosse frenata dall’attrito,
rotolerebbe a velocità costante senza mai fermarsi.
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L’esperienza della caduta di un grave dalla vetta dell’albero di una nave in movimento inerziale fu
realizzata dal francese Gassendi nel 1641 e confermò il risultato “immaginato” da Galileo.
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Invece l’esperimento del grave lasciato cadere da una torre venne effettuato nel 1792 a Bologna dall’abate
Giambattista Guglielmini, professore di matematica dell’Università bolognese: egli fece cadere una sfera
di piombo nel vano della Torre degli Asinelli e rilevò una deviazione dalla verticale di alcuni millimetri
verso est (non verso ovest come ipotizzato dagli Aristotelici); tale deviazione, prevista e calcolata da
Newton, si spiega perché la sfera in cima alla torre si muove su una traiettoria circolare più ampia di
quella descritta dalla base della torre e dunque si muove anche con velocità maggiore rispetto alla base:
anche cadendo la sfera mantiene, per inerzia, la sua velocità maggiore e perciò supera verso est il punto
della verticale posto alla base della torre.
L’esperimento di Guglielmini fornì la prima prova sperimentale (50 anni prima del Pendolo di Foucault)
del moto di rotazione terrestre.
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Terza Giornata: il moto terrestre intorno al sole
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Nella Terza Giornata Salviati espone gli argomenti a sostegno del moto terrestre intorno al Sole:
sostanzialmente si tratta delle stesse ragioni di Copernico: l’ipotesi eliocentrica spiega tutti i fenomeni
astronomici in modo più semplice e con maggior esattezza rispetto all’ipotesi geocentrica.
Questa, al contrario, può spiegare i fenomeni solo introducendo una molteplicità di cause e di moti, e
inoltre ci costringerebbe ad ammettere che tutta l’immensa volta celeste giri intorno alla terra con velocità
inconcepibile.
C’è tuttavia il problema della parallasse, lo spostamento della posizione delle stelle nella volta celeste che
dovrebbe verificarsi come conseguenza dello spostamento della Terra rispetto ad esse…
Terza Giornata: la Parallasse
• …Infatti gli astronomi aristotelici e Tycho Brahe rifiutavano l’eliocentrismo anche perché non
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registravano nessuna parallasse stellare, e quindi ne desumevano che non c’è nessuno spostamento della
Terra rispetto alle Stelle.
Galileo risponde, correttamente, che lo spostamento non è rilevabile per l’enorme distanza delle stelle
dalla Terra (distanza che Galileo ritiene assai superiore a quella ipotizzata da Tycho), ma non può
provare questa sua ipotesi. Il problema della parallasse rimane irrisolto… manca dunque la prova diretta
del moto terrestre.
Secondo Arthur Koestler (ne I Sonnambuli) questo problema divenne per Galileo un vero rovello, tale da
indurlo al fatale errore della Quarta Giornata.
Quarta giornata: le maree
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Nella quarta giornata Salviati propone la sua prova risolutiva del moto terrestre: le maree. Infatti egli
spiega le maree come effetto della combinazione del moto di rotazione e del moto di rivoluzione: questa
teoria è evidentemente sbagliata, sia perché essa è in contrasto proprio con il principio della relatività dei
moti scoperto da Galileo, sia perché essa potrebbe giustificare una sola alta marea al giorno, mentre in
realtà se ne verificano due.
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Secondo Koestler Galileo fu indotto all’errore della teoria delle maree dall’ossessione per la prova
mancante, per la parallasse non misurabile: “Le maree furono un ersatz dell’introvabile parallasse
stellare, un sostituto e non soltanto in senso psicologico…”
Le maree sono in realtà un fenomeno causato dall’attrazione gravitazionale esercitata dalla Luna sulla
Terra: questa spiegazione era già stata ipotizzata da Keplero, ma Galileo l’aveva rifiutata perché egli
rifiutava il ricorso a “forze” che agiscono a distanza, troppo simili, per lui, alle forze magiche della
scienza rinascimentale .
Il processo del 1633
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Il Dialogo sopra i due massimi sistemi fu dato alle stampa con l’Imprimatur ecclesiastico, ma ben presto i
lettori capirono qual era la vera intenzione di Galileo e alcuni religiosi lo denunziarono al Sant’Uffizio per
eresia, in quanto aveva contravvenuto al divieto di insegnare e difendere la teoria copernicana, condannata
nel 1616 (in quell’anno Galileo aveva ricevuto l’ammonizione).
Galileo venne convocato a Roma e processato dal Tribunale dell’Inquisizione romana. Galileo venne
trattato con un certo riguardo, anche in considerazione della sua età avanzata, ma fu costretto all’abiura:
dovette cioè riconoscersi colpevole, ritrattare le proprie idee e chiedere perdono (se avesse rifiutato
sarebbe stato torturato e condannato a morte).
Il Tribunale (a maggioranza) condannò Galileo al carcere a vita (commutato in confino, prima presso il
vescovo di Siena, amico di Galileo, e poi nella sua villa di Arcetri) e gli vietò l’insegnamento.
Tuttavia, anche negli anni della vecchiaia (aggravata dalla cecità) e del confino, Galileo continuò a
esplorare il “gran libro della natura”: l’esito di questi studi furono i “Discorsi e dimostrazioni matematiche
sopra due nuove scienze” pubblicati a Leida nel 1638.
In margine al processo: La revisione della Chiesa (da leggere)
• In tempi recenti la Chiesa cattolica ha riconosciuto l’errore e il torto commesso nei confronti di Galileo. Nel 1992
una Commissione istituita per volontà di papa Giovanni Paolo II ha riesaminato il processo a Galileo ed è giunta a
queste conclusioni:
• “Eredi della concezione unitaria del mondo, che si impose universalmente fino all’alba del XVII secolo, alcuni
teologi contemporanei di Galileo non hanno saputo interpretare il significato profondo, non letterale, delle
scritture, quando queste descrivono la struttura fisica dell’universo creato, fatto che li condusse a trasporre
indebitamente una questione di osservazione fattuale nel campo della fede. E’ in questa congiuntura storicoculturale, ben lontana dal nostro tempo, che i giudici di Galileo, incapaci di dissociare la fede da una cosmologia
millenaria, credettero a torto che l’adozione della rivoluzione copernicana, peraltro non ancora definitivamente
provata, fosse tale da far vacillare la tradizione cattolica, e che era loro dovere il proibirne l’insegnamento. Questo
errore soggettivo di giudizio, così chiaro per noi oggi, li condusse ad adottare un provvedimento disciplinare di cui
Galileo ebbe molto a soffrire. Dobbiamo riconoscere questi torti con lealtà.”
In margine al processo: la mitizzazione di Galileo. (da leggere)
• L’ingiusta condanna inflitta a Galileo naturalmente ha dato l’opportunità agli avversari della Chiesa Cattolica,
(protestanti, Illuministi e Positivisti, massoni, atei militanti) di dipingere Galileo come vittima disarmata di un
potere oppressivo e disumano, oltreché costitutivamente avverso alla scienza.
• In tal modo però la personalità complessa di Galileo è stata spesso appiattita e travisata. Per esempio lo si è voluto
rappresentare come un “eroe” anticlericale o addirittura anticristiano, dimenticando la sua profonda religiosità, la
sua fede cristiana e i suoi stretti rapporti con religiosi e prelati (nonché le protezioni di cui godeva nelle corti
ecclesiastiche e civili).
• Si sono dimenticati anche gli errori e i limiti della posizione di Galileo e la ragionevolezza di alcune obiezioni e
richieste avanzate dalla Chiesa (la richiesta di proporre l’eliocentrismo come ipotesi, in mancanza di prove).
Il dramma “Vita di Galileo” di B.Brecht (da leggere)
• Un esempio di tale rappresentazione riduttiva è costituito dalla famosissima opera teatrale di Bertold Brecht. In
questo dramma Brecht si pone il problema del processo a Galileo e del “tradimento” della scienza che Galileo
avrebbe commesso, accettando l’abiura e cedendo al “potere”.
• Brecht quando scriveva quest’opera, pensava al “tradimento” degli scienziati che, durante la Seconda Guerra
mondiale, si erano messi al servizio degli Stati in guerra dotandoli di armi terribilmente distruttive.
• Brecht quindi realizza, attraverso il suo dramma, una meditazione profonda ed efficace su un problema attuale, ma
dal punto di vista storico il suo Galileo è poco credibile.
Alcuni detrattori “laici” di Galileo”. (da leggere)
• D’altra parte, se la figura di Galileo è stata spesso mitizzata, non sono mancati, in tempi recenti, studiosi che, pur
essendo “laici”, agnostici o atei, hanno evidenziato gli errori di Galileo arrivando perfino a giustificare l’operato
della Chiesa.
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Per esempio l’epistemologo Feyerabend ha scritto: «La Chiesa dell'epoca di Galileo si attenne alla ragione più che
lo stesso Galileo, e prese in considerazione anche le conseguenze etiche e sociali della dottrina galileiana. La sua
sentenza contro Galileo fu razionale e giusta, e solo per motivi di opportunità politica se ne può legittimare la
revisione»
Discorsi e Dimostrazioni matematiche …
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La condanna del 1633 non pose fine all’attività scientifica di Galileo: nella casa di Arcetri, dove fu
confinato fino alla morte, Galileo continuò le ricerche e gli esperimenti, che confluirono nel libro
“Discorsi e dimostrazioni matematiche sopra due nuove scienze”, che venne pubblicato in Olanda nel
1638: le due nuove scienze sono la scienza della resistenza dei materiali (il cui fulcro è la statica) e la
dinamica, con la formulazione della legge del moto uniformemente accelerato e con il celebre
esperimento del piano inclinato: “…facemmo scendere la medesima palla solamente per la quarta parte
della lunghezza di esso canale; e misurato il tempo della sua scesa, si trovava sempre
puntualissimamente esser la metà dell’altro: e facendo poi l’esperienza di altre parti, esaminando ora il
tempo di tutta la lunghezza col tempo della metà, o con quello delli due terzi o dei ¾, o in conclusione con
qualunque altra divisione, per esperienze ben cento volte replicate sempre s’incontrava, gli spazii passati
esser tra di loro come i quadrati dei tempi, e questo in tutte le inclinazioni del piano.”
Quindi la lunghezza percorsa è direttamente proporzionale al quadrato del tempo impiegato a percorrerla
(L= Kt2 dove K, costante di proporzionalità, è metà dell’accelerazione)
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Presupposti filosofici e metodologici della scienza galileiana
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La ricerca scientifica di Galileo si fonda su alcune convinzioni di base, che Galileo non si preoccupa di
giustificare (o che giustifica solo in parte), in quanto le considera evidenti e comprovate dai risultati della
ricerca scientifica.
In realtà il problema dei fondamenti, del valore e dei limiti della conoscenza scientifica costituisce uno dei
temi principali della filosofia moderna e contemporanea.
Autonomia della scienza
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La scienza di Galileo è autonoma:
È autonoma dalla fede perché ha uno scopo e un metodo diversi dalla fede (vedi Lettere Copernicane)
È autonoma dalla filosofia e dall’autorità degli antichi autori: contro la “nuda autorità” di Aristotele
invocata dai suoi avversari aristotelici, Galileo si richiama proprio all’insegnamento di Aristotele stesso,
che “antepone l’esperienze sensate a tutti i discorsi “, sicché “non dubito punto che se Aristotele fusse
all’età nostra, muterebbe opinione. Il che manifestamente si raccoglie dal suo stesso modo di filosofare:
imperocché mentre egli scrive di stimare i cieli inalterabili perché niuna cosa nuova si è veduta
generarvisi o dissolversi delle vecchie, viene implicitamente a lasciarsi intendere che quando avesse
veduto uno di tali accidenti, avrebbe stimato il contrario ed anteposto, come conviene, la sensata
esperienza al natural discorso” .
Quindi, conclude Galileo, vero discepolo di Aristotele è chi si attiene al suo metodo, vale a dire chi si
affida alla ragione e all’esperienza, non chi ripropone dogmaticamente le tesi del maestro.
Realismo e matematica
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Galileo è realista, perché è convinto che la scienza ci dà una descrizione vera della realtà (non una
costruzione ipotetica), la scienza quindi è oggettiva.
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Tuttavia la conoscenza scientifica è reale e oggettiva, ma limitata alla decrizione delle qualità oggettive
dei corpi.
DISTINZIONE QUALITA’ SOGGETTIVE ED OGGETTIVE:
• Qualità soggettive o secondarie (come colori, odori, sapori): non esistono nell’oggetto, ma nel soggetto
senziente (come il solletico non esiste nella piuma ma nel soggetto che lo sente).
• Qualità oggettive o primarie: esistono necessariamente nell’oggetto: sono le qualità quantitative e
misurabili (e pubblicamente controllabili).
• Evidentemente il linguaggio della matematica è il linguaggio più appropriato per descrivere le qualità
primarie.
L’universo è scritto in lingua matematica (il platonismo di Galileo)
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La scienza è “vera” nel descrivere matematicamente la realtà perché il grande libro della natura, cioè
l’universo “è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche,
senza i quali mezi è impossibile a intenderne umanamente parola: senza questi è un aggirarsi vanamente
per un oscuro laberinto”.
È qui evidente che anche Galileo, come Copernico e Keplero, è animato dalla “fede” platonica in un Dio
che geometrizza.
“Tentar le essenze è impresa vana”
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La fiducia di Galileo nella conoscenza matematica è tanto grande che egli si spinge ad affermare che
l’uomo, pur essendo infinitamente inferiore a Dio nella conoscenza per la quantità di verità conosciute
(extensive), tuttavia nelle scienze matematiche raggiunge la stessa assoluta certezza (intensive) con cui
anche Dio le conosce.
Ma la conoscenza umana si ferma agli aspetti quantitativi della realtà, permette di stabilire le affezioni dei
fenomeni come luogo, moto, figura, grandezza, mutabilità, produzione e dissolvimento. Non è possibile
invece “tentar le essenze” delle cose, cioè conoscerne l’essenza, il fine e il significato.
Per Galileo per esempio è insensato chiedersi perché esistono spazi così vasti nell’universo, o stelle invisibili, di
cui non si può riconoscere l’utilità per l’uomo: “dico che è temerità voler far giudice il nostro debolissimo
discorso delle opere di Dio, e chiamar vano o superfluo tutto quello dell’universo che non serve per noi”.
L’universo quindi non deve più essere pensato, gerarchizzato, ordinato, in funzione dell’uomo; non è più
l’universo antropocentrico di Aristotele e della tradizione, è un universo deterministico e meccanicistico.
Il problema dello scientismo in Galileo
• Abbiamo quindi visto che Galileo, pur avendo una grande fede nella validità della conoscenza scientifica,
pone anche dei limiti ad essa: non è possibile conoscere scientificamente essenze, fini e significati.
• D’altra parte Galileo riconosce alla Bibbia il compito di insegnare “come si va in Cielo”. Quindi, in un
certo senso, riconosce alla fede, il compito di rispondere alle inevitabili domande umane sul significato e
sul fine della realtà e della vita. Ma è possibile ragionare su queste cose? Sembra che Galileo non creda
nella possibilità di una riflessione razionale su questi temi, o che non vi sia interessato. La sua
accettazione della Bibbia allora non è una forma di “fideismo”, di “fede cieca”, cioè immotivata?
• Quindi Galileo pone dei limiti alla conoscenza scientifica, ma, a quanto pare, per lui la conoscenza
scientifica esaurisce tutta la razionalità dell’uomo, non esiste altro esercizio della ragione al di fuori della
scienza.
• Se è così, in Galileo è già presente in nuce lo scientismo (l’assolutizzazione della scienza) che troveremo
esplicitamente affermato in alcune correnti filosofiche dell’età moderna
Il metodo scientifico galileiano
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L’enorme contributo dato da Galileo allo sviluppo della scienza moderna non consiste solo nelle
importanti scoperte scientifiche che egli ha realizzato, ma anche nella definizione del metodo scientifico.
Questo metodo, a partire da Galileo, è diventato l’elemento che caratterizza tutte le scienze della natura e
che fonda la loro validità ed efficacia conoscitiva.
Galileo non ha dedicato un’opera specifica al metodo, ma ha inserito considerazioni metodologiche in
tutte le sue opere.
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Nelle Lettere copernicane Galileo ha indicato i due elementi fondamentali del metodo scientifico: le
“sensate esperienze” e le “necessarie dimostrazioni”.
Sensate esperienze e necessarie dimostrazioni
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Sensate esperienze: sono le esperienze dei sensi (in particolare della vista, che Galileo considera il più
acuto dei sensi) eventualmente potenziati da strumenti come il cannocchiale.
Si tratta quindi dell’osservazione, del processo induttivo.
Necessarie dimostrazioni, cioè ragionamento rigoroso, grazie al quale, partendo da un’ipotesi, si
deducono le conseguenze che necessariamente devono prodursi.
Si tratta quindi del processo deduttivo, espresso però non in modo logico-discorsivo, ma con il linguaggio
della matematica.
Infatti il linguaggio discorsivo è ambiguo, mentre il linguaggio della matematica è preciso e univoco;
inoltre il linguaggio matematico esprime nel modo più appropriato le qualità oggettive della realtà e la
struttura matematica dell’universo.
Pertanto le necessarie dimostrazioni consistono nel formulare un’ipotesi o teoria matematica (come per esempio
L=Kt2) e nel dedurre da essa le necessarie conseguenze: per esempio l’accelerazione del corpo, la distanza
percorsa dopo un tempo x, e così via.
La reciproca implicazione di esperienza e dimostrazione
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Individuati i due elementi portanti della conoscenza scientifica, resta da stabilire quale ruolo assegnare ad
ognuno di essi. Galileo stesso, in molti passi attribuisce il primato all’esperienza (metodo induttivo), ma
in altri casi sembra far prevalere il ragionamento (metodo deduttivo).
In ogni caso è evidente che per Galileo la scienza esige un’implicazione reciproca tra esperienza e
ragionamento matematico.
Come avviene questa implicazione? Come procede concretamente la ricerca e la scoperta scientifica?
In primo luogo occorre formulare un’ipotesi in termini matematici (per esempio una legge che descriva il
moto di un corpo che viene lasciato cadere). L’ipotesi può essere ideata basandosi su osservazioni, ma
potrebbe nascere anche dalla fantasia o dalle idee di altri autori. E’ però necessario che dall’ipotesi
vengano dedotte le conseguenze necessarie che dovranno realmente prodursi perché l’ipotesi sia
verificata.
Il momento della verifica (o falsificazione) dell’ipotesi – per mezzo dell’esperimento – assume quindi
un’importanza fondamentale nel metodo galileiano.
L’esperienza galileiana è l’esperimento
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Infatti l’esperienza di cui parla continuamente Galileo non è l’esperienza ordinaria, che molto spesso può
trarre in inganno; è l’esperimento, cioè un’esperienza artificiale, costruita appositamente per verificare o
falsificare un’ipotesi o teoria. Se dall’ipotesi, per esempio, si deducono certi valori (distanze e tempi)
l’esperimento dovrà consentire di effettuare misure precise della distanza e del tempo. Se le misure
corrispondono ai valori dedotti dall’ipotesi, allora l’ipotesi è verificata, altrimenti è falsificata.
L’esperimento è progettato sulla base dell’ipotesi o teoria, perché serve per controllarla. L’esperimento
quindi, oltre a consentire misure precise, dovrà isolare il fenomeno studiato, in modo da evitare
l’interferenza con altri fenomeni. Così negli esperimenti costruiti e descritti da Galileo si nota la
grandissima cura che egli pone nel ridurre al minimo l’attrito, in modo che lo studio del moto
naturalmente accelerato non ne sia disturbato.
Questo carattere artificiale dell’esperimento spiega anche il ricorso di Galileo agli esperimenti mentali,
perché non sempre è possibile riprodurre un fenomeno in condizioni “pure”: allora si dovrà cercare di
immaginarlo.
GLI ULTIMI ANNI di vita di Galileo, nel confino di Arcetri, furono funestati dalla perdita della diletta figlia
suor Maria Celeste (Virginia) e poi dalla cecità ed altre gravi sofferenze. Morì l’8 gennaio 1642, assistito dai suoi
discepoli Vincenzo Viviani e Evangelista Torricelli.
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